E-book campione Liber Libere tutta la possente arte guerriera di Roma repubblicana cedente ai...

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Ostilia Bizzarri Le vergini www.liberliber.it Ostilia Bizzarri Le vergini www.liberliber.it

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  • Ostilia BizzarriLe vergini

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    QUESTO E-BOOK:

    TITOLO: Le verginiAUTORE: Bizzarri, OstiliaTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

    DIRITTI D'AUTORE: no

    LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

    COPERTINA: n. d.

    TRATTO DA: Le vergini : novelle / Ostilia Bizzarri.- Roma : Roma Letteraria, 1907. - 279 p. ; 18 cm.

    CODICE ISBN FONTE: n. d.

    1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 23 aprile 2019

    INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard

    2

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  • 2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

    SOGGETTO:FIC027080 FICTION / Romantico / Brevi Racconti

    DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

    REVISIONE:Gabriella DoderoPaolo Oliva, [email protected]

    IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected]

    PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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  • Indice generale

    Liber Liber......................................................................4ALLA MEMORIA DI MIO PADRE..............................7Luce................................................................................8Vigilia di Natale............................................................15L’attesa..........................................................................27Ultimi gioielli...............................................................50Il Canto.........................................................................58Ribelle?.........................................................................70Maestra.......................................................................102L’Incubo......................................................................113Due cuori....................................................................132Popolana.....................................................................137Il dottorino..................................................................156L’oriuolo.....................................................................177Rivelazione.................................................................195

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    Indice generale

    Liber Liber......................................................................4ALLA MEMORIA DI MIO PADRE..............................7Luce................................................................................8Vigilia di Natale............................................................15L’attesa..........................................................................27Ultimi gioielli...............................................................50Il Canto.........................................................................58Ribelle?.........................................................................70Maestra.......................................................................102L’Incubo......................................................................113Due cuori....................................................................132Popolana.....................................................................137Il dottorino..................................................................156L’oriuolo.....................................................................177Rivelazione.................................................................195

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  • OSTILIA BIZZARRI

    LE VERGINI

    NOVELLE

    6

    OSTILIA BIZZARRI

    LE VERGINI

    NOVELLE

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  • ALLA MEMORIA DI MIO PADRE

    «Soffrir dolori che la speranza crede infiniti, di-menticare offese più nere della morte e della notte,sfidare il Potere che sembra onnipotente, amare esopportare, sperare finché la speranza crei, dallasua stessa ruina, la cosa ch’essa contempla; nonmutare, non vacillare, non pentirsi: questo.... è es-sere buono, grande e gioioso, bello e libero; questosolo è vita, gioia, impero e vittoria.»

    (Dal Prometeo Liberato, di P. B. SHELLEY).

    Oggi, qui, dinanzi alla tua nobile effigie di studioso edi soldato, fra tutta la tua famiglia raccolta, io levo lafronte con serena alterezza.

    Il voto che avvinse l’anima mia giovinetta alla solita-ria Tua tomba lontana, oggi è compiuto, o Padre; dopopiù di un ventennio di tristezze e di lotte, la vittoria e lagioia arridono alla tua famiglia alacre, pura, prontaancora alla battaglia come nei primordj.

    E tu benedicila, o Padre; e me, nel novo arringo, ovemovo libera, fissa la mente ad un alto ideale, vigile oc-culto, il santo, il venerato Tuo spirito accompagni.

    Oulx, 15 agosto 1903.OSTILIA AUGUSTA

    7

    ALLA MEMORIA DI MIO PADRE

    «Soffrir dolori che la speranza crede infiniti, di-menticare offese più nere della morte e della notte,sfidare il Potere che sembra onnipotente, amare esopportare, sperare finché la speranza crei, dallasua stessa ruina, la cosa ch’essa contempla; nonmutare, non vacillare, non pentirsi: questo.... è es-sere buono, grande e gioioso, bello e libero; questosolo è vita, gioia, impero e vittoria.»

    (Dal Prometeo Liberato, di P. B. SHELLEY).

    Oggi, qui, dinanzi alla tua nobile effigie di studioso edi soldato, fra tutta la tua famiglia raccolta, io levo lafronte con serena alterezza.

    Il voto che avvinse l’anima mia giovinetta alla solita-ria Tua tomba lontana, oggi è compiuto, o Padre; dopopiù di un ventennio di tristezze e di lotte, la vittoria e lagioia arridono alla tua famiglia alacre, pura, prontaancora alla battaglia come nei primordj.

    E tu benedicila, o Padre; e me, nel novo arringo, ovemovo libera, fissa la mente ad un alto ideale, vigile oc-culto, il santo, il venerato Tuo spirito accompagni.

    Oulx, 15 agosto 1903.OSTILIA AUGUSTA

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  • Luce

    Nazarena guardò e un fremito d’entusiasmo le corseper le vene. Non mai opera d’arte aveva fatto vibrarel’anima sua così; non mai le si erano affacciati sì rigo-gliosi di vita e tumultuanti i pensieri come dinanzi aquel monumento, vigorosa sintesi di tutta la storiadell’umanità.

    Poderoso, nel grigio fosco della pietra, si ergeval’Arco d’Augusto; al di sotto, nero, sullo sfondo chiaro,lucido del cielo al tramonto, il Crocefisso spiccava. Nar-rava l’Arco il cruento trionfo, l’apogeo della gloria, ilrapido declinare dell’impero, lo sfacelo ultimo; lanciavail Cristo, dall’alto della Croce redimita di luce, il gridod’amore per cui crollarono le tirannidi, sorsero liberi ipopoli, fiorì la pace, s’iniziò un’era novella.

    Nazarena ascoltava. Come scritte nel sangue, fiam-meggiavano ai suoi occhi le epigrafi ai lati dell’Arco; asinistra, nell’ombra d’una nicchia scavata nella pareteinterna, una Madonna parlava di fede e d’amore.

    Intorno, era una quiete profonda: Aosta e la valle siassopivano già nelle ombre della sera; ma sul pendio deimonti i casolari e le ville biancheggiavano ancora tra ilverde, le vette si allietavano nel sole e la Dora in fondocantava al silenzio la sua perenne, selvaggia canzone.

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    Luce

    Nazarena guardò e un fremito d’entusiasmo le corseper le vene. Non mai opera d’arte aveva fatto vibrarel’anima sua così; non mai le si erano affacciati sì rigo-gliosi di vita e tumultuanti i pensieri come dinanzi aquel monumento, vigorosa sintesi di tutta la storiadell’umanità.

    Poderoso, nel grigio fosco della pietra, si ergeval’Arco d’Augusto; al di sotto, nero, sullo sfondo chiaro,lucido del cielo al tramonto, il Crocefisso spiccava. Nar-rava l’Arco il cruento trionfo, l’apogeo della gloria, ilrapido declinare dell’impero, lo sfacelo ultimo; lanciavail Cristo, dall’alto della Croce redimita di luce, il gridod’amore per cui crollarono le tirannidi, sorsero liberi ipopoli, fiorì la pace, s’iniziò un’era novella.

    Nazarena ascoltava. Come scritte nel sangue, fiam-meggiavano ai suoi occhi le epigrafi ai lati dell’Arco; asinistra, nell’ombra d’una nicchia scavata nella pareteinterna, una Madonna parlava di fede e d’amore.

    Intorno, era una quiete profonda: Aosta e la valle siassopivano già nelle ombre della sera; ma sul pendio deimonti i casolari e le ville biancheggiavano ancora tra ilverde, le vette si allietavano nel sole e la Dora in fondocantava al silenzio la sua perenne, selvaggia canzone.

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  • In quell’istante Nazarena visse i secoli. Tutto il passa-to le turbinò nella mente e il dramma sanguinoso dellaconquista si congiunse, si fuse al dramma pietoso del sa-crificio d’amore, i due trionfi sfolgorarono nel medesi-mo istante ai suoi occhi, le due vittorie disparate, le dueciviltà cozzanti, i due nomi per sì diversa gloria immor-tali, insieme accoppiati, esaltarono l’anima sua, l’ine-briarono di grandezza e di gloria. Con l’epica pugna,l’inutile disperata difesa, il fiume di sangue alla ferocedistruzione, ella ricordò; ella vide altre battaglie altre di-sfatte, altri fiumi di sangue, altri ostentati archi trionfalie tutta la possente arte guerriera di Roma repubblicanacedente ai fastigi superbi di Roma imperiale e gli schia-vi gementi, i gladiatori moribondi, le plebi doloranti,tutta la grandezza, la corruzione, la debolezza, la miseriadorata di Roma.

    L’infinito dolore delle innumerevoli genti le si riper-cosse nell’anima: ma fra le moltitudini, prone sulle san-guinanti catene, ella vide il biondo Profeta passare bene-dicendo e beneficando, e con eroismo sovrumano pie-garsi puro all’ignominioso supplizio; vide la lotta ini-ziarsi in suo nome e dal buio delle catacombe la nuovareligione consolatrice dilagare vittoriosa per il mondo.

    Nella voce della Dora ella udiva il gemito dei morentifra i canti di vittoria, il soffocato sospiro d’una folla dischiavi, il grido di dolore di tutti gli oppressi, di tutti ipopoli, di tutte le generazioni; ma nella serena quietedella sera v’era tutta la dolcezza del conforto divino. Aquale pensiero profondo aveva obbedito l’artefice igno-

    9

    In quell’istante Nazarena visse i secoli. Tutto il passa-to le turbinò nella mente e il dramma sanguinoso dellaconquista si congiunse, si fuse al dramma pietoso del sa-crificio d’amore, i due trionfi sfolgorarono nel medesi-mo istante ai suoi occhi, le due vittorie disparate, le dueciviltà cozzanti, i due nomi per sì diversa gloria immor-tali, insieme accoppiati, esaltarono l’anima sua, l’ine-briarono di grandezza e di gloria. Con l’epica pugna,l’inutile disperata difesa, il fiume di sangue alla ferocedistruzione, ella ricordò; ella vide altre battaglie altre di-sfatte, altri fiumi di sangue, altri ostentati archi trionfalie tutta la possente arte guerriera di Roma repubblicanacedente ai fastigi superbi di Roma imperiale e gli schia-vi gementi, i gladiatori moribondi, le plebi doloranti,tutta la grandezza, la corruzione, la debolezza, la miseriadorata di Roma.

    L’infinito dolore delle innumerevoli genti le si riper-cosse nell’anima: ma fra le moltitudini, prone sulle san-guinanti catene, ella vide il biondo Profeta passare bene-dicendo e beneficando, e con eroismo sovrumano pie-garsi puro all’ignominioso supplizio; vide la lotta ini-ziarsi in suo nome e dal buio delle catacombe la nuovareligione consolatrice dilagare vittoriosa per il mondo.

    Nella voce della Dora ella udiva il gemito dei morentifra i canti di vittoria, il soffocato sospiro d’una folla dischiavi, il grido di dolore di tutti gli oppressi, di tutti ipopoli, di tutte le generazioni; ma nella serena quietedella sera v’era tutta la dolcezza del conforto divino. Aquale pensiero profondo aveva obbedito l’artefice igno-

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  • to congiungendo la croce all’arco d’Augusto? Ella nonlo sapeva, ma subiva inconsciamente il fascino dellostrano connubio; ne intuiva la filosofia informatrice, fa-ceva sua l’alta verità da esso emanata, e in quella con-templazione sentiva la mente dilatarsi fuor di misura, ilcuore schiudersi a nuova vita, una luce nuova scenderenei penetrali oscuri dell’anima e accendervi mille ba-gliori, mille fuochi divampanti; luce di splendore e dipurezza infinita, luce di verità e di giustizia.

    Involontariamente pensò alla sua esistenza melanco-nica e grigia, pure nello splendore delle feste, nello sfar-zo delle sue ricchezze di erede unica. Ricordò la fanciul-lezza assetata d’ignoto, i primi ideali di giovinezza sfu-mati nella vacuità della frivola vita e le ribellioni fugge-voli, le facili condiscendenze, le codarde soggezioni aquella vita che l’annoiava, che le pesava come una cate-na massiccia celata tra i fiori, e che pure la vincolava asè con le forze della consuetudine, dell’educazione, del-le amicizie contratte.

    Ella si sentì piccina, ignobile, vile di fronte a Cristo,di fronte al popolo pugnante per la sua libertà, di fronteperfino ai conquistatori potenti.

    Ebbe vergogna di sè. Umilmente, conscia della suaviltà passata, delle sue piccolezze, si accusò; si accusòin faccia al simbolo di amore purissimo, dinanzi al ri-cordo della conquista; si accusò nel rifiorire inatteso disopiti entusiasmi, di ideali creduti morti; in un fervorebattagliero, in un desiderio di sacrifizio, in una sete ine-stinguibile di grandezza e d’idealità.

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    to congiungendo la croce all’arco d’Augusto? Ella nonlo sapeva, ma subiva inconsciamente il fascino dellostrano connubio; ne intuiva la filosofia informatrice, fa-ceva sua l’alta verità da esso emanata, e in quella con-templazione sentiva la mente dilatarsi fuor di misura, ilcuore schiudersi a nuova vita, una luce nuova scenderenei penetrali oscuri dell’anima e accendervi mille ba-gliori, mille fuochi divampanti; luce di splendore e dipurezza infinita, luce di verità e di giustizia.

    Involontariamente pensò alla sua esistenza melanco-nica e grigia, pure nello splendore delle feste, nello sfar-zo delle sue ricchezze di erede unica. Ricordò la fanciul-lezza assetata d’ignoto, i primi ideali di giovinezza sfu-mati nella vacuità della frivola vita e le ribellioni fugge-voli, le facili condiscendenze, le codarde soggezioni aquella vita che l’annoiava, che le pesava come una cate-na massiccia celata tra i fiori, e che pure la vincolava asè con le forze della consuetudine, dell’educazione, del-le amicizie contratte.

    Ella si sentì piccina, ignobile, vile di fronte a Cristo,di fronte al popolo pugnante per la sua libertà, di fronteperfino ai conquistatori potenti.

    Ebbe vergogna di sè. Umilmente, conscia della suaviltà passata, delle sue piccolezze, si accusò; si accusòin faccia al simbolo di amore purissimo, dinanzi al ri-cordo della conquista; si accusò nel rifiorire inatteso disopiti entusiasmi, di ideali creduti morti; in un fervorebattagliero, in un desiderio di sacrifizio, in una sete ine-stinguibile di grandezza e d’idealità.

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  • Oh! come fremeva nella voce fiera della Dora l’animadella valle, l’anima del mondo, l’anima dei morti, deimoribondi, dei viventi nel dolore! Quante scene di mise-ria che l’avevano fatta raccapricciare, quante ingiustizieche l’avevano turbata, e che ella aveva voluto scordare,le apparivano di nuovo al pensiero, suggestive, penosecome se le vedesse realmente! Quanti problemi doloro-si, che l’avevano lasciata perplessa, le tornavano allamente sotto un aspetto nuovo, rivelando dolori terribili,sciagure senza conforto, condanne crudeli del destino eper le quali il mondo non sentiva pietà. Oh! quante!quante! Come benefica sarebbe scesa alle nuove turbedolenti la viva parola di Cristo! Che dolcezza, che pacesarebbe scesa sul mondo!

    Ancora vibravano ricche di vita le sante massime, machi le intendeva più? Ebbene: ella le avrebbe bandite dinuovo con tutto il fervore della sua giovane anima; leavrebbe diffuse dovunque, con le parole, con le opere,con gli scritti, umile gregaria nell’apostolato del bene.

    — La signorina medita sulle iscrizioni? – chiese unavoce beffarda alle sue spalle.

    Era Silvio Acierni. Nazarena come se non avesse udi-to, come se avesse scordato la gaia comitiva con cui eravenuta, stette pallida, eretta, tutta bianca, nella vestebianca, con la fronte rivolta al cielo, le mani strettamen-te congiunte in atto di preghiera sul pomo dell’ombrelli-no.

    Silvio continuò più forte, con lo stesso tono canzona-torio:

    11

    Oh! come fremeva nella voce fiera della Dora l’animadella valle, l’anima del mondo, l’anima dei morti, deimoribondi, dei viventi nel dolore! Quante scene di mise-ria che l’avevano fatta raccapricciare, quante ingiustizieche l’avevano turbata, e che ella aveva voluto scordare,le apparivano di nuovo al pensiero, suggestive, penosecome se le vedesse realmente! Quanti problemi doloro-si, che l’avevano lasciata perplessa, le tornavano allamente sotto un aspetto nuovo, rivelando dolori terribili,sciagure senza conforto, condanne crudeli del destino eper le quali il mondo non sentiva pietà. Oh! quante!quante! Come benefica sarebbe scesa alle nuove turbedolenti la viva parola di Cristo! Che dolcezza, che pacesarebbe scesa sul mondo!

    Ancora vibravano ricche di vita le sante massime, machi le intendeva più? Ebbene: ella le avrebbe bandite dinuovo con tutto il fervore della sua giovane anima; leavrebbe diffuse dovunque, con le parole, con le opere,con gli scritti, umile gregaria nell’apostolato del bene.

    — La signorina medita sulle iscrizioni? – chiese unavoce beffarda alle sue spalle.

    Era Silvio Acierni. Nazarena come se non avesse udi-to, come se avesse scordato la gaia comitiva con cui eravenuta, stette pallida, eretta, tutta bianca, nella vestebianca, con la fronte rivolta al cielo, le mani strettamen-te congiunte in atto di preghiera sul pomo dell’ombrelli-no.

    Silvio continuò più forte, con lo stesso tono canzona-torio:

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  • — Ah! stupenda! stupenda quest’accozzaglia di anti-chità romane, d’avanzi di sacrestie diroccate e di inneg-gianti epigrafi francesi! Ah! Vera opera di Valdostani!Degna d’ammirazione!

    Rise e con lui risero le sorelle Acierni, il tenente Lu-chini e il padre di Nazarena. Ma neppure questa voltaNazarena si mosse, stupita essa stessa di non sentirsi of-fesa, umiliata dalle pungenti parole, di provarne anzi, unsenso d’orgoglio, di compiacimento intimo, dolce.

    I suoi pensieri seguivano ora un altro corso: tornava-no al giorno in cui aveva conosciuto Silvio Acierni, ailoro strani incontri, alle torture che egli le aveva inflittecol suo procedere, seguendola ovunque, carezzandolacon lo sguardo, perseguitandola con l’ironico sorriso el’amara freddezza delle parole e degli atti.

    Ora ella ne indovinava il contegno, ne intuiva il carat-tere, ne intravedeva lo scopo, e lo giudicava senza ran-core, ma senza inconsulta pietà, freddamente, serena-mente.

    Le parole beffarde di lui non la scuotevano, non la in-timidivano, non la soggiogavano più con l’irragionevoletimore del ridicolo. Ella era invulnerabile a’ suoi strali,libera da ogni indegna schiavitù, padrona di sè; mai egliavrebbe potuto distoglierla dal nuovo cómpito, piegarlaalla stupida vita di un tempo, strapparla all’agone in cuiambiva di combattere. Ella viveva di una nuova vita, ilsuo cuore batteva, s’accendeva di zelo, i pensieri pulsa-vano gagliardi nel cervello, la mèta le si disegnava niti-da, luminosa dinanzi.

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    — Ah! stupenda! stupenda quest’accozzaglia di anti-chità romane, d’avanzi di sacrestie diroccate e di inneg-gianti epigrafi francesi! Ah! Vera opera di Valdostani!Degna d’ammirazione!

    Rise e con lui risero le sorelle Acierni, il tenente Lu-chini e il padre di Nazarena. Ma neppure questa voltaNazarena si mosse, stupita essa stessa di non sentirsi of-fesa, umiliata dalle pungenti parole, di provarne anzi, unsenso d’orgoglio, di compiacimento intimo, dolce.

    I suoi pensieri seguivano ora un altro corso: tornava-no al giorno in cui aveva conosciuto Silvio Acierni, ailoro strani incontri, alle torture che egli le aveva inflittecol suo procedere, seguendola ovunque, carezzandolacon lo sguardo, perseguitandola con l’ironico sorriso el’amara freddezza delle parole e degli atti.

    Ora ella ne indovinava il contegno, ne intuiva il carat-tere, ne intravedeva lo scopo, e lo giudicava senza ran-core, ma senza inconsulta pietà, freddamente, serena-mente.

    Le parole beffarde di lui non la scuotevano, non la in-timidivano, non la soggiogavano più con l’irragionevoletimore del ridicolo. Ella era invulnerabile a’ suoi strali,libera da ogni indegna schiavitù, padrona di sè; mai egliavrebbe potuto distoglierla dal nuovo cómpito, piegarlaalla stupida vita di un tempo, strapparla all’agone in cuiambiva di combattere. Ella viveva di una nuova vita, ilsuo cuore batteva, s’accendeva di zelo, i pensieri pulsa-vano gagliardi nel cervello, la mèta le si disegnava niti-da, luminosa dinanzi.

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  • Di nuovo si raccolse nel suo sogno e non vide, o noncurò l’Acierni, che le era passato vicino e s’era situatoproprio dirimpetto a lei, sotto l’arco.

    — In estasi? – egli gridò finalmente. E nella voce eratale un fremito di dispetto che la fanciulla si scosse.

    — Penso –, e si avviò come a malincuore per seguirele sorelle Acierni, che s’allontanavano chiacchierandobriosamente col tenente Luchini. Ma ancora guardò lamole severa e il Crocefisso circonfuso dalla luce tran-quilla e pura del vespero, e ancora si soffermò palpitan-te, conquisa.

    «Nazarena, Nazarena!» suonava la voce divina sottola secolare insegna di conquista.

    «Nazarena, Nazarena!» ripeteva il fiume lì presso; ri-petevano le voci lontane e fioche di tutti i dolenti.

    «Nazarena» ripetè anche la fanciulla e il cuore le tre-mò. Non la consacrava il dolce nome fatidico all’altabattaglia? Un vigore nuovo l’invase a quella idea, ingi-gantita ad un tratto. Come il Cristo, ella avrebbe datotutta sè stessa: la forte intelligenza, l’anima vibrante dipassione, la ricchezza, la felicità, la vita, senza ambirecompenso, all’eccelso ideale che le folgorava al pensie-ro.

    Nona, nell’ombra fatta gigante, sembrava con la vettaattingere il cielo seminato di rose e viole, e Nazarenaera ancor là, tutta bianca nella veste bianca, agitata dallabrezza, i capelli scompigliati e il viso trasfiguratonell’estasi suprema.

    13

    Di nuovo si raccolse nel suo sogno e non vide, o noncurò l’Acierni, che le era passato vicino e s’era situatoproprio dirimpetto a lei, sotto l’arco.

    — In estasi? – egli gridò finalmente. E nella voce eratale un fremito di dispetto che la fanciulla si scosse.

    — Penso –, e si avviò come a malincuore per seguirele sorelle Acierni, che s’allontanavano chiacchierandobriosamente col tenente Luchini. Ma ancora guardò lamole severa e il Crocefisso circonfuso dalla luce tran-quilla e pura del vespero, e ancora si soffermò palpitan-te, conquisa.

    «Nazarena, Nazarena!» suonava la voce divina sottola secolare insegna di conquista.

    «Nazarena, Nazarena!» ripeteva il fiume lì presso; ri-petevano le voci lontane e fioche di tutti i dolenti.

    «Nazarena» ripetè anche la fanciulla e il cuore le tre-mò. Non la consacrava il dolce nome fatidico all’altabattaglia? Un vigore nuovo l’invase a quella idea, ingi-gantita ad un tratto. Come il Cristo, ella avrebbe datotutta sè stessa: la forte intelligenza, l’anima vibrante dipassione, la ricchezza, la felicità, la vita, senza ambirecompenso, all’eccelso ideale che le folgorava al pensie-ro.

    Nona, nell’ombra fatta gigante, sembrava con la vettaattingere il cielo seminato di rose e viole, e Nazarenaera ancor là, tutta bianca nella veste bianca, agitata dallabrezza, i capelli scompigliati e il viso trasfiguratonell’estasi suprema.

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  • Silvio Acierni immobile, le spalle all’Arco, la gambadestra incrociata sulla sinistra, sembrava attendere pa-zientemente; ma fra le sopraciglia aggrottate le rughes’approfondivano, e gli occhi, che scrutavano intensa-mente il volto della fanciulla, lampeggiavano cupi, qua-si feroci.

    E v’era, col dispetto acuto e una sorda terribile ira,anche un acerbo dolore in quello sguardo. Poichèquell’uomo che aveva studiato freddamente l’animoverginale della fanciulla; quell’uomo che in un desideriodi egoistica pace aveva tentato vincolarla a sè, sentivaora d’averla perduta, e per la prima volta sentivad’amarla.

    14

    Silvio Acierni immobile, le spalle all’Arco, la gambadestra incrociata sulla sinistra, sembrava attendere pa-zientemente; ma fra le sopraciglia aggrottate le rughes’approfondivano, e gli occhi, che scrutavano intensa-mente il volto della fanciulla, lampeggiavano cupi, qua-si feroci.

    E v’era, col dispetto acuto e una sorda terribile ira,anche un acerbo dolore in quello sguardo. Poichèquell’uomo che aveva studiato freddamente l’animoverginale della fanciulla; quell’uomo che in un desideriodi egoistica pace aveva tentato vincolarla a sè, sentivaora d’averla perduta, e per la prima volta sentivad’amarla.

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  • Vigilia di Natale

    «My little body is aweary of thisgreat world».

    SHAKESPEARE.

    «.... pura di vite createa morire, tu, vergine, dormile mani sul petto incrociate».

    Myricae, PASCOLI.

    L’avevano chiamata Letizia perchè doveva recare, nelquieto castello antico, un fulgido sorriso di felicità.L’avevano chiamata Letizia, e forse mai nome suonò piùamara ironia del fato: forse mai fanciulla ebbe infanziapiù triste, giovinezza più dolorosa.

    Letizia dei conti di Villalta crebbe sola, lontanadall’avito castello, passato in mani straniere, dall’ilarepace domestica, fra le mura silenti d’un chiostro, senza isorrisi e le carezze materne, serbando soltanto fitto nelcuore, tenace, incancellabile, il ricordo di quei sorrisicari, il debole eco delle placide feste famigliari, l’imma-gine impallidita d’una felicità scomparsa per sempre.

    A vent’anni, uscita dal monastero, era stata nominatainsegnante esterna in una scuola per giovinette nobili di

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    Vigilia di Natale

    «My little body is aweary of thisgreat world».

    SHAKESPEARE.

    «.... pura di vite createa morire, tu, vergine, dormile mani sul petto incrociate».

    Myricae, PASCOLI.

    L’avevano chiamata Letizia perchè doveva recare, nelquieto castello antico, un fulgido sorriso di felicità.L’avevano chiamata Letizia, e forse mai nome suonò piùamara ironia del fato: forse mai fanciulla ebbe infanziapiù triste, giovinezza più dolorosa.

    Letizia dei conti di Villalta crebbe sola, lontanadall’avito castello, passato in mani straniere, dall’ilarepace domestica, fra le mura silenti d’un chiostro, senza isorrisi e le carezze materne, serbando soltanto fitto nelcuore, tenace, incancellabile, il ricordo di quei sorrisicari, il debole eco delle placide feste famigliari, l’imma-gine impallidita d’una felicità scomparsa per sempre.

    A vent’anni, uscita dal monastero, era stata nominatainsegnante esterna in una scuola per giovinette nobili di

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  • una grande città, e da un anno viveva così nella strettacerchia delle occupazioni scolastiche, che ne logoravanola fibra delicata, senza gioie e senza grandi dolori, inuna continua tristezza che le passate vicende, la precariasalute, e le occulte sofferenze d’un animo squisitamentesensibile alimentavano ognora, e che tingendo di grigioil suo orizzonte, spegneva in lei ogni sogno giovanile,ogni speranza di gioia, ogni palpito soave del cuore.

    Mai come quel giorno le era pesata sull’anima, soffo-candola, una più grande tristezza; mai il suo compito leera apparso così faticoso e le alunne affidate alle suecure, fredde indifferenti e svogliate.

    Veramente, mille sogni d’oro distraevano, quel gior-no, le vivaci menti infantili. Il Natale era vicino: già erastato costruito il presepio in un angolo del salone di ri-cevimento, dove quella sera stessa sarebbe sorto l’alberosplendido di lumi e di doni. Si capisce che nessuno pre-stasse attenzione al mistico racconto del Bimbo Reden-tore, e che Letizia si sfiatasse per ottenere un po’ d’ordi-ne, un po’ di silenzio. Il bisbiglio continuava sommesso,ma ininterrotto, e nessuna fanciulla sembrava scorgere illivido pallore della maestra, la luce febbrile del suosguardo, la stanchezza della sua voce affievolita, il tre-mito che le scuoteva le gracili membra.

    La bidella entrò annunziando il finis. Con un sospirodi sollievo Letizia fe’ cenno alle alunne di rizzarsi, e,fatte recitare le consuete orazioni, uscì: il suo ufficio eraterminato, cominciavano le vacanze.

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    una grande città, e da un anno viveva così nella strettacerchia delle occupazioni scolastiche, che ne logoravanola fibra delicata, senza gioie e senza grandi dolori, inuna continua tristezza che le passate vicende, la precariasalute, e le occulte sofferenze d’un animo squisitamentesensibile alimentavano ognora, e che tingendo di grigioil suo orizzonte, spegneva in lei ogni sogno giovanile,ogni speranza di gioia, ogni palpito soave del cuore.

    Mai come quel giorno le era pesata sull’anima, soffo-candola, una più grande tristezza; mai il suo compito leera apparso così faticoso e le alunne affidate alle suecure, fredde indifferenti e svogliate.

    Veramente, mille sogni d’oro distraevano, quel gior-no, le vivaci menti infantili. Il Natale era vicino: già erastato costruito il presepio in un angolo del salone di ri-cevimento, dove quella sera stessa sarebbe sorto l’alberosplendido di lumi e di doni. Si capisce che nessuno pre-stasse attenzione al mistico racconto del Bimbo Reden-tore, e che Letizia si sfiatasse per ottenere un po’ d’ordi-ne, un po’ di silenzio. Il bisbiglio continuava sommesso,ma ininterrotto, e nessuna fanciulla sembrava scorgere illivido pallore della maestra, la luce febbrile del suosguardo, la stanchezza della sua voce affievolita, il tre-mito che le scuoteva le gracili membra.

    La bidella entrò annunziando il finis. Con un sospirodi sollievo Letizia fe’ cenno alle alunne di rizzarsi, e,fatte recitare le consuete orazioni, uscì: il suo ufficio eraterminato, cominciavano le vacanze.

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  • Ma in corridoio s’imbattè proprio nella direttrice chele veniva incontro sorridente:

    — Cara signorina, Lei m’ha incantato ieri col suo gu-sto squisito nella costruzione del presepio e mi permettodi sequestrarla tutto il pomeriggio d’oggi per la comperade’ gingilli dell’albero. Se ne incarica, è vero? E giacchèè sola, domani, se vuole favorire con me....

    Un impercettibile sorriso, pieno d’amarezza, errò sul-le labbra livide di Letizia di Villalta.

    Quell’invito fatto lì per lì, dopo un richiesto piacere,offerto quasi come una mercede, la feriva dolorosamen-te nel profondo dell’anima.

    Ringraziò a fior di labbra e si mosse. Ma in fondo alcorridoio la bidella, insolitamente gentile, le spalancavala porta e le teneva sollevata la portiera, fissandole inviso gli occhi scintillanti di uccello rapace, la speranzad’una mancia, dipinta sul volto angoloso di vecchia po-polana scaltra e avida. A pie’ dello scalone il portinaio,col berretto gallonato in mano, attendeva in attitudine diossequio profondo.

    Un nuovo amaro sorriso, questa volta più pronuncia-to, pieno di spasimo, contrasse il volto della fanciulla;senza fermarsi, senza parlare, lasciò cadere qualche mo-neta nelle mani dell’una e dell’altro; poi, in fretta, comese fosse inseguita, si precipitò fuori.

    Soffocava. Sulla soglia si fermò ansante, la testa get-tata indietro, le labbra aperte, tese al freddo baciodell’aria di dicembre. Il cuore le batteva furiosamentenel petto, a scatti irregolari, disordinati: sentiva un ron-

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    Ma in corridoio s’imbattè proprio nella direttrice chele veniva incontro sorridente:

    — Cara signorina, Lei m’ha incantato ieri col suo gu-sto squisito nella costruzione del presepio e mi permettodi sequestrarla tutto il pomeriggio d’oggi per la comperade’ gingilli dell’albero. Se ne incarica, è vero? E giacchèè sola, domani, se vuole favorire con me....

    Un impercettibile sorriso, pieno d’amarezza, errò sul-le labbra livide di Letizia di Villalta.

    Quell’invito fatto lì per lì, dopo un richiesto piacere,offerto quasi come una mercede, la feriva dolorosamen-te nel profondo dell’anima.

    Ringraziò a fior di labbra e si mosse. Ma in fondo alcorridoio la bidella, insolitamente gentile, le spalancavala porta e le teneva sollevata la portiera, fissandole inviso gli occhi scintillanti di uccello rapace, la speranzad’una mancia, dipinta sul volto angoloso di vecchia po-polana scaltra e avida. A pie’ dello scalone il portinaio,col berretto gallonato in mano, attendeva in attitudine diossequio profondo.

    Un nuovo amaro sorriso, questa volta più pronuncia-to, pieno di spasimo, contrasse il volto della fanciulla;senza fermarsi, senza parlare, lasciò cadere qualche mo-neta nelle mani dell’una e dell’altro; poi, in fretta, comese fosse inseguita, si precipitò fuori.

    Soffocava. Sulla soglia si fermò ansante, la testa get-tata indietro, le labbra aperte, tese al freddo baciodell’aria di dicembre. Il cuore le batteva furiosamentenel petto, a scatti irregolari, disordinati: sentiva un ron-

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  • zìo cupo alle orecchie, un cerchio di ferro alla fronte,una gravezza per tutte le membra, un tremito alle gambeche non la reggevano più, e un’angoscia mortale, sconfi-nata, dilagare nell’animo suo a ogni palpito acceleratodel cuore infermo, dominarla, prostrarla col suo peso.

    Sotto l’impero di quella angoscia indicibile, la suasensibilità si acuiva morbosamente, il disgusto per ognivolgarità diventava nausea, ribrezzo, orrore, la sua soli-tudine un cimitero, la sua vita un martirio. Confusamen-te ebbe la tentazione folle di fuggire, di fuggire lontano,non sapeva dove, non sapeva perchè, pur di fuggire queiluoghi che non avevano per lei cari ricordi, quelle perso-ne indifferenti, plebee, che la circondavano: di fuggire,mentre le gambe paralizzate non potevano fare un pas-so.

    Quando il cuore cominciò a calmarsi, ella si avviòadagio, affranta, rabbrividendo sotto la sottile giacchettadi panno turchino.

    Il cielo era triste; ma nelle vie era un’animazione, unbrulichìo, un brusìo insolito. I tram erano pieni, zeppi digente, i negozi affollati; sul volto di ognuno brillava lagioia; mentre su dai campanili, slanciati verso la plum-bea volta impenetrabile del cielo, le campane suonavanoa festa.

    Era il Natale, la dolce solennità famigliare, che avevasorriso ai suoi anni infantili, nel poetico splendore dellatradizione. Allora due candide mani aristocratiche orna-vano con fasci, ghirlande e festoni di bianchissimi fiorigli altari della cappella gentilizia, le mense abbaglianti

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    zìo cupo alle orecchie, un cerchio di ferro alla fronte,una gravezza per tutte le membra, un tremito alle gambeche non la reggevano più, e un’angoscia mortale, sconfi-nata, dilagare nell’animo suo a ogni palpito acceleratodel cuore infermo, dominarla, prostrarla col suo peso.

    Sotto l’impero di quella angoscia indicibile, la suasensibilità si acuiva morbosamente, il disgusto per ognivolgarità diventava nausea, ribrezzo, orrore, la sua soli-tudine un cimitero, la sua vita un martirio. Confusamen-te ebbe la tentazione folle di fuggire, di fuggire lontano,non sapeva dove, non sapeva perchè, pur di fuggire queiluoghi che non avevano per lei cari ricordi, quelle perso-ne indifferenti, plebee, che la circondavano: di fuggire,mentre le gambe paralizzate non potevano fare un pas-so.

    Quando il cuore cominciò a calmarsi, ella si avviòadagio, affranta, rabbrividendo sotto la sottile giacchettadi panno turchino.

    Il cielo era triste; ma nelle vie era un’animazione, unbrulichìo, un brusìo insolito. I tram erano pieni, zeppi digente, i negozi affollati; sul volto di ognuno brillava lagioia; mentre su dai campanili, slanciati verso la plum-bea volta impenetrabile del cielo, le campane suonavanoa festa.

    Era il Natale, la dolce solennità famigliare, che avevasorriso ai suoi anni infantili, nel poetico splendore dellatradizione. Allora due candide mani aristocratiche orna-vano con fasci, ghirlande e festoni di bianchissimi fiorigli altari della cappella gentilizia, le mense abbaglianti

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  • nella regale profusione de’ cristalli, delle porcellane, de-gli argenti, e tutti gli angoli delle grandi sale a terreno.Allora, per quella sera sola in tutto l’anno, si aprivano leporte della cappella ad una folla di bifolchi, di domesti-ci, a tutti i dipendenti dei Villalta; allora, intonato da unasoave voce femminea, il cantico sacro di Natale si spri-gionava gioioso, elettrizzante, solenne, da cento bocche,echeggiava poderoso sotto la volta azzurro-stellata dellacappella, scuoteva, come voce d’arcangelo, le cripte de-gli avi.

    A quel canto, grido d’amore, esplosione di letizia,ella, bambina ancora, seguiva con la mente innamoratail piccolo Dio biondo, dalla rossa veste scollata, nel fur-tivo pellegrinaggio notturno ai lontani casolari, ai piùlontani palazzi, con un premio per tutti i bimbi buoni.Poi il canto taceva, la chiesa si sfollava; ma nella notteavventurosa, intorno alle mense imbandite, olezzanti dibianchi fiori, i coloni si sedevano coi castellani al frater-no banchetto tradizionale, mentre il grosso ceppo dipino e il ginepro, ardenti nell’ampio camino, imbalsa-mavano l’aria, e fuori la neve scendeva lenta, tranquilla,dal cielo grigio, a nascondere le inuguaglianze, le an-frattuosità del terreno, a coprire i campi, le strade, lecase, del suo bianco manto d’innocenza, quasi a levarneogni colpa, e sotto la pioggia delle candide stelle, il pic-colo Dio biondo, a piedi nudi, le mani colme di doni,vagava solo nella notte in cerca di cuori. Allora!... Eora?... Ora?... Una fredda stanzetta al terzo piano, unasolitudine desolata, la trafittura atroce del ricordo, e più

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    nella regale profusione de’ cristalli, delle porcellane, de-gli argenti, e tutti gli angoli delle grandi sale a terreno.Allora, per quella sera sola in tutto l’anno, si aprivano leporte della cappella ad una folla di bifolchi, di domesti-ci, a tutti i dipendenti dei Villalta; allora, intonato da unasoave voce femminea, il cantico sacro di Natale si spri-gionava gioioso, elettrizzante, solenne, da cento bocche,echeggiava poderoso sotto la volta azzurro-stellata dellacappella, scuoteva, come voce d’arcangelo, le cripte de-gli avi.

    A quel canto, grido d’amore, esplosione di letizia,ella, bambina ancora, seguiva con la mente innamoratail piccolo Dio biondo, dalla rossa veste scollata, nel fur-tivo pellegrinaggio notturno ai lontani casolari, ai piùlontani palazzi, con un premio per tutti i bimbi buoni.Poi il canto taceva, la chiesa si sfollava; ma nella notteavventurosa, intorno alle mense imbandite, olezzanti dibianchi fiori, i coloni si sedevano coi castellani al frater-no banchetto tradizionale, mentre il grosso ceppo dipino e il ginepro, ardenti nell’ampio camino, imbalsa-mavano l’aria, e fuori la neve scendeva lenta, tranquilla,dal cielo grigio, a nascondere le inuguaglianze, le an-frattuosità del terreno, a coprire i campi, le strade, lecase, del suo bianco manto d’innocenza, quasi a levarneogni colpa, e sotto la pioggia delle candide stelle, il pic-colo Dio biondo, a piedi nudi, le mani colme di doni,vagava solo nella notte in cerca di cuori. Allora!... Eora?... Ora?... Una fredda stanzetta al terzo piano, unasolitudine desolata, la trafittura atroce del ricordo, e più

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  • atroce ancora l’oltraggio delle cortesie, degli ossequjforzati, calcolati, vili! Ora!... Il suo titolo, il suo blasonea lustro di una scuola come un’insegna, una specie dimarca di fabbrica!

    Ora!... l’incensavano in pubblico per infliggerle poi leumiliazioni in segreto! Ora!...

    Dinanzi a lei sul marciapiede, un piccolo essere de-forme, mostruoso, dalla testa enorme, dal volto ributtan-te, dalle esili membra contorte, accoccolato presso lasua cassetta di fiammiferaio, si soffiava sulle mani ag-granchiate dal freddo. Metteva pietà e ripugnanza; pureLetizia lo guardò come affascinata, con gli occhi smarri-ti, pensando che ella era sola, sola come lui, come il po-vero essere figlio della strada era solo; che anch’ella,come lui, il reietto della fortuna, non aveva un cuore perconsolarla, per pregare con lei nella pia solennità. Ah!ma il piccolo bruto non sentiva che le sofferenze mate-riali. Bastava forse una moneta, una sola moneta, perdestargli un lampo di cupida gioia negli occhi spenti.Buttò la moneta, senza guardarlo, per non vederne lostolido riso e s’allontanò sentendosi cattiva, e più checattiva malata, e più che malata, infelice.

    Ad un tratto il suo viso si alterò in un’espressione disupremo disprezzo. A due passi da lei, un gruppo di uf-ficiali seguiva con lo sguardo e con i commenti non tuttirispettosi, due donne elegantissime, che s’allontanavanoadagio, a piccoli passi misurati, col busto alteramenteeretto, dondolantesi mollemente sui fianchi opulenti.

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    atroce ancora l’oltraggio delle cortesie, degli ossequjforzati, calcolati, vili! Ora!... Il suo titolo, il suo blasonea lustro di una scuola come un’insegna, una specie dimarca di fabbrica!

    Ora!... l’incensavano in pubblico per infliggerle poi leumiliazioni in segreto! Ora!...

    Dinanzi a lei sul marciapiede, un piccolo essere de-forme, mostruoso, dalla testa enorme, dal volto ributtan-te, dalle esili membra contorte, accoccolato presso lasua cassetta di fiammiferaio, si soffiava sulle mani ag-granchiate dal freddo. Metteva pietà e ripugnanza; pureLetizia lo guardò come affascinata, con gli occhi smarri-ti, pensando che ella era sola, sola come lui, come il po-vero essere figlio della strada era solo; che anch’ella,come lui, il reietto della fortuna, non aveva un cuore perconsolarla, per pregare con lei nella pia solennità. Ah!ma il piccolo bruto non sentiva che le sofferenze mate-riali. Bastava forse una moneta, una sola moneta, perdestargli un lampo di cupida gioia negli occhi spenti.Buttò la moneta, senza guardarlo, per non vederne lostolido riso e s’allontanò sentendosi cattiva, e più checattiva malata, e più che malata, infelice.

    Ad un tratto il suo viso si alterò in un’espressione disupremo disprezzo. A due passi da lei, un gruppo di uf-ficiali seguiva con lo sguardo e con i commenti non tuttirispettosi, due donne elegantissime, che s’allontanavanoadagio, a piccoli passi misurati, col busto alteramenteeretto, dondolantesi mollemente sui fianchi opulenti.

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  • Quel misto di bellezza, di sfarzo, di pettegolezzo laferivano in quel giorno, in quell’ora. Ma era così per tut-ta quella gente la vigilia di Natale?

    Erano quelli i pensieri che le campane osannanti sve-gliavano in loro?

    Com’era diverso il mondo reale da quello intravedutodal chiostro, attraverso i pallidi, sacri ricordi!

    Uno strano fenomeno avveniva in lei; i sensi sembra-vano affinarsi sempre più, presentendo, cogliendo, conmeravigliosa chiarezza le verità più riposte e i segretimoventi d’ogni atto umano, e un alto stupore dolorosol’invadeva, e l’idea della sua solitudine profonda, infini-ta, di tutta la vita, giganteggiava in lei.

    Ell’era perduta in quella folla chiassosa e festante,perchè nessuno poteva comprenderla, perchè nessuncuore sentiva come il suo cuore.

    Così sofferente cominciò le sue peregrinazioni attra-verso i negozj.

    In tutti era un’aria insolita di festa, in tutti si agglo-merava, si pigiava la stessa folla di piccoli e di grandigaudenti; in tutti, i commessi si affaccendavano, svelti,ossequienti, giulivi.

    Nelle vetrine scintillanti di cristalli e di specchi, fra ilverde del lauro, del pino, dell’arancio, sui lucidi marmiera tutta una pompa, una gara, una festa di lecornìe,abilmente, sapientemente disposte.

    Qua enormi panettoni troneggianti su un popolo dibizzarre, eleganti scatole di dolci e piramidi di biscotti-ni; lì superbi tacchini, fra gelatine trasparenti e rosei sa-

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    Quel misto di bellezza, di sfarzo, di pettegolezzo laferivano in quel giorno, in quell’ora. Ma era così per tut-ta quella gente la vigilia di Natale?

    Erano quelli i pensieri che le campane osannanti sve-gliavano in loro?

    Com’era diverso il mondo reale da quello intravedutodal chiostro, attraverso i pallidi, sacri ricordi!

    Uno strano fenomeno avveniva in lei; i sensi sembra-vano affinarsi sempre più, presentendo, cogliendo, conmeravigliosa chiarezza le verità più riposte e i segretimoventi d’ogni atto umano, e un alto stupore dolorosol’invadeva, e l’idea della sua solitudine profonda, infini-ta, di tutta la vita, giganteggiava in lei.

    Ell’era perduta in quella folla chiassosa e festante,perchè nessuno poteva comprenderla, perchè nessuncuore sentiva come il suo cuore.

    Così sofferente cominciò le sue peregrinazioni attra-verso i negozj.

    In tutti era un’aria insolita di festa, in tutti si agglo-merava, si pigiava la stessa folla di piccoli e di grandigaudenti; in tutti, i commessi si affaccendavano, svelti,ossequienti, giulivi.

    Nelle vetrine scintillanti di cristalli e di specchi, fra ilverde del lauro, del pino, dell’arancio, sui lucidi marmiera tutta una pompa, una gara, una festa di lecornìe,abilmente, sapientemente disposte.

    Qua enormi panettoni troneggianti su un popolo dibizzarre, eleganti scatole di dolci e piramidi di biscotti-ni; lì superbi tacchini, fra gelatine trasparenti e rosei sa-

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  • lumi; più in là artistici trofei di balocchi costosi, serichestoffe squisitamente drappeggiate, e poi ancora, sempre,frutta, dolci, conserve, tutta una tentazione all’occhio edalla gola, tutto un inno ampio, magnifico, al gastronomi-co Dio imperante.

    Era quella, era quella la dolce festa dei suoi anni in-fantili, l’omaggio al Piccolo Dio d’amore, che nella rigi-da notte invernale, scendeva in cerca di cuori?

    Un gran disgusto l’assaliva, un disgusto pieno di stan-chezza e che confinava con la nausea, per tutta quellagente volgare che s’apparecchiava a festeggiare così lapura solennità, per tutte quelle lecornìe preparate comeper un banchetto pantagruelico.

    Finalmente, data un’ultima ordinazione e lasciato ilrecapito della scuola, potè dirsi libera e avviarsi versocasa. Ma procedeva incerta, con un passo legato, con unbattito sempre più violento al cuore e un’oppressione,un’ansia, un’angoscia vie più crescenti.

    Annottava. La folla aumentava nelle larghe vie prin-cipali e i frizzi, le risate, le esclamazioni, gli augurjs’incrociavano, in un frastuono confuso, dominato aquando a quando dal grido più acuto e stonato di un ri-vendugliolo ambulante, o d’uno strillone, o dal rotolaredelle carrozze.

    E con la sera sopraggiungeva la nebbia, che velava eisolava ogni cosa, dando a Letizia la sensazione più acu-ta, più precisa della sua solitudine nel vasto mondo sco-nosciuto che le si rivelava a tratti così tristo, così basso,così abbietto nella sua veste gioiosa. I più neri pensieri

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    lumi; più in là artistici trofei di balocchi costosi, serichestoffe squisitamente drappeggiate, e poi ancora, sempre,frutta, dolci, conserve, tutta una tentazione all’occhio edalla gola, tutto un inno ampio, magnifico, al gastronomi-co Dio imperante.

    Era quella, era quella la dolce festa dei suoi anni in-fantili, l’omaggio al Piccolo Dio d’amore, che nella rigi-da notte invernale, scendeva in cerca di cuori?

    Un gran disgusto l’assaliva, un disgusto pieno di stan-chezza e che confinava con la nausea, per tutta quellagente volgare che s’apparecchiava a festeggiare così lapura solennità, per tutte quelle lecornìe preparate comeper un banchetto pantagruelico.

    Finalmente, data un’ultima ordinazione e lasciato ilrecapito della scuola, potè dirsi libera e avviarsi versocasa. Ma procedeva incerta, con un passo legato, con unbattito sempre più violento al cuore e un’oppressione,un’ansia, un’angoscia vie più crescenti.

    Annottava. La folla aumentava nelle larghe vie prin-cipali e i frizzi, le risate, le esclamazioni, gli augurjs’incrociavano, in un frastuono confuso, dominato aquando a quando dal grido più acuto e stonato di un ri-vendugliolo ambulante, o d’uno strillone, o dal rotolaredelle carrozze.

    E con la sera sopraggiungeva la nebbia, che velava eisolava ogni cosa, dando a Letizia la sensazione più acu-ta, più precisa della sua solitudine nel vasto mondo sco-nosciuto che le si rivelava a tratti così tristo, così basso,così abbietto nella sua veste gioiosa. I più neri pensieri

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  • sembravano salire su, su dal cuore oppresso, fino al cer-vello annebbiato; ella vedeva tutto tutto nero, tutto nero;il suo affanno le pareva sterminato come il mare, tetrocome la rigida notte invernale, che le incombeva sulcapo.

    Allo sbocco di una via, un giovane elegante, incon-trandola faccia a faccia, le lanciò a bruciapelo un: «sim-paticona!». Ella sussultò, s’irrigidì in un’espressione disprezzo, ma il disgusto le strinse la gola in una morsa diferro.

    Quanto fango, quanto fango intorno a lei! Affrettò ilpasso e attraversò la via; ma fece appena in tempo ascansare una carrozza che veniva di carriera. Si fermòansante, anche la carrozza rallentò la corsa e attraverso icristalli scorse un viso ardito di donna, due rosse labbraprocaci, una veste sfarzosa, e le parve di riconoscere, inquel volto, un’antica compagna, povera come lei; le par-ve di leggere sul riso di quelle superbe labbra uno scher-no.

    Il ribrezzo la vinse; le parve che l’anima sua fosse in-sozzata da tutto quel fango, che saliva come una mareafino a travolgerla, a soffocarla. Volle muoversi, ma unastanchezza, un peso invincibile la tennero inchiodata alsuolo: il cuore le batteva all’impazzata.

    La gente, intorno a lei, proseguiva, vociando, per lasua strada. Chi s’accorgeva di lei?.... Com’era triste, oDio, com’era brutto il mondo, in quella vigilia di Nata-le! Era quella la legge santa bandita a prezzo di sangue?L’onda lutulenta inghiottiva tutto: ideali, speranze, retti-

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    sembravano salire su, su dal cuore oppresso, fino al cer-vello annebbiato; ella vedeva tutto tutto nero, tutto nero;il suo affanno le pareva sterminato come il mare, tetrocome la rigida notte invernale, che le incombeva sulcapo.

    Allo sbocco di una via, un giovane elegante, incon-trandola faccia a faccia, le lanciò a bruciapelo un: «sim-paticona!». Ella sussultò, s’irrigidì in un’espressione disprezzo, ma il disgusto le strinse la gola in una morsa diferro.

    Quanto fango, quanto fango intorno a lei! Affrettò ilpasso e attraversò la via; ma fece appena in tempo ascansare una carrozza che veniva di carriera. Si fermòansante, anche la carrozza rallentò la corsa e attraverso icristalli scorse un viso ardito di donna, due rosse labbraprocaci, una veste sfarzosa, e le parve di riconoscere, inquel volto, un’antica compagna, povera come lei; le par-ve di leggere sul riso di quelle superbe labbra uno scher-no.

    Il ribrezzo la vinse; le parve che l’anima sua fosse in-sozzata da tutto quel fango, che saliva come una mareafino a travolgerla, a soffocarla. Volle muoversi, ma unastanchezza, un peso invincibile la tennero inchiodata alsuolo: il cuore le batteva all’impazzata.

    La gente, intorno a lei, proseguiva, vociando, per lasua strada. Chi s’accorgeva di lei?.... Com’era triste, oDio, com’era brutto il mondo, in quella vigilia di Nata-le! Era quella la legge santa bandita a prezzo di sangue?L’onda lutulenta inghiottiva tutto: ideali, speranze, retti-

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  • tudine, virtù; ella ne sentiva il freddo viscido sulle carni,e tutta l’anima sua si rivoltava in un supremo conato.

    A stento raggiunse la viuzza che conduceva a casasua: vacillava. Quasi sulla soglia, un vecchio dai superbiocchiali d’oro, le passò vicino, strisciandole il gomitocon un braccio e guardandola negli occhi con uno stra-no, lusinghiero sorriso sulle labbra carnose. Indietreggiòspaurita, poi si mise a correre su per le scale.

    La cameretta era gelida e buia. Non traccia di fuoconel camino, non traccia di festa fra le umili pareti. Soloin faccia allo scrittoio, su un piccolo altare, in un vasettodi cristallo, poche viole con un ramoscello di tasso mo-rivano.

    Letizia si piegò su loro quasi a baciarli. Poveri fiori,essi soli le parlavano di purezza e di fede, le tenevanoluogo dei bianchi fiori tradizionali che ornavano ungiorno la cappella gentilizia e le sale del castello dei Vil-lalta.

    Ma essi morivano nella loro fredda prigione: moriva-no.... Perchè non moriva anche lei?

    Fuori il brusìo cresceva; distinta giungeva fino lassùal terzo piano, la voce ardita e forte d’una giovinetta gi-rovaga che si accompagnava colla chitarra, e tratto trattoil ritornello di un coro di ubbriachi.

    Ancora Letizia rabbrividì; poi non sentì più nulla: ilcuore le batteva a spezzarsi, i battiti si ripercotevanofino alla fontanella della gola, fino agli orecchi, fino alletempie che martellavano orribilmente: e nella sua me-moria, nella sua fantasia si succedettero, si confusero in

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    tudine, virtù; ella ne sentiva il freddo viscido sulle carni,e tutta l’anima sua si rivoltava in un supremo conato.

    A stento raggiunse la viuzza che conduceva a casasua: vacillava. Quasi sulla soglia, un vecchio dai superbiocchiali d’oro, le passò vicino, strisciandole il gomitocon un braccio e guardandola negli occhi con uno stra-no, lusinghiero sorriso sulle labbra carnose. Indietreggiòspaurita, poi si mise a correre su per le scale.

    La cameretta era gelida e buia. Non traccia di fuoconel camino, non traccia di festa fra le umili pareti. Soloin faccia allo scrittoio, su un piccolo altare, in un vasettodi cristallo, poche viole con un ramoscello di tasso mo-rivano.

    Letizia si piegò su loro quasi a baciarli. Poveri fiori,essi soli le parlavano di purezza e di fede, le tenevanoluogo dei bianchi fiori tradizionali che ornavano ungiorno la cappella gentilizia e le sale del castello dei Vil-lalta.

    Ma essi morivano nella loro fredda prigione: moriva-no.... Perchè non moriva anche lei?

    Fuori il brusìo cresceva; distinta giungeva fino lassùal terzo piano, la voce ardita e forte d’una giovinetta gi-rovaga che si accompagnava colla chitarra, e tratto trattoil ritornello di un coro di ubbriachi.

    Ancora Letizia rabbrividì; poi non sentì più nulla: ilcuore le batteva a spezzarsi, i battiti si ripercotevanofino alla fontanella della gola, fino agli orecchi, fino alletempie che martellavano orribilmente: e nella sua me-moria, nella sua fantasia si succedettero, si confusero in

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  • una strana miscela tutte le sinistre impressioni dellagiornata, e fra tutte, sopra tutte dominava il riso superbodi quelle procaci labbra di donna che le davano ancora,sempre, la sensazione di affondare, di sprofondare nelfango viscido e freddo che la circondava.

    Istintivamente giunse le mani e le portò sul petto,quasi a comprimerne i palpiti.

    Nel moto ella toccò l’anello che le cingeva l’anularedella destra, lo strinse, lo guardò, e un po’ di luce parvefarsi nel suo spirito conturbato, un po’ di calma parvesuccedere alla terribile crisi. Intenerita lo baciò con ve-nerazione. Era l’unico gioiello da cui i Villalta non ave-vano voluto separarsi, perchè dal dito di un imperatoreera passato, nel giorno del dolore e della devozione, inquello del vassallo che divideva volonteroso col suo Si-gnore l’avversa fortuna e l’esiglio. Lo contemplò. Tra lefini maglie d’oro, un’onice cupa splendeva come unamisteriosa, immortale pupilla, aperta a invigilare o ascrutare le cose segrete del mondo.

    Ah! perchè non era vissuta in quel tempo? Che facevaella ora, nel mondo, ultimo campione d’una razza ormaispenta, d’una casta destinata a sparire?... Che faceva?...Lo sapeva forse?...

    Di nuovo il ricordo si fece più vivo nell’animo; tuttoin una volta il cuore pulsò più forte, disordinato, affret-tando, rallentando i battiti, sempre più intensi, più vio-lenti. Un sudore freddo le imperlò la fronte, l’angosciafisica superò l’angoscia morale, e nell’affanno tremendol’ultimo rimasuglio di ragione parve naufragare.

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    una strana miscela tutte le sinistre impressioni dellagiornata, e fra tutte, sopra tutte dominava il riso superbodi quelle procaci labbra di donna che le davano ancora,sempre, la sensazione di affondare, di sprofondare nelfango viscido e freddo che la circondava.

    Istintivamente giunse le mani e le portò sul petto,quasi a comprimerne i palpiti.

    Nel moto ella toccò l’anello che le cingeva l’anularedella destra, lo strinse, lo guardò, e un po’ di luce parvefarsi nel suo spirito conturbato, un po’ di calma parvesuccedere alla terribile crisi. Intenerita lo baciò con ve-nerazione. Era l’unico gioiello da cui i Villalta non ave-vano voluto separarsi, perchè dal dito di un imperatoreera passato, nel giorno del dolore e della devozione, inquello del vassallo che divideva volonteroso col suo Si-gnore l’avversa fortuna e l’esiglio. Lo contemplò. Tra lefini maglie d’oro, un’onice cupa splendeva come unamisteriosa, immortale pupilla, aperta a invigilare o ascrutare le cose segrete del mondo.

    Ah! perchè non era vissuta in quel tempo? Che facevaella ora, nel mondo, ultimo campione d’una razza ormaispenta, d’una casta destinata a sparire?... Che faceva?...Lo sapeva forse?...

    Di nuovo il ricordo si fece più vivo nell’animo; tuttoin una volta il cuore pulsò più forte, disordinato, affret-tando, rallentando i battiti, sempre più intensi, più vio-lenti. Un sudore freddo le imperlò la fronte, l’angosciafisica superò l’angoscia morale, e nell’affanno tremendol’ultimo rimasuglio di ragione parve naufragare.

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  • Ella si perdeva, inesorabilmente,— «Salvami!» gridò con voce strozzata alla piccola

    Madonna bianca che aveva di fronte.— «Salvami!» e rotò intorno gli occhi perduti.Le ombre della sera nebbiosa si addensavano pesanti;

    pure, nell’oscurità crescente, ella vide sulle bianche pa-reti spiccare nero il ramo di tasso, della micidiale piantamagnifica che ornava un giorno il superbo parco dei Vil-lalta.

    Istintivamente l’afferrò con la mano tremante, lo por-tò alle labbra e lo baciò e lo morse nel parossismo dellapassione, quasi volesse sorbirne tutta la venefica poten-za; poi piegò le ginocchia dinanzi all’altare, su cui leviole morivano, e strinse le mani sul petto implorando.Nella stretta convulsa, le maglie d’oro cedettero, e lagloriosa memoria degli avi cadde infranta ai suoi piedi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    L’alba la ritrovò così rigida e fredda, davanti alla pic-cola Madonna d’alabastro che pareva guardarla ancorateneramente.... pietosamente....

    Alessandria, settembre ’900.

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    Ella si perdeva, inesorabilmente,— «Salvami!» gridò con voce strozzata alla piccola

    Madonna bianca che aveva di fronte.— «Salvami!» e rotò intorno gli occhi perduti.Le ombre della sera nebbiosa si addensavano pesanti;

    pure, nell’oscurità crescente, ella vide sulle bianche pa-reti spiccare nero il ramo di tasso, della micidiale piantamagnifica che ornava un giorno il superbo parco dei Vil-lalta.

    Istintivamente l’afferrò con la mano tremante, lo por-tò alle labbra e lo baciò e lo morse nel parossismo dellapassione, quasi volesse sorbirne tutta la venefica poten-za; poi piegò le ginocchia dinanzi all’altare, su cui leviole morivano, e strinse le mani sul petto implorando.Nella stretta convulsa, le maglie d’oro cedettero, e lagloriosa memoria degli avi cadde infranta ai suoi piedi.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    L’alba la ritrovò così rigida e fredda, davanti alla pic-cola Madonna d’alabastro che pareva guardarla ancorateneramente.... pietosamente....

    Alessandria, settembre ’900.

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  • L’attesa

    Per tutto il resto della giornata Laura De Luca nontoccò lavoro. La visita inattesa dell’antica compagna dicollegio aveva scombussolato ogni cosa in casa sua, di-strutto l’ordine fino allora seguìto, destato nel poverocuore solitario, cullato dalle consuetudini, un fermento,un tumulto di pensieri e di sentimenti disparati, qualiignoti affatto, quali vagamente provati in certe fantasti-caggini romantiche, in certi momenti di languore e disogno. Con quelli un gran desiderio di riposo, di pace,di ordine nuovo, come un bisogno di rientrare in sè, dichiarire i proprj pensieri, di tornare quella di prima. Poi-chè Laura De Luca si sentiva mutata, trasformata inmodo straordinario e impreveduto, in poche ore: inquelle poche ore, che pure erano state dolci per lei, tantoche per nulla al mondo avrebbe voluto cancellarle dallasua vita.

    Ancora al ricordo, sentiva uno strano rimescolamentoper tutto l’essere, un brivido sottile di piacere correrle levene e un desiderio violento, pazzo, pieno di dolcezza,di gioia e di dolore, commuoverle le viscere come allo-ra, alle parole della piccola Emma. Oh un bimbo!... unbimbo suo.... un bel bimbo come Emma da stringere alcuore.... Un bimbo che le gettasse le braccia al collo

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    L’attesa

    Per tutto il resto della giornata Laura De Luca nontoccò lavoro. La visita inattesa dell’antica compagna dicollegio aveva scombussolato ogni cosa in casa sua, di-strutto l’ordine fino allora seguìto, destato nel poverocuore solitario, cullato dalle consuetudini, un fermento,un tumulto di pensieri e di sentimenti disparati, qualiignoti affatto, quali vagamente provati in certe fantasti-caggini romantiche, in certi momenti di languore e disogno. Con quelli un gran desiderio di riposo, di pace,di ordine nuovo, come un bisogno di rientrare in sè, dichiarire i proprj pensieri, di tornare quella di prima. Poi-chè Laura De Luca si sentiva mutata, trasformata inmodo straordinario e impreveduto, in poche ore: inquelle poche ore, che pure erano state dolci per lei, tantoche per nulla al mondo avrebbe voluto cancellarle dallasua vita.

    Ancora al ricordo, sentiva uno strano rimescolamentoper tutto l’essere, un brivido sottile di piacere correrle levene e un desiderio violento, pazzo, pieno di dolcezza,di gioia e di dolore, commuoverle le viscere come allo-ra, alle parole della piccola Emma. Oh un bimbo!... unbimbo suo.... un bel bimbo come Emma da stringere alcuore.... Un bimbo che le gettasse le braccia al collo

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  • come Emma, che le posasse la bocca fresca sulle labbraaride, e le dicesse come lei, con la voce carezzevole, leconsolanti parole che non aveva udito mai da nessuno:«Sei bella!... dammi un bacio!»

    A quel ricordo, a quel turbamento, un altro ricordo eun altro turbamento seguivano, non scevri di gioia; madi una gioia torbida, febbrile, tormentata e tormentatri-ce: il ricordo di certe occhiate di Massimo Gaj, gravi,profonde, piene di tristezza e di ammirazione, occhiateche l’avevano sconvolta, che avevano riacceso speranzeda tempo sopite da una monotona vita quasi claustrale,che avevano riaperto il cuore a sogni audaci; e che purenell’anima sgomenta da quel rigoglio, da quel fervoreignorato e possente di vita, alimentavano un timoreoscuro, una confusione affannosa, come un folle terrored’aver commesso, senza volerlo e senza saperlo, qual-che grave peccato.

    Più forte si faceva in lei il bisogno di esaminarsi, discandagliarsi attentamente la coscienza, di ponderare, dianalizzare i pensieri, i sentimenti, i moti anche più insi-gnificanti dell’animo suo. Invano! Le immagini amma-liatrici non le lasciavano tregua, nè si prestavano a disa-mine di sorta; cacciate, tornavano all’assalto, dapprimatimide, poi man mano più ardite, temerarie anzi, e la di-straevano, la riafferravano, la trascinavano nel loro in-granaggio.

    Ah! dov’erano, dov’erano la sua tranquillità, la suaserietà, tanto vantata, di ragazza irreprensibile? Dove ilricordo salutare delle trentacinque primavere che le gra-

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    come Emma, che le posasse la bocca fresca sulle labbraaride, e le dicesse come lei, con la voce carezzevole, leconsolanti parole che non aveva udito mai da nessuno:«Sei bella!... dammi un bacio!»

    A quel ricordo, a quel turbamento, un altro ricordo eun altro turbamento seguivano, non scevri di gioia; madi una gioia torbida, febbrile, tormentata e tormentatri-ce: il ricordo di certe occhiate di Massimo Gaj, gravi,profonde, piene di tristezza e di ammirazione, occhiateche l’avevano sconvolta, che avevano riacceso speranzeda tempo sopite da una monotona vita quasi claustrale,che avevano riaperto il cuore a sogni audaci; e che purenell’anima sgomenta da quel rigoglio, da quel fervoreignorato e possente di vita, alimentavano un timoreoscuro, una confusione affannosa, come un folle terrored’aver commesso, senza volerlo e senza saperlo, qual-che grave peccato.

    Più forte si faceva in lei il bisogno di esaminarsi, discandagliarsi attentamente la coscienza, di ponderare, dianalizzare i pensieri, i sentimenti, i moti anche più insi-gnificanti dell’animo suo. Invano! Le immagini amma-liatrici non le lasciavano tregua, nè si prestavano a disa-mine di sorta; cacciate, tornavano all’assalto, dapprimatimide, poi man mano più ardite, temerarie anzi, e la di-straevano, la riafferravano, la trascinavano nel loro in-granaggio.

    Ah! dov’erano, dov’erano la sua tranquillità, la suaserietà, tanto vantata, di ragazza irreprensibile? Dove ilricordo salutare delle trentacinque primavere che le gra-

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  • vavano le spalle? Dove la placida attività di padrona dicasa, l’amore al lavoro, che la piegava per tante ore del-la giornata sui pazienti ricami di un lungo, interminabilecorredo? Dove i casti sogni quieti di dolci idillj fiorentidi gentilezza, di grazia, d’idealità? Dove?... Era mutata,mutata, mutata!... Aveva il fuoco nelle vene, la rivolu-zione nel cervello, la tempesta nel cuore! Per la primavolta la mano indocile rifiutava di eseguire il minimo la-voro; la fantasia, eccitata, si ribellava al freno della ra-gione; la memoria passava e ripassava senza posa in ras-segna i fatti dell’indimenticabile giornata; gli atti, le fra-si, le parole d’ogni persona, senza ritrovare la calma, oalmeno la soluzione di quell’agitazione implacabile edolorosa.

    Perciò ella passeggiava avanti e indietro nel salottoche portava ancora le traccie visibili degli ospiti, fer-mandosi tratto tratto dinanzi ai ritratti dei Suoi, morti datempo, quasi a implorarne un soccorso che non veniva,o dinanzi all’ampio specchio per chiedere al muto amicoun consiglio sincero.

    Ma suo padre e sua madre la guardavano melanconi-camente, con gli occhi soavi e la bocca schiusa a un te-nue sorriso di pietà e di amore, e lo specchio le riflettevacrudamente la magra persona affaticata, senz’attrattive,ravvolta nell’umile veste grigio-scuro, col grembiulonenero e il mazzo di chiave alla cintola, e il viso pallido,sfiorito dagli anni, abbattuto dalla stanchezza, con lafronte troppo alta, gli occhi troppo timidi e sognanti, e ibruni capelli troppo tirati indietro e raccolti in treccia

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    vavano le spalle? Dove la placida attività di padrona dicasa, l’amore al lavoro, che la piegava per tante ore del-la giornata sui pazienti ricami di un lungo, interminabilecorredo? Dove i casti sogni quieti di dolci idillj fiorentidi gentilezza, di grazia, d’idealità? Dove?... Era mutata,mutata, mutata!... Aveva il fuoco nelle vene, la rivolu-zione nel cervello, la tempesta nel cuore! Per la primavolta la mano indocile rifiutava di eseguire il minimo la-voro; la fantasia, eccitata, si ribellava al freno della ra-gione; la memoria passava e ripassava senza posa in ras-segna i fatti dell’indimenticabile giornata; gli atti, le fra-si, le parole d’ogni persona, senza ritrovare la calma, oalmeno la soluzione di quell’agitazione implacabile edolorosa.

    Perciò ella passeggiava avanti e indietro nel salottoche portava ancora le traccie visibili degli ospiti, fer-mandosi tratto tratto dinanzi ai ritratti dei Suoi, morti datempo, quasi a implorarne un soccorso che non veniva,o dinanzi all’ampio specchio per chiedere al muto amicoun consiglio sincero.

    Ma suo padre e sua madre la guardavano melanconi-camente, con gli occhi soavi e la bocca schiusa a un te-nue sorriso di pietà e di amore, e lo specchio le riflettevacrudamente la magra persona affaticata, senz’attrattive,ravvolta nell’umile veste grigio-scuro, col grembiulonenero e il mazzo di chiave alla cintola, e il viso pallido,sfiorito dagli anni, abbattuto dalla stanchezza, con lafronte troppo alta, gli occhi troppo timidi e sognanti, e ibruni capelli troppo tirati indietro e raccolti in treccia

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  • sulla nuca. E, dopo un istante di tacita contemplazione,ella riprendeva la sua passeggiata su e giù per il salotto,avvilita, irritata, stringendosi le mani fino a farsi male,evocando nell’anima concitata tutta la scena che avevacompiuto in lei la metamorfosi dolorosa.

    Il desinare era stato improntato a una cordialità, a unaallegria schietta e confortante. Ersilia Gaj aveva fatto ri-vivere con la parola colorita e briosa tutte le compagnedi convento, le maestre, la madre superiora, tutta quellavita, tanto varia pure nella uniformità quotidiana perchècondita di monellerie, di scappatelle, di gastighi, di pre-mj. Poi erano passati in salotto a sorbire il caffè, e laconversazione era continuata arguta, animatissima, e aquello scoppiettìo di motti, a quello scintillìo di frasiLaura si era sentita ringiovanire e aveva parlato anche disè, – troppo ne aveva parlato! – della sua vita tranquillanella vecchia casa, della tristezza sua dopo la morte delnonno e delle zie che le avevano tenuto luogo di madre.Ah! perchè aveva parlato? Perchè non aveva soffocato,come sempre, nel cuore quel primo moto spontaneo diconfidenza? Ah! se avesse taciuto.... se.... E la voce pie-tosa eppur gaia di Ersilia le suonava ancora all’orecchio:«Ma come fai, come fai, povera Laura?... Ma non tistanchi, non t’annoi, a morte?... Non sai che invecchiprima del tempo, poverina! che non è un vivere il tuo, èun vegetare bello e buono?... Un vegetare inutile a te eagli altri, anzi dannoso?.... Proprio! dannoso! Capiscoora che ti trascuri, che ti pettini come una collegiale e

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    sulla nuca. E, dopo un istante di tacita contemplazione,ella riprendeva la sua passeggiata su e giù per il salotto,avvilita, irritata, stringendosi le mani fino a farsi male,evocando nell’anima concitata tutta la scena che avevacompiuto in lei la metamorfosi dolorosa.

    Il desinare era stato improntato a una cordialità, a unaallegria schietta e confortante. Ersilia Gaj aveva fatto ri-vivere con la parola colorita e briosa tutte le compagnedi convento, le maestre, la madre superiora, tutta quellavita, tanto varia pure nella uniformità quotidiana perchècondita di monellerie, di scappatelle, di gastighi, di pre-mj. Poi erano passati in salotto a sorbire il caffè, e laconversazione era continuata arguta, animatissima, e aquello scoppiettìo di motti, a quello scintillìo di frasiLaura si era sentita ringiovanire e aveva parlato anche disè, – troppo ne aveva parlato! – della sua vita tranquillanella vecchia casa, della tristezza sua dopo la morte delnonno e delle zie che le avevano tenuto luogo di madre.Ah! perchè aveva parlato? Perchè non aveva soffocato,come sempre, nel cuore quel primo moto spontaneo diconfidenza? Ah! se avesse taciuto.... se.... E la voce pie-tosa eppur gaia di Ersilia le suonava ancora all’orecchio:«Ma come fai, come fai, povera Laura?... Ma non tistanchi, non t’annoi, a morte?... Non sai che invecchiprima del tempo, poverina! che non è un vivere il tuo, èun vegetare bello e buono?... Un vegetare inutile a te eagli altri, anzi dannoso?.... Proprio! dannoso! Capiscoora che ti trascuri, che ti pettini come una collegiale e

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  • vesti di scuro come una nonna! Perchè non ti metti an-che la cuffia?... staresti bene, veh!»

    Tutti avevano riso, anche lei, Laura, gaiamente, senzasospetti, senza prevedere ciò che sarebbe accaduto poi,ed Ersilia aveva continuato:

    — Più rialzati, più lenti i capelli! Via codesto solinorigido, che ti dà l’aria di un professore tabaccoso! Metti-ti un bel pizzo, morbido e fresco.... Via codesto grem-biulone da massaia del secolo scorso!... ci vuole qualchegrembiulino celeste o roseo, e... moderno!... Diamine!un po’ d’eleganza sta bene anche con la santità!... Chesperi di trovar marito così?...

    Laura s’era fatta rossa e aveva avuto un gesto d’orro-re come per dire: – Lasciami in pace: non ci penso nep-pure. Poi aveva soggiunto lentamente, fatta subito me-lanconica: Vestivano così anche loro!

    — Anche loro?! Chi loro? le zie?... Bella ragione!Non erano più giovani, loro! Mentre tu....

    — La gioventù è una ricchezza che non si deve di-sprezzare, signorina! Perduta una volta....

    E Massimo l’aveva avvolta in uno sguardo profondo,scrutatore, che pareva ricercarle tutte le fibre dell’esilecorpo, scandagliare i penetrali più nascosti dell’animo,leggere attraverso la fronte bianca e gli ingenui occhisognanti i più riposti pensieri verginali.

    In fretta, turbata, come se quell’estraneo le denudassel’animo, ella si era chinata a carezzare la bimba chegiuocava ai suoi piedi. Ma Ersilia, posata la chicchera

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    vesti di scuro come una nonna! Perchè non ti metti an-che la cuffia?... staresti bene, veh!»

    Tutti avevano riso, anche lei, Laura, gaiamente, senzasospetti, senza prevedere ciò che sarebbe accaduto poi,ed Ersilia aveva continuato:

    — Più rialzati, più lenti i capelli! Via codesto solinorigido, che ti dà l’aria di un professore tabaccoso! Metti-ti un bel pizzo, morbido e fresco.... Via codesto grem-biulone da massaia del secolo scorso!... ci vuole qualchegrembiulino celeste o roseo, e... moderno!... Diamine!un po’ d’eleganza sta bene anche con la santità!... Chesperi di trovar marito così?...

    Laura s’era fatta rossa e aveva avuto un gesto d’orro-re come per dire: – Lasciami in pace: non ci penso nep-pure. Poi aveva soggiunto lentamente, fatta subito me-lanconica: Vestivano così anche loro!

    — Anche loro?! Chi loro? le zie?... Bella ragione!Non erano più giovani, loro! Mentre tu....

    — La gioventù è una ricchezza che non si deve di-sprezzare, signorina! Perduta una volta....

    E Massimo l’aveva avvolta in uno sguardo profondo,scrutatore, che pareva ricercarle tutte le fibre dell’esilecorpo, scandagliare i penetrali più nascosti dell’animo,leggere attraverso la fronte bianca e gli ingenui occhisognanti i più riposti pensieri verginali.

    In fretta, turbata, come se quell’estraneo le denudassel’animo, ella si era chinata a carezzare la bimba chegiuocava ai suoi piedi. Ma Ersilia, posata la chicchera

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  • sul vassoio, si era diretta verso il telaio che biancheggia-va in un angolo, nella penombra del salottino.

    — Posso vedere, Laura? e senza aspettare rispostaaveva sollevato un lembo del lino che copriva il ricamo.– Vedi, aveva gridato trionfante, vedi se non ci pensi?Non è per il corredo questo stupendo ricamo? Neghi an-cora?... Ma perchè lo faresti allora?

    Di nuovo Laura aveva incontrato gli occhi di Massi-mo Gaj, e le era parso di scorgervi una punta d’ironia,un’ombra di sprezzo. Di nuovo si era fatta di bragia,vergognosa dei pensieri che le attribuivano, della me-schina, ridicola figura che ella doveva fare.

    Inconsciamente la bimba era venuta a toglierlad’imbarazzo.

    — Voglio vedere!... Voglio vedere anch’io!...Laura l’aveva presa in collo, nascondendo fra i riccio-

    li bruni di lei il viso infiammato.— Che fai, Laura?... Lasciala; lasciala.... non tante

    storie!...— È una capricciosa!...Laura se l’era tenuta stretta. Perchè? E la bimba

    l’aveva guardata con gli occhi risplendenti e la boccuc-cia rossa schiusa a un sorriso birichino; poi le aveva but-tate le braccia al collo (oh! la soavità della morbida, te-pida carezza!) e le aveva detto con la voce squillante: –Sei bella, signora!... Dammi un bacio! – Con che cuorel’aveva dato, e che sensazione di delizia, che fremitodolce, che onda di desiderio l’aveva scossa, a quel ba-cio! Era divenuta un’altra, un’altra!

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    sul vassoio, si era diretta verso il telaio che biancheggia-va in un angolo, nella penombra del salottino.

    — Posso vedere, Laura? e senza aspettare rispostaaveva sollevato un lembo del lino che copriva il ricamo.– Vedi, aveva gridato trionfante, vedi se non ci pensi?Non è per il corredo questo stupendo ricamo? Neghi an-cora?... Ma perchè lo faresti allora?

    Di nuovo Laura aveva incontrato gli occhi di Massi-mo Gaj, e le era parso di scorgervi una punta d’ironia,un’ombra di sprezzo. Di nuovo si era fatta di bragia,vergognosa dei pensieri che le attribuivano, della me-schina, ridicola figura che ella doveva fare.

    Inconsciamente la bimba era venuta a toglierlad’imbarazzo.

    — Voglio vedere!... Voglio vedere anch’io!...Laura l’aveva presa in collo, nascondendo fra i riccio-

    li bruni di lei il viso infiammato.— Che fai, Laura?... Lasciala; lasciala.... non tante

    storie!...— È una capricciosa!...Laura se l’era tenuta stretta. Perchè? E la bimba

    l’aveva guardata con gli occhi risplendenti e la boccuc-cia rossa schiusa a un sorriso birichino; poi le aveva but-tate le braccia al collo (oh! la soavità della morbida, te-pida carezza!) e le aveva detto con la voce squillante: –Sei bella, signora!... Dammi un bacio! – Con che cuorel’aveva dato, e che sensazione di delizia, che fremitodolce, che onda di desiderio l’aveva scossa, a quel ba-cio! Era divenuta un’altra, un’altra!

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  • La bimba ignara le aveva rivelato l’oscuro perchè del-la vita, lo scopo a cui ella non aveva mai pensato; ilsolo, il vero, il dolcissimo. Una grande tristezza l’avevainvasa d’averlo misconosciuto per tanto tempo. Era col-pa quel pensiero?

    Intanto Ersilia le apparecchiava un’altra commozionecontinuando il suo giro nel salotto, esaminando e criti-cando tutto con quella libertà, quella schiettezza,quell’indipendenza di giudizio ch’erano tanta parte delsuo carattere, e che s’avvaloravano della dimestichezzaantica.

    — Oh! Laura!... È un orrore! Scusa la franchezza, manon so come esprimermi diversamente!... È borghese,assolutamente, orribilmente borghese, tutto ciò!... Chefanno mai qui queste bamboluccie di cera in mezzo aquesti oggetti d’arte?... Che pregio hanno?... Togli, toglitutto, cara! Hai oggetti preziosi, ma che sfigurano inquesto caos di gingilli da solaio! Peccato ch’io non pos-sa fermarmi più a lungo.... t’aiuterei.

    Un senso d’inferiorità intellettuale, un timore eccessi-vo del ridicolo e insieme un’oncia di tenerezza dolorosaper i cari oggetti spregiati le aveva impedito di pronun-ciare una parola, d’interrompere la compagna. L’avevalasciata dire e dire, fissandola con gli occhi attoniti chesupplicavano pietà, tutta chiusa nella sua timidezza e nelsuo avvilimento, come colta in fallo da un superiore; in-fine si era scusata, stupidamente, con un «Li tenevanocome reliquie, loro!...»

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    La bimba ignara le aveva rivelato l’oscuro perchè del-la vita, lo scopo a cui ella non aveva mai pensato; ilsolo, il vero, il dolcissimo. Una grande tristezza l’avevainvasa d’averlo misconosciuto per tanto tempo. Era col-pa quel pensiero?

    Intanto Ersilia le apparecchiava un’altra commozionecontinuando il suo giro nel salotto, esaminando e criti-cando tutto con quella libertà, quella schiettezza,quell’indipendenza di giudizio ch’erano tanta parte delsuo carattere, e che s’avvaloravano della dimestichezzaantica.

    — Oh! Laura!... È un orrore! Scusa la franchezza, manon so come esprimermi diversamente!... È borghese,assolutamente, orribilmente borghese, tutto ciò!... Chefanno mai qui queste bamboluccie di cera in mezzo aquesti oggetti d’arte?... Che pregio hanno?... Togli, toglitutto, cara! Hai oggetti preziosi, ma che sfigurano inquesto caos di gingilli da solaio! Peccato ch’io non pos-sa fermarmi più a lungo.... t’aiuterei.

    Un senso d’inferiorità intellettuale, un timore eccessi-vo del ridicolo e insieme un’oncia di tenerezza dolorosaper i cari oggetti spregiati le aveva impedito di pronun-ciare una parola, d’interrompere la compagna. L’avevalasciata dire e dire, fissandola con gli occhi attoniti chesupplicavano pietà, tutta chiusa nella sua timidezza e nelsuo avvilimento, come colta in fallo da un superiore; in-fine si era scusata, stupidamente, con un «Li tenevanocome reliquie, loro!...»

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  • — E dàlli! Ma è una ragione codesta!? Nessuno tidice di distruggere memorie care; ma.... potresti metter-le altrove, ecco tutto, e... non offendere l’estetica.

    — Non mi intendo di estetica, io.!... Non ho il tuo in-gegno e il tuo studio, io.... e.... non ho mai pensato dipoterle muovere di lì... mi pare che non potrei, che....

    Ersilia aveva riso, soddisfatta del complimento, lan-ciando un’occhiata di trionfo al marito.

    — Testolina romantica! Se non puoi tu, lo faccio io!...— Tu non capisci certe cose, Ersilia! Non è questione

    di estetica qui, ma di sentimento! aveva esclamato ad untratto Massimo Gaj, e v’era tanta durezza nell’accento,tant’amarezza nella voce e nel gesto, tale un fuoco con-centrato nello sguardo, come se anch’egli fosse stato fe-rito in mezzo al cuore dalla stessa arme, che Laura, alli-bita, era rimasta senza trovare parole, senza nemmenocercarle, a guardare or l’uno or l’altra, intuendo vaga-mente il perchè del rabbuffo.

    Finalmente, comprendendo che toccava a lei di ri-comporre il dissidio, cancellare le traccie del piccoloscrezio, e compensare almeno in parte Ersilia delle bru-sche parole del marito, dettele per cagione sua, avevatentato di scusarsi. Ma in che modo? Aggravando ilmale!

    — È una debolezza la mia, lo capisco; una specie disuperstizione, di cui ho vergogna. Ma che vuoi? È piùforte di me. Non mi deciderò mai a farlo; mi parrebbe diprofanare la loro memoria, di commettere un sacrilegio,di turbare per sempre la loro pace e allontanare i loro

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    — E dàlli! Ma è una ragione codesta!? Nessuno tidice di distruggere memorie care; ma.... potresti metter-le altrove, ecco tutto, e... non offendere l’estetica.

    — Non mi intendo di estetica, io.!... Non ho il tuo in-gegno e il tuo studio, io.... e.... non ho mai pensato dipoterle muovere di lì... mi pare che non potrei, che....

    Ersilia aveva riso, soddisfatta del complimento, lan-ciando un’occhiata di trionfo al marito.

    — Testolina romantica! Se non puoi tu, lo faccio io!...— Tu non capisci certe cose, Ersilia! Non è questione

    di estetica qui, ma di sentimento! aveva esclamato ad untratto Massimo Gaj, e v’era tanta durezza nell’accento,tant’amarezza nella voce e nel gesto, tale un fuoco con-centrato nello sguardo, come se anch’egli fosse stato fe-rito in mezzo al cuore dalla stessa arme, che Laura, alli-bita, era rimasta senza trovare parole, senza nemmenocercarle, a guardare or l’uno or l’altra, intuendo vaga-mente il perchè del rabbuffo.

    Finalmente, comprendendo che toccava a lei di ri-comporre il dissidio, cancellare le traccie del piccoloscrezio, e compensare almeno in parte Ersilia delle bru-sche parole del marito, dettele per cagione sua, avevatentato di scusarsi. Ma in che modo? Aggravando ilmale!

    — È una debolezza la mia, lo capisco; una specie disuperstizione, di cui ho vergogna. Ma che vuoi? È piùforte di me. Non mi deciderò mai a farlo; mi parrebbe diprofanare la loro memoria, di commettere un sacrilegio,di turbare per sempre la loro pace e allontanare i loro

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  • spiriti dalla vecchia casa dove esse sono vissute e sonomorte. Mi parrebbe di meritare le loro maledizioni e....non posso. È ridicolo, lo so, ma....

    Si era interrotta a un tratto. Ersilia non l’ascoltavapiù; guardava fisso dinanzi a sè, pensierosa, come non siera mostrata mai. Massimo Gaj, invece, la contemplava,con uno sguardo strano che l’aveva fatta trasalire. Ognitraccia d’ironia era scomparsa dai pensosi occhi neri;era in essi una meraviglia ammirativa, e una tristezzaprofonda, quasi l’ombra d’un segreto rimpianto, certoun senso di simpatia e di riconoscenza, come se le paro-le che le erano sfuggite in quel momento di animazionegli fossero giunte grate e consolanti. A quello sguardoella aveva sentito confuso, ma vivo, ardente in fondo alcuore, un sentimento di speranza e di gioia: MassimoGaj la comprendeva, la stimava, divideva il suo cultoalle memorie, forse intravedeva in lei, nella sua mitezzamuliebre, l’ideale sognato in gioventù