E-book campione Liber Liber · mo della sua intensa effervescenza, quando Saulo vi na-sceva agli...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: San PaoloAUTORE: Buonaiuti, ErnestoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: San Paolo / E. Buonaiuti. - Roma : A. F.Formiggini, 1925. - 79 p., [1] c. di tav. : ritr. ;17 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 17 ottobre 2017

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard

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TRATTO DA: San Paolo / E. Buonaiuti. - Roma : A. F.Formiggini, 1925. - 79 p., [1] c. di tav. : ritr. ;17 cm.

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2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:REL006040 RELIGIONE / Biografia Biblica / Nuovo Te-stamento

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4I.......................................................................................7II....................................................................................26III..................................................................................58IV...................................................................................73BIBLIOGRAFIA..........................................................85

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E. BUONAIUTI

San Paolo

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E. BUONAIUTI

San Paolo

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...Paolo, che ha dato un ritmoalla terra e al mare.

ISIDORO PELUSIOTA

I.

«Vi faccio (nuovamente) noto, o fratelli, il lieto an-nuncio che vi evangelizzai, che voi riceveste, in cui puresiete stati saldi, in virtù del quale siete salvati, se l'ade-sione alla parola evangelizzatavi è decisa, e a meno chenon abbiate creduto a cuor leggero. Vi ho innanzi tuttoinfatti comunicato quel che a mia volta ricevetti: checioè Cristo morì a causa dei nostri peccati, secondo leScritture, e che fu sepolto e che è poi risorto il terzo dì,sempre secondo le Scritture. E che apparve a Cefa, e poiai dodici; quindi apparve a più che cinquanta fratelli,contemporaneamente, dei quali molti sopravvivono finoad oggi, alcuni si addormentarono. Quindi apparve a

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...Paolo, che ha dato un ritmoalla terra e al mare.

ISIDORO PELUSIOTA

I.

«Vi faccio (nuovamente) noto, o fratelli, il lieto an-nuncio che vi evangelizzai, che voi riceveste, in cui puresiete stati saldi, in virtù del quale siete salvati, se l'ade-sione alla parola evangelizzatavi è decisa, e a meno chenon abbiate creduto a cuor leggero. Vi ho innanzi tuttoinfatti comunicato quel che a mia volta ricevetti: checioè Cristo morì a causa dei nostri peccati, secondo leScritture, e che fu sepolto e che è poi risorto il terzo dì,sempre secondo le Scritture. E che apparve a Cefa, e poiai dodici; quindi apparve a più che cinquanta fratelli,contemporaneamente, dei quali molti sopravvivono finoad oggi, alcuni si addormentarono. Quindi apparve a

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Giacomo e poi a tutti gli apostoli. All'ultimo posto,come ad un aborto, apparve anche a me.»

Così Paolo di Tarso, scrivendo da Efeso ai suoi fedelidi Corinto verso l'autunno del 55 e saldando strettamen-te la fede nella sopravvivenza del Cristo alla certezzadella immortalità dei credenti in Lui, adduceva a provadell'avvenuta risurrezione del Signore, fra le altre,l'apparizione sua a lui stesso, nel dì della sua improvvisapalingenesi spirituale. E successivamente, tessendo adammaestramento e a rimbrotto delle volubili comunitàdella Galazia l'apologia del proprio messaggio antilega-listico, aveva di nuovo occasione di accennare discreta-mente all'avvenimento straordinario che aveva di colpocapovolto le sue aspirazioni e i suoi ideali: «vi assicuro,fratelli: il vangelo da me evangelizzato non è a modoumano. Poichè non l'ho ricevuto nè imparato da uomo,bensì attraverso una rivelazione di Gesù Cristo. Poichèvoi avete udito della mia condotta allorchè ero nel giu-daismo, come oltre ogni misura perseguitavo la chiesadi Dio e la sovvertivo, avanzando nel giudaismo moltimiei coetanei della mia razza, costituendomi paladinoben più zelante di loro delle tradizioni avite. Ma quandosi compiacque Colui che mi aveva messo a parte fin dalgrembo della madre mia e destinato alla chiamata in vir-tù della sua grazia, di rivelare in me il Figlio suo, ondene sparga l'annuncio fra i gentili, immediatamente nonmi rivolsi per consiglio a carne o a sangue.»

Qualche anno più tardi, infine, ricapitolando in quellalettera ai cari amici di Filippi che ha gli accenti di un te-

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Giacomo e poi a tutti gli apostoli. All'ultimo posto,come ad un aborto, apparve anche a me.»

Così Paolo di Tarso, scrivendo da Efeso ai suoi fedelidi Corinto verso l'autunno del 55 e saldando strettamen-te la fede nella sopravvivenza del Cristo alla certezzadella immortalità dei credenti in Lui, adduceva a provadell'avvenuta risurrezione del Signore, fra le altre,l'apparizione sua a lui stesso, nel dì della sua improvvisapalingenesi spirituale. E successivamente, tessendo adammaestramento e a rimbrotto delle volubili comunitàdella Galazia l'apologia del proprio messaggio antilega-listico, aveva di nuovo occasione di accennare discreta-mente all'avvenimento straordinario che aveva di colpocapovolto le sue aspirazioni e i suoi ideali: «vi assicuro,fratelli: il vangelo da me evangelizzato non è a modoumano. Poichè non l'ho ricevuto nè imparato da uomo,bensì attraverso una rivelazione di Gesù Cristo. Poichèvoi avete udito della mia condotta allorchè ero nel giu-daismo, come oltre ogni misura perseguitavo la chiesadi Dio e la sovvertivo, avanzando nel giudaismo moltimiei coetanei della mia razza, costituendomi paladinoben più zelante di loro delle tradizioni avite. Ma quandosi compiacque Colui che mi aveva messo a parte fin dalgrembo della madre mia e destinato alla chiamata in vir-tù della sua grazia, di rivelare in me il Figlio suo, ondene sparga l'annuncio fra i gentili, immediatamente nonmi rivolsi per consiglio a carne o a sangue.»

Qualche anno più tardi, infine, ricapitolando in quellalettera ai cari amici di Filippi che ha gli accenti di un te-

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stamento, il programma della sua laboriosa esistenza,Paolo definiva la sua conversione come una presa dipossesso della sua anima da parte del Cristo (I. 12).

Il redattore degli Atti ha dato con particolari infinita-mente più drammatici la versione stilizzata dell'evento,destinato a ripercussioni così imponenti nello sviluppodella primitiva propaganda cristiana. Per ben tre volteegli ha modo di inserire nel suo testo il racconto unifor-me della conversione. Sulla via di Damasco, in procintodi perseguire e reprimere fin là, sotto l'investitura del Si-nedrio, le ramificazioni della nascente chiesa, Paolo èabbattuto da un improvviso sfolgorare di luce dal cielo.Una voce lo ammonisce, invocando per l'occasione unvecchio adagio, non ignoto alla letteratura greca: «arduacosa è dar di calci contro il pungolo», e lo dirige a unpersonaggio eminente della comunità damascena, ilquale dovrà iniziare ai riti della nuova fede l'eccezionaleadepto, banditore predestinato del lieto annuncio almondo greco-romano (Atti, IX. 3-19; XXII. 6-16;XXIII. 12-19).

Ogni insigne conversione religiosa è la manifestazio-ne prodigiosa di una virtù divina, i cui metodi di proce-dimento e di azione sfuggono inesorabilmente ad ognicontrollo empirico e ad ogni segnalazione sensibile.Come l'analisi chimica della cellula vivente non è laspiegazione adeguata del mistero sorprendente che è inogni più tenue e sottile espressione di semovenza, cosìl'esplorazione documentaria, diretta a segnalare le tappesuccessive e i coefficienti esteriori di quelle radicali me-

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stamento, il programma della sua laboriosa esistenza,Paolo definiva la sua conversione come una presa dipossesso della sua anima da parte del Cristo (I. 12).

Il redattore degli Atti ha dato con particolari infinita-mente più drammatici la versione stilizzata dell'evento,destinato a ripercussioni così imponenti nello sviluppodella primitiva propaganda cristiana. Per ben tre volteegli ha modo di inserire nel suo testo il racconto unifor-me della conversione. Sulla via di Damasco, in procintodi perseguire e reprimere fin là, sotto l'investitura del Si-nedrio, le ramificazioni della nascente chiesa, Paolo èabbattuto da un improvviso sfolgorare di luce dal cielo.Una voce lo ammonisce, invocando per l'occasione unvecchio adagio, non ignoto alla letteratura greca: «arduacosa è dar di calci contro il pungolo», e lo dirige a unpersonaggio eminente della comunità damascena, ilquale dovrà iniziare ai riti della nuova fede l'eccezionaleadepto, banditore predestinato del lieto annuncio almondo greco-romano (Atti, IX. 3-19; XXII. 6-16;XXIII. 12-19).

Ogni insigne conversione religiosa è la manifestazio-ne prodigiosa di una virtù divina, i cui metodi di proce-dimento e di azione sfuggono inesorabilmente ad ognicontrollo empirico e ad ogni segnalazione sensibile.Come l'analisi chimica della cellula vivente non è laspiegazione adeguata del mistero sorprendente che è inogni più tenue e sottile espressione di semovenza, cosìl'esplorazione documentaria, diretta a segnalare le tappesuccessive e i coefficienti esteriori di quelle radicali me-

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tamorfosi psichiche che sono provocate dal tocco inaf-ferrabile della grazia, non riuscirà mai a strappare aigrandi convertiti il segreto della loro gestazione interio-re. L'analisi critica deve limitarsi a ricostruire gli ele-menti, e a tratteggiare la configurazione ideale delle dueposizioni, attraverso le quali si è collocato l'attimodrammatico della loro palingenesi.

La fede e l'insegnamento cristiani di S. Paolo ci sonoesaurientemente noti attraverso le pagine così dense ecosì robuste del suo epistolario. Le sue esperienze e lesue aspirazioni prima del subito capovolgimento neipressi di Damasco occorre ricostruirle di su gli accennischeletrici e fugaci delle sue polemiche e delle sue apo-logie, a cui la testimonianza degli Atti aggiunge com-plementi della validità salda dei quali riesce a volte ma-lagevole offrire una dimostrazione perentoria, e di su idati ricavati da altre fonti, circa le tendenze dei circoli edegli ambienti al cui contatto dovette temprarsi l'irre-quieta giovinezza del futuro apostolo.

La famiglia di Saulo era stata probabilmente una diquelle di cui Antioco Epifane aveva in ogni modo favo-rito la sistemazione, nella Tarso, della quale egli era sta-to il munifico restauratore. L'eccezionale situazione del-la città, – nella vasta e varia pianura cilicia, una trentinadi metri sopra il livello del mare, a quindici chilometricirca dalla costa, a cui era collegata dalle navigabili ac-que del Cidno, con in fondo a settentrione, a quaranta-cinque chilometri di distanza, le imponenti vette delTauro, fra le cui gole si aprivano il varco le famose

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tamorfosi psichiche che sono provocate dal tocco inaf-ferrabile della grazia, non riuscirà mai a strappare aigrandi convertiti il segreto della loro gestazione interio-re. L'analisi critica deve limitarsi a ricostruire gli ele-menti, e a tratteggiare la configurazione ideale delle dueposizioni, attraverso le quali si è collocato l'attimodrammatico della loro palingenesi.

La fede e l'insegnamento cristiani di S. Paolo ci sonoesaurientemente noti attraverso le pagine così dense ecosì robuste del suo epistolario. Le sue esperienze e lesue aspirazioni prima del subito capovolgimento neipressi di Damasco occorre ricostruirle di su gli accennischeletrici e fugaci delle sue polemiche e delle sue apo-logie, a cui la testimonianza degli Atti aggiunge com-plementi della validità salda dei quali riesce a volte ma-lagevole offrire una dimostrazione perentoria, e di su idati ricavati da altre fonti, circa le tendenze dei circoli edegli ambienti al cui contatto dovette temprarsi l'irre-quieta giovinezza del futuro apostolo.

La famiglia di Saulo era stata probabilmente una diquelle di cui Antioco Epifane aveva in ogni modo favo-rito la sistemazione, nella Tarso, della quale egli era sta-to il munifico restauratore. L'eccezionale situazione del-la città, – nella vasta e varia pianura cilicia, una trentinadi metri sopra il livello del mare, a quindici chilometricirca dalla costa, a cui era collegata dalle navigabili ac-que del Cidno, con in fondo a settentrione, a quaranta-cinque chilometri di distanza, le imponenti vette delTauro, fra le cui gole si aprivano il varco le famose

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«porte», via sovrana di comunicazione verso l'altipianocentrale dell'Anatolia, una delle grandi arterie che hannodeterminata la storia del mondo mediterraneo, – ne ave-va fatto un centro commerciale, politico, culturale diprimo ordine. Il diritto di cittadinanza romana dovevaessere stato conferito alla famiglia di colui, che avrebbeun giorno contrapposto al Signore del Palatino il Signo-re della vita e della morte, all'epoca di Pompeo. Più tardiTarso era stata teatro di notevole parte degli avvenimen-ti che dovevano condurre alla costituzione imperiale.Nell'estate incipiente del 47 Cesare vi entrava, nella suamarcia contro il re del Ponto. Sei anni precisi più tardiCleopatra vi approdava con un corteggio regale, dopoaver risalito il corso del Cidno, attraverso lo spiegamen-to di una pompa allettatrice, di cui Plutarco descrive tut-to il fantasmagorico apparato, per incontrarsi con Anto-nio. Quel giorno, fra gli spettatori, assiepati lungo lesponde del fiume per assistere all'arrivo inconsueto, nonvi sarà stato, fanciullo, il futuro genitore dell'Apostolo, enon si sarà egli sentito ardere in cuore, nella sua fiam-mante anima di semita iracondo, lo sdegno contro«l'uomo dell'empietà», così recisamente maledetto nellalettera ai Tessalonicesi?

Quel crogiuolo di correnti, di esperienze, di aspirazio-ni, che era stata per secoli l'Anatolia, aveva deposto inTarso i relitti di tutte le sue elaborazioni e di tutte le suemolteplici combinazioni spirituali. Il dominio assirocome l'egemonia persiana vi avevano lasciato la loroorma. Il vecchio culto locale, attestato ancora dalle leg-

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«porte», via sovrana di comunicazione verso l'altipianocentrale dell'Anatolia, una delle grandi arterie che hannodeterminata la storia del mondo mediterraneo, – ne ave-va fatto un centro commerciale, politico, culturale diprimo ordine. Il diritto di cittadinanza romana dovevaessere stato conferito alla famiglia di colui, che avrebbeun giorno contrapposto al Signore del Palatino il Signo-re della vita e della morte, all'epoca di Pompeo. Più tardiTarso era stata teatro di notevole parte degli avvenimen-ti che dovevano condurre alla costituzione imperiale.Nell'estate incipiente del 47 Cesare vi entrava, nella suamarcia contro il re del Ponto. Sei anni precisi più tardiCleopatra vi approdava con un corteggio regale, dopoaver risalito il corso del Cidno, attraverso lo spiegamen-to di una pompa allettatrice, di cui Plutarco descrive tut-to il fantasmagorico apparato, per incontrarsi con Anto-nio. Quel giorno, fra gli spettatori, assiepati lungo lesponde del fiume per assistere all'arrivo inconsueto, nonvi sarà stato, fanciullo, il futuro genitore dell'Apostolo, enon si sarà egli sentito ardere in cuore, nella sua fiam-mante anima di semita iracondo, lo sdegno contro«l'uomo dell'empietà», così recisamente maledetto nellalettera ai Tessalonicesi?

Quel crogiuolo di correnti, di esperienze, di aspirazio-ni, che era stata per secoli l'Anatolia, aveva deposto inTarso i relitti di tutte le sue elaborazioni e di tutte le suemolteplici combinazioni spirituali. Il dominio assirocome l'egemonia persiana vi avevano lasciato la loroorma. Il vecchio culto locale, attestato ancora dalle leg-

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gende aramaiche nelle monete del primitivo periodo se-leucida, aveva subito l'azione contaminatrice di cultid'importazione. Le religioni di mistero vi si erano solle-citamente insinuate, con le loro acri esaltazioni emozio-nali, con la loro grossolana soteriologia, con la loro or-giastica liturgia.

La vita culturale di Tarso aveva toccato l'apice massi-mo della sua intensa effervescenza, quando Saulo vi na-sceva agli inizi stessi della nostra era. Atenodoro, vec-chissimo, vi impartiva forse ancora quell'elevatissimoinsegnamento morale, che Cicerone e Seneca lodanocon parole così ammirate. Tra poco, Eutidemo vi avreb-be richiamato quanti aspiravano ad una raffinata forma-zione retorica.

Ma gli agi del prospero commercio, il pulsare dellagioconda vita universitaria, avevano impresso alla Tarsodell'epoca paolina un eccezionale carattere di mondanasfrenatezza. Un giorno vi doveva giungere Apollonio diTiana, a completare la sua educazione. Ma il giovanetto,austero e precoce, non sarebbe stato in grado di accon-ciarsi alla dissipazione della città, null'affatto confacenteai suoi gusti, decisamente sfavorevole al raccoglimentodi un cosciente tirocinio filosofico.

Sebbene, per quanto le rare informazioni permettanoun'opinione, sembri che a Tarso gli ebrei siano stati con-siderati meno che altrove come un elemento cittadinoestraneo ed isolato, non è da pensarsi che l'adolescenzadi Saulo si sia sottratta all'efficacia formatrice delle piùrigide tradizioni e delle più ardenti speranze della sua

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gende aramaiche nelle monete del primitivo periodo se-leucida, aveva subito l'azione contaminatrice di cultid'importazione. Le religioni di mistero vi si erano solle-citamente insinuate, con le loro acri esaltazioni emozio-nali, con la loro grossolana soteriologia, con la loro or-giastica liturgia.

La vita culturale di Tarso aveva toccato l'apice massi-mo della sua intensa effervescenza, quando Saulo vi na-sceva agli inizi stessi della nostra era. Atenodoro, vec-chissimo, vi impartiva forse ancora quell'elevatissimoinsegnamento morale, che Cicerone e Seneca lodanocon parole così ammirate. Tra poco, Eutidemo vi avreb-be richiamato quanti aspiravano ad una raffinata forma-zione retorica.

Ma gli agi del prospero commercio, il pulsare dellagioconda vita universitaria, avevano impresso alla Tarsodell'epoca paolina un eccezionale carattere di mondanasfrenatezza. Un giorno vi doveva giungere Apollonio diTiana, a completare la sua educazione. Ma il giovanetto,austero e precoce, non sarebbe stato in grado di accon-ciarsi alla dissipazione della città, null'affatto confacenteai suoi gusti, decisamente sfavorevole al raccoglimentodi un cosciente tirocinio filosofico.

Sebbene, per quanto le rare informazioni permettanoun'opinione, sembri che a Tarso gli ebrei siano stati con-siderati meno che altrove come un elemento cittadinoestraneo ed isolato, non è da pensarsi che l'adolescenzadi Saulo si sia sottratta all'efficacia formatrice delle piùrigide tradizioni e delle più ardenti speranze della sua

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razza e della sua terra d'origine. Ancora all'epilogodrammatico della sua turbinosa carriera, in quel suocommiato spirituale che è la lettera ai Filippesi, l'aposto-lo ricorderà, con legittimo compiacimento, che invano sisarebbe accampata, contro la nobiltà della sua propagan-da antilegalistica, una inferiorità della sua iniziazioneisraelitica: contro chi, come lui, era stato circoncisol'ottavo giorno, e per zelo nella tutela della legge era ap-parso irreprensibile. Egli accenna in quella occasione aduna sua adesione esplicita alle concezioni del farisei-smo, che, assorbite sollecitamente nell'ambito della vitafamiliare a Tarso, debbono aver poi, a Gerusalemme,trovato il loro corroboramento autorevole e la loro dilu-cidazione sicura.

Se, come ha scritto una volta Filone, la speranza è ilprimo germe gettato nel solco della coscienza ragione-vole; se, come ha sentenziato sant'Agostino, la patriaspirituale cui l'uomo appartiene, è designata dalla naturae dalla finalità delle sue aspirazioni; non si possono fis-sare le attitudini di una grande anima, non si possono in-dividuare le tappe salienti del suo pellegrinaggio e delsuo apostolato, se non a patto di scandagliare e circo-scrivere gli spostamenti successivi delle sue visuali e deisuoi ideali. Le genuine conversioni non sono altro che lapolarizzazione dei desideri e di tutte le aspettative dellavita, fuori dal cerchio fascinatore degli interessi terreni,verso le luci dell'eternità nella pace e nel riposo.

Nonostante le palmari deformazioni a cui la sua mal-celata preoccupazione di riuscir grato a lettori greci e

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razza e della sua terra d'origine. Ancora all'epilogodrammatico della sua turbinosa carriera, in quel suocommiato spirituale che è la lettera ai Filippesi, l'aposto-lo ricorderà, con legittimo compiacimento, che invano sisarebbe accampata, contro la nobiltà della sua propagan-da antilegalistica, una inferiorità della sua iniziazioneisraelitica: contro chi, come lui, era stato circoncisol'ottavo giorno, e per zelo nella tutela della legge era ap-parso irreprensibile. Egli accenna in quella occasione aduna sua adesione esplicita alle concezioni del farisei-smo, che, assorbite sollecitamente nell'ambito della vitafamiliare a Tarso, debbono aver poi, a Gerusalemme,trovato il loro corroboramento autorevole e la loro dilu-cidazione sicura.

Se, come ha scritto una volta Filone, la speranza è ilprimo germe gettato nel solco della coscienza ragione-vole; se, come ha sentenziato sant'Agostino, la patriaspirituale cui l'uomo appartiene, è designata dalla naturae dalla finalità delle sue aspirazioni; non si possono fis-sare le attitudini di una grande anima, non si possono in-dividuare le tappe salienti del suo pellegrinaggio e delsuo apostolato, se non a patto di scandagliare e circo-scrivere gli spostamenti successivi delle sue visuali e deisuoi ideali. Le genuine conversioni non sono altro che lapolarizzazione dei desideri e di tutte le aspettative dellavita, fuori dal cerchio fascinatore degli interessi terreni,verso le luci dell'eternità nella pace e nel riposo.

Nonostante le palmari deformazioni a cui la sua mal-celata preoccupazione di riuscir grato a lettori greci e

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romani espone ed induce Giuseppe Flavio, costituitositestimone delle idee religiose e delle aspirazioni del suopopolo, pure, attraverso i racconti drammatici delle An-tichità giudaiche e della Guerra giudaica, appare trion-falmente l'efficacia preponderante che l'aspettativa mes-sianica esercitò sugli avvenimenti dell'epoca asmonaicacome in quella degli erodiani. La letteratura apocalitticapopolare come le elaborate visioni della sapienza rabbi-nica e della pietà farisaica riboccano di questi sentimentidi attesa impaziente e di fiducia ottimistica, che sembra-rono rendere meno aspra ed angosciata la servitù politi-ca d'Israele nel periodo del suo tormentato tramonto e, adistanza di secoli, appaiono come il prodromo provvi-denziale dell'annuncio della genuina liberazione dalleombre contaminanti della colpa e dell'abbiezione.

Le miserie esteriori, la precarietà delle condizioni po-litiche ed economiche, le angoscie inenarrabili della di-spersione etnica e della disgregazione spirituale, nonavevano fatto altro, nell'anima d'Israele, che rinfocolaredi rimbalzo le ansie dell'attesa ed erano state, alla fine,interpretate come l'avviamento indeprecabile alla mani-festazione gloriosa e gioiosa del giorno del Signore.«Prima della venuta del Messia, – annunciava un vec-chio scolio rabbinico – l'audacia criminale aumenterà, ledifficoltà materiali dell'esistenza raggiungeranno il lorocolmo, la vigna darà abbondante il suo frutto e cionono-stante il vino salirà a prezzi altissimi. Nessun migliora-mento sarà possibile: la scuola servirà alla prostituzione.Gli abitanti di frontiera se ne andranno di città in città,

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romani espone ed induce Giuseppe Flavio, costituitositestimone delle idee religiose e delle aspirazioni del suopopolo, pure, attraverso i racconti drammatici delle An-tichità giudaiche e della Guerra giudaica, appare trion-falmente l'efficacia preponderante che l'aspettativa mes-sianica esercitò sugli avvenimenti dell'epoca asmonaicacome in quella degli erodiani. La letteratura apocalitticapopolare come le elaborate visioni della sapienza rabbi-nica e della pietà farisaica riboccano di questi sentimentidi attesa impaziente e di fiducia ottimistica, che sembra-rono rendere meno aspra ed angosciata la servitù politi-ca d'Israele nel periodo del suo tormentato tramonto e, adistanza di secoli, appaiono come il prodromo provvi-denziale dell'annuncio della genuina liberazione dalleombre contaminanti della colpa e dell'abbiezione.

Le miserie esteriori, la precarietà delle condizioni po-litiche ed economiche, le angoscie inenarrabili della di-spersione etnica e della disgregazione spirituale, nonavevano fatto altro, nell'anima d'Israele, che rinfocolaredi rimbalzo le ansie dell'attesa ed erano state, alla fine,interpretate come l'avviamento indeprecabile alla mani-festazione gloriosa e gioiosa del giorno del Signore.«Prima della venuta del Messia, – annunciava un vec-chio scolio rabbinico – l'audacia criminale aumenterà, ledifficoltà materiali dell'esistenza raggiungeranno il lorocolmo, la vigna darà abbondante il suo frutto e cionono-stante il vino salirà a prezzi altissimi. Nessun migliora-mento sarà possibile: la scuola servirà alla prostituzione.Gli abitanti di frontiera se ne andranno di città in città,

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senza che nessuno abbia compassione di loro; la sapien-za degli scribi sarà tenuta in poco conto; coloro che han-no orrore del peccato saranno disprezzati e la verità bi-strattata. I giovani faranno impallidire i vegliardi, e i ve-gliardi dovranno tenersi ritti alla presenza dei fanciulli:un figlio si ribellerà al proprio padre, una figlia contro lapropria madre. Un uomo avrà per nemici i propri paren-ti: la faccia di questa generazione sarà il volto di uncane. Su chi porre allora fiducia? Sul Padre dei cieli,soltanto.»

Ma la speranza della pietà religiosa sapeva dove ap-puntare lo sguardo, nell'attesa della liberazione. «Rimi-ra, o Signore, – aveva cantato l'anonimo poeta dei salmidei farisei – e suscita il Re figlio di Davide, nel tempoda te determinato, perchè regni su Israele tuo servo. Ri-cingilo di potenza, onde debelli i condottieri ingiusti epurifichi Gerusalemme dalle nazioni infedeli che la de-vastano. Giusto e sapiente, ch'egli scacci i peccatoridall'eredità; che spezzi l'insolenza dei peccatori, come siinfrange un vaso d'argilla; con una verga ferrea ch'eglifaccia a pezzi la loro spavalda baldanza; che annienti,con la parola della sua bocca, tutte le nazioni immorali;che le sole sue minacce volgano in fuga dinanzi ai suoipassi le nazioni infedeli; ch'egli smascheri i peccatorimediante i propositi stessi del loro cuore. Ed egli rag-grupperà un popolo santo, guidandolo nella giustizia;giudicherà le tribù del popolo santificato dal Signoresuo Dio; non permetterà all'ingiustizia di assidersi più inmezzo ad esse. Nessun uomo disposto al male dimorerà

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senza che nessuno abbia compassione di loro; la sapien-za degli scribi sarà tenuta in poco conto; coloro che han-no orrore del peccato saranno disprezzati e la verità bi-strattata. I giovani faranno impallidire i vegliardi, e i ve-gliardi dovranno tenersi ritti alla presenza dei fanciulli:un figlio si ribellerà al proprio padre, una figlia contro lapropria madre. Un uomo avrà per nemici i propri paren-ti: la faccia di questa generazione sarà il volto di uncane. Su chi porre allora fiducia? Sul Padre dei cieli,soltanto.»

Ma la speranza della pietà religiosa sapeva dove ap-puntare lo sguardo, nell'attesa della liberazione. «Rimi-ra, o Signore, – aveva cantato l'anonimo poeta dei salmidei farisei – e suscita il Re figlio di Davide, nel tempoda te determinato, perchè regni su Israele tuo servo. Ri-cingilo di potenza, onde debelli i condottieri ingiusti epurifichi Gerusalemme dalle nazioni infedeli che la de-vastano. Giusto e sapiente, ch'egli scacci i peccatoridall'eredità; che spezzi l'insolenza dei peccatori, come siinfrange un vaso d'argilla; con una verga ferrea ch'eglifaccia a pezzi la loro spavalda baldanza; che annienti,con la parola della sua bocca, tutte le nazioni immorali;che le sole sue minacce volgano in fuga dinanzi ai suoipassi le nazioni infedeli; ch'egli smascheri i peccatorimediante i propositi stessi del loro cuore. Ed egli rag-grupperà un popolo santo, guidandolo nella giustizia;giudicherà le tribù del popolo santificato dal Signoresuo Dio; non permetterà all'ingiustizia di assidersi più inmezzo ad esse. Nessun uomo disposto al male dimorerà

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con esse: in tutti i loro membri riconoscerà i figli di Dio.E li distribuirà sul paese nelle rispettive tribù: nè colono,nè straniero risiederà più fra loro. Giudicherà i popoli ele nazioni nella propria sapiente giustizia. E manterrà ipopoli delle nazioni sotto il suo giogo perchè lo servano.Renderà gloria al Signore al cospetto di tutta la terra epurificherà Gerusalemme, divenuta nuovamente santacome al principio. Dagli estremi confini del mondo lenazioni verranno per ammirare la sua gloria, e scopri-ranno lo splendore del Signore, con cui Dio l'avrà glori-ficata.»

Saulo deve avere alimentato la sua anima giovaniledei medesimi sogni e dei medesimi miraggi che avevanoconsolato le avide aspettative dell'anonimo cantore.Onde si comprende agevolmente quanto spontaneo do-vesse essere il suo iracondo sdegno quando giunse, va-gamente, al suo spirito il sentore che, proprio a Gerusa-lemme, un piccolo stuolo di ignoranti e di esaltati si eraposto in capo che il Messia ardentemente atteso fosse unoscuro predicatore galileo, che nella settimana pasqualedel 27 aveva subito, alle porte della città santa, l'ignomi-nioso supplizio della croce, e che il Regno di Dio sareb-be stato sollecitamente inaugurato dal suo ritorno glo-rioso. Insulto più atroce e più beffardo a tutte le aspetta-tive di Israele, gemente nei ceppi della servitù politica,non si sarebbe mai e poi mai potuto immaginare.

Saulo volle più direttamente conoscere l'insegnamen-to del Galileo. Gli aforistici detti che i suoi seguaci con-servavano e si tramandavano gelosamente, dovettero

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con esse: in tutti i loro membri riconoscerà i figli di Dio.E li distribuirà sul paese nelle rispettive tribù: nè colono,nè straniero risiederà più fra loro. Giudicherà i popoli ele nazioni nella propria sapiente giustizia. E manterrà ipopoli delle nazioni sotto il suo giogo perchè lo servano.Renderà gloria al Signore al cospetto di tutta la terra epurificherà Gerusalemme, divenuta nuovamente santacome al principio. Dagli estremi confini del mondo lenazioni verranno per ammirare la sua gloria, e scopri-ranno lo splendore del Signore, con cui Dio l'avrà glori-ficata.»

Saulo deve avere alimentato la sua anima giovaniledei medesimi sogni e dei medesimi miraggi che avevanoconsolato le avide aspettative dell'anonimo cantore.Onde si comprende agevolmente quanto spontaneo do-vesse essere il suo iracondo sdegno quando giunse, va-gamente, al suo spirito il sentore che, proprio a Gerusa-lemme, un piccolo stuolo di ignoranti e di esaltati si eraposto in capo che il Messia ardentemente atteso fosse unoscuro predicatore galileo, che nella settimana pasqualedel 27 aveva subito, alle porte della città santa, l'ignomi-nioso supplizio della croce, e che il Regno di Dio sareb-be stato sollecitamente inaugurato dal suo ritorno glo-rioso. Insulto più atroce e più beffardo a tutte le aspetta-tive di Israele, gemente nei ceppi della servitù politica,non si sarebbe mai e poi mai potuto immaginare.

Saulo volle più direttamente conoscere l'insegnamen-to del Galileo. Gli aforistici detti che i suoi seguaci con-servavano e si tramandavano gelosamente, dovettero

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dare al suo spirito, tutto nutrito di pietà farisaica e tuttopreso dal miraggio di una prodigiosa rivendicazione et-nica e politica, una strana impressione di stupore e diimpaziente insofferenza. La terminologia che quegli am-monimenti e quelle previsioni adoperavano, le conce-zioni di cui si intessevano, non apparivano a prima vistasensibilmente differenti da quelle che ricorrevano nellaletteratura, sui cui motivi si erano dai primi anni venutefoggiando la sua esperienza e le sue speranze. Ma lospirito che vi circolava per entro era tutt'altra cosa dalletradizioni del suo popolo e dai programmi dei ceti spiri-tualmente dominanti in Israele. Il Regno di Dio che ilgalileo Gesù aveva bandito e descritto, di cui anzi egli,il Figliuolo dell'Uomo, si era costituito araldo divina-mente investito e promesso inauguratore, nulla aveva dicomune con quello la cui visuale luminosa confortavada secoli, ma ora con più pungente vivezza, l'aspettativaamarreggiata dei «giusti» e dei «poveri». «Date fiato, inSionne, alla tromba che annuncia la festa. Bandite, inGerusalemme, la parola del messaggero di gioia. Chèebbe pietà Dio d'Israele, nell'ora della visita a lui. Léva-ti, Sion, in alto e contempla i tuoi figli, adunati dal Si-gnore d'ogni angolo dell'orizzonte. Eccoli venire dal set-tentrione, ricolmi della gioia di Dio; Dio li raccolse in-sieme dalle isole lontane. Livellò gli alti monti ondespianare loro il cammino: i colli scomparvero all'appros-simarsi dei loro passi. La loro traversata fu ombreggiatadai boschi: fece crescere per loro Iddio ogni albero odo-rifero, onde Israele marciasse sotto la tutela della gloria

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dare al suo spirito, tutto nutrito di pietà farisaica e tuttopreso dal miraggio di una prodigiosa rivendicazione et-nica e politica, una strana impressione di stupore e diimpaziente insofferenza. La terminologia che quegli am-monimenti e quelle previsioni adoperavano, le conce-zioni di cui si intessevano, non apparivano a prima vistasensibilmente differenti da quelle che ricorrevano nellaletteratura, sui cui motivi si erano dai primi anni venutefoggiando la sua esperienza e le sue speranze. Ma lospirito che vi circolava per entro era tutt'altra cosa dalletradizioni del suo popolo e dai programmi dei ceti spiri-tualmente dominanti in Israele. Il Regno di Dio che ilgalileo Gesù aveva bandito e descritto, di cui anzi egli,il Figliuolo dell'Uomo, si era costituito araldo divina-mente investito e promesso inauguratore, nulla aveva dicomune con quello la cui visuale luminosa confortavada secoli, ma ora con più pungente vivezza, l'aspettativaamarreggiata dei «giusti» e dei «poveri». «Date fiato, inSionne, alla tromba che annuncia la festa. Bandite, inGerusalemme, la parola del messaggero di gioia. Chèebbe pietà Dio d'Israele, nell'ora della visita a lui. Léva-ti, Sion, in alto e contempla i tuoi figli, adunati dal Si-gnore d'ogni angolo dell'orizzonte. Eccoli venire dal set-tentrione, ricolmi della gioia di Dio; Dio li raccolse in-sieme dalle isole lontane. Livellò gli alti monti ondespianare loro il cammino: i colli scomparvero all'appros-simarsi dei loro passi. La loro traversata fu ombreggiatadai boschi: fece crescere per loro Iddio ogni albero odo-rifero, onde Israele marciasse sotto la tutela della gloria

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sua. Indossa, Gerusalemme, le vesti del tuo fulgore: ap-presta la divisa della tua santificazione. Chè Iddio parlòcose buone a Israele, per l'eternità... Tu, Signore, tu haiscelto David come re su Israele, e tu gli hai giurato, perquanto riguarda la sua prosapia nei secoli, che la sua di-nastia mai si sarebbe spenta al tuo cospetto. Ma a cagio-ne dei nostri peccati, i malvagi si son levati contro dinoi, ci hanno assalito, ci hanno mandato raminghi. Co-storo, cui nulla avevi promesso, tutto han preso con laviolenza, senza rendere onore al nome tuo benedetto.Essi hanno costituito nel fasto il loro potere, come corri-spettivo della loro elevazione. Hanno reso squallido iltrono di David, lusingandosi di soppiantarlo. Ma tu, oDio, li rovescerai e disperderai il loro seme dalla terra....Il Signore è ben fedele in tutti i verdetti che pronunciasul mondo.... (Insigne) è la maestà del Re d'Israele cheDio conobbe da quando decise di costituirlo sulla casadi Israele, onde correggerla. Le sue parole temprate alfuoco, meglio dell'oro più puro. Nelle adunanze egligiudicherà le tribù del popolo santificato. I suoi sermonisimili ai discorsi dei santi, in mezzo ai popoli santificati.Beati i viventi in quei giorni, chiamati a contemplare iltrionfo d'Israele nella adunanza delle tribù. Dio affrettiquel giorno! Dio anticipi la sua misericordia su Israele!Dio ci riscatti dall'immondità di nemici spregevoli! IlSignore, egli solo, è il nostro sovrano in eterno!»

Come nei canti ispirati che l'anonimo poeta popolaredell'epoca di Pompeo aveva posto audacemente sotto ilnome di Salomone, anche nella predicazione di Gesù il

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sua. Indossa, Gerusalemme, le vesti del tuo fulgore: ap-presta la divisa della tua santificazione. Chè Iddio parlòcose buone a Israele, per l'eternità... Tu, Signore, tu haiscelto David come re su Israele, e tu gli hai giurato, perquanto riguarda la sua prosapia nei secoli, che la sua di-nastia mai si sarebbe spenta al tuo cospetto. Ma a cagio-ne dei nostri peccati, i malvagi si son levati contro dinoi, ci hanno assalito, ci hanno mandato raminghi. Co-storo, cui nulla avevi promesso, tutto han preso con laviolenza, senza rendere onore al nome tuo benedetto.Essi hanno costituito nel fasto il loro potere, come corri-spettivo della loro elevazione. Hanno reso squallido iltrono di David, lusingandosi di soppiantarlo. Ma tu, oDio, li rovescerai e disperderai il loro seme dalla terra....Il Signore è ben fedele in tutti i verdetti che pronunciasul mondo.... (Insigne) è la maestà del Re d'Israele cheDio conobbe da quando decise di costituirlo sulla casadi Israele, onde correggerla. Le sue parole temprate alfuoco, meglio dell'oro più puro. Nelle adunanze egligiudicherà le tribù del popolo santificato. I suoi sermonisimili ai discorsi dei santi, in mezzo ai popoli santificati.Beati i viventi in quei giorni, chiamati a contemplare iltrionfo d'Israele nella adunanza delle tribù. Dio affrettiquel giorno! Dio anticipi la sua misericordia su Israele!Dio ci riscatti dall'immondità di nemici spregevoli! IlSignore, egli solo, è il nostro sovrano in eterno!»

Come nei canti ispirati che l'anonimo poeta popolaredell'epoca di Pompeo aveva posto audacemente sotto ilnome di Salomone, anche nella predicazione di Gesù il

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galileo il Regno era retaggio dei poveri e dei diseredati,che attendono, nella rassegnata letizia, solo dal Signore,la reintegrazione della giustizia violata e della leggeconculcata. Ma come diverso il panorama dell'immanca-bile riscatto! Gesù aveva abbandonato completamente leeffimere e fallaci prospettive di una reintegrazione davi-dica, che avrebbe riportato in auge, dopo la profanazio-ne e l'usurpazione dello straniero, il destino di Israele.Che cosa contavano mai, di fronte alla manifestazionegloriosa di Dio, gli angusti interessi e i caduchi valoridel mondo? Le vicende dei suoi poteri, il fluttuare insta-bile dei suoi programmi, il ciclo delle sue aspirazioni,tradiscono sempre qualcosa di così irrimediabilmentetransitorio, di così funzionalmente fragile, che è indegnodell'anima recante in sè l'effigie del Padre e la brama dicontribuire all'attuazione del suo vero bene, perdersidietro le inquietudini astiose delle competizioni quoti-diane e prefiggersi uno scopo di terrena reintegrazione.L'uomo non ha nel mondo che un compito da assolvere:riguardare a Dio come alla provvidenza vigile ed im-mancabile, studiare di operare nei rapporti con i fratelliquella bontà longanime e indiscriminata che Dio eserci-ta su malvagi e su pii, e implorare dal cielo, che ne èl'unica sede, la discesa della perfetta, integrale giustizia.Un giorno che l'insidia dei dominatori del momento siera fatta più subdola e più esperta e nell'attesa di una ri-sposta compromettente aveva cercato di porre Gesùnell'imbarazzo fra Cesare e Jahvè, chiedendogli se fosseconsentito all'israelita docile alle prescrizioni della legge

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galileo il Regno era retaggio dei poveri e dei diseredati,che attendono, nella rassegnata letizia, solo dal Signore,la reintegrazione della giustizia violata e della leggeconculcata. Ma come diverso il panorama dell'immanca-bile riscatto! Gesù aveva abbandonato completamente leeffimere e fallaci prospettive di una reintegrazione davi-dica, che avrebbe riportato in auge, dopo la profanazio-ne e l'usurpazione dello straniero, il destino di Israele.Che cosa contavano mai, di fronte alla manifestazionegloriosa di Dio, gli angusti interessi e i caduchi valoridel mondo? Le vicende dei suoi poteri, il fluttuare insta-bile dei suoi programmi, il ciclo delle sue aspirazioni,tradiscono sempre qualcosa di così irrimediabilmentetransitorio, di così funzionalmente fragile, che è indegnodell'anima recante in sè l'effigie del Padre e la brama dicontribuire all'attuazione del suo vero bene, perdersidietro le inquietudini astiose delle competizioni quoti-diane e prefiggersi uno scopo di terrena reintegrazione.L'uomo non ha nel mondo che un compito da assolvere:riguardare a Dio come alla provvidenza vigile ed im-mancabile, studiare di operare nei rapporti con i fratelliquella bontà longanime e indiscriminata che Dio eserci-ta su malvagi e su pii, e implorare dal cielo, che ne èl'unica sede, la discesa della perfetta, integrale giustizia.Un giorno che l'insidia dei dominatori del momento siera fatta più subdola e più esperta e nell'attesa di una ri-sposta compromettente aveva cercato di porre Gesùnell'imbarazzo fra Cesare e Jahvè, chiedendogli se fosseconsentito all'israelita docile alle prescrizioni della legge

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versare il balzello alla contaminante cassa di Roma pa-gana, il Maestro aveva finissimamente risposto che sirestituisse pure a Cesare la moneta che questi s'era co-niato e aveva messo in circolazione per i suoi usi e ilsuo vantaggio, ma si badasse bene a riservare a Dio tut-to quello che era di sua esclusiva e incontrastabile spet-tanza: l'anima e il tesoro della sua speranza, del suo di-sinteresse, della sua fiducia. Israele, attraverso secoli diinenarrabili iatture si era consumato dietro il miraggio diuna restaurazione politica, che ogni qual volta si era piùda vicino approssimata, si era tradotta in delusioni sco-raggianti e avvilienti. No: non era quella la via della ge-nuina liberazione. Occorre chiedere a Dio che ci affran-chi dal vero «maligno» e dal vero contaminatore: quegliche, dopo aver malmenato la nostra natura corporea,può portare al naufragio la nostra anima, fatta per il ri-poso nella pace del Padre. È questo «maligno» che hacreato le molteplici e ammorbanti cure della vita quoti-diana, per tendere altrettanti trabocchetti alla libera fidu-cia dei figli di Dio. Che essi se ne liberino, abbandonan-dosi, come i piccoli fiori dei campi e i liberi, canori abi-tatori dell'aria, all'assistenza di Colui, che manderà,quando che sia, il suo Signore, a soddisfare l'ansia dellaloro aspettativa. Un solo messaggio di riscatto il Padreha da comunicare ai suoi fedeli: quello che annuncia ladefinitiva sconfitta della tirannia che ogni anima ha neisuoi istinti dell'egoismo, della sopraffazione edell'inganno.

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versare il balzello alla contaminante cassa di Roma pa-gana, il Maestro aveva finissimamente risposto che sirestituisse pure a Cesare la moneta che questi s'era co-niato e aveva messo in circolazione per i suoi usi e ilsuo vantaggio, ma si badasse bene a riservare a Dio tut-to quello che era di sua esclusiva e incontrastabile spet-tanza: l'anima e il tesoro della sua speranza, del suo di-sinteresse, della sua fiducia. Israele, attraverso secoli diinenarrabili iatture si era consumato dietro il miraggio diuna restaurazione politica, che ogni qual volta si era piùda vicino approssimata, si era tradotta in delusioni sco-raggianti e avvilienti. No: non era quella la via della ge-nuina liberazione. Occorre chiedere a Dio che ci affran-chi dal vero «maligno» e dal vero contaminatore: quegliche, dopo aver malmenato la nostra natura corporea,può portare al naufragio la nostra anima, fatta per il ri-poso nella pace del Padre. È questo «maligno» che hacreato le molteplici e ammorbanti cure della vita quoti-diana, per tendere altrettanti trabocchetti alla libera fidu-cia dei figli di Dio. Che essi se ne liberino, abbandonan-dosi, come i piccoli fiori dei campi e i liberi, canori abi-tatori dell'aria, all'assistenza di Colui, che manderà,quando che sia, il suo Signore, a soddisfare l'ansia dellaloro aspettativa. Un solo messaggio di riscatto il Padreha da comunicare ai suoi fedeli: quello che annuncia ladefinitiva sconfitta della tirannia che ogni anima ha neisuoi istinti dell'egoismo, della sopraffazione edell'inganno.

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Le anime inclinate da natura all'entusiasmo per ilbene, al possesso della libertà, alla realizzazione dellagiustizia, cominciano invariabilmente, negli anni deiloro fervori giovanili, con il collocare la meta delle loroaspirazioni e il culmine dei loro sogni nel vagheggiare ilcompimento delle migliori speranze di benessere chetrovano coltivate dalla massa che vive, dolorando easpettando, intorno a loro. Con il suo lento, edace, im-placabile trascorrere la vita logora, di solito, i loro purisogni altruistici, e dissipa l'iride dei loro alti ideali. Solonegli spiriti più saldamente temprati al fuoco divoratoredelle delusioni, perchè dotati di maggiori riserve e diuna superiore pinguedine interiore, riesce a sopravvive-re, al disfacimento fatale del disinganno, il miraggio delbene e il programma della individuale abnegazione. Mal'uno e l'altro escono invariabilmente dalla prova trasfor-mati e sublimati, a norma delle speciali direzioni e deipeculiari orientamenti che la spiritualità collettiva sug-gerisce, nei cicli successivi del suo sconfinato sviluppo.

Saulo cominciò a saturarsi dei sogni e delle aspettati-ve, cari ai ceti più pii e più intransigenti del suo popolobistrattato. La stessa sua inesperienza di israelita delladispersione deve avergli fatto ritenere più agevole l'idea-le dell'affrancamento e del riscatto politico e religioso dicui si nutriva, nell'aspettativa, la razza di Abramo. Maadagio adagio la maggiore esperienza della vita, la co-noscenza diretta della reale situazione in Giudea, la con-statazione della immorale perversione di tanta parte deipoteri costituiti del culto israelitico e della vergognosa

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Le anime inclinate da natura all'entusiasmo per ilbene, al possesso della libertà, alla realizzazione dellagiustizia, cominciano invariabilmente, negli anni deiloro fervori giovanili, con il collocare la meta delle loroaspirazioni e il culmine dei loro sogni nel vagheggiare ilcompimento delle migliori speranze di benessere chetrovano coltivate dalla massa che vive, dolorando easpettando, intorno a loro. Con il suo lento, edace, im-placabile trascorrere la vita logora, di solito, i loro purisogni altruistici, e dissipa l'iride dei loro alti ideali. Solonegli spiriti più saldamente temprati al fuoco divoratoredelle delusioni, perchè dotati di maggiori riserve e diuna superiore pinguedine interiore, riesce a sopravvive-re, al disfacimento fatale del disinganno, il miraggio delbene e il programma della individuale abnegazione. Mal'uno e l'altro escono invariabilmente dalla prova trasfor-mati e sublimati, a norma delle speciali direzioni e deipeculiari orientamenti che la spiritualità collettiva sug-gerisce, nei cicli successivi del suo sconfinato sviluppo.

Saulo cominciò a saturarsi dei sogni e delle aspettati-ve, cari ai ceti più pii e più intransigenti del suo popolobistrattato. La stessa sua inesperienza di israelita delladispersione deve avergli fatto ritenere più agevole l'idea-le dell'affrancamento e del riscatto politico e religioso dicui si nutriva, nell'aspettativa, la razza di Abramo. Maadagio adagio la maggiore esperienza della vita, la co-noscenza diretta della reale situazione in Giudea, la con-statazione della immorale perversione di tanta parte deipoteri costituiti del culto israelitico e della vergognosa

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acquiescenza loro al dominio dell'invasore e del profa-natore, debbono avere inavvertitamente consunto e cor-roso le radici stesse della sua fede luminosa. Avrebbepotuto mai Jahvè intervenire prodigiosamente a soccor-so e a salvezza di un popolo che aveva, con ripugnanteimprontitudine, abbandonato la sua legge e aveva igno-miniosamente trescato con l'oppressore e il peccatore?Oh, sì, la pittura che i Salmi facevano della corruzionemondana, valeva, alla lettera, per i tempi in cui gli eracapitato di vivere! «Non v'è sulla terra più nè pure ungiusto: non v'è più chi comprenda qualcosa, chi cerchiIddio. Tutti deviarono dal retto sentiero, tutti, in blocco,sono stati vuotati di ogni capacità di bene. Non si trovapiù chi operi la bontà: di buoni s'è perduto lo stampo.Sepolcro spalancato la loro gola, pronte le loro lingue aordire inganni, veleno di serpenti sotto le loro labbra. Laloro bocca è ricolma di imprecazioni e di amarezza. Rat-ti i loro piedi nell'effonder sangue, rovina e desolazionenelle loro vie. Sperdettero irrimediabilmente il sentierodella pace: il timor di Dio è dileguato dalle loro pupil-le!» Come lusingarsi seriamente, in questo disperato di-sfacimento della rettitudine e della dignità morale, cheJahvè si sarebbe potuto ricordare del suo traviato popo-lo?

Saulo doveva già essere in preda ad una crisi di scora-mento e di tristezza quando per la prima volta gli giun-sero allo spirito i sentori della predicazione del Galileo,con la sua concezione del Regno puramente spirituale,con la prospettiva del bene collocata sulla linea

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acquiescenza loro al dominio dell'invasore e del profa-natore, debbono avere inavvertitamente consunto e cor-roso le radici stesse della sua fede luminosa. Avrebbepotuto mai Jahvè intervenire prodigiosamente a soccor-so e a salvezza di un popolo che aveva, con ripugnanteimprontitudine, abbandonato la sua legge e aveva igno-miniosamente trescato con l'oppressore e il peccatore?Oh, sì, la pittura che i Salmi facevano della corruzionemondana, valeva, alla lettera, per i tempi in cui gli eracapitato di vivere! «Non v'è sulla terra più nè pure ungiusto: non v'è più chi comprenda qualcosa, chi cerchiIddio. Tutti deviarono dal retto sentiero, tutti, in blocco,sono stati vuotati di ogni capacità di bene. Non si trovapiù chi operi la bontà: di buoni s'è perduto lo stampo.Sepolcro spalancato la loro gola, pronte le loro lingue aordire inganni, veleno di serpenti sotto le loro labbra. Laloro bocca è ricolma di imprecazioni e di amarezza. Rat-ti i loro piedi nell'effonder sangue, rovina e desolazionenelle loro vie. Sperdettero irrimediabilmente il sentierodella pace: il timor di Dio è dileguato dalle loro pupil-le!» Come lusingarsi seriamente, in questo disperato di-sfacimento della rettitudine e della dignità morale, cheJahvè si sarebbe potuto ricordare del suo traviato popo-lo?

Saulo doveva già essere in preda ad una crisi di scora-mento e di tristezza quando per la prima volta gli giun-sero allo spirito i sentori della predicazione del Galileo,con la sua concezione del Regno puramente spirituale,con la prospettiva del bene collocata sulla linea

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dell'abnegazione, della generosità, dell'umiltà, del per-dono. Quel capovolgimento brusco e radicale di tutte leconsuete valutazioni d'Israele, quel rovesciamento coe-rente e rettilineo di tutte le canonizzate convenzioni eti-che e sociali, dovette, in sulle prime, destare in lui unaribellione violenta. L'anima umana non si acconcia age-volmente a subiti spostamenti d'ideali, e la possibilitàdelle metamorfosi interiori è legata all'inconsapevolesforzo di conguagliare le vecchie attitudini alle nuovevisuali e ai rinnovati propositi. Saulo fu, per un tempo dicui è impossibile circoscrivere la durata, come il bueche dà inanemente di calci contro la sferzante punturadello stimolo. Cercò anzi di soffocare il turbamento chegli ingeneravano in cuore i concisi frammenti pervenuti-gli della strana «novella», tuffandosi, più caparbiamenteche mai, nella campagna contro i nuovi profanatori dellaveneranda aspettativa messianica.

Ma negli strati più profondi del suo subcosciente, giàpervaso dallo scoramento e dall'inquietitudine, il mes-saggio del Galileo suppliziato lavorava oscuramente.Anche lassù, nella sua Tarso tumultuosa e raffinata, ilgiovanetto Saulo aveva sentito vagamente parlare di ini-ziazioni misteriose, che garantivano la vera liberazionee l'imperituro riscatto, mercè l'incorporazione in favolo-se figure, che già avevano realizzato in sè, con unosconfinato potere normativo, il dramma dell'annulla-mento e della rinascita, della morte e della vita. Quellestrane dottrine, maculate da liturgie grossolane e da tor-bide mitologie, non avrebbero potuto racchiudere un nu-

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dell'abnegazione, della generosità, dell'umiltà, del per-dono. Quel capovolgimento brusco e radicale di tutte leconsuete valutazioni d'Israele, quel rovesciamento coe-rente e rettilineo di tutte le canonizzate convenzioni eti-che e sociali, dovette, in sulle prime, destare in lui unaribellione violenta. L'anima umana non si acconcia age-volmente a subiti spostamenti d'ideali, e la possibilitàdelle metamorfosi interiori è legata all'inconsapevolesforzo di conguagliare le vecchie attitudini alle nuovevisuali e ai rinnovati propositi. Saulo fu, per un tempo dicui è impossibile circoscrivere la durata, come il bueche dà inanemente di calci contro la sferzante punturadello stimolo. Cercò anzi di soffocare il turbamento chegli ingeneravano in cuore i concisi frammenti pervenuti-gli della strana «novella», tuffandosi, più caparbiamenteche mai, nella campagna contro i nuovi profanatori dellaveneranda aspettativa messianica.

Ma negli strati più profondi del suo subcosciente, giàpervaso dallo scoramento e dall'inquietitudine, il mes-saggio del Galileo suppliziato lavorava oscuramente.Anche lassù, nella sua Tarso tumultuosa e raffinata, ilgiovanetto Saulo aveva sentito vagamente parlare di ini-ziazioni misteriose, che garantivano la vera liberazionee l'imperituro riscatto, mercè l'incorporazione in favolo-se figure, che già avevano realizzato in sè, con unosconfinato potere normativo, il dramma dell'annulla-mento e della rinascita, della morte e della vita. Quellestrane dottrine, maculate da liturgie grossolane e da tor-bide mitologie, non avrebbero potuto racchiudere un nu-

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cleo sostanziale di verità nella loro preliminare tesi delcollegamento fra la morte e la vita, l'abbiezione e il ri-scatto? Anche il «servo di Jahvè» non era stato dipintodai profeti come il ricettacolo predestinato di tutte leumiliazioni e di tutte le sofferenze, e per questo stessocome lo strumento fatale dell'universale perdono? E nonsarebbe stato per caso il compito provvidenziale diIsraele quello di innestare sulle amorali credenze dei mi-steri l'assillo dei valori morali, nella cui celebrazione erail vanto di tutta la legislazione mosaica? Il galileo cheaveva espiato, sulla croce, il delitto della sua predicazio-ne iconoclastica, e della cui risurrezione si dicevanocosì sicuri i suoi fedeli, non avrebbe per caso realizzatoin sè, nella pienezza della controllabilità storica e in unaforma specialissima di attuazione del profetismo e delmessianismo, il mito di cui vivevano le più alte espe-rienze del mondo ellenistico contemporaneo? E nel suomessaggio di liberazione etica, sostituito a quello dellacircoscritta ed effimera liberazione politica, suscettibilepertanto d'applicazione universale a tutto il genere uma-no, non si conservava, trasfigurato, il privilegio di Israe-le nella economia religiosa del mondo?

Saulo, il fariseo, dovette inorridire quando la primavolta questi sconcertanti quesiti si affacciarono sui mar-gini della sua anima tormentata. Ma le idee che ci si pre-sentano a volte come le più paradossali son quelle chesollecitano più tenacemente le nostre insoddisfazioni ele nostre ansie. Saulo aveva ormai le sue vecchie attitu-dini e le sue familiari aspirazioni profondamente incri-

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cleo sostanziale di verità nella loro preliminare tesi delcollegamento fra la morte e la vita, l'abbiezione e il ri-scatto? Anche il «servo di Jahvè» non era stato dipintodai profeti come il ricettacolo predestinato di tutte leumiliazioni e di tutte le sofferenze, e per questo stessocome lo strumento fatale dell'universale perdono? E nonsarebbe stato per caso il compito provvidenziale diIsraele quello di innestare sulle amorali credenze dei mi-steri l'assillo dei valori morali, nella cui celebrazione erail vanto di tutta la legislazione mosaica? Il galileo cheaveva espiato, sulla croce, il delitto della sua predicazio-ne iconoclastica, e della cui risurrezione si dicevanocosì sicuri i suoi fedeli, non avrebbe per caso realizzatoin sè, nella pienezza della controllabilità storica e in unaforma specialissima di attuazione del profetismo e delmessianismo, il mito di cui vivevano le più alte espe-rienze del mondo ellenistico contemporaneo? E nel suomessaggio di liberazione etica, sostituito a quello dellacircoscritta ed effimera liberazione politica, suscettibilepertanto d'applicazione universale a tutto il genere uma-no, non si conservava, trasfigurato, il privilegio di Israe-le nella economia religiosa del mondo?

Saulo, il fariseo, dovette inorridire quando la primavolta questi sconcertanti quesiti si affacciarono sui mar-gini della sua anima tormentata. Ma le idee che ci si pre-sentano a volte come le più paradossali son quelle chesollecitano più tenacemente le nostre insoddisfazioni ele nostre ansie. Saulo aveva ormai le sue vecchie attitu-dini e le sue familiari aspirazioni profondamente incri-

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nate. Cercò di resistere ancora all'invasione del nuovoideale. Era la resistenza del disperato. Un dì, nei pressidi Damasco, la luce del Risorto lo investì in pieno, e lodiede trasformato alla comunità dei nuovi credenti.

Un trentennio circa più tardi, nelle comunità della Pa-lestina e più della Siria, si raccontava che quel giornostesso un fedele di Damasco era stato ammonito in vi-sione di andarlo a cercare nella via detta la Diritta, incasa di Giuda, per imporgli le mani, chè egli «sarebbestato un vaso eletto, chiamato da Dio a portare il nomedel Signore all'orecchio del gentili, dei re, dei figli tuttidi Israele.»

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nate. Cercò di resistere ancora all'invasione del nuovoideale. Era la resistenza del disperato. Un dì, nei pressidi Damasco, la luce del Risorto lo investì in pieno, e lodiede trasformato alla comunità dei nuovi credenti.

Un trentennio circa più tardi, nelle comunità della Pa-lestina e più della Siria, si raccontava che quel giornostesso un fedele di Damasco era stato ammonito in vi-sione di andarlo a cercare nella via detta la Diritta, incasa di Giuda, per imporgli le mani, chè egli «sarebbestato un vaso eletto, chiamato da Dio a portare il nomedel Signore all'orecchio del gentili, dei re, dei figli tuttidi Israele.»

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II.

Alle scaturagini stesse della organizzazione ecclesia-stica cristiana è dato cogliere una diversità di sfumaturenella fede del Risorto, e nella determinazione della suapersonalità, su cui pure poggiava la comune solidarietàcarismatica e la ragione prima del proselitismo. Mentrela primitiva comunità gerosolimitana, meno accessibilealla comprensione integrale del contenuto innovatoredel messaggio ricevuto, vedeva in Gesù risorto, l'essereassunto, attraverso la vita di abnegazione e il sacrificiocruento, alla qualità messianica, destinato quindi allanon lontana inaugurazione del regno glorioso, e pertantoriteneva compatibile la professione di fiducia in Lui conla pratica rituale della legge, nelle comunità invece re-clutate nelle città ellenizzanti, dove i proseliti prove-nienti dal gentilesimo erano numerosi e potevano age-volmente aderire alla «buona novella» senza alcun im-paccio di pregiudiziali legalistiche, Gesù era annunciatocome il Signore, la cui opera e la cui morte racchiudonoil mistero di un radicale riscatto. Per comunità di questotipo il «vangelo» non poteva costituire il retaggio geloso

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II.

Alle scaturagini stesse della organizzazione ecclesia-stica cristiana è dato cogliere una diversità di sfumaturenella fede del Risorto, e nella determinazione della suapersonalità, su cui pure poggiava la comune solidarietàcarismatica e la ragione prima del proselitismo. Mentrela primitiva comunità gerosolimitana, meno accessibilealla comprensione integrale del contenuto innovatoredel messaggio ricevuto, vedeva in Gesù risorto, l'essereassunto, attraverso la vita di abnegazione e il sacrificiocruento, alla qualità messianica, destinato quindi allanon lontana inaugurazione del regno glorioso, e pertantoriteneva compatibile la professione di fiducia in Lui conla pratica rituale della legge, nelle comunità invece re-clutate nelle città ellenizzanti, dove i proseliti prove-nienti dal gentilesimo erano numerosi e potevano age-volmente aderire alla «buona novella» senza alcun im-paccio di pregiudiziali legalistiche, Gesù era annunciatocome il Signore, la cui opera e la cui morte racchiudonoil mistero di un radicale riscatto. Per comunità di questotipo il «vangelo» non poteva costituire il retaggio geloso

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ed esclusivo di una razza: aveva in sè la capacità di as-surgere a patrimonio universale degli uomini, tragica-mente oscillanti fra il dolore e la morte, e a base etica emistica di una loro solidarietà fino allora inavvertita.L'esperienza religiosa di Paolo non era fatta per armo-nizzarsi con le visuali anguste e permalose di Gerusa-lemme: era fatta invece per trovarsi compiutamente asuo agio tra i fedeli di Damasco e di Antiochia.

I primi passi nell'apostolato furono singolarmentemalagevoli. Salito a Gerusalemme tre anni dopo la con-versione, ebbe bisogno dei buoni uffici di Barnaba peressere senza rischi presentato agli «apostoli» per eccel-lenza. Ma vi rimase a pena quindici giorni e si allontanòdi là, accompagnato, evidentemente con un certo sensodi soddisfazione, sulla via della sua Cilicia. E là Barna-ba fu nuovamente quegli che l'andò a cercare, quandol'esigenze della comunità antiochena, numerosa, varia,esuberante di vitalità e di entusiasmo, sembrarono ri-chiedere un chiarificatore ed un esegeta esperto nellaconoscenza delle correnti spirituali, alle quali il messag-gio del Salvatore risorto poteva essere più proficuamen-te presentato. Fu quella, precisamente, l'iniziazione uffi-ciale di Paolo alla sua meravigliosa carriera. Ben prestola pienezza di vita della comunità fu tale che sorse spon-taneo e irresistibile il proposito della propaganda ester-na. I rapporti fra le comunità israelitiche della dispersio-ne erano frequenti ed intense: non è da escludersi chefossero alimentati da un personale viaggiante, che man-teneva ininterrottamente i contatti fra la città madre e i

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ed esclusivo di una razza: aveva in sè la capacità di as-surgere a patrimonio universale degli uomini, tragica-mente oscillanti fra il dolore e la morte, e a base etica emistica di una loro solidarietà fino allora inavvertita.L'esperienza religiosa di Paolo non era fatta per armo-nizzarsi con le visuali anguste e permalose di Gerusa-lemme: era fatta invece per trovarsi compiutamente asuo agio tra i fedeli di Damasco e di Antiochia.

I primi passi nell'apostolato furono singolarmentemalagevoli. Salito a Gerusalemme tre anni dopo la con-versione, ebbe bisogno dei buoni uffici di Barnaba peressere senza rischi presentato agli «apostoli» per eccel-lenza. Ma vi rimase a pena quindici giorni e si allontanòdi là, accompagnato, evidentemente con un certo sensodi soddisfazione, sulla via della sua Cilicia. E là Barna-ba fu nuovamente quegli che l'andò a cercare, quandol'esigenze della comunità antiochena, numerosa, varia,esuberante di vitalità e di entusiasmo, sembrarono ri-chiedere un chiarificatore ed un esegeta esperto nellaconoscenza delle correnti spirituali, alle quali il messag-gio del Salvatore risorto poteva essere più proficuamen-te presentato. Fu quella, precisamente, l'iniziazione uffi-ciale di Paolo alla sua meravigliosa carriera. Ben prestola pienezza di vita della comunità fu tale che sorse spon-taneo e irresistibile il proposito della propaganda ester-na. I rapporti fra le comunità israelitiche della dispersio-ne erano frequenti ed intense: non è da escludersi chefossero alimentati da un personale viaggiante, che man-teneva ininterrottamente i contatti fra la città madre e i

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figli disseminati nei centri più pulsanti del bacino delMediterraneo. La nuova concezione del Regno, e laacuita attesa del suo inauguratore glorioso, dovevanoportare automaticamente alla idea della missione. LoSpirito aleggiante sulla comunità antiochena suggerì ungiorno che Barnaba e Paolo fossero delegati all'operadel proselitismo. Ed essi salparono da Seleucia per l'iso-la di Cipro, patria del primo, predicarono nelle sinago-ghe di Salamina e di Pafos, si imbarcarono per Attalia,sulle coste meridionali dell'Anatolia, donde raggiunseroPerge nella Panfilia. La permanenza colà fu più breve diquanto le circostanze non avrebbero potuto consigliare.Uno dei frequenti attacchi del male, per cui Paolo avevaquasi la sensazione che un penoso aculeo fosse infittonelle sue carni, lo costrinse a cercare aria migliore neiluoghi elevati della Pisidia e della Licaonia. Annunciòcosì il Cristo nelle sinagoghe di Antiochia, di Listri, diDerbe. I gentili erano invitati in pari tempo che gliIsraeliti ad aderire alla nuova fede, il cui messaggio e lacui speranza, universali, trascendevano decisamenteogni barriera etnica e ogni tradizione confessionale. Lastessa novità di questo annuncio affratellatore, se eracausa di rapidi successi, era fonte di violente rappresa-glie. L'apostolato degli inviati antiocheni desta reazionirumorose di folle ed essi debbono sollecitamente pren-dere la via del ritorno, ben felici in cuor loro di portarein sè la certezza di una solidarietà spirituale, cementataormai attraverso le distanze e le secolari divergenze dipopoli e di simboli.

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figli disseminati nei centri più pulsanti del bacino delMediterraneo. La nuova concezione del Regno, e laacuita attesa del suo inauguratore glorioso, dovevanoportare automaticamente alla idea della missione. LoSpirito aleggiante sulla comunità antiochena suggerì ungiorno che Barnaba e Paolo fossero delegati all'operadel proselitismo. Ed essi salparono da Seleucia per l'iso-la di Cipro, patria del primo, predicarono nelle sinago-ghe di Salamina e di Pafos, si imbarcarono per Attalia,sulle coste meridionali dell'Anatolia, donde raggiunseroPerge nella Panfilia. La permanenza colà fu più breve diquanto le circostanze non avrebbero potuto consigliare.Uno dei frequenti attacchi del male, per cui Paolo avevaquasi la sensazione che un penoso aculeo fosse infittonelle sue carni, lo costrinse a cercare aria migliore neiluoghi elevati della Pisidia e della Licaonia. Annunciòcosì il Cristo nelle sinagoghe di Antiochia, di Listri, diDerbe. I gentili erano invitati in pari tempo che gliIsraeliti ad aderire alla nuova fede, il cui messaggio e lacui speranza, universali, trascendevano decisamenteogni barriera etnica e ogni tradizione confessionale. Lastessa novità di questo annuncio affratellatore, se eracausa di rapidi successi, era fonte di violente rappresa-glie. L'apostolato degli inviati antiocheni desta reazionirumorose di folle ed essi debbono sollecitamente pren-dere la via del ritorno, ben felici in cuor loro di portarein sè la certezza di una solidarietà spirituale, cementataormai attraverso le distanze e le secolari divergenze dipopoli e di simboli.

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Il ritorno ad Antiochia di Siria aprì l'adito all'acutiz-zarsi improvviso e alla esplosione dell'intimo dissensoche le due visioni della figura e dell'opera del Cristo, fracui si polarizzavano le comunità della prima ora, porta-vano in grembo. Le due visioni implicavano due apprez-zamenti nitidamente antitetici dell'ampiezza di recluta-mento del Regno promesso dal Cristo e quindi di rim-balzo due contradittorie maniere di valutare l'efficaciadelle pratiche legalistico-mosaiche per il conseguimentodel Regno stesso. Se la salvezza operata dal Cristo con-sisteva genuinamente in un affrancamento radicale daivincoli mortificanti della carne, e quindi della morte, epertanto nel conferimento di particolari e inviolabili ti-toli al possesso dell'eredità, in passato assegnato ad unpopolo di privilegiati, l'adesione alla Legge e la praticadelle prescrizioni giudaiche erano divenute completa-mente superflue: l'iniziazione battesimale, l'incorpora-zione mistica cioè nell'organismo vivente del Cristo, cheè il corpo del Signore proiettato nella storia, era la tesse-ra necessaria e sufficiente per il riconoscimento del di-ritto all'ammissione nel Regno, per il prossimo dìdell'epifania prodigiosa. La conquista dello Spirito e deisuoi doni ne rappresentava la caparra rassicurante. Fradue visuali così contrastanti, che investendo la lineaconsueta di condotta, impegnavano l'esistenza di ognigiorno, l'equivoco non poteva durare. Una soluzione ap-parve improrogabile, quando i due propagandisti torna-rono dall'Anatolia, e nelle comunità siro-palestinesi sipropagò la voce che essi avevano aggregato al novero

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Il ritorno ad Antiochia di Siria aprì l'adito all'acutiz-zarsi improvviso e alla esplosione dell'intimo dissensoche le due visioni della figura e dell'opera del Cristo, fracui si polarizzavano le comunità della prima ora, porta-vano in grembo. Le due visioni implicavano due apprez-zamenti nitidamente antitetici dell'ampiezza di recluta-mento del Regno promesso dal Cristo e quindi di rim-balzo due contradittorie maniere di valutare l'efficaciadelle pratiche legalistico-mosaiche per il conseguimentodel Regno stesso. Se la salvezza operata dal Cristo con-sisteva genuinamente in un affrancamento radicale daivincoli mortificanti della carne, e quindi della morte, epertanto nel conferimento di particolari e inviolabili ti-toli al possesso dell'eredità, in passato assegnato ad unpopolo di privilegiati, l'adesione alla Legge e la praticadelle prescrizioni giudaiche erano divenute completa-mente superflue: l'iniziazione battesimale, l'incorpora-zione mistica cioè nell'organismo vivente del Cristo, cheè il corpo del Signore proiettato nella storia, era la tesse-ra necessaria e sufficiente per il riconoscimento del di-ritto all'ammissione nel Regno, per il prossimo dìdell'epifania prodigiosa. La conquista dello Spirito e deisuoi doni ne rappresentava la caparra rassicurante. Fradue visuali così contrastanti, che investendo la lineaconsueta di condotta, impegnavano l'esistenza di ognigiorno, l'equivoco non poteva durare. Una soluzione ap-parve improrogabile, quando i due propagandisti torna-rono dall'Anatolia, e nelle comunità siro-palestinesi sipropagò la voce che essi avevano aggregato al novero

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dei «santi», predestinati al Regno, gruppi di convertitiprovenienti dal paganesimo, senza pur anco sottoporlialle prescrizioni centrali della Legge d'Israele.

Il problema se simile procedimento di propagandapotesse menarsi per buono fu esaminato e discusso in unconvegno di notabili della comunità madre di Gerusa-lemme. Paolo e Barnaba difesero a spada tratta i criteri acui si erano ispirati nella loro opera missionaria, ed eb-bero, sostanzialmente, partita vinta. Il convegno infattiapprovò un ordine del giorno in cui, lasciando ai lorofuturi giri di propaganda la maggior larghezza di scelta edi destinazione, si fissavano tassativamente solo alcuneinsignificanti pratiche alimentari e qualche limitazionematrimoniale, a cui i convertiti avrebbero dovuto sotto-stare per il riconoscimento e la sanzione della loro con-versione. Le loro oblazioni a favore della comunità ma-dre, esposta continuamente agli imbarazzi di una conge-nita precarietà finanziaria, sarebbero state l'espressionetangibile della loro solidale fraternità.

San Paolo poteva ritenersene soddisfatto. Egli nonaveva chiesto il sigillo gerosolimitano al suo apostolato.L'investitura egli l'aveva ricevuta direttamente dall'alto eil suo procedere era di chi si lasciava quotidianamenteguidare dalla voce ispiratrice di Dio. Comunque, la de-cisione ufficiale del convegno imprimeva alla soliditàdel suo messaggio una sanzione, che avrebbe agevolatoormai al suo ardore i più liberi voli. Tornato ad Antio-chia, più avido che mai di guadagnare spiriti all'annun-cio di rigenerazione e di immortalità che aveva trasfigu-

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dei «santi», predestinati al Regno, gruppi di convertitiprovenienti dal paganesimo, senza pur anco sottoporlialle prescrizioni centrali della Legge d'Israele.

Il problema se simile procedimento di propagandapotesse menarsi per buono fu esaminato e discusso in unconvegno di notabili della comunità madre di Gerusa-lemme. Paolo e Barnaba difesero a spada tratta i criteri acui si erano ispirati nella loro opera missionaria, ed eb-bero, sostanzialmente, partita vinta. Il convegno infattiapprovò un ordine del giorno in cui, lasciando ai lorofuturi giri di propaganda la maggior larghezza di scelta edi destinazione, si fissavano tassativamente solo alcuneinsignificanti pratiche alimentari e qualche limitazionematrimoniale, a cui i convertiti avrebbero dovuto sotto-stare per il riconoscimento e la sanzione della loro con-versione. Le loro oblazioni a favore della comunità ma-dre, esposta continuamente agli imbarazzi di una conge-nita precarietà finanziaria, sarebbero state l'espressionetangibile della loro solidale fraternità.

San Paolo poteva ritenersene soddisfatto. Egli nonaveva chiesto il sigillo gerosolimitano al suo apostolato.L'investitura egli l'aveva ricevuta direttamente dall'alto eil suo procedere era di chi si lasciava quotidianamenteguidare dalla voce ispiratrice di Dio. Comunque, la de-cisione ufficiale del convegno imprimeva alla soliditàdel suo messaggio una sanzione, che avrebbe agevolatoormai al suo ardore i più liberi voli. Tornato ad Antio-chia, più avido che mai di guadagnare spiriti all'annun-cio di rigenerazione e di immortalità che aveva trasfigu-

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rato le sue esperienze e le sue aspettative, Paolo decisedi rivisitare le comunità disseminate lungo l'itinerariodel suo primo viaggio missionario. Dalla provincia dellaSiro-Cilicia egli, accompagnato da Sila (uno screzio losepara questa volta da Barnaba), passa in quella dellaGalazia. I due missionari valicarono il Tauro alle famose«porte cilicie», che Ciro il giovane ed Alessandro ave-vano già traversato nelle loro spedizioni verso l'Oriente,e di là raggiunsero la Licaonia galatica. Così Paolo rivi-de, percorrendo l'itinerario in senso inverso, le comunitàcostituite durante il primo viaggio: Derbe, Listri, quasicertamente anche Iconio e Antiochia di Pisidia. A ListriPaolo prese con sè un giovane rampollo di una famigliach'egli aveva precedentemente iniziato alla sua fede, Ti-moteo, compagno d'ora in poi delle sue fatiche apostoli-che. Da Antochia la logica naturale del suo viaggio diricognizione avrebbe dovuto riportarlo verso il porto diAttalia, e al di là verso la Siria. Paolo non prese la viadel ritorno. Egli si sentiva ormai padrone del suo pensie-ro e docile strumento di una causa più forte e più impe-riosa della sua stessa volontà. L'istinto del propagandistalo portava irresistibilmente verso nuovi pericoli e versonuovi successi. Dopo una momentanea incertezza sulladirezione da prendere, si decise risolutamente per la Mi-sia, che traversò diagonalmente raggiungendo il mare aTroade. Fu un giorno decisivo nella storia dei destinispirituali dell'umanità occidentale quello in cui egli, sal-pando dal continente asiatico, fece vela verso il portoeuropeo di Neapoli, sulla costa macedone. Di qui, in-

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rato le sue esperienze e le sue aspettative, Paolo decisedi rivisitare le comunità disseminate lungo l'itinerariodel suo primo viaggio missionario. Dalla provincia dellaSiro-Cilicia egli, accompagnato da Sila (uno screzio losepara questa volta da Barnaba), passa in quella dellaGalazia. I due missionari valicarono il Tauro alle famose«porte cilicie», che Ciro il giovane ed Alessandro ave-vano già traversato nelle loro spedizioni verso l'Oriente,e di là raggiunsero la Licaonia galatica. Così Paolo rivi-de, percorrendo l'itinerario in senso inverso, le comunitàcostituite durante il primo viaggio: Derbe, Listri, quasicertamente anche Iconio e Antiochia di Pisidia. A ListriPaolo prese con sè un giovane rampollo di una famigliach'egli aveva precedentemente iniziato alla sua fede, Ti-moteo, compagno d'ora in poi delle sue fatiche apostoli-che. Da Antochia la logica naturale del suo viaggio diricognizione avrebbe dovuto riportarlo verso il porto diAttalia, e al di là verso la Siria. Paolo non prese la viadel ritorno. Egli si sentiva ormai padrone del suo pensie-ro e docile strumento di una causa più forte e più impe-riosa della sua stessa volontà. L'istinto del propagandistalo portava irresistibilmente verso nuovi pericoli e versonuovi successi. Dopo una momentanea incertezza sulladirezione da prendere, si decise risolutamente per la Mi-sia, che traversò diagonalmente raggiungendo il mare aTroade. Fu un giorno decisivo nella storia dei destinispirituali dell'umanità occidentale quello in cui egli, sal-pando dal continente asiatico, fece vela verso il portoeuropeo di Neapoli, sulla costa macedone. Di qui, in-

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camminandosi per la via Egnazia, raggiunse, a quindicichilometri di distanza, Filippi. Quella che gli Atti(XII.12) chiamano, con frase ambigua, «la prima cittàdel distretto», era stata insignita di recente della dignitàdi colonia romana, col nome di «Augusta Julia Philip-pensium» e aveva ricevuto lo «jus italicum». Anche inuna città macedone, dove pure la popolazione era instrabocchevole maggioranza greca, ma rivestita dellacittadinanza romana, san Paolo non si discostò dalla suacostante consuetitudine di presentarsi da prima alla sina-goga. In giorno di sabato egli andò a ricercare gli israe-liti nel luogo del loro settimanale convegno. La primaconvertita fu una mercantessa di porpora, nativa di Tia-tira, Lidia, la quale ospitò senz'altro sotto il suo tetto ipredicatori del nuovo annuncio. Paolo doveva conserva-re fino al tragico crepuscolo della sua vita un soave ri-cordo della sua prima permanenza a Filippi e il suo te-stamento spirituale, dalla «Babilonia» dei sette colli,sarà indirizzato alla comunità che, prima, l'aveva accol-to in territorio europeo e, ultima, mandò l'espressionetangibile del suo amore e della sua riconoscenza all'apo-stolo imprigionato. Ma anche nel nuovo ambito d'azioneil messaggio paolino suscita opposizioni violente. Lafolla composita di tendenze e di predilezioni, scorge nel-la predicazione dell'israelita di Tarso motivi di preoccu-pante sovversivismo. Dopo aver subito una flagellazio-ne, che fu un grave insulto alla sua dignità di cittadinoromano, Paolo riesce misteriosamente a porsi in salvoraggiungendo, sempre sulla Egnazia, Anfipoli, Apollo-

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camminandosi per la via Egnazia, raggiunse, a quindicichilometri di distanza, Filippi. Quella che gli Atti(XII.12) chiamano, con frase ambigua, «la prima cittàdel distretto», era stata insignita di recente della dignitàdi colonia romana, col nome di «Augusta Julia Philip-pensium» e aveva ricevuto lo «jus italicum». Anche inuna città macedone, dove pure la popolazione era instrabocchevole maggioranza greca, ma rivestita dellacittadinanza romana, san Paolo non si discostò dalla suacostante consuetitudine di presentarsi da prima alla sina-goga. In giorno di sabato egli andò a ricercare gli israe-liti nel luogo del loro settimanale convegno. La primaconvertita fu una mercantessa di porpora, nativa di Tia-tira, Lidia, la quale ospitò senz'altro sotto il suo tetto ipredicatori del nuovo annuncio. Paolo doveva conserva-re fino al tragico crepuscolo della sua vita un soave ri-cordo della sua prima permanenza a Filippi e il suo te-stamento spirituale, dalla «Babilonia» dei sette colli,sarà indirizzato alla comunità che, prima, l'aveva accol-to in territorio europeo e, ultima, mandò l'espressionetangibile del suo amore e della sua riconoscenza all'apo-stolo imprigionato. Ma anche nel nuovo ambito d'azioneil messaggio paolino suscita opposizioni violente. Lafolla composita di tendenze e di predilezioni, scorge nel-la predicazione dell'israelita di Tarso motivi di preoccu-pante sovversivismo. Dopo aver subito una flagellazio-ne, che fu un grave insulto alla sua dignità di cittadinoromano, Paolo riesce misteriosamente a porsi in salvoraggiungendo, sempre sulla Egnazia, Anfipoli, Apollo-

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nia e finalmente il grosso e pulsante centro di Tessaloni-ca. Qui l'opera proselitistica di Paolo, che si protrae perun periodo di tempo di una ampiezza indeterminabile,ma certamente sensibile, ci si rivela nella integrità deisuoi elementi e dei suoi presupposti, perchè il ricordonon ne è più affidato unicamente alla testimonianza ela-borata degli Atti, la quale soggiace a visibili preoccupa-zioni apologetiche e letterarie, bensì anche alle allusionie ai riferimenti personali dell'apostolo, il cui epistolariosuperstite viene d'ora in poi a segnare le tappe salientidel suo zelo e del suo lavoro. Le sorti esteriori della pre-dicazione di Paolo non furono a Tessalonica più feliciche altrove. Ben presto una folla di sfaccendati del Foro,sapientemente aizzata dai giudei, ai quali la predicazio-ne universalistica di Paolo toglieva il privilegio dellapredestinazione al felice Regno di Dio per ampiarlo aquanti riponessero fede nel Cristo risorto, mette a soq-quadro la città, investendolo e circuendolo. E poichènon riesce a catturare il predicatore sedizioso, nè i suoicompagni di peregrinazione, Sila e Timoteo, si sfogacontro colui che li aveva ospitati, Giasone. Le accuseformulate contro gli importuni stranieri al cospetto deipolitarchi furono di tale natura che, per quanto la città diTessalonica avesse conservato i suoi diritti di città libe-ra, anzi forse appunto per questo, nessun magistrato del-la città avrebbe potuto lasciarle cadere inosservate, sen-za provocare qualche misura di rigore da parte del pro-console romano. L'accusa pubblica infatti denunciavaPaolo e i suoi amici di macchinazione contro i decreti di

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nia e finalmente il grosso e pulsante centro di Tessaloni-ca. Qui l'opera proselitistica di Paolo, che si protrae perun periodo di tempo di una ampiezza indeterminabile,ma certamente sensibile, ci si rivela nella integrità deisuoi elementi e dei suoi presupposti, perchè il ricordonon ne è più affidato unicamente alla testimonianza ela-borata degli Atti, la quale soggiace a visibili preoccupa-zioni apologetiche e letterarie, bensì anche alle allusionie ai riferimenti personali dell'apostolo, il cui epistolariosuperstite viene d'ora in poi a segnare le tappe salientidel suo zelo e del suo lavoro. Le sorti esteriori della pre-dicazione di Paolo non furono a Tessalonica più feliciche altrove. Ben presto una folla di sfaccendati del Foro,sapientemente aizzata dai giudei, ai quali la predicazio-ne universalistica di Paolo toglieva il privilegio dellapredestinazione al felice Regno di Dio per ampiarlo aquanti riponessero fede nel Cristo risorto, mette a soq-quadro la città, investendolo e circuendolo. E poichènon riesce a catturare il predicatore sedizioso, nè i suoicompagni di peregrinazione, Sila e Timoteo, si sfogacontro colui che li aveva ospitati, Giasone. Le accuseformulate contro gli importuni stranieri al cospetto deipolitarchi furono di tale natura che, per quanto la città diTessalonica avesse conservato i suoi diritti di città libe-ra, anzi forse appunto per questo, nessun magistrato del-la città avrebbe potuto lasciarle cadere inosservate, sen-za provocare qualche misura di rigore da parte del pro-console romano. L'accusa pubblica infatti denunciavaPaolo e i suoi amici di macchinazione contro i decreti di

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Cesare, per avere apertamente proclamato che si dovevarispettare e temere un altro re: Gesù. Paolo avvertì il pe-ricolo imminente, e di notte – era probabilmente l'autun-no del 48 – fuggì da Tessalonica, verso Berea. Ma la di-stanza intercedente fra le due città, una trentina di chilo-metri a pena, non era tale da porre Paolo pienamente alsicuro dalle ripercussioni del subbuglio ch'egli si era la-sciato alle spalle. Non era male, onde evitare il ripetersidella dolorosa esperienza di Filippi, d'interporre fra sè ecoloro che spiavano le sue parole, un più largo tratto dispazio; e lasciati temporaneamente i suoi amici a Berea,salpava per il Pireo. Ad Atene il suo insuccesso fu deci-so, ma non ne rimase sgomento. Paolo si trasferiva sol-lecitamente a Corinto, dove rimaneva un anno e mezzo,fondando una comunità che fu fonte di cocenti preoccu-pazioni al suo animo di apostolo geloso ed esigente. Giàdurante la breve permanenza ad Atene, sui primi giornidel 50, Paolo era stato raggiunto dal diletto Timoteo, e,impaziente di conoscere lo stato d'animo della piccolaschiera di seguaci, rimasti a Tessalonica ad affrontarel'ira e lo sdegno che non avevano avuto modo di sfogar-si contro di lui, lo aveva rinviato colà ad accertarsi pru-dentemente della loro costanza e della loro saldezza nel-la fiducia. Ora, a Corinto, il giovane discepolo, sbrigato-si con sagace sollecitudine della missione ricevuta, gliaveva recato nuove in complesso soddisfacenti e gliaveva comunicato le incertezze dei fedeli tessalonicesisu alcuni punti delle speranze loro inculcate. Era mortonel frattempo qualche fratello della comunità, e i super-

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Cesare, per avere apertamente proclamato che si dovevarispettare e temere un altro re: Gesù. Paolo avvertì il pe-ricolo imminente, e di notte – era probabilmente l'autun-no del 48 – fuggì da Tessalonica, verso Berea. Ma la di-stanza intercedente fra le due città, una trentina di chilo-metri a pena, non era tale da porre Paolo pienamente alsicuro dalle ripercussioni del subbuglio ch'egli si era la-sciato alle spalle. Non era male, onde evitare il ripetersidella dolorosa esperienza di Filippi, d'interporre fra sè ecoloro che spiavano le sue parole, un più largo tratto dispazio; e lasciati temporaneamente i suoi amici a Berea,salpava per il Pireo. Ad Atene il suo insuccesso fu deci-so, ma non ne rimase sgomento. Paolo si trasferiva sol-lecitamente a Corinto, dove rimaneva un anno e mezzo,fondando una comunità che fu fonte di cocenti preoccu-pazioni al suo animo di apostolo geloso ed esigente. Giàdurante la breve permanenza ad Atene, sui primi giornidel 50, Paolo era stato raggiunto dal diletto Timoteo, e,impaziente di conoscere lo stato d'animo della piccolaschiera di seguaci, rimasti a Tessalonica ad affrontarel'ira e lo sdegno che non avevano avuto modo di sfogar-si contro di lui, lo aveva rinviato colà ad accertarsi pru-dentemente della loro costanza e della loro saldezza nel-la fiducia. Ora, a Corinto, il giovane discepolo, sbrigato-si con sagace sollecitudine della missione ricevuta, gliaveva recato nuove in complesso soddisfacenti e gliaveva comunicato le incertezze dei fedeli tessalonicesisu alcuni punti delle speranze loro inculcate. Era mortonel frattempo qualche fratello della comunità, e i super-

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stiti si domandavano, non senza apprensione, quale nesarebbe stata la sorte, in rapporto alla venuta del Signo-re, non ancora verificatasi durante la loro esistenza cor-porea. Urgeva dunque rassicurare i credenti di Tessalo-nica sul destino, ugualmente glorioso, degli scomparsi,che erano forse congiunti per sangue ad alcuni di loro.La lettera che Paolo spedì senza indugio ai tessalonicesiè appunto un fervido ammonimento alla piena sicurezzae alla serena fiducia. Non si debbono nutrire ansie per ifratelli che si sono frattanto addormentati. Il cristianonon è, come il gentile, privo di speranza: spentosi inCristo, sarà innalzato da Dio al trionfo con Cristo. Ilgiorno non prevedibile in cui il Signore, al suono dellatromba, scenderà dal cielo, i morti risorgeranno prima, ei superstiti li seguiranno sulla via delle nubi. Il momentodella grande palingenesi è ignoto: ma nessuno, per que-sto, deve abbandonarsi a trepidazioni. L'umanità è ormaidivisa nettamente in due schiere: i figli delle tenebre,coloro cioè che hanno perdutamente chiuso gli occhialla verità, e i figli della luce, i credenti. Il trionfo finaledi questi è determinato da un decreto infallibile di Dio,che non ammette revoca. Le perentorie dichiarazioni diPaolo rassicurarono i corrispondenti di Tessalonica sullasorte dei fratelli addormetantisi nel frattempo; ma pro-vocarono inconvenienti di altro genere. Se Iddio chia-mava infallibilmente i credenti non già all'ira, bensì alraggiungimento della salvezza, sì che, dormendo o ve-gliando, essi erano sempre misteriosamente vivi, nelCristo risorto, prossimo ormai a raccogliere i suoi di tra

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stiti si domandavano, non senza apprensione, quale nesarebbe stata la sorte, in rapporto alla venuta del Signo-re, non ancora verificatasi durante la loro esistenza cor-porea. Urgeva dunque rassicurare i credenti di Tessalo-nica sul destino, ugualmente glorioso, degli scomparsi,che erano forse congiunti per sangue ad alcuni di loro.La lettera che Paolo spedì senza indugio ai tessalonicesiè appunto un fervido ammonimento alla piena sicurezzae alla serena fiducia. Non si debbono nutrire ansie per ifratelli che si sono frattanto addormentati. Il cristianonon è, come il gentile, privo di speranza: spentosi inCristo, sarà innalzato da Dio al trionfo con Cristo. Ilgiorno non prevedibile in cui il Signore, al suono dellatromba, scenderà dal cielo, i morti risorgeranno prima, ei superstiti li seguiranno sulla via delle nubi. Il momentodella grande palingenesi è ignoto: ma nessuno, per que-sto, deve abbandonarsi a trepidazioni. L'umanità è ormaidivisa nettamente in due schiere: i figli delle tenebre,coloro cioè che hanno perdutamente chiuso gli occhialla verità, e i figli della luce, i credenti. Il trionfo finaledi questi è determinato da un decreto infallibile di Dio,che non ammette revoca. Le perentorie dichiarazioni diPaolo rassicurarono i corrispondenti di Tessalonica sullasorte dei fratelli addormetantisi nel frattempo; ma pro-vocarono inconvenienti di altro genere. Se Iddio chia-mava infallibilmente i credenti non già all'ira, bensì alraggiungimento della salvezza, sì che, dormendo o ve-gliando, essi erano sempre misteriosamente vivi, nelCristo risorto, prossimo ormai a raccogliere i suoi di tra

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i figli delle tenebre, a che pro darsi da fare per le curedella stessa esistenza materiale? Non restava che abban-donarsi inerti alla aspettativa fiduciosa dello svolgimen-to del dramma cosmico, il cui epilogo doveva trovaresuperstiti parecchi dei convertiti da Paolo. La secondalettera ai Tessalonicesi fu pertanto un consiglio di pa-zienza e nel medesimo tempo di operosità. Lo spiega-mento della catastrofe parusiaca non è avvenimento tan-to sommario ed immediato, quanto i semplicisti fedeli diTessalonica amerebbero credere. Esso implica parecchiatti successivi, qualcuno dei quali anzi dipende dallosforzo stesso dei credenti nella palingenesi. Con parolecaute, con circonlocuzioni misteriose, imposte dalla de-licatezza dell'argomento e dalla necessità di non esporreil latore ed i lettori della missiva a crudeli rappresaglie,Paolo accenna in essa, pertanto, agli eventi preparatori epremonitori del grande giorno del Signore. Innanzi tuttodoveva scoppiare l'apostasia, una specie cioè di solleva-zione in massa contro l'impero dei Cesari, mostruosiprofanatori, specialmente con la loro blasfema pretesa dionori divini, di quanto v'è di sacro nello spiritodell'uomo e della vita associata. Allora avrebbe avutomodo di manifestarsi, senza freni e senza riguardi,l'uomo della empietà, quegli che è funzionalmente fuoridella legge, il figlio perduto, il nemico per antonomasia,colui il quale vuole innalzarsi al di sopra di quanto è ri-tenuto divino ed è oggetto di culto, sì da presumere dipoter prendere il posto del vero Dio nel suo tempio e diproclamare sè, Dio: vale a dire, il sovrano imperiale,

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i figli delle tenebre, a che pro darsi da fare per le curedella stessa esistenza materiale? Non restava che abban-donarsi inerti alla aspettativa fiduciosa dello svolgimen-to del dramma cosmico, il cui epilogo doveva trovaresuperstiti parecchi dei convertiti da Paolo. La secondalettera ai Tessalonicesi fu pertanto un consiglio di pa-zienza e nel medesimo tempo di operosità. Lo spiega-mento della catastrofe parusiaca non è avvenimento tan-to sommario ed immediato, quanto i semplicisti fedeli diTessalonica amerebbero credere. Esso implica parecchiatti successivi, qualcuno dei quali anzi dipende dallosforzo stesso dei credenti nella palingenesi. Con parolecaute, con circonlocuzioni misteriose, imposte dalla de-licatezza dell'argomento e dalla necessità di non esporreil latore ed i lettori della missiva a crudeli rappresaglie,Paolo accenna in essa, pertanto, agli eventi preparatori epremonitori del grande giorno del Signore. Innanzi tuttodoveva scoppiare l'apostasia, una specie cioè di solleva-zione in massa contro l'impero dei Cesari, mostruosiprofanatori, specialmente con la loro blasfema pretesa dionori divini, di quanto v'è di sacro nello spiritodell'uomo e della vita associata. Allora avrebbe avutomodo di manifestarsi, senza freni e senza riguardi,l'uomo della empietà, quegli che è funzionalmente fuoridella legge, il figlio perduto, il nemico per antonomasia,colui il quale vuole innalzarsi al di sopra di quanto è ri-tenuto divino ed è oggetto di culto, sì da presumere dipoter prendere il posto del vero Dio nel suo tempio e diproclamare sè, Dio: vale a dire, il sovrano imperiale,

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nella cui persona e nelle cui temerarie prerogative Romapagana aveva sintetizzato tutte le capacità malefichedella sua politica sopraffattrice. Attualmente c'è qualco-sa che trattiene costui dallo spiegare tutta l'azione fune-sta e perversa che è potenzialmente nei suoi poteri e nel-le sue tiranniche attribuzioni. Tale forza raffrenatrice èrappresentata dai legati e dai proconsoli: gente che vivea contatto con le popolazioni soggette, che ne sa quindi ibisogni e ne rispetta le aspirazioni. Costoro tengono abada, per quanto è in loro, l'oscura forza di male che ènel potere centrale e, per ciò stesso, scongiurano e ritar-dano lo scoppio liberatore della generale apostasia. Il ri-tardo è provvidenziale: l'empio deve manifestarsi al mo-mento assegnato, non un istante prima. Se il misterodella iniquità è già in opera, la pienezza del suo malva-gio influsso subisce freni provvisori. Solo l'apostasia co-stringerà l'empio a fare obbrobrioso sfoggio delle suebrutali risorse, a cercar di rafforzare il suo trono trabal-lante con tutti i mezzi che Satana porrà a sua disposizio-ne. Invano! Allora il Signore Gesù apparirà, per annien-tarlo col semplice alito della sua bocca, per polverizzar-lo col balenante fulgore della sua apparizione. Se questala certezza dei credenti, le male e subdole arti dell'empiopossono, sì, sedurre i ricercatori della ingiustizia e glisprezzatori della verità, già destinati all'eterna perdizio-ne, ma sono spoglie di qualsiasi fascino agli occhi di co-loro che amano tenacemente il vero e recano nel propriogrembo la predestinazione alla salvezza.

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nella cui persona e nelle cui temerarie prerogative Romapagana aveva sintetizzato tutte le capacità malefichedella sua politica sopraffattrice. Attualmente c'è qualco-sa che trattiene costui dallo spiegare tutta l'azione fune-sta e perversa che è potenzialmente nei suoi poteri e nel-le sue tiranniche attribuzioni. Tale forza raffrenatrice èrappresentata dai legati e dai proconsoli: gente che vivea contatto con le popolazioni soggette, che ne sa quindi ibisogni e ne rispetta le aspirazioni. Costoro tengono abada, per quanto è in loro, l'oscura forza di male che ènel potere centrale e, per ciò stesso, scongiurano e ritar-dano lo scoppio liberatore della generale apostasia. Il ri-tardo è provvidenziale: l'empio deve manifestarsi al mo-mento assegnato, non un istante prima. Se il misterodella iniquità è già in opera, la pienezza del suo malva-gio influsso subisce freni provvisori. Solo l'apostasia co-stringerà l'empio a fare obbrobrioso sfoggio delle suebrutali risorse, a cercar di rafforzare il suo trono trabal-lante con tutti i mezzi che Satana porrà a sua disposizio-ne. Invano! Allora il Signore Gesù apparirà, per annien-tarlo col semplice alito della sua bocca, per polverizzar-lo col balenante fulgore della sua apparizione. Se questala certezza dei credenti, le male e subdole arti dell'empiopossono, sì, sedurre i ricercatori della ingiustizia e glisprezzatori della verità, già destinati all'eterna perdizio-ne, ma sono spoglie di qualsiasi fascino agli occhi di co-loro che amano tenacemente il vero e recano nel propriogrembo la predestinazione alla salvezza.

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Con questi incitamenti fieri e consolanti Paolo chiudela sua «apocalissi». Ma mentre egli provvedeva così arafforzare la fede e a stimolare l'operosità dei lontani,non toglieva un lembo della sua anima ai vicini. Corintosi era offerta come una materia facilmente infiammabileal fuoco del suo proselitismo. Città composita sotto ognipunto di vista, presentava un terreno quanto mai propi-zio ad ogni genere di seminagioni e ambiente adatto allapiù variata gamma di esperienze. Adagiata su uno stret-to istmo che l'apriva ai due più nutriti orientamenti com-merciali del mondo antico nel Mediterraneo orientale,pulsava di traffici e offriva quelle mille possibilità di agiche sembrano racchiudere la più paradossale virtù di in-clinare alle forme nuove della vita spirituale e di solleci-tare le più pungenti inquietitudini. I suoi giuochi famosine facevano un centro dei più eterogenei incontri di raz-ze e di culture. Il suo popolare culto di Afrodite sanzio-nava la più sfrenata licenziosità, creando una atmosferadi rilassatezza e di stanchezza che, per una di quelle ec-centriche contradizioni di cui si alimenta la vita dellospirito, è probabilmente la meglio acconcia a favorire lesubite e ardenti aspirazioni alla purezza e alla perfezio-ne. Per affinità di mestiere Paolo scelse la sua dimorapresso due amici israeliti, facitori di tende, originari delPonto, ma provenienti da Roma, donde eran dovuti fug-gire di recente, in seguito ad un provvedimento antise-mita di Claudio. Secondo il suo consueto metodo, Paoloiniziò la sua opera missionaria a Corinto in seno alla si-nagoga. La sua predicazione era semplice e disadorna.

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Con questi incitamenti fieri e consolanti Paolo chiudela sua «apocalissi». Ma mentre egli provvedeva così arafforzare la fede e a stimolare l'operosità dei lontani,non toglieva un lembo della sua anima ai vicini. Corintosi era offerta come una materia facilmente infiammabileal fuoco del suo proselitismo. Città composita sotto ognipunto di vista, presentava un terreno quanto mai propi-zio ad ogni genere di seminagioni e ambiente adatto allapiù variata gamma di esperienze. Adagiata su uno stret-to istmo che l'apriva ai due più nutriti orientamenti com-merciali del mondo antico nel Mediterraneo orientale,pulsava di traffici e offriva quelle mille possibilità di agiche sembrano racchiudere la più paradossale virtù di in-clinare alle forme nuove della vita spirituale e di solleci-tare le più pungenti inquietitudini. I suoi giuochi famosine facevano un centro dei più eterogenei incontri di raz-ze e di culture. Il suo popolare culto di Afrodite sanzio-nava la più sfrenata licenziosità, creando una atmosferadi rilassatezza e di stanchezza che, per una di quelle ec-centriche contradizioni di cui si alimenta la vita dellospirito, è probabilmente la meglio acconcia a favorire lesubite e ardenti aspirazioni alla purezza e alla perfezio-ne. Per affinità di mestiere Paolo scelse la sua dimorapresso due amici israeliti, facitori di tende, originari delPonto, ma provenienti da Roma, donde eran dovuti fug-gire di recente, in seguito ad un provvedimento antise-mita di Claudio. Secondo il suo consueto metodo, Paoloiniziò la sua opera missionaria a Corinto in seno alla si-nagoga. La sua predicazione era semplice e disadorna.

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Tema: il Cristo e il significato della sua crocifissione;prospettiva: il suo ritorno glorioso e l'immortalità deisuoi adepti; disciplina associata: i riti dell'iniziazione edel pasto fraterno. Più tardi, in una delle loro frequenticrisi di raffreddamento e di infedeltà, i convertiti di Co-rinto si andavano sussurrando a vicenda che Paolo eraaltrettanto severo e veemente nelle lettere, che pavidoed esitante nel suo discorrere. Ma Paolo potrà in co-scienza rispondere di non essersi sentito mai difformeda sè stesso e che il suo vangelo egli l'aveva annunciato,sopra tutto, attraverso l'esplosione dello spirito e deisuoi segni prodigiosi. Ma il suo aperto rinnegamento deiloro privilegi etnici e confessionali; la sua costituzionaleincapacità di assumere arie di disdegno e di sussiego difronte al più umile scaricatore pagano del porto di Cene-re; la sua audace spregiudicatezza nel mescolarsi allavita circostante, senza il benchè minimo scrupolo e sen-za la più lieve ripugnanza alle mille sottili impurità, chetale contatto esponeva fatalmente a contrarre; dovevanoanche qui suscitargli l'astiosa e petulante avversione deisuoi fratelli di sangue. Paolo, senz'altro, li abbandonò alloro destino e si rivolse unicamente ai gentili. Sede diriunione fu allora la casa di un tal Tizio Giusto, non lon-tana dalla sinagoga. Può darsi che i dieciotto mesi tra-scorsi a Corinto siano stati i più ricchi di emozioni nellatravagliata vita dell'apostolo. Assistere quotidianamentealla trasfusione della propria più cara esperienza in ani-me di solidali e di amici; vedere il proprio sogno e ilproprio ideale assumere valore normativo per gruppi di

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Tema: il Cristo e il significato della sua crocifissione;prospettiva: il suo ritorno glorioso e l'immortalità deisuoi adepti; disciplina associata: i riti dell'iniziazione edel pasto fraterno. Più tardi, in una delle loro frequenticrisi di raffreddamento e di infedeltà, i convertiti di Co-rinto si andavano sussurrando a vicenda che Paolo eraaltrettanto severo e veemente nelle lettere, che pavidoed esitante nel suo discorrere. Ma Paolo potrà in co-scienza rispondere di non essersi sentito mai difformeda sè stesso e che il suo vangelo egli l'aveva annunciato,sopra tutto, attraverso l'esplosione dello spirito e deisuoi segni prodigiosi. Ma il suo aperto rinnegamento deiloro privilegi etnici e confessionali; la sua costituzionaleincapacità di assumere arie di disdegno e di sussiego difronte al più umile scaricatore pagano del porto di Cene-re; la sua audace spregiudicatezza nel mescolarsi allavita circostante, senza il benchè minimo scrupolo e sen-za la più lieve ripugnanza alle mille sottili impurità, chetale contatto esponeva fatalmente a contrarre; dovevanoanche qui suscitargli l'astiosa e petulante avversione deisuoi fratelli di sangue. Paolo, senz'altro, li abbandonò alloro destino e si rivolse unicamente ai gentili. Sede diriunione fu allora la casa di un tal Tizio Giusto, non lon-tana dalla sinagoga. Può darsi che i dieciotto mesi tra-scorsi a Corinto siano stati i più ricchi di emozioni nellatravagliata vita dell'apostolo. Assistere quotidianamentealla trasfusione della propria più cara esperienza in ani-me di solidali e di amici; vedere il proprio sogno e ilproprio ideale assumere valore normativo per gruppi di

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aderenti, pronti ad accomunarsi, compagni, sul medesi-mo periglioso sentiero; cogliere intorno a sè il costituirsiineffabile di un'atmosfera mistica, in cui la vita associatariesce a generare la disciplina per la comune elevazionenel bene; ecco indubbiamente il più squisito dono chel'esistenza possa concedere ad anime d'eccezione. Paololo ebbe abbondante. Ma all'inizio di un nuovo proconso-lato, anche a Corinto l'opposizione giudaica, conniventel'autorità romana, assunse tal forma che Paolo, già desi-deroso del resto di riprendere contatto con le communitàmadri, affrettò il suo imbarco per la Siria. Approdò adEfeso, sulla costa ionica, dove mai aveva svolto la suapropaganda. Di là riprese il mare per Cesarea, salì di quia Gerusalemme, discese quindi alla sua fedele Antio-chia. La situazione cristiana in Siria e in Palestina nonera tale da richiedere una lunga permanenza dell'aposto-lo nei luoghi del suo primo tirocinio e delle sue primebattaglie. Ormai il periodico ritorno ai centri di irradia-zione del messaggio cristiano non poteva avere per luialtra ragione che il bisogno di mantenere i contatti con ifocolai più antichi e più autorevoli della fede, ripercos-sasi in breve su un perimetro incalcolabilmente più va-sto e più promettente di quello che non avessero volutoripromettersi i primi nuclei di credenti palestinesi. L'ani-ma dell'apostolo gravitava con desiderio e preoccupa-zione sempre più ardenti e sempre più inquieti verso lecomunità della nuova «diaspora», ch'egli aveva costitui-to attraverso difficoltà così spinose e sotto l'impulso diuna audacia così gravida di incertezze e per ciò stesso

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aderenti, pronti ad accomunarsi, compagni, sul medesi-mo periglioso sentiero; cogliere intorno a sè il costituirsiineffabile di un'atmosfera mistica, in cui la vita associatariesce a generare la disciplina per la comune elevazionenel bene; ecco indubbiamente il più squisito dono chel'esistenza possa concedere ad anime d'eccezione. Paololo ebbe abbondante. Ma all'inizio di un nuovo proconso-lato, anche a Corinto l'opposizione giudaica, conniventel'autorità romana, assunse tal forma che Paolo, già desi-deroso del resto di riprendere contatto con le communitàmadri, affrettò il suo imbarco per la Siria. Approdò adEfeso, sulla costa ionica, dove mai aveva svolto la suapropaganda. Di là riprese il mare per Cesarea, salì di quia Gerusalemme, discese quindi alla sua fedele Antio-chia. La situazione cristiana in Siria e in Palestina nonera tale da richiedere una lunga permanenza dell'aposto-lo nei luoghi del suo primo tirocinio e delle sue primebattaglie. Ormai il periodico ritorno ai centri di irradia-zione del messaggio cristiano non poteva avere per luialtra ragione che il bisogno di mantenere i contatti con ifocolai più antichi e più autorevoli della fede, ripercos-sasi in breve su un perimetro incalcolabilmente più va-sto e più promettente di quello che non avessero volutoripromettersi i primi nuclei di credenti palestinesi. L'ani-ma dell'apostolo gravitava con desiderio e preoccupa-zione sempre più ardenti e sempre più inquieti verso lecomunità della nuova «diaspora», ch'egli aveva costitui-to attraverso difficoltà così spinose e sotto l'impulso diuna audacia così gravida di incertezze e per ciò stesso

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così inebriante. Dopo aver trascorso un breve periodo diriprova e di ristoro ad Antiochia, Paolo, camminatoreinfaticabile, riprendeva l'itinerario del suo precedenteviaggio di ricognizione, visitava per la terza volta le co-munità galatiche, e poi piegava risolutamente verso oc-cidente e si arrestava ad Efeso, dove sarebbe rimasto,con brevi parentesi, tre anni circa, quotidianamente im-partendo le sue istruzioni e sostenendo contradittori vi-vaci nella casa di un maestro di filosofia, tal Tiranno.Efeso si prestava mirabilmente al programma dell'apo-stolo, che si appressava ormai al meriggio delle sue po-tenzialità di messaggero. Terreno nuovo e eccezional-mente proprio alla sua insaziabile avidità di proseliti-smo, Efeso costituiva anche un favorevole posto di os-servazione per seguire da non troppa distanza gli svilup-pi e le crisi delle comunità della Macedonia e dell'Acaia.D'altro canto il pensiero dell'originalissimo convertitotoccava ormai la pienezza della sua organicità e dellasua maturazione. Paolo avvertiva, senza anguste mode-stie, tutta l'eccezionale potenza del suo «vangelo» e ognigiorno più acutamente era sospinto dal bisogno di co-municarne la formulazione ad una cerchia di proselitipiù numerosa e più scelta. La sua parola non sarebbe ungiorno o l'altro pervenuta anche a Roma? Frattanto, frauna discussione e l'altra con gli elementi più disparatidel mondo colto e religioso della città di Diana, l'aposto-lo cominciava a sperimentare le prime ansie per le sortimorali e disciplinari della comunità di Corinto. Le noti-zie che gliene giungevano non lo allietavano gran che.

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così inebriante. Dopo aver trascorso un breve periodo diriprova e di ristoro ad Antiochia, Paolo, camminatoreinfaticabile, riprendeva l'itinerario del suo precedenteviaggio di ricognizione, visitava per la terza volta le co-munità galatiche, e poi piegava risolutamente verso oc-cidente e si arrestava ad Efeso, dove sarebbe rimasto,con brevi parentesi, tre anni circa, quotidianamente im-partendo le sue istruzioni e sostenendo contradittori vi-vaci nella casa di un maestro di filosofia, tal Tiranno.Efeso si prestava mirabilmente al programma dell'apo-stolo, che si appressava ormai al meriggio delle sue po-tenzialità di messaggero. Terreno nuovo e eccezional-mente proprio alla sua insaziabile avidità di proseliti-smo, Efeso costituiva anche un favorevole posto di os-servazione per seguire da non troppa distanza gli svilup-pi e le crisi delle comunità della Macedonia e dell'Acaia.D'altro canto il pensiero dell'originalissimo convertitotoccava ormai la pienezza della sua organicità e dellasua maturazione. Paolo avvertiva, senza anguste mode-stie, tutta l'eccezionale potenza del suo «vangelo» e ognigiorno più acutamente era sospinto dal bisogno di co-municarne la formulazione ad una cerchia di proselitipiù numerosa e più scelta. La sua parola non sarebbe ungiorno o l'altro pervenuta anche a Roma? Frattanto, frauna discussione e l'altra con gli elementi più disparatidel mondo colto e religioso della città di Diana, l'aposto-lo cominciava a sperimentare le prime ansie per le sortimorali e disciplinari della comunità di Corinto. Le noti-zie che gliene giungevano non lo allietavano gran che.

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La vita morale dei singoli credenti colà non si era tra-sformata sotto l'impulso travolgente della nuova fede,com'egli aveva sognato, e le vecchie consuetudini licen-ziose non avevano abbandonato i convertiti. San Paoloscrisse a Corinto una prima lettera nella quale, ribaden-do un suo fondamentale presupposto, che la nostra vitaetica è quale la foggiano le nostre relazioni sociali e lenostre amicizie e che un'esigua porzione di frumentoriesce a far lievitare tutta una massa, inculcava, severa-mente, ai suoi corrispondenti la tattica dell'allontana-mento da quanti menassero vita sregolata. La primamissiva dell'apostolo destò a Corinto, come le successi-ve, sebbene in un grado di minore intensità, una com-plessa impressione di sgomento e di irritazione. Fra sanPaolo e la sua comunità preferita si delineò fin da alloraquello strano tipo di relazioni, fra affezionate e permalo-se che costituisce l'accompagnamento abituale dei pro-fondi sentimenti e che potremo osservare in tutto il pe-riodo del quale l'epistolario superstite ci ha conservatola documentazione. O che cosa mai veniva in menteall'apostolo, di raccomandare l'allontanamento dai forni-catori, in una città come Corinto, il cui nome stesso ave-va dato origine a un verbo, che era sinonimo del viverelicenziosamente? Imponeva, niente niente, che i suoiconvertiti uscissero dalla vita e si sequestrassero nellasolitudine? Pensarono di chiedergli delle spiegazioni epoichè altri quesiti, d'indole pratica e d'indole teoretica,si erano presentati nella maniera di interpretare e di ap-plicare il messaggio ricevuto, li formularono tutti in una

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La vita morale dei singoli credenti colà non si era tra-sformata sotto l'impulso travolgente della nuova fede,com'egli aveva sognato, e le vecchie consuetudini licen-ziose non avevano abbandonato i convertiti. San Paoloscrisse a Corinto una prima lettera nella quale, ribaden-do un suo fondamentale presupposto, che la nostra vitaetica è quale la foggiano le nostre relazioni sociali e lenostre amicizie e che un'esigua porzione di frumentoriesce a far lievitare tutta una massa, inculcava, severa-mente, ai suoi corrispondenti la tattica dell'allontana-mento da quanti menassero vita sregolata. La primamissiva dell'apostolo destò a Corinto, come le successi-ve, sebbene in un grado di minore intensità, una com-plessa impressione di sgomento e di irritazione. Fra sanPaolo e la sua comunità preferita si delineò fin da alloraquello strano tipo di relazioni, fra affezionate e permalo-se che costituisce l'accompagnamento abituale dei pro-fondi sentimenti e che potremo osservare in tutto il pe-riodo del quale l'epistolario superstite ci ha conservatola documentazione. O che cosa mai veniva in menteall'apostolo, di raccomandare l'allontanamento dai forni-catori, in una città come Corinto, il cui nome stesso ave-va dato origine a un verbo, che era sinonimo del viverelicenziosamente? Imponeva, niente niente, che i suoiconvertiti uscissero dalla vita e si sequestrassero nellasolitudine? Pensarono di chiedergli delle spiegazioni epoichè altri quesiti, d'indole pratica e d'indole teoretica,si erano presentati nella maniera di interpretare e di ap-plicare il messaggio ricevuto, li formularono tutti in una

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lettera che, con altri ragguagli pervenutigli attraverso glischiavi di una tal Cloe, i quali, per ragioni probabilmen-te commerciali, facevano spesso la traversata fra Corin-to ed Efeso, diede a Paolo un quadro esatto della situa-zione e una sensazione viva della necessità del suo in-tervento preciso e sollecito. Non è da escludersi cheApollo, un giudeo alessandrino molto esperto nella in-terpretazione della legge, che aveva aderito a Cristo,non disgiungendo però tale fede da una sua antecedenteadesione alla iniziazione battesimale di Giovanni, e cheda Efeso, ben provvisto di lettere commendatizie, si eratrasferito a Corinto per svolgere la sua opera di propa-gandista in seno alla comunità, avesse soffiato subdola-mente sul fuoco. Facendo sfoggio di tutte le sue rare ca-pacità dialettiche ed oratorie, questo Apollo era di fattoriuscito a crearsi già un partito fra i fedeli corinzi, e tuttolascia supporre ch'egli cercasse di soppiantare colà il fa-scino e l'autorevolezza di Paolo. Nel momento in cuiquesti si accingeva ad intervenire, la situazione eraestremamente delicata. Apollo, probabilmente preoccu-pato dalle problematiche e oscure ripercussioni del suooperato, era tornato ad Efeso e si trovava presso all'apo-stolo. San Paolo sapeva molto bene quale fosse statal'insidia tesa da costui alla semplice e lineare sua lineadi condotta fra i convertiti di Corinto. Non avrebbe po-tuto rispondere alle interpellanze dei suoi corrispondentidell'Acaia senza levare alta la sua voce contro le discor-die suscitate da vane rivalità concettuali. D'altro canto icorrispondenti di Corinto avevano osato nella loro mis-

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lettera che, con altri ragguagli pervenutigli attraverso glischiavi di una tal Cloe, i quali, per ragioni probabilmen-te commerciali, facevano spesso la traversata fra Corin-to ed Efeso, diede a Paolo un quadro esatto della situa-zione e una sensazione viva della necessità del suo in-tervento preciso e sollecito. Non è da escludersi cheApollo, un giudeo alessandrino molto esperto nella in-terpretazione della legge, che aveva aderito a Cristo,non disgiungendo però tale fede da una sua antecedenteadesione alla iniziazione battesimale di Giovanni, e cheda Efeso, ben provvisto di lettere commendatizie, si eratrasferito a Corinto per svolgere la sua opera di propa-gandista in seno alla comunità, avesse soffiato subdola-mente sul fuoco. Facendo sfoggio di tutte le sue rare ca-pacità dialettiche ed oratorie, questo Apollo era di fattoriuscito a crearsi già un partito fra i fedeli corinzi, e tuttolascia supporre ch'egli cercasse di soppiantare colà il fa-scino e l'autorevolezza di Paolo. Nel momento in cuiquesti si accingeva ad intervenire, la situazione eraestremamente delicata. Apollo, probabilmente preoccu-pato dalle problematiche e oscure ripercussioni del suooperato, era tornato ad Efeso e si trovava presso all'apo-stolo. San Paolo sapeva molto bene quale fosse statal'insidia tesa da costui alla semplice e lineare sua lineadi condotta fra i convertiti di Corinto. Non avrebbe po-tuto rispondere alle interpellanze dei suoi corrispondentidell'Acaia senza levare alta la sua voce contro le discor-die suscitate da vane rivalità concettuali. D'altro canto icorrispondenti di Corinto avevano osato nella loro mis-

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siva chiedere a Paolo che inviasse loro, nuovamente,l'amato parlatore alessandrino. Non era questa imperti-nente domanda un cavallo di ritorno? Paolo si cavòd'impaccio con abilità pari alla franchezza. In comples-so, la sua risposta è una molteplice dilucidazione occa-sionale: essa mira a fronteggiare temporanee emergenzenella vita spirituale della comunità corinzia. Ma l'apo-stolo trasfonde nelle sentenze della sua chiaroveggentereligiosità una così intima e traboccante consapevolezzadella sublime nobiltà del Vangelo da lui bandito, cheesse si sono fissate, come verdetti incancellabili, nelfluttuare millenario dell'etica cristiana. Paolo cominciacol deplorare, con una forza sottile di allusioni, di giuo-chi di parole, di argomentazioni personali, della quale laparziale conoscenza delle reali circostanze di fatto nonci fa nè pur riconoscere la reale portata, lo scoppio dellediscordie tra i fedeli dell'Acaia. L'apparizione di Apollonella comunità che era sorta su dall'annuncio disadornoma impetuoso e rovente di Paolo, aveva portato lo scon-volgimento in molti cervelli. Un nucleo di fedeli avevasenz'altro rinnegato il primo banditore della nuova fedeche li aveva generati a Cristo, e si era nettamente schie-rato con il raffinato esegeta e l'affascinante oratore,esperto in tutte le risorse del simbolismo alessandrino.Di rimbalzo i fedeli dell'apostolo avevano inalberato ilsuo nome come un vessillo. Altri, non volendo, legger-mente, passare armi e bagagli al novatore, ma in paritempo avendo quasi vergogna di raccogliersi sottol'insegna di Paolo, pensarono bene di assumere a distin-

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siva chiedere a Paolo che inviasse loro, nuovamente,l'amato parlatore alessandrino. Non era questa imperti-nente domanda un cavallo di ritorno? Paolo si cavòd'impaccio con abilità pari alla franchezza. In comples-so, la sua risposta è una molteplice dilucidazione occa-sionale: essa mira a fronteggiare temporanee emergenzenella vita spirituale della comunità corinzia. Ma l'apo-stolo trasfonde nelle sentenze della sua chiaroveggentereligiosità una così intima e traboccante consapevolezzadella sublime nobiltà del Vangelo da lui bandito, cheesse si sono fissate, come verdetti incancellabili, nelfluttuare millenario dell'etica cristiana. Paolo cominciacol deplorare, con una forza sottile di allusioni, di giuo-chi di parole, di argomentazioni personali, della quale laparziale conoscenza delle reali circostanze di fatto nonci fa nè pur riconoscere la reale portata, lo scoppio dellediscordie tra i fedeli dell'Acaia. L'apparizione di Apollonella comunità che era sorta su dall'annuncio disadornoma impetuoso e rovente di Paolo, aveva portato lo scon-volgimento in molti cervelli. Un nucleo di fedeli avevasenz'altro rinnegato il primo banditore della nuova fedeche li aveva generati a Cristo, e si era nettamente schie-rato con il raffinato esegeta e l'affascinante oratore,esperto in tutte le risorse del simbolismo alessandrino.Di rimbalzo i fedeli dell'apostolo avevano inalberato ilsuo nome come un vessillo. Altri, non volendo, legger-mente, passare armi e bagagli al novatore, ma in paritempo avendo quasi vergogna di raccogliersi sottol'insegna di Paolo, pensarono bene di assumere a distin-

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tivo un nome più autorevole che quello di entrambi: e sidissero di Cristo o di Pietro. San Paolo li riprende inblocco. Il Vangelo è la salvezza nel Cristo: che cosacontano dinanzi all'ineffabile mistero della sua croce ri-scattatrice i trasmettitori della sua parola? L'argomenta-zione di Paolo è serrata e precisa: «Ma dunque è divisoil Cristo? Forse è Paolo che fu crocefisso per voi o è alnome di Paolo che foste iniziati? Il Cristo mi mandò adannunciare la buona novella, non già nel vano sfolgoriodella parola, onde non sia paralizzata la efficacia dellasua croce». E giuocando argutamente sulla rassomi-glianza fra il nome del competitore e il participio delverbo greco «perdersi», Paolo continuava: «Il messag-gio della croce infatti per quei che si perdono è stoltez-za; per noi invece destinati alla salvazione è manifesta-zione della potenza prodigiosa di Dio. Poichè è scritto:renderò vana la sapienza dei sapienti e nulla la accortez-za dei saggi. Dove è mai il sapiente ormai, dove lo scri-ba, dove il ragionatore di questo secolo? Non ha forseIddio trionfalmente trasformato in insipienza la sapienzadel mondo? Secondo le alte disposizioni della divina sa-pienza, il mondo non riuscì con la sua dialettica a rico-noscere Dio. Per questo piacque al Signore di salvare icredenti mediante la stoltezza di una nuova predicazio-ne. I giudei vanno alla caccia di segni prodigiosi e i gre-ci ricercano ansiosamente la cultura: noi invece predi-chiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, folliaper i gentili, sapienza e potenza di Dio per noi chiamatial grande destino». Polverizzata così, in sede teorica, la

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tivo un nome più autorevole che quello di entrambi: e sidissero di Cristo o di Pietro. San Paolo li riprende inblocco. Il Vangelo è la salvezza nel Cristo: che cosacontano dinanzi all'ineffabile mistero della sua croce ri-scattatrice i trasmettitori della sua parola? L'argomenta-zione di Paolo è serrata e precisa: «Ma dunque è divisoil Cristo? Forse è Paolo che fu crocefisso per voi o è alnome di Paolo che foste iniziati? Il Cristo mi mandò adannunciare la buona novella, non già nel vano sfolgoriodella parola, onde non sia paralizzata la efficacia dellasua croce». E giuocando argutamente sulla rassomi-glianza fra il nome del competitore e il participio delverbo greco «perdersi», Paolo continuava: «Il messag-gio della croce infatti per quei che si perdono è stoltez-za; per noi invece destinati alla salvazione è manifesta-zione della potenza prodigiosa di Dio. Poichè è scritto:renderò vana la sapienza dei sapienti e nulla la accortez-za dei saggi. Dove è mai il sapiente ormai, dove lo scri-ba, dove il ragionatore di questo secolo? Non ha forseIddio trionfalmente trasformato in insipienza la sapienzadel mondo? Secondo le alte disposizioni della divina sa-pienza, il mondo non riuscì con la sua dialettica a rico-noscere Dio. Per questo piacque al Signore di salvare icredenti mediante la stoltezza di una nuova predicazio-ne. I giudei vanno alla caccia di segni prodigiosi e i gre-ci ricercano ansiosamente la cultura: noi invece predi-chiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, folliaper i gentili, sapienza e potenza di Dio per noi chiamatial grande destino». Polverizzata così, in sede teorica, la

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base di una qualsiasi preminenza delle qualità razionalie culturali nell'economia ineffabile del mistero e dellareligiosità, Paolo investe, in sede pratica, senza miseri-cordia, i titoli accampati da Apollo sull'eredità contesadel suo lavoro missionario. «Che cosa crede di essereApollo? Che cosa del resto è anche Paolo? L'uno el'altro ministri, attraverso i quali voi perveniste alla fede,ciascuno con le capacità di cui Dio l'insignì. Io piantai:Apollo abbeverò la pianta: ma Dio solo diede lo svilup-po della vegetazione, e questo solo conta. Da coscien-zioso architetto, gettai le fondamenta: altri si è accinto acostruirvi su. Badi però ciascuno come sovredifica. Per-chè nessuno può scambiare un altro fondamento a quel-lo giacente: e questo è, niente meno, Gesù Cristo. Glielementi poi di cui si compone la sovredificazione, oro,argento, pietre preziose, legno, ferro, canna, non dubita-te, appariranno attraverso il disvelamento dell'opera diciascuno. Voi siete il tempio santo di Dio; guai a chi locontamina!»

Sbarazzato così il terreno dalla questione pregiudizia-le, che aveva determinato a Corinto la costituzione diraggruppamenti rivali fra loro, la solidità cioè dell'apo-stolato dotto e suasivo di Apollo, Paolo autorevolmenteriprende la comunità per le indisciplinatezze di cui gliera giunto sentore (un caso d'incesto, appello ai tribunaliprofani per dirimere controversie sorte tra i «fratelli»).Quindi ritorna sull'esortazione alla morigeratezza, cheera stato il tema della sua precedente lettera. Egli nonaveva voluto dire che i «santi» dovessero recidere ogni

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base di una qualsiasi preminenza delle qualità razionalie culturali nell'economia ineffabile del mistero e dellareligiosità, Paolo investe, in sede pratica, senza miseri-cordia, i titoli accampati da Apollo sull'eredità contesadel suo lavoro missionario. «Che cosa crede di essereApollo? Che cosa del resto è anche Paolo? L'uno el'altro ministri, attraverso i quali voi perveniste alla fede,ciascuno con le capacità di cui Dio l'insignì. Io piantai:Apollo abbeverò la pianta: ma Dio solo diede lo svilup-po della vegetazione, e questo solo conta. Da coscien-zioso architetto, gettai le fondamenta: altri si è accinto acostruirvi su. Badi però ciascuno come sovredifica. Per-chè nessuno può scambiare un altro fondamento a quel-lo giacente: e questo è, niente meno, Gesù Cristo. Glielementi poi di cui si compone la sovredificazione, oro,argento, pietre preziose, legno, ferro, canna, non dubita-te, appariranno attraverso il disvelamento dell'opera diciascuno. Voi siete il tempio santo di Dio; guai a chi locontamina!»

Sbarazzato così il terreno dalla questione pregiudizia-le, che aveva determinato a Corinto la costituzione diraggruppamenti rivali fra loro, la solidità cioè dell'apo-stolato dotto e suasivo di Apollo, Paolo autorevolmenteriprende la comunità per le indisciplinatezze di cui gliera giunto sentore (un caso d'incesto, appello ai tribunaliprofani per dirimere controversie sorte tra i «fratelli»).Quindi ritorna sull'esortazione alla morigeratezza, cheera stato il tema della sua precedente lettera. Egli nonaveva voluto dire che i «santi» dovessero recidere ogni

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rapporto con qualsiasi fosse maculato di fornicazione.Che cosa importava a Paolo dei fornicatori di questomondo? Egli non aveva di mira che la purezza della suacomunità. E a questa aveva prescritto di condannareall'isolamento e all'ostracismo chiunque profanasse lasua esperienza con le opere fosche della concupiscenzacarnale. La consapevolezza del vincolo che stringe ognifedele alla massa dei fratelli nella fede e nella speranza,a quella massa in cui si perpetua la vita mistica del Si-gnore, costituisce, nella pedagogia paolina, arditamentesvincolata da ogni norma esteriore, la nuova radice dellapurità e della virtù inculcata ai credenti. Ormai il fedelenon appartiene più a sè stesso. Entrato a far parte, attra-verso l'iniziazione battesimale, di un organismo mistico,che è il proiettarsi del Signore nella storia e nella vitaassociata, egli non può cedere il suo corpo al dominiotenebroso della colpa e delle soddisfazioni carnali. Il fe-dele, membro della comunità, che è il Cristo e il tempiodello Spirito, non può, impunemente, manomettere ladignità del suo essere. Ogni compiacimento indebito, ri-cavato dalla propria sensibilità, rappresenta una sottra-zione di ricchezze non proprie, una contaminazione direaltà extracarnali: «non sapete voi che i vostri corpisono altrettante membra di Cristo? Come mai dunquemi attenterò di prendere le membra del Cristo e di costi-tuirle membra di una cortigiana? O non sapete forse chechi avvicini una cortigiana, viene a costituire con essaun solo organismo? Chi invece si accoppia al Signore,un solo spirito diviene con lui. Fuggite dunque ogni for-

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rapporto con qualsiasi fosse maculato di fornicazione.Che cosa importava a Paolo dei fornicatori di questomondo? Egli non aveva di mira che la purezza della suacomunità. E a questa aveva prescritto di condannareall'isolamento e all'ostracismo chiunque profanasse lasua esperienza con le opere fosche della concupiscenzacarnale. La consapevolezza del vincolo che stringe ognifedele alla massa dei fratelli nella fede e nella speranza,a quella massa in cui si perpetua la vita mistica del Si-gnore, costituisce, nella pedagogia paolina, arditamentesvincolata da ogni norma esteriore, la nuova radice dellapurità e della virtù inculcata ai credenti. Ormai il fedelenon appartiene più a sè stesso. Entrato a far parte, attra-verso l'iniziazione battesimale, di un organismo mistico,che è il proiettarsi del Signore nella storia e nella vitaassociata, egli non può cedere il suo corpo al dominiotenebroso della colpa e delle soddisfazioni carnali. Il fe-dele, membro della comunità, che è il Cristo e il tempiodello Spirito, non può, impunemente, manomettere ladignità del suo essere. Ogni compiacimento indebito, ri-cavato dalla propria sensibilità, rappresenta una sottra-zione di ricchezze non proprie, una contaminazione direaltà extracarnali: «non sapete voi che i vostri corpisono altrettante membra di Cristo? Come mai dunquemi attenterò di prendere le membra del Cristo e di costi-tuirle membra di una cortigiana? O non sapete forse chechi avvicini una cortigiana, viene a costituire con essaun solo organismo? Chi invece si accoppia al Signore,un solo spirito diviene con lui. Fuggite dunque ogni for-

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ma di fornicazione. O non sapete che il vostro corpo è iltempio dello Spirito Santo dimorante in voi, datovi daDio, e che quindi voi non vi appartenete più?». Chiaritacosì la portata e la giustificazione del precetto della pu-rezza, che egli aveva inculcato con tanta insistenza aicorinzi, Paolo prende in esame i singoli punti sottopostial suo giudizio dai suoi corrispondenti (uso del matri-monio, destino delle ragazze da marito che il ritardo del-la parusia espone al rischio di oltrepassare l'età adattaalle nozze, consumazione delle carni offerte agli idoli, ladistribuzione e la graduatoria dei carismi, la raccoltadelle oblazioni per la comunità madre di Gerusalemme)e interviene energicamente per definire forme di culto erisolvere questioni a proposito delle quali sussistevano aCorinto, a quanto gli era stato riferito, disordini e con-troversie. Nella celebrazione eucaristica i fedeli di Co-rinto portavano abitudini e sregolatezze, che Paolo bia-sima con parole di fuoco: «chi mangi e beva (parteci-pando al pasto del Signore) senza tenere il debito contodella natura speciale del corpo, non fa altro che inghiot-tire la propria condanna». Sulle rivalità nascenti dallaemulazione fra i doni che lo Spirito effondeva generosa-mente fra i convertiti di Corinto, Paolo pronuncia unverdetto rigido insieme e luminoso. Per lui, la solidarie-tà fraterna è il valore della più inattaccabile eccellenza.Nè pure le manifestazioni prodigiose dei carismi sonoautorizzate a violarne la indiscutibile sovranità. A cheprò menare tanto vanto? La strada per il possesso asso-luto dello Spirito è una sola: «Quand'anche pur parlassi

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ma di fornicazione. O non sapete che il vostro corpo è iltempio dello Spirito Santo dimorante in voi, datovi daDio, e che quindi voi non vi appartenete più?». Chiaritacosì la portata e la giustificazione del precetto della pu-rezza, che egli aveva inculcato con tanta insistenza aicorinzi, Paolo prende in esame i singoli punti sottopostial suo giudizio dai suoi corrispondenti (uso del matri-monio, destino delle ragazze da marito che il ritardo del-la parusia espone al rischio di oltrepassare l'età adattaalle nozze, consumazione delle carni offerte agli idoli, ladistribuzione e la graduatoria dei carismi, la raccoltadelle oblazioni per la comunità madre di Gerusalemme)e interviene energicamente per definire forme di culto erisolvere questioni a proposito delle quali sussistevano aCorinto, a quanto gli era stato riferito, disordini e con-troversie. Nella celebrazione eucaristica i fedeli di Co-rinto portavano abitudini e sregolatezze, che Paolo bia-sima con parole di fuoco: «chi mangi e beva (parteci-pando al pasto del Signore) senza tenere il debito contodella natura speciale del corpo, non fa altro che inghiot-tire la propria condanna». Sulle rivalità nascenti dallaemulazione fra i doni che lo Spirito effondeva generosa-mente fra i convertiti di Corinto, Paolo pronuncia unverdetto rigido insieme e luminoso. Per lui, la solidarie-tà fraterna è il valore della più inattaccabile eccellenza.Nè pure le manifestazioni prodigiose dei carismi sonoautorizzate a violarne la indiscutibile sovranità. A cheprò menare tanto vanto? La strada per il possesso asso-luto dello Spirito è una sola: «Quand'anche pur parlassi

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le lingue tutte degli angeli e degli uomini, se non pos-seggo amore, son fatto simile ad un bronzo rimbomban-te o ad un cembalo che fa vano strepito. E quand'anchepure fossi insignito del più alto dono profetico, e cono-scessi tutti i misteri, e tutta possedessi la cultura, e com-pleta nutrissi la fede, sì da muovere le montagne, se nonposseggo amore, non valgo nulla... Le capacità profeti-che, saranno annullate. I doni delle lingue, cesseranno.La stessa conoscenza razionale, scomparirà. Poichè noiconosciamo soltanto in parte, e parzialmente siamo ingrado di profetare. Quando però venga la perfezione,tutto ciò che è deficiente e parziale, sarà annullato... Sia-mo ora pencolati a guardare attraverso uno specchio,sull'orlo di un enigmatico abisso: allora vedremo facciaa faccia. Conosco fino ad oggi in parte: allora conosceròcome fui conosciuto. Tre grandi realtà sono, in una pa-rola, al mondo: fede, speranza, amore. Ma più grande ditutte, l'amore!» La dottrina però sulla quale san Paolo dàai corinzi l'assicurazione più solenne e la delucidazionepiù luminosa è la dottrina della risurrezione. Qualcuno,laggiù a Corinto, doveva porne in dubbio la possibilità.La predicazione spirituale e tutta allegoristica di Apolloera per qualcosa in questo sottile rifiuto di riconoscerealla carne un diritto qualsiasi ad una sopravvivenza nellagloria, che distruggeva alla radice l'escatologia cristia-na? Saremmo quasi tentati di pensarlo. Sta di fatto chePaolo insorge vivacemente a dissipare il dubbio solleva-to contro uno dei capisaldi del suo Vangelo e dopo avereasserito, con uno strano procedimento argomentativo,

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le lingue tutte degli angeli e degli uomini, se non pos-seggo amore, son fatto simile ad un bronzo rimbomban-te o ad un cembalo che fa vano strepito. E quand'anchepure fossi insignito del più alto dono profetico, e cono-scessi tutti i misteri, e tutta possedessi la cultura, e com-pleta nutrissi la fede, sì da muovere le montagne, se nonposseggo amore, non valgo nulla... Le capacità profeti-che, saranno annullate. I doni delle lingue, cesseranno.La stessa conoscenza razionale, scomparirà. Poichè noiconosciamo soltanto in parte, e parzialmente siamo ingrado di profetare. Quando però venga la perfezione,tutto ciò che è deficiente e parziale, sarà annullato... Sia-mo ora pencolati a guardare attraverso uno specchio,sull'orlo di un enigmatico abisso: allora vedremo facciaa faccia. Conosco fino ad oggi in parte: allora conosceròcome fui conosciuto. Tre grandi realtà sono, in una pa-rola, al mondo: fede, speranza, amore. Ma più grande ditutte, l'amore!» La dottrina però sulla quale san Paolo dàai corinzi l'assicurazione più solenne e la delucidazionepiù luminosa è la dottrina della risurrezione. Qualcuno,laggiù a Corinto, doveva porne in dubbio la possibilità.La predicazione spirituale e tutta allegoristica di Apolloera per qualcosa in questo sottile rifiuto di riconoscerealla carne un diritto qualsiasi ad una sopravvivenza nellagloria, che distruggeva alla radice l'escatologia cristia-na? Saremmo quasi tentati di pensarlo. Sta di fatto chePaolo insorge vivacemente a dissipare il dubbio solleva-to contro uno dei capisaldi del suo Vangelo e dopo avereasserito, con uno strano procedimento argomentativo,

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che se i morti non risorgono, nè pur Cristo è risorto e lafede diviene la più miserevole delle illusioni, sciogliealla prospettiva della prossima partecipazione integraledei «santi» alla gloria del Cristo un inno che ha la gran-diosità dei finale liberatore, il quale chiude la sinfoniabeethoveniana del destino e dell'affrancamento: «Do-manda qualcuno: come possono risorgere i morti, conqual mai corpo son capaci di tornare? Sciocco! Quel chetu semini, non è vivificato, se prima non muoia. E quelche semini non è già quell'organismo che verrà poi, maun miserabile seme, vuoi di grano, vuoi di una qualsiasialtra pianta. È Dio che conferisce ad esso il corpo chevolle, a ciascuno dei semi il proprio. Allo stesso modonon ogni carne è la medesima, perchè altra è la carnedegli uomini, altra quella dei quadrupedi, altra quelladegli uccelli, altra infine quella dei pesci. Vi sono corpicelesti e corpi terreni: e lo splendore dei primi non hanulla a vedere con quello dei secondi... Si applichi tuttociò alla risurrezione dei morti. È seminato nella putredi-ne, risorge nella incorruttibilità; è seminato nella igno-minia, risorge nella gloria; è seminato nella impotenza,risorge nella forza; è seminato un corpo psichico, risor-ge corpo spirituale... Gran mistero invero! Non tutti ciaddormenteremo, ma tutti ci trasformeremo, in un atti-mo, a un batter di ciglia, allo squillar dell'ultima tromba,suonando la quale i morti risorgeranno incorruttibili enoi ci trasformeremo. Poichè è pur necessario che que-sto nostro involucro corruttibile rivesta l'incorruttibilitàe questo nostro elemento mortale si ricinga di immorta-

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che se i morti non risorgono, nè pur Cristo è risorto e lafede diviene la più miserevole delle illusioni, sciogliealla prospettiva della prossima partecipazione integraledei «santi» alla gloria del Cristo un inno che ha la gran-diosità dei finale liberatore, il quale chiude la sinfoniabeethoveniana del destino e dell'affrancamento: «Do-manda qualcuno: come possono risorgere i morti, conqual mai corpo son capaci di tornare? Sciocco! Quel chetu semini, non è vivificato, se prima non muoia. E quelche semini non è già quell'organismo che verrà poi, maun miserabile seme, vuoi di grano, vuoi di una qualsiasialtra pianta. È Dio che conferisce ad esso il corpo chevolle, a ciascuno dei semi il proprio. Allo stesso modonon ogni carne è la medesima, perchè altra è la carnedegli uomini, altra quella dei quadrupedi, altra quelladegli uccelli, altra infine quella dei pesci. Vi sono corpicelesti e corpi terreni: e lo splendore dei primi non hanulla a vedere con quello dei secondi... Si applichi tuttociò alla risurrezione dei morti. È seminato nella putredi-ne, risorge nella incorruttibilità; è seminato nella igno-minia, risorge nella gloria; è seminato nella impotenza,risorge nella forza; è seminato un corpo psichico, risor-ge corpo spirituale... Gran mistero invero! Non tutti ciaddormenteremo, ma tutti ci trasformeremo, in un atti-mo, a un batter di ciglia, allo squillar dell'ultima tromba,suonando la quale i morti risorgeranno incorruttibili enoi ci trasformeremo. Poichè è pur necessario che que-sto nostro involucro corruttibile rivesta l'incorruttibilitàe questo nostro elemento mortale si ricinga di immorta-

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lità. Chè quando cotesto corruttibile abbia indossatol'incorruttibilità e cotesto mortale abbia assuntol'immortalità, allora solo si sarà verificato il presagio: fuingoiata la morte dalla vita.»

Con questa rivendicazione concitata ed accorata dellasua realistica escatologia, Paolo poteva conchiudere ilsuo messaggio ai corinzi. Seguono infatti i convenevolid'uso, con poche raccomandazioni d'occasione, che sa-rebbero trascurabili se un inciso non servisse a illumina-re l'ulteriore svolgimento dei fatti. Dice Paolo: «Perquanto riguarda Apollo, il fratello, ho fatto del mio me-glio perchè tornasse fra voi, insieme con i fratelli (che viportano la mia lettera). Ma non aveva affatto l'intenzio-ne di venire ora. Verrà quando se ne offra il destro».Probabilmente, quando Paolo, ingenuamente, scrivevaqueste parole, Apollo aveva già deciso in cuor suo ditraversare al più presto il mare, per trovarsi a Corinto aneutralizzare di persona l'impressione profonda che lamissiva di Paolo non avrebbe potuto mancare di suscita-re ai suoi danni fra i fedeli, che pure avevano dischiusoun campo così facile al suo successo oratorio e dottrina-le. Vi si recò difatti. Ma dovette accorgersi ben prestoquanto incauto fosse stato nello scegliersi un competito-re così formidabile e così risoluto. Potè in un primo mo-mento creare una situazione che procurò a Paolo la piùdrammatica delle sue pene: ma uscì, dal contrasto, di-sfatto, e scomparve, senza traccia, dalla scena della pri-mitiva vita cristiana. Informato, giorno per giorno puòdirsi, degli avvenimenti di Corinto, Paolo seppe che il

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lità. Chè quando cotesto corruttibile abbia indossatol'incorruttibilità e cotesto mortale abbia assuntol'immortalità, allora solo si sarà verificato il presagio: fuingoiata la morte dalla vita.»

Con questa rivendicazione concitata ed accorata dellasua realistica escatologia, Paolo poteva conchiudere ilsuo messaggio ai corinzi. Seguono infatti i convenevolid'uso, con poche raccomandazioni d'occasione, che sa-rebbero trascurabili se un inciso non servisse a illumina-re l'ulteriore svolgimento dei fatti. Dice Paolo: «Perquanto riguarda Apollo, il fratello, ho fatto del mio me-glio perchè tornasse fra voi, insieme con i fratelli (che viportano la mia lettera). Ma non aveva affatto l'intenzio-ne di venire ora. Verrà quando se ne offra il destro».Probabilmente, quando Paolo, ingenuamente, scrivevaqueste parole, Apollo aveva già deciso in cuor suo ditraversare al più presto il mare, per trovarsi a Corinto aneutralizzare di persona l'impressione profonda che lamissiva di Paolo non avrebbe potuto mancare di suscita-re ai suoi danni fra i fedeli, che pure avevano dischiusoun campo così facile al suo successo oratorio e dottrina-le. Vi si recò difatti. Ma dovette accorgersi ben prestoquanto incauto fosse stato nello scegliersi un competito-re così formidabile e così risoluto. Potè in un primo mo-mento creare una situazione che procurò a Paolo la piùdrammatica delle sue pene: ma uscì, dal contrasto, di-sfatto, e scomparve, senza traccia, dalla scena della pri-mitiva vita cristiana. Informato, giorno per giorno puòdirsi, degli avvenimenti di Corinto, Paolo seppe che il

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suo rivale, sornione ed insidioso, aveva trovato moltopresto «l'occasione propizia» per riguadagnare la comu-nità dell'Acaia, e che aveva cominciato colà una veraopera di diffamazione e di demolizione contro di lui.Non solamente erano sottoposti a critica e a revisione ipostulati della sua predicazione, bensì anche erano di-sconosciuti i suoi meriti, erano posti in dubbio i suoidoni, si giungeva perfino a rilevare con compiacimento isuoi difetti naturali, le sue imperfezioni fisiologiche.Paolo ne provò un dolore profondo. Il suo diuturno la-voro a Corinto stava per essere dissipato e disperso perl'opera di corrosione di un intrigante parolaio e presun-tuoso, che credeva di sopraffare la forza bruciante delsuo entusiasmo con la fosforescente ricchezza della pro-pria fantasia e lo sfolgorio sottile del proprio sillogi-smo? Stette un momento in forse sul da farsi. E poi, bru-scamente, decise di recarsi sul posto e di affrontare, aviso aperto, il suo emulo ed avversario. Fu un disastro.In un momento di generale smarrimento, la comunitàsembrò volersi ribellare definitivamente a colui che, pri-mo, l'aveva iniziata a Cristo e costituita sulle basi, perlasciarsi trascinare, anima e corpo, dalla seducente e ac-caparrante oratoria di Apollo. Paolo se ne tornò precipi-tosamente ad Efeso e spiccò, su due piedi, senza ombradi esitazione, un messaggio fulmineo ai corinzi, nel qua-le le allusioni contro Apollo erano vive e pungenti,quanto l'irritata amarezza dell'anima sua. Di questo ira-condo messaggio la seconda lettera canonica ai corinzici ha conservato, stranamente incorporato, qualche

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suo rivale, sornione ed insidioso, aveva trovato moltopresto «l'occasione propizia» per riguadagnare la comu-nità dell'Acaia, e che aveva cominciato colà una veraopera di diffamazione e di demolizione contro di lui.Non solamente erano sottoposti a critica e a revisione ipostulati della sua predicazione, bensì anche erano di-sconosciuti i suoi meriti, erano posti in dubbio i suoidoni, si giungeva perfino a rilevare con compiacimento isuoi difetti naturali, le sue imperfezioni fisiologiche.Paolo ne provò un dolore profondo. Il suo diuturno la-voro a Corinto stava per essere dissipato e disperso perl'opera di corrosione di un intrigante parolaio e presun-tuoso, che credeva di sopraffare la forza bruciante delsuo entusiasmo con la fosforescente ricchezza della pro-pria fantasia e lo sfolgorio sottile del proprio sillogi-smo? Stette un momento in forse sul da farsi. E poi, bru-scamente, decise di recarsi sul posto e di affrontare, aviso aperto, il suo emulo ed avversario. Fu un disastro.In un momento di generale smarrimento, la comunitàsembrò volersi ribellare definitivamente a colui che, pri-mo, l'aveva iniziata a Cristo e costituita sulle basi, perlasciarsi trascinare, anima e corpo, dalla seducente e ac-caparrante oratoria di Apollo. Paolo se ne tornò precipi-tosamente ad Efeso e spiccò, su due piedi, senza ombradi esitazione, un messaggio fulmineo ai corinzi, nel qua-le le allusioni contro Apollo erano vive e pungenti,quanto l'irritata amarezza dell'anima sua. Di questo ira-condo messaggio la seconda lettera canonica ai corinzici ha conservato, stranamente incorporato, qualche

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frammento sporadico. San Paolo vi rivendicava, con ac-cento concitato, la nobiltà del suo apostolato, e vi enun-ciava le sue fiere minacce: «Io, Paolo, vi esorto in nomedella dolcezza e della longanimità del Cristo, io, che, sidice, appaio di persona tapinello in mezzo a voi, e pienodi baldanza quando sono lontano: vi scongiuro di noncostringermi ad assumere, da lungi, arie di sussiego, conquella tal sicurezza con cui so di poter osare qualcosacontro coloro i quali si arrogano il diritto di giudicarnoi, come se procedessimo secondo visuali umane. Sì, èvero, marciamo nella carne: ma, oh no, non combattia-mo secondo i suoi dettami. Chè le armi della nostra quo-tidiana milizia non son davvero armi carnali, ma capaci,in Dio, della distruzione di ogni più agguerrito ostacolo.Sappiamo bene infatti scompaginare ogni sofisma eogni presunzione che si levino contro la genuina cono-scenza di Dio e sottoporre all'obbedienza del Cristo ogniraziocinio, e vendicare ogni insurrezione, proprio al finedi veder compiuta la vostra sottomissione. Riflettete atutto ciò, ciascuno con le mani sulla coscienza. Se v'èchi renda testimonianza a sè stesso di essere di Cristo,ebbene, costui sappia bene anche un'altra cosa, che,s'egli è di Cristo, noi non lo siamo meno... Oh, se riusci-ste una buona volta a tollerare un grano della mia insi-pienza! Ma, su via, tolleratela. È vero: vi porto un amo-re geloso e puntiglioso. Ma pensate che vi ho preso inconsegna, per conservarvi, come una fidanzata illibataal suo sposo, al Cristo. E temo che, come il serpente se-dusse Eva con la sua astuzia, i vostri divisamenti siano

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frammento sporadico. San Paolo vi rivendicava, con ac-cento concitato, la nobiltà del suo apostolato, e vi enun-ciava le sue fiere minacce: «Io, Paolo, vi esorto in nomedella dolcezza e della longanimità del Cristo, io, che, sidice, appaio di persona tapinello in mezzo a voi, e pienodi baldanza quando sono lontano: vi scongiuro di noncostringermi ad assumere, da lungi, arie di sussiego, conquella tal sicurezza con cui so di poter osare qualcosacontro coloro i quali si arrogano il diritto di giudicarnoi, come se procedessimo secondo visuali umane. Sì, èvero, marciamo nella carne: ma, oh no, non combattia-mo secondo i suoi dettami. Chè le armi della nostra quo-tidiana milizia non son davvero armi carnali, ma capaci,in Dio, della distruzione di ogni più agguerrito ostacolo.Sappiamo bene infatti scompaginare ogni sofisma eogni presunzione che si levino contro la genuina cono-scenza di Dio e sottoporre all'obbedienza del Cristo ogniraziocinio, e vendicare ogni insurrezione, proprio al finedi veder compiuta la vostra sottomissione. Riflettete atutto ciò, ciascuno con le mani sulla coscienza. Se v'èchi renda testimonianza a sè stesso di essere di Cristo,ebbene, costui sappia bene anche un'altra cosa, che,s'egli è di Cristo, noi non lo siamo meno... Oh, se riusci-ste una buona volta a tollerare un grano della mia insi-pienza! Ma, su via, tolleratela. È vero: vi porto un amo-re geloso e puntiglioso. Ma pensate che vi ho preso inconsegna, per conservarvi, come una fidanzata illibataal suo sposo, al Cristo. E temo che, come il serpente se-dusse Eva con la sua astuzia, i vostri divisamenti siano

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fatti deviare dalla semplicità e dalla purità volute dalCristo. Se colui il quale sopravviene fra voi predica unaltro Gesù, quale noi mai predicammo o accogliate unospirito quale non riceveste da noi, o aderite ad un Van-gelo quale finora non avevate udito, oh, come vi fatebelli ad aprire i vostri spiriti! E pure io non credo di es-sere da meno di cotali eccellentissimi apostoli. Posso es-sere povero e semplice nella parola: non lo sono davve-ro nella conoscenza. In ogni occasione ci manifestammoin pieno al vostro cospetto. O che forse commisi unacolpa, abbassando me allo scopo di innalzare voi, an-nunciando a voi gratuitamente la buona novella?.. Ebbe-ne: quel che faccio, lo farò ancora... Siate sicuri, costorosono pseudo-apostoli, operai fraudolenti, che si camuf-fano da apostoli di Cristo. E che meraviglia per questo?Anche Satana sa a volte assumer sembianza di angelo diluce. È naturale che anche i suoi ministri assumano ariedi ministri di giustizia. Ve lo assicuro: la loro fine saràcommisurata alle loro opere».

Il fratello incaricato di portare a Corinto l'espressioneamarissima dell'angoscia e del disinganno dell'apostoloaveva a pena preso il largo, che questi si trovò in predaalla più pungente delle trepidazioni. Aveva veramentetrovato il tono giusto per far comprendere ai suoi diletticonvertiti d'oltre mare la piena della sua amarezza o noncorreva pericolo, con la sua irruenta schiettezza, di ta-gliare definitivamente i ponti e di perdere per sempre illoro amore, di cui pure sentiva di non poter fare ameno? Egli aveva veramente giuocato il tutto per il tut-

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fatti deviare dalla semplicità e dalla purità volute dalCristo. Se colui il quale sopravviene fra voi predica unaltro Gesù, quale noi mai predicammo o accogliate unospirito quale non riceveste da noi, o aderite ad un Van-gelo quale finora non avevate udito, oh, come vi fatebelli ad aprire i vostri spiriti! E pure io non credo di es-sere da meno di cotali eccellentissimi apostoli. Posso es-sere povero e semplice nella parola: non lo sono davve-ro nella conoscenza. In ogni occasione ci manifestammoin pieno al vostro cospetto. O che forse commisi unacolpa, abbassando me allo scopo di innalzare voi, an-nunciando a voi gratuitamente la buona novella?.. Ebbe-ne: quel che faccio, lo farò ancora... Siate sicuri, costorosono pseudo-apostoli, operai fraudolenti, che si camuf-fano da apostoli di Cristo. E che meraviglia per questo?Anche Satana sa a volte assumer sembianza di angelo diluce. È naturale che anche i suoi ministri assumano ariedi ministri di giustizia. Ve lo assicuro: la loro fine saràcommisurata alle loro opere».

Il fratello incaricato di portare a Corinto l'espressioneamarissima dell'angoscia e del disinganno dell'apostoloaveva a pena preso il largo, che questi si trovò in predaalla più pungente delle trepidazioni. Aveva veramentetrovato il tono giusto per far comprendere ai suoi diletticonvertiti d'oltre mare la piena della sua amarezza o noncorreva pericolo, con la sua irruenta schiettezza, di ta-gliare definitivamente i ponti e di perdere per sempre illoro amore, di cui pure sentiva di non poter fare ameno? Egli aveva veramente giuocato il tutto per il tut-

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to: chè, in certe ore critiche di un rapporto sentimentale,la manifestazione brusca e completa di uno stato internodi irritazione e di gelosia in una delle parti, può portarenell'altra l'atto contrito della resipiscenza, ma può pro-vocare anche la suprema rottura. Paolo dovè passaregiornate d'inenarrabile incertezza. Quale mortificanteumiliazione per il suo apostolato tanto insidiato e tantobistrattato, se la comunità di Corinto, la più florida crea-zione del suo zelo apostolico, lo avesse rumorosamenteabbandonato nell'ora più importante della sua carriera!Conoscere l'impressione che la sua lettera amara e ta-gliente aveva destato nella malfida comunità divenneper lui un pensiero ossessionante. Tornare di persona sulposto non gli era consentito dalla sua dignità. Preferìspedire a farsi una idea della situazione il suo fedeleTito. E perchè la sua visita non tradisse troppo aperta-mente il suo fine, gl'ingiunse di tornare ad Efeso non permare, ma per terra, attraverso la Macedonia e lungo lacosta asiatica. Tito partì. Il turbamento e l'inquietitudinedi Paolo si acuirono. Ben presto cominciò a rammaricar-si di aver imposto al suo discepolo un itinerario cosìlungo, che ritardava di tanto la comunicazione dellenuove. E, non potendo più durare nell'attesa, gli andò in-contro, sperando di ritrovarlo per via, presso una dellefamiglie amiche, disseminate lungo il percorso già bat-tuto dal suo apostolato, presso le quali dovevano esserfissati i loro convegni. Finalmente si raggiunsero in Ma-cedonia, a Filippi o a Tessalonica. Paolo, finalmente li-bero dall'incubo che l'aveva fiaccato, dovette abbraccia-

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to: chè, in certe ore critiche di un rapporto sentimentale,la manifestazione brusca e completa di uno stato internodi irritazione e di gelosia in una delle parti, può portarenell'altra l'atto contrito della resipiscenza, ma può pro-vocare anche la suprema rottura. Paolo dovè passaregiornate d'inenarrabile incertezza. Quale mortificanteumiliazione per il suo apostolato tanto insidiato e tantobistrattato, se la comunità di Corinto, la più florida crea-zione del suo zelo apostolico, lo avesse rumorosamenteabbandonato nell'ora più importante della sua carriera!Conoscere l'impressione che la sua lettera amara e ta-gliente aveva destato nella malfida comunità divenneper lui un pensiero ossessionante. Tornare di persona sulposto non gli era consentito dalla sua dignità. Preferìspedire a farsi una idea della situazione il suo fedeleTito. E perchè la sua visita non tradisse troppo aperta-mente il suo fine, gl'ingiunse di tornare ad Efeso non permare, ma per terra, attraverso la Macedonia e lungo lacosta asiatica. Tito partì. Il turbamento e l'inquietitudinedi Paolo si acuirono. Ben presto cominciò a rammaricar-si di aver imposto al suo discepolo un itinerario cosìlungo, che ritardava di tanto la comunicazione dellenuove. E, non potendo più durare nell'attesa, gli andò in-contro, sperando di ritrovarlo per via, presso una dellefamiglie amiche, disseminate lungo il percorso già bat-tuto dal suo apostolato, presso le quali dovevano esserfissati i loro convegni. Finalmente si raggiunsero in Ma-cedonia, a Filippi o a Tessalonica. Paolo, finalmente li-bero dall'incubo che l'aveva fiaccato, dovette abbraccia-

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re Tito in una esplosione di gioia. Aveva vinto: le nuoveerano trionfali. In un'adunanza plenaria, posta nettamen-te al bivio di una scelta fra Paolo e Apollo, la comunitàdi Corinto aveva mantenuto fede al suo primo amore.Apollo aveva ricevuto un severo voto di biasimo, e lafedeltà al primo disseminatore evangelico in Acaia erastata solennemente ribadita. Con il cuore esultante, Pao-lo scrisse in fretta una nuova lettera ai corinzi, effonden-do la riboccante vena della sua gioia e della sua com-mossa gratitudine. Non mancavano nè pure a questo do-cumento della sua passione religiosa e del suo amore dimaestro, incisi sottili di ironia e frasi tardive di pena e dicorruccio per la prova patita. Con mossa tagliente, adesempio, san Paolo si compiace di contrapporre le lette-re di presentazione con cui Apollo si era fatto accredita-re agli inizi presso la comunità di Corinto, con la letturaa cui egli, Paolo, affida invece l'unica sua commendati-zia per il giorno del Signore: il cuore dei suoi convertiti.Ma in pari tempo raccomanda generosamente, il perdo-no, e chiede, ai suoi amici, che d'ora in poi gli diano,piena, la fiducia e l'affezione. «Le nostre labbra, o Co-rinti, si sono dischiuse per voi; il nostro cuore si è spa-lancato. State pur sicuri: non troverete più angustia efreno in noi. L'unico freno potrà essere nella vostra ca-pacità di riamare. Dateci dunque il contraccambio – par-lo come ai figli – spalancateci anche voi i battenti delvostro cuore (II Cor. VI. 11)».

Poi, quasi a celebrare l'avvenuta riconciliazione e acementare la rinnovata solidarietà, Paolo si affrettò a di-

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re Tito in una esplosione di gioia. Aveva vinto: le nuoveerano trionfali. In un'adunanza plenaria, posta nettamen-te al bivio di una scelta fra Paolo e Apollo, la comunitàdi Corinto aveva mantenuto fede al suo primo amore.Apollo aveva ricevuto un severo voto di biasimo, e lafedeltà al primo disseminatore evangelico in Acaia erastata solennemente ribadita. Con il cuore esultante, Pao-lo scrisse in fretta una nuova lettera ai corinzi, effonden-do la riboccante vena della sua gioia e della sua com-mossa gratitudine. Non mancavano nè pure a questo do-cumento della sua passione religiosa e del suo amore dimaestro, incisi sottili di ironia e frasi tardive di pena e dicorruccio per la prova patita. Con mossa tagliente, adesempio, san Paolo si compiace di contrapporre le lette-re di presentazione con cui Apollo si era fatto accredita-re agli inizi presso la comunità di Corinto, con la letturaa cui egli, Paolo, affida invece l'unica sua commendati-zia per il giorno del Signore: il cuore dei suoi convertiti.Ma in pari tempo raccomanda generosamente, il perdo-no, e chiede, ai suoi amici, che d'ora in poi gli diano,piena, la fiducia e l'affezione. «Le nostre labbra, o Co-rinti, si sono dischiuse per voi; il nostro cuore si è spa-lancato. State pur sicuri: non troverete più angustia efreno in noi. L'unico freno potrà essere nella vostra ca-pacità di riamare. Dateci dunque il contraccambio – par-lo come ai figli – spalancateci anche voi i battenti delvostro cuore (II Cor. VI. 11)».

Poi, quasi a celebrare l'avvenuta riconciliazione e acementare la rinnovata solidarietà, Paolo si affrettò a di-

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scendere a Corinto e a raggiungere i suoi figliuoli ravve-duti. Il successo così faticosamente conquistato, matura-to attraverso così aspre incertezze, deve aver avuto nellasua anima ripercussioni profonde. Paolo deve, per esso,aver conquistato una consapevolezza più nitida delle suepossibilità e del suo valore, un apprezzamento più cor-roborante della bontà della sua causa. Le ulteriori diffi-coltà l'avrebbero trovato più pronto, più fiducioso, piùagguerrito. D'altro canto il suo pensiero aveva raggiuntoormai la sua perfetta organicità. Egli avrebbe potuto dar-gli la definitiva espressione.

Le occasioni se ne offrirono sollecitamente. A Corin-to ebbe sentore dell'insidia e del sovvertimento che deigiudaizzanti piovuti da Gerusalemme, deformando i fat-ti ed equivocando sulle intenzioni, erano andati a tende-re alla libertà e alla larghezza della fede delle sue comu-nità galatiche. E colà pure, al meriggio del suo trionfo,Paolo sentì nascere in sè più prepotente il bisogno diporsi in rapporto con i fedeli della comunità di Roma, dicui la sua grande anima intuiva gli eccezionali destini,nella traiettoria del cristianesimo, comunque circoscrittanei limiti di tempo che la caducità del mondo perituropoteva consentire.

Scrisse così le sue lettere ai Galati e ai Romani, chesono la fusione nel bronzo del suo formidabile pensieroe della sua vulcanica esperienza.

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scendere a Corinto e a raggiungere i suoi figliuoli ravve-duti. Il successo così faticosamente conquistato, matura-to attraverso così aspre incertezze, deve aver avuto nellasua anima ripercussioni profonde. Paolo deve, per esso,aver conquistato una consapevolezza più nitida delle suepossibilità e del suo valore, un apprezzamento più cor-roborante della bontà della sua causa. Le ulteriori diffi-coltà l'avrebbero trovato più pronto, più fiducioso, piùagguerrito. D'altro canto il suo pensiero aveva raggiuntoormai la sua perfetta organicità. Egli avrebbe potuto dar-gli la definitiva espressione.

Le occasioni se ne offrirono sollecitamente. A Corin-to ebbe sentore dell'insidia e del sovvertimento che deigiudaizzanti piovuti da Gerusalemme, deformando i fat-ti ed equivocando sulle intenzioni, erano andati a tende-re alla libertà e alla larghezza della fede delle sue comu-nità galatiche. E colà pure, al meriggio del suo trionfo,Paolo sentì nascere in sè più prepotente il bisogno diporsi in rapporto con i fedeli della comunità di Roma, dicui la sua grande anima intuiva gli eccezionali destini,nella traiettoria del cristianesimo, comunque circoscrittanei limiti di tempo che la caducità del mondo perituropoteva consentire.

Scrisse così le sue lettere ai Galati e ai Romani, chesono la fusione nel bronzo del suo formidabile pensieroe della sua vulcanica esperienza.

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III.

Può darsi che il dato più originale e più denso di con-seguenze cui sia giunta la speculazione religiosa di sanPaolo consista nella scomposizione della storia prescri-stiana in un elemento mistico primordiale, di cui la di-sciplina rituale e legale non rappresenta che un surroga-to e un derivato. Per lui, i cicli della economia religiosasembrano avere la loro genesi e il loro primordiale im-pulso in un potente atto di fiducia e di speranza. Abra-mo, il capostipite della razza eletta, attinse le ragionidella sua giustizia dalla fede in Jahvè, che aveva garan-tito alla tarda vecchiezza sua e di Sara la sopravvivenzaindefettibile della sua figliuolanza. I titoli del suo meritoal cospetto di Dio non furono opere uniformi alla legge,la quale venne quattrocentotrenta anni dopo di lui, bensìla dedizione serena e fiduciosa in Lui, che sollecitò lagrazia e il compiacimento dall'alto. La stessa circonci-sione sopravvenne a suggellare la giustizia della fede,ch'egli aveva conseguito ancora incirconciso, onde ap-parisse realmente come il padre di tutti coloro che vivo-no di fede, pur attraverso l'incirconcisione. Perchè vera-

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III.

Può darsi che il dato più originale e più denso di con-seguenze cui sia giunta la speculazione religiosa di sanPaolo consista nella scomposizione della storia prescri-stiana in un elemento mistico primordiale, di cui la di-sciplina rituale e legale non rappresenta che un surroga-to e un derivato. Per lui, i cicli della economia religiosasembrano avere la loro genesi e il loro primordiale im-pulso in un potente atto di fiducia e di speranza. Abra-mo, il capostipite della razza eletta, attinse le ragionidella sua giustizia dalla fede in Jahvè, che aveva garan-tito alla tarda vecchiezza sua e di Sara la sopravvivenzaindefettibile della sua figliuolanza. I titoli del suo meritoal cospetto di Dio non furono opere uniformi alla legge,la quale venne quattrocentotrenta anni dopo di lui, bensìla dedizione serena e fiduciosa in Lui, che sollecitò lagrazia e il compiacimento dall'alto. La stessa circonci-sione sopravvenne a suggellare la giustizia della fede,ch'egli aveva conseguito ancora incirconciso, onde ap-parisse realmente come il padre di tutti coloro che vivo-no di fede, pur attraverso l'incirconcisione. Perchè vera-

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mente quanti traversano il mondo nutrendo nell'animasentimenti di fiducia nella bontà provvidente di un Pa-dre, sono tutti figliuoli di Abramo. La Scrittura stessa loattesta, là dove avendo previsto che Iddio avrebbe giu-stificato i Gentili in virtù della fede, diede in anticipo adAbramo questo lieto annuncio: «in te saranno benedettetutte le genti». Per cui, quanti al mondo cavano dal lorocuore l'attitudine e il gesto della fiducia e dell'abbando-no, tutti son misteriosamente benedetti insieme conAbramo, che credette.

Del resto, chi potrebbe seriamente sostenere che an-che alle scaturigini della vita spirituale dei Gentili nonsia stato un atto di implicita e poco avvertita fede? Inrealtà, la natura ineffabile di Dio, dal dì della costituzio-ne del mondo, si lascia scorgere sotto forma intellegibilenelle realtà create. Gli uomini, dischiudendo il lorosguardo stupito allo spettacolo meraviglioso del cosmo,non poterono sottrarsi a un senso misterioso del divino,che fu la loro fede spontanea ed istintiva. Ma tutti sonovenuti meno agli oneri della loro prima esperienza reli-giosa. I gentili, vaneggiando nei loro sillogismi, inmodo così spaventoso da averne ottenebrato tutto il cuo-re, permutarono la gloria dell'incorruttibile Dio in im-magini corruttibili di uomini, di uccelli, di quadrupedi,di rettili. Per questo li abbandonò Dio all'impulso sfre-nato delle loro passioni, al disonore e alla vergogna deiloro vizi contro natura. Ma gli israeliti non furono dameno. «Tu che porti il nome di Giudeo e ti culli nella fi-ducia della legge, e trai vanto in Dio, e di Dio conosci il

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mente quanti traversano il mondo nutrendo nell'animasentimenti di fiducia nella bontà provvidente di un Pa-dre, sono tutti figliuoli di Abramo. La Scrittura stessa loattesta, là dove avendo previsto che Iddio avrebbe giu-stificato i Gentili in virtù della fede, diede in anticipo adAbramo questo lieto annuncio: «in te saranno benedettetutte le genti». Per cui, quanti al mondo cavano dal lorocuore l'attitudine e il gesto della fiducia e dell'abbando-no, tutti son misteriosamente benedetti insieme conAbramo, che credette.

Del resto, chi potrebbe seriamente sostenere che an-che alle scaturigini della vita spirituale dei Gentili nonsia stato un atto di implicita e poco avvertita fede? Inrealtà, la natura ineffabile di Dio, dal dì della costituzio-ne del mondo, si lascia scorgere sotto forma intellegibilenelle realtà create. Gli uomini, dischiudendo il lorosguardo stupito allo spettacolo meraviglioso del cosmo,non poterono sottrarsi a un senso misterioso del divino,che fu la loro fede spontanea ed istintiva. Ma tutti sonovenuti meno agli oneri della loro prima esperienza reli-giosa. I gentili, vaneggiando nei loro sillogismi, inmodo così spaventoso da averne ottenebrato tutto il cuo-re, permutarono la gloria dell'incorruttibile Dio in im-magini corruttibili di uomini, di uccelli, di quadrupedi,di rettili. Per questo li abbandonò Dio all'impulso sfre-nato delle loro passioni, al disonore e alla vergogna deiloro vizi contro natura. Ma gli israeliti non furono dameno. «Tu che porti il nome di Giudeo e ti culli nella fi-ducia della legge, e trai vanto in Dio, e di Dio conosci il

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volere e sai sottoporre a cernita le diverse valutazioni,ammaestrato come sei dalla legge; tu che confidi di es-ser guida di ciechi, luce di chi è tuffato nelle tenebre,educatore di stolti, maestro di semplici, e reputi di pos-sedere nella legge la forma assoluta della conoscenza edella verità; o tu che pretendi di insegnare agli altri, nonsei incapace di insegnare efficacemente a te stesso? Tuche bandisci non doversi rubare, non rubi forse? Tu chepredichi che non si commetta adulterio, non sei anche tuadultero? Tu che abbomini il contatto degli idoli, nonsaccheggi forse i loro templi? Tu, insomma, che ti pavo-neggi della legge, non getti, trasgredendola, la più graveoffesa in faccia a Dio? Oh, andate là: per vostra colpa, ilnome di Dio è bestemmiato tra i gentili!»

Un medesimo destino, dunque, secondo san Paolo –destino di colpa e di abbiezione – accomuna ormai pa-gani e israeliti. Partiti tutti da un analogo atteggiamentodi fiducia nel divino, son precipitati in un equivalenteretaggio di miseria morale. Non si dirà per questo che iprivilegi di Israele siano stati cosa di nessun conto. No.Essi furono, nella storia, i trasmettitori designati dei di-vini oracoli. Ma la legge assolse un compito ben circo-scritto e assume una portata ben limitata, del cui valorestorico occorre rendersi ben conto, affinchè essa, so-pravvalutata, non finisca col costituire un imbarazzan-tissimo ostacolo alla realizzazione dei nuovi destini. Lalegge ebbe cioè un duplice scopo. Annebbiatasi la con-sapevolezza della originaria relazione mistica con Dio,fondata su una giustizia che fu per essenza il risultato

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volere e sai sottoporre a cernita le diverse valutazioni,ammaestrato come sei dalla legge; tu che confidi di es-ser guida di ciechi, luce di chi è tuffato nelle tenebre,educatore di stolti, maestro di semplici, e reputi di pos-sedere nella legge la forma assoluta della conoscenza edella verità; o tu che pretendi di insegnare agli altri, nonsei incapace di insegnare efficacemente a te stesso? Tuche bandisci non doversi rubare, non rubi forse? Tu chepredichi che non si commetta adulterio, non sei anche tuadultero? Tu che abbomini il contatto degli idoli, nonsaccheggi forse i loro templi? Tu, insomma, che ti pavo-neggi della legge, non getti, trasgredendola, la più graveoffesa in faccia a Dio? Oh, andate là: per vostra colpa, ilnome di Dio è bestemmiato tra i gentili!»

Un medesimo destino, dunque, secondo san Paolo –destino di colpa e di abbiezione – accomuna ormai pa-gani e israeliti. Partiti tutti da un analogo atteggiamentodi fiducia nel divino, son precipitati in un equivalenteretaggio di miseria morale. Non si dirà per questo che iprivilegi di Israele siano stati cosa di nessun conto. No.Essi furono, nella storia, i trasmettitori designati dei di-vini oracoli. Ma la legge assolse un compito ben circo-scritto e assume una portata ben limitata, del cui valorestorico occorre rendersi ben conto, affinchè essa, so-pravvalutata, non finisca col costituire un imbarazzan-tissimo ostacolo alla realizzazione dei nuovi destini. Lalegge ebbe cioè un duplice scopo. Annebbiatasi la con-sapevolezza della originaria relazione mistica con Dio,fondata su una giustizia che fu per essenza il risultato

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dell'abbandono fiducioso in Lui, le leggi sorsero qualimezzi di registrazione e di intensificazione della conge-nita debolezza degli uomini, sottrattisi pervicacementeal senso diretto della sorveglianza e della assistenza di-vina. La legge fu la tavola della registrazione quotidianadella nostra alterazione febbrile. D'altro canto però essaebbe anche una funzione benefica. «Prima che ricompa-risse al mondo la fiducia, tutti fummo imprigionati sottola custodia della legge, protesi verso la sopravvenienterivelazione della fede. Sicchè la legge rappresentò la no-stra pedagogia verso il Cristo, nella cui fede dovevamoritrovare la nostra integrale giustizia. Comparsa la fede,non siamo più, evidentemente, sotto la ferula del peda-gogo. E tutti siamo ormai figli di Dio, in virtù della fedeche è nel Cristo Gesù. Quanti fummo iniziati al nome diCristo, Cristo rivestimmo. Onde non sussiste ormai piùalcuna distinzione di giudeo o di greco, di schiavo o dilibero, di uomo o di donna: tutti un solo essere siamo,nel Cristo Gesù.»

Questa, nella superba visione di san Paolo, la prodi-giosa novità del messaggio cristiano. In Cristo, l'umani-tà, oltrepassando tutte le mortificanti barriere, sollevatedalle rivalità di cultura, di sangue, di grado sociale, dellastessa natura, è reintegrata nella sua capacità primitivadi trarre dal proprio cuore, risanato e affrancato dallalettera della legge ed al pungolo del peccato che è lamorte, il suo sereno e gaudioso atto di fiducia nel Padre.Paolo descrive graficamente e drammaticamente l'inse-rirsi del riscatto operato da Cristo, nella economia deso-

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dell'abbandono fiducioso in Lui, le leggi sorsero qualimezzi di registrazione e di intensificazione della conge-nita debolezza degli uomini, sottrattisi pervicacementeal senso diretto della sorveglianza e della assistenza di-vina. La legge fu la tavola della registrazione quotidianadella nostra alterazione febbrile. D'altro canto però essaebbe anche una funzione benefica. «Prima che ricompa-risse al mondo la fiducia, tutti fummo imprigionati sottola custodia della legge, protesi verso la sopravvenienterivelazione della fede. Sicchè la legge rappresentò la no-stra pedagogia verso il Cristo, nella cui fede dovevamoritrovare la nostra integrale giustizia. Comparsa la fede,non siamo più, evidentemente, sotto la ferula del peda-gogo. E tutti siamo ormai figli di Dio, in virtù della fedeche è nel Cristo Gesù. Quanti fummo iniziati al nome diCristo, Cristo rivestimmo. Onde non sussiste ormai piùalcuna distinzione di giudeo o di greco, di schiavo o dilibero, di uomo o di donna: tutti un solo essere siamo,nel Cristo Gesù.»

Questa, nella superba visione di san Paolo, la prodi-giosa novità del messaggio cristiano. In Cristo, l'umani-tà, oltrepassando tutte le mortificanti barriere, sollevatedalle rivalità di cultura, di sangue, di grado sociale, dellastessa natura, è reintegrata nella sua capacità primitivadi trarre dal proprio cuore, risanato e affrancato dallalettera della legge ed al pungolo del peccato che è lamorte, il suo sereno e gaudioso atto di fiducia nel Padre.Paolo descrive graficamente e drammaticamente l'inse-rirsi del riscatto operato da Cristo, nella economia deso-

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lata della millenaria colpevolezza dell'uomo. Manomano che nella sua coscienza di credente e nella sua in-telligenza di indagatore impareggiabile delle leggi chereggono e disciplinano la vita associata, la figura el'opera del Cristo andavano assumendo il significatopreciso e la collocazione adeguata, il convertito di Da-masco vedeva sempre più netta delinearsi la antiteticacontrapposizione del primo uomo peccatore e dell'ulti-mo uomo, vivificante riscattatore. Come attraverso unsolo uomo il peccato si insinuò nel mondo, e, attraversoil peccato, la morte, così pure, attraverso un solo Uomorientrò nel mondo la grazia, e, attraverso la grazia, lavita. «La morte aveva afferrato tutti gli uomini, perchètutti avevano peccato. Fino alla legge infatti peccati era-no al mondo, ma di fatto peccati non possono venire im-putati, se non sussista la legge», che ne rende possibilela registrazione e l'attribuzione. E pure la morte signo-reggiò indisturbata dai tempi di Adamo a quelli diMosè, come indeprecabile retaggio di una caduta, cheaveva inquinato e inesorabilmente attossicato le scaturi-gini stesse della vita. Sopravvenne poi la legge. La con-dizione degli uomini, sotto un certo punto di vista, ne ri-sultò peggiorata. «Non conoscemmo infatti il peccato,se non attraverso la legge. In realtà non avremmo avutosentore della concupiscenza, se la legge non avesse pre-scritto: – non nutrirai concupiscenza. – Ed ecco come,cogliendo a volo l'occasione che si presentava, il pecca-to, in virtù della legge stessa, scatenò nel nostro esseresconvolto ogni genere di torpida cupidigia. Sta di fatto

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lata della millenaria colpevolezza dell'uomo. Manomano che nella sua coscienza di credente e nella sua in-telligenza di indagatore impareggiabile delle leggi chereggono e disciplinano la vita associata, la figura el'opera del Cristo andavano assumendo il significatopreciso e la collocazione adeguata, il convertito di Da-masco vedeva sempre più netta delinearsi la antiteticacontrapposizione del primo uomo peccatore e dell'ulti-mo uomo, vivificante riscattatore. Come attraverso unsolo uomo il peccato si insinuò nel mondo, e, attraversoil peccato, la morte, così pure, attraverso un solo Uomorientrò nel mondo la grazia, e, attraverso la grazia, lavita. «La morte aveva afferrato tutti gli uomini, perchètutti avevano peccato. Fino alla legge infatti peccati era-no al mondo, ma di fatto peccati non possono venire im-putati, se non sussista la legge», che ne rende possibilela registrazione e l'attribuzione. E pure la morte signo-reggiò indisturbata dai tempi di Adamo a quelli diMosè, come indeprecabile retaggio di una caduta, cheaveva inquinato e inesorabilmente attossicato le scaturi-gini stesse della vita. Sopravvenne poi la legge. La con-dizione degli uomini, sotto un certo punto di vista, ne ri-sultò peggiorata. «Non conoscemmo infatti il peccato,se non attraverso la legge. In realtà non avremmo avutosentore della concupiscenza, se la legge non avesse pre-scritto: – non nutrirai concupiscenza. – Ed ecco come,cogliendo a volo l'occasione che si presentava, il pecca-to, in virtù della legge stessa, scatenò nel nostro esseresconvolto ogni genere di torpida cupidigia. Sta di fatto

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che, senza la legge, il peccato è cosa morta. Vivevo benio altra volta fuori della legge. Ma sopraggiunto il co-mandamento, irruppe nella vita il peccato, ed io ne mo-rii. Si trovò così che un comandamento, il quale avrebbedovuto condurre alla vita, finiva con lo sboccare nellamorte. Il peccato infatti, afferrata l'occasione, mi trasci-nò, attraverso il precetto, in inganno e, in esso, mi ucci-se. Nessuno veramente si attenterebbe di negare che lalegge è santa, e il comandamento santo, giusto e buono.Come dunque una realtà buona fu per me morte? Ecco.Il peccato, onde rivelarsi tale, attraverso il bene ha ope-rato per me la morte, onde, in virtù del precetto, il pec-cato risulti peccaminoso fino all'eccesso». Tragica e pa-radossale situazione di ogni economia morale, che tentidi instaurarsi attraverso leggi positive e regolamentazio-ni puramente empiriche! È inutile. La colpa è allo statolatente e potenziale negli uomini, in virtù stessa dellaloro vita associata. Un'oscura e misteriosa colpa d'origi-ne – squilibrio malsano fra le capacità e gli impulsidell'individuo e le esigenze del vivere collettivo – insi-dia, irrimediabilmente, l'esplicazione dei loro reciprocirapporti. E la morte, che è conseguenza e risultato inde-precabile del peccato, è sovrana dispotica fra loro. Leleggi, di ogni genere e di ogni natura, vogliono arginareefficacemente le capacità operanti dell'uomo e foggiarnele potenzialità a vantaggio della disciplina associata.Miserevole illusione! Esse finiscono invece col dare ladocumentazione palmare e lacrimevole dell'umana de-bolezza e col conferire alle sconfinate potenzialità del

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che, senza la legge, il peccato è cosa morta. Vivevo benio altra volta fuori della legge. Ma sopraggiunto il co-mandamento, irruppe nella vita il peccato, ed io ne mo-rii. Si trovò così che un comandamento, il quale avrebbedovuto condurre alla vita, finiva con lo sboccare nellamorte. Il peccato infatti, afferrata l'occasione, mi trasci-nò, attraverso il precetto, in inganno e, in esso, mi ucci-se. Nessuno veramente si attenterebbe di negare che lalegge è santa, e il comandamento santo, giusto e buono.Come dunque una realtà buona fu per me morte? Ecco.Il peccato, onde rivelarsi tale, attraverso il bene ha ope-rato per me la morte, onde, in virtù del precetto, il pec-cato risulti peccaminoso fino all'eccesso». Tragica e pa-radossale situazione di ogni economia morale, che tentidi instaurarsi attraverso leggi positive e regolamentazio-ni puramente empiriche! È inutile. La colpa è allo statolatente e potenziale negli uomini, in virtù stessa dellaloro vita associata. Un'oscura e misteriosa colpa d'origi-ne – squilibrio malsano fra le capacità e gli impulsidell'individuo e le esigenze del vivere collettivo – insi-dia, irrimediabilmente, l'esplicazione dei loro reciprocirapporti. E la morte, che è conseguenza e risultato inde-precabile del peccato, è sovrana dispotica fra loro. Leleggi, di ogni genere e di ogni natura, vogliono arginareefficacemente le capacità operanti dell'uomo e foggiarnele potenzialità a vantaggio della disciplina associata.Miserevole illusione! Esse finiscono invece col dare ladocumentazione palmare e lacrimevole dell'umana de-bolezza e col conferire alle sconfinate potenzialità del

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male la loro completa realizzazione nella vita. Altrovedunque sarà la salvezza: e precisamente nel rivivere inCristo, ch'è lo Spirito ed è quindi libertà, la condizionemeravigliosa dell'uomo, prima che la morte e il peccatone sconvolgessero e annebbiassero le capacità di bene.

Paolo annuncia, con solennità, ai fedeli della Galazia:«Io vi dico: per tutto il tempo nel quale l'erede è fanciul-lo, non si diversifica in nulla da uno schiavo, pur essen-do padrone di tutto. Ma è costituito sotto tutori e ammi-nistratori, fino al giorno che il padre ha fissato. Ebbene:anche noi, finchè fummo fanciulli, fummo fatalmentesottoposti ai ciechi elementi del mondo. Ma sopraggiun-ta la pienezza dei tempi, inviò Iddio il suo figlio, nato didonna, costituitosi sotto il giogo della legge, onde af-francasse i giacenti sotto la legge, e tutti noi guadagnas-simo l'adozione. E che voi siate figliuoli, appare dal fat-to che Dio ha trasfuso nei vostri cuori lo Spirito del fi-glio suo, che grida: o Padre! Onde non sei più schiavo,ma figlio, e se figlio, anche erede, per virtù di Dio.»

Pertanto, l'economia religiosa che il Cristo ha inaugu-rato, è liberazione gioiosa dalle pastoie della legalità,dalla mortificazione della carne, dall'obbrobrio dellamorte, è conseguimento della grazia, della vita, dellagioia, della luce, nella consapevolezza dello Spirito, enell'eredità immancabile del Regno. Ma come vero ealto il prezzo pagato per il riscatto! La mistica esperien-za della nuova promessa e della nuova fiducia è statasottoposta alla condizione dell'avvento e della morte delCristo, divenuto «maledizione per noi» il giorno in cui

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male la loro completa realizzazione nella vita. Altrovedunque sarà la salvezza: e precisamente nel rivivere inCristo, ch'è lo Spirito ed è quindi libertà, la condizionemeravigliosa dell'uomo, prima che la morte e il peccatone sconvolgessero e annebbiassero le capacità di bene.

Paolo annuncia, con solennità, ai fedeli della Galazia:«Io vi dico: per tutto il tempo nel quale l'erede è fanciul-lo, non si diversifica in nulla da uno schiavo, pur essen-do padrone di tutto. Ma è costituito sotto tutori e ammi-nistratori, fino al giorno che il padre ha fissato. Ebbene:anche noi, finchè fummo fanciulli, fummo fatalmentesottoposti ai ciechi elementi del mondo. Ma sopraggiun-ta la pienezza dei tempi, inviò Iddio il suo figlio, nato didonna, costituitosi sotto il giogo della legge, onde af-francasse i giacenti sotto la legge, e tutti noi guadagnas-simo l'adozione. E che voi siate figliuoli, appare dal fat-to che Dio ha trasfuso nei vostri cuori lo Spirito del fi-glio suo, che grida: o Padre! Onde non sei più schiavo,ma figlio, e se figlio, anche erede, per virtù di Dio.»

Pertanto, l'economia religiosa che il Cristo ha inaugu-rato, è liberazione gioiosa dalle pastoie della legalità,dalla mortificazione della carne, dall'obbrobrio dellamorte, è conseguimento della grazia, della vita, dellagioia, della luce, nella consapevolezza dello Spirito, enell'eredità immancabile del Regno. Ma come vero ealto il prezzo pagato per il riscatto! La mistica esperien-za della nuova promessa e della nuova fiducia è statasottoposta alla condizione dell'avvento e della morte delCristo, divenuto «maledizione per noi» il giorno in cui

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fu appeso al legno. Si è così riacceso fra gli uomini ilmiraggio di quella pura aspettativa di una reintegrazioneuniversale, la cui brama inquieta strappa gemiti ango-sciosi all'intera creazione, nelle cui viscere il peccatodell'uomo ha inoculato il tormento di una schiavitù in-tollerata.

Il trapasso dell'uomo dalla sfera della sua materialitàcorporale a quella della sua spiritualità carismatica si ef-fettua attraverso il rito della iniziazione battesimale, chetuffandolo nell'acqua e facendolo risortire trasfigurato,lo chiude nel sepolcro di Cristo e ne lo ricava risorto.Ma la trasfigurazione è, quaggiù, solamente potenziale efigurata. Il cristiano è salvato nella speranza: e se egliconseguisse di colpo quel che è il retaggio lontano dellasua aspettativa insoddisfatta, l'atto della sua fiducia sa-rebbe puramente meccanico e mancherebbe di ogni me-rito. No. Anche il cristiano conserva nelle sue carni ilmartirio del suo dissidio non composto. Nessuno proba-bilmente ha mai tratteggiato più drammaticamente diPaolo la lotta che si combatte in ogni essere umano frala legge del bene e quella del male, fra l'istinto dell'ani-malità e il limite della disciplina collettiva: «accingen-domi a compiere il bene, trovo invece che il male è amia portata di mano. L'uomo interiore può compiacersinella legge di Dio. Ma in fondo alle mie membra, losento, freme un'altra legge, che si ribella furiosamentealla legge del mio spirito, e mi fa schiavo della leggedella colpa, fermentante nel mio organismo. Me sciagu-

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fu appeso al legno. Si è così riacceso fra gli uomini ilmiraggio di quella pura aspettativa di una reintegrazioneuniversale, la cui brama inquieta strappa gemiti ango-sciosi all'intera creazione, nelle cui viscere il peccatodell'uomo ha inoculato il tormento di una schiavitù in-tollerata.

Il trapasso dell'uomo dalla sfera della sua materialitàcorporale a quella della sua spiritualità carismatica si ef-fettua attraverso il rito della iniziazione battesimale, chetuffandolo nell'acqua e facendolo risortire trasfigurato,lo chiude nel sepolcro di Cristo e ne lo ricava risorto.Ma la trasfigurazione è, quaggiù, solamente potenziale efigurata. Il cristiano è salvato nella speranza: e se egliconseguisse di colpo quel che è il retaggio lontano dellasua aspettativa insoddisfatta, l'atto della sua fiducia sa-rebbe puramente meccanico e mancherebbe di ogni me-rito. No. Anche il cristiano conserva nelle sue carni ilmartirio del suo dissidio non composto. Nessuno proba-bilmente ha mai tratteggiato più drammaticamente diPaolo la lotta che si combatte in ogni essere umano frala legge del bene e quella del male, fra l'istinto dell'ani-malità e il limite della disciplina collettiva: «accingen-domi a compiere il bene, trovo invece che il male è amia portata di mano. L'uomo interiore può compiacersinella legge di Dio. Ma in fondo alle mie membra, losento, freme un'altra legge, che si ribella furiosamentealla legge del mio spirito, e mi fa schiavo della leggedella colpa, fermentante nel mio organismo. Me sciagu-

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rato, chi mi affrancherà dal corpo di questa incessanteagonia? La grazia!...»

La grazia! L'etica di san Paolo è tutta impregnata dielementi soprannaturali. Il redento è, per lui, il sonnam-bulo della vita carismatica. Può apparire nel mondocome dimorante ancora nella carne, ma tutta la sua spiri-tualità è tuffata nello Spirito di Dio, che è il Cristo stes-so sopravvivente nella comunità, e opera sotto l'azioneimmanente della sua giustizia. Il battesimo è il segnosensibile della impalpabile palingenesi. I fedeli furonocon il Cristo sepolti attraverso il battesimo nella morte,affinchè, come il Cristo è risorto di tra i morti in virtùdella gloria del Padre, così anche essi procedano in no-vità assoluta di vita. Se infatti i credenti furono innestatisulla raffigurazione simbolica della sua morte, sarannougualmente innestati sulla realtà ineffabile della sua ri-surrezione. I fedeli debbono ben ricordare che il lorovecchio uomo, vergognoso amalgama di passioni maldomate dalla costrizione inefficace delle esteriori con-venzioni e della meccanica disciplina, è stato crocifissocol Cristo, onde fosse annientato il corpo del peccato. Edebbono nutrire una adamantina certezza che se moriro-no con Cristo, con lui anche vivranno, ben sapendo cheil Cristo uscito dai morti non può più morire, inattacca-bile ormai per sempre all'oscuro potere della morte.

Una concezione così alta e così potente della mirabiletrasfigurazione che l'adesione al Vangelo implicanell'anima del convertito, si traduceva automaticamentein una precettistica morale elevata ed ardua. San Paolo

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rato, chi mi affrancherà dal corpo di questa incessanteagonia? La grazia!...»

La grazia! L'etica di san Paolo è tutta impregnata dielementi soprannaturali. Il redento è, per lui, il sonnam-bulo della vita carismatica. Può apparire nel mondocome dimorante ancora nella carne, ma tutta la sua spiri-tualità è tuffata nello Spirito di Dio, che è il Cristo stes-so sopravvivente nella comunità, e opera sotto l'azioneimmanente della sua giustizia. Il battesimo è il segnosensibile della impalpabile palingenesi. I fedeli furonocon il Cristo sepolti attraverso il battesimo nella morte,affinchè, come il Cristo è risorto di tra i morti in virtùdella gloria del Padre, così anche essi procedano in no-vità assoluta di vita. Se infatti i credenti furono innestatisulla raffigurazione simbolica della sua morte, sarannougualmente innestati sulla realtà ineffabile della sua ri-surrezione. I fedeli debbono ben ricordare che il lorovecchio uomo, vergognoso amalgama di passioni maldomate dalla costrizione inefficace delle esteriori con-venzioni e della meccanica disciplina, è stato crocifissocol Cristo, onde fosse annientato il corpo del peccato. Edebbono nutrire una adamantina certezza che se moriro-no con Cristo, con lui anche vivranno, ben sapendo cheil Cristo uscito dai morti non può più morire, inattacca-bile ormai per sempre all'oscuro potere della morte.

Una concezione così alta e così potente della mirabiletrasfigurazione che l'adesione al Vangelo implicanell'anima del convertito, si traduceva automaticamentein una precettistica morale elevata ed ardua. San Paolo

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ammonisce i fedeli di Roma: «Che il peccato non regniin questo nostro corpo mortale, sì da asservirvi alle suetorpide passioni. Nè costituite le vostre membra qualiarmi di ingiustizia al servizio della colpa. Al contrario,ponete voi stessi a disposizione di Dio, quasi riviventida morte, e costituite le vostre membra armi di giustiziaal servizio di Dio. Il peccato non dominerà più su di voi,dal momento che non siete più nell'economia della leg-ge, bensì nell'economia della grazia.»

L'arditezza di simile morale è pari al calore con cuil'apostolo l'inculca. Egli non se ne dissimula la sconcer-tante gravità e non se ne nasconde i formidabili rischi.Anime neghittose ed accidiose non sarebbero state fatal-mente tratte a farsene un comodo diversivo, per giustifi-care, nell'acquiescenza, ogni spontaneo stimolo dellaloro natura inferiore, scissa ormai dalla zona della lorocosciente responsabilità e del loro mistico orientamen-to? Paolo continua: «Potremo forse peccare, solo perchènon siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia? Giam-mai. Non sapete che di colui al quale vi siete dati comeschiavi in servizio, siete effettivamente schiavi, o delpeccato, in vista della morte, o dell'obbedienza nel bene,in vista della giustizia? Ebbene: la grazia di Dio ha fattosì che voi, già schiavi della colpa – e quindi destinatialla consumazione, all'annullamento e alla morte, – trattidalla voce del vostro cuore, prestaste ascolto a quelloschema di predicazione che vi fu trasmesso, onde, pie-namente affrancati dalla colpa, vi siete costituiti schiavidella giustizia. Altra volta le vostre membra erano al

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ammonisce i fedeli di Roma: «Che il peccato non regniin questo nostro corpo mortale, sì da asservirvi alle suetorpide passioni. Nè costituite le vostre membra qualiarmi di ingiustizia al servizio della colpa. Al contrario,ponete voi stessi a disposizione di Dio, quasi riviventida morte, e costituite le vostre membra armi di giustiziaal servizio di Dio. Il peccato non dominerà più su di voi,dal momento che non siete più nell'economia della leg-ge, bensì nell'economia della grazia.»

L'arditezza di simile morale è pari al calore con cuil'apostolo l'inculca. Egli non se ne dissimula la sconcer-tante gravità e non se ne nasconde i formidabili rischi.Anime neghittose ed accidiose non sarebbero state fatal-mente tratte a farsene un comodo diversivo, per giustifi-care, nell'acquiescenza, ogni spontaneo stimolo dellaloro natura inferiore, scissa ormai dalla zona della lorocosciente responsabilità e del loro mistico orientamen-to? Paolo continua: «Potremo forse peccare, solo perchènon siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia? Giam-mai. Non sapete che di colui al quale vi siete dati comeschiavi in servizio, siete effettivamente schiavi, o delpeccato, in vista della morte, o dell'obbedienza nel bene,in vista della giustizia? Ebbene: la grazia di Dio ha fattosì che voi, già schiavi della colpa – e quindi destinatialla consumazione, all'annullamento e alla morte, – trattidalla voce del vostro cuore, prestaste ascolto a quelloschema di predicazione che vi fu trasmesso, onde, pie-namente affrancati dalla colpa, vi siete costituiti schiavidella giustizia. Altra volta le vostre membra erano al

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servizio cieco e incontrollato della impurità e dell'ini-quità, per la iniquità. Ora le medesime vostre membrasiano al servizio della giustizia, per l'ideale della santità.Oh, voi ricordate molto bene quali frutti rampollavanodalle vostre membra, quando voi eravate strumenti desi-gnati della corruzione e della passione. Oggi ne arrossi-te. Loro sbocco, la morte. Oggi, affrancati dal peccato,schiavi di Dio, vedete moltiplicarsi i frutti della vostravita nella santità, in vista dell'eterna pace. Perchè, ricor-date: stipendio del peccato, la morte: dono di Dio, lavita eterna in Cristo Gesù Signor nostro.»

Nel suo fervore assillante per chiamare anime allapartecipazione del riscatto e della rinascita nel Cristo,Paolo non vede nè pure il problema del destino oltre latomba dei ribelli e dei recalcitranti al messaggio dellapace. La vita eterna è retaggio esclusivo dei credenti euna visuale oltre il sepolcro solo ad essi si dischiude. Lacaparra dell'immortalità è già nelle mani dei convertiti: èla presenza dello Spirito in loro. Ma lo spirito non è unaipostasi astratta della coscienza operante e non è una ca-pacità di autocoscienza guadagnata attraverso l'eserciziofaticoso delle virtù raziocinanti: è un vero frammento diquello Spirito che scruta in Dio le più intime ed abissaliprofondità della sua natura, trapiantato nel cuoredell'uomo. È questo Spirito che vivifica; è questo Spiritoche dà alla creatura una nuova personalità e un nuovoprincipio di operazioni. Il cristiano deve portare nellapratica quotidiana la consapevolezza di questa realtàineffabile, deposta nel suo grembo dal mistero della ini-

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servizio cieco e incontrollato della impurità e dell'ini-quità, per la iniquità. Ora le medesime vostre membrasiano al servizio della giustizia, per l'ideale della santità.Oh, voi ricordate molto bene quali frutti rampollavanodalle vostre membra, quando voi eravate strumenti desi-gnati della corruzione e della passione. Oggi ne arrossi-te. Loro sbocco, la morte. Oggi, affrancati dal peccato,schiavi di Dio, vedete moltiplicarsi i frutti della vostravita nella santità, in vista dell'eterna pace. Perchè, ricor-date: stipendio del peccato, la morte: dono di Dio, lavita eterna in Cristo Gesù Signor nostro.»

Nel suo fervore assillante per chiamare anime allapartecipazione del riscatto e della rinascita nel Cristo,Paolo non vede nè pure il problema del destino oltre latomba dei ribelli e dei recalcitranti al messaggio dellapace. La vita eterna è retaggio esclusivo dei credenti euna visuale oltre il sepolcro solo ad essi si dischiude. Lacaparra dell'immortalità è già nelle mani dei convertiti: èla presenza dello Spirito in loro. Ma lo spirito non è unaipostasi astratta della coscienza operante e non è una ca-pacità di autocoscienza guadagnata attraverso l'eserciziofaticoso delle virtù raziocinanti: è un vero frammento diquello Spirito che scruta in Dio le più intime ed abissaliprofondità della sua natura, trapiantato nel cuoredell'uomo. È questo Spirito che vivifica; è questo Spiritoche dà alla creatura una nuova personalità e un nuovoprincipio di operazioni. Il cristiano deve portare nellapratica quotidiana la consapevolezza di questa realtàineffabile, deposta nel suo grembo dal mistero della ini-

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ziazione battesimale. Procedere, rettamente, in questospirito, significa sconfiggere ininterottamente gli stimoliturbolenti della carne. I desideri della quale contrastanoirriducibilmente alle nobili aspirazioni, che lo Spirito diDio desta e alimenta in noi. Onde i cristiani posseggonola prova apodittica della loro genuina rinascita nellafede, nel loro intimo rinnovamento nello spirito e nelloro palmare diversificarsi dai non credenti, nelle mani-festazioni stesse della loro vita corporativa, in seno allaquale non è dato più cogliere quelle che sono le operedella carne, e si rivelano solamente le opere dello spiri-to. «Ora i frutti della carne sono ben manifesti: fornica-zione, impurità, libertinaggio, idolatria, arti magiche,odii, discordie, gelosie, ire, contese, divisioni, sette, in-sidie, eccessi nel bere, orgie e sregolatezze simili, a pro-posito delle quali vi ripeto quel che vi ho sempre detto:che chi se ne renda reo, non erediterà il regno di Dio. Ifrutti invece dello spirito sono: l'amore, la gioia, la pace,la longanimità, la benevolenza, la bontà, la fede, la mi-tezza, la dignità morale. Contro simili opere non v'è leg-ge che tenga» anche perchè «la sostanza di ogni legge ènella bontà e nell'amore, e chi è buono ed ama, ha auto-maticamente assolto ogni legge.»

Eteronoma in maniera quasi paradossale – chè infattiimplica non solamente una superiore fonte di norme perla vita dello spirito, bensì anche un nuovo soggetto diconnotazioni etiche, dopo la palingenesi – la morale diPaolo è squisitamente eudemonistica, nel più alto sensodella parola. Il bene ha la sua beatificante sanzione nel

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ziazione battesimale. Procedere, rettamente, in questospirito, significa sconfiggere ininterottamente gli stimoliturbolenti della carne. I desideri della quale contrastanoirriducibilmente alle nobili aspirazioni, che lo Spirito diDio desta e alimenta in noi. Onde i cristiani posseggonola prova apodittica della loro genuina rinascita nellafede, nel loro intimo rinnovamento nello spirito e nelloro palmare diversificarsi dai non credenti, nelle mani-festazioni stesse della loro vita corporativa, in seno allaquale non è dato più cogliere quelle che sono le operedella carne, e si rivelano solamente le opere dello spiri-to. «Ora i frutti della carne sono ben manifesti: fornica-zione, impurità, libertinaggio, idolatria, arti magiche,odii, discordie, gelosie, ire, contese, divisioni, sette, in-sidie, eccessi nel bere, orgie e sregolatezze simili, a pro-posito delle quali vi ripeto quel che vi ho sempre detto:che chi se ne renda reo, non erediterà il regno di Dio. Ifrutti invece dello spirito sono: l'amore, la gioia, la pace,la longanimità, la benevolenza, la bontà, la fede, la mi-tezza, la dignità morale. Contro simili opere non v'è leg-ge che tenga» anche perchè «la sostanza di ogni legge ènella bontà e nell'amore, e chi è buono ed ama, ha auto-maticamente assolto ogni legge.»

Eteronoma in maniera quasi paradossale – chè infattiimplica non solamente una superiore fonte di norme perla vita dello spirito, bensì anche un nuovo soggetto diconnotazioni etiche, dopo la palingenesi – la morale diPaolo è squisitamente eudemonistica, nel più alto sensodella parola. Il bene ha la sua beatificante sanzione nel

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Regno: l'escatologia viene a fiancheggiare l'etica el'antropologia mistica. Ma la visuale del Regno, nellamaturità della esperienza paolina, riesce ad assumereun'intimità di significato e una densità di elementi, cosìoriginali, da staccarsi definitivamente dalle raffigurazio-ni apocalittiche di tutta la tradizione messianica, e da di-venire una pura elaborazione spirituale delle più eccelseidealità del sacrificio individuale nel bene. Nei momentiiniziali del suo entusiastico proselitismo, Paolo avevapotuto immaginare che il sogno della parusia dovessesollecitamente tradursi in atto, attraverso una catastrofecosmica, di cui oscuri e turbinosi avvenimenti politiciavrebbero costituito il prodromo provvidenzialmentepredestinato. Adagio adagio la prospettiva del trionfoimminente si è allontanata dal suo sguardo ansioso, edu-cato dalle difficoltà quotidiane del suo ministero a inter-porre un lasso di tempo sempre maggiore fra la laborio-sa seminagione dell'evangelo e la ricomparsa del CristoSignore. Ora, nel meriggio della sua attività, il Regno diDio, meta ultima della consumante speranza cristiana,gli appariva come un miraggio luminoso, che si perdevanei confini indistinti di una lontananza problematica.Ma in pari tempo la dolcezza e la bellezza della vita eti-ca patrocinata dalla buona novella, gli si rivelava sem-pre più come un'anticipazione gaudiosa del guiderdonevagheggiato: «il Regno di Dio è giustizia e pace e gioianello Spirito Santo.»

In questo definitivo inquadramento delle visuali edelle prospettive scaturite dalla predicazione cristiana,

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Regno: l'escatologia viene a fiancheggiare l'etica el'antropologia mistica. Ma la visuale del Regno, nellamaturità della esperienza paolina, riesce ad assumereun'intimità di significato e una densità di elementi, cosìoriginali, da staccarsi definitivamente dalle raffigurazio-ni apocalittiche di tutta la tradizione messianica, e da di-venire una pura elaborazione spirituale delle più eccelseidealità del sacrificio individuale nel bene. Nei momentiiniziali del suo entusiastico proselitismo, Paolo avevapotuto immaginare che il sogno della parusia dovessesollecitamente tradursi in atto, attraverso una catastrofecosmica, di cui oscuri e turbinosi avvenimenti politiciavrebbero costituito il prodromo provvidenzialmentepredestinato. Adagio adagio la prospettiva del trionfoimminente si è allontanata dal suo sguardo ansioso, edu-cato dalle difficoltà quotidiane del suo ministero a inter-porre un lasso di tempo sempre maggiore fra la laborio-sa seminagione dell'evangelo e la ricomparsa del CristoSignore. Ora, nel meriggio della sua attività, il Regno diDio, meta ultima della consumante speranza cristiana,gli appariva come un miraggio luminoso, che si perdevanei confini indistinti di una lontananza problematica.Ma in pari tempo la dolcezza e la bellezza della vita eti-ca patrocinata dalla buona novella, gli si rivelava sem-pre più come un'anticipazione gaudiosa del guiderdonevagheggiato: «il Regno di Dio è giustizia e pace e gioianello Spirito Santo.»

In questo definitivo inquadramento delle visuali edelle prospettive scaturite dalla predicazione cristiana,

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Paolo inserisce anche una completa ed organica filosofiadella storia. Egli sa di potere raccomandare la sua pro-paganda universalistica e la sua impugnazione vigorosadella solidità delle prescrizioni mosaiche e in genere ditutte le discipline positive, ad una spiegazione esaurien-te del mistero storico, il cui svolgimento drammatico sicompie con lentezza fatale intorno a lui. Innegabilmen-te, il popolo d'Israele è stato insignito attraverso la suavita nei secoli di particolari privilegi. Ad esso furono af-fidate le parole profetiche; su di lui furono riversate lericchezze di particolari carismi e di eccezionali chiama-te. Ma lo stesso cumulo dei privilegi passati pesa ormaicome un fardello oneroso sulle spalle della razza vana-gloriosa e si leva come un ostacolo sulla via della suanuova salvezza. San Paolo pensa che quel «residuo» delpopolo di Jahvè, il quale è riuscito a comprendere e adabbracciare, in virtù dell'elezione della grazia, la fedenel Cristo morto e risorto, deve comunicare ai gentilil'annuncio dell'universale riscatto, mentre i figli diAbramo secondo la carne permangono nelle nebbie diun indurimento pervicace, che è anch'esso provvidenzia-le. I gentili, è vero, costituiscono una pianta selvatica difronte alla pianta domestica di Israele: un olivastro difronte all'olivo. Ma chiamandoli, così generosamente,alla giustizia e alla eredità, non più circoscritta e non piùcontesa, Iddio vuole suscitare e stimolare di rimbalzol'emulazione del popolo che ha portato nei secoli il teso-ro delle grandi promesse. Il pagano convertito non do-vrà dimenticare che la radice onde è sostenuto nella sua

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Paolo inserisce anche una completa ed organica filosofiadella storia. Egli sa di potere raccomandare la sua pro-paganda universalistica e la sua impugnazione vigorosadella solidità delle prescrizioni mosaiche e in genere ditutte le discipline positive, ad una spiegazione esaurien-te del mistero storico, il cui svolgimento drammatico sicompie con lentezza fatale intorno a lui. Innegabilmen-te, il popolo d'Israele è stato insignito attraverso la suavita nei secoli di particolari privilegi. Ad esso furono af-fidate le parole profetiche; su di lui furono riversate lericchezze di particolari carismi e di eccezionali chiama-te. Ma lo stesso cumulo dei privilegi passati pesa ormaicome un fardello oneroso sulle spalle della razza vana-gloriosa e si leva come un ostacolo sulla via della suanuova salvezza. San Paolo pensa che quel «residuo» delpopolo di Jahvè, il quale è riuscito a comprendere e adabbracciare, in virtù dell'elezione della grazia, la fedenel Cristo morto e risorto, deve comunicare ai gentilil'annuncio dell'universale riscatto, mentre i figli diAbramo secondo la carne permangono nelle nebbie diun indurimento pervicace, che è anch'esso provvidenzia-le. I gentili, è vero, costituiscono una pianta selvatica difronte alla pianta domestica di Israele: un olivastro difronte all'olivo. Ma chiamandoli, così generosamente,alla giustizia e alla eredità, non più circoscritta e non piùcontesa, Iddio vuole suscitare e stimolare di rimbalzol'emulazione del popolo che ha portato nei secoli il teso-ro delle grandi promesse. Il pagano convertito non do-vrà dimenticare che la radice onde è sostenuto nella sua

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gratuita elezione si sprofonda nella tradizione di Israele,e che la sua stessa chiamata ha ragione di mezzo, nellosvolgimento prodigioso dei piani dell'Altissimo. Infatti,quando sia compiuta la conversione dei gentili, allorasoltanto sarà la volta della salvezza per i giudei. Se ilmomentaneo recalcitrare di questi, dà la possibilità almondo di riconciliarsi con Dio, la loro finale introduzio-ne nella fede segnerà veramente l'avvento della risurre-zione universale e del Regno. Così san Paolo ricongiun-ge la sua apparente apostasia dal privilegio dei suoi pa-dri, ad una valutazione grandiosa del destino loro nelprogramma della Provvidenza.

Tutto commosso dalla vastità dell'orizzonte che lafede apre ai suoi occhi abbacinati, Paolo può sottolinea-re la grandezza della sua visione storica con parole diesultanza: «oh, profondità della ricchezza, della sapien-za, delle intuizioni provenienti da Dio: come appaionosuperiori ad ogni investigazione razionale le sue senten-ze, e come risultano immuni da ogni pista che ne tradi-sca ad altri la traccia le sue vie! In virtù di Lui, attraver-so Lui, verso di Lui, è ogni cosa. A Lui la gloria nei se-coli. Amen.»

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gratuita elezione si sprofonda nella tradizione di Israele,e che la sua stessa chiamata ha ragione di mezzo, nellosvolgimento prodigioso dei piani dell'Altissimo. Infatti,quando sia compiuta la conversione dei gentili, allorasoltanto sarà la volta della salvezza per i giudei. Se ilmomentaneo recalcitrare di questi, dà la possibilità almondo di riconciliarsi con Dio, la loro finale introduzio-ne nella fede segnerà veramente l'avvento della risurre-zione universale e del Regno. Così san Paolo ricongiun-ge la sua apparente apostasia dal privilegio dei suoi pa-dri, ad una valutazione grandiosa del destino loro nelprogramma della Provvidenza.

Tutto commosso dalla vastità dell'orizzonte che lafede apre ai suoi occhi abbacinati, Paolo può sottolinea-re la grandezza della sua visione storica con parole diesultanza: «oh, profondità della ricchezza, della sapien-za, delle intuizioni provenienti da Dio: come appaionosuperiori ad ogni investigazione razionale le sue senten-ze, e come risultano immuni da ogni pista che ne tradi-sca ad altri la traccia le sue vie! In virtù di Lui, attraver-so Lui, verso di Lui, è ogni cosa. A Lui la gloria nei se-coli. Amen.»

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IV.

Ci sono, nella vita dei grandi maestri dell'umanità,fatti o scritti nella cui preparazione sembra essersi, inun'opera di quotidiana gestazione, consumata la loro esi-stenza. Una volta espresso dal loro spirito e dalla loroattività il fiore più magnifico dei loro desideri e delleloro capacità, sembrano declinare rapidamente versol'occaso, come sotto il peso angoscioso di uno sforzosmisurato che li ha risoluti nella trasfigurazione spiritua-le e incancellabile della loro vocazione. La vita di Pao-lo, dopo aver dettato i documenti imperituri della suasuperba e stupenda visione del mondo e dei suoi destini,la lettera ai fedeli della Galazia e quella ai fedeli diRoma, è come un affrettarsi ansioso verso la testimo-nianza del martirio, sigillo purpureo e indelebile sul suomessaggio alle generazioni future.

Rimasto tre mesi a Corinto ad assaporare la gioia del-la riconciliazione con i suoi convertiti dell'Acaia e a tra-durre, nella serenità infusagli dall'insperato successo, intermini di teodicea e di filosofia della storia, la sua vi-brante esperienza, decise alfine di risalire a Gerusalem-

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IV.

Ci sono, nella vita dei grandi maestri dell'umanità,fatti o scritti nella cui preparazione sembra essersi, inun'opera di quotidiana gestazione, consumata la loro esi-stenza. Una volta espresso dal loro spirito e dalla loroattività il fiore più magnifico dei loro desideri e delleloro capacità, sembrano declinare rapidamente versol'occaso, come sotto il peso angoscioso di uno sforzosmisurato che li ha risoluti nella trasfigurazione spiritua-le e incancellabile della loro vocazione. La vita di Pao-lo, dopo aver dettato i documenti imperituri della suasuperba e stupenda visione del mondo e dei suoi destini,la lettera ai fedeli della Galazia e quella ai fedeli diRoma, è come un affrettarsi ansioso verso la testimo-nianza del martirio, sigillo purpureo e indelebile sul suomessaggio alle generazioni future.

Rimasto tre mesi a Corinto ad assaporare la gioia del-la riconciliazione con i suoi convertiti dell'Acaia e a tra-durre, nella serenità infusagli dall'insperato successo, intermini di teodicea e di filosofia della storia, la sua vi-brante esperienza, decise alfine di risalire a Gerusalem-

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me, per assolvere l'onere assuntosi nel convegno memo-rando: recare cioè ai «santi» della comunità madrel'obolo delle sue libere comunità. Rappresentanti di cia-scuna di queste lo accompagnavano: Sopatro di Berea,Aristarco e Secondo di Tessalonica, due galati, Gaio diDerbe, Tichico e Trofimo asiatici. Riprese così la viadella Macedonia. Si imbarcò a Neapoli, sbarcò a Troa-de. Di qui, raggiunse Asso per terra, mentre i suoi com-pagni facevano il viaggio per mare, con una linea di ca-botaggio. Ad Asso si riunì loro, e costeggiando la rivaasiatica, toccarono Mitilene, Chio, Samo, Mileto. Salu-tarono quindi fra le lacrime, presaghi dell'imminente ca-tastrofe, i fedeli amici di Efeso, a cui avevan dato con-vegno colà, e proseguirono per Rodi e Patara. Imbarcati-si qui su un vascello di più grosso tonnellaggio, raggiun-sero Tiro, Tolemaide e Cesarea. Quindi salirono a Geru-salemme.

Lungo il viaggio, i fedeli più affezionati non avevanomancato di prospettare all'apostolo i rischi che nascon-deva un suo arrivo nella città santa proprio durante la fe-stività della Pentecoste e di scongiurarlo di procrastinarese non di rinunciare al suo viaggio. Ma Paolo era statoirremovibile. Era proprio per la Pentecoste che egli vo-leva presentarsi a Gerusalemme, sia per accomunarsi,egli, il grande sovvertitore delle tradizioni legalistiche,alla massa dei pellegrini convenuti per la celebrazioneannuale, sia per esporre al più ampio suffragio la origi-nalità del suo ministero. L'accoglienza dei «fratelli» fusufficientemente cordiale: Paolo recava un obolo non in-

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me, per assolvere l'onere assuntosi nel convegno memo-rando: recare cioè ai «santi» della comunità madrel'obolo delle sue libere comunità. Rappresentanti di cia-scuna di queste lo accompagnavano: Sopatro di Berea,Aristarco e Secondo di Tessalonica, due galati, Gaio diDerbe, Tichico e Trofimo asiatici. Riprese così la viadella Macedonia. Si imbarcò a Neapoli, sbarcò a Troa-de. Di qui, raggiunse Asso per terra, mentre i suoi com-pagni facevano il viaggio per mare, con una linea di ca-botaggio. Ad Asso si riunì loro, e costeggiando la rivaasiatica, toccarono Mitilene, Chio, Samo, Mileto. Salu-tarono quindi fra le lacrime, presaghi dell'imminente ca-tastrofe, i fedeli amici di Efeso, a cui avevan dato con-vegno colà, e proseguirono per Rodi e Patara. Imbarcati-si qui su un vascello di più grosso tonnellaggio, raggiun-sero Tiro, Tolemaide e Cesarea. Quindi salirono a Geru-salemme.

Lungo il viaggio, i fedeli più affezionati non avevanomancato di prospettare all'apostolo i rischi che nascon-deva un suo arrivo nella città santa proprio durante la fe-stività della Pentecoste e di scongiurarlo di procrastinarese non di rinunciare al suo viaggio. Ma Paolo era statoirremovibile. Era proprio per la Pentecoste che egli vo-leva presentarsi a Gerusalemme, sia per accomunarsi,egli, il grande sovvertitore delle tradizioni legalistiche,alla massa dei pellegrini convenuti per la celebrazioneannuale, sia per esporre al più ampio suffragio la origi-nalità del suo ministero. L'accoglienza dei «fratelli» fusufficientemente cordiale: Paolo recava un obolo non in-

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differente, e il dono costituiva una commendatizia diuna certa efficacia. Ma egli era disposto a fare molto dipiù per mostrare in concreto quanto fedelmente egli vi-vesse nel fatto il precetto di essere tutto a tutti, in ognievenienza e in ogni frangente della vita. Gli fecero in-tendere che sarebbe stato un gesto di grande significatoe avrebbe dissipato una quantità di malintesi e di diffi-denze, se egli, aggregandosi ad un esiguo manipolo digiudeo-cristiani, che avevano fatto voto di nazireato, ecompievano il voto in quei giorni, e versando per essi lasomma necessaria all'acquisto degli animali del sacrifi-cio, si fosse sottoposto a una pratica rituale delle più ap-pariscenti.

Paolo, che aveva scritto una volta di essere disposto anon mangiar più carne in eterno, se un fratello solo gliavesse, con anima timorata, mostrato i suoi dubbi sullasua probabile contaminazione rituale, accettò con entu-siasmo. Ma la prova volenterosa non gli valse. Un grup-po di giudei della diaspora asiatica, di Efeso quindi pro-babilmente, avendo scorto a Gerusalemme al suo segui-to Trofimo, che essi sapevano pagano, si diedero a dif-fondere la voce che Paolo lo avesse introdotto nel tem-pio, ignominiosamente profanandolo. Suscitarono cosìuna certa agitazione, che provocò l'intervento del chi-liarca e della sua coorte. Paolo fu da questa sottratto allafuria della folla giudea e posto saldamente in catene.Cominciò allora per l'apostolo, che pure aveva cono-sciuto tante penose avventure e tanto aspre traversie,un'angosciosa odissea. Sottoposto da prima ad una spie-

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differente, e il dono costituiva una commendatizia diuna certa efficacia. Ma egli era disposto a fare molto dipiù per mostrare in concreto quanto fedelmente egli vi-vesse nel fatto il precetto di essere tutto a tutti, in ognievenienza e in ogni frangente della vita. Gli fecero in-tendere che sarebbe stato un gesto di grande significatoe avrebbe dissipato una quantità di malintesi e di diffi-denze, se egli, aggregandosi ad un esiguo manipolo digiudeo-cristiani, che avevano fatto voto di nazireato, ecompievano il voto in quei giorni, e versando per essi lasomma necessaria all'acquisto degli animali del sacrifi-cio, si fosse sottoposto a una pratica rituale delle più ap-pariscenti.

Paolo, che aveva scritto una volta di essere disposto anon mangiar più carne in eterno, se un fratello solo gliavesse, con anima timorata, mostrato i suoi dubbi sullasua probabile contaminazione rituale, accettò con entu-siasmo. Ma la prova volenterosa non gli valse. Un grup-po di giudei della diaspora asiatica, di Efeso quindi pro-babilmente, avendo scorto a Gerusalemme al suo segui-to Trofimo, che essi sapevano pagano, si diedero a dif-fondere la voce che Paolo lo avesse introdotto nel tem-pio, ignominiosamente profanandolo. Suscitarono cosìuna certa agitazione, che provocò l'intervento del chi-liarca e della sua coorte. Paolo fu da questa sottratto allafuria della folla giudea e posto saldamente in catene.Cominciò allora per l'apostolo, che pure aveva cono-sciuto tante penose avventure e tanto aspre traversie,un'angosciosa odissea. Sottoposto da prima ad una spie-

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tata flagellazione, la interrompe denunciando la sua qua-lità di cittadino romano. Il tribuno, Claudio Lisia, con-voca allora il sinedrio, per farsi un'idea più esatta delleaccuse mosse dai giudei al prigioniero. Paolo astuta-mente rende impossibile qualsiasi suo chiaro verdetto,poichè, conoscendo la discordia esistente fra farisei esadducei, porta la discussione sul tema scottante dellaresurrezione. Il tribuno finisce col saperne meno di pri-ma. Per trarsi d'impaccio, posto sull'avviso di una con-giura ordita ai danni del suo pericoloso prigioniero, pen-sa di disfarsene e lo invia, sotto buona scorta, di notte, alprocuratore Felice, a Cesarea. Dinanzi al suo tribunalefu imbastito regolarmente il processo. Rappresentantidel Sinedrio, assistiti dal causidico Tertullo, deposeroufficialmente la loro denuncia contro Paolo, imputato disovvertimento universale delle tradizioni giudaiche e diviolazione della sacra maestà del tempio. Paolo replicaesaurientemente. Felice, mal dissimulando il suo imba-razzo, rimanda la sentenza a quando sia stata ascoltata latestimonianza del tribuno di Gerusalemme. Così la pri-gionia dell'apostolo si prolunga per tutto il tempo delprocuratorato di Felice. Festo, che gli succede, trova laquestione insoluta. La prima volta che sale a Gerusa-lemme, le autorità giudaiche rinnovano le loro accuseiraconde contro Paolo e chiedono ch'egli sia riportatonella città, dove si lusingano di poter riuscire più age-volmente ad averlo nelle loro mani. Ma Festo si rifiuta:si sarebbe più tosto rinnovato il giudizio a Cesarea. Siripete la scena già una volta svoltasi al cospetto di Feli-

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tata flagellazione, la interrompe denunciando la sua qua-lità di cittadino romano. Il tribuno, Claudio Lisia, con-voca allora il sinedrio, per farsi un'idea più esatta delleaccuse mosse dai giudei al prigioniero. Paolo astuta-mente rende impossibile qualsiasi suo chiaro verdetto,poichè, conoscendo la discordia esistente fra farisei esadducei, porta la discussione sul tema scottante dellaresurrezione. Il tribuno finisce col saperne meno di pri-ma. Per trarsi d'impaccio, posto sull'avviso di una con-giura ordita ai danni del suo pericoloso prigioniero, pen-sa di disfarsene e lo invia, sotto buona scorta, di notte, alprocuratore Felice, a Cesarea. Dinanzi al suo tribunalefu imbastito regolarmente il processo. Rappresentantidel Sinedrio, assistiti dal causidico Tertullo, deposeroufficialmente la loro denuncia contro Paolo, imputato disovvertimento universale delle tradizioni giudaiche e diviolazione della sacra maestà del tempio. Paolo replicaesaurientemente. Felice, mal dissimulando il suo imba-razzo, rimanda la sentenza a quando sia stata ascoltata latestimonianza del tribuno di Gerusalemme. Così la pri-gionia dell'apostolo si prolunga per tutto il tempo delprocuratorato di Felice. Festo, che gli succede, trova laquestione insoluta. La prima volta che sale a Gerusa-lemme, le autorità giudaiche rinnovano le loro accuseiraconde contro Paolo e chiedono ch'egli sia riportatonella città, dove si lusingano di poter riuscire più age-volmente ad averlo nelle loro mani. Ma Festo si rifiuta:si sarebbe più tosto rinnovato il giudizio a Cesarea. Siripete la scena già una volta svoltasi al cospetto di Feli-

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ce. Festo, ritornando sulle sue decisioni, si domanda seil trasportare il prigioniero a Gerusalemme e il porlo aconfronto con le autorità che più tenacemente lo inve-stono, non avrebbe potuto costituire un mezzo non inef-ficace per accattivarsi la fiducia e la simpatiadell'ombrosa popolazione sottoposta alla sua tutela. SanPaolo, comprende che non ha altra possibilità di scampoormai che quella di tentare di uscire dalla Palestina, edappella, nella sua qualità di cittadino romano, a Cesare.Festo è costretto a dar seguito al suo appello.

Con qualche altro prigioniero – probabilmente delin-quenti comuni, destinati alle belve del circo – Paolo èaffidato alla custodia del centurione Giulio della coorteaugustana. Prende posto su una nave che tornava in Asiaminore, e toccano terra a Sidone. Luca ed Aristarco sioffrirono di accompagnare l'apostolo in qualità di suoischiavi. Da Sidone, i venti li costringono a tenere il lar-go di Cipro, e raggiungono Mira sulla costa della Licia.Incontrata là una nave alessandrina che faceva vela di-rettamente per l'Italia, la piccola pattuglia di prigionierivi fu trasportata. Il viaggio fu burrascosissimo. Luca neha narrato negli Atti le peripezie rischiosissime, finchènon fu dato ai naufraghi di prender terra a Malta, doverimasero tre mesi. In un giorno di marzo essi riprende-vano il mare in un'altra nave alessandrina e veleggiaro-no verso Siracusa. Di qui risalirono a Reggio e da Reg-gio a Pozzuoli. Da Pozzuoli la carovana prese, per terra,la via di Roma. I fedeli della capitale, che anni primaavevano letto con emozione lo stupendo messaggio di

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ce. Festo, ritornando sulle sue decisioni, si domanda seil trasportare il prigioniero a Gerusalemme e il porlo aconfronto con le autorità che più tenacemente lo inve-stono, non avrebbe potuto costituire un mezzo non inef-ficace per accattivarsi la fiducia e la simpatiadell'ombrosa popolazione sottoposta alla sua tutela. SanPaolo, comprende che non ha altra possibilità di scampoormai che quella di tentare di uscire dalla Palestina, edappella, nella sua qualità di cittadino romano, a Cesare.Festo è costretto a dar seguito al suo appello.

Con qualche altro prigioniero – probabilmente delin-quenti comuni, destinati alle belve del circo – Paolo èaffidato alla custodia del centurione Giulio della coorteaugustana. Prende posto su una nave che tornava in Asiaminore, e toccano terra a Sidone. Luca ed Aristarco sioffrirono di accompagnare l'apostolo in qualità di suoischiavi. Da Sidone, i venti li costringono a tenere il lar-go di Cipro, e raggiungono Mira sulla costa della Licia.Incontrata là una nave alessandrina che faceva vela di-rettamente per l'Italia, la piccola pattuglia di prigionierivi fu trasportata. Il viaggio fu burrascosissimo. Luca neha narrato negli Atti le peripezie rischiosissime, finchènon fu dato ai naufraghi di prender terra a Malta, doverimasero tre mesi. In un giorno di marzo essi riprende-vano il mare in un'altra nave alessandrina e veleggiaro-no verso Siracusa. Di qui risalirono a Reggio e da Reg-gio a Pozzuoli. Da Pozzuoli la carovana prese, per terra,la via di Roma. I fedeli della capitale, che anni primaavevano letto con emozione lo stupendo messaggio di

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Paolo, mandarono ad incontrarlo una loro ambasceria,che attese il prigioniero a Foro Appio, risalendo poi conlui il tracciato della via che ancor oggi, dai colli Albaniin poi, domina, alta e rettilinea, l'immensa distesa dellacampagna.

Che cosa sarà passato nell'animo dell'apostolo inquelle ultime giornate di viaggio verso la città del suodesiderio e del suo amore? Egli aveva ardentemente so-gnato di potere, quando che fosse, spiegare la sua operaapostolica in quella babelica capitale dell'impero nero-niano, dove già altri aveva disseminato la buona novel-la. Ma come diverse, da quelle che aveva vagheggiato,erano ora le condizioni esteriori nelle quali egli vi per-veniva! Prigioniero politico, denunciato dai suoi fratellidi sangue al tribunale di quel «figlio dell'empietà» con-tro cui non aveva cessato un giorno solo di levare la fie-ra sua condanna e l'implacabile sua minaccia, egli eraormai alla sua mercè. Paolo intuiva e valutava tutta laparadossale stranezza della sua situazione. La sua predi-cazione non era che il coronamento della speranza, cheper secoli aveva commosso e temprato le idealità dellasua razza. I suoi ceppi erano veramente una testimo-nianza resa alla speranza d'Israele. Ed era proprio Israe-le che lo trascinava al tribunale del violatore di Sion edel tiranno della Giudea, perchè egli fosse giudicatoquale ribelle a Cesare, in realtà quale trasfiguratore enobilitatore della tradizione messianica. Paolo non do-veva nutrire alcuna illusione nel suo cuore. Come sareb-be mai riuscito a salvare la sua fiammante propaganda

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Paolo, mandarono ad incontrarlo una loro ambasceria,che attese il prigioniero a Foro Appio, risalendo poi conlui il tracciato della via che ancor oggi, dai colli Albaniin poi, domina, alta e rettilinea, l'immensa distesa dellacampagna.

Che cosa sarà passato nell'animo dell'apostolo inquelle ultime giornate di viaggio verso la città del suodesiderio e del suo amore? Egli aveva ardentemente so-gnato di potere, quando che fosse, spiegare la sua operaapostolica in quella babelica capitale dell'impero nero-niano, dove già altri aveva disseminato la buona novel-la. Ma come diverse, da quelle che aveva vagheggiato,erano ora le condizioni esteriori nelle quali egli vi per-veniva! Prigioniero politico, denunciato dai suoi fratellidi sangue al tribunale di quel «figlio dell'empietà» con-tro cui non aveva cessato un giorno solo di levare la fie-ra sua condanna e l'implacabile sua minaccia, egli eraormai alla sua mercè. Paolo intuiva e valutava tutta laparadossale stranezza della sua situazione. La sua predi-cazione non era che il coronamento della speranza, cheper secoli aveva commosso e temprato le idealità dellasua razza. I suoi ceppi erano veramente una testimo-nianza resa alla speranza d'Israele. Ed era proprio Israe-le che lo trascinava al tribunale del violatore di Sion edel tiranno della Giudea, perchè egli fosse giudicatoquale ribelle a Cesare, in realtà quale trasfiguratore enobilitatore della tradizione messianica. Paolo non do-veva nutrire alcuna illusione nel suo cuore. Come sareb-be mai riuscito a salvare la sua fiammante propaganda

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dalla cruenta rappresaglia, qui, nella sede stessa del do-minatore sozzo e folle, che cercava di nascondere sottol'orpello grossolano del fasto e della pubblica gazzarral'intima impurità e la brutale iniquità del suo regime disopraffazione e di inganno? Sì: Paolo aveva bramato dispargere un po' della sua virtù irrigatrice di apostolo e dimaestro fra i convertiti della metropoli. Il messaggio diCristo era l'instaurazione di una forza spirituale e di unmiraggio ultraumano, che avrebbe irrimediabilmentecorroso tutta l'impalcatura dell'Impero, fatta di menzo-gna e di usurpazione. Ma egli aveva sognato, qui, fra isette colli, una propaganda libera e audace. Ora egli pas-sava per la porta Capena accomunato ad un manipolo divolgari delinquenti. E la sede dell'«empio» era là dinan-zi ai suoi occhi con tutta la malia fascinatrice della suagrandiosità luminosa e rumorosa. Su dalla sua anima diisraelita irreconciliabile risalivano impetuosi lo sdegno el'acredine, che dovevano, in un giorno lontano, aver in-vaso, sulle sponde del fiume che traversava la sua Tarsonatale, il cuore del padre suo, al passaggio del corteggioimmondo e sfacciato di una cortigiana coronata. Ebbe-ne: anche prigioniero e votato al supplizio, Paolo avreb-be inciso, sul marmo di Roma, il suo messaggio erosivo.

Ormai in ceppi, Paolo mantenne fede alla sua voca-zione. Profittando della relativa libertà concessagli, pursotto la sorveglianza militare che non lo lasciava unistante, egli cominciò con l'avvicinare le individualitàpiù eminenti della comunità israelitica, il cui interventoprobabilmente poteva esercitare un certo peso sulla

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dalla cruenta rappresaglia, qui, nella sede stessa del do-minatore sozzo e folle, che cercava di nascondere sottol'orpello grossolano del fasto e della pubblica gazzarral'intima impurità e la brutale iniquità del suo regime disopraffazione e di inganno? Sì: Paolo aveva bramato dispargere un po' della sua virtù irrigatrice di apostolo e dimaestro fra i convertiti della metropoli. Il messaggio diCristo era l'instaurazione di una forza spirituale e di unmiraggio ultraumano, che avrebbe irrimediabilmentecorroso tutta l'impalcatura dell'Impero, fatta di menzo-gna e di usurpazione. Ma egli aveva sognato, qui, fra isette colli, una propaganda libera e audace. Ora egli pas-sava per la porta Capena accomunato ad un manipolo divolgari delinquenti. E la sede dell'«empio» era là dinan-zi ai suoi occhi con tutta la malia fascinatrice della suagrandiosità luminosa e rumorosa. Su dalla sua anima diisraelita irreconciliabile risalivano impetuosi lo sdegno el'acredine, che dovevano, in un giorno lontano, aver in-vaso, sulle sponde del fiume che traversava la sua Tarsonatale, il cuore del padre suo, al passaggio del corteggioimmondo e sfacciato di una cortigiana coronata. Ebbe-ne: anche prigioniero e votato al supplizio, Paolo avreb-be inciso, sul marmo di Roma, il suo messaggio erosivo.

Ormai in ceppi, Paolo mantenne fede alla sua voca-zione. Profittando della relativa libertà concessagli, pursotto la sorveglianza militare che non lo lasciava unistante, egli cominciò con l'avvicinare le individualitàpiù eminenti della comunità israelitica, il cui interventoprobabilmente poteva esercitare un certo peso sulla

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istruttoria, che si andava imbastendo a suo carico. Adesse cercò di mostrare la continuità del suo insegnamen-to con la tradizione del Vecchio testamento. Anche conla comunità cristiana, verisimilmente, egli strinse vivirapporti. Ma il suo pensiero volava incessantemente aisuoi amati seguaci, che aveva disseminato, così fecon-damente, lungo tutte le grandi vie dell'Impero. Che cosapensavano e facevano frattanto i primi amici di Antio-chia, le infide comunità della Galazia, i prediletti fratellidella Macedonia, i riconquistati cristiani dell'Acaia, i te-naci aderenti della città di Diana sulla costa ionica? Ungiorno Paolo ricevette una visita insperata. Il fratelloEpafrodito, a nome di tutta la comunità di Filippi, eravenuto dalla lontana Macedonia a constatare sul postol'andamento del processo e a portare un buon soccorsoin denaro. Paolo ne fu toccato fino alle più riposte radicidel suo cuore. Un'onda di soavi ricordi venne ad addol-cire le amarezze della preoccupante prigionia. Si rivede-va, più di un decennio prima, quando la prima volta,sotto l'impulso dello Spirito, era sbarcato in terra mace-done. Gli si affollavano alla memoria i profili delle pri-me reclute del Vangelo, nei confini d'Europa. Ricordavacommosso l'anima tenera e premurosa della ricca mer-cantessa di porpora, Lidia, che a lui e al suo compagno,messaggeri sconcertanti di un annuncio impreveduto,aveva offerto generosa ospitalità nella sua casa. E scris-se, per ringraziare la bene amata comunità, a cui Epafro-dito stesso avrebbe portato la sua risposta, il testamentodel suo cuore che, pur dinanzi alla morte, non era capa-

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istruttoria, che si andava imbastendo a suo carico. Adesse cercò di mostrare la continuità del suo insegnamen-to con la tradizione del Vecchio testamento. Anche conla comunità cristiana, verisimilmente, egli strinse vivirapporti. Ma il suo pensiero volava incessantemente aisuoi amati seguaci, che aveva disseminato, così fecon-damente, lungo tutte le grandi vie dell'Impero. Che cosapensavano e facevano frattanto i primi amici di Antio-chia, le infide comunità della Galazia, i prediletti fratellidella Macedonia, i riconquistati cristiani dell'Acaia, i te-naci aderenti della città di Diana sulla costa ionica? Ungiorno Paolo ricevette una visita insperata. Il fratelloEpafrodito, a nome di tutta la comunità di Filippi, eravenuto dalla lontana Macedonia a constatare sul postol'andamento del processo e a portare un buon soccorsoin denaro. Paolo ne fu toccato fino alle più riposte radicidel suo cuore. Un'onda di soavi ricordi venne ad addol-cire le amarezze della preoccupante prigionia. Si rivede-va, più di un decennio prima, quando la prima volta,sotto l'impulso dello Spirito, era sbarcato in terra mace-done. Gli si affollavano alla memoria i profili delle pri-me reclute del Vangelo, nei confini d'Europa. Ricordavacommosso l'anima tenera e premurosa della ricca mer-cantessa di porpora, Lidia, che a lui e al suo compagno,messaggeri sconcertanti di un annuncio impreveduto,aveva offerto generosa ospitalità nella sua casa. E scris-se, per ringraziare la bene amata comunità, a cui Epafro-dito stesso avrebbe portato la sua risposta, il testamentodel suo cuore che, pur dinanzi alla morte, non era capa-

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ce che di tenerezza e di amore per i suoi associatinell'ideale e nella speranza: «Rendo grazie al mio Dioper tutta la squisita memoria che voi conservate di me,sempre, in ogni mia preghiera rammemorandomi congioia di tutti voi, per la solidarietà vostra nel Vangelo,dal primo giorno ad oggi, convinto come sono che coluiil quale ha iniziato in voi l'opera santa, la compirà finoal giorno di Cristo Gesù. È ben giusto del resto che iocosì senta di tutti voi, dal momento che vi porto tutti incuore, voi tutti, così nei ceppi miei come nella difesa enel rassodamento del Vangelo, miei sodali nella grazia.Sa Iddio con quale animo, nel Cristo Gesù, io pensi condesiderio a voi. E questo a Lui chieggo, che l'amor vo-stro ogni giorno più si arricchisca in sottile conoscenzae in squisitezza, onde voi siate sempre meglio in gradodi valutare e scernere i veri valori, sì che diveniate tra-sparenti e irreprensibili per il giorno del Signore, ricol-mi dei frutti di giustizia, quali si conseguono attraversoGesù Cristo, a gloria ed esaltazione a Dio.

Come sempre, anche adesso, nel mio corpo o nellavita o nella morte Cristo sarà glorificato. Chè per me ilvivere è Cristo e il morire è un guadagno. Se il soprav-vivere mi può dar frutto di lavoro, io non so proprio checosa scegliere: messo alle strette da due parti, fra il desi-derio pungente di dissolvermi e di essere con Cristo,meta tanto più preziosa per me, e quello di restare nellacarne, cosa più utile per voi....

Orsù: se v'è consolazione in Cristo, se v'è una sicu-rezza d'amore, se v'è una comunione nello Spirito, se v'è

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ce che di tenerezza e di amore per i suoi associatinell'ideale e nella speranza: «Rendo grazie al mio Dioper tutta la squisita memoria che voi conservate di me,sempre, in ogni mia preghiera rammemorandomi congioia di tutti voi, per la solidarietà vostra nel Vangelo,dal primo giorno ad oggi, convinto come sono che coluiil quale ha iniziato in voi l'opera santa, la compirà finoal giorno di Cristo Gesù. È ben giusto del resto che iocosì senta di tutti voi, dal momento che vi porto tutti incuore, voi tutti, così nei ceppi miei come nella difesa enel rassodamento del Vangelo, miei sodali nella grazia.Sa Iddio con quale animo, nel Cristo Gesù, io pensi condesiderio a voi. E questo a Lui chieggo, che l'amor vo-stro ogni giorno più si arricchisca in sottile conoscenzae in squisitezza, onde voi siate sempre meglio in gradodi valutare e scernere i veri valori, sì che diveniate tra-sparenti e irreprensibili per il giorno del Signore, ricol-mi dei frutti di giustizia, quali si conseguono attraversoGesù Cristo, a gloria ed esaltazione a Dio.

Come sempre, anche adesso, nel mio corpo o nellavita o nella morte Cristo sarà glorificato. Chè per me ilvivere è Cristo e il morire è un guadagno. Se il soprav-vivere mi può dar frutto di lavoro, io non so proprio checosa scegliere: messo alle strette da due parti, fra il desi-derio pungente di dissolvermi e di essere con Cristo,meta tanto più preziosa per me, e quello di restare nellacarne, cosa più utile per voi....

Orsù: se v'è consolazione in Cristo, se v'è una sicu-rezza d'amore, se v'è una comunione nello Spirito, se v'è

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tenerezza e compassione, colmate la mia gioia e abbiatetutti uno stesso sentimento, nutriate tutti il medesimo af-fetto, tutti concordi, unanimi. Nulla facciate sotto lo sti-molo della rivalità e della vanagloria, ma in ispirito diumiltà ciascuno ritenga gli altri da più di sè stesso, cia-scuno badando non più al proprio utile, bensì a quellodegli altri. Sentite nella vostra vita associata quel che ri-scontrate nel Cristo Gesù, il quale, pure essendo nellaforma di Dio, non reputò valore da custodirsi gelosa-mente l'essere uguale a Dio, al contrario si abbassò finoa prendere sembiante di schiavo, apparso simile agli uo-mini. Ed essendo comparso sotto aspetto di uomo, siumiliò, costituitosi in soggezione fino alla morte, e allamorte di croce. Onde Dio lo risollevò e gli elargì unnome che è sopra ogni nome, per cui nel nome di Gesùdebba piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, sottoterra, e ogni lingua debba proclamare, a gloria del Pa-dre: Signore è Cristo Gesù.

Perciò, miei diletti, sottomessi e docili come semprefoste, non solamente come si verificava quand'io eropresente, ma molto più ora nella mia assenza, attuate lavostra salvezza con timore e tremore. Poichè Dio è coluiche opera in voi così il volere come l'agire a norma dellasua benevolenza. Fate ogni cosa lungi da mormorazionie da esitazioni, onde diveniate irreprensibili e immaco-lati, figli di Dio senza biasimo in mezzo ad una genera-zione perversa e traviata, in seno alla quale rilucetecome astri nel mondo, recanti la parola di vita, affinchèsiate mia gloria nel dì del Signore, riprova che non inva-

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tenerezza e compassione, colmate la mia gioia e abbiatetutti uno stesso sentimento, nutriate tutti il medesimo af-fetto, tutti concordi, unanimi. Nulla facciate sotto lo sti-molo della rivalità e della vanagloria, ma in ispirito diumiltà ciascuno ritenga gli altri da più di sè stesso, cia-scuno badando non più al proprio utile, bensì a quellodegli altri. Sentite nella vostra vita associata quel che ri-scontrate nel Cristo Gesù, il quale, pure essendo nellaforma di Dio, non reputò valore da custodirsi gelosa-mente l'essere uguale a Dio, al contrario si abbassò finoa prendere sembiante di schiavo, apparso simile agli uo-mini. Ed essendo comparso sotto aspetto di uomo, siumiliò, costituitosi in soggezione fino alla morte, e allamorte di croce. Onde Dio lo risollevò e gli elargì unnome che è sopra ogni nome, per cui nel nome di Gesùdebba piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, sottoterra, e ogni lingua debba proclamare, a gloria del Pa-dre: Signore è Cristo Gesù.

Perciò, miei diletti, sottomessi e docili come semprefoste, non solamente come si verificava quand'io eropresente, ma molto più ora nella mia assenza, attuate lavostra salvezza con timore e tremore. Poichè Dio è coluiche opera in voi così il volere come l'agire a norma dellasua benevolenza. Fate ogni cosa lungi da mormorazionie da esitazioni, onde diveniate irreprensibili e immaco-lati, figli di Dio senza biasimo in mezzo ad una genera-zione perversa e traviata, in seno alla quale rilucetecome astri nel mondo, recanti la parola di vita, affinchèsiate mia gloria nel dì del Signore, riprova che non inva-

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no corsi e non invano mi affaticai. Sicchè, se anche ilmio sangue debba essere effuso sul sacrificio liturgicodella vostra fede, io possa goderne e trasalirne di gioiacon tutti voi.

Tripudiate nel Signore sempre: lo ripeto, tripudiate.La vostra mite e dolce compostezza risalti al cospetto ditutti gli uomini. Il Signore è vicino. Di nulla preoccupa-tevi, ma in ogni istante le vostre suppliche salgano a Dionella preghiera e nella supplica, accompagnate da azionidi grazia. E la pace di Dio, quella pace che trascendeogni comprensione, custodisca gelosamente i vostri cuo-ri e i vostri pensieri in Cristo Gesù. Del resto, o fratelli,quanto v'è di vero, quanto di onorando, quanto di giusto,quanto di puro, quanto di amabile, quanto di commen-devole, dovunque v'è verità e lode, tutto questo costitui-sca argomento della vostra riflessione. E quanto impara-ste, riceveste, ascoltaste, vedeste, da me o in me, questofate. E l'Iddio della pace sarà con voi.

Come vi dirò la gioia donde nel Signore trasalii, rive-dendo così inaspettatamente rifiorire, come una prima-vera, i vostri sentimenti a mio riguardo? Veramente nonavevate mai cessato di nutrirli: ma non si era offertal'occasione per manifestarli. Non dico ciò a causa di unmio bisogno. Ho ben imparato a bastare a me stesso inqualunque circostanza mi ritrovi! So vivere nella pover-tà, so vivere nella abbondanza. In ogni istante, in qual-siasi frangente ho fatto tutte le esperienze, dell'essere sa-tollo e dell'aver fame, del sovrabbondare e del trovarminelle strettezze. In realtà tutto posso in colui che mi dà

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no corsi e non invano mi affaticai. Sicchè, se anche ilmio sangue debba essere effuso sul sacrificio liturgicodella vostra fede, io possa goderne e trasalirne di gioiacon tutti voi.

Tripudiate nel Signore sempre: lo ripeto, tripudiate.La vostra mite e dolce compostezza risalti al cospetto ditutti gli uomini. Il Signore è vicino. Di nulla preoccupa-tevi, ma in ogni istante le vostre suppliche salgano a Dionella preghiera e nella supplica, accompagnate da azionidi grazia. E la pace di Dio, quella pace che trascendeogni comprensione, custodisca gelosamente i vostri cuo-ri e i vostri pensieri in Cristo Gesù. Del resto, o fratelli,quanto v'è di vero, quanto di onorando, quanto di giusto,quanto di puro, quanto di amabile, quanto di commen-devole, dovunque v'è verità e lode, tutto questo costitui-sca argomento della vostra riflessione. E quanto impara-ste, riceveste, ascoltaste, vedeste, da me o in me, questofate. E l'Iddio della pace sarà con voi.

Come vi dirò la gioia donde nel Signore trasalii, rive-dendo così inaspettatamente rifiorire, come una prima-vera, i vostri sentimenti a mio riguardo? Veramente nonavevate mai cessato di nutrirli: ma non si era offertal'occasione per manifestarli. Non dico ciò a causa di unmio bisogno. Ho ben imparato a bastare a me stesso inqualunque circostanza mi ritrovi! So vivere nella pover-tà, so vivere nella abbondanza. In ogni istante, in qual-siasi frangente ho fatto tutte le esperienze, dell'essere sa-tollo e dell'aver fame, del sovrabbondare e del trovarminelle strettezze. In realtà tutto posso in colui che mi dà

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forza. Ad ogni modo, gran merito il vostro nell'esservi,così amorevolmente, affratellati alle mie tribolazioni....

Ora tutto ho ricevuto e nuoto nell'abbondanza. Sonoricolmo, avendo ricevuto da Epafrodito quel che mi ave-te mandato, vero profumo soave, sacrificio accetto egradito a Dio.»

Sono queste probabilmente le estreme dichiarazionidel grande interprete del Vangelo, conservatesi superstitifino a noi. A pochi mesi di distanza, un paio di anni pri-ma che sui giardini imperiali del Vaticano i corpi ardentidei martiri romani, designati dalla bieca follia di Neronecome rei dell'incendio, spandessero la luce sinistra delleloro carni martoriate, Paolo era decapitato in una via su-burbana. Saulo, Paolo, l'israelita di Tarso, il convertitodi Damasco, l'apostolo del mondo romano, spargeva ilsuo sangue, come una libazione propiziatoria, sull'aradel sacrificio che la nuova fede, la sua fede, aveva ap-prestato alla nuova storia.

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forza. Ad ogni modo, gran merito il vostro nell'esservi,così amorevolmente, affratellati alle mie tribolazioni....

Ora tutto ho ricevuto e nuoto nell'abbondanza. Sonoricolmo, avendo ricevuto da Epafrodito quel che mi ave-te mandato, vero profumo soave, sacrificio accetto egradito a Dio.»

Sono queste probabilmente le estreme dichiarazionidel grande interprete del Vangelo, conservatesi superstitifino a noi. A pochi mesi di distanza, un paio di anni pri-ma che sui giardini imperiali del Vaticano i corpi ardentidei martiri romani, designati dalla bieca follia di Neronecome rei dell'incendio, spandessero la luce sinistra delleloro carni martoriate, Paolo era decapitato in una via su-burbana. Saulo, Paolo, l'israelita di Tarso, il convertitodi Damasco, l'apostolo del mondo romano, spargeva ilsuo sangue, come una libazione propiziatoria, sull'aradel sacrificio che la nuova fede, la sua fede, aveva ap-prestato alla nuova storia.

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BIBLIOGRAFIA.

Il testo dell'epistolario paolino in: Die Schriften desneuen Testaments in ihrer ältesten erreichbaren Textge-stalt hergestellt auf Grund ihrer Textgeschichte, vonHERMANN FREIHERR VON SODEN, Göttingen, 1913; in edi-zione popolare, NESTLE. Ottima traduzione italiana delleprincipali lettere: AGOSTINO BIAMONTI, Le lettere di SanPaolo ad uso degli istituti magistrali superiori. Roma,Libreria di cultura, 1924.

Buona esposizione e discussione dei problemi solle-vati dalla critica intorno all'epistolario paolino in: An In-troduction to the Literature of the New Testament, byJAMES MOFFATT. Edinburgh, Clark, 1911. Diligenti com-menti a quasi tutte le lettere paoline, a tendenza semprepiù liberaleggiante, sono apparsi nelle tre grandi raccol-te: «Kommentar zum Neuen Testament» herausgegebenvon T. ZAHN (Leipzig, Deichert); «Kritisch-exegetischerKommentar über das Neue Testament» begründet vonH. A. W. MEYER, Göttingen, Vandenhoeck u. Rupreht);«Handbuch zum Neuen Testament» herausgegeben vonH. LIETZMANN (Tübingen, Mohr).

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BIBLIOGRAFIA.

Il testo dell'epistolario paolino in: Die Schriften desneuen Testaments in ihrer ältesten erreichbaren Textge-stalt hergestellt auf Grund ihrer Textgeschichte, vonHERMANN FREIHERR VON SODEN, Göttingen, 1913; in edi-zione popolare, NESTLE. Ottima traduzione italiana delleprincipali lettere: AGOSTINO BIAMONTI, Le lettere di SanPaolo ad uso degli istituti magistrali superiori. Roma,Libreria di cultura, 1924.

Buona esposizione e discussione dei problemi solle-vati dalla critica intorno all'epistolario paolino in: An In-troduction to the Literature of the New Testament, byJAMES MOFFATT. Edinburgh, Clark, 1911. Diligenti com-menti a quasi tutte le lettere paoline, a tendenza semprepiù liberaleggiante, sono apparsi nelle tre grandi raccol-te: «Kommentar zum Neuen Testament» herausgegebenvon T. ZAHN (Leipzig, Deichert); «Kritisch-exegetischerKommentar über das Neue Testament» begründet vonH. A. W. MEYER, Göttingen, Vandenhoeck u. Rupreht);«Handbuch zum Neuen Testament» herausgegeben vonH. LIETZMANN (Tübingen, Mohr).

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Paolo è argomento inesauribile di indagine, dai piùvari punti di vista. Nella vasta produzione recente meri-tano, a nostro avviso, di essere segnalati i seguenti sag-gi:

A. SCHWEITZER, Geschichte der paulinischen For-schung. Tübingen. Mohr, 1911.

A. DEISSMANN, Paulus, Eine kultur und religionsge-schichtliche Skizze. Tübingen. Mohr, 1911.

A. H. MC. NEILE, St. Paul. His Life, Letters, and chri-stian Doctrine. Cambridge, University Press, 1920.

J. GÜESHAM MACHEN, The origin of Paul's Religion.London, Macmillan, 1921.

H. LEISEGANG, Der Apostel Paulus als Denker. Leip-zig, Hinrichs, 1923.

W. MUNDLE, Das religiöse Leben des Apostels Paulus.Leipzig, Hinrichs, 1923.

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Paolo è argomento inesauribile di indagine, dai piùvari punti di vista. Nella vasta produzione recente meri-tano, a nostro avviso, di essere segnalati i seguenti sag-gi:

A. SCHWEITZER, Geschichte der paulinischen For-schung. Tübingen. Mohr, 1911.

A. DEISSMANN, Paulus, Eine kultur und religionsge-schichtliche Skizze. Tübingen. Mohr, 1911.

A. H. MC. NEILE, St. Paul. His Life, Letters, and chri-stian Doctrine. Cambridge, University Press, 1920.

J. GÜESHAM MACHEN, The origin of Paul's Religion.London, Macmillan, 1921.

H. LEISEGANG, Der Apostel Paulus als Denker. Leip-zig, Hinrichs, 1923.

W. MUNDLE, Das religiöse Leben des Apostels Paulus.Leipzig, Hinrichs, 1923.

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