Itinerario Domus n. 166 FOSTER IN GRAN BRETAGNA / FOSTER IN BRITAIN
(eBook-Ita) Wallace David Foster - La vista da casa Thompson
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David Foster Wallace
La vista da Casa Thompson
Luogo: Bloomington, Illinois - Data: 11-13 settembre 2001 - Oggetto: ovvio -
Avvertenza: scritto molto in fretta e in uno stato che si può probabilmente definire
“di shock”
Sineddoche
Da buoni nativi del Midwest, gli abitanti di Bloomington non sono scostanti ma
tendono a essere tipi riservati. Gli estranei vi sorridono cordialmente, ma di regola
non ci si scambia quelle quattro chiacchiere fra sconosciuti nelle sale d’attesa o nelle
file alla cassa. Ma ora c’è un argomento di conversazione che scavalca ogni riserbo,
come se per qualche motivo fossimo stati tutti proprio lì davanti e avessimo assistito
allo stesso incidente stradale. Ad es., lo scambio che mi è capitato di sentire nella fila
alla cassa di Burwell’s (che sta alle tipiche stazioni-di-servizio-consupermarket come
un negozio di lingerie sta a una merceria: situato in posizione centrale fra le due vie
principali entrambe a senso unico, e con le sigarette al miglior prezzo di tutta
Bloomington, è praticamente un fiore all’occhiello della città) fra una signora con un
grembiule da cassiera degli alimentari Osco e un uomo che indossava un giacchetto
jeans con le maniche tagliate per ridurlo a una sorta di gilet fai-da-te: “I miei ragazzi
hanno pensato che era tutto un film alla Independence Dayfinché dopo un po’ hanno
cominciato a rendersi conto che c’era lo stesso film su tutti quanti i canali”. (La
signora non ha detto quanti anni avessero i suoi ragazzi).
Mercoledì
Tutti hanno esposto la bandiera. Case, negozi. È strano: non si vede mai nessuno che
tira fuori la bandiera, ma mercoledì mattina eccole tutte lì. Bandierone, bandierine,
bandiere delle normali dimensioni di una bandiera. Un sacco di case da queste parti
hanno quelle speciali aste inclinate accanto alla porta d’ingresso, di quelle che per
fissare il supporto servono quattro viti belle grosse. E migliaia di quelle bandierine-
su-bastoncini che si vedono in mano alla gente durante le parate: in certi giardini se
ne contano a decine, dappertutto, come se fossero spuntate durante la notte. Quelli
che vivono sulle strade di campagna attaccano le bandiere alle cassette della posta sul
bordo della carreggiata. Certe macchine le portano infilate nella griglia del radiatore o
attaccate all’antenna con lo scotch. Certi raffinati hanno veri e propri pali per
l’alzabandiera; le loro bandiere pendono a mezz’asta. Parecchie ville intorno a
Franklin Park o alla periferia est hanno enormi bandiere multipiano che scendono a
mo’ di gonfalone per tutta la facciata. Dove la gente si sia procurata delle bandiere
così grosse o come abbiano fatto a montarle lassù è un mistero assoluto.
Il mio vicino di casa, ragioniere in pensione e veterano di guerra che cura la propria
abitazione e il giardino con una scrupolosità a dir poco fenomenale, ha un’asta di
dimensioni regolamentari in metallo anodizzato fissata su cinquanta centimetri di
cemento rinforzato che nessuno degli altri vicini vede di buon occhio perché pensano
che attiri i fulmini. Il signore dice che c’è un galateo tutto speciale per ammainare la
bandiera a mezz’asta: bisogna prima tirarla su fino in cima e poi farla scendere fino a
metà strada. Altrimenti è un insulto, o qualcosa del genere. La sua bandiera è
perfettamente spiegata e garrisce con eleganza nel vento. È di gran lunga la bandiera
più grossa dela nostra strada. Si senteanche il rumore del vento nei campi di
granturco subito a sud; è lo stesso rumore che fa la risacca leggera sul bagnasciuga se
la ascoltate a due dune di distanza. La sagola della bandiera del signor N*** ha degli
elementi di metallo che sbatacchiano rumorosamente contro l’asta quando c’è vento,
un’altra cosa che non va tanto a genio agli altri vicini. Il vialetto di casa sua e quello
di casa mia camminano quasi fianco a fianco, e lui è qua fuori su una scala che lucida
l’asta con qualche tipo di unguento e una pelle di daino – non vi prendo per il culo – e
in tutta onestà è vero che l’asta della sua bandiera risplende come l’ira di Dio.
“Veramente una gran bella bandiera e una gran bella attrezzatura, signor N***”.“Ci
può scommettere. Con quello che mi è costata”.
“Ha visto tutte le altre bandiere in giro, stamattina?”
A sentire questo abbassa gli occhi e sorride, anche se un po’mestamente. “È uno
spettacolo, eh?” Il signor N*** non è quello ce uno chiamerebbe il vicino più
cordiale del mondo. In realtà lo conosco soltanto perché la sua parrocchia e la mia
sono nello stesso campionato di softball, nel quale lui presta servizio, con immensa
precisione, come addetto alle statistiche della sua squadra. Non siamo molto in
confidenza. Nonostante questo, è il primo a cui rivolgo la domanda: “Senta, signor
N***, metta che viene da lei uno sconosciuto o un giornalista della tv e le chiede qual
è esattamente lo scopo di tutte queste bandiere esposte ovunque dopo l’Orrore e tutto
quello che è stato ieri, lei cosa pensa che risponderebbe?” “Beh’” (dopo una breve
pausa in cui mi guarda con l’espressione con la quale in genere guarda il mio
giardino) “per dimostrare il nostro sostegno e la nostra solidarietà rispetto a quello
che sta succedendo, in quanto americani” (1). Il punto è che mercoledì [12 settembre]
da queste parti c’è una strana crescente tendenza a esporre la bandiera. Se lo scopo
della bandiera è dichiarare una presa di posizione, sembra che arrivati a una certa
densità di bandiere rappresenti più una presa di posizione il fatto di non esporne una.
Non è del tutto chiaro quale sarebbe questa presa di posizione. E se uno
semplicemente la bandiera non ce l’ha? Dove se le sono procurate, tutti quanti, queste
bandiere, specie quelle piccoline da attaccare alla cassetta delle lettere? Sono tutte
avanzate dal 4 luglio e la gente se le conserva come le decorazioni natalizie? Come
mai sono in grado di fare questa cosa? Anche una specie di casa mezza diroccata in
fondo alla strada che tutti credevano disabitata ha una bandiera piantata in terra
vicino al vialetto d’ingresso.
Nelle Pagine Gialle non c’è niente alla voce bandiere. Nasce una vera e propria
tensione interiore: nessuno ti passa davanti casa o ci si ferma di fronte con la
macchina dicendo: “Ehi, a casa tua non c’è la bandiera”, ma diventa sempre più facile
immaginare che sia questo che pensino. Scopro che nessun supermercato in città ha
bandiere in vendita. Il negozio di chincaglierie in centro ha soltanto roba di
Halloween. Solo pochi negozi sono aperti, ma anche quelli chiusi espongono una
qualche sorta di bandiera. È quasi surreale. La sede dell’Associazione Veterani
potrebbe essere una buona idea, ma non può aprire fino a mezzogiorno, se mai
dovesse aprire (ha un bar). La signora di Burwell’s nomina un certo orrendo
minimarket un po’ fuori città, verso la Statale 74, dove le pareva di ricordare di aver
visto qualche bandierina di plastica su uno scaffale in mezzo alle bandane e ai
berrettini del campionato di stock car, ma quando arrivo sul posto le bandierine sono
scomparse, portate via da mani ignote. La realtà è che non c’è modo di procurarsi una
bandiera in questa città. Rubarne una da un giardino è ovviamente fuori discussione.
Sono fermo in mezzo a un minimarket, spaventato all’idea di tornare a casa. Tutti
quei morti, e io che perdo la testa per una bandierina di plastica. Ma il peggio viene
solo quando la gente comincia a chiedermi se mi sento bene e devo stendermi e dire
che è una reazione all’antistaminico (il che in effetti ogni tanto capita)... Finché, in
uno dei tanti assurdi scherzi del destino e delle circostanze durante l’Orrore, è il
proprietario del minimarket in persona (un pachistano, fra parentesi) che mi offre un
po’ di conforto e una spalla e una sorta di strana comprensione silenziosa, e mi fa
passare sul retro e mettere a sedere nel magazzino in mezzo a ogni concepibile
stupido vizio e sfizio che l’America ha da offrire, perché mi riprenda, e che solo poco
più tardi, mentre beviamo da bicchieroni di polistirolo una strana qualità di tè con
tanto latte dentro, mi suggerisce, con delicatezza, cartoncino bristol e “pennarelli”, il
che spiega la mia attuale adorata bandiera fatta in casa
Vista dall’alto e al livello del suolo
Bloomington è una città di 65.000 abitanti nella parte centrale di uno stato
estremamente pianeggiante, perciò i punti salienti della città sono visibili da molto
lontano. Qui convergono tre grandi strade statali e parecchie linee ferroviarie. La città
è quasi esattamente a metà strada fra Chicago e St. Louis, e le sue origini la vedono
fra l’altro destinata a essere un grande deposito ferroviario. Ha una città gemella, più
piccola: Normal, che è costruita intorno a un’università e ha una storia leggermente
diversa. Le due città messe insieme fanno qualcosa come 110.000 abitanti. Come
accade di regola per le città del Midwest, l’unica caratteristica notevole di
Bloomington è la sua prosperità. È a prova di recessione. In parte ciò è dovuto alla
qualità dei terreni della contea, che sono fra i più fertili al mondo e talmente costosi
che non si riesce neanche a capire bene quanto costano. Ma Bloomington è anche
sede del quartier generale nazionale della State Farm, che è la grande divinità oscura
del mondo delle assicurazioni e in pratica si può dire possieda l’intera cittadina, e per
questo motivo la zona orientale di Bloomington è fatta tutta di palazzine in vetro
fumé, complessi residenziali costruiti a richiesta e una tangenziale a sei corsie
fiancheggiata da centri commerciali ed esercizi in franchising che sta uccidendo la
vecchia downtown, creando inoltre una spaccatura sempre più ampia fra le due classi
sociali e culturali di cui in sostanza si compone la città, simboleggiate con tanta
efficacia e verità rispettivamente dalle 4x4 di lusso e dai pick-up (2). Da queste parti
l’inverno è uno strazio senza fine, ma nei mesi caldi Bloomington assomiglia un po’ a
una località balneare: solo che qui il mare è il granturco che cresce steroidicamente e
si estende fino alla curva dell’orizzonte in tutte le direzioni. La cittadina stessa
durante l’estate si colora di un verde intenso: strade bagnate dall’ombra degli alberi,
esplosioni di giardini intorno alle case, parchi che da soli potrebbero coprire l’area di
un codice di avviamento postale, campi da golf che quasi non riesci a guardare a
occhio nudo, e file su file di larghi praticelli fertilizzati e senza erbacce tagliati
perfettamente a filo con il marciapiede usando speciali attrezzi da giardinaggio. (La
gente di qui ha una vera passione per la cura del proprio prato; i miei vicini tendono a
falciare l’erba con la stessa frequenza con cui si radono). A dirla tutta, può diventare
un po’ inquietante, specie nel pieno dell’estate quando non c’è nessuno in giro e tutto
quel verde sta semplicemente disteso sotto il sole a fermentare. Come molte cittadine
del Midwest, B-N è piena zeppa di chiese: quattro pagine intere sull’elenco del
telefono. Ci sono tutti, dagli Unitari ai Pentecostali con gli occhi accecati dallo
Spirito Santo.
C’è addirittura una chiesa per gli agnostici. Fatta eccezione per la chiesa – e,
immagino, per le normali parate, i fuochi d’artificio, più un paio di sagre del
granturco – non c’è molta vita comunitaria. Fondamentalmente, tutti hanno la loro
famiglia, i loro vicini e la loro piccola cerchia di amici stretti. Rispetto agli standard
newyorkesi, la gente sta abbastanza sulle sue (3). Gioca a golf, fa grigliate in giardino
e va al cinema a vedere i film di successo...
...E guarda la tv in dosi massicce, impressionanti. Non parlo solo dei ragazzini. Una
cosa ovvia ma comunque fondamentale da tenere in considerazione, rispetto a
Bloomington e all’Orrore, è che la realtà – e ogni effettiva percezione di un mondo
più ampio – è televisiva. Lo skyline di New York, ad esempio, qui è riconoscibile
come in qualunque altro posto, ma è riconoscibile grazie alla tv. Qui la tv ha anche un
ruolo sociale più forte che sulla East Coast, dove, nella mia esperienza, la gente quasi
costantemente esce di casa per andare a incontrare altra gente di persona in locali
pubblici. Da queste parti, invece, tendenzialmente non si fanno feste o cene in quanto
tali; quello che si fa a Bloomington è radunarsi tutti insieme a casa di qualcuno per
guardare qualche cosa. Qui, dunque, possedere una casa senza tv significa diventare
una sorta di presenza costante e indiscreta in casa altrui, un ospite perpetuo di gente
che non capisce perché mai abbiate scelto di non avere la tv ma che rispetta nella
maniera più assoluta la vostra esigenza di guardarla e vi fa vedere la sua nella stessa
maniera istintiva con cui si chinerebbe a darvi una mano se inciampaste per strada.
Questo vale specialmente per certi programmi imperdibili e per emergenze come il
pastrocchio delle elezioni del 2000 o l’Orrore di questa settimana. Dovete soltanto
chiamare uno dei vostri conoscenti e dire che non avete la tv. “Be’, cribbio, ragazzo
mio, vieni subito qui da noi”.
Martedì
Ci sono forse dieci giorni l’anno in cui qui il tempo è splendido, e oggi è uno di
quelli. È limpido, la temperatura è giusta, l’aria è meravigliosamente asciutta dopo
parecchie settimane di fila in cui sembrava di vivere sotto l’ascella di qualcuno.
Manca pochissimo al vero e proprio inizio del raccolto, e il polline è al suo massimo
splendore; una buona percentuale della città è strafatta di Benadryl, un medicinale
che come probabilmente sapete tende a dare alle prime ore del mattino un che di
trasognato e subacqueo. Quanto all’orologio, siamo un’ora indietro rispetto alla East
Coast. Alle 8, chiunque abbia un lavoro è già al lavoro, e più o meno tutti gli altri
sono a casa che bevono il caffè o si soffiano il naso o guardano “Today” o uno degli
altri programmi del mattino che vanno in onda (manco a dirlo) da New York.
Personalmente, io alle 8 ero sotto la doccia che cercavo di ascoltare un’autopsia dei
Bears sulla Wscr, una radio sportiva di Chicago. La mia parrocchia si trova nella
zona meridionale di Bloomington, vicino a dove abito. La maggior parte delle
persone che conosco abbastanza bene da chiedergli se posso andare da loro a
guardare la tv sono membri della mia parrocchia. Non è una di quelle parrocchie
protestanti in cui la gente non fa che sproloquiare su Gesù o parlare della Fine dei
Tempi, voglio dire che non è una comunità di fanatici o di sempliciotti, è abbastanza
seria, e i membri della comunità finiscono per conoscersi bene e stringere salde
amicizie. Per la maggior parte sono colletti blu o pensionati; c’è anche chi ha un
piccolo negozio. Parecchi sono veterani o hanno figli arruolati nell’esercito o che, per
lo più, fanno i riservisti da qualche parte, dato che per molte di queste famiglie quello
è l’unico modo per pagarsi il college. La casa in cui finisco per mettermi a sedere con
scaglie di shampoo secco nei capelli a guardare buona parte del vero e proprio Orrore
nel suo svolgersi appartiene alla signora Thompson (4), che è una delle
settantaquattrenni più in gamba del mondo ed è esattamente il tipo di persona che in
caso di emergenza anche se trovi il telefono occupato sai che puoi semplicemente
andare lì da lei.
La sua casa è a un paio di chilometri di distanza, di fronte a un parcheggio per
caravan. Le strade non sono affollate ma neanche deserte come diventeranno più
tardi. Quella della signora Thompson è una casetta immacolata a un solo piano che
sulla West Coast chiamerebbero bungalow ma che nella zona meridionale di
Bloomington chiamano semplicemente casa. La signora Thompson è un membro di
lunga data della parrocchia e una delle figure di spicco della comunità, e il suo
soggiorno tende a essere una sorta di punto d’incontro. È anche la mamma di uno dei
miei migliori amici di Bloomington, F***, che ha combattuto nelle truppe d’assalto
in Vietnam, è stato ferito al ginocchio e adesso lavora senza entusiasmo per una
impresa edile che allestisce negozi in franchising della Victoria’s Secret nei centri
commerciali. È nel bel mezzo di un divorzio (è una lunga storia) e vive con la signora
T. mentre il tribunale decide a chi assegnare la sua casa. F*** è uno di quei veri
veterani del fronte che non parla della guerra e non fa nemmeno parte
dell’Associazione Veterani, ma a volte si incupisce in maniera molto profonda e il
weekend del Giorno dei Caduti va sempre a campeggiare per conto suo senza dire
niente a nessuno, e si capisce che si porta dentro la testa roba bella pesante. Come
quasi tutti gli operai edili deve arrivare sul posto di lavoro molto presto, ed era già
uscito da un pezzo quando sono arrivato a casa della madre, cioè subito dopo che il
secondo aereo ha colpito la Torre Sud, quindi probabilmente alle 8.10 o giù di lì. A
ripensarci, il primo segno di shock è stato il fatto che non ho suonato il campanello
ma sono entrato direttamente, cosa che normalmente uno non farebbe mai. Grazie a
certe conoscenze di suo figlio nell’ambiente, la signora T. ha un televisore Philips da
42 pollici a schermo piatto, su cui appare per un secondo Dan Rather in maniche di
camicia con i capelli leggermente arruffati. (Sembra che la stragrande maggioranza
degli abitanti di Bloomington preferisca i telegiornali della Cbs; il perché non mi è
chiaro). Un buon numero di altre signore della parrocchia sono già qui, ma non so se
ho salutato qualcuno perché mi ricordo che quando sono entrato tutti stavano
fissando, paralizzati dall’orrore, uno dei pochi spezzoni di filmato che poi la Cbs non
ha più ritrasmesso, cioè una ripresa da lontano, in grandangolo, della Torre Nord e
della griglia d’acciaio sventrata dei suoi piani più alti in fiamme, e di certi puntini che
si staccavano dal palazzo e scendevano lungo lo schermo in mezzo al fumo, che poi
quella tipica zoomata a scatti rivelava essere uomini e donne veri, con indosso
cappotti e cravatte e gonne, e scarpe che gli cadevano dai piedi mentre loro cadevano,
alcuni che si aggrappavano da cornicioni o travi e poi si lasciavano andare,
ribaltandosi o contorcendosi mentre cadevano, e una coppia che sembrava quasi
(impossibile da verificare) abbracciarsi mentre veniva giù per tutti quei piani e si
riduceva di nuovo a un paio di puntini quando la telecamera all’improvviso tornava al
campo lungo – non ho idea di quanto durasse il filmato – dopodiché mi è sembrato
che la bocca di Rather si muovesse per un attimo prima che ne uscisse un qualche
suono, e tutte le persone nella stanza si sono appoggiate allo schienale delle poltrone
e si sono guardate con espressioni che sembravano al tempo stesso infantili e
orribilmente vecchie. Mi pare che una o due persone abbiano emesso qualche suono.
Non è chiaro cos’altro c’è da dire. Sembra grottesco raccontare di essere rimasti
traumatizzati da un filmato quando le persone dentro il filmato stavano morendo.
C’era qualcosa, in quelle scarpe che cadevano giù pure loro, che rendeva il tutto
anche peggiore. Penso che le signore più anziane l’abbiano presa meglio di me. Poi la
tremenda bellezza del replay del filmato del secondo aereo che colpisce la torre, con
il blu, l’argento, il nero e quello spettacolare arancione, mentre altri puntini mobili
cadevano giù. La signora Thompson era sulla sua sedia, una sedia a dondolo con i
cuscini a fiori. Nel soggiorno ci sono altre due sedie e un enorme divano di velluto
che io e F*** abbiamo dovuto staccare la porta dai cardini per far entrare in casa.
Tutti i posti a sedere erano occupati, il che significa che c’erano altre cinque o sei
persone, per lo più donne, tutte oltre i cinquanta, e poi altre voci in cucina, una delle
quali era molto sconvolta e apparteneva alla signora R***, psichicamente labile, che
io non conosco molto bene ma si dice sia stata un tempo una bellezza di fama locale.
Molte di queste persone sono vicini della signora T., alcuni ancora in vestaglia, e in
diversi momenti qualcuno esce per tornare a casa e fare una telefonata e poi torna, o
se ne va e basta (una signora più giovane è andata a portare via i bambini da scuola),
altri arrivano. A un certo punto, più o meno mentre la Torre Sud stava crollando
all’apparenza così perfettamente su se stessa – mi ricordo di aver pensato che stava
cadendo un po’ con il movimento di una signora elegante che sviene, ma è stato
Duane, il figlio della signora Bracero, un tipo di norma fondamentalmente inutile e
fastidioso, a notare che quello a cui assomigliava davvero era se uno prendeva la
ripresa di un decollo della Nasa e la faceva scorrere all’indietro, che adesso dopo aver
rivisto la scena molte volte sembra effettivamente un paragone perfetto – c’erano
almeno dieci persone in casa. In soggiorno non c’era molta luce perché d’estate tutti
tengono le tende tirate (5). È normale non ricordarsi molto bene le cose, o comunque
l’ordine delle cose, dopo soltanto un paio di giorni? So che a un certo punto, per un
po’, si è sentito il rumore di qualcuno che falciava il prato, cosa che sembrava
completamente assurda, ma non mi ricordo se qualcuno ha detto qualcosa. A tratti
sembra che nessuno parli e a tratti sembra che parlino tutti insieme. C’è anche un
sacco di attività telefonica. Nessuna di queste signore ha un cellulare (Duane ha un
cercapersone, a che gli serva non è ben chiaro), quindi c’è solo il vecchio apparecchio
della signora T. montato sulla parete della cucina. Non tutte le telefonate hanno un
senso razionale. Sembra che un effetto collaterale dell’Orrore sia un irresistibile
desiderio di chiamare tutte le persone a cui si vuole bene. Fin dal primo momento è
stato appurato che era impossibile prendere la linea con New York; il prefisso 212
produce solo un bizzarro suono stridulo. La gente continua a chiedere il permesso alla
signora T. finché lei non gli dice di piantarla e per amor del cielo usare il telefono
punto e basta. Alcune signore contattano i mariti, che a quanto pare sono tutti
radunati intorno a una tv o a una radio sui loro posti di lavoro; per un po’ i capi sono
troppo sconvolti per pensare di mandare la gente a casa. La signora T. ha messo a
fare il caffè, ma un altro indice della Crisi è che se uno ne vuole deve andarselo a
prendere – in genere invece il caffè praticamente salta fuori dal nulla. Dalla porta
della cucina mi ricordo di aver visto cadere la seconda torre e di non aver capito bene
se era un replay del crollo della prima. Un’altra conseguenza della febbre da fieno è
che non si può mai essere totalmente sicuri se una persona sta piangendo o meno, ma
durante le due ore di Orrore in diretta, con servizi extra sull’aereo caduto in
Pennsylvania e su Bush scortato in fretta e furia in un bunker segreto
dell’Aeronautica e un’autobomba esplosa a Chicago (quest’ultima notizia poi
smentita), praticamente tutti piangiamo o non piangiamo a seconda delle nostre
capacità in tal senso. La signora Thompson parla quasi meno di tutti. Non mi pare che
pianga, ma non si dondola sulla sedia come suo solito. La morte del primo marito è
stata improvvisa e orribile, e so che a volte durante la guerra F*** era sul campo e lei
non ne aveva notizie per settimane di fila e non aveva neppure idea se fosse vivo o
morto. Il principale contributo di Duane Bracero è di continuare a ripetere quanto
sembra un film. Duane, che ha almeno venticinque anni ma vive ancora coi suoi
mentre a quanto dice studia per diventare saldatore, è uno di quelli che portano
sempre magliette mimetiche e anfibi da paracadutista ma che non si sognerebbero
neanche lontanamente di arruolarsi per davvero (come, per essere onesti, non me lo
sognerei io). E non si è nemmeno tolto il berretto entrando in casa della signora
Thompson. È sempre importante avere almeno una persona da odiare.
Si scopre che il motivo del tracollo emotivo della povera vecchia signora R*** tutta
tendini, in cucina, è che una nipote o qualcuno di simile sta facendo una qualche
specie di stage al Time-Life Building, o come cavolo si chiama, del quale la signora
R*** e chiunque sia riuscita a chiamare finora sanno solo che è un grattacielo di
altezza vertiginosa da qualche parte di New York, ed è fuori di sé dall’angoscia, e
altre due signore sono state lì con lei tutto il tempo tenendole entrambe le mani e
cercando di decidere se era il caso o meno di chiamare il dottore (la signora R*** ha
certi precedenti), e così finisco per fare l’unica cosa utile in tutta la giornata: spiegare
alla signora R*** dove sta midtown. A questo punto emerge che nessuna delle
persone con cui sto guardando l’Orrore – neppure quelle poche che sono andate a
vedere Cats durante una qualche sorta di viaggio di gruppo con la parrocchia nel
1991 – hanno anche solo la più pallida idea della topografia di Manhattan e non
sanno, per esempio, quanto sono a sud il Financial District e la Statua della Libertà;
bisogna mostrarglielo facendo segno col dito oltre l’acqua di fronte allo skyline che
tutte (grazie alla tv) conoscono tanto bene. Questo è l’inizio del vago ma progressivo
senso di alienazione da queste brave persone che mi va crescendo dentro durante la
fase dell’Orrore in cui la gente scappa dalle macerie e dal polverone. Queste signore
non sono stupide né ignoranti. La signora Thompson sa leggere sia il latino sia lo
spagnolo, e la signora Voigtlander è una specialista in disturbi del linguaggio con
tanto di diploma che una volta mi ha spiegato come lo strano rumore di deglutizione
che rende tanto difficile ascoltare attentamente Tom Brokaw di Nbc News sia un vero
e proprio difetto di pronuncia chiamato “l glottidale”. Era stata una delle signore che
facevano compagnia alla signora R*** in cucina a notare che quella settimana cadeva
l’anniversario degli accordi di Camp David, cosa di cui ero completamente
all’oscuro. Ma il fatto è che le signore di Bloomington sono, o cominciano a
sembrare innocenti. Nella stanza c’è quella che colpirebbe molti americani come una
inconsueta assenza di cinismo. A nessuna delle presenti viene in mente neppure una
volta di notare che forse è un po’ bizzarro che i presentatori di tutti e tre i telegiornali
siano in maniche di camicia, o che i capelli arruffati di Rather non siano un fatto al
100% casuale, o che certe sequenze spettacolari magari vengano ritrasmesse
ininterrottamente nell’eventualità che alcuni telespettatori si siano appena sintonizzati
e non le abbiano ancora viste. Nessun’altra pare accorgersi che gli strani occhietti
spenti di Bush sembrano avvicinarsi costantemente l’uno all’altro durante tutto il
discorso registrato, né che alcune delle sue frasi suonano identiche al limite del plagio
a quelle pronunciate un paio di anni addietro da Bruce Willis (nella parte di uno
svitato estremista di destra, notate bene) in Attacco al potere. Né che almeno in parte
lo shock delle ultime due ore deriva dalla precisione con cui varie inquadrature e
scene hanno rispecchiato le trame di qualunque cosa dai tre episodi di Die Hard a
Air Force One a Debito d’onore di Tom Clancy. Nessuna è abbastanza sarcastica e
sofisticata da presentare l’ovvio, perverso reclamo postmoderno: Tutto Questo
L’Abbiamo Già Visto. Al contrario, l’unica cosa che fanno è stare lì sedute tutte
insieme e sentirsi malissimo, e pregare. Nessuna fa nulla di nauseante tipo cercare di
farci pregare tutti insieme o pregare a voce alta o cose simili, ma cosa stanno facendo
si capisce comunque. Non fraintendetemi: questo è fondamentalmente un bene. Vi fa
pensare e fare cose che probabilmente non fareste se steste guardando la tv da soli,
come per dirne una mettervi a pregare, in silenzio, con fervore, che su Bush vi siete
sbagliati, che avete un giudizio distorto su di lui e che in realtà è una persona molto
più intelligente e coerente di quello che credete, non solo uno strano golem
senz’anima, un intreccio di interessi vestito in giacca e cravatta, ma uno statista
coraggioso e onesto e... ed è un bene, è una cosa buona pregare in questo modo. È
soltanto che ci si sente un po’ soli a doverlo fare. Può essere difficile stare in mezzo
agli innocenti. Non sto assolutamente sostenendo che tutti gli abitanti di Bloomington
siano così (F***, il figlio della signora T., non lo è, sebbene sia una persona
straordinaria). Sto cercando di spiegare che parte dell’orrore dell’Orrore era sapere
che qualunque fosse l’America che gli uomini su quegli aerei odiavano tanto, era
molto più la mia – e quella di F***, e del povero vecchio odiosissimo Duane – che
quella di queste signore.
Note
1. Segue una selezione di ulteriori risposte ottenute in diversi momenti di quella
giornata durante la caccia alla bandiera e ai pennarelli, quando le circostanze
permettevano di rivolgere la domanda senza sembrare saccenti o folli. “Per far vedere
che siamo americani e non chineremo la testa di fronte a nessuno”. “La bandiera è
uno pseudo-archetipo, un semeion riflessivo creato allo scopo di prevenire e negare la
funzione critica” (studente di dottorato).
“Per orgoglio”.
“In pratica simboleggiano l’unità e il fatto che siamo tutti uniti in difesa delle vittime
di questa guerra. Che stavolta sono venuti a rompere i coglioni alla gente sbagliata”.
2. Contrariamente all’impressione di alcuni, l’accento dei nativi non è meridionale
ma semplicemente rurale, laddove i trapiantati dell’industria dei servizi non
possiedono alcun accento (per dirla con la signora Bracero, gli impiegati della State
Farm “parlano come quelli della Tv”).
3. L’espressione locale per “chiacchierare” è andare a trovare.
4. Alcuni nomi sono stati cambiati e alcuni dettagli sono stati modificati [n.d.r.].
5. Detto per inciso: quello della signora T. è anche un perfetto prototipo di soggiorno
proletario di Bloomington: finestre coi doppi vetri, tende con le mantovane comprate
per corrispondenza, orologio con sfondo di anatre selvatiche proveniente dallo stesso
catalogo, portariviste con «Christian Science Monitor» e il «Reader’s Digest»,
scaffali alle pareti usati per statuine da collezione e foto incorniciate di parenti con le
famiglie, due piccoli ricami a uncinetto, di buon gusto, con i “Desiderata” e la
Preghiera di San Francesco, coprischienali su ogni sedia e moquette di un colore
neutro così folta che non vi vedete i piedi (gli ospiti si tolgono le scarpe sulla porta: è
il minimo della cortesia).