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Progetto Ecodens – Report delle attività svolte – dal 01/01/2013 al 31/10/2013 Pag. 1
PROGETTO
Misura 124 – Cooperazione per lo per sviluppo di nuovi prodotti, processi e
tecnologie nei settori agricolo e alimentare, e quello forestale
ECODENS – ecostabilizzazione delle sanse mediante densificazione
Dott. Vito Rappa
REPORT DELLE ATTIVITA’ SVOLTE
Periodo: 01/01/2013 - 31/10/2013
La presente relazione è redatta su richiesta della capofila del progetto ai fini dellarendicontazione delle
attività svolte dal sottoscritto.
Il presente report è relativo alle attività svolte dal sottoscritto nel periodo che va dal 1 Genaio 2013 al 31
Ottobre 2013 e si riferisce alla macroattività Trasferimento applicativo e collaudo del processo, con
particolareriferimentoalla caratterizzazione delle biomasse e del pellettato.
Esso fa riferimento al contratto di lavoro stipulato tra il sottoscritto e la SABER Technology S.r.l., capofila
delle attività di cui al progetto “ECODENS - Ecostabilizzazione delle sanse mediante densificazione” (CUP
G66D11000090009) finanziato a valere sulla Misura 124 del PSR Sicilia 2007-2013, ammesso a
finanziamento con D.D.G. n. 839 del 2011 del Dipartimento Regionale per gli Interventi Infrastrutturali
per l’Agricoltura – Regione Siciliana.
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PREMESSA
Lo scopo principale del progetto ECODENS è la messa a punto di un processo di co-densificazione delle
sanse vergini miste a residui di potature da colture arboree quali uliveti, frutteti e vigneti, che risulti
tecnicamente ed economicamente sostenibile. In altre parole il progetto intende trasformare quello che
attualmente è un problema economico ed ambientale, in una opportunità di innovazione e crescita della
competitività delle imprese agro-zootecniche siciliane. La finalità dell’intervento mira a valorizzare due
materie prime povere provenienti da settore primario (residui di potatura e sansa vergine appunto) il
cui smaltimento ad oggi costituisce un problema e un costo per le aziende agricole siciliane.
Nel seguito sono descritte sinteticamente le attività teoriche e pratiche svolte dal sottoscritto,
nell’ambito del progetto ECODENS, quali:
1. Analisi della disponibilità effettiva di biomasse residuali nel territorio siciliano;
2. Analisi dei sistemi meccanizzati potenzialmente utilizzabili per la raccolta dei residui di potatura;
3. Ottimizzazione e collaudo in campo della trincia-caricatrice selezionata;
4. Analisi delle caratteristiche dei residui di potatura (composizione, stabilità ecc.) e monitoraggio ed
ottimizzazione dello stoccaggio;
5. Analisi e stoccaggio delle sanse vergini per la produzione di agri-pellet;
6. Organizzazione e partecipazione a Campi Dimostrativi e Workshop;
7. Conclusioni
1. ANALISI DELLA DISPONIBILITÀ DI BIOMASSE RESIDUALI NEL TERRITORIO SICILIANO
Con il termine “biomasse residue del settore agricolo e forestale”, si indicano tutte quelle sostanze
organiche di origine vegetale o animale, provenienti da scarti e residui di varie produzioni, che spaziano
da quelle agricole-forestali a quelle agroindustriali (Mc Kendry,2002; Klass, 1998).
Fra le filiere corte che possono contribuire ad attivare la multifunzionalità agricola legata alla tutela e
alla riqualificazione territoriale si inserisce la valorizzazione energetica dei residui di potatura delle
specie legnose e non, che costituisce obiettivo del progetto ECODENS che ben si inserisce nell’ambito
delle politiche nazionali, europee e mondiali.
La questione energetica rappresenta un elemento strategico delle politiche di sviluppo e delle politiche
ambientali. L’Unione Europea (EU) importa infatti oltre il 50% dell’energia e la dipendenza, in mancanza
di interventi significativi nel settore energetico, potrà raggiungere il 70% nel 2030. La condizione
deficitaria è molto grave nel nostro paese: l’Italia attualmente importa dall’estero oltre l’82% del proprio
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fabbisogno energetico, che in larga misura è coperto da combustibili fossili, e ha ratificato il protocollo
di Kyoto, che la obbliga a uno sforzo effettivo di riduzione dei gas serra del 6,5%. L’Unione Europea, e di
conseguenza l’Italia, prevedono sostegni sempre più significativi per stimolare l’impiego delle fonti di
energia rinnovabile. Il legno rappresenta la più importante fonte energetica rinnovabile europea, in
Italia seconda solo all’idroelettrico. Ciò nonostante, le filiere legno-energia si stanno sviluppando in
maniera modesta nel nostro Paese.
Il momento storico-economico dell’agricoltura italiana e siciliana in particolare, è caratterizzato dalla
crisi, che in parte puo essere combattuta con una ritrovata attenzione alle potenzialità che l’agricoltura
offre in termini di agro-energie. In questo senso vanno analizzati differenti filoni di sviluppo quali a) la
messa in coltura di coltivazioni specifiche per la produzione di energia (oleaginose per la produzione di
combustibili vegetali, arboreti per la produzione di biomasse, erbai per la produzione di biogas) e b)lo
sfruttamento delle risorse esistenti a partire dai residui di potatura di frutteti e vigneti, ma anche dal
patrimonio derivante dalle potature delle piante ornamentali.
Le biomasse combustibili provenienti dall’agricoltura sono costituite dai residui colturali ovvero da tutte
quelle parti della pianta che non riguardano il “prodotto principale” generalmente destinato ad usi
alimentari. Tali residui agricoli, generalmente costituiti dalle strutture di supporto e protezione degli
organi di produzione della pianta oltre che dalle foglie, derivano dall’operazione di taglio a fine ciclo
colturale per le colture annuali (ad esempio cereali) e dalle operazioni di potatura effettuate con varia
periodicità sulle colture poliennali (ad esempio frutteti).
La raccolta delle potature nei vigneti, negli oliveti e nei frutteti da destinare all’alimentazione di impianti
termici, può rappresentare una valida opportunità per la valorizzazione economica di un prodotto
legnoso che, solo fino a poco tempo fa, era considerato un ingombrante scarto di produzione, da
eliminare con costi non trascurabili. La stima della quantità di residui colturali recuperabile è ovviamante
operazione di grande interesse per lo sviluppo di azioni, come quelle messe in atto dal progetto
ECODENS, finalizzate al riutilizzo di tali risorse.
La disponibilità territoriale di biomassa dipende da numerosi fattori, quali l'estensione delle superfici
coltivate, la produttività delle colture, le caratteristiche agronomiche della coltura, la modalità di
raccolta, le condizioni di operatività, la stagionalità della raccolta, lo stoccaggio del sottoprodotto,
l’organizzazione aziendale e i possibili utilizzi del sottoprodotto.
Per esempio negli oliveti tutto il materiale con un diametro superiore ai 6 cm è utilizzato come legna da
ardere e pertanto viene già in gran parte recuperato. Il materiale più sottile non ha ancora sbocchi
commerciali e generalmente viene smaltito in due modi: triturazione in campo o combustione in
capezzagna. In realtà, il residuo di potatura è un ottimo combustibile e può essere impiegato da una
considerevole varietà di utenze. I residui delle potature attualmente non rappresentano per le aziende
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interessate una fonte di reddito ma costituiscono nella maggior parte dei casi un problema che
contribuisce ad aumentare i costi di produzione.
La trinciatura dei residui di potature con interramento si può rivelare utile in presenza di vigneti e
colture sane: in questi casi la biomassa derivante da potature non costituisce fonte d’infezione o
diffusione di patologie ma anzi può svolgere una funzione di apporto di nutrienti e di sostanza organica
al terreno, senza considerare gli effetti ammendanti. Questa pratica tuttavia può presentare un ritorno
fitosanitario negativo nel caso di residui siano infettati da marciume radicale o mal dell’esca, iodio,
peronospora ecc. In queste circostanze l’interramento dei sarmenti è da evitare, in quanto l’elemento
patogeno trova nel terreno un ambiente favorevole per svernare e infettare nuovamente, nella
primavera successiva, i germogli.
In molti casi invece i residui delle potature sono raccolti con un rastrello applicato a un trattore e portati
nelle aree perimetrali degli appezzamenti per essere successivamente bruciati. Allo stato attuale in
molte regioni questa soluzione è vietata per i suoi ritorni ambientali negativi, sia per motivi di qualità
dell’aria legati alle emissioni dovute a questa pratica colturale che immette in atmosfera grandi
quantitativi di CO2, sia per motivi di sicurezza contro il diffondersi di incendi. Bruciare sarmenti e
ramaglie a bordo campo è spesso interdetto da molte amministrazioni comunali (anche se poi in realtà
si riscontra spesso un mancato rispetto di tali regolamenti).
Ai sensi del D. Lgs. n. 22/97 (decreto Ronchi), i residui delle potature, quando devono essere smaltiti,
rientrano nella categoria dei rifiuti. Se contrariamente a ciò viene loro conferita una destinazione
energetica, come da D. Lgs. n. 152/06 (ex DPCM 8 marzo 2002), possono essere considerati combustibili
a tutti gli effetti. Resta comunque da attivare una filiera energetica per il loro razionale sfruttamento.
1.1 Tipologie di biomasse per una filiera energetica
La biomassa può essere ricavata da numerose fonti naturali, oltre che dagli scarti dell’agricoltura,
dell’allevamento e dell’industria, come ad esempio: le piante e gli alberi (scarti di lavorazione del legno o
della cellulosa, residui di potature, legname coltivato allo scopo, residui agricoli), scarti dell’industria
alimentare (noccioli, vinacce, gusci, fieno, sansa), reflui degli allevamenti e delle discariche, rifiuti urbani
(frazione organica), rifiuti industriali (cascami di cotone, canapa). Esistono inoltre vere e proprie colture
energetiche che si differenziano in tre classi a seconda dell’utilizzo: colture zuccherine (mais, cereali,
sorgo), colture oleaginose (girasole, colza, soia), colture ligno-cellulosiche (sorgo da fibra, kenaf, canapa,
canna comune, miscanto, panico, falaride, cardo, pioppo, salice, robinia).
Una classificazione delle biomasse a scopo energetico puo essere fatta in base alla provenienza:
a) dagli scarti delle lavorazioni agricole;
b) dagli scarti delle lavorazioni agro-industriali;
c) dalla gestione dei boschi.
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Nella seguente tabella è riportata in odo sintetico tale classificazione.
Tabella 1: Classificazione delle biomasse residuali, provenienza e possibili trasformazioni.
Filiere
principali
Settori di provenienza Prodotti di partenza Prodotti finali
Forestazione
Essenze impiegate per
scopi energetici
Residui industriali della
lavorazione della cellulosa
Residui industriali della
lavorazione del legno
Pioppo,salice,eucalipto e
legna da ardere in generale
Black-liquor
Segatura e truciolato da
segherie
Pellet e cippato
Colture
agricole
Essenze coltivate proprio
per scopi energetici
Residui di piantagioni e
di lavorazioni agricole
Scarti dei prodotti
agroalimentari
Girasole, mais, cardo,ricino,
colza e soia
Fieno , paglia, bagasse, gusci
di nocciole, mandorle e noci,
potatura vite e alberi da frutto,
raccolta legumi e residui di canapa
e cotone.
Lolla, pula, sansa
esausta,semi d’olive ed uva,
noccioli e scarti di lavorazione
frutta
Olio vegetale, biodiesel,
bioetanolo e pellet
Rifiuti
Prodotti organici derivati
dall’attività biologica degli
animali e dell’uomo
Rifiuti urbani di origine
vegetale
Rifiuti e liquami da
allevamento degli animali e
discariche dei rifiuti
Sfalcio erbe e potature,
scarti mercati ortofrutticoli e
frazione organica RSU
Biogas e termovalorizzazione
1.2 Disponibilità di biomasse per una filiera energetica
Dalla pubblicazione dei dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura è emerso nel complesso che la
Superficie Aziendale Totale (SAT) risulta pari a 1.545.977 ettari (8,9% dell’Italia) e la Superficie Agricola
Utilizzata (la più estesa SAU, fra le regioni) ammonta a 1.384.043 ettari (10,7%). Gli animali allevati sono
366.015 bovini (6,4%), 49.277 suini (0,5%), 849.565 ovini e caprini (11,2%) e 5,1 milioni di avicoli (2,6%).
Il confronto con il 2000 rivela una diminuzione di aziende agricole (-37,1%) e un aumento della SAU
(8,2%) e della SAT (6,2%, in Tabella 2). Per le aziende, si tratta di un’evoluzione in linea con la tendenza
nazionale (-32,2%); per le superfici, la variazione della Sicilia è di segno opposto a quella del resto
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d’Italia. La crescita delle superfici si spiega con le misure della Politica Agricola Comunitaria (PAC) che in
Sicilia hanno fatto emergere uno scenario più reale dell’organizzazione economica delle aziende.
Nella seguente tabella sono riportati i dati per ciascuna provincia siciliana.
Tabella 2. Superficie Agricola Utilizzata (SAU) e Superficie Totale per Provincia
2010 2000 var. % 2010 2000 var. % 2010 2000 var. %
Trapani 29.310 35.209 -16,75 137.446,84 130.440,28 5,37 147.297,11 140.750,79 4,65
Palermo 38.887 52.158 -25,44 266.361,58 236.764,00 12,5 294.427,10 259.845,44 13,31
Messina 26.166 57.936 -54,84 162.117,94 144.514,47 12,18 192.359,56 183.240,67 4,98
Agrigento 33.828 52.415 -35,46 150.866,22 163.805,89 -7,9 169.936,44 182.358,45 -6,81
Caltanissetta 18.117 28.202 -35,76 117.072,46 108.947,02 7,46 130.354,01 119.160,25 9,39
Enna 17.336 25.837 -32,9 182.518,89 150.658,99 21,15 196.503,52 159.595,37 23,13
Catania 28.590 48.468 -41,01 169.273,56 146.212,94 15,77 195.736,71 178.737,76 9,51
Ragusa 12.770 24.084 -46,98 90.702,15 98.684,86 -8,09 101.585,75 115.519,89 -12,06
Siracusa 14.673 24.833 -40,91 111.161,13 99.690,32 11,51 121.217,14 116.249,07 4,27
SICILIA 219.677 349.142 -37,08 1.387.520,77 1.279.718,77 8,42 1.549.417,34 1.455.457,69 6,46
SATProvince e Regione Aziende SAU
Fra le province siciliane, Palermo è la prima per numero di aziende ed estensione di superfici. La
dimensione media aziendale è cresciuta notevolmente nell’ultimo decennio, passando da 3,67 ettari di
SAU per azienda a 6,32 ettari nel 2010 (+72,2%). Si tratta di un incremento maggiore della media
nazionale (44,4%) e consegue al sopra citato andamento divergente di numero di aziende agricole e
zootecniche in riduzione e di superfici coltivate in aumento. Si può assimilare questo trend ad un
processo di concentrazione dell’attività agricola e zootecnica in unità di maggiore dimensione che sta
avvicinando la Sicilia ad altri contesti territoriali. Anche la dimensione media in termini di SAT aumenta
rispetto al 2000, passando da 4,17 a 7,05 ettari. Per la natura estensiva prevalente delle coltivazioni,
Enna è la provincia con la maggiore dimensione media di SAU (10,56 ha), mentre Messina è quella che
ha avuto il maggiore incremento percentuale di tale indicatore.
Tabella 3. Superficie media aziendale: statistiche negli ultimi anni.
SAU media SAT media
2000 2010 var.
%
2000 2010 var.
%
SICILIA 3,70 6,30 72,21 4,17 7,05 69,06
Italia 5,50 7,90 44,44 7,81 10,61 35,85
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Fig.1 – Dimensione media dell’azienda negli anni 2000 e 2010.
Il confronto con il 2000 rivela una forte riduzione delle aziende agricole di minori dimensione (<10 ha)
ed un incremento di quelle maggiori (>10 ha). Come mostrano i grafici sotto riportati (figura 2-3),
l’incidenza percentuale delle micro aziende si riduce dal 48 al 33 per cento, mentre cresce la quota delle
aziende fra 10 e 20 ettari (dal 4 al 7 per cento) e passa dall’1 al 3 per cento la classe fra 20 e 30. Le
aziende maggiori (>50 ha) registrano un incremento di oltre il 50%.
Fig.2 – Dimensione delle aziende in funzione all’estensione, negli anni 2000 e 2010.
Fig. 3 – Classi di superficie aziendali 2000 e 2010
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Fig. 4 – Classi di superficie aziendali nel 2010
La crescita della dimensione media aziendale si accompagna, in particolare, alla crescita del numero di
aziende con superficie superiore a 100 ettari: un segno evolutivo da considerare non soltanto come
frutto indiretto di cambiamenti nelle politiche agricole europee, ma l’espressione di una crescita di
capacità imprenditoriale registratasi in alcuni comparti che hanno saputo porsi in una prospettiva di
mercato di livello internazionale.
Tabella 4: Superficie investita per tipologia di coltura; confronto anno 2000 – 2010.
Nella seguente tabella sono riportati dati molto interessanti ai fini del progetto ECODENS, in quanto si
tratta delle superfici investite a colture legnose in Sicilia. Sono riportati in particolare i dati alle colture
arboree di particolare interesse per il progetto.
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Tabella n. 5: Superficie investita per tipologia di coltura legnosa in Sicilia
SUPERICIE INVESTITA A COLTURE LEGNOSE AGRARIE IN SICILIA
ANNO 2012 (fonte ISTAT)
COLTURE SUPERFICIE coltivata ha
OLIVO 141.632 ha
VITE 110.219 ha
AGRUMI 70.748 ha
FRUTTIFERI 5.422.819 ha
In provincia di Palermo per le colture legnose agrarie si registra un aumento dell’olivo, ed una diminuzione
della vite e degli agrumi (vedi anche tabelle 6 e 7).
Tabella 6: Superficie investita per tipologia di coltura legnose nella provincia di Palermo.
La tabella 6 mostra come nella provincia di Palermo vi sia una significativa presenza di uliveti, seguito da
vigneti, quindi agrumeti e frutteti. Nella seguente tabella 7 sono riportati in dettaglio i dati del 2010.
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Tabella 7: Aziende e relativa superficie investita per tipo di coltivazione in prov. di PA. Anni 2010
Coltivazioni Aziende Variazioni Variazioni Superficie
2010 assolute % ha
TOT. SEMINATIVI 19.160 -5.090 -20,99 152.275,08
Vite 4.810 -7.608 -61,27 14.058,58
Olivo 27.559 -3.663 -11,73 26.346,18
Agrumi 4.473 -4.186 -48,34 3.886,94
Fruttiferi 4.318 -4.774 -52,51 3.565,58
Vivai 54 -34 -38,64 74,53
Altre coltivazioni 469 454 3.026,67 379,44
Coltivazioni in serra 7 -698 -99,01 5,33
TOT. COLTIVAZIONI 30.941 -10.744 -25,77 48.316,58
TOT. PRATI E
PASCOLI 7.664 -1.267 -14,19 63.047,04
SAU 38.676 -13.449 -25,8 265.611,82
SA non utilizzata 8.496 -2.654 -23,8 10.651,75
ALTRA SUPERFICIE 14.204 -10.001 -41,32 4.881,75
SUPERFICIE TOTALE 38.709 -13.416 -25,74 293.588,31
Nella precedente tabella sono evidenziati i valori che si riferiscono alle colture agricole legnose di ulivo,
vigneto, agrumeto e frutteto, di particolare interesse per il progetto ECODENS.
Poichè lo stesso progetto vede coinvolte aziende agricole del territorio di Partinico e la stessa sede
dell’impianto pilota è in territorio di Partinico, si ritiene di particolare interesse, al fine di valutare la
correlazione del progetto con il territorio limitrofo, riportare le statistiche riferite a questo territorio.
Dai dati ricavati ed elaborati prendendo in considerazioni le superfici coltivate nella provincia di
Palermo, emerge che la biomassa potenzialmente ottenibile, esclusivamente dalle colture arboree di
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interesse del progetto ECODENS (vite, olivo, agrumi, fruttiferi vari), si attesta a circa 108.100 ton, come
si osserva in dettaglio dalla seguente tabella 8.
Tabella n. 8: Potenziale produttivo di biomassa in provincia di Palermo.
E’ un valore relativamente elevato che mostra come tale disponibilità potrebbe alimentare molti
impianti del tipo di quelli che il progetto ECODENS ha messo a punto, e ciò con significativi vantaggi per
la economia agricola del territorio. Con riferimento invece al territorio del comune di Partinico si ha:
Fig. 6 – Classi di superficie aziendali nel 2010 a Partinico
Tuttavia non tutti i residui di potatura potenzialmente disponibili possono essere recuperati ed utilizzati
all’interno di una filiera energetica, infatti vanno esclusi le superficie coltivate che per la loro
conformazione e giacitura non si prestano a ospitare cantieri di raccolta meccanizzata delle biomasse.
Inoltre, non tutti gli impianti arborei permettono l’utilizzo delle macchine per la raccolta, soprattutto gli
impianti misti e quelli secolari di cui la Sicilia è notoriamente composta. A questi vanno ancora sottratte
le perdite in campo, e le piccole superficie che non giustificano economicamente interventi meccanizzati
ecc. Da una stima che puo ritenersi abbastanza attendibile, la disponibilità di biomassa totale
recuperabile e sfruttabile in una filiera energetica si riduce del 50% circa. Si tratta comunque di una
notevole quantita che merita l’attenzione di importanti attività di ricerca e sviluppo.
COLTURA t/HA SUP.TOT. PALERMO (HA) TOT. BIO. PA. (t.)
VITE 2 14058 28116
OLIVO 2,5 26346 65865
AGRUMI 1,8 3886 6994,8
FRUTTIFERI 2 3565 7130
TOT. TONNELLATE 108105,8
POTENZIALE PRODUTTIVO DI BIOMASSA PROV. PA
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1.3 Analisi aziende agricole coinvolte nel progetto ECODENS
Le superficie delle quattro aziende agricole coinvolte nel progetto sono investite a colture legnose
agrarie, prevalentemente a oliveto e in misura minore a vigneto e frutteto misto (agrumeto e pescheto).
In particolare L’azienda Agricola Bacchi Francesco ha una superficie investita tutta ad oliveto di età
variabile, ma una buona parte occupata da piante secolari, per una superficie di circa 10 ettari;
esitazione simile si riscontra con riferimento alla azienda Provenzano Vito la cui superficie coltivata ad
oliveto è complessivamente di 11 ettari, di cui 9 ettari sono piante di venti anni di età e la rimanente
parte (2 ettari) sono piante secolari la cui varietà predominate è la Cerasuola. Le piante sono allevate a
vaso con un sesto quadrato di 7 x 7 ml. A indirizzo misto è invece l’azienda agricola La Franca Vito la cui
parte inserita nel progetto copre una superficie di oliveto di circa 1,5 ettari occupata da piante secolari
poste a una distanza 7,5 x 7,5 ml; la stessa azienda coltiva anche 10 ettari di vigneto di sua proprietà
impiantato circa 6 anni fa ed in cui sono presenti in parte uguale due varietà di vigneto: Nero D’avola e
Catarratto, allevati a spalliera con un sesto 2,30 x 1,2 ml.
Dai dati ricavati dal monitoraggio della potatura avvenuta nell’inverno 2012-2013 sono stati ottenuti i
seguenti valori medi di biomassa potenzialmente ottenibile dalle aziende in studio:
Tabella 9: Biomassa ottenibile per ha e per pianta da diverse colture arboree praticate nelle aziende partner.
COLTURE Residui potature
[t/ha]
Residui di potature
[Kg/p]
Vite 1,5-2,7 0,6
Olivo 1,7-2,4 8,7
Pesco 2,9 5,2
Agrumi 1,8 4,5
Valore medio 2.0 4.75
Per la determinazione della disponibilità per unita di superficie (in t*ha-1) si è effettuato un
campionamento dei quantitativi di residui a terra, a seguito della potatura manuale.
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In dettaglio la procedura prevedeva:
- Delimitazione dell’area del transetto
- Raccolta e disposizione dei residui su una barella
- Sollevamento e successiva pesatura della biomassa
Occorre evidenziare che i risultati ottenuti possono essere suscettibili di variazioni, seppur piuttosto
limitate e tali da non fare certamente variare i numeri sopra esposti. La variabilità nella produzione di
residui ottenibili dalle pratiche di potatura è legata a molteplici fattori, tra cui in particolare:
a) metodologia di allevamento, che per la vite può essere a spalliera, a pergola, a tendone ecc, per i
frutteti può essere a vaso o a parete;
b) tipo di varietà colturale in atto;
c) ubicazione e giacitura della coltura (collina, pianura ecc);
d) fertilità del terreno, agrotecnica, potatura verde, età delle piante ecc.
2. SISTEMI MECCANIZZATI UTILIZZABILI PER LA RACCOLTA DEI RESIDUI DI POTATURA
Per la valorizzazione energetica dei residui di potatura è necessario procedere ad un racolta
meccanizzata dei residui che consenta di abbatter i relativi costi, condizione essenziale al
raggiungimento della sostenibilità economica della iniziativa.
Le ramaglie sono materiali caratterizzati da bassissimo peso specifico e pertanto la loro raccolta e il loro
trasporto necessitano di una efficace azione finalizzata all’aumento del peso specifico e possibilmente
alla riduzione della umidità.
Attraverso la trinciatura per esempio è possibile ridurre sensibilmente il volume apparente delle
biomasse, facilitandone così la movimentazione e il trasporto; l’esperienza fatta in campo ha mostrato
che in pratica una tonnellata di trinciato fresco occupa circa 3 m3, contro i 10 m3 occupati dalla stessa
quantità di ramaglia non lavorata.
2.1 Sistemi di raccolta meccanizzata a confronto
Esistono nel mercato, e sono pure utilizzate già dalle aziende più lungimiranti, diversi sistemi per
raccogliere, pressare o cippare i residui di potatura dell’olivo o di altre specie. Un esempio di macchina
relativamente diffusa è riportata nelle seguenti figure 7 e 8 e riguarda la cosiddetta imballatrice
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prismatica, che è una macchina operatrice trainata da apposita trattrice ed azionata mediante presa di
forza.
Figure 7 e 8 – Imballatrice prismatica (tipo LERDA 900L9) e relativa balla prodotta.
Con queste macchine i residui di potatura vengono raccolti con un pick-up a tamburo rotante dotato di
denti elastici, che convoglia il prodotto all’interno del dispositivo di alimentazione, per essere poi
convogliato nella camera di compressione. La macchina funziona in continuo, senza interruzioni per lo
scarico a terra della balla, che avviene grazie alla spinta di quella formata in successione. Le balle
prodotte hanno dimensioni di 30x40x60 cm.
Altra soluzione offerta dal mercato è quella delle cosiddette rotoimballatrici costruite con rulli di acciaio
(indurito per mezzo di specifici trattamenti termici), in grado di imballare ramaglie e potature fino a 35
mm diametro e di completare un intero ciclo (carico del materiale, legatura e scarico della balla) in
meno di un minuto (vedi esempi riportati nelle figure 9 e 10).
Figure 9 e 10 – Rotoimballatrice (tipo CAEB Quickpower) e relativa balla prodotta.
La balla tipo, tipicamente di 60 cm di larghezza, 40 cm di diametro e della massa di circa 25/35 kg, viene
legata con una speciale rete estrusa in polipropilene. La massa della balla può essere variata
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aumentando o diminuendo la pressione all’interno della camera. Sono disponibili 3 modelli, studiati per
diverse larghezze interfilare; esistono macchine piu o meno piccole che possono addatarrsi alle diverse
disposizioni colturali. Dotazioni opzionali interessanti di tali macchine sono a) l’inversore della rotazione,
per sbloccare la macchina in caso di ingolfamento causato dal carico di materiali non idonei, b) le forche
di raccolta per evitare l’entrata di pietre e materiale estraneo all’interno della camera di pressatura, c)
una coppia di ruote posteriori, per regolare la macchina in altezza, d) l’accumulatore di balle che
permette la raccolta delle balle confezionate fino ad un massimo di 7, e) due spazzole, azionate da
motori idraulici orbitali da 160 cm³, per aumentare la larghezza di raccolta.
In alternativa alle imballatrici, che lasciano la pezzatura della materia prima pressoche invariata, la
raccolta della biomassa puo avvenire attraverso machina operatrice trinciatrice o trincia-caricatrice.
Eccellente esempio di macchina trincia-caricatrice è quella prodotta in Italia dalla Berti, sebbene
macchinario similare è pure prodotto da altre case produttrici. Si tratta di un’operatrice trainabile da
una trattrice di idonea potenza (vedi per esempio le figure 11 e 12).
Figure 11 e 12 – Trincia-caricatrice (tipo BERTI Picker C 160) e relativo “trinciato” prodotto.
La macchina è dotata di un rullo pick-up di raccolta con denti rigidi, disposti in modo da evitare
l’ingresso di sassi e terra. Il materiale che puo essere trattato (diametro max Ø 12 cm) viene sminuzzato
in una camera di trinciatura da un rotore (a mazze) di tipo forestale e, grazie al flusso d’aria generato
dalla sua rotazione, viene convogliato nel contenitore posteriore, che viene sollevato e ribaltato
idraulicamente per lo scarico, fino ad un’altezza max di circa 2,00 ml. Tali macchine operatrici possono
essere omologate per la circolazione su strada e pertanto possono essere utilizzate anche in regime di
conto-terzi, cosa molto interessante nel panorama locale siciliano caratterizzato da una notevole
“polverizzazione” delle aziende.
Una variante è costituita dalle trincia-caricatrici cosidette “a sacchi sganciabili”, le quali depositano il
materiale trinciato su appositi sacchi (vedi per esempio le figure 13 e 14).
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Figure 13 e 14 – Trincia-caricatrice a sacchi (tipo NOBILI TRP 145-RT) e relativi sacchi sganciabili.
In queste macchine il flusso d’aria generato dal mulino a martelli convoglia il prodotto all’interno di un
sacco parallelepipedo in tessuto traspirante (dimensioni 1,0x0,7x0,9 m). Il sacco è sospeso nella parte
posteriore del kit tramite 4 bretelle, che servono anche per la successiva movimentazione.
Nell’ambito del progetto ECODENS la macchina operatrice che risulta più adatta alle esigenze della
raccolta risulta la trincia-caricatrice con cassone di accumulo. Una tale macchina operatrice infatti è
dotata di sistemi che consentono la raccolta anche in terreni con presenza di sassi e/o di erbe infestanti,
come puo avvenire dopo la potatura delle specie arboree di interesse del progetto ECODENS. Inoltre, la
macchina è caratterizzata da produttività relativamente elevata e da costi di investimento relativamente
ridotti, che consentono di minimizzare i costi della raccolta di residui da coltivazioni arboree. Inoltre
puo essere opportunamente “customizzata”, anche in post-vendita con introduzione di accorgimenti
che possono essere utili ad adattare la macchina alle specifiche esigenze d’uso.
3. OTTIMIZZAZIONE E COLLAUDO IN CAMPO DELLA TRINCIA-CARICATRICE
Una volta scelta la macchina operatrice per la raccolta dei residui di potature, una Berti tipo Picker C/160, è
stato eseguito uno studio dettagliato delle potenzialità e delle migliori condizioni di utilizzo, con particolare
riferimento all’uso della griglia raffinatrice intercambiabile e dei principali parametri operativi della
operatrice.
La macchina consente la raccolta dei residui di potature in condizioni operative molto diverse e deve essere
portata da una trattrice preferibilmente compatta di tipo “frutteto” con potenza al motore non inferiore a
70-80 CV. In figura 15 è rappresentata la macchina durante le prime operazioni di collaudo eseguite presso
la Capofila (agro di Partinico).
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(a) (b)
Figura 15 – Trincia-caricatrice in fase di collaudo preliminare su terreno sassoso (a) e su limoneto (b).
La trincia caricatrice BERTI Picker C/160è una macchina operatrice con larghezza di lavoro di 1.60 ml e
dotata di apposito cassone ribaltabile che consente in genere un facile caricamento del trinciato nel
cassone di un trattore agricolo o similare; si veda per esempio la Fig.16 che mostra la macchina durante il
collaudo preliminare in fase di scaricamento a terra.
Figura 16 – Trincia-caricatrice in fase di scarico a terra con cassone pienamente ribaltato (hmax = 2 ml).
La regolazione dell’altezza di raccolta da terra fa riferimento alla posizione rispetto al corpo macchina di un
rullo d’appoggio e, in parte, di quella del timone idraulico. Il pick-up di raccolta ha denti rigidi, disposti in
modo da evitare l’ingresso di sassi e terra. Il materiale raccolto (diametro max Ø 12 cm) viene sminuzzato
in camera di trinciatura da un rotore di tipo forestale e, grazie al flusso d’aria generato dalla sua rotazione,
viene convogliato nel contenitore posteriore, che viene sollevato e ribaltato idraulicamente per lo scarico,
fino ad un’altezza max di almeno 2 ml.
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In ambito del progetto ECODENS, gli elementi presi in considerazione per la scelta di questa macchina sono
stati:
- la relativa semplicità nell’organizzare il cantiere di raccolta;
- la possibilità di potere utilizzare la macchina in terreni con forte presenza di scheletro;
- capacita di trinciare residui di potature di diametro superiore a 6 cm;
- la possibilità di montare una griglia di affinamento intercambiabile (vedi Fig.17), che consente
all’utente di regolare la pezzatura della biomassa trinciata, inserendo una griglia “customizzata” dallo
stesso utente.
- una altezza di scarico del cassone fino a un max. di 2 m, che consente un facile scarico del trinciato in
comuni cassoni di trattori e mezzi agricoli in dotazione delle aziende.
Figura 17 – Trincia-caricatrice: vista del particolare della griglia di raffinamento appositamente montata.
Al fine di monitorare le performance della macchina, ma anche al fine di individuare le condizioni ottimali di
funzionamento, sono state eseguite diverse prove in campo considerando diverse tipologie di residui di
potature e diverse condizioni di raccolta. Un appropriato studio è stato condotto in campo al fine di rilevare
la combinazione ottimale tra i principali parametri di lavoro, quali velocità di avanzamento della macchina e
quantità e caratteristiche (diametro medio e umidità) della biomassa da trinciare.
Gli studi messi in campo hanno permesso di rilevare in sintesi che, fissata la velocità di rotazione all’albero
motore di 540 giri/min, la velocità di avanzamento della trattrice deve essere inversamente proporzionale
alla quantità di biomassa a terra da raccogliere. L’uso di velocità di avanzamento basse consente una
migliore trinciatura della biomassa mentre l’uso di elevate velocità di avanzamento da luogo a risultati di
più scadente qualità ed irregolarità e soprattutto può dare luogo a fastidiosi intasamenti della macchina
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operatrice che possono essere risolti solo con la preliminare rimozione della griglia raffinatrice e successiva
pulizia manuale della camera di frantumazione. Fortunatamente il verificarsi di questi fenomeni non porta
ad alcun danno della macchina che è provvista di un idoneo sistema meccanico di controllo dello sforzo.
Lunghi tempi però possono essere necessari in una operazione di rimessa in esercizio con grave incidenza
sulla produttività oraria della macchina.
Per quanto concerne invece il comportamento al variare del diametro medio dei residui di potature, gli
studi sul campo hanno mostrato che al crescere del diametro dei residui aumenta la potenza richiesta
all’asse della macchina e la frequenza degli intasamenti, specie in presenza di griglia raffinatrice. In assenza
di griglia raffinatrice invece al crescere del diametro si assiste dapprima ad una crescita della produttività
oraria (sino a 4-5 cm) e poi invece ad una diminuzione della stessa con frequenza degli intasamenti che
tende a crescere esponenzialmente per diametri oltre i 7-8 cm, che pertanto devono ritenersi diametri
limite oltre i quali è sconsigliabile andare, specie in presenza di residui di uliveto.
Per quanto concerne infine l’influenza della umidità, gli studi eseguiti in campo hanno mostrato che
l’umidità dei residui è un parametro che condiziona fortemente la resa e la potenza impegnata. Per questo
ove possibile è assolutamente consigliabile procedere alla raccolta delle potature almeno 10-15 giorni dopo
la potatura stessa. L’uso di periodi più lunghi, generalmente mal tollerati dagli agricoltori che tendono a
ripulire i terreni nel più breve tempo possibile in modo da renderlo cosi pronto a successive lavorazioni e/o
trattamenti, può aumentare ulteriormente la resa e la qualità del trinciato.
Altro accorgimento da mettere a punto è l’altezza di lavoro della macchina da terra, tenuto conto che
all’aumentare della altezza dell’asse dell’operatrice aumentano le perdite di residui (non raccolti) ma di
contro otteniamo un trinciato che è di migliore qualità essendo inferiore la presenza di materiale spurio di
natura erbacea molto frequente nei campi del mezzogiorno d’Italia nel periodo invernale.
Un esame comparativo dei risultati sopra sinteticamente esposti, ottenuti al variare della particolare
essenza, quale uliveto, vigneto, limoneto e pescheto ha mostrato che i residui più impegnativi da trinciare
sono quelli di ulivo, seguono quelli di limoneto e quindi pescheto e vigneto. A differenza di quanto avviene
per i vigneti e i frutteti, la trinciatura dei residui di uliveti, specie se condotta subito a valle della potatura da
luogo ad un trinciato di bassa qualità in quanto molto ricco di fogliame che risulta mediamente più umido e
da luogo ad una materia prima più scadente per la pellettizzazione. In questi termini invece la qualità
migliore si ottiene coi residui di vigneto, quella relativa ai residui di frutteto (limoneto e/o pescheto) risulta
invece intermedia e in termini di umidità e in termini di qualità per il pellettato.
I risultati sopra sinteticamente esposti sono stati ottenuti attraverso la raccolta delle potature di ulivo,
frutteto e vigneto presso le aziende agricole partner, La Franca, Provenzano e Inghilleri.
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4. CARATTERISTICHE DEI RESIDUI DI POTATURA E LORO STOCCAGGIO
In accordo con la capofila del progetto si è ritenuto opportuno,valutare da un punto di vista prettamente
agronomico gli effetti che lo sfruttamento energetico dei residui di potatura, potrebbe avere all’interno
dell’agro-ecosistema. Cio al fine di fugare effetti dannosi nonchè al fine di evidenziare gli effetti benfici che
le colture possono avere specie in presenza di agenti patogeni.
4.1 Composizione chimica dei residui di potatura ed effetti della raccolta sulle colture
Il recupero della biomassa vegetale e quindi l’asportazione dei residui di potatura dal terreno, comporta in
linea di principio una sottrazione di elementi nutritivi macro e micro elementi alle colture. I residui di
potature da colture arboree legnose, quali appunto quelle di interesse del progetto ECODENS, sono
composti da macro-elementi quali acqua, lignina, cellulosa e contengono elementi indispensabili per la
crescita delle piante quali potassio (K), azoto (N), fosforo (P) calcio (Ca) e magnesio (Mg), che attraverso il
recupero vengono certamente sottratti dal loro reintegro all’interno dell’agroecosistema. Ovviamente
questi possono essere reintegrati attraverso le ordinarie concimazioni. Nella seguente tabella sono
riportati i valori medi di macro e microelementi riscontrati in sarmenti e ramaglie raccolti dalle aziende
partner a seguito di potatura.
Tabella 10: Contenuto medio di elementi nutritivi in sarmenti e ramaglie derivanti da potature.
Contenuto in elementi nutritivi in sarmenti/ramaglie
ELEMENTO MINIMO [Kg/ha] MASSIMO [kg/ha]
N 6,5 21
P 0,7 3,6
K 6,2 20
Ca 6 34
Mg 1,1 4,5
MINIMO [g/ha] MASSIMO [g/ha]
Fe 76 310
B 16 97
Mn 29 179
Zn 70 100
Cu 60 80
Co 0,2 0,4
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I dati in tabella evidenziano come ciascun componente può variare in un range significativo; tale
variabilità è legata specificamente oltre a caratteristiche varietali e pedologiche del terreno anche ad
alcune scelte agronomiche quali in primis la concimazione e l’irrigazione messe in atto.
La quantità di elementi contenuti nella biomassa, non è marginale ed è spesso sottovalutata e per alcune
tipologia di legna l’interramento in loco può permettere di risparmiare fino a un 50% delle dosi di
concime distribuito. A questo va aggiunto il grande contributo che fornisce la biomassa vegetale interrata
nel miglioramento della struttura del terreno e nel contribuire all’aumento, se pur graduale, della
sostanza organica, quest’ultima considerata indicatore principale della fertilità del terreno.
Di contro l’interramento continuato negli anni dello stesso tipo di biomassa con le stesse caratteristiche
fisiche e chimiche (elementi nutritivi, resine, CSC. rapporto C/N, micro-elementi ecc.) porta
inevitabilmente a un leggero ma graduale deperimento e semplificazione della fertilità complessiva
(biologica, chimico-fisica) del suolo, elemento questo, che rientra tra le cause compartecipanti del
fenomeno sempre più ricorrente della stanchezza del terreno.
Studi ulteriori sono stati condotti sugli effetti positivi che possono aversi nel recupero dei residui di
potatura in termini di riduzione dell’inoculo derivante da diverse specie patogene. Da alcuni rilievi fatti su
dei campioni di biomassa proveniente da vigneti e oliveti delle aziende agricole partecipanti al progetto è
emerso che l’incidenza di inoculo, misurata in termini di percentuale di superficie infetta è mediamente
del 15-20% Pertanto, il recupero e la valorizzazione di tale biomassa all’interno di una filiera per la
costituzione di un agri-pellet comporterebbe una riduzione del 15-20% dell’inoculo presente in campo
con riflessi positivi sia sulla qualità delle produzioni che nel bilancio dell’azienda.
4.2 Stoccaggio dei residui di potatura
Dopo il recupero dei residui di potatura, lo step successivo è stato quello di mettere a punto un giusto
metodo di stoccaggio che permetta di ridurre al minimo le perdite i rischi e nello stesso tempo contenere
i costi. Le biomasse, e di conseguenza i residui di potatura sono caratterizzati da una bassa
concentrazione energetica, infatti l’energia dei combustibili risiede nei legami chimici che tengono uniti
gli elementi che costituiscono la matrice organica. Gli elementi che generalmente conservano un’elevata
energia chimica nei legami che formano sono in particolare il carbonio (C) e l’idrogeno (H). Per questo
motivo la densità energetica di un combustibile è tanto più elevata quanto più la sua struttura organica e
di tipo idrocarburico (CnHm) (vedi tabella 11). Nelle biomasse solide la struttura organica è
prevalentemente di tipo lignocellulosico (composta da emicellulosa, cellulosa e lignina) e le strutture
organiche sono parzialmente ossidate per le presenza di legami con altri elementi, con l’ossigeno in
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particolare (presente in una percentuale mediamente compresa tra il 35 ed il 45 %). Ne consegue una
concentrazione energetica significativamente inferiore rispetto ai combustibili fossili tradizionali.
Tabella 11: Composizione elementare tipica del legno espressa in % del peso a secco
Questi dati dimostrano, contrariamente a quanto ci si attende intuitivamente, che il legno morbido ha
una maggiore densità energetica intrinseca, quindi il suo utilizzo si presta bene alla valorizzazione
energetica, contrariamente a quella che è convinzione diffusa e quasi consolidata secondo la quale la
durezza del legno è proporzionale alla “densità energetica”. Quindi in definitiva a parità di altre condizioni
i tralci di vite non presentano performance energetiche inferiori ai residui grossolani provenienti dalle
potature degli oliveti, e questi non presentano performance energetiche inferiori a quelli della “legna
grossa da ardere” che ovviamente è preferita alla ramaglia per i l fatto di presentare una maggiore
densità.
Come gia accennato, la trinciatura dei residui di potature (sarmenti e ramaglie) consente di ridurre
sensibilmente il volume apparente delle biomasse, facilitandone così la movimentazione e il trasporto;
nel caso in esame una tonnellata di trinciato fresco occupa circa 3 m3, mentre una pari quantità di
ramaglia occupa almeno 10 m3 (rapporto superiore a 3). A questi aspetti positivi si contrappongono però
alcuni svantaggi, quali per esempio quello legato alla notevole richiesta di potenza delle attuali
trinciatrici, inconveniente che si ripercuote inevitabilmente sia sul costo della macchina che sul consumo
di combustibile da parte di quest’ultima.
Tra i problemi relativi all’utilizzo del trinciato spicca poi quello legato alla sua scarsa conservabilità,
dovuto all’elevato tenore di umidità (spesso maggiore del 35–40%). Il legno umido infatti ha un substrato
eccellente per la crescita di vari microrganismi xylofagi, funghi e batteri da cui la pianta normalmente si
protegge grazie alla presenza della corteccia; in seguito alla sminuzzatura e la parziale distruzione della
corteccia si moltiplica la superficie ricettiva all’attacco dei microrganismi, e si innesca così un processo di
rapido deterioramento che è bene tenere sotto controllo evitando ad esempio al trinciato lunghi periodi
di stoccaggio prima di una sua definitiva utilizzazione.
Componente Legno morbido % Legno duro %
Idrogeno 6,3 6,4
Carbonio 52,9 50,8
Ossigeno 39,7 41,8
Azoto 0,1 0,4
Ceneri 1 0,9
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E’ stato rilevato che generalmente l’attacco microbiologico inizia già poche ore dopo che il legno è stato
trinciato e può andare avanti per diverse settimane, fino a che la temperatura generata dalla respirazione
microbica non diventa talmente elevata da inibire l’ulteriore proliferazione dei microrganismi che ne sono
la causa. Una delle conseguenze di questo processo di deterioramento è innanzitutto la perdita di una
notevole quantità di sostanza secca che, venendo divorata dai microrganismi, non è più disponibile per la
produzione di energia. Con uno stoccaggio prolungato in condizioni sfavorevoli (mancata aerazione) è
stato dimostrato che si può arrivare per i residui di potature di interesse per il progetto ECODENS (ulivo,
frutteto, vigneto) a riduzioni di massa superiori anche al 20-25% con evidente significativa influenza sulla
sostenibilità economica dell’iniziativa. Perdere infatti il 20% del materiale equivale ad un aumento dei
costi di altrettanto valore.
Nella figura 18 si intravede il vapore acqueo che fuoriesce dalla biomassa stoccata dovuta a processi
fermentativi innescati al suo interno dai batteri. Per la determinazione del giusto metodo di stoccaggio si
sono analizzati le diverse possibili soluzioni di stoccaggio, all’esterno, all’interno con o senza ventilazione,
variando anche l’altezza di accatastamento della biomassa. Dalle prove condotte è emerso con chiarezza
che il modo migliore per consentire uno stoccaggio a lungo termine, è quello di depositare la biomassa
all’interno di locali coperti e ben ventilati. Tutto ciò però molto spesso non è sufficiente ad evitare
l’innesco di processi fermentativi, infatti per stoccaggi medio lunghi la biomassa tende a compattarsi per
effetto del suo stesso peso facilitando lo sviluppo di batteri.
A tal proposito, diverse prove sono state condotte all’interno dello stabilimento in uso al progetto
ECODENS, movimentando settimanalmente la biomassa ed evitando accatastamenti di altezza superiore
a 2 m circa. Adottando questi due ulteriori accorgimenti è stato ridotto notevolmente il rischio di sviluppo
di funghi e batteri favorendo e riducendo i tempi di perdita di umida dalla biomassa con riflessi positivi
sull’intero processo di pellettizzazione.
Figura 18 – Stoccaggio in cumuli della biomassa trinciata, presso lo stabilimento SABER.
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Altri inconvenienti conseguenti all’attacco microbico sono a) l’enorme sviluppo di spore, che possono
indurre reazioni allergiche nei soggetti sensibili rendendo così il deposito del trinciato un ambiente di
lavoro particolarmente insalubre, nonché b) il rischio di autocombustione a cui può andare incontro la
catasta di trinciato per effetto delle alte temperature dovute all’azione dei microrganismi
I dati più significativi circa le modalità di stoccaggio, raccolti con la presente attività, sono stati trasmessi e
trasferiti agli interessati anche, attraverso campi dimostrativi e workshop. Il resoconto di un anno di
attività di ricerca e di verifica è stato presentato al convegno finale tenutosi il 30-01-2013, in cui oltre a
presentare i risultati sono state sottolineate le criticità riscontrate e i possibili sviluppi futuri del progetto.
5. ANALISI E STOCCAGGIO DELLE SANSE VERGINI PER LA PRODUZIONE DI AGRI-PELLET
L’altra componente fondamentale dell’agri-pellet ECODENS è la sansa vergine, materiale di scarso valore
economico che si ottiene come sotto prodotto della molitura delle olive. Anche in questo caso l’approccio
metodologico messo in campo ha seguito lo stesso schema utilizzato nell’affrontare le problematiche
legate alla valorizzazione dei residui di potatura considerando le dovute differenze.
5.1 Disponibilità di sanse vergini per la filiera energetica
In accordo con la capofila del progetto è stato preliminarmente eseguito uno studio dettagliato della
situazione olivicola italiana analizzando dettagliatamente la realtà siciliana in modo da avere un
panorama chiaro del settore a cui il progetto ECODENS intende rivolgersi . Il comparto olivicolo, infatti è
interlocutore privilegiato del progetto perché da esso potenzialmente possono arrivare entrambe le
materie prime per la composizione dell’agri-pellet che si vuole ottenere, cioè residui di potatura e sansa
vergine.
La coltivazione dell’olivo ha sempre avuto una notevole importanza economica e sociale nei Paesi del
Bacino del Mediterraneo. Spagna, Italia e Grecia sono i maggiori produttori mondiali di olive; la
produzione è stimata intorno ai 10 milioni di tonnellate, di cui 9 milioni utilizzati per l’estrazione dell’olio
di oliva. In Italia circa 2,5 milioni di tonnellate di olive sono destinate all’industria di estrazione dell’olio da
cui si ottengono circa 450-500 mila tonnellate di olio, pari a circa il 25 % dell’intera produzione mondiale
Entrando nel dettaglio della nostra regione è importante conoscere la produzione di olio di oliva in Italia e
soprattutto in Sicilia, in modo da avere un quadro più chiaro anche sulla produzione di sansa che viene
prodotta in ogni campagna olearia. Su una media produttiva nazionale di 6.5 -7 milioni di quintali, più del
90% viene prodotto nelle regioni del Sud Italia, Puglia, Calabria e Sicilia.
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La struttura dell’olivicoltura italiana negli ultimi anni risulta alquanto stabile. La superficie, riferita al 2009,
investita a olivo da olio è pari a circa 1,16 milioni di ettari. Anche la produzione, dopo il picco del 2004,
risulta pur nella variabilità legata agli attacchi patogeni e nell’alternanza produttiva delle diverse aree,
alquanto stabile e pari a 3,7 milioni di tonnellate (Fig. 19). Le olive da olio rappresentano mediamente il
98% della produzione complessiva dell’olivo, econseguono una resa di trasformazione in olio inferiore al
18%. L’analisi territoriale dei dati relativi al 2008 è molto interessante; si evidenzia infatti una forte
concentrazione della superficie olivicola nel Mezzogiorno (78,8% del totale nazionale) a fronte di una
discreta presenza nel Centro (18,8%) e di talune nicchie olivicole nel Nord (2,4%). Nel Mezzogiorno le
principali regioni olivicole sono Puglia, Calabria e Sicilia, rispettivamente con 377, 192 e 159 mila ettari
investiti a olivo.
La Sicilia è la terza regione italiana per superficie olivicola e per produzione di olio di oliva dopo Puglia e
Calabria, e rappresenta la prima realtà a livello nazionale per la produzione di olive da mensa.
Figura 19 – Trend della produzione di olio di oliva in Italia (migliaia di tonnellate).
In Sicilia il comparto olivicolo intercetta una superficie totale di 158.502 ettari con una produzione di
3.137.045 quintali, di cui 255.491 q.li da mensa e 2.673.485 q.li da olio (dati ISTAT, 2007). Analizzando
attentamente l’intero territorio regionale si rileva che la provincia con la più alta percentuale di superficie
destinata ad uliveti risulta quella di Messina (35.122 ha), seguita dalla provincia di Palermo (22.870 ha),
Agrigento (25.700 ha) e Trapani (19.000 ha) – si ved anche la Fig. 20.
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Figura 20 - Superficie di uliveti (ha) presente nelle province siciliane (dati ISTAT 2007)
Per quanto concerne invece le produzioni (Fig.21), la provincia siciliana in cui si concentrano le maggiori
produzioni olivicole è quella di Agrigento, con più di 60.000 tonnellate di olive, seguita dalle province di
Palermo, Catania e Trapani.
Figura 21 - Produzione olivicola (ton) nelle province siciliane (dati ISTAT 2007)
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L’attività agro-industriale di molitura delle olive è caratterizzata da forte stagionalità e, specie in Italia, da
una elevata “polverizzazione”. In altre parole, in Italia si hanno circa 5.000-6.000 frantoi con un numero
relativamente elevato di vecchi impianti “a pressione” in attività. Il settore è caratterizzato da piccoli
frantoi di tipo artigianali.
Con riferimento alla campagna olearia 2001/2002 risultavano attivi in Sicilia 653 frantoi divenuti 687 nella
campagna 2004/05 con un incremento valutabile intorno al 5%. Di questi, il maggior numero risulta
localizzato nelle province di Palermo (143) e di Messina (131). La capacità media di lavorazione delle
strutture di trasformazione mostra una notevole crescita tanto che nella campagna 2004/05 sono state
molite 404 mila tonnellate di olive contro le 216 mila della campagna 2001/02 con un incremento
percentuale pari all’87% dovuto alla crescita delle potenzialità produttive dei frantoi che utilizzano
tecniche di molitura ed impianti certamente più moderni ed automatizzati (impianti continui).
Una problematica tipica legata alla attività agro-industriale di molitura delle olive è quella connessa allo
smaltimento/trattamento dei reflui. Il marcato carattere inquinante dei reflui oleari unitamente agli
elevati costi da affrontare per il loro efficace smaltimento, in ottemperanza alle normative vigenti,
rendono la loro gestione particolarmente impegnativa. La problematica è sentita un po in tutto il bacino
del Mediterraneo, in particolare in Paesi come la Spagna, l’Italia, la Grecia, e la Tunisia.
Il processo di estrazione dell’olio dalle olive, sia in continuo sia in discontinuo, è riconducibile alle
seguenti fasi:
• pulitura e lavaggio delle olive,
• frangitura delle olive,
• gramolatura della pasta ed estrazione della fase oleosa dalla fase acquosa.
La produzione di olio nella tecnica cosiddetta a tre fasi, è caratterizzata dalla formazione di due principali
sottoprodotti: le acque di vegetazione e la sansa vergine. Questi sono i sottoprodotti che derivano da
impianti a pressione e da impianti centrifughi a tre fasi. Nel caso di impianti a due fasi invece, il
sottoprodotto è unico e si presenta come una fase liquida torbida, di colore marrone ad alto contenuto di
composti organici quali zuccheri, grassi e polifenoli.
La sansa vergine derivante da processi di molitura a 3 fasi è invece un composto solido con elevato
contenuto di umidità (45%-62%), costituito da bucce e semi di olive (nocciolino).
Di seguito vengono messi a confronto le caratteristiche della sansa ottenuta da un impianto a due e a tre
fasi.
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Tabella 12: Caratteristiche delle sanse ottenute con impianti di molitura continui a due e tre fasi
Dai dati riportati in tabella si evince come la sansa derivante da impianti a due fasi mal si presta allo
sfruttamento energetico in quanto troppo ricca di acqua; i costi di essiccazione sarebbero ad oggi cosi
elevati da non giustificare la sostenibilità economica di una tale iniziativa. Essa invece ha buone
caratteristiche per la produzione di biogas (buon rapporto C/N) specie se denocciolata.
L’attenzione del progetto ECODENS è pertanto esclusivamente concentrata alle sanse derivanti da
processi di molitura a 3 fasi, con particolare attenzione a quegli impianti il cui assetto garantisce valori di
umidità prossimi al limite inferiore (48% circa). Il processo a 3 fasi è comunque quello piu diffuso nei
frantoi in Sicilia e nella provincia di Palermo.
Dai dati disponibili e da quelli ricavati in particolare dai frantoi della zona del Partinicese, si rileva che
mediamente da 100 Kg di olive si ottengono circa 50 Kg di sansa (50%). Inoltre, in Sicilia allo stato attuale
la sansa vergine viene normalmente ceduta al più vicino “sansificio” per l'estrazione mediante solvente
(esano) dell'olio residuo dopo un'opportuna essiccazione. I sansifici recuperano dalla sansa circa il 3% di
olio residuo.
Con la recente crisi dell’olio di sansa e di conseguenza dei “sansifici”, al problema dello smaltimento delle
acque di vegetazione (in Sicilia in gran parte smaltite attraverso dispersione delle stesse in terreni agricoli
nel rispetto di coefficienti di dispersione, in kg di acque per mq, molto elevati) si affianca qullo dello
smaltimento delle sanse che evidentemente se non trovano una utilizzazione si trasformano
automaticamente in un rifiuto.
Lo sfruttamento energetico della sansa vergine, come componente per la produzione di un agri-pellet,
può divenire una valida alternativa, in grado, se ben gestito, di garantire pure una redditività ad un
settore che sente i segni di una diffusa crisi.
Caratteristiche della sansa umida da impianto centrifugo a due fasi
Parametri
Umidità (105) °C 62
pH 5,19
Azoto totale % 0,97
Fosforo totale % 0,35
Carbonio organico totale % 94,5
Rapporto C/N 46,6
Caratteristiche della sansa ottenuta da impianto centrifugo a tre fasi
Parametri
Umidità (105) °C 52
pH 5,2
Azoto totale % 0,96
Fosforo totale % 0,56
Carbonio organico totale % 60,45
Rapporto C/N 62,97
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Occorre ovviamente, come è obiettivo del progetto ECODENS, mettere in atto tutti quei provvedimenti
atti a limitare le problematiche connesse con lo stoccaggio ed il trattamento delle sanse finalizzato ad
ottenere un prodotto finito che sia un bio-combustibile dotato di quei requisiti minimi che ne rendano il
suo uso vantaggioso per la generica azienda agricola energivora.
5.2 Monitoraggio dello stoccaggio delle sanse vergini
L’utilizzazione delle sanse per la produzione di agri-pellet soffre naturalmente della forte stagionalità di
questa “materia prima” la cui produzione in Sicilia è limitata ad un arco temporale di 1-2 mesi al
massimo.
In linea di principio pertanto l’attività correlata di produzione di agri-pellet può essere vantaggiosamente
“diluita” durante tutto l’anno solo se riesce a stoccare opportunamente la biomassa in modo da poterla
utilizzare durante tutto l’anno solare. Un tale approccio consente in particolare di ridurre i costi di
investimento necessari al trattamento di un fissato quantitativo di sanse (quelle ottenibili per esempio da
un dato comprensorio) in quanto l’attività può essere svolta da un impianto di più piccole dimensioni, e
consente altresì di offrire opportunità di impiego, per il personale necessario alla conduzione
dell’impianto, continuativo.
Evidentemente tali vantaggi vanni commisurati con le problematiche ed i costi eventualmente connesse
con lo stoccaggio della sansa vergine, che per questo è sto in dettaglio monitorato.
L’attività di monitoraggio dello stoccaggio con particolare riferimento allo stato di conservazione della
sansa nel tempo, eseguita nell’ambito del progetto ECODENS, ha mostrato contrariamente a quanto
sommariamente riportato in letteratura che lo stoccaggio della sansa può essere fatto sia all’aperto sia
sotto apposito locale con tettoia. Ciò è quanto è stato sistematicamente osservato nello stoccaggio della
sansa vergine avvenuto in apposita vasca con fondo in c.a. e canali di raccolta perimetrali, presso lo
stabilimento della SABER Technology SRL sito a Partinico in c.da Paino del Re (vedi seguente fig.22).
I risultati ottenuti attraverso il monitoraggio continuo di sanse stoccate in cumuli all’aperto in assenza di
alcun trattamento (con calce o altro materiale) ne di preliminare spremitura, mostrano come le sanse
vergini non sia affatto accompagnato, in talune condizioni, da fenomeni fermentativi di tipo aerobico o
anaerobico, appare legato certamente l‟azione antifermentativa dei fenoli e dei polifenoli contenuti
nelle sanse vergini, nonchè all’olio residuo pure presente in percentuali efficaci seppur minime (3-5% al
massimo). L’attività svolta in ambito del progetto ECODENS ha permesso di rilevare elementi non ancora
presenti in letteratura.
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Figura 22 – Vasca di stoccaggio delle sanse presso lo stabilimento SABER di Partinico (PA).
In dettaglio, in entrambi i casi di stoccaggio “a cielo aperto” o sotto apposita tettoia, con altezza dei
cumuli non superiore a 2-3 ml, non si osservano significativi fenomeni di degrado ne di aumento instabile
della temperatura dovuto alla presenza di microrganismi e simili.
In dettaglio, in presenza di stoccaggio a cielo aperto, che è la forma certamente più facile “economica”, si
osserva una diminuzione progressiva della umidità degli strati più superficiali di sansa, sebbene il tenore
superficiale può aumentare a seguito di significativi eventi meteorici che ovviamente tendono a far
aumentare la umidità media del materiale stoccato. La determinazione quantitativa del contenuto in
umidità è stata effettuata misurando la differenza di peso del campione prima e dopo l‟essiccamento in
stufa a 103°C per 4 ore, in accordo con gli standard vigenti.
In particolare, considerando uno stoccaggio a cielo aperto a lungo termine, cioè sino ad un anno, termine
temporale a cui si è interessati al fine di superare la stagionalità ed avere cosi un funzionamento continuo
dell’impianto di co-densificazione, in apposita vasca di contenimento con fondo in c.a. e idonei canali
perimetrali di raccolta dell’eventuale percolato (vedi figura 9), il monitoraggio dei principali parametri di
controllo quali temperatura ed umidità della sansa vergine ha evidenziato quanto segue:
1) Nel periodo invernale, successivo alla molitura (novembre-aprile) l’umidità media della sansa stoccata si
mantiene pressoché costante sebbene, in assenza di precipitazioni atmosferiche si registra una lieve
riduzione nel tempo con gradienti dell’ordine di 0.25%/mese; tale riduzione dell’umidità media è
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essenzialmente dovuta alla riduzione della umidità superficiale, dovuta alla naturale evaporazione della
umidità di uno strato superficiale dei cumuli avente spessore medio di circa 25 cm, nonché al verificarsi
di un gradiente di umidità in direzione verticale accompagnata a limitati fenomeni di separazione della
fase liquida, cioè a limitata percolazione verso il fondo della vasca di contenimento. In direzione verticale
si osservano gradienti dell’ordine di 1%-2%/ml specie nel primo periodo di stoccaggio quando la
“percolazione” è più significativa oppure a ridosso di precipitazioni atmosferiche quando il fenomeno
della percolazione si ripete come naturale conseguenza dell’evento meteorico.
2) Nel periodo primaverile-estivo con l’aumento della temperatura ambientale e la diminuzione della
frequenza degli e della intensità degli eventi meteorici si assiste ad una fase di ulteriore naturale
essiccazione dello strato superficiale (spessore 25-30 cm) che tende a formare una sorta di “crosta”
caratterizzata dalla presenza di masse compatte e relativamente dure con umidità che tende a valori
stazionari intorno al 10-13%. Al di sotto di questa dura crosta la biomassa appare in ottimo stato di
conservazione (colore verde chiaro pressocché identico a quello della sansa e odore tipico di questa
anche dopo un anno di stoccaggio) con valori di umidità media che si stabilizzano intorno a valori di circa
il 45%. Nel tempo si assiste ad un naturale ispessimento della crosta con lieve ulteriore riduzione di
qualche punto percentuale della umidità all’interno.
3) Considerando invece la temperatura interna della massa stoccata, sempre con altezza massima intorno ai
2-3 ml, l’osservazione sperimentale ed il monitoraggio eseguito con misure di temperature all’interno
della biomassa, ha mostrato come la differenza di temperatura tra biomassa e ambiente circostante
risulta a regime (escludendo cioè rapidi transitori della temperatura ambiente dovute a variazioni
climatiche e microclimatiche) sempre piuttosto modesta e trascurabile (inferiore al grado), a conferma
che nella sansa cosi stoccata, a differenza di quanto accade invece nei residui di potature, non si
verificano significativi fenomeni di degrado, ossidazione, attacco batterico ecc.
Nella tabella seguente sono riportati i valori medi della umidità e della differenza di temperatura rilevati
durante un monitoraggio annuale che va dalla campagna olearia 2012 alla campagna olearia 2013, su cumuli
di sansa di altezza di circa 2 ml stoccati a cielo aperto presso lo stabilimento di SABER Technology SRL sito a
Partinico in c.da Piano del Re snc (sito che ha ospitato il III Campo dimostrativo del progetto):
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Sansa Vergine Strato superficiale ( 0÷25 cm ) Volume interno ( >25 cm )
Umidità [%] T [ °C ] Umidità [%] T [ °C ]
Nov – Dic 2012 55% 0,0 55% +1,2
Gen – Feb 2013 54% 0,0 54% +1,1
Mar – Apr 2013 50% 0,0 52% +0,5
Mag – Giu 2013 42% 0,0 48% -0,5
Lug – Ago 2013 12% 0,0 45% -1,0
Sett – Ott 2013 15% 0,0 45% -1,0
Tabella 13: Monitoraggio dei parametri fisici della sansa vergine stoccata “a cielo aperto”.
E’ possibile pertanto affermare che lo stoccaggio, anche annuale della sansa vergine non da luogo a
significativi fenomeni di degrado della stessa; lo stoccaggio all’aperto (a cielo aperto o meglio sotto tettoia
per limitare i volumi di percolato) è comunque preferibile a quello in locali chiusi in quanto l’aerazione dei
locali aperti non porta alla formazione di possibili muffe alla concentrazione di cattivi odori come può
invece avvenire in locali chiusi non ben aerati. Lo svantaggio sta nella formazione, a causa delle
precipitazioni naturali, di un maggiore volume di percolato. E’ consigliabile pertanto lo stoccaggio sotto
tettoia in modo da ridurre al minimo il percolato che in questo caso, proprio per i limitati volumi prodotti,
può essere smaltito come rifiuto speciale ovvero reintegrato alla sansa vergine prima della successiva
essiccazione.
Lo stoccaggio nelle condizioni sopra descritte (altezza massima dei cumuli di 3 ml, sotto tettoia) richiede in
genere la disponibilità di ampi spazi opportunamente attrezzati per lo stoccaggio nel rispetto delle più
elementari regole che possano impedire la dispersione di eventuali percolati.
Per l’impianto ECODENS che ha una capacita di trattamento di sanse vergini non inferiore a circa 550 kg di
sansa umida all’ora, se si pensa ad una attività continuativa di 7000 ore/anno, allora è necessario stoccare
almeno 3500 ton di sansa vergine all’anno, per un volume di circa 4500 mc, che per una altezza di 3 ml
porta ad una superficie necessaria di almeno 1500 mq di vasca di contenimento con fondo in c.a.
6. ORGANIZZAZIONE E PARTECIPAZIONE AI CAMPI DIMOSTRATIVI E WORKSHOP
Altra attività svolta dal sottoscritto è stata quella rivolta alla organizzazione e partecipazione ai campi
dimostrativi organizzati dalla Capofila con il supporto del partner Confagricoltura – Palermo, ed ai
Workshop organizzati dal partner Co.Ri.Bi.A.
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L’attività più consistente è stata svolta in particolare per la organizzazione del II Campo dimostrativo
svoltosi presso l’azienda La Franca Vito per quanto attiene alla presentazione dell’evento e dei risultati già
in possesso del progetto circa la raccolta meccanizzata della potatura, e presso l’azienda Inghilleri Antonino
(limoneto sottoposto a potatura estiva). In particolare il sottoscritto ha organizzato l’attività di potatura,
svolta dal personale delle aziende partner del progetto, e di sistemazione della stessa negli spazi interfilari
con idonea concentrazione tale da facilitare la operazione di raccolta meccanizzata eseguita attraverso la
macchina operatrice Berti C/160 in uso al progetto, portata da una idonea trattrice messa disposizione dalla
azienda agricola partner Inghilleri Antonino. La dimostrazione è stata preceduta da apposita presentazione
in formato PPT di una relazione che riportava sinteticamente le attività teoriche eseguite e l’ottimizzazione
eseguita in termini di processi e sulla macchina operatrice in particolare.
La dimostrazione sul campo ha mostrato chiaramente le ottime performance della macchina trincia-
caricatrice accessoriata della griglia raffinatrice appositamente messa a punto. E’ stata rilevata una
produttività oraria superiore ai 2 tonn/ora con un trinciato caratterizzato da una pezzatura piuttosto
uniforme e compatibile con le esigenze di una successiva triturazione in stabilimento, a monte di un
processo si essiccazione e successiva pelletizzazione.
7. CONCLUSIONI
L’attività svolta per il progetto ECODENS, in accordo con il contratto stipulato con il committente SABER
Technology SRL ha permesso il raggiungimento degli obiettivi posti è cioè in sintesi: a) la dimostrazione
della importanza di un processo di co-densificazione di residui di potature e sanse vergini, per il settore
agricolo locale, tenuto conto delle elevate quantità di queste biomasse disponibile nel territorio siciliano
come ampiamente mostrato dalla raccolta dei dati statistici; b) la messa a punto di un efficiente sistema di
raccolta meccanizzata che contribuisce significativamente alla messa punto di un processo di co-
densificazione caratterizzato da fattibilità tecnica e sostenibilità economica nell’ottica della filiera corta; c) ìl
controllo delle caratteristiche delle sanse vergini durante lo stoccaggio con individuazione delle
corrispondenti condizioni di fattibilità.
Palermo, li 31-01-2014 Firma
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