E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua...

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Pantaleo Carabellese Il problema della filosofia in Kant www.liberliber.it Pantaleo Carabellese Il problema della filosofia in Kant www.liberliber.it

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Pantaleo CarabelleseIl problema della filosofia in Kant

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il problema della filosofia in KantAUTORE: Carabellese, PantaleoTRADUTTORE: CURATORE: Damonte F.NOTE: CODICE ISBN E-BOOK:

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il problema della filosofia in Kant /Pantaleo Carabellese ; a cura di F. Damonte. - Vero-na : La Scaligera, stampa 1938. - 110 p. ; 20 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 febbraio 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa

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COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il problema della filosofia in Kant /Pantaleo Carabellese ; a cura di F. Damonte. - Vero-na : La Scaligera, stampa 1938. - 110 p. ; 20 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

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INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa

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1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI009000 FILOSOFIA / Storia e Studi / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Mario Lanzino, [email protected] Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Liber Liber

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE................................................................9INTRODUZIONEPOSIZIONE DEL PROBLEMA INTERNODELLA FILOSOFIA....................................................11

ILA CONTEMPORANEA NEGAZIONEDELLA FILOSOFIA IN ITALIA.............................12IIKANT PONE IL PROBLEMA INTERNODELLA FILOSOFIA................................................18IIIIL RINNOVAMENTO DELLA METAFISICA.......24IVLA CRITICA............................................................29VIMPOSTAZIONE KANTIANA DEL PROBLEMA36

PARTE PRIMAPRIMO GRADO DEL PROBLEMA...........................44

VILA MATEMATICA E L'INTUIZIONE PURA........45VIILA SINTETICITÀ DELLA MATEMATICA:FORMA E REALTÀ................................................50VIII

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE................................................................9INTRODUZIONEPOSIZIONE DEL PROBLEMA INTERNODELLA FILOSOFIA....................................................11

ILA CONTEMPORANEA NEGAZIONEDELLA FILOSOFIA IN ITALIA.............................12IIKANT PONE IL PROBLEMA INTERNODELLA FILOSOFIA................................................18IIIIL RINNOVAMENTO DELLA METAFISICA.......24IVLA CRITICA............................................................29VIMPOSTAZIONE KANTIANA DEL PROBLEMA36

PARTE PRIMAPRIMO GRADO DEL PROBLEMA...........................44

VILA MATEMATICA E L'INTUIZIONE PURA........45VIILA SINTETICITÀ DELLA MATEMATICA:FORMA E REALTÀ................................................50VIII

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L'IDEALISMO TRASCENDENTALE:SOLUZIONE DEL PRIMO GRADO DEL PROBLE-MA............................................................................57

PARTE SECONDASECONDO GRADO DEL PROBLEMA.....................62

IXLA NATURA............................................................63XL'OGGETTIVITÀ (paragr. 18 - 20).........................70XILA COSCIENZA IN GENERALECOME OGGETTI VITÀ (paragr. 20)......................76XIIDALLA OGGETTIVITÀ ALLA NATURA(paragr. 21 - 26): IL CONCETTO............................84XIIICONFUTAZIONE DELLO SCETTICISMO(paragr. 27 - 31)........................................................92XIVL'ESIGENZA CRITICA(paragr. 32 - 38)......................................................100

PARTE TERZATERZO GRADO DEL PROBLEMA.........................106

XVLA METAFISICA COME ESIGENZA UMANA..107

CONCLUSIONELA SOLUZIONE DEL PROBLEMA........................113

XVILA METAFISICA COME SCIENZA....................114

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L'IDEALISMO TRASCENDENTALE:SOLUZIONE DEL PRIMO GRADO DEL PROBLE-MA............................................................................57

PARTE SECONDASECONDO GRADO DEL PROBLEMA.....................62

IXLA NATURA............................................................63XL'OGGETTIVITÀ (paragr. 18 - 20).........................70XILA COSCIENZA IN GENERALECOME OGGETTI VITÀ (paragr. 20)......................76XIIDALLA OGGETTIVITÀ ALLA NATURA(paragr. 21 - 26): IL CONCETTO............................84XIIICONFUTAZIONE DELLO SCETTICISMO(paragr. 27 - 31)........................................................92XIVL'ESIGENZA CRITICA(paragr. 32 - 38)......................................................100

PARTE TERZATERZO GRADO DEL PROBLEMA.........................106

XVLA METAFISICA COME ESIGENZA UMANA..107

CONCLUSIONELA SOLUZIONE DEL PROBLEMA........................113

XVILA METAFISICA COME SCIENZA....................114

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PANTALEO CARABELLESE

ORDINARIO DELLA R. UNIVERSITA DI ROMA

IL PROBLEMADELLA FILOSOFIA

IN KANT

a cura diF. DAMONTE

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PANTALEO CARABELLESE

ORDINARIO DELLA R. UNIVERSITA DI ROMA

IL PROBLEMADELLA FILOSOFIA

IN KANT

a cura diF. DAMONTE

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PREFAZIONE

Nello scorcio dell'anno scolastico 1935-36 tennil'incarico di filosofia teoretica nel Magistero di Roma.

La brevità del corso (cominciato a fine Marzo 1936)e altre ragioni mi persuasero a non esporre risultati dinuove indagini come invece ho sempre fatto finora dallamia cattedra; e perciò mi proposi di tratteggiare il pro-blema interno della filosofia in Kant, riassumendo il ri-sultato dei miei precedenti studi al riguardo e seguendola posizione che ad esso dà Kant nei Prolegomeni. Ilcorso quindi riuscì una illustrazione ed interpretazionedelle concezioni critiche fondamentali, quali sono espo-ste nei Prolegomeni.

La prof. Damonte era allora diligente scolara, e rac-colse, in ampio sommario, le lezioni. Salita sulla catte-dra, memore del profitto che ella diceva e mostrò diaver tratto da queste, mi chiese di pubblicarle tali equali, perchè, pensava, sarebbero servite di ottima in-troduzione a Kant ed ai miei studi su Kant e sul proble-ma accennato. «I vostri libri, ella mi diceva, sono moltodifficili, e la vostra parola invece è comprensibilissi-ma». Acconsentii, e acconsentii anche a lasciarle

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PREFAZIONE

Nello scorcio dell'anno scolastico 1935-36 tennil'incarico di filosofia teoretica nel Magistero di Roma.

La brevità del corso (cominciato a fine Marzo 1936)e altre ragioni mi persuasero a non esporre risultati dinuove indagini come invece ho sempre fatto finora dallamia cattedra; e perciò mi proposi di tratteggiare il pro-blema interno della filosofia in Kant, riassumendo il ri-sultato dei miei precedenti studi al riguardo e seguendola posizione che ad esso dà Kant nei Prolegomeni. Ilcorso quindi riuscì una illustrazione ed interpretazionedelle concezioni critiche fondamentali, quali sono espo-ste nei Prolegomeni.

La prof. Damonte era allora diligente scolara, e rac-colse, in ampio sommario, le lezioni. Salita sulla catte-dra, memore del profitto che ella diceva e mostrò diaver tratto da queste, mi chiese di pubblicarle tali equali, perchè, pensava, sarebbero servite di ottima in-troduzione a Kant ed ai miei studi su Kant e sul proble-ma accennato. «I vostri libri, ella mi diceva, sono moltodifficili, e la vostra parola invece è comprensibilissi-ma». Acconsentii, e acconsentii anche a lasciarle

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com'erano: nella loro schematicità elementare; nellaloro insistenza su taluni punti fondamentali; nella lorosommarietà, qualche volta piena di sottintesi, qualchevolta cadente in ripetizioni, spesso accentuante puntisalienti e smorzante invece il passaggio fine che li uni-sce.

Non vi misi le mani a farne un corpo più organico,più continuo, più discorsivo; perchè con tale interventoforse qualcosa avrei aggiunto e il lavoretto forse avreimigliorato; ma certo avrei tolto quel carattere di spon-taneità, di lezione vissuta e quasi improvvisata dallacattedra, carattere che era invece l'unica ragione per laquale mi si chiedeva la pubblicazione.

Ma, si intende, ho riviste le lezioni, e delle idee espo-ste accetto la paternità.

Il lavoro deve essere letto avendo presenti i Prolego-meni. E così reciprocamente il mio commento ad essi(Bari, Laterza, 1925) è bene sia accompagnato, ad unaprima lettura o studio, a casa o in iscuola, da queste le-zioni.

Avrà avuto ragione la brava prof. Damonte nel rite-nere che possano riuscire di grande utilità ai giovanistudiosi per avviarsi a intendere profondamente quelloche io ritengo il Kant vero?

Ad essi la risposta. M'auguro che vorranno almenotentare la prova.

Roma, 15 Ottobre 1938 - XVI.P. CARABELLESE

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com'erano: nella loro schematicità elementare; nellaloro insistenza su taluni punti fondamentali; nella lorosommarietà, qualche volta piena di sottintesi, qualchevolta cadente in ripetizioni, spesso accentuante puntisalienti e smorzante invece il passaggio fine che li uni-sce.

Non vi misi le mani a farne un corpo più organico,più continuo, più discorsivo; perchè con tale interventoforse qualcosa avrei aggiunto e il lavoretto forse avreimigliorato; ma certo avrei tolto quel carattere di spon-taneità, di lezione vissuta e quasi improvvisata dallacattedra, carattere che era invece l'unica ragione per laquale mi si chiedeva la pubblicazione.

Ma, si intende, ho riviste le lezioni, e delle idee espo-ste accetto la paternità.

Il lavoro deve essere letto avendo presenti i Prolego-meni. E così reciprocamente il mio commento ad essi(Bari, Laterza, 1925) è bene sia accompagnato, ad unaprima lettura o studio, a casa o in iscuola, da queste le-zioni.

Avrà avuto ragione la brava prof. Damonte nel rite-nere che possano riuscire di grande utilità ai giovanistudiosi per avviarsi a intendere profondamente quelloche io ritengo il Kant vero?

Ad essi la risposta. M'auguro che vorranno almenotentare la prova.

Roma, 15 Ottobre 1938 - XVI.P. CARABELLESE

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INTRODUZIONEPOSIZIONE DEL PROBLEMA INTERNO

DELLA FILOSOFIA

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INTRODUZIONEPOSIZIONE DEL PROBLEMA INTERNO

DELLA FILOSOFIA

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ILA CONTEMPORANEA NEGAZIONE

DELLA FILOSOFIA IN ITALIA

L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci.

Questo brevissimo corso, pur, come sempre, inse-gnando a filosofare anzichè a ritenere una determinatafilosofia, si propone di trattare un determinato ma fon-damentale problema posto da Kant, quello che io dicoproblema interno della filosofia.

Si presenta subito, anche oggi, come pregiudiziale, ladomanda che si presentò a Kant: c'è davvero, come sa-pere valido, la filosofia? È questo un dubbio che, ancherisolto, rinasce ancora, tanto è legittimo. Dal dubbio si èpassati, oggi, alla negazione della filosofia sul terrenostesso di questa. Basta accennare alle due filosofie piùnote, oggi, in Italia: a) la filosofia dello spirito di Bene-detto Croce; b) l'attualismo di Giovanni Gentile.

a) Il Croce è arrivato alla esplicita confessione cheegli vuol essere, nella storia della cultura, «il sotterrato-re del filosofo puro». Con la sua filosofia, egli dice, havoluto dimostrare che non c'è un problema che sia pro-prio della filosofia, e alla cui soluzione si possano dedi-

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ILA CONTEMPORANEA NEGAZIONE

DELLA FILOSOFIA IN ITALIA

L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci.

Questo brevissimo corso, pur, come sempre, inse-gnando a filosofare anzichè a ritenere una determinatafilosofia, si propone di trattare un determinato ma fon-damentale problema posto da Kant, quello che io dicoproblema interno della filosofia.

Si presenta subito, anche oggi, come pregiudiziale, ladomanda che si presentò a Kant: c'è davvero, come sa-pere valido, la filosofia? È questo un dubbio che, ancherisolto, rinasce ancora, tanto è legittimo. Dal dubbio si èpassati, oggi, alla negazione della filosofia sul terrenostesso di questa. Basta accennare alle due filosofie piùnote, oggi, in Italia: a) la filosofia dello spirito di Bene-detto Croce; b) l'attualismo di Giovanni Gentile.

a) Il Croce è arrivato alla esplicita confessione cheegli vuol essere, nella storia della cultura, «il sotterrato-re del filosofo puro». Con la sua filosofia, egli dice, havoluto dimostrare che non c'è un problema che sia pro-prio della filosofia, e alla cui soluzione si possano dedi-

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care determinate persone; i vari problemi che si diconofilosofici, sono quelli che nascono dalle contingenzestoriche e queste soltanto nella loro concretezza debbo-no interessare gli uomini; i filosofi come tali sono elimi-nati. Si può opporre che questa eliminazione presupponeche la filosofia, proprio come tale sia stata già trovata, esia stata trovata finalmente proprio da B. Croce: la filo-sofia è la filosofia dello spirito di Benedetto Croce! I fi-losofi non devono esserci più, perchè con questa è statagià trovata, una volta per tutte, la filosofia!

b) Per il Gentile filosofare è vivere spiritualmente, èl'attività vera e propria dello spirito, attività etica, disci-plina civile e morale. Se si vuole umanamente vivere, sideve attuare questa attività spirituale, oltre la quale nonc'è nulla. E quindi tutta l'attività spirituale è filosofia;cioè non v'ha più filosofia.

L'unica differenza tra a) e b) è che in a) è il filosofostesso (Croce) a riconoscere l'annullamento della filoso-fia come conseguenza del suo filosofare; in b) è invecequalche scolaro che ha riconosciuta questa legittimaconseguenza. E questi sono i due indirizzi più vivi. Gliindirizzi realisti (anche critici) credono che anche dopoKant si possa filosofare senza porre il problema del seci sia la filosofia, del chi debba filosofare e del che cosasia filosofia: questa è ancora posizione pre-kantiana,cioè filosofia senza l'anima di chi filosofa (il meritogrande di Kant è di aver portato il pensante come talenello stesso campo indagato dal pensiero).

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care determinate persone; i vari problemi che si diconofilosofici, sono quelli che nascono dalle contingenzestoriche e queste soltanto nella loro concretezza debbo-no interessare gli uomini; i filosofi come tali sono elimi-nati. Si può opporre che questa eliminazione presupponeche la filosofia, proprio come tale sia stata già trovata, esia stata trovata finalmente proprio da B. Croce: la filo-sofia è la filosofia dello spirito di Benedetto Croce! I fi-losofi non devono esserci più, perchè con questa è statagià trovata, una volta per tutte, la filosofia!

b) Per il Gentile filosofare è vivere spiritualmente, èl'attività vera e propria dello spirito, attività etica, disci-plina civile e morale. Se si vuole umanamente vivere, sideve attuare questa attività spirituale, oltre la quale nonc'è nulla. E quindi tutta l'attività spirituale è filosofia;cioè non v'ha più filosofia.

L'unica differenza tra a) e b) è che in a) è il filosofostesso (Croce) a riconoscere l'annullamento della filoso-fia come conseguenza del suo filosofare; in b) è invecequalche scolaro che ha riconosciuta questa legittimaconseguenza. E questi sono i due indirizzi più vivi. Gliindirizzi realisti (anche critici) credono che anche dopoKant si possa filosofare senza porre il problema del seci sia la filosofia, del chi debba filosofare e del che cosasia filosofia: questa è ancora posizione pre-kantiana,cioè filosofia senza l'anima di chi filosofa (il meritogrande di Kant è di aver portato il pensante come talenello stesso campo indagato dal pensiero).

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Per quali ragioni nasce tal dubbio sull'esserci dellafilosofia1; per quali ragioni tal dubbio non è raro che siconverta nella negazione della filosofia stessa? Premet-tiamo che per noi è falso concetto della filosofia quelloche la ritiene lo spirito del proprio tempo (una specie dimoda spirituale). Il filosofare deve andare, va, se verofilosofare è, nel profondo di questo presentarsi storicodella spiritualità umana: ne è cioè la spiritualità imma-nente alla storia e superante le epoche in cui questa siconcreta; è universale nel tempo. Ogni filosofia, nellasua verità, vale per ogni tempo.

Filosofia è sapere universale sotto ogni rispetto: èuniversale anche dal punto di vista sia soggettivo cheoggettivo: a) dal punto di vista soggettivo: perchè im-porta problemi tali che senza la soluzione di essi nonc'è neppure il pensare e perciò non c'è nessun pensante;b) da quello oggettivo: perchè importa problemi tali chesenza la loro soluzione non c'è il pensiero di nessunacosa, e perciò non c'è nulla. (Già Aristotele aveva affer-mato che la filosofia deve occuparsi dell'essere in quan-to essere).

Messi di fronte a questa universalità nel tempo, og-gettiva e soggettiva, dobbiamo vedere come mai essapossa esservi.

Dal punto di vista soggettivo, ammessa tale universa-lità nei filosofi, e in questi soli, i non filosofi diventano

1 Vedi P. CARABELLESE: «Il problema della filosofia daKant a Fichte». Palermo, Trimarchi, 1929.

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Per quali ragioni nasce tal dubbio sull'esserci dellafilosofia1; per quali ragioni tal dubbio non è raro che siconverta nella negazione della filosofia stessa? Premet-tiamo che per noi è falso concetto della filosofia quelloche la ritiene lo spirito del proprio tempo (una specie dimoda spirituale). Il filosofare deve andare, va, se verofilosofare è, nel profondo di questo presentarsi storicodella spiritualità umana: ne è cioè la spiritualità imma-nente alla storia e superante le epoche in cui questa siconcreta; è universale nel tempo. Ogni filosofia, nellasua verità, vale per ogni tempo.

Filosofia è sapere universale sotto ogni rispetto: èuniversale anche dal punto di vista sia soggettivo cheoggettivo: a) dal punto di vista soggettivo: perchè im-porta problemi tali che senza la soluzione di essi nonc'è neppure il pensare e perciò non c'è nessun pensante;b) da quello oggettivo: perchè importa problemi tali chesenza la loro soluzione non c'è il pensiero di nessunacosa, e perciò non c'è nulla. (Già Aristotele aveva affer-mato che la filosofia deve occuparsi dell'essere in quan-to essere).

Messi di fronte a questa universalità nel tempo, og-gettiva e soggettiva, dobbiamo vedere come mai essapossa esservi.

Dal punto di vista soggettivo, ammessa tale universa-lità nei filosofi, e in questi soli, i non filosofi diventano

1 Vedi P. CARABELLESE: «Il problema della filosofia daKant a Fichte». Palermo, Trimarchi, 1929.

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(e sono stati detti) coscienza volgare, praticanti, mestie-ranti del pensiero, non pensatori, cioè non veramentepensanti. La vera vita umana sarebbe solo quella specu-lativa, quella dei filosofi. Di rivalsa, i non filosofi tac-ciano i filosofi di «praticanti dell'inutile», dicono cheessi, in un loro incomprensibile gergo, nascondono laloro inutilità. Togliete questo gergo, togliete la sua in-comprensibilità e non rimarrà più nulla: altro che pensa-tori universali i filosofi; essi sono veramente i non pen-santi! In determinate contingenze storiche i filosofi ac-cettano questa negazione della filosofia, proprio inquanto non sanno risolvere tale difficoltà. È quel cheoggi avviene in Italia da parte dei sopraccennati indiriz-zi: ed è, in definitiva, da una parte l'accettazione delleragioni di quella coscienza che prima era stata qualifica-ta come volgare, dall'altra la conseguenza di tale qualifi-cazione. Tutto, quindi, si risolve in una forma larvata discetticismo: il fare, il vivere conta e non il pensare.

Dal punto di vista oggettivo invece abbiamo i seguen-ti due estremi della difficoltà: a) enciclopedismo: se lafilosofia è universale, il filosofo bisogna che sappia tut-to. E sfido a trovar persone che possano sobbarcarsi aquesto peso. E quand'anche se ne ammetta una relativapossibilità, tali persone sarebbero archivi e non personevive che vivano queste nozioni in una sintesi attiva dipensiero. Tali morti archivi sarebbero i filosofi!; b) vuo-tezza: di fronte a questo impossibile compito enciclope-dico si rinunzia a sapere tutto e si dice che l'importante èsapere il sistema di tutto, cioè la scienza vera è la scien-

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(e sono stati detti) coscienza volgare, praticanti, mestie-ranti del pensiero, non pensatori, cioè non veramentepensanti. La vera vita umana sarebbe solo quella specu-lativa, quella dei filosofi. Di rivalsa, i non filosofi tac-ciano i filosofi di «praticanti dell'inutile», dicono cheessi, in un loro incomprensibile gergo, nascondono laloro inutilità. Togliete questo gergo, togliete la sua in-comprensibilità e non rimarrà più nulla: altro che pensa-tori universali i filosofi; essi sono veramente i non pen-santi! In determinate contingenze storiche i filosofi ac-cettano questa negazione della filosofia, proprio inquanto non sanno risolvere tale difficoltà. È quel cheoggi avviene in Italia da parte dei sopraccennati indiriz-zi: ed è, in definitiva, da una parte l'accettazione delleragioni di quella coscienza che prima era stata qualifica-ta come volgare, dall'altra la conseguenza di tale qualifi-cazione. Tutto, quindi, si risolve in una forma larvata discetticismo: il fare, il vivere conta e non il pensare.

Dal punto di vista oggettivo invece abbiamo i seguen-ti due estremi della difficoltà: a) enciclopedismo: se lafilosofia è universale, il filosofo bisogna che sappia tut-to. E sfido a trovar persone che possano sobbarcarsi aquesto peso. E quand'anche se ne ammetta una relativapossibilità, tali persone sarebbero archivi e non personevive che vivano queste nozioni in una sintesi attiva dipensiero. Tali morti archivi sarebbero i filosofi!; b) vuo-tezza: di fronte a questo impossibile compito enciclope-dico si rinunzia a sapere tutto e si dice che l'importante èsapere il sistema di tutto, cioè la scienza vera è la scien-

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za della scienza (Fichte). Ma la scienza speculativa(come oggi in Italia) si accorge allora di essere vuota eproclama che il concreto, il vero sapere non è quellospeculativo, ma ciò che riempie questo preteso sapere,che nella sua vuotezza non è nulla; non v'è che la con-creta attività stessa spirituale, la pratica del vivere uma-no che non è filosofia. I filosofi, se non sono morti ar-chivi, sono vani acchiappanuvole.

L'uno e l'altro estremo, dunque, di tale universalitàoggettiva, giunge anche a quella negazione del filosofa-re, a cui si era giunti anche dal punto di vista soggettivo.

In breve, nella contemporanea contingenza storicadelle dominanti filosofie italiane, questa unica difficoltàdella filosofia, la sua universalità, invece di dar luogo aduna soluzione di essa, ha finito col far negare la filoso-fia, in quanto l'uno dei due indirizzi accennati (la filoso-fia dello spirito) ha lasciata inesplicabile e inesplicata ladifficoltà dal punto di vista soggettivo, e l'altra (l'attuali-smo) dal punto di vista oggettivo. La filosofia dello spi-rito non potendo dirci chi siano i filosofi, la filosofiadell'atto non potendo dirci che cosa si sappia filosofan-do, finiscono col dover, entrambe, negare la filosofia.

Dobbiamo accettare tale negazione? Essa è stata fattaesplicitamente in Italia. Sintomo del precorrere i tempiproprio dello spirito italiano anche dal punto di vistaspeculativo come da quello politico. La negazione dellafilosofia fatta in sede filosofica in Italia è la febbre chedenunzia il male di cui la filosofia soffre, il soggettivi-smo; così come lo squadrismo fascista, in pieno regime

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za della scienza (Fichte). Ma la scienza speculativa(come oggi in Italia) si accorge allora di essere vuota eproclama che il concreto, il vero sapere non è quellospeculativo, ma ciò che riempie questo preteso sapere,che nella sua vuotezza non è nulla; non v'è che la con-creta attività stessa spirituale, la pratica del vivere uma-no che non è filosofia. I filosofi, se non sono morti ar-chivi, sono vani acchiappanuvole.

L'uno e l'altro estremo, dunque, di tale universalitàoggettiva, giunge anche a quella negazione del filosofa-re, a cui si era giunti anche dal punto di vista soggettivo.

In breve, nella contemporanea contingenza storicadelle dominanti filosofie italiane, questa unica difficoltàdella filosofia, la sua universalità, invece di dar luogo aduna soluzione di essa, ha finito col far negare la filoso-fia, in quanto l'uno dei due indirizzi accennati (la filoso-fia dello spirito) ha lasciata inesplicabile e inesplicata ladifficoltà dal punto di vista soggettivo, e l'altra (l'attuali-smo) dal punto di vista oggettivo. La filosofia dello spi-rito non potendo dirci chi siano i filosofi, la filosofiadell'atto non potendo dirci che cosa si sappia filosofan-do, finiscono col dover, entrambe, negare la filosofia.

Dobbiamo accettare tale negazione? Essa è stata fattaesplicitamente in Italia. Sintomo del precorrere i tempiproprio dello spirito italiano anche dal punto di vistaspeculativo come da quello politico. La negazione dellafilosofia fatta in sede filosofica in Italia è la febbre chedenunzia il male di cui la filosofia soffre, il soggettivi-smo; così come lo squadrismo fascista, in pieno regime

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parlamentare, fu la febbre che denunziava il male di cuila politica soffriva, il parlamentarismo (e cioè in fondosoggettivismo) scopo a se stesso. Così è accaduto per lafilosofia: questa negazione della filosofia è il sintomofebbrile del suo male. Il guaio è nello scambiare questafebbre per la normale temperatura filosofica: bisognamostrare che fu febbre e scoprire il male di cui è sinto-mo.

Ma non per questo dobbiamo, come moda o livoreoggi a gran voce suggerisce, rifugiarci in una precriticafilosofia realistica, spesso acritica, anche quando si dicecritica. Non riconosceremmo, non trarremmo vantaggiodal sintomo febbrile, filosoficamente non vivremmo.

Per noi rimane la coscienza critica, a salvare e con-fermare la filosofia, ma a due condizioni: 1) che si di-stingua il problema soggettivo, il problema interno del-la filosofia, cioè il problema che la filosofia col suo es-serci dà a se stessa, dal suo problema oggettivo, e cioèdal problema che la filosofia vuole risolvere, il proble-ma dell'essere in sè; che cioè si rinnovi la Critica; 2)che si riveda anche la dogmatica ammissione della filo-sofia come scienza.

A queste due condizioni, entrambe giustificate dalleconquiste fatte dalla filosofia con Kant e Rosmini, èpossibile risolvere la difficoltà dell'universalismo filoso-fico e sfuggire così all'annullamento della filosofia, con-seguente alla mancata soluzione di quella difficoltà.

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parlamentare, fu la febbre che denunziava il male di cuila politica soffriva, il parlamentarismo (e cioè in fondosoggettivismo) scopo a se stesso. Così è accaduto per lafilosofia: questa negazione della filosofia è il sintomofebbrile del suo male. Il guaio è nello scambiare questafebbre per la normale temperatura filosofica: bisognamostrare che fu febbre e scoprire il male di cui è sinto-mo.

Ma non per questo dobbiamo, come moda o livoreoggi a gran voce suggerisce, rifugiarci in una precriticafilosofia realistica, spesso acritica, anche quando si dicecritica. Non riconosceremmo, non trarremmo vantaggiodal sintomo febbrile, filosoficamente non vivremmo.

Per noi rimane la coscienza critica, a salvare e con-fermare la filosofia, ma a due condizioni: 1) che si di-stingua il problema soggettivo, il problema interno del-la filosofia, cioè il problema che la filosofia col suo es-serci dà a se stessa, dal suo problema oggettivo, e cioèdal problema che la filosofia vuole risolvere, il proble-ma dell'essere in sè; che cioè si rinnovi la Critica; 2)che si riveda anche la dogmatica ammissione della filo-sofia come scienza.

A queste due condizioni, entrambe giustificate dalleconquiste fatte dalla filosofia con Kant e Rosmini, èpossibile risolvere la difficoltà dell'universalismo filoso-fico e sfuggire così all'annullamento della filosofia, con-seguente alla mancata soluzione di quella difficoltà.

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IIKANT PONE IL PROBLEMA INTERNO

DELLA FILOSOFIA

I tre momenti del problema della filosofia moderna: di-stinzione kantiana tra l'esserci della scienza, di cui sipuò esaminare la possibilità, e il dubbio circa l'esser-ci di una scienza metafisica. Genesi del problema in-terno della filosofia.

Le ragioni immanenti, vedemmo, che trasformano ildubbio dell'esserci della filosofia come specifico saperein aperta negazione di essa si riducono alla sua univer-salità.

Infatti vedemmo: data l'universalità soggettiva, la fi-losofia sarebbe un modo di pensare che appartiene atutti: non vi sarebbe dunque uno specifico sapere filoso-fico. Data l'universalità oggettiva, la filosofia sarebbesapere di qualche cosa che tutti devono sapere: non visarebbe dunque uno specifico sapere filosofico.

Delle due suaccennate condizioni, sotto le quali rite-niamo possibile risolvere la difficoltà dell'universalismofilosofico, una fu già nettamente posta da Kant: la posi-zione del problema interno della filosofia come specifi-

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IIKANT PONE IL PROBLEMA INTERNO

DELLA FILOSOFIA

I tre momenti del problema della filosofia moderna: di-stinzione kantiana tra l'esserci della scienza, di cui sipuò esaminare la possibilità, e il dubbio circa l'esser-ci di una scienza metafisica. Genesi del problema in-terno della filosofia.

Le ragioni immanenti, vedemmo, che trasformano ildubbio dell'esserci della filosofia come specifico saperein aperta negazione di essa si riducono alla sua univer-salità.

Infatti vedemmo: data l'universalità soggettiva, la fi-losofia sarebbe un modo di pensare che appartiene atutti: non vi sarebbe dunque uno specifico sapere filoso-fico. Data l'universalità oggettiva, la filosofia sarebbesapere di qualche cosa che tutti devono sapere: non visarebbe dunque uno specifico sapere filosofico.

Delle due suaccennate condizioni, sotto le quali rite-niamo possibile risolvere la difficoltà dell'universalismofilosofico, una fu già nettamente posta da Kant: la posi-zione del problema interno della filosofia come specifi-

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co problema da distinguersi da quello esterno ed ogget-tivo della filosofia stessa.

Kant è lo scopritore del problema stesso, colui che loha messo esplicitamente in evidenza, colui che ha fattovedere un problema, dove altri non lo vedeva. Prima diKant si era negato a volte il valore della filosofia, manon si dubitava della esistenza di essa. Negazione di talvalore, per es., sono lo scetticismo di ogni tempo, il mi-sticismo medioevale, negatore dello sforzo razionalisti-co della Scolastica. Per i mistici la filosofia ci sarà, manon ha valore; è la fede che ha valore: invano la filoso-fia si sforza di raggiungere la verità data dalla fede. Inquesti atteggiamenti non ci sono dubbi circa l'esistenzadella filosofia.

Con Kant, invece, si pone esplicitamente questo dub-bio nell'ambito di quel problema della conoscenza, cheda Cartesio in poi caratterizza la filosofia moderna: ri-cerca della soluzione dell'antico problema ontologicosulla base della soluzione del problema della conoscen-za.

Prima dell'Umanesimo e del Rinascimento l'umanitàcristiana aveva la sua via tracciata: da un lato la rivela-zione religiosa, costituita da un certo nucleo di veritàfondamentali, da cui si doveva partire inderogabilmente;da un altro lato la tradizione, cioè una verità già ritrova-ta per tutti da Aristotele, da cui prendere le conoscenze eche non bisognava che rinverdire, spiegare. Su tal bina-rio (rivelazione e tradizione razionale, Vangelo e Meta-fisica) l'umanità pareva camminasse sicura, dopochè

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co problema da distinguersi da quello esterno ed ogget-tivo della filosofia stessa.

Kant è lo scopritore del problema stesso, colui che loha messo esplicitamente in evidenza, colui che ha fattovedere un problema, dove altri non lo vedeva. Prima diKant si era negato a volte il valore della filosofia, manon si dubitava della esistenza di essa. Negazione di talvalore, per es., sono lo scetticismo di ogni tempo, il mi-sticismo medioevale, negatore dello sforzo razionalisti-co della Scolastica. Per i mistici la filosofia ci sarà, manon ha valore; è la fede che ha valore: invano la filoso-fia si sforza di raggiungere la verità data dalla fede. Inquesti atteggiamenti non ci sono dubbi circa l'esistenzadella filosofia.

Con Kant, invece, si pone esplicitamente questo dub-bio nell'ambito di quel problema della conoscenza, cheda Cartesio in poi caratterizza la filosofia moderna: ri-cerca della soluzione dell'antico problema ontologicosulla base della soluzione del problema della conoscen-za.

Prima dell'Umanesimo e del Rinascimento l'umanitàcristiana aveva la sua via tracciata: da un lato la rivela-zione religiosa, costituita da un certo nucleo di veritàfondamentali, da cui si doveva partire inderogabilmente;da un altro lato la tradizione, cioè una verità già ritrova-ta per tutti da Aristotele, da cui prendere le conoscenze eche non bisognava che rinverdire, spiegare. Su tal bina-rio (rivelazione e tradizione razionale, Vangelo e Meta-fisica) l'umanità pareva camminasse sicura, dopochè

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con la Patristica e con la Scolastica le due linee eranostate mostrate parallele, non divergenti ma costituentiun'unica via.

Nel periodo dell'Umanesimo si comincia a tentare ilcammino sulla traccia della sola tradizione, prescinden-do dalla rivelazione religiosa, ma non rinnegandola. Maproprio questo prescindere dalla rivelazione come gui-da, mostrò sì il valore della pura tradizione razionaleumana, ma ne mostrò anche l'insufficienza. Di qui il Ri-nascimento: l'abbandono anche della tradizione raziona-le come guida unica ed immutabile.

Nel Rinascimento ci siamo accorti che con la tradi-zione sola, con la passiva rievocazione di un pur lumi-noso passato, non si cammina; ci siamo accorti che sia-mo uomini anche noi, e che se poteva aver ricercata e ri-trovata la verità Aristotele, uomo anche lui per quantogrande, potevamo, dovevamo anche noi tentar la stessafatica. Così la conoscenza viene ad essere opera nostrasempre, opera che noi dobbiamo compiere senza atte-nerci unicamente al sapere tradizionale.

Fino allora eravamo abituati a poggiarci su questa tra-dizione, che la rivelazione, nel suo sviluppo, dopo unprimo momento di condanna, aveva ravvalorata nellasua verità. Trovatici col Rinascimento a lavorar da noi,nell'aprirci la strada della conoscenza, una volta che siprescindeva come dalla rivelazione così dalla tradizione,si impose il problema: donde la conoscenza?

Questa domanda è il merito di Cartesio; e così il Car-tesianesimo costituisce il primo momento della soluzio-

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con la Patristica e con la Scolastica le due linee eranostate mostrate parallele, non divergenti ma costituentiun'unica via.

Nel periodo dell'Umanesimo si comincia a tentare ilcammino sulla traccia della sola tradizione, prescinden-do dalla rivelazione religiosa, ma non rinnegandola. Maproprio questo prescindere dalla rivelazione come gui-da, mostrò sì il valore della pura tradizione razionaleumana, ma ne mostrò anche l'insufficienza. Di qui il Ri-nascimento: l'abbandono anche della tradizione raziona-le come guida unica ed immutabile.

Nel Rinascimento ci siamo accorti che con la tradi-zione sola, con la passiva rievocazione di un pur lumi-noso passato, non si cammina; ci siamo accorti che sia-mo uomini anche noi, e che se poteva aver ricercata e ri-trovata la verità Aristotele, uomo anche lui per quantogrande, potevamo, dovevamo anche noi tentar la stessafatica. Così la conoscenza viene ad essere opera nostrasempre, opera che noi dobbiamo compiere senza atte-nerci unicamente al sapere tradizionale.

Fino allora eravamo abituati a poggiarci su questa tra-dizione, che la rivelazione, nel suo sviluppo, dopo unprimo momento di condanna, aveva ravvalorata nellasua verità. Trovatici col Rinascimento a lavorar da noi,nell'aprirci la strada della conoscenza, una volta che siprescindeva come dalla rivelazione così dalla tradizione,si impose il problema: donde la conoscenza?

Questa domanda è il merito di Cartesio; e così il Car-tesianesimo costituisce il primo momento della soluzio-

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Page 20: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

ne del problema conoscitivo della filosofia moderna. Ènota la risposta: per Cartesio e per Leibniz la conoscen-za viene dalla ragione; la verità è intima all'umano pen-siero. Per Bacone e per Locke la conoscenza viene dalmondo che ci circonda.

A rompere la contesa fra questi due indirizzi, sot-traendo loro il terreno su cui procedono, si presenta lasemplice constatazione di Hume: non vedete che questaconoscenza, qualunque ne sia l'origine, non ha nessunvalore, perché non può attingere l'essenza necessariadelle cose? Lo scetticismo di Hume, fondato sulla criti-ca del principio di causa, involge insieme razionalisti edempiristi; togliendo la validità oggettiva di questo prin-cipio nega valore ad entrambi i sistemi. Al problemadell'origine è sostituito il problema del valore della co-noscenza. Ma a scalzare anche la primordialità di questoproblema sorge Kant con la sua esigenza critica. AdHume egli fa constatare che un conoscere come tale c'è:che ci sia un conoscere matematico e fisico, è un fatto.Per vedere se e quale valore abbia il conoscere dobbia-mo prima esaminare la possibilità del conoscere. Comeè dunque possibile il conoscere? Questo, fa riflettereKant, il problema veramente primordiale della cono-scenza: la soluzione di esso condiziona e il problemadell'origine e il problema del valore della conoscenza.Con questa distinzione tra la ammissione della esisten-za del conoscere e la ricerca della possibilità del cono-scere, Kant da un lato perfeziona il problema genericodella filosofia moderna (la conoscenza) ponendone il

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ne del problema conoscitivo della filosofia moderna. Ènota la risposta: per Cartesio e per Leibniz la conoscen-za viene dalla ragione; la verità è intima all'umano pen-siero. Per Bacone e per Locke la conoscenza viene dalmondo che ci circonda.

A rompere la contesa fra questi due indirizzi, sot-traendo loro il terreno su cui procedono, si presenta lasemplice constatazione di Hume: non vedete che questaconoscenza, qualunque ne sia l'origine, non ha nessunvalore, perché non può attingere l'essenza necessariadelle cose? Lo scetticismo di Hume, fondato sulla criti-ca del principio di causa, involge insieme razionalisti edempiristi; togliendo la validità oggettiva di questo prin-cipio nega valore ad entrambi i sistemi. Al problemadell'origine è sostituito il problema del valore della co-noscenza. Ma a scalzare anche la primordialità di questoproblema sorge Kant con la sua esigenza critica. AdHume egli fa constatare che un conoscere come tale c'è:che ci sia un conoscere matematico e fisico, è un fatto.Per vedere se e quale valore abbia il conoscere dobbia-mo prima esaminare la possibilità del conoscere. Comeè dunque possibile il conoscere? Questo, fa riflettereKant, il problema veramente primordiale della cono-scenza: la soluzione di esso condiziona e il problemadell'origine e il problema del valore della conoscenza.Con questa distinzione tra la ammissione della esisten-za del conoscere e la ricerca della possibilità del cono-scere, Kant da un lato perfeziona il problema genericodella filosofia moderna (la conoscenza) ponendone il

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Page 21: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

momento fondamentale (la sua possibilità), dall'altropone il problema stesso della filosofia, il suo problemainterno.

Per Kant la vera conoscenza è scienza, e la scienza èconoscenza universale (ciò in cui tutti conveniamo) enecessaria (ciò in cui tutti dobbiamo convenire). Talisono la matematica e la fisica pura; esse ci sono propriocome scienze, in quanto sono conoscenze universali enecessarie. Esiste invece, almeno di nome, un'altrascienza che vuol essere necessaria e universale come leprecedenti e più di esse, che vuol essere, anzi, il lorofondamento, la scienza prima ed assoluta: la metafisica.E la troviamo invece tale che dobbiamo dubitare dellasua stessa esistenza: ci sono infatti tante metafisiche manon la metafisica. Cioè la filosofia non ha quella univer-salità e necessità, che dovrebbe avere se veramente esi-stesse come scienza.

Possiamo dunque sapere o no, se la filosofia può es-serci come scienza? Ecco posto il problema interno dellafilosofia. A risolverlo, Kant si fonda su conoscenze datutti ammesse come scienze (la matematica e la fisicapura). Da queste noi possiamo sapere come è possibilela conoscenza che sia scienza. Saputo questo, potremovedere se questa metafisica c'è o non c'è come scienza:ciò ci sarà chiaramente detto dalla sua capacità, o meno,di adempiere quella possibilità che abbiamo trovato nelconoscere scientifico già assodato tale (matematica e fi-sica). Possibilità, ricordiamo, per Kant non è chel'essenza stessa di qualcosa: nel ricercare la possibilità

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momento fondamentale (la sua possibilità), dall'altropone il problema stesso della filosofia, il suo problemainterno.

Per Kant la vera conoscenza è scienza, e la scienza èconoscenza universale (ciò in cui tutti conveniamo) enecessaria (ciò in cui tutti dobbiamo convenire). Talisono la matematica e la fisica pura; esse ci sono propriocome scienze, in quanto sono conoscenze universali enecessarie. Esiste invece, almeno di nome, un'altrascienza che vuol essere necessaria e universale come leprecedenti e più di esse, che vuol essere, anzi, il lorofondamento, la scienza prima ed assoluta: la metafisica.E la troviamo invece tale che dobbiamo dubitare dellasua stessa esistenza: ci sono infatti tante metafisiche manon la metafisica. Cioè la filosofia non ha quella univer-salità e necessità, che dovrebbe avere se veramente esi-stesse come scienza.

Possiamo dunque sapere o no, se la filosofia può es-serci come scienza? Ecco posto il problema interno dellafilosofia. A risolverlo, Kant si fonda su conoscenze datutti ammesse come scienze (la matematica e la fisicapura). Da queste noi possiamo sapere come è possibilela conoscenza che sia scienza. Saputo questo, potremovedere se questa metafisica c'è o non c'è come scienza:ciò ci sarà chiaramente detto dalla sua capacità, o meno,di adempiere quella possibilità che abbiamo trovato nelconoscere scientifico già assodato tale (matematica e fi-sica). Possibilità, ricordiamo, per Kant non è chel'essenza stessa di qualcosa: nel ricercare la possibilità

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Page 22: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

di qualcosa, noi ci mettiamo dinanzi ad esso, lo ammet-tiamo come reale e ne presupponiamo l'essenza, che ri-cerchiamo, quando ricerchiamo la possibilità.

Dalla distinzione dunque: – una qualche scienza c'èsenza dubbio – e – si dubita che una qualch'altra scienzaci sia – nasce il porsi del problema della filosofia, siprofila, cioè, il dubbio circa l'esserci di questa filosofia.

Di ciò Kant ha piena coscienza. I sistemi filosoficiposteriori invece, che pur sono partiti da Kant, hannosviluppato solo il momento della possibilità della cono-scenza: non hanno visto che il criticismo kantiano non èsolo il problema generico della conoscenza, del qualecerto costituisce il più importante approfondimento, maè anche la prima esplicita impostazione del problemaspecifico della filosofia.

Kant pone per primo il problema che la filosofiacome scienza costituisce a se stessa. Il filosofo d'ora in-nanzi non potrà fare la sua filosofia se non risolve anchecoerentemente ad essa il problema interno della filoso-fia. Per questo infatti egli non potrà rivolgersi a nessuno(a differenza del matematico e del fisico).2

L'impostazione e la soluzione di tal problema internodella filosofia è quello che noi studieremo nei Prolego-meni kantiani.

2 Cfr. P. Carabellese, op. cit. paragr. V.

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di qualcosa, noi ci mettiamo dinanzi ad esso, lo ammet-tiamo come reale e ne presupponiamo l'essenza, che ri-cerchiamo, quando ricerchiamo la possibilità.

Dalla distinzione dunque: – una qualche scienza c'èsenza dubbio – e – si dubita che una qualch'altra scienzaci sia – nasce il porsi del problema della filosofia, siprofila, cioè, il dubbio circa l'esserci di questa filosofia.

Di ciò Kant ha piena coscienza. I sistemi filosoficiposteriori invece, che pur sono partiti da Kant, hannosviluppato solo il momento della possibilità della cono-scenza: non hanno visto che il criticismo kantiano non èsolo il problema generico della conoscenza, del qualecerto costituisce il più importante approfondimento, maè anche la prima esplicita impostazione del problemaspecifico della filosofia.

Kant pone per primo il problema che la filosofiacome scienza costituisce a se stessa. Il filosofo d'ora in-nanzi non potrà fare la sua filosofia se non risolve anchecoerentemente ad essa il problema interno della filoso-fia. Per questo infatti egli non potrà rivolgersi a nessuno(a differenza del matematico e del fisico).2

L'impostazione e la soluzione di tal problema internodella filosofia è quello che noi studieremo nei Prolego-meni kantiani.

2 Cfr. P. Carabellese, op. cit. paragr. V.

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IIIIL RINNOVAMENTO DELLA METAFISICA

Posizione pregiudiziale del problema interno della filo-sofia. Rinnovamento della metafisica conseguentealla soluzione di esso (a prop. dei paragr. 1 - 3 deiProleg.).3

Il sopradetto problema della filosofia per Kant non èsoltanto uno dei problemi filosofici: è un problema lacui soluzione è pregiudiziale di fronte a tutti quanti glialtri.

Questo Kant ci fa capire chiaramente fin dalle primebattute dei Prolegomeni.

I Prolegomeni sono insieme un sommario e una dife-sa della Critica della ragion pura. (In una recensione didetta Critica si addebitava a Kant che nella sua operanon c'era nulla di nuovo e che essa era schiettamenteidealistica. Specialmente questa seconda accusa dispiac-que molto a Kant; nei Prolegomeni egli se ne difende).

Kant inizia i Prolegomeni affermando che essi sonofatti per i futuri maestri, non ad uso di scolari (pag. 5), e

3 Avvertenza importante: Noi seguiamo l'edizione: Kant. Pro-legomeni ad ogni futura metafisica – a cura di P. Carabellese.Bari, Laterza, 1925. Tutti i richiami (pag.. paragr., osservaz., ecc.)che faremo nelle pagine seguenti, si riferiscono a questa edizione.

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IIIIL RINNOVAMENTO DELLA METAFISICA

Posizione pregiudiziale del problema interno della filo-sofia. Rinnovamento della metafisica conseguentealla soluzione di esso (a prop. dei paragr. 1 - 3 deiProleg.).3

Il sopradetto problema della filosofia per Kant non èsoltanto uno dei problemi filosofici: è un problema lacui soluzione è pregiudiziale di fronte a tutti quanti glialtri.

Questo Kant ci fa capire chiaramente fin dalle primebattute dei Prolegomeni.

I Prolegomeni sono insieme un sommario e una dife-sa della Critica della ragion pura. (In una recensione didetta Critica si addebitava a Kant che nella sua operanon c'era nulla di nuovo e che essa era schiettamenteidealistica. Specialmente questa seconda accusa dispiac-que molto a Kant; nei Prolegomeni egli se ne difende).

Kant inizia i Prolegomeni affermando che essi sonofatti per i futuri maestri, non ad uso di scolari (pag. 5), e

3 Avvertenza importante: Noi seguiamo l'edizione: Kant. Pro-legomeni ad ogni futura metafisica – a cura di P. Carabellese.Bari, Laterza, 1925. Tutti i richiami (pag.. paragr., osservaz., ecc.)che faremo nelle pagine seguenti, si riferiscono a questa edizione.

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Page 24: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

che non sono per coloro «che hanno come propria filo-sofia la storia della filosofia».

Kant quasi previene e combatte quell'equivoco, oggitanto in vigore, per cui si identifica filosofia e storia del-la filosofia. Che non si possa filosofare senza conoscerela storia della filosofia, per il pericolo di presentare po-sizioni ingenue come grandi profondi pensieri, è vero;ma è pure vero che il filosofare non si risolve solo nellastoria del pensiero filosofico precedente, e cioè non èsoltanto la ripresentazione di filosofia già vissuta, nè na-sce esclusivamente dalla storia, ma dalla concretezza(che non è soltanto storica) dell'uomo pensante: occorre,dice Kant, «attingere alle fonti stesse dello spirito».

Kant invita i metafisici a sospender l'opera loro, per-chè c'è una pregiudiziale, un problema che è necessariorisolvere prima di fare della metafisica: vedere cioè seessa sia possibile. Kant mette in dubbio la esistenza del-la filosofia come scienza: ad avvalorare il dubbio bastaaver presenti, p. es., Cartesio e Locke, e chiedersi daquale parte essa sia. Sono due opposte presentazioni diuna stessa scienza: nè l'una nè l'altra quindi è tale scien-za. Questa non può permettere tale duplice discordanteanzi opposta presentazione: permettendola non sarebbepiù, come deve essere, conoscenza universale e necessa-ria. Kant, così argomentando, accetta il pregiudizio peril quale si muove alla filosofia l'accusa di continua con-traddizione senza conclusione. È un pregiudizio, perchèè vero che la filosofia si aggira sempre sugli stessi pro-blemi, ma non è vero affatto che la soluzione loro, nei

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che non sono per coloro «che hanno come propria filo-sofia la storia della filosofia».

Kant quasi previene e combatte quell'equivoco, oggitanto in vigore, per cui si identifica filosofia e storia del-la filosofia. Che non si possa filosofare senza conoscerela storia della filosofia, per il pericolo di presentare po-sizioni ingenue come grandi profondi pensieri, è vero;ma è pure vero che il filosofare non si risolve solo nellastoria del pensiero filosofico precedente, e cioè non èsoltanto la ripresentazione di filosofia già vissuta, nè na-sce esclusivamente dalla storia, ma dalla concretezza(che non è soltanto storica) dell'uomo pensante: occorre,dice Kant, «attingere alle fonti stesse dello spirito».

Kant invita i metafisici a sospender l'opera loro, per-chè c'è una pregiudiziale, un problema che è necessariorisolvere prima di fare della metafisica: vedere cioè seessa sia possibile. Kant mette in dubbio la esistenza del-la filosofia come scienza: ad avvalorare il dubbio bastaaver presenti, p. es., Cartesio e Locke, e chiedersi daquale parte essa sia. Sono due opposte presentazioni diuna stessa scienza: nè l'una nè l'altra quindi è tale scien-za. Questa non può permettere tale duplice discordanteanzi opposta presentazione: permettendola non sarebbepiù, come deve essere, conoscenza universale e necessa-ria. Kant, così argomentando, accetta il pregiudizio peril quale si muove alla filosofia l'accusa di continua con-traddizione senza conclusione. È un pregiudizio, perchèè vero che la filosofia si aggira sempre sugli stessi pro-blemi, ma non è vero affatto che la soluzione loro, nei

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sistemi diversi che si combattono o si succedono, siauna continua contraddizione. Essa invece è un approfon-dimento sempre maggiore, anche se ottenuto per vie dif-ferenti. Cartesio e Locke si contraddicono molto menodi quanto sembri: l'uno, mettendo in evidenza i difettidell'altro, non lo rinnega, lo integra. Ancora oggi nonsolo non è svanito ma è quasi codificato nello storici-smo dialettico questo pregiudizio del perpetuo contrad-dirsi del filosofare.

Torniamo a Kant. Egli cominciò con l'essere scienzia-to; la prima sua opera fu un'opera scientifica di appro-fondimento delle idee newtoniane circa la genesi del si-stema cosmico. Ma, ad un certo punto, della scienza del-la natura egli non si accontenta più; ne sente i limiti epassa alla filosofia, portando in questa l'abito delloscienziato: si sente quindi come a disagio in nozioni fi-losofiche pronte a determinazioni diverse secondo la di-versità dei soggetti e dei sistemi. Per lo sdegno di questache pare ma non è mutevolezza, Kant elogia l'esodo dal-la filosofia per le scienze; ma pur egli fa il passaggioopposto: dalle scienze positive viene alla filosofia incerca di più profonda oggettività.

Per Kant, vedemmo, il possibile è l'essenza dellarealtà esistente. Chiedere se una scienza sia possibile,significa quindi anche mettere in dubbio la sua realtà discienza. Mettere in dubbio la sua realtà di scienza, mapur concepirla come qualcosa, darle un'essenza, proprioper poter mettere in dubbio la sua scientificità. Kant du-bita della filosofia come scienza.

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sistemi diversi che si combattono o si succedono, siauna continua contraddizione. Essa invece è un approfon-dimento sempre maggiore, anche se ottenuto per vie dif-ferenti. Cartesio e Locke si contraddicono molto menodi quanto sembri: l'uno, mettendo in evidenza i difettidell'altro, non lo rinnega, lo integra. Ancora oggi nonsolo non è svanito ma è quasi codificato nello storici-smo dialettico questo pregiudizio del perpetuo contrad-dirsi del filosofare.

Torniamo a Kant. Egli cominciò con l'essere scienzia-to; la prima sua opera fu un'opera scientifica di appro-fondimento delle idee newtoniane circa la genesi del si-stema cosmico. Ma, ad un certo punto, della scienza del-la natura egli non si accontenta più; ne sente i limiti epassa alla filosofia, portando in questa l'abito delloscienziato: si sente quindi come a disagio in nozioni fi-losofiche pronte a determinazioni diverse secondo la di-versità dei soggetti e dei sistemi. Per lo sdegno di questache pare ma non è mutevolezza, Kant elogia l'esodo dal-la filosofia per le scienze; ma pur egli fa il passaggioopposto: dalle scienze positive viene alla filosofia incerca di più profonda oggettività.

Per Kant, vedemmo, il possibile è l'essenza dellarealtà esistente. Chiedere se una scienza sia possibile,significa quindi anche mettere in dubbio la sua realtà discienza. Mettere in dubbio la sua realtà di scienza, mapur concepirla come qualcosa, darle un'essenza, proprioper poter mettere in dubbio la sua scientificità. Kant du-bita della filosofia come scienza.

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Dunque: senza risolvere prima questo problemadell'esserci di una scienza che sia filosofia non sarà pos-sibile risolvere nessun altro problema filosofico. Ma ol-trechè di questa posizione privilegiata, perchè pregiudi-ziale, del problema interno della filosofia, Kant è per-suaso ancora di un'altra cosa, e cioè che la soluzione,che egli con la Critica ha dato di tal problema, porta unrinnovamento radicale nella soluzione di tutti gli altriproblemi filosofici, cioè rinnova radicalmente la filoso-fia.

Perciò egli è sicuro che chi leggerà la sua Critica, isuoi Prolegomeni:

a) dubiterà della scienza filosofica passata (cioè dellametafisica fino allora fatta);

b) sarà persuaso che occorre adempiere alle condizio-ni espresse nella Critica;

c) sarà sicuro che non esiste ancora una metafisicaperchè non si sono ancora avverate quelle condizioniche egli ha enunciate nella Critica;

d) dovrà ammettere che così e solo così una completarinascenza della metafisica sia inevitabilmente prossi-ma.

La metafisica come scienza comincerà dopo la criti-ca; quella attuata prima della Critica non era scienza.

Questa la profonda persuasione di Kant. Questa in-transigenza ed assoluta certezza, che elimina ogni erroreprecedente, è un po' propria di ogni pensatore, ma spe-cialmente della filosofia moderna, nel suo gnoseologi-smo. Per es. Cartesio dice che con lui incomincerà un

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Dunque: senza risolvere prima questo problemadell'esserci di una scienza che sia filosofia non sarà pos-sibile risolvere nessun altro problema filosofico. Ma ol-trechè di questa posizione privilegiata, perchè pregiudi-ziale, del problema interno della filosofia, Kant è per-suaso ancora di un'altra cosa, e cioè che la soluzione,che egli con la Critica ha dato di tal problema, porta unrinnovamento radicale nella soluzione di tutti gli altriproblemi filosofici, cioè rinnova radicalmente la filoso-fia.

Perciò egli è sicuro che chi leggerà la sua Critica, isuoi Prolegomeni:

a) dubiterà della scienza filosofica passata (cioè dellametafisica fino allora fatta);

b) sarà persuaso che occorre adempiere alle condizio-ni espresse nella Critica;

c) sarà sicuro che non esiste ancora una metafisicaperchè non si sono ancora avverate quelle condizioniche egli ha enunciate nella Critica;

d) dovrà ammettere che così e solo così una completarinascenza della metafisica sia inevitabilmente prossi-ma.

La metafisica come scienza comincerà dopo la criti-ca; quella attuata prima della Critica non era scienza.

Questa la profonda persuasione di Kant. Questa in-transigenza ed assoluta certezza, che elimina ogni erroreprecedente, è un po' propria di ogni pensatore, ma spe-cialmente della filosofia moderna, nel suo gnoseologi-smo. Per es. Cartesio dice che con lui incomincerà un

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modo di conoscere che eliminerà l'errore; prima di luiBacone aveva affermato di aver scoperto gli idoli, lefonti dell'errore. Per Kant non c'era stata fino a lui lametafisica; sarebbe incominciata con lui.

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modo di conoscere che eliminerà l'errore; prima di luiBacone aveva affermato di aver scoperto gli idoli, lefonti dell'errore. Per Kant non c'era stata fino a lui lametafisica; sarebbe incominciata con lui.

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IVLA CRITICA

La critica come scienza nuova della ragion pura, dedot-ta dalla generalizzazione del problema di Hume. Lacritica a guardia contro l'ignavia filosofica.

Come è nata in Kant l'esigenza di questo problemanuovo e pregiudiziale di fronte a tutti gli altri? Come ènata in lui la scoperta di questa «scienza nuova», qualeegli dice la Critica, la quale, risolvendo quel problema,rinnova ab imis la metafisica? Qual è il motivo storicodella genesi della Critica? Kant ne dà il merito all'attac-co mosso alla filosofia da Davide Hume; da esso niunoseppe trarre vantaggio; non lo trasse certo, secondoKant, la filosofia scozzese del senso comune. Dellascintilla sprizzata da Hume, egli soltanto, Kant, è stato«suscettibile esca» (pag. 8).

Hume, si sa, parte dall'esame del problema della cau-salità, cioè del prodursi necessario ed identico dellestesse cose (effetti) dalle stesse cose (cause). Humechiama la ragione a rendergli conto di questa produzio-ne nella necessità della sua identità. E così egli vede chela causalità non è un risultato dell'esperienza, ma un pre-supposto della ragione, presupposto arbitrario

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IVLA CRITICA

La critica come scienza nuova della ragion pura, dedot-ta dalla generalizzazione del problema di Hume. Lacritica a guardia contro l'ignavia filosofica.

Come è nata in Kant l'esigenza di questo problemanuovo e pregiudiziale di fronte a tutti gli altri? Come ènata in lui la scoperta di questa «scienza nuova», qualeegli dice la Critica, la quale, risolvendo quel problema,rinnova ab imis la metafisica? Qual è il motivo storicodella genesi della Critica? Kant ne dà il merito all'attac-co mosso alla filosofia da Davide Hume; da esso niunoseppe trarre vantaggio; non lo trasse certo, secondoKant, la filosofia scozzese del senso comune. Dellascintilla sprizzata da Hume, egli soltanto, Kant, è stato«suscettibile esca» (pag. 8).

Hume, si sa, parte dall'esame del problema della cau-salità, cioè del prodursi necessario ed identico dellestesse cose (effetti) dalle stesse cose (cause). Humechiama la ragione a rendergli conto di questa produzio-ne nella necessità della sua identità. E così egli vede chela causalità non è un risultato dell'esperienza, ma un pre-supposto della ragione, presupposto arbitrario

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nell'imporre alle cose quel nesso necessario ed identico,che non può constatarsi nelle cose stesse. L'accadimen-to, datoci dall'esperienza, è successione. Il nesso neces-sario, che la ragione pretende di trovare nell'intimo deifatti, è soltanto abito soggettivo mascherato da oggetti-vità, la quale è impenetrabile. Da ciò lo scetticismo diHume.

Hume era dunque arrivato a questa conclusione: ilpreteso nesso oggettivo della causalità non è tale, esso èsoltanto un abito soggettivo ingenerato nel soggetto dal-la successione costante di taluni fatti. La ragione dunquedeve limitare la sua necessità ai rapporti tra idee; nonpuò portar questa nell'essere che sfugge ad ogni oggetti-va necessità di ragione. E, siccome solo da ragione cipotrebbe essere necessità, così questa ci sfugge in modoassoluto nel campo dei fatti; non c'è scienza dell'essere,non esiste la metafisica.

Di fronte a questo risultato della speculazione humia-na, il problema per Kant si presenta in questi termini:Non può, anzi non deve il principio di causa esser pen-sato apriori proprio come principio necessitante, e nondeve così e solo così avere una verità intrinseca indi-pendente dall'esperienza, ma pur necessitante l'espe-rienza stessa? Può l'esperienza, con la sua non necessa-ria successione di eventi estrinseci l'uno all'altro, elimi-nare la ragione col suo necessario nesso tra gli enti?

Questa domanda al punto in cui Kant inserisce l'operasua nella umana speculazione, non solo non trovava ri-sposta, ma non era neppure possibile porre. Il porla pre-

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nell'imporre alle cose quel nesso necessario ed identico,che non può constatarsi nelle cose stesse. L'accadimen-to, datoci dall'esperienza, è successione. Il nesso neces-sario, che la ragione pretende di trovare nell'intimo deifatti, è soltanto abito soggettivo mascherato da oggetti-vità, la quale è impenetrabile. Da ciò lo scetticismo diHume.

Hume era dunque arrivato a questa conclusione: ilpreteso nesso oggettivo della causalità non è tale, esso èsoltanto un abito soggettivo ingenerato nel soggetto dal-la successione costante di taluni fatti. La ragione dunquedeve limitare la sua necessità ai rapporti tra idee; nonpuò portar questa nell'essere che sfugge ad ogni oggetti-va necessità di ragione. E, siccome solo da ragione cipotrebbe essere necessità, così questa ci sfugge in modoassoluto nel campo dei fatti; non c'è scienza dell'essere,non esiste la metafisica.

Di fronte a questo risultato della speculazione humia-na, il problema per Kant si presenta in questi termini:Non può, anzi non deve il principio di causa esser pen-sato apriori proprio come principio necessitante, e nondeve così e solo così avere una verità intrinseca indi-pendente dall'esperienza, ma pur necessitante l'espe-rienza stessa? Può l'esperienza, con la sua non necessa-ria successione di eventi estrinseci l'uno all'altro, elimi-nare la ragione col suo necessario nesso tra gli enti?

Questa domanda al punto in cui Kant inserisce l'operasua nella umana speculazione, non solo non trovava ri-sposta, ma non era neppure possibile porre. Il porla pre-

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supponeva quella scienza nuova che Kant scopre e svol-ge: la Critica. E alla scoperta di questa è decisiva laspinta che a Kant viene da Hume.

In quale modo questa scienza nuova nasce da Hume,e in che cosa essa consiste?

Hume, pur con tutta la sua skepsi, è soggetto ad unduplice presupposto, che può dirsi, fino a lui ed oltre dilui connaturato al pensiero scientifico e filosofico: 1) laragione è una facoltà dell'uomo conoscente; è qualcosadi intrinseco a lui, ed a lui soltanto proprio in quanto co-noscente; è, diremmo noi oggi per esprimere questo pre-supposto, qualcosa di soggettivo; 2) la necessità chedobbiamo trovare nella natura delle cose e che è espres-sa specialmente nel principio di causa che di esse ci faassistere alla genesi e perciò alla essenza, tale necessitàci è somministrata, fatta presente dalla ragione, la qualeperciò, quantunque sia una facoltà del soggetto, è ogget-tiva, cioè coglie ed esprime il nesso intimo delle cose.

Il principio di causa, dunque, pur presentatoci dallaragione soggettiva, deve avere un valore oggettivo, eperciò, pensa Hume, deve essere suffragato, confermato,procurato dalla esperienza, la quale ci pone a contattodiretto cogli oggetti, col mondo dei fatti. In questo cre-dere alla imprescindibilità del valore oggettivo del prin-cipio di causa, perchè si possa dire di conoscere qualco-sa, perchè l'uomo possa veramente essere un conoscen-te, Hume è, senza volerlo, d'accordo coi dogmatici, anziè più dogmatico di loro. Infatti sull'impossibilità delladimostrazione di detto valore oggettivo (dovrebbe con

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supponeva quella scienza nuova che Kant scopre e svol-ge: la Critica. E alla scoperta di questa è decisiva laspinta che a Kant viene da Hume.

In quale modo questa scienza nuova nasce da Hume,e in che cosa essa consiste?

Hume, pur con tutta la sua skepsi, è soggetto ad unduplice presupposto, che può dirsi, fino a lui ed oltre dilui connaturato al pensiero scientifico e filosofico: 1) laragione è una facoltà dell'uomo conoscente; è qualcosadi intrinseco a lui, ed a lui soltanto proprio in quanto co-noscente; è, diremmo noi oggi per esprimere questo pre-supposto, qualcosa di soggettivo; 2) la necessità chedobbiamo trovare nella natura delle cose e che è espres-sa specialmente nel principio di causa che di esse ci faassistere alla genesi e perciò alla essenza, tale necessitàci è somministrata, fatta presente dalla ragione, la qualeperciò, quantunque sia una facoltà del soggetto, è ogget-tiva, cioè coglie ed esprime il nesso intimo delle cose.

Il principio di causa, dunque, pur presentatoci dallaragione soggettiva, deve avere un valore oggettivo, eperciò, pensa Hume, deve essere suffragato, confermato,procurato dalla esperienza, la quale ci pone a contattodiretto cogli oggetti, col mondo dei fatti. In questo cre-dere alla imprescindibilità del valore oggettivo del prin-cipio di causa, perchè si possa dire di conoscere qualco-sa, perchè l'uomo possa veramente essere un conoscen-te, Hume è, senza volerlo, d'accordo coi dogmatici, anziè più dogmatico di loro. Infatti sull'impossibilità delladimostrazione di detto valore oggettivo (dovrebbe con

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Page 31: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

questo principio la ragione trascendere se stessa, cioè lapropria soggettività) egli fonda il suo scetticismo. Infondo egli dice: io sarei veramente conoscente, se il nes-so causale, che io affermo oggettivamente necessariocon la mia ragione soggettiva, mi risultasse veramenteoggettivo; invece esso mi risulta soltanto un abito di mesoggetto, abito che di oggettivo ha solo una successionecostante datami dall'esperienza. La oggettività del nessocausale è indimostrabile, ed essa è invece condizionenecessaria della mia conoscenza.

Kant accetta in pieno la «prova irrefutabile» data daHume della impossibilità di cogliere apriori con la ra-gione il nesso intimo delle cose; ma rifiuta la conclusio-ne che Hume ne trae (pag. 8, 9), si tiene «ben lontanodal seguirlo nelle conseguenze, che provenivano solodal fatto, che egli non si propose la questione nella suaintegrità» (pag. 12). E perciò Kant generalizza la provairrefutabile che Hume dà soltanto circa il principio dicausa: questo «non è affatto l'unico con cui l'intellettopensa apriori i nessi tra le cose» (pag. 12). Lo stessopensare una cosa come tale è un altro nesso apriori, ecosì il pensarla con una qualità o quantità, ecc. Di tuttociò dobbiamo dir lo stesso che del principio di causa.Prima dunque di trarre delle conseguenze da questa as-surda oggettività di un principio posto e vissuto da unafacoltà del soggetto, dobbiamo vedere questi principinel loro insieme, dobbiamo indagare questa facoltà nellasua purezza, nella sua essenza apriori.

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questo principio la ragione trascendere se stessa, cioè lapropria soggettività) egli fonda il suo scetticismo. Infondo egli dice: io sarei veramente conoscente, se il nes-so causale, che io affermo oggettivamente necessariocon la mia ragione soggettiva, mi risultasse veramenteoggettivo; invece esso mi risulta soltanto un abito di mesoggetto, abito che di oggettivo ha solo una successionecostante datami dall'esperienza. La oggettività del nessocausale è indimostrabile, ed essa è invece condizionenecessaria della mia conoscenza.

Kant accetta in pieno la «prova irrefutabile» data daHume della impossibilità di cogliere apriori con la ra-gione il nesso intimo delle cose; ma rifiuta la conclusio-ne che Hume ne trae (pag. 8, 9), si tiene «ben lontanodal seguirlo nelle conseguenze, che provenivano solodal fatto, che egli non si propose la questione nella suaintegrità» (pag. 12). E perciò Kant generalizza la provairrefutabile che Hume dà soltanto circa il principio dicausa: questo «non è affatto l'unico con cui l'intellettopensa apriori i nessi tra le cose» (pag. 12). Lo stessopensare una cosa come tale è un altro nesso apriori, ecosì il pensarla con una qualità o quantità, ecc. Di tuttociò dobbiamo dir lo stesso che del principio di causa.Prima dunque di trarre delle conseguenze da questa as-surda oggettività di un principio posto e vissuto da unafacoltà del soggetto, dobbiamo vedere questi principinel loro insieme, dobbiamo indagare questa facoltà nellasua purezza, nella sua essenza apriori.

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Page 32: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

Indagine, questa, fondamentale, ampia e profondaquant'altra mai; indagine non mai tentata; indagine, aistituire e svolgere la quale non esisteva ancora neppurel'organismo di sapere, la scienza che ne avesse il compi-to, che ne fosse capace. Giacchè per istituir tale indagi-ne è necessario fondare una scienza della ragione, primae a condizione della stessa scienza dell'essere. Questascienza nuova della ragione pura è la Critica. Primadella Critica, sì, si era anche sviluppata, accanto e difronte alla metafisica e alle scienze che ne nascono e ladeterminano, anche una scienza di questo logo, di que-sto discorrere razionale che è l'umano conoscere (la lo-gica aristotelica). Ma non si era pensato di istituire unascienza di questo logo proprio in quanto riassume edesprime i principi oggettivi, quei principi oggettivi, suiquali inconsapevolmente e metafisica e scienze determi-nate si fondavano come su un qualche cosa datodall'essere in quanto tale. Non si vedeva l'inerenza delsoggetto conoscente in questo essere oggettivo. Averfatto pensare a questo ed aver così determinata la nuovascienza che ne affronti in pieno la difficoltà, è, per Kant,il merito sommo ed incontestabile di Hume. Critica èdunque questa scienza nuova che ricerca e studia comeprincipi apriori insiti alla stessa facoltà conoscitiva, queiprincipi che erano prima dogmaticamente ritenuti comesoltanto oggettivi e non costitutivi perciò del conoscerecome tale. Questo significa la logica trascendentale kan-tiana; in ciò essa si differenzia nettamente dalla logica

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Indagine, questa, fondamentale, ampia e profondaquant'altra mai; indagine non mai tentata; indagine, aistituire e svolgere la quale non esisteva ancora neppurel'organismo di sapere, la scienza che ne avesse il compi-to, che ne fosse capace. Giacchè per istituir tale indagi-ne è necessario fondare una scienza della ragione, primae a condizione della stessa scienza dell'essere. Questascienza nuova della ragione pura è la Critica. Primadella Critica, sì, si era anche sviluppata, accanto e difronte alla metafisica e alle scienze che ne nascono e ladeterminano, anche una scienza di questo logo, di que-sto discorrere razionale che è l'umano conoscere (la lo-gica aristotelica). Ma non si era pensato di istituire unascienza di questo logo proprio in quanto riassume edesprime i principi oggettivi, quei principi oggettivi, suiquali inconsapevolmente e metafisica e scienze determi-nate si fondavano come su un qualche cosa datodall'essere in quanto tale. Non si vedeva l'inerenza delsoggetto conoscente in questo essere oggettivo. Averfatto pensare a questo ed aver così determinata la nuovascienza che ne affronti in pieno la difficoltà, è, per Kant,il merito sommo ed incontestabile di Hume. Critica èdunque questa scienza nuova che ricerca e studia comeprincipi apriori insiti alla stessa facoltà conoscitiva, queiprincipi che erano prima dogmaticamente ritenuti comesoltanto oggettivi e non costitutivi perciò del conoscerecome tale. Questo significa la logica trascendentale kan-tiana; in ciò essa si differenzia nettamente dalla logica

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aristotelica, senza che perciò questa sia esclusa o con-dannata.

Perchè, dunque, sia risoluto il problema pregiudizialedella filosofia, bisogna istituire la Critica, la quale sol-tanto sarà in grado di dirci se e come la metafisica siapossibile come scienza. E perciò la Critica è, per Kant,filosofia trascendentale: è filosofia della filosofia, è ilproblema interno della filosofia.

L'attuazione di questa nuova scienza importa, perKant, difficoltà grandissime, perchè importa la deduzio-ne di questi principi apriori da un unico principio (pag.12). Ma appunto il superamento di queste difficoltà,proclama Kant, da una parte instaura la possibilità diuna metafisica fino a lui inesistente, dall'altra, propriocon questa rigorosa instaurazione, tiene lontani da essagli inetti. Giacchè prima della Critica, egli osserva, «tut-ti quelli che riguardo a tutte le altre scienze osservanoun prudente silenzio, in questioni di metafisica parlanoda maestri e sfacciatamente decidono» (pag. 18). I prin-cipi critici, finalmente, «ignavum, fucos, pecus a praese-pibus arcent» (pag. 18). Kant si illudeva, che, col sorge-re della Critica come filosofia trascendentale, sarebbecessato il parlar da maestri dei tanti, cui la metafisicanon concesse le sue grazie. Non poteva cessare, perchèla ragione di questo salire in cattedra di tanti, di tutti,non era il non esserci ancora della Critica, ma era ed èproprio quel carattere universale della filosofia, pel qua-le rinasce continuamente il dubbio del suo esserci (cfr.lez. I).

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aristotelica, senza che perciò questa sia esclusa o con-dannata.

Perchè, dunque, sia risoluto il problema pregiudizialedella filosofia, bisogna istituire la Critica, la quale sol-tanto sarà in grado di dirci se e come la metafisica siapossibile come scienza. E perciò la Critica è, per Kant,filosofia trascendentale: è filosofia della filosofia, è ilproblema interno della filosofia.

L'attuazione di questa nuova scienza importa, perKant, difficoltà grandissime, perchè importa la deduzio-ne di questi principi apriori da un unico principio (pag.12). Ma appunto il superamento di queste difficoltà,proclama Kant, da una parte instaura la possibilità diuna metafisica fino a lui inesistente, dall'altra, propriocon questa rigorosa instaurazione, tiene lontani da essagli inetti. Giacchè prima della Critica, egli osserva, «tut-ti quelli che riguardo a tutte le altre scienze osservanoun prudente silenzio, in questioni di metafisica parlanoda maestri e sfacciatamente decidono» (pag. 18). I prin-cipi critici, finalmente, «ignavum, fucos, pecus a praese-pibus arcent» (pag. 18). Kant si illudeva, che, col sorge-re della Critica come filosofia trascendentale, sarebbecessato il parlar da maestri dei tanti, cui la metafisicanon concesse le sue grazie. Non poteva cessare, perchèla ragione di questo salire in cattedra di tanti, di tutti,non era il non esserci ancora della Critica, ma era ed èproprio quel carattere universale della filosofia, pel qua-le rinasce continuamente il dubbio del suo esserci (cfr.lez. I).

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Perciò come la filosofia, anzi la metafisica, non co-minciò certo solo con Kant, non ostante che egli neavesse per primo istituito il problema e costituita lascienza atta a risolverlo; così il «decidere sfacciatamen-te» su problemi di metafisica non è certo cessato dopoKant e dopo la sua Critica, non ostante che certo quellaposizione kantiana del problema interno della filosofiaavesse potentemente contribuito a determinarne il rigo-re.

Ancora oggi, anzi oggi più che mai, non è vano il ri-chiamo ai principi ed al metodo critico nella loro diffi-coltà. La Critica ancora oggi rimane l'unico faro inquell'«oceano senza sponda e senza fari», quale, primadella Critica, appariva la metafisica a Kant.

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Perciò come la filosofia, anzi la metafisica, non co-minciò certo solo con Kant, non ostante che egli neavesse per primo istituito il problema e costituita lascienza atta a risolverlo; così il «decidere sfacciatamen-te» su problemi di metafisica non è certo cessato dopoKant e dopo la sua Critica, non ostante che certo quellaposizione kantiana del problema interno della filosofiaavesse potentemente contribuito a determinarne il rigo-re.

Ancora oggi, anzi oggi più che mai, non è vano il ri-chiamo ai principi ed al metodo critico nella loro diffi-coltà. La Critica ancora oggi rimane l'unico faro inquell'«oceano senza sponda e senza fari», quale, primadella Critica, appariva la metafisica a Kant.

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VIMPOSTAZIONE KANTIANA DEL PRO-

BLEMA

1) L'alternativa della metafisica prima della Critica: 2)il metodo per la soluzione del problema; l'accomu-narsi della metafisica alle altre scienze; 3) la sinteti-cità apriori (pag. 40-41): chiarimento dei due con-cetti di sintesi e di apriorità; 4) gradi di sviluppo delproblema (pag. 46-47).

Kant, volendo studiare la possibilità della metafisica,cerca di individuare bene il problema, di determinarlosenza possibilità di equivoci, di determinare cioèl'oggetto, il modo, le fonti della metafisica come scienza(p. 19). Però queste tre cose ce le dirà della matematicae della fisica, non della metafisica. L'oggetto della meta-fisica ce lo dà di straforo, per incidenza, a pag. 34-35: laconoscenza di un Essere supremo e di un mondo futuro.Quel che importa notare è che, per ora, il concetto purproblematico della metafisica non ci risulta esplicita-mente. Kant lo sottintende; ma certamente egli sa benedi che cosa mai egli vuol ricercare se e come sia scien-za. Della metafisica come esigenza spirituale umana in

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VIMPOSTAZIONE KANTIANA DEL PRO-

BLEMA

1) L'alternativa della metafisica prima della Critica: 2)il metodo per la soluzione del problema; l'accomu-narsi della metafisica alle altre scienze; 3) la sinteti-cità apriori (pag. 40-41): chiarimento dei due con-cetti di sintesi e di apriorità; 4) gradi di sviluppo delproblema (pag. 46-47).

Kant, volendo studiare la possibilità della metafisica,cerca di individuare bene il problema, di determinarlosenza possibilità di equivoci, di determinare cioèl'oggetto, il modo, le fonti della metafisica come scienza(p. 19). Però queste tre cose ce le dirà della matematicae della fisica, non della metafisica. L'oggetto della meta-fisica ce lo dà di straforo, per incidenza, a pag. 34-35: laconoscenza di un Essere supremo e di un mondo futuro.Quel che importa notare è che, per ora, il concetto purproblematico della metafisica non ci risulta esplicita-mente. Kant lo sottintende; ma certamente egli sa benedi che cosa mai egli vuol ricercare se e come sia scien-za. Della metafisica come esigenza spirituale umana in

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Kant non è mai nato il dubbio. Il «se» quindi non riguar-da l'esserci della metafisica, ma il suo esser scienza.

Il problema che Kant si propone di risolvere, nasce,dicemmo, dal non constare della metafisica come scien-za, in quanto essa non è da tutti ammessa nello stessomodo.

Fino alla critica si può dire che la metafisica era sbal-zata tra due alternative: dogmatismo e scetticismo. Ilproblema, che la critica si propone, deve avere presentiquesti due pericoli per evitare l'uno senza caderenell'altro.

Metodo per porre e risolvere questo problema (pag.36): metodo da escludere (pag. 37) è quello che parte daobbiezioni scettiche contro le affermazioni di una meta-fisica realmente esistente prima della critica, e quindidogmatica. Kant, per ora, non ne ritiene alcuna comevalida, e quindi niente ancora metafisica; ma ancheniente obbiezioni scettiche contro le sue affermazioni,quali che queste fossero: obbiettare è dar valore discienza al sapere da cui esse provengono, e che invece,per Kant, prima della Critica non sussiste.

Il metodo da seguire (pag. 37) è quello di partire dalconcetto solo problematico dell'esserci una tale scienza,cioè dalla ricerca soltanto della sua possibilità.

Però questo solo concetto problematico della filosofianon basterebbe. Per fortuna (pag. 38) ci è data una certaconoscenza necessaria, universale apriori (matematicapura e fisica pura): ci è data come scienza, perchè è dicomune consenso, è unica per tutti essendo indipenden-

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Kant non è mai nato il dubbio. Il «se» quindi non riguar-da l'esserci della metafisica, ma il suo esser scienza.

Il problema che Kant si propone di risolvere, nasce,dicemmo, dal non constare della metafisica come scien-za, in quanto essa non è da tutti ammessa nello stessomodo.

Fino alla critica si può dire che la metafisica era sbal-zata tra due alternative: dogmatismo e scetticismo. Ilproblema, che la critica si propone, deve avere presentiquesti due pericoli per evitare l'uno senza caderenell'altro.

Metodo per porre e risolvere questo problema (pag.36): metodo da escludere (pag. 37) è quello che parte daobbiezioni scettiche contro le affermazioni di una meta-fisica realmente esistente prima della critica, e quindidogmatica. Kant, per ora, non ne ritiene alcuna comevalida, e quindi niente ancora metafisica; ma ancheniente obbiezioni scettiche contro le sue affermazioni,quali che queste fossero: obbiettare è dar valore discienza al sapere da cui esse provengono, e che invece,per Kant, prima della Critica non sussiste.

Il metodo da seguire (pag. 37) è quello di partire dalconcetto solo problematico dell'esserci una tale scienza,cioè dalla ricerca soltanto della sua possibilità.

Però questo solo concetto problematico della filosofianon basterebbe. Per fortuna (pag. 38) ci è data una certaconoscenza necessaria, universale apriori (matematicapura e fisica pura): ci è data come scienza, perchè è dicomune consenso, è unica per tutti essendo indipenden-

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Page 37: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

te dall'esperienza (per Kant c'è una fisica sottostantealla fisica sperimentale; essa riguarda i principi primidella fisica). Questo il punto di partenza saldo che deveprecedere ed accompagnare quel concetto problematicodella filosofia.

Abbiamo già detto che per Kant si ha scienza quandola conoscenza è universale e necessaria (necessaria, cioèche non può non essere; universale, cioè valida per tutti,tale che nessun pensante possa dire: questo per me nonvale). Tale universalità e necessità non può fondarsisull'esperienza, cioè sul sentire di molti o di tutti (anchese una qualche conoscenza fosse esperienza di tuttal'umanità, non per questo sarebbe scienza, perchè l'espe-rienza di uno o di molti o di tutti non può fondare la ne-cessità, perchè l'umanità ha cominciato e finirà; oggiquesto non si intende: si è confuso umanità con assolu-tezza).

Bisogna però evitare un equivoco: questo non fondar-si della universalità e necessità della conoscenza sullaesperienza non vuol dire escludere tale conoscenza dallaesperienza. Questo è il carattere kantiano della scienza:non fondarsi sull'esperienza ma bensì fondarla.

Noi disponiamo, dunque, come reale conoscenzascientifica, della matematica e della fisica pura. Il puntointerrogativo è sul come della scienza matematica e fisi-ca e non sul se ci sia una tale scienza. Cioè Kant escludecome punto di partenza un dubbio scettico riguardo allascienza in generale: concetto problematico della metafi-sica sì, ma concetto della matematica e fisica come rea-

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te dall'esperienza (per Kant c'è una fisica sottostantealla fisica sperimentale; essa riguarda i principi primidella fisica). Questo il punto di partenza saldo che deveprecedere ed accompagnare quel concetto problematicodella filosofia.

Abbiamo già detto che per Kant si ha scienza quandola conoscenza è universale e necessaria (necessaria, cioèche non può non essere; universale, cioè valida per tutti,tale che nessun pensante possa dire: questo per me nonvale). Tale universalità e necessità non può fondarsisull'esperienza, cioè sul sentire di molti o di tutti (anchese una qualche conoscenza fosse esperienza di tuttal'umanità, non per questo sarebbe scienza, perchè l'espe-rienza di uno o di molti o di tutti non può fondare la ne-cessità, perchè l'umanità ha cominciato e finirà; oggiquesto non si intende: si è confuso umanità con assolu-tezza).

Bisogna però evitare un equivoco: questo non fondar-si della universalità e necessità della conoscenza sullaesperienza non vuol dire escludere tale conoscenza dallaesperienza. Questo è il carattere kantiano della scienza:non fondarsi sull'esperienza ma bensì fondarla.

Noi disponiamo, dunque, come reale conoscenzascientifica, della matematica e della fisica pura. Il puntointerrogativo è sul come della scienza matematica e fisi-ca e non sul se ci sia una tale scienza. Cioè Kant escludecome punto di partenza un dubbio scettico riguardo allascienza in generale: concetto problematico della metafi-sica sì, ma concetto della matematica e fisica come rea-

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Page 38: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

li scienze. Soltanto fondandoci su tale realtà conoscitivapossiamo sapere come deve essere fatta la scienza, pos-siamo determinare il «come» della scienza in generale epoi vedere il «se» anche di una scienza metafisica. Soloperchè noi abbiamo già qualche conoscenza universale enecessaria, possiamo porre il problema del come è pos-sibile la scienza.

Or porre tale problema è porre il problema del comeè possibile la conoscenza sintetica apriori. Infatti a co-stituire conoscenza la scienza, non basta il carattere diapriorità con le conseguenti necessità e universalità: sela scienza fosse solamente apriori, e cioè fondata nonsulla esperienza ma sullo stesso pensiero, non sarebbeconoscenza, in quanto non riguarderebbe la realtà. Lascienza perciò deve essere, oltrechè apriori, anche sinte-tica, e solo così essa spiega e fonda l'esperienza. Essen-do giudizi sintetici apriori le nozioni scientifiche non di-pendono dalla esperienza, ma invece danno valore diconoscenza all'esperienza.

I giudizi, secondo Kant (cfr. paragr. 2 a pag. 21), pos-sono essere:analitici, cioè esplicativi, che non apportano nulla dinuovo al contenuto concettuale del soggetto (es. tutti icorpi sono estesi; è impossibile che io pensi corpo senzache pensi anche estensione; il mio concetto di corpoquindi non si è avvantaggiato con questo giudizio);sintetici, cioè estensivi, che ampliano la conoscenza (es.il corpo è pesante; non è necessario, secondo Kant, pen-sare peso per pensare corpo; perciò giudicando il corpo

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li scienze. Soltanto fondandoci su tale realtà conoscitivapossiamo sapere come deve essere fatta la scienza, pos-siamo determinare il «come» della scienza in generale epoi vedere il «se» anche di una scienza metafisica. Soloperchè noi abbiamo già qualche conoscenza universale enecessaria, possiamo porre il problema del come è pos-sibile la scienza.

Or porre tale problema è porre il problema del comeè possibile la conoscenza sintetica apriori. Infatti a co-stituire conoscenza la scienza, non basta il carattere diapriorità con le conseguenti necessità e universalità: sela scienza fosse solamente apriori, e cioè fondata nonsulla esperienza ma sullo stesso pensiero, non sarebbeconoscenza, in quanto non riguarderebbe la realtà. Lascienza perciò deve essere, oltrechè apriori, anche sinte-tica, e solo così essa spiega e fonda l'esperienza. Essen-do giudizi sintetici apriori le nozioni scientifiche non di-pendono dalla esperienza, ma invece danno valore diconoscenza all'esperienza.

I giudizi, secondo Kant (cfr. paragr. 2 a pag. 21), pos-sono essere:analitici, cioè esplicativi, che non apportano nulla dinuovo al contenuto concettuale del soggetto (es. tutti icorpi sono estesi; è impossibile che io pensi corpo senzache pensi anche estensione; il mio concetto di corpoquindi non si è avvantaggiato con questo giudizio);sintetici, cioè estensivi, che ampliano la conoscenza (es.il corpo è pesante; non è necessario, secondo Kant, pen-sare peso per pensare corpo; perciò giudicando il corpo

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come pesante so qualche cosa più di prima, e qualchecosa di realmente appartenente al corpo).

A nostro avviso questa distinzione dei giudizi in ana-litici e sintetici non è qualche cosa che abbia soltanto unvalore psicologico, che varî cioè secondo le personegiudicanti. Kant intende che essa abbia valore anche lo-gico, anzi ontologico.

Una volta però ammessa come oggettiva questa di-stinzione, nasce una grande difficoltà riguardo ai giudizianalitici e un grosso problema riguardo a quelli sintetici.

La difficoltà dei primi: se vi sono giudizi che sonoanalitici sempre e per tutti i pensanti, non devono i con-cetti che sono soggetti di tali giudizi ritenersi dei veri epropri concetti innati? E così: il concetto di corpo estesoè innato? In tal caso saremmo alla posizione di Platone.E se sono due cose diverse, corporeità ed estensione,come e perchè stanno insieme apriori? È il problemametafisico più grave, il problema dell'unificazione co-stitutiva delle singole cose in quanto tali. Questa unifi-cazione è schietta sintesi fatta dai soggetti pensanti opresuppone una oggettiva connessione che i soggettianalizzano, per poterla poi ricostruire in sintesi? Così lasintesi presupporrebbe sempre un'analisi, e questa unnesso oggettivo che non si sa come risulti ai soggetti chelo analizzano. Giacchè Kant, come abbiamo già detto,non intende porre e risolvere solo un problema logico,di schietta logica formale, che non riguardi la realtà diciò che si pensa. Non saremmo nella conoscenza.

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come pesante so qualche cosa più di prima, e qualchecosa di realmente appartenente al corpo).

A nostro avviso questa distinzione dei giudizi in ana-litici e sintetici non è qualche cosa che abbia soltanto unvalore psicologico, che varî cioè secondo le personegiudicanti. Kant intende che essa abbia valore anche lo-gico, anzi ontologico.

Una volta però ammessa come oggettiva questa di-stinzione, nasce una grande difficoltà riguardo ai giudizianalitici e un grosso problema riguardo a quelli sintetici.

La difficoltà dei primi: se vi sono giudizi che sonoanalitici sempre e per tutti i pensanti, non devono i con-cetti che sono soggetti di tali giudizi ritenersi dei veri epropri concetti innati? E così: il concetto di corpo estesoè innato? In tal caso saremmo alla posizione di Platone.E se sono due cose diverse, corporeità ed estensione,come e perchè stanno insieme apriori? È il problemametafisico più grave, il problema dell'unificazione co-stitutiva delle singole cose in quanto tali. Questa unifi-cazione è schietta sintesi fatta dai soggetti pensanti opresuppone una oggettiva connessione che i soggettianalizzano, per poterla poi ricostruire in sintesi? Così lasintesi presupporrebbe sempre un'analisi, e questa unnesso oggettivo che non si sa come risulti ai soggetti chelo analizzano. Giacchè Kant, come abbiamo già detto,non intende porre e risolvere solo un problema logico,di schietta logica formale, che non riguardi la realtà diciò che si pensa. Non saremmo nella conoscenza.

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Questa considerazione ci apre la via a quello che ab-biamo detto grosso problema della sintesi. Per noi Kantintende per sinteticità anche il riferimento del giudizio,come atto mentale, alla esistenziale (e non puramenteessenziale) realtà della cosa che è oggetto di quel giudi-zio; cioè la conoscenza è sintetica quando intende larealtà nella sua esistenza.

Ci sono perciò due aspetti della sinteticità:1) logico: ampliamento del concetto del soggetto;2) ontologico, reale: riferimento di quell'atto conosciti-vo, con cui ampliamo un concetto, alla stessa esisten-ziale realtà dell'oggetto di quel concetto.

La scienza, per Kant, deve dunque essere analitica osintetica? Quantunque apriori, essa deve essere sinteti-ca, perchè, se fosse analitica, non avrebbe questo riferi-mento alla realtà esistente; sarebbe soltanto un'analisidel nostro mondo mentale, di essenze pensate; non sa-rebbe, come invece deve essere, quella conoscenza ne-cessaria che dà valore di conoscenza alla stessa espe-rienza. Chiusa nella sua analiticità, non avrebbe rappor-to di sorta con l'esperienza.

Conoscere non è fantasticare, nè chiudersi in un mon-do di relazioni ideali; è sapere le cose come stanno. Per-ciò il conoscere in generale deve essere sintetico; il co-noscere scientifico poi, per essere universale e necessa-rio, deve essere sintetico apriori. Si pensi alla Criticacome questa scienza nuova dell'apriori che è oggettivo(lez. IV) e ci si porrà in condizione di intendere la sinte-si kantiana.

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Questa considerazione ci apre la via a quello che ab-biamo detto grosso problema della sintesi. Per noi Kantintende per sinteticità anche il riferimento del giudizio,come atto mentale, alla esistenziale (e non puramenteessenziale) realtà della cosa che è oggetto di quel giudi-zio; cioè la conoscenza è sintetica quando intende larealtà nella sua esistenza.

Ci sono perciò due aspetti della sinteticità:1) logico: ampliamento del concetto del soggetto;2) ontologico, reale: riferimento di quell'atto conosciti-vo, con cui ampliamo un concetto, alla stessa esisten-ziale realtà dell'oggetto di quel concetto.

La scienza, per Kant, deve dunque essere analitica osintetica? Quantunque apriori, essa deve essere sinteti-ca, perchè, se fosse analitica, non avrebbe questo riferi-mento alla realtà esistente; sarebbe soltanto un'analisidel nostro mondo mentale, di essenze pensate; non sa-rebbe, come invece deve essere, quella conoscenza ne-cessaria che dà valore di conoscenza alla stessa espe-rienza. Chiusa nella sua analiticità, non avrebbe rappor-to di sorta con l'esperienza.

Conoscere non è fantasticare, nè chiudersi in un mon-do di relazioni ideali; è sapere le cose come stanno. Per-ciò il conoscere in generale deve essere sintetico; il co-noscere scientifico poi, per essere universale e necessa-rio, deve essere sintetico apriori. Si pensi alla Criticacome questa scienza nuova dell'apriori che è oggettivo(lez. IV) e ci si porrà in condizione di intendere la sinte-si kantiana.

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Dobbiamo ora intendere come ci sia questa sinteticitàapriori nella scienza.

Così il problema della metafisica, nell'accomunarsi diquesta con tutte le altre scienze, diviene il problema ge-nerale della conoscenza sintetica apriori. È però sempreil problema della metafisica quello che dobbiamo risol-vere; si hanno perciò quelli che sono i quattro gradi disviluppo del problema (p. 47).

Intendendo con chiarezza questa impostazione delproblema della metafisica in quanto scienza, sapremoquello che deve intendersi, stando a Kant, per carattere«trascendentale», col quale Kant qualifica la sua Criticaquando la dice filosofia. La Critica è filosofia trascen-dentale, perchè, più che rivolgersi a conoscere le cose, sirivolge a conoscere il conoscere, fa suo oggetto la scien-za come tale. La conoscenza ha un certo oggetto, al qua-le si rivolge, e fino a Kant si attuava in questa sua con-cretezza. Kant invece afferma che prima di dire se equali sono le cose che conosciamo, occorre che noi fac-ciamo oggetto di conoscenza la conoscenza stessa, oc-corre che per un momento dimentichiamo di dover co-noscere le cose e ci occupiamo invece del conoscerestesso, che facciamo oggetto del conoscere il conoscere:trascendentale è la conoscenza in quanto ha a suo og-getto se stessa (cfr. lez. IV).

Intesa così la Critica come filosofia trascendentale,esaminiamo i quattro gradi della questione:1) come è possibile la matematica pura;

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Dobbiamo ora intendere come ci sia questa sinteticitàapriori nella scienza.

Così il problema della metafisica, nell'accomunarsi diquesta con tutte le altre scienze, diviene il problema ge-nerale della conoscenza sintetica apriori. È però sempreil problema della metafisica quello che dobbiamo risol-vere; si hanno perciò quelli che sono i quattro gradi disviluppo del problema (p. 47).

Intendendo con chiarezza questa impostazione delproblema della metafisica in quanto scienza, sapremoquello che deve intendersi, stando a Kant, per carattere«trascendentale», col quale Kant qualifica la sua Criticaquando la dice filosofia. La Critica è filosofia trascen-dentale, perchè, più che rivolgersi a conoscere le cose, sirivolge a conoscere il conoscere, fa suo oggetto la scien-za come tale. La conoscenza ha un certo oggetto, al qua-le si rivolge, e fino a Kant si attuava in questa sua con-cretezza. Kant invece afferma che prima di dire se equali sono le cose che conosciamo, occorre che noi fac-ciamo oggetto di conoscenza la conoscenza stessa, oc-corre che per un momento dimentichiamo di dover co-noscere le cose e ci occupiamo invece del conoscerestesso, che facciamo oggetto del conoscere il conoscere:trascendentale è la conoscenza in quanto ha a suo og-getto se stessa (cfr. lez. IV).

Intesa così la Critica come filosofia trascendentale,esaminiamo i quattro gradi della questione:1) come è possibile la matematica pura;

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2) come è possibile la fisica pura (la scienza pura dellanatura);3) perchè c'è nello spirito umano l'esigenza metafisicache per Kant è innegabile, anche se fino a lui non avevaancora dato luogo ad una vera e propria scienza; 4) come è possibile la metafisica come scienza (v. titolocompleto dell'opera: «Prolegomeni ad ogni futura meta-fisica, che si potrà presentare come scienza»).

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2) come è possibile la fisica pura (la scienza pura dellanatura);3) perchè c'è nello spirito umano l'esigenza metafisicache per Kant è innegabile, anche se fino a lui non avevaancora dato luogo ad una vera e propria scienza; 4) come è possibile la metafisica come scienza (v. titolocompleto dell'opera: «Prolegomeni ad ogni futura meta-fisica, che si potrà presentare come scienza»).

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PARTE PRIMAPRIMO GRADO DEL PROBLEMA

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PARTE PRIMAPRIMO GRADO DEL PROBLEMA

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VILA MATEMATICA E L'INTUIZIONE

PURA

La possibilità della scienza matematica (paragr. 6-10).Apriorità e sinteticità matematica. Difficoltàdell'intuizione pura apriori e le due distinzioni con lequali Kant risolve la difficoltà. Il problema della for-ma del sentire (paragr. 9, nota 34).

La matematica pura, che è la scienza da tutti ricono-sciuta come scienza (scienza = «pura conoscenza dellaragione» perchè solo in tal caso è universale e necessa-ria), è anche tutta, da parte a parte, sintetica. Hume, dalquale Kant prende motivo, aveva affermato che la mate-matica non è sintetica ma analitica, perchè si risolve inrelazioni tra idee. Per Hume tutto il campo della cono-scenza si divide in due sfere: relazioni tra idee e que-stioni di fatto; soltanto nelle relazioni tra idee c'è neces-sità (fondata sul principio di non contraddizione), maesse non costituiscono conoscenza reale. Questa devecogliere le cose come tali; ora in tale conoscenza realenon c'è alcuna necessità, cioè tale conoscenza reale nonè raggiunta. Hume riconosce che le matematiche asseve-rano con necessità, ma, in coerenza della affermata loro

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VILA MATEMATICA E L'INTUIZIONE

PURA

La possibilità della scienza matematica (paragr. 6-10).Apriorità e sinteticità matematica. Difficoltàdell'intuizione pura apriori e le due distinzioni con lequali Kant risolve la difficoltà. Il problema della for-ma del sentire (paragr. 9, nota 34).

La matematica pura, che è la scienza da tutti ricono-sciuta come scienza (scienza = «pura conoscenza dellaragione» perchè solo in tal caso è universale e necessa-ria), è anche tutta, da parte a parte, sintetica. Hume, dalquale Kant prende motivo, aveva affermato che la mate-matica non è sintetica ma analitica, perchè si risolve inrelazioni tra idee. Per Hume tutto il campo della cono-scenza si divide in due sfere: relazioni tra idee e que-stioni di fatto; soltanto nelle relazioni tra idee c'è neces-sità (fondata sul principio di non contraddizione), maesse non costituiscono conoscenza reale. Questa devecogliere le cose come tali; ora in tale conoscenza realenon c'è alcuna necessità, cioè tale conoscenza reale nonè raggiunta. Hume riconosce che le matematiche asseve-rano con necessità, ma, in coerenza della affermata loro

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appartenenza alle relazioni tra idee, osserva che la mate-matica non riguarda la realtà ma soltanto le relazioni traidee. Essa è sapere analitico; si risolve nel chiarire quel-le relazioni che abbiamo ammesse nel costituire le idee.

Kant non accetta questo: per lui non è vero ciò cheHume dice che la matematica non riguardi la realtà esi-stenziale come tale, cioè che sia solo sapere analitico;essa è anche sapere sintetico; non è vero che nelle anali-si matematiche ritroviamo nel predicato solo ciò che giàc'era nel soggetto; non è vero che esse non abbiano rife-rimento alla realtà (il 12, che io ottengo dalla somma di7 più 5, è qualche cosa di nuovo, ed è qualche cosa direale). Per Kant la matematica è sintetica perchè ri-guarda la realtà, investe la realtà; non è pura astrazio-ne ideale (vedi a pag. 48 e nota a pag. 30: concezionekantiana della conoscenza humiana).

Come è possibile alla ragione umana effettuare unatale conoscenza sintetica, reale e pur tuttavia aprioricom'è la matematica?... (vedi paragr. 7 a pag. 48). «Ogniconoscenza matematica ha questa caratteristica che ilsuo concetto lo deve presentare prima nella intuizioneapriori».

Questa intuizione, che, secondo Kant, caratterizza lematematiche (vedi paragr. 8 a pag. 50), è la rappresen-tazione quale dipenderebbe immediatamente dalla pre-senza dell'oggetto. Matematicizzare non è discorrere, èintuire, perchè gli enti matematici sono intuitivi, sonosingolari, sono unità oggettive. Il sapere matematico èdeterminazione apriori di tali enti matematici, che non

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appartenenza alle relazioni tra idee, osserva che la mate-matica non riguarda la realtà ma soltanto le relazioni traidee. Essa è sapere analitico; si risolve nel chiarire quel-le relazioni che abbiamo ammesse nel costituire le idee.

Kant non accetta questo: per lui non è vero ciò cheHume dice che la matematica non riguardi la realtà esi-stenziale come tale, cioè che sia solo sapere analitico;essa è anche sapere sintetico; non è vero che nelle anali-si matematiche ritroviamo nel predicato solo ciò che giàc'era nel soggetto; non è vero che esse non abbiano rife-rimento alla realtà (il 12, che io ottengo dalla somma di7 più 5, è qualche cosa di nuovo, ed è qualche cosa direale). Per Kant la matematica è sintetica perchè ri-guarda la realtà, investe la realtà; non è pura astrazio-ne ideale (vedi a pag. 48 e nota a pag. 30: concezionekantiana della conoscenza humiana).

Come è possibile alla ragione umana effettuare unatale conoscenza sintetica, reale e pur tuttavia aprioricom'è la matematica?... (vedi paragr. 7 a pag. 48). «Ogniconoscenza matematica ha questa caratteristica che ilsuo concetto lo deve presentare prima nella intuizioneapriori».

Questa intuizione, che, secondo Kant, caratterizza lematematiche (vedi paragr. 8 a pag. 50), è la rappresen-tazione quale dipenderebbe immediatamente dalla pre-senza dell'oggetto. Matematicizzare non è discorrere, èintuire, perchè gli enti matematici sono intuitivi, sonosingolari, sono unità oggettive. Il sapere matematico èdeterminazione apriori di tali enti matematici, che non

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sono però i materiali visibili enti, di cui ci si serve pernecessità nelle nostre dimostrazioni matematiche: sonoenti intuitivi puri, non materiati, non qualificati sensibil-mente.

Il sapere-intuizione è il carattere delle matematiche adifferenza del sapere filosofico: in filosofia troveremosempre un discorrere, cioè un cogliere la vita stessa delconcetto in quanto nesso giudicativo; la filosoficità stain questo discorrere il concetto come tale.

Il sapere intuitivo è proprio delle matematiche.Il sapere discorsivo è proprio della filosofia.Queste due specie di sapere però si accomunano nella

purezza, cioè nella indipendenza dalla esperienza, nellaapriorità. E perciò anche l'intuizione, che è fondamentoed oggetto del sapere matematico, deve essere pura; lasinteticità non deve essere a discapito della apriorità,perchè, se no, la matematica non sarebbe conoscenzauniversale necessaria e quindi non sarebbe scienza.

Tale intuitività, però, non esclude la concettualità del-la matematica: Kant dice che la matematica si ha percostruzione di concetti: si parte da intuizioni, si formanocon esse e di esse i concetti e si arriva a nuove intuizioni(processo sintetico del matematizzare) che sono i predi-cati dei giudizi matematici nella loro costruzione con-cettuale.

Se scopriamo dunque l'intuizione pura avremo il se-greto del sapere matematico (vedi paragr. 8 a pag. 50).La intuizione pura costituisce una difficoltà, perchè in-tuizione è rappresentazione quale dipenderebbe imme-

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sono però i materiali visibili enti, di cui ci si serve pernecessità nelle nostre dimostrazioni matematiche: sonoenti intuitivi puri, non materiati, non qualificati sensibil-mente.

Il sapere-intuizione è il carattere delle matematiche adifferenza del sapere filosofico: in filosofia troveremosempre un discorrere, cioè un cogliere la vita stessa delconcetto in quanto nesso giudicativo; la filosoficità stain questo discorrere il concetto come tale.

Il sapere intuitivo è proprio delle matematiche.Il sapere discorsivo è proprio della filosofia.Queste due specie di sapere però si accomunano nella

purezza, cioè nella indipendenza dalla esperienza, nellaapriorità. E perciò anche l'intuizione, che è fondamentoed oggetto del sapere matematico, deve essere pura; lasinteticità non deve essere a discapito della apriorità,perchè, se no, la matematica non sarebbe conoscenzauniversale necessaria e quindi non sarebbe scienza.

Tale intuitività, però, non esclude la concettualità del-la matematica: Kant dice che la matematica si ha percostruzione di concetti: si parte da intuizioni, si formanocon esse e di esse i concetti e si arriva a nuove intuizioni(processo sintetico del matematizzare) che sono i predi-cati dei giudizi matematici nella loro costruzione con-cettuale.

Se scopriamo dunque l'intuizione pura avremo il se-greto del sapere matematico (vedi paragr. 8 a pag. 50).La intuizione pura costituisce una difficoltà, perchè in-tuizione è rappresentazione quale dipenderebbe imme-

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diatamente dalla presenza dell'oggetto e perciò intuireapriori non dovrebbe essere possibile. Per Kant i con-cetti sono di tal natura che si possono concepire apriori;ma dovremo dire lo stesso dell'intuizione? Per risponde-re a questa domanda bisogna avere ben chiare e presentidue distinzioni che fa Kant (vedi paragr. 9).

1) L'una riguardante la realtà; e cioè la distinzionedell'inseità (l'essere in sè della cosa) dal fenomeno: lacosa in sè non è il suo fenomeno, e perciò la presenzadell'oggetto al soggetto intuente e cioè senziente nondarà mai l'intuizione della cosa in sè, ma solo del suo fe-nomeno.

2) L'altra distinzione riguarda il nostro stesso rappre-sentare, il nostro atto di conoscenza in genere, nel qualesi deve distinguere la forma dalla materia. La forma è lostesso conoscere in quanto tale. E quindi la forma delconoscere intuitivo è lo stesso intuire: nè più nè meno.Intuire, che è nello stesso tempo cogliere il fenomeno efenomenizzare.

Io, in quanto intuente geometricamente, sono spaziopuro.

Poste queste due distinzioni, è possibile ammettereuna intuizione pura apriori («pura» e «apriori» sono lastessa cosa considerata sotto due aspetti).

La intuizione, in generale, pare la negazionedell'apriori; pure per Kant non è tale. Se ci sono intui-zioni, per empiriche e provenienti dal di fuori che questepossano essere nella loro concretezza, deve esserci innoi un intuire; orbene questo nostro intuire è la forma

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diatamente dalla presenza dell'oggetto e perciò intuireapriori non dovrebbe essere possibile. Per Kant i con-cetti sono di tal natura che si possono concepire apriori;ma dovremo dire lo stesso dell'intuizione? Per risponde-re a questa domanda bisogna avere ben chiare e presentidue distinzioni che fa Kant (vedi paragr. 9).

1) L'una riguardante la realtà; e cioè la distinzionedell'inseità (l'essere in sè della cosa) dal fenomeno: lacosa in sè non è il suo fenomeno, e perciò la presenzadell'oggetto al soggetto intuente e cioè senziente nondarà mai l'intuizione della cosa in sè, ma solo del suo fe-nomeno.

2) L'altra distinzione riguarda il nostro stesso rappre-sentare, il nostro atto di conoscenza in genere, nel qualesi deve distinguere la forma dalla materia. La forma è lostesso conoscere in quanto tale. E quindi la forma delconoscere intuitivo è lo stesso intuire: nè più nè meno.Intuire, che è nello stesso tempo cogliere il fenomeno efenomenizzare.

Io, in quanto intuente geometricamente, sono spaziopuro.

Poste queste due distinzioni, è possibile ammettereuna intuizione pura apriori («pura» e «apriori» sono lastessa cosa considerata sotto due aspetti).

La intuizione, in generale, pare la negazionedell'apriori; pure per Kant non è tale. Se ci sono intui-zioni, per empiriche e provenienti dal di fuori che questepossano essere nella loro concretezza, deve esserci innoi un intuire; orbene questo nostro intuire è la forma

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kantiana apriori del senso: in fondo il concetto kantianodi forma è l'approfondimento del concetto scolastico difacoltà. Approfondimento, perchè è tolta quella essenzaquasi di potere a vuoto, di pura potenza senza atto, checostituisce la facoltà scolastica; Kant fa sentire che que-sta pretesa facoltà che lo spirito potrebbe, o no, esercita-re, pur sempre avendola, non è che l'atto stesso vistonella sua purezza, nel suo essere quell'atto che è sempre,di qualunque sua determinazione si tratti.

C'è però un problema di questa forma del sentire, diquesto intuire puro: Kant qualche volta dice esplicita-mente che il conoscere non intellettivo è informe, cioèsenza forma, molteplice, caotico, senza oggettività.Come, dunque, si può mai parlare di un intuire puro, diuna forma del sentire? Non pretendiamo di risolvere ilproblema in due parole. Ricordiamo soltanto che quellacaoticità, quella assenza di forma, per Kant, devesi rife-rire soltanto alla forma intellettiva. Ma il dualismo co-noscitivo di sentire e intendere in Kant è innegabile.Forma dell'intendere è il puro concepire, del sentire èl'intuizione pura.

Il senso non è discorsivo, ma unicamente intuitivo; eviceversa l'intelletto non è intuitivo, ma discorsivo (giu-dicativo). Se ammettiamo che ci siano intuizioni, e perKant ciò è innegabile, dobbiamo ammettere che ci siaun intuire puro: il segreto della matematica ci è svelato.

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kantiana apriori del senso: in fondo il concetto kantianodi forma è l'approfondimento del concetto scolastico difacoltà. Approfondimento, perchè è tolta quella essenzaquasi di potere a vuoto, di pura potenza senza atto, checostituisce la facoltà scolastica; Kant fa sentire che que-sta pretesa facoltà che lo spirito potrebbe, o no, esercita-re, pur sempre avendola, non è che l'atto stesso vistonella sua purezza, nel suo essere quell'atto che è sempre,di qualunque sua determinazione si tratti.

C'è però un problema di questa forma del sentire, diquesto intuire puro: Kant qualche volta dice esplicita-mente che il conoscere non intellettivo è informe, cioèsenza forma, molteplice, caotico, senza oggettività.Come, dunque, si può mai parlare di un intuire puro, diuna forma del sentire? Non pretendiamo di risolvere ilproblema in due parole. Ricordiamo soltanto che quellacaoticità, quella assenza di forma, per Kant, devesi rife-rire soltanto alla forma intellettiva. Ma il dualismo co-noscitivo di sentire e intendere in Kant è innegabile.Forma dell'intendere è il puro concepire, del sentire èl'intuizione pura.

Il senso non è discorsivo, ma unicamente intuitivo; eviceversa l'intelletto non è intuitivo, ma discorsivo (giu-dicativo). Se ammettiamo che ci siano intuizioni, e perKant ciò è innegabile, dobbiamo ammettere che ci siaun intuire puro: il segreto della matematica ci è svelato.

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VIILA SINTETICITÀ DELLA MATEMATICA:

FORMA E REALTÀ

a) Il concetto kantiano di forma. Deduzione della formadel sentire dal sapere matematico (paragr. X). Solu-zione del problema della matematica: riduzione diquesta al sentire puro; esclusione del sentire empiri-co dal sapere scientifico. b) Presupposta obbiezionesulla non realtà della matematica. Risposta che Kantdà a questa obbiezione: 1) tale realtà non può essereinseità delle cose (paragr. 11, 12, 13 - osserv. I): 2)ma delle cose è richiesta l'esistenza proprio dal senti-re (osservaz. II).

La forma kantiana dunque è l'atto puro caratteristicodi ogni conoscere. Quindi ai due tipi fondamentali di co-noscenza corrispondono due tipiche forme di conoscere:la forma intuitiva e quella concettuale. Accanto alla for-ma, per la seconda delle distinzioni già poste (lez. VI: 1°inseità e fenomenicità; 2° forma e materia) c'è, in ogniconoscere e quindi anche in quello intuitivo (senso), lamateria di quel conoscere, ineliminabile anch'essa: ma-teria del conoscere che è sempre un quid conosciuto. Ortutto questo atto conoscitivo-intuitivo, costituito di ma-

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VIILA SINTETICITÀ DELLA MATEMATICA:

FORMA E REALTÀ

a) Il concetto kantiano di forma. Deduzione della formadel sentire dal sapere matematico (paragr. X). Solu-zione del problema della matematica: riduzione diquesta al sentire puro; esclusione del sentire empiri-co dal sapere scientifico. b) Presupposta obbiezionesulla non realtà della matematica. Risposta che Kantdà a questa obbiezione: 1) tale realtà non può essereinseità delle cose (paragr. 11, 12, 13 - osserv. I): 2)ma delle cose è richiesta l'esistenza proprio dal senti-re (osservaz. II).

La forma kantiana dunque è l'atto puro caratteristicodi ogni conoscere. Quindi ai due tipi fondamentali di co-noscenza corrispondono due tipiche forme di conoscere:la forma intuitiva e quella concettuale. Accanto alla for-ma, per la seconda delle distinzioni già poste (lez. VI: 1°inseità e fenomenicità; 2° forma e materia) c'è, in ogniconoscere e quindi anche in quello intuitivo (senso), lamateria di quel conoscere, ineliminabile anch'essa: ma-teria del conoscere che è sempre un quid conosciuto. Ortutto questo atto conoscitivo-intuitivo, costituito di ma-

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teria e forma, rimane senza alcun rapporto con quellaprima distinzione (inseità - fenomenicità), senza dellaquale neppure la seconda (materia - forma) si intende epuò porsi? Evidentemente no. Quella realtà che nondeve sfuggire al conoscere perchè esso sia tale, gli sfug-girebbe senz'altro, se essa non è che un «insè - fenome-no». E neppure l'intuire sarebbe intuire, se è vero, comeabbiamo visto nella lezione precedente, che esso richie-de l'immediata presenza dell'oggetto. La realtà è dunquepresente, proprio come tale, nel conoscere intuitivo; maè presente come fenomeno.

L'intuizione è dunque della reale fenomenicità, cioèl'intuire è fenomenizzare; il fenomeno è intuìto, e l'intui-zione è fenomenica. Or quando, come nelle matemati-che, intuire è puro, è puro anche il fenomenizzare: nellematematiche c'è, dunque, di reale il fenomeno puro, checome forma è apriori. Quando, per es., sentiamo un ta-volo, siamo, riguardo alla realtà, nella fenomenicità, laquale è pura per lo spazio, cioè nella figura matematicadel tavolo, ma empirica per le qualità tattili di levigatez-za, durezza, ecc.

Kant individua così l'antico problema dello spazio;per lui l'intuire esterno (vedremo poi questa distinzionedi esterno ed interno) è spazieggiare: la coscienza nonpuò avere immagine di una cosa senza figurarla e collo-carla. Egli dice esplicitamente (pag. 53): «Noi possiamointuir cose apriori per mezzo della forma della intuizio-ne sensitiva», possiamo, cioè, intuire l'intuire come in-tuire, in quanto non possiamo non aver coscienza

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teria e forma, rimane senza alcun rapporto con quellaprima distinzione (inseità - fenomenicità), senza dellaquale neppure la seconda (materia - forma) si intende epuò porsi? Evidentemente no. Quella realtà che nondeve sfuggire al conoscere perchè esso sia tale, gli sfug-girebbe senz'altro, se essa non è che un «insè - fenome-no». E neppure l'intuire sarebbe intuire, se è vero, comeabbiamo visto nella lezione precedente, che esso richie-de l'immediata presenza dell'oggetto. La realtà è dunquepresente, proprio come tale, nel conoscere intuitivo; maè presente come fenomeno.

L'intuizione è dunque della reale fenomenicità, cioèl'intuire è fenomenizzare; il fenomeno è intuìto, e l'intui-zione è fenomenica. Or quando, come nelle matemati-che, intuire è puro, è puro anche il fenomenizzare: nellematematiche c'è, dunque, di reale il fenomeno puro, checome forma è apriori. Quando, per es., sentiamo un ta-volo, siamo, riguardo alla realtà, nella fenomenicità, laquale è pura per lo spazio, cioè nella figura matematicadel tavolo, ma empirica per le qualità tattili di levigatez-za, durezza, ecc.

Kant individua così l'antico problema dello spazio;per lui l'intuire esterno (vedremo poi questa distinzionedi esterno ed interno) è spazieggiare: la coscienza nonpuò avere immagine di una cosa senza figurarla e collo-carla. Egli dice esplicitamente (pag. 53): «Noi possiamointuir cose apriori per mezzo della forma della intuizio-ne sensitiva», possiamo, cioè, intuire l'intuire come in-tuire, in quanto non possiamo non aver coscienza

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dell'intuire. Ogni intuizione empirica (sensibilmentequalitativa) non può non avere la sua purezza intuitiva(non essere cioè proprio una intuizione) e cioè non ave-re la sua apriorità: esteriormente essa è sempre spazieg-giata. Spazio e tempo sono intuizioni pure, che la mate-matica ha a sua disposizione. Ci troviamo davanti ad untipo di conoscenza reale, per quanto fenomenica. Ap-profondiamoci nella matematica, vediamone gli oggettiprimi ineliminabili, non vi troveremo che spazio e tem-po, cioè proprio quelle due intuizioni pure, delle qualinessuna intuizione empirica può fare a meno.

Kant deduce dunque dalla stessa matematica le formepure del concreto intuire dell'uomo come ente conosciti-vo che sente il mondo in cui vive. Ecco la sinteticità del-la matematica, accoppiata alla sua purezza.

La sinteticità, ricordiamo, significa per Kant:1) il riunirsi di più elementi a formare qualche cosa exnovo (il 7, il + e il 5 come elementi da sintetizzare nonsono il 12, che è il quid nuovo che pur non è che sintesidi quegli elementi);2) realtà di questo quid risultante da questa sintesi.

Entrambi questi valori della sintesi kantiana son da ri-cercare nella sintesi matematica.

La sinteticità era un problema che già Locke da unaparte e Leibniz dall'altra si eran posto: come spiegare lariunione degli attributi a formare una cosa (es. l'oro),come spiegare la coesistenza, la coerenza, l'unità degliattributi costituenti una cosa? (aspetto gnoseologico, maanche riferentesi alla realtà: lato realistico, fisico).

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dell'intuire. Ogni intuizione empirica (sensibilmentequalitativa) non può non avere la sua purezza intuitiva(non essere cioè proprio una intuizione) e cioè non ave-re la sua apriorità: esteriormente essa è sempre spazieg-giata. Spazio e tempo sono intuizioni pure, che la mate-matica ha a sua disposizione. Ci troviamo davanti ad untipo di conoscenza reale, per quanto fenomenica. Ap-profondiamoci nella matematica, vediamone gli oggettiprimi ineliminabili, non vi troveremo che spazio e tem-po, cioè proprio quelle due intuizioni pure, delle qualinessuna intuizione empirica può fare a meno.

Kant deduce dunque dalla stessa matematica le formepure del concreto intuire dell'uomo come ente conosciti-vo che sente il mondo in cui vive. Ecco la sinteticità del-la matematica, accoppiata alla sua purezza.

La sinteticità, ricordiamo, significa per Kant:1) il riunirsi di più elementi a formare qualche cosa exnovo (il 7, il + e il 5 come elementi da sintetizzare nonsono il 12, che è il quid nuovo che pur non è che sintesidi quegli elementi);2) realtà di questo quid risultante da questa sintesi.

Entrambi questi valori della sintesi kantiana son da ri-cercare nella sintesi matematica.

La sinteticità era un problema che già Locke da unaparte e Leibniz dall'altra si eran posto: come spiegare lariunione degli attributi a formare una cosa (es. l'oro),come spiegare la coesistenza, la coerenza, l'unità degliattributi costituenti una cosa? (aspetto gnoseologico, maanche riferentesi alla realtà: lato realistico, fisico).

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Per Kant questa unificazione, questa sintesi, per cuiciascuna cosa è una cosa, è costituita dalla sua intuizio-ne pura spaziale - temporale: intuizione pura, che perciòè qualche cosa di consapevole e di reale insieme, è in-tuizione e fenomeno, è coscienza e realtà. Geometrizza-re è spazializzare, e le cose, nella realtà a noi risultante,sono spaziali. Ci deve essere lo spazio perchè c'è la geo-metria, che è certo una scienza, e della quale lo spazio èl'oggetto ineliminabile. Il tempo invece è l'oggettodell'aritmetica e della meccanica; contare è temporaleg-giare, per contare c'è bisogno dei momenti successivi ditempo. Dunque l'intuire puro che costituisce la matema-tica, in quanto è intuire apriori, è spazio e tempo, per-chè queste due intuizioni ci sono date dalle due branchematematiche come ineliminabili loro oggetti. Se spazioe tempo non fossero in nessun modo, le matematiche sa-rebbero un assurdo impossibile a realizzarsi. Ma assurdoqueste anche sarebbero, se essi fossero comunque cosein sè o loro appartenenze.

Kant nel paragr. 11 (v. pag. 56) considera ormai riso-luto il problema relativo alla prima questione: come èpossibile la matematica pura? La matematica è il nostrosentire puro, è la nostra capacità di sentire e cioè di es-sere a contatto con la realtà, di intuirla; e quindi pos-siamo farla apriori senza bisogno della esperienza; mase la matematica si fa perchè è nostro sentire puro e cosìsi fa come scienza, allora l'intuire non puro non fascienza. Il fenomeno puro soltanto è scientificabile; ilfenomeno empirico non avrà mai l'universalità e la ne-

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Per Kant questa unificazione, questa sintesi, per cuiciascuna cosa è una cosa, è costituita dalla sua intuizio-ne pura spaziale - temporale: intuizione pura, che perciòè qualche cosa di consapevole e di reale insieme, è in-tuizione e fenomeno, è coscienza e realtà. Geometrizza-re è spazializzare, e le cose, nella realtà a noi risultante,sono spaziali. Ci deve essere lo spazio perchè c'è la geo-metria, che è certo una scienza, e della quale lo spazio èl'oggetto ineliminabile. Il tempo invece è l'oggettodell'aritmetica e della meccanica; contare è temporaleg-giare, per contare c'è bisogno dei momenti successivi ditempo. Dunque l'intuire puro che costituisce la matema-tica, in quanto è intuire apriori, è spazio e tempo, per-chè queste due intuizioni ci sono date dalle due branchematematiche come ineliminabili loro oggetti. Se spazioe tempo non fossero in nessun modo, le matematiche sa-rebbero un assurdo impossibile a realizzarsi. Ma assurdoqueste anche sarebbero, se essi fossero comunque cosein sè o loro appartenenze.

Kant nel paragr. 11 (v. pag. 56) considera ormai riso-luto il problema relativo alla prima questione: come èpossibile la matematica pura? La matematica è il nostrosentire puro, è la nostra capacità di sentire e cioè di es-sere a contatto con la realtà, di intuirla; e quindi pos-siamo farla apriori senza bisogno della esperienza; mase la matematica si fa perchè è nostro sentire puro e cosìsi fa come scienza, allora l'intuire non puro non fascienza. Il fenomeno puro soltanto è scientificabile; ilfenomeno empirico non avrà mai l'universalità e la ne-

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cessità che lo costituiscono scienza, anche se ha quellasinteticità che si risolve in quella sinteticità apriori, checostituisce cosa la cosa.

A fondamento della matematica pura c'è dunquel'intuizione pura dello spazio e del tempo; essa non è al-tro che la semplice forma della sensitività, forma cheviene prima dell'esperienza («prima» nel senso di indi-pendentemente), in quanto cioè proprio essa forma ren-de possibile questa apparizione reale degli oggetti sentiticon le loro qualità sensibili, le quali ultime però, perKant, non interessano la scienza: il sapore, l'odore, il co-lore, il suono, ecc. non saranno mai suscettibili di scien-za, perché imprescindibilmente soggettivi, non necessaried universali perchè non apriori, e quindi incapaci, inettiad essere oggetti di scienza (problema delle qualità delsentire).

Si presenta una obbiezione: se la matematica è soltan-to il nostro sentire puro, allora non è scienza della realtà,ma piuttosto una parte della psicologia. Kant sente que-sta difficoltà (paragr. 11, 12, 13, osserv. 1a). Risponde dauna parte confermando che la matematica non può ri-guardare l'in sè della realtà, proprio perchè è conoscen-za. Non è possibile che la matematica investa le cose insè: in questo tentativo sarebbe perduto il conoscere enon sarebbe guadagnata la realtà. Noi prima intuiamomatematicamente (anche se matematici non ci diciamo),e poi andiamo con l'esperienza verso le cose che devonocorrispondere; l'esperienza risponde alla matematica enon viceversa. Se lo spazio fosse qualche cosa in sè o

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cessità che lo costituiscono scienza, anche se ha quellasinteticità che si risolve in quella sinteticità apriori, checostituisce cosa la cosa.

A fondamento della matematica pura c'è dunquel'intuizione pura dello spazio e del tempo; essa non è al-tro che la semplice forma della sensitività, forma cheviene prima dell'esperienza («prima» nel senso di indi-pendentemente), in quanto cioè proprio essa forma ren-de possibile questa apparizione reale degli oggetti sentiticon le loro qualità sensibili, le quali ultime però, perKant, non interessano la scienza: il sapore, l'odore, il co-lore, il suono, ecc. non saranno mai suscettibili di scien-za, perché imprescindibilmente soggettivi, non necessaried universali perchè non apriori, e quindi incapaci, inettiad essere oggetti di scienza (problema delle qualità delsentire).

Si presenta una obbiezione: se la matematica è soltan-to il nostro sentire puro, allora non è scienza della realtà,ma piuttosto una parte della psicologia. Kant sente que-sta difficoltà (paragr. 11, 12, 13, osserv. 1a). Risponde dauna parte confermando che la matematica non può ri-guardare l'in sè della realtà, proprio perchè è conoscen-za. Non è possibile che la matematica investa le cose insè: in questo tentativo sarebbe perduto il conoscere enon sarebbe guadagnata la realtà. Noi prima intuiamomatematicamente (anche se matematici non ci diciamo),e poi andiamo con l'esperienza verso le cose che devonocorrispondere; l'esperienza risponde alla matematica enon viceversa. Se lo spazio fosse qualche cosa in sè o

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fosse delle cose in sè, ciò non potrebbe avvenire. Lospazio è dunque proprio il mio sentire puro, ma solo inquanto esso è anche l'imprescindibile fenomeno dellecose. Ma d'altra parte alla stessa difficoltà (osserv. 2a,pag. 64) Kant risponde mettendo in evidenza che questoidentificare il fenomeno reale delle cose con l'intuirepuro del senziente non è affatto idealismo nè problema-tico (che metta cioè in dubbio l'effettiva esistenza dellecose in sè – Cartesio –) nè sognante (che cioè addiritturaneghi tale esistenza riducendo le cose a rappresentazio-ni). Prende così occasione per scolparsi della mossagliaccusa di idealismo. Egli è contro l'una e l'altra forma diidealismo: egli a nessun patto può ammettere che si pos-sa dubitare della esistenza delle cose e tanto meno che lesi possa ridurre a rappresentazione. Kant dice: è vero,l'essenza, della quale è costituita la cosa in sè, io non laintuisco col mio sentire, ma questo mio sentire è la pro-va che il mio conoscere in esso ha origine da qualchecosa di esistente che non sono io stesso senziente, cioèin questa essenza da me non conosciuta c'è una esisten-za che col suo fenomeno costituisce il sentire. L'intuireil fenomeno, o, meglio, l'intuizione fenomenica nonesclude ma anzi richiede la cosa esistente in sè al di sot-to di tal fenomeno. Che questo mondo esista, io sentointuendone soltanto il fenomeno. La ragione mi insegne-rà poi a non scambiare il fenomeno intuito con l'esisten-za richiesta da tal fenomeno; ma il mio sentire, insisteKant, non esclude ma richiede tale esistenza: esclusa

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fosse delle cose in sè, ciò non potrebbe avvenire. Lospazio è dunque proprio il mio sentire puro, ma solo inquanto esso è anche l'imprescindibile fenomeno dellecose. Ma d'altra parte alla stessa difficoltà (osserv. 2a,pag. 64) Kant risponde mettendo in evidenza che questoidentificare il fenomeno reale delle cose con l'intuirepuro del senziente non è affatto idealismo nè problema-tico (che metta cioè in dubbio l'effettiva esistenza dellecose in sè – Cartesio –) nè sognante (che cioè addiritturaneghi tale esistenza riducendo le cose a rappresentazio-ni). Prende così occasione per scolparsi della mossagliaccusa di idealismo. Egli è contro l'una e l'altra forma diidealismo: egli a nessun patto può ammettere che si pos-sa dubitare della esistenza delle cose e tanto meno che lesi possa ridurre a rappresentazione. Kant dice: è vero,l'essenza, della quale è costituita la cosa in sè, io non laintuisco col mio sentire, ma questo mio sentire è la pro-va che il mio conoscere in esso ha origine da qualchecosa di esistente che non sono io stesso senziente, cioèin questa essenza da me non conosciuta c'è una esisten-za che col suo fenomeno costituisce il sentire. L'intuireil fenomeno, o, meglio, l'intuizione fenomenica nonesclude ma anzi richiede la cosa esistente in sè al di sot-to di tal fenomeno. Che questo mondo esista, io sentointuendone soltanto il fenomeno. La ragione mi insegne-rà poi a non scambiare il fenomeno intuito con l'esisten-za richiesta da tal fenomeno; ma il mio sentire, insisteKant, non esclude ma richiede tale esistenza: esclusa

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questa, bisognerebbe escludere anche e il fenomeno e ilsentire e quindi anche ogni matematica.

La matematica, dunque, pur essendo il sentire puro,non per questo è qualcosa soltanto di psicologico, disoggettivo senza consistenza reale. Anche il sentire,anzi soprattutto il sentire dobbiamo considerare in quel-la imprescindibile unità col reale (lez. IV), la quale necostituisce la sinteticità, e lo rende conoscenza.

Così, e solo così, la matematica è scienza.

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questa, bisognerebbe escludere anche e il fenomeno e ilsentire e quindi anche ogni matematica.

La matematica, dunque, pur essendo il sentire puro,non per questo è qualcosa soltanto di psicologico, disoggettivo senza consistenza reale. Anche il sentire,anzi soprattutto il sentire dobbiamo considerare in quel-la imprescindibile unità col reale (lez. IV), la quale necostituisce la sinteticità, e lo rende conoscenza.

Così, e solo così, la matematica è scienza.

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VIIIL'IDEALISMO TRASCENDENTALE:

SOLUZIONE DEL PRIMO GRADO DELPROBLEMA

L'idealismo trascendentale come realismo che confutaogni altro idealismo (osservaz. III): idealità, fenome-no, parvenza. Concetto leibniziano e kantiano delsentire. Il sentire al limite in cui si origina la cono-scenza dalla esistenza: realismo e idealismo conse-guenti.

Nella osservazione IIa si era fissato questo: che èvero, e non può non essere così, che la realtà matemati-ca, cioè l'essenza delle cose dataci dalla matematica(essere estese ed avere una figura ovvero essere numera-te ed avere una quantità), non può essere l'essenza dellecose considerate in loro stesse; ma il dir questo già im-porta che questa cosa, la cui essenza non è quella mate-matica che io conosco, pur esista in sè, perchè altrimentinon ci sarebbe potuta essere questa mia determinazionematematica, cioè il mio sentire (idealistico e realistico).

Nell'osservazione IIIa Kant si propone di risolvere lastessa difficoltà: se spazio e tempo sono ideali, cioèpuro sentire, costitutivi della facoltà senziente del sog-

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VIIIL'IDEALISMO TRASCENDENTALE:

SOLUZIONE DEL PRIMO GRADO DELPROBLEMA

L'idealismo trascendentale come realismo che confutaogni altro idealismo (osservaz. III): idealità, fenome-no, parvenza. Concetto leibniziano e kantiano delsentire. Il sentire al limite in cui si origina la cono-scenza dalla esistenza: realismo e idealismo conse-guenti.

Nella osservazione IIa si era fissato questo: che èvero, e non può non essere così, che la realtà matemati-ca, cioè l'essenza delle cose dataci dalla matematica(essere estese ed avere una figura ovvero essere numera-te ed avere una quantità), non può essere l'essenza dellecose considerate in loro stesse; ma il dir questo già im-porta che questa cosa, la cui essenza non è quella mate-matica che io conosco, pur esista in sè, perchè altrimentinon ci sarebbe potuta essere questa mia determinazionematematica, cioè il mio sentire (idealistico e realistico).

Nell'osservazione IIIa Kant si propone di risolvere lastessa difficoltà: se spazio e tempo sono ideali, cioèpuro sentire, costitutivi della facoltà senziente del sog-

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getto ragionevole che è l'uomo, allora l'intero mondosensibile sarebbe pura parvenza. (Si ponga subito mentealla differenza fra parvenza e fenomeno: parvenza èqualche cosa di illusorio e di ingannevole; fenomenonon è illusione, ma è la faccia esteriore delle cose, qualedeve essere per quella costituzione che da una parte hal'uomo in quanto senziente, e dall'altra ha la realtà stes-sa, in quanto deve risultare al conoscente, il quale per-ciò e in ciò è fatto senziente).

Il mondo sensibile, dunque, si obbietta Kant, non ètutto illusione o allucinazione? Se è vero che spazio etempo non investono la essenza intima delle cose e que-ste cose pur le intuiamo e dobbiamo intuirle estese etemporanee, non sono esse una nostra comune allucina-zione? Non è vero; anzi, dice Kant, soltanto la mia dot-trina ci salva dalla allucinazione. Il perchè di questo èfondato su di una reintegrazione del concetto realisticodel sentire che era stato abolito dal Leibniz.

In Cartesio il sentire è un atto enigmatico: è nello spi-rito, ma non è spirituale; spirito è conoscenza e volontà;il cogito cartesiano ha questi due costitutivi essenziali:senza di essi non c'è cogito. Pure in questo si constata difatto un qualche cosa (il sentire), che non è essenziale alcogito ma soltanto c'è in esso. Questo sentire, con la suaeterogeneità allo spirito, fa presente allo spirito un qual-che cosa che non è spirito; ad es. io tocco una superficiee ne sento una estensione levigata; questo mio sentirecerto è dello spirito ma non gli è essenziale: indizio, se-condo Cartesio, che questo quid esteso - levigato, etero-

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getto ragionevole che è l'uomo, allora l'intero mondosensibile sarebbe pura parvenza. (Si ponga subito mentealla differenza fra parvenza e fenomeno: parvenza èqualche cosa di illusorio e di ingannevole; fenomenonon è illusione, ma è la faccia esteriore delle cose, qualedeve essere per quella costituzione che da una parte hal'uomo in quanto senziente, e dall'altra ha la realtà stes-sa, in quanto deve risultare al conoscente, il quale per-ciò e in ciò è fatto senziente).

Il mondo sensibile, dunque, si obbietta Kant, non ètutto illusione o allucinazione? Se è vero che spazio etempo non investono la essenza intima delle cose e que-ste cose pur le intuiamo e dobbiamo intuirle estese etemporanee, non sono esse una nostra comune allucina-zione? Non è vero; anzi, dice Kant, soltanto la mia dot-trina ci salva dalla allucinazione. Il perchè di questo èfondato su di una reintegrazione del concetto realisticodel sentire che era stato abolito dal Leibniz.

In Cartesio il sentire è un atto enigmatico: è nello spi-rito, ma non è spirituale; spirito è conoscenza e volontà;il cogito cartesiano ha questi due costitutivi essenziali:senza di essi non c'è cogito. Pure in questo si constata difatto un qualche cosa (il sentire), che non è essenziale alcogito ma soltanto c'è in esso. Questo sentire, con la suaeterogeneità allo spirito, fa presente allo spirito un qual-che cosa che non è spirito; ad es. io tocco una superficiee ne sento una estensione levigata; questo mio sentirecerto è dello spirito ma non gli è essenziale: indizio, se-condo Cartesio, che questo quid esteso - levigato, etero-

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geneo allo spirito pensante, c'è, se Dio, facendomi tale,non ha voluto ingannarmi.

Leibniz abbandona questo concetto realistico che Car-tesio ha del sentire, e sviluppando un altro motivo chec'è anche in Cartesio, dice: il sentire e l'intendere carte-siani sono la stessa proprietà dello spirito, il potere co-noscitivo; si distinguono soltanto perchè nel sentire larappresentazione è confusa, laddove essa è distinta echiara nell'intelletto. Quindi c'è omogeneità tra cono-scenza intellettiva e sensitiva, con la sola differenza chein una la rappresentazione è distinta e nell'altra è confu-sa. Il motivo, ripeto, è, anche questo, cartesiano, ma ilsuo sviluppo ha portato all'abbandono dell'essenza reali-stica del sentire persistente in Cartesio nonostante il suocogito, certo più spiritualistico della monade leibnizia-na.

Kant non accetta questa concezione del sentire comesapere confuso, ma ristabilisce con maggiore rigore ilconcetto realistico tradizionale del sentire. Sentire e in-tendere sono due conoscenze diverse, perchè solo il sen-tire ci porta al punto in cui il conoscere deve arrivare,perchè tocchi la realtà e sia quindi veramente conoscere,dove cioè il concetto finisce e si ha la cosa, da cui ilconcetto, se veramente tale e cioè riguardante la realtà,deve cominciare.

Conoscere infatti è avere nella coscienza le cose;deve quindi esserci un punto di contatto, questo è ap-punto il sentire, il quale è dunque il conoscere in questosuo essere originato dal di fuori, che diciamo intuire, col

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geneo allo spirito pensante, c'è, se Dio, facendomi tale,non ha voluto ingannarmi.

Leibniz abbandona questo concetto realistico che Car-tesio ha del sentire, e sviluppando un altro motivo chec'è anche in Cartesio, dice: il sentire e l'intendere carte-siani sono la stessa proprietà dello spirito, il potere co-noscitivo; si distinguono soltanto perchè nel sentire larappresentazione è confusa, laddove essa è distinta echiara nell'intelletto. Quindi c'è omogeneità tra cono-scenza intellettiva e sensitiva, con la sola differenza chein una la rappresentazione è distinta e nell'altra è confu-sa. Il motivo, ripeto, è, anche questo, cartesiano, ma ilsuo sviluppo ha portato all'abbandono dell'essenza reali-stica del sentire persistente in Cartesio nonostante il suocogito, certo più spiritualistico della monade leibnizia-na.

Kant non accetta questa concezione del sentire comesapere confuso, ma ristabilisce con maggiore rigore ilconcetto realistico tradizionale del sentire. Sentire e in-tendere sono due conoscenze diverse, perchè solo il sen-tire ci porta al punto in cui il conoscere deve arrivare,perchè tocchi la realtà e sia quindi veramente conoscere,dove cioè il concetto finisce e si ha la cosa, da cui ilconcetto, se veramente tale e cioè riguardante la realtà,deve cominciare.

Conoscere infatti è avere nella coscienza le cose;deve quindi esserci un punto di contatto, questo è ap-punto il sentire, il quale è dunque il conoscere in questosuo essere originato dal di fuori, che diciamo intuire, col

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quale l'esistere si innesta al conoscere. Se qui però sifermasse il conoscere, non sarebbe neppure conoscere;mancherebbe (vedremo) di oggettività. Perciò non c'èsolo questo conoscere intuitivo; c'è anche, strettamenteconnesso, il discorsivo, il giudicativo che è di genere di-verso, oggettivo, proprio perchè si è superato l'innestodella esistenza al conoscere: si è nel conoscere oggetti-vo. Quando si è capito questo, il sentire resta come lafacoltà del conoscente di originare la propria conoscen-za in questo innesto dell'esistenza nella conoscenza.Tale innesto non toglie che il sentire sia un atto del sog-getto conoscente, e quindi l'essenza conosciuta dellecose sia idealisticamente determinata: l'essenza spazio etempo sono sì il mio sentire, ma sono anche il fenomenodelle cose stesse, che perciò da questa loro essenza(idealistica in quanto a me risultante) non sono tolte maposte nella loro reale esistenza; altrimenti non ci sarebbeil mio sentire. Questo è l'idealismo trascendentale diKant e cioè: le cose che sono nella conoscenza sonocose di conoscenza, cioè sono ideali le cose ideali. Nonè però idealismo sognante e fantastico (alla Berkeley),per il quale le cose stesse nella loro esistenza sono rap-presentazioni, nè idealismo problematico di Cartesio,che, per il deficiente concetto di senso e di scienza, nonpuò riuscire mai a darci l'esistenza del mondo esterno,per ammetter la quale deve ricorrere alla veridicità diDio.

La mia dottrina, dunque – dice Kant – non è ideali-smo, se per questo si intende una dottrina che neghi la

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quale l'esistere si innesta al conoscere. Se qui però sifermasse il conoscere, non sarebbe neppure conoscere;mancherebbe (vedremo) di oggettività. Perciò non c'èsolo questo conoscere intuitivo; c'è anche, strettamenteconnesso, il discorsivo, il giudicativo che è di genere di-verso, oggettivo, proprio perchè si è superato l'innestodella esistenza al conoscere: si è nel conoscere oggetti-vo. Quando si è capito questo, il sentire resta come lafacoltà del conoscente di originare la propria conoscen-za in questo innesto dell'esistenza nella conoscenza.Tale innesto non toglie che il sentire sia un atto del sog-getto conoscente, e quindi l'essenza conosciuta dellecose sia idealisticamente determinata: l'essenza spazio etempo sono sì il mio sentire, ma sono anche il fenomenodelle cose stesse, che perciò da questa loro essenza(idealistica in quanto a me risultante) non sono tolte maposte nella loro reale esistenza; altrimenti non ci sarebbeil mio sentire. Questo è l'idealismo trascendentale diKant e cioè: le cose che sono nella conoscenza sonocose di conoscenza, cioè sono ideali le cose ideali. Nonè però idealismo sognante e fantastico (alla Berkeley),per il quale le cose stesse nella loro esistenza sono rap-presentazioni, nè idealismo problematico di Cartesio,che, per il deficiente concetto di senso e di scienza, nonpuò riuscire mai a darci l'esistenza del mondo esterno,per ammetter la quale deve ricorrere alla veridicità diDio.

La mia dottrina, dunque – dice Kant – non è ideali-smo, se per questo si intende una dottrina che neghi la

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realtà e la riduca a rappresentazioni del soggetto sen-ziente. Anzi solo il mio idealismo trascendentale, pro-prio col mio dar ragione della possibilità della cono-scenza, elimina ogni idealismo negatore della realtà.

Così con questo chiarimento della sua gnoseologia,Kant ritiene di aver ribadita, nell'Osservazione IIIa,quella dimostrazione, data nella Osservazione IIa, dellainsussistenza della obbiezione che metta in dubbio il ca-rattere realistico del sapere matematico e quindi neghi lasinteticità di esso.

La matematica, dunque, è scienza: apriori e sintetica,come deve essere per essere scienza, nonostante la idea-lità (non appartenenza alle cose in sè; sua intuitivitàpura e quindi fenomenicità) dello spazio e del tempoche ne sono gli oggetti.

Questo puro intuire il tempo e lo spazio è essere ma-tematici ed è cogliere l'essenza delle cose reali qualepuò risultare ad un conoscente, qual è l'uomo, che si tro-va dinanzi ad una realtà già esistente.

Il primo grado del problema è risoluto.

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realtà e la riduca a rappresentazioni del soggetto sen-ziente. Anzi solo il mio idealismo trascendentale, pro-prio col mio dar ragione della possibilità della cono-scenza, elimina ogni idealismo negatore della realtà.

Così con questo chiarimento della sua gnoseologia,Kant ritiene di aver ribadita, nell'Osservazione IIIa,quella dimostrazione, data nella Osservazione IIa, dellainsussistenza della obbiezione che metta in dubbio il ca-rattere realistico del sapere matematico e quindi neghi lasinteticità di esso.

La matematica, dunque, è scienza: apriori e sintetica,come deve essere per essere scienza, nonostante la idea-lità (non appartenenza alle cose in sè; sua intuitivitàpura e quindi fenomenicità) dello spazio e del tempoche ne sono gli oggetti.

Questo puro intuire il tempo e lo spazio è essere ma-tematici ed è cogliere l'essenza delle cose reali qualepuò risultare ad un conoscente, qual è l'uomo, che si tro-va dinanzi ad una realtà già esistente.

Il primo grado del problema è risoluto.

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PARTE SECONDASECONDO GRADO DEL PROBLEMA

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PARTE SECONDASECONDO GRADO DEL PROBLEMA

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IXLA NATURA

Passaggio dalla realtà intuitiva a quella naturale colconcetto di legge come nesso tra le cose esistenti. Siesclude che queste cose esistenti e formanti la realtànaturale siano in sè (paragr. 14). Concetto formale dinatura (paragr. 14) e fisica pura (paragr. 15). Con-cetto materiale di natura e conseguente introduzionedel concetto di esperienza nella apriorità (paragr.16). Sintesi del concetto formale e materiale e impo-stazione del secondo grado del problema, prendendocome punto di partenza l'esperienza.

Finora ci siamo occupati del mondo matematico ecioè di entità singolari con la loro determinata essenzaintuitiva, fondamento delle costruzioni concettuali mate-matiche. Non è questo però il mondo in cui viviamo, uncomplessissimo mondo causale di eventi, di fatti conti-nuamente insorgenti secondo insuperabili leggi che neregolano l'accadere. Questo è quanto diciamo natura, inquesta sentiamo di vivere e non soltanto in un acausalemondo di statiche e geometriche figure e di numericomputabili senza causalità.

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IXLA NATURA

Passaggio dalla realtà intuitiva a quella naturale colconcetto di legge come nesso tra le cose esistenti. Siesclude che queste cose esistenti e formanti la realtànaturale siano in sè (paragr. 14). Concetto formale dinatura (paragr. 14) e fisica pura (paragr. 15). Con-cetto materiale di natura e conseguente introduzionedel concetto di esperienza nella apriorità (paragr.16). Sintesi del concetto formale e materiale e impo-stazione del secondo grado del problema, prendendocome punto di partenza l'esperienza.

Finora ci siamo occupati del mondo matematico ecioè di entità singolari con la loro determinata essenzaintuitiva, fondamento delle costruzioni concettuali mate-matiche. Non è questo però il mondo in cui viviamo, uncomplessissimo mondo causale di eventi, di fatti conti-nuamente insorgenti secondo insuperabili leggi che neregolano l'accadere. Questo è quanto diciamo natura, inquesta sentiamo di vivere e non soltanto in un acausalemondo di statiche e geometriche figure e di numericomputabili senza causalità.

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Or la scienza, che a Kant interessa, deve essere possi-bile anche per questa natura in cui viviamo. Tale naturaper Kant è proprio soltanto legge.

Si passa così dalla realtà intuitiva, cioè delle cose sin-golari esistenti, alla realtà naturale, concepita non sol-tanto come insieme di cose che esistono, ma anchecome insieme di fatti che accadono, e cioè di eventi sot-toposti a leggi universali, di fatti, cioè, che, pur nel lorosingolare venire ad esistere, sono sottoposti a leggi chevalgono per tutti loro. L'accadere con la sua legge ci fapassare dall'astratto mondo matematico al concretomondo naturale, senza che però il primo debba essereabbandonato.

Ma sorge un problema: queste leggi universali checostituiscono la natura, saranno leggi delle cose in sè?Kant dice: in tale caso noi non ne sapremmo niente. In-fatti di queste leggi costitutive delle cose in sè non po-tremmo avere conoscenza nè apriori (non potremmochiuderci nel pensante in quanto pensante come pur sidovrebbe per averne la necessità ed universalità) nèaposteriori (da quest'ultima non risulterebbe la necessitàe quindi non ci sarebbero leggi, perchè l'esperienza è re-lativa e limitata).

Nè apriori nè aposteriori dunque ci risulterebbe lalegalità della natura, se essa concernesse le cose in sè;ma la legalità ci risulta, dunque non è delle cose in sè.

Queste cose che troviamo nella natura non possonoessere le cose in sè.

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Or la scienza, che a Kant interessa, deve essere possi-bile anche per questa natura in cui viviamo. Tale naturaper Kant è proprio soltanto legge.

Si passa così dalla realtà intuitiva, cioè delle cose sin-golari esistenti, alla realtà naturale, concepita non sol-tanto come insieme di cose che esistono, ma anchecome insieme di fatti che accadono, e cioè di eventi sot-toposti a leggi universali, di fatti, cioè, che, pur nel lorosingolare venire ad esistere, sono sottoposti a leggi chevalgono per tutti loro. L'accadere con la sua legge ci fapassare dall'astratto mondo matematico al concretomondo naturale, senza che però il primo debba essereabbandonato.

Ma sorge un problema: queste leggi universali checostituiscono la natura, saranno leggi delle cose in sè?Kant dice: in tale caso noi non ne sapremmo niente. In-fatti di queste leggi costitutive delle cose in sè non po-tremmo avere conoscenza nè apriori (non potremmochiuderci nel pensante in quanto pensante come pur sidovrebbe per averne la necessità ed universalità) nèaposteriori (da quest'ultima non risulterebbe la necessitàe quindi non ci sarebbero leggi, perchè l'esperienza è re-lativa e limitata).

Nè apriori nè aposteriori dunque ci risulterebbe lalegalità della natura, se essa concernesse le cose in sè;ma la legalità ci risulta, dunque non è delle cose in sè.

Queste cose che troviamo nella natura non possonoessere le cose in sè.

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Nel paragr. 15 (pag. 77) c'è l'impostazione di un se-condo problema: queste cose, non ostante che non pos-sano essere cose in sè, pure sono collegate in leggi(questo loro collegamento è appunto la legalità); cioèhanno, tra loro, nessi che fan sì che una cosa non possastar sola per sè, ma debba essere determinata da altre,che ne determinano l'accadimento.

Noi abbiamo, come una matematica, così una scienzapura della natura, cioè una fisica pura, la quale «apriorie con tutta quella necessità che è richiesta per proposi-zioni apodittiche, espone le leggi a cui la natura è sotto-messa» (v. pag. 77). Se della natura abbiamo veramenteconoscenza, dobbiamo averne la scienza, cioè la cono-scenza sintetica (reale) ed apriori (universale e necessa-ria). Ed una fisica pura c'è di fatto innegabilmente, c'èquesta reale conoscenza universale e necessaria dellanatura, conoscenza nella quale è unanime il consensodegli scienziati, conoscenza necessitante all'assenso. Orcom'è possibile una tale scienza della natura sintetica epur apriori? Di questa fisica pura che è la vera e propriascienza, e non della fisica sperimentale, che dipendedall'esperienza sulla base della fisica pura, Kant impostacosì il problema.

La fisica sperimentale, in quanto dipendentedall'esperienza e quindi mancante di leggi di assolutauniversalità e necessità, non interessa Kant.

Per capire il paragrafo 16° occorre ricordare che Kantaveva detto che la natura è legalità delle cose esistenti;in tale concetto l'elemento dominante è dato dalla lega-

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Nel paragr. 15 (pag. 77) c'è l'impostazione di un se-condo problema: queste cose, non ostante che non pos-sano essere cose in sè, pure sono collegate in leggi(questo loro collegamento è appunto la legalità); cioèhanno, tra loro, nessi che fan sì che una cosa non possastar sola per sè, ma debba essere determinata da altre,che ne determinano l'accadimento.

Noi abbiamo, come una matematica, così una scienzapura della natura, cioè una fisica pura, la quale «apriorie con tutta quella necessità che è richiesta per proposi-zioni apodittiche, espone le leggi a cui la natura è sotto-messa» (v. pag. 77). Se della natura abbiamo veramenteconoscenza, dobbiamo averne la scienza, cioè la cono-scenza sintetica (reale) ed apriori (universale e necessa-ria). Ed una fisica pura c'è di fatto innegabilmente, c'èquesta reale conoscenza universale e necessaria dellanatura, conoscenza nella quale è unanime il consensodegli scienziati, conoscenza necessitante all'assenso. Orcom'è possibile una tale scienza della natura sintetica epur apriori? Di questa fisica pura che è la vera e propriascienza, e non della fisica sperimentale, che dipendedall'esperienza sulla base della fisica pura, Kant impostacosì il problema.

La fisica sperimentale, in quanto dipendentedall'esperienza e quindi mancante di leggi di assolutauniversalità e necessità, non interessa Kant.

Per capire il paragrafo 16° occorre ricordare che Kantaveva detto che la natura è legalità delle cose esistenti;in tale concetto l'elemento dominante è dato dalla lega-

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lità. Ma questa legalità non ci sarebbe, se non ci fosserole cose di natura esistenti: quindi la seconda definizionedella natura. Nella prima la natura era considerata sottol'aspetto formale, qui, invece, materialiter: «natura, con-siderata materialiter, è l'insieme di tutti gli oggettidell'esperienza» (pag. 78). A darci queste cose naturaliesistenti Kant introduce, quasi involontariamente, ilconcetto di esperienza. Natura è l'insieme di oggetti, sì,ma della esperienza, perchè se questa legalità dovesseriguardare le cose in sè non la conosceremmo; perciò ri-guarda i fenomeni. Cose esistenti di natura saranno dun-que questi fenomeni nella loro piena concretezza (fattadi apriorità matematica e di empiricità qualitativa), checostituisce la nostra esperienza.

Sappiamo che il sentire è conoscenza originaria alpunto in cui l'attività del conoscere nasce dall'esistere.Or se questi oggetti di natura non fossero quelli dellaesperienza nascente dal sentire non avremmo nessunaprova che i concetti che abbiamo di essi oggetti corri-spondano veramente a cose esistenti. Questi concetti po-trebbero, se mai, aver valore, ma non per la realtà natu-rale; perchè non avremmo la prova che essi si riferisca-no a qualche cosa di esistente in natura.

Abbiamo così determinato l'aspetto materiale dellanatura. Ma questa determinazione di materialità (oggettiesistenti in natura) di fronte alla formalità (nesso neces-sario di tali oggetti) viene ad essere fatta nell'esperienza,come esperienza. Così questo nuovo elemento introdot-tosi quasi surrettiziamente, diventa padrone di casa; pare

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lità. Ma questa legalità non ci sarebbe, se non ci fosserole cose di natura esistenti: quindi la seconda definizionedella natura. Nella prima la natura era considerata sottol'aspetto formale, qui, invece, materialiter: «natura, con-siderata materialiter, è l'insieme di tutti gli oggettidell'esperienza» (pag. 78). A darci queste cose naturaliesistenti Kant introduce, quasi involontariamente, ilconcetto di esperienza. Natura è l'insieme di oggetti, sì,ma della esperienza, perchè se questa legalità dovesseriguardare le cose in sè non la conosceremmo; perciò ri-guarda i fenomeni. Cose esistenti di natura saranno dun-que questi fenomeni nella loro piena concretezza (fattadi apriorità matematica e di empiricità qualitativa), checostituisce la nostra esperienza.

Sappiamo che il sentire è conoscenza originaria alpunto in cui l'attività del conoscere nasce dall'esistere.Or se questi oggetti di natura non fossero quelli dellaesperienza nascente dal sentire non avremmo nessunaprova che i concetti che abbiamo di essi oggetti corri-spondano veramente a cose esistenti. Questi concetti po-trebbero, se mai, aver valore, ma non per la realtà natu-rale; perchè non avremmo la prova che essi si riferisca-no a qualche cosa di esistente in natura.

Abbiamo così determinato l'aspetto materiale dellanatura. Ma questa determinazione di materialità (oggettiesistenti in natura) di fronte alla formalità (nesso neces-sario di tali oggetti) viene ad essere fatta nell'esperienza,come esperienza. Così questo nuovo elemento introdot-tosi quasi surrettiziamente, diventa padrone di casa; pare

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che esso non investa la legalità, ma in effetto questa, inquanto è nesso di quegli oggetti della esperienza, nonpuò porsi senza l'esperienza.

Se gli enti di natura rimanessero i puri enti matemati-ci spogli di qualificazione empirica, non nascerebbel'esigenza del loro nesso a costituire una natura. La natu-ra richiede enti matematici qualitativamente pieni, con-creti. Tra questi e non tra i primi si svolge il nesso chediciamo natura e che è l'oggetto apriori della fisica pura.Come possa mettersi d'accordo l'inevitabile empiricitàdi questa determinazione di concreti enti naturali nelloro insieme, con la apriorità (indipendenza da tale em-piricità) della legge che è natura, è difficoltà che vedre-mo subito come Kant cerca di superare.

Il punto centrale che richiama sempre l'attenzione diKant è che (pag. 79) «qui noi non abbiamo da fare concose in sè (le proprietà di queste lasciamole là dovesono) ma soltanto con cose come oggetti di una espe-rienza possibile»; (quella parentesi apre uno spiragliosulla credenza kantiana al di là del suo criticismo: que-ste cose in sè hanno una loro essenza interiore, cioè loroproprie qualità intrinseche).

Chiedersi dunque come sia possibile conoscere la na-tura, significa chiedersi come sia possibile riconoscerea priori la necessaria legalità dell'esperienza stessa. Èl'impostazione del problema della fisica pura.

Or nell'impostare questo problema è bene partire dal-la natura per arrivare alla esperienza o viceversa? Sa-pendo che la natura è natura dell'esperienza e che l'espe-

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che esso non investa la legalità, ma in effetto questa, inquanto è nesso di quegli oggetti della esperienza, nonpuò porsi senza l'esperienza.

Se gli enti di natura rimanessero i puri enti matemati-ci spogli di qualificazione empirica, non nascerebbel'esigenza del loro nesso a costituire una natura. La natu-ra richiede enti matematici qualitativamente pieni, con-creti. Tra questi e non tra i primi si svolge il nesso chediciamo natura e che è l'oggetto apriori della fisica pura.Come possa mettersi d'accordo l'inevitabile empiricitàdi questa determinazione di concreti enti naturali nelloro insieme, con la apriorità (indipendenza da tale em-piricità) della legge che è natura, è difficoltà che vedre-mo subito come Kant cerca di superare.

Il punto centrale che richiama sempre l'attenzione diKant è che (pag. 79) «qui noi non abbiamo da fare concose in sè (le proprietà di queste lasciamole là dovesono) ma soltanto con cose come oggetti di una espe-rienza possibile»; (quella parentesi apre uno spiragliosulla credenza kantiana al di là del suo criticismo: que-ste cose in sè hanno una loro essenza interiore, cioè loroproprie qualità intrinseche).

Chiedersi dunque come sia possibile conoscere la na-tura, significa chiedersi come sia possibile riconoscerea priori la necessaria legalità dell'esperienza stessa. Èl'impostazione del problema della fisica pura.

Or nell'impostare questo problema è bene partire dal-la natura per arrivare alla esperienza o viceversa? Sa-pendo che la natura è natura dell'esperienza e che l'espe-

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Page 67: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

rienza è esperienza della natura, da dovunque si parta leleggi dell'una saranno le leggi dell'altra.

Partiamo con Kant dall'esperienza; la natura è l'inte-ro oggetto, (il sopraddetto «insieme di tutti gli oggetti»),e quindi anche l'intera legalità dell'esperienza. Ma, sinoti bene, partiamo non dall'esperienza di osservazione,cioè dall'esperienza già fatta, ma dalla esperienza possi-bile.

Nel determinare quindi apriori la legalità naturale,l'insieme di oggetti che ammettiamo come materialedella legalità, non sono gli oggetti già osservati dalla no-stra personale o anche umana esperienza: sono soltanto«oggetti di esperienza possibile». L'esperienza, di cuiabbiamo bisogno per impostare e risolvere il problemadella fisica pura, è soltanto esperienza possibile. Conquesta determinazione della esperienza, richiesta dallafisica pura, come soltanto possibile, Kant risolve, o al-meno pretende risolvere, la sopra accennata difficoltàdella coerenza tra l'apriorità e la sperimentabilità dellafisica pura.

Se la «natura» oggetto della fisica pura è natura diesperienza possibile, il problema è questo: come le con-dizioni apriori dell'esperienza (cioè l'esperienza nellasua apriorità) possano spiegarmi la legge di natura. Ve-diamo dunque se e come è possibile l'apriorità dellaesperienza, vediamo cioè la schietta possibilità dellaesperienza.

Il problema puro della natura è il problema puro del-la esperienza in generale.

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rienza è esperienza della natura, da dovunque si parta leleggi dell'una saranno le leggi dell'altra.

Partiamo con Kant dall'esperienza; la natura è l'inte-ro oggetto, (il sopraddetto «insieme di tutti gli oggetti»),e quindi anche l'intera legalità dell'esperienza. Ma, sinoti bene, partiamo non dall'esperienza di osservazione,cioè dall'esperienza già fatta, ma dalla esperienza possi-bile.

Nel determinare quindi apriori la legalità naturale,l'insieme di oggetti che ammettiamo come materialedella legalità, non sono gli oggetti già osservati dalla no-stra personale o anche umana esperienza: sono soltanto«oggetti di esperienza possibile». L'esperienza, di cuiabbiamo bisogno per impostare e risolvere il problemadella fisica pura, è soltanto esperienza possibile. Conquesta determinazione della esperienza, richiesta dallafisica pura, come soltanto possibile, Kant risolve, o al-meno pretende risolvere, la sopra accennata difficoltàdella coerenza tra l'apriorità e la sperimentabilità dellafisica pura.

Se la «natura» oggetto della fisica pura è natura diesperienza possibile, il problema è questo: come le con-dizioni apriori dell'esperienza (cioè l'esperienza nellasua apriorità) possano spiegarmi la legge di natura. Ve-diamo dunque se e come è possibile l'apriorità dellaesperienza, vediamo cioè la schietta possibilità dellaesperienza.

Il problema puro della natura è il problema puro del-la esperienza in generale.

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È la grande affermazione rivoluzionaria di Kant. Giu-stificare questa affermazione risolvendo il problema del-la fisica pura è risolvere quello che abbiamo detto se-condo dei gradi per cui procede la soluzione del proble-ma generale: il problema interno della filosofia.

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È la grande affermazione rivoluzionaria di Kant. Giu-stificare questa affermazione risolvendo il problema del-la fisica pura è risolvere quello che abbiamo detto se-condo dei gradi per cui procede la soluzione del proble-ma generale: il problema interno della filosofia.

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XL'OGGETTIVITÀ (paragr. 18 - 20)

Empiricità ed esperienza; l'oggettività come caratteredifferenziativo della seconda dalla prima; concettodell'oggettività e sua esigenza della universalità; pro-cesso psicologico dai giudizi di percezione a quellid'esperienza dell'oggetto (paragr. 18): Obiekt e Ge-genstand (paragr. 19).

Il concetto dell'oggettività è il più fondamentale dellafilosofia kantiana e costituisce forse la più grande origi-nalità del sistema, quando Kant sia inteso profondamen-te, più di quanto egli intendesse se stesso, quando siaposto più profondamente in accordo con se stesso; daquesta sua più profonda coerenza nasce una nuova luce.Kant è la costrizione di Hume ad essere se stesso e così,in genere, in tutta la storia del pensiero speculativo; ilprogresso di questo è ottenuto proprio dalla ricerca diuna coerenza più profonda di quella di cui ciascuno haesplicita coscienza per il proprio sistema. Il problemadell'oggettività è trattato nei paragrafi dal 18 al 22 com-preso. Kant introduce il concetto di giudizio e distinguei giudizi di esperienza da quelli empirici. Nei giudiziempirici si parte dalla immediata percezione dei sensi; i

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XL'OGGETTIVITÀ (paragr. 18 - 20)

Empiricità ed esperienza; l'oggettività come caratteredifferenziativo della seconda dalla prima; concettodell'oggettività e sua esigenza della universalità; pro-cesso psicologico dai giudizi di percezione a quellid'esperienza dell'oggetto (paragr. 18): Obiekt e Ge-genstand (paragr. 19).

Il concetto dell'oggettività è il più fondamentale dellafilosofia kantiana e costituisce forse la più grande origi-nalità del sistema, quando Kant sia inteso profondamen-te, più di quanto egli intendesse se stesso, quando siaposto più profondamente in accordo con se stesso; daquesta sua più profonda coerenza nasce una nuova luce.Kant è la costrizione di Hume ad essere se stesso e così,in genere, in tutta la storia del pensiero speculativo; ilprogresso di questo è ottenuto proprio dalla ricerca diuna coerenza più profonda di quella di cui ciascuno haesplicita coscienza per il proprio sistema. Il problemadell'oggettività è trattato nei paragrafi dal 18 al 22 com-preso. Kant introduce il concetto di giudizio e distinguei giudizi di esperienza da quelli empirici. Nei giudiziempirici si parte dalla immediata percezione dei sensi; i

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giudizi di esperienza sono empirici, ma solo alcuni giu-dizi empirici sono anche giudizi di esperienza. Tra giu-dizi empirici e d'esperienza non c'è una inversione logi-ca simpliciter che c'è in tutti i giudizi definitori, il chevuol dire che la empiricità non basta a definire l'espe-rienza anche se in questa non si può escludere del tuttoquella. Così, per intenderci, la vita non è definitoria del-la umanità, perchè gli uomini, sì, sono viventi, ma soloalcuni viventi sono uomini. Nei giudizi empirici dunquemanca qualche cosa che c'è in quelli di esperienza e cioèl'oggettività; cioè i giudizi empirici che abbiano l'ogget-tività sono giudizi di esperienza. Immediata percezionedei sensi (cioè giudizi empirici) più l'oggettività dàl'esperienza; e il giudizio d'esperienza è dunque resopossibile dall'aggiungersi dell'oggettività ai giudizi em-pirici, che Kant dice giudizi di percezione (pag. 82): «Igiudizi empirici, in quanto hanno una validità obbietti-va, sono giudizi di esperienza; ma quelli che sono validisoltanto soggettivamente io li chiamo semplici giudizidi percezione. Gli ultimi non han bisogno di alcun con-cetto puro dell'intelletto, ma soltanto del nesso logicodella percezione in un soggetto pensante» (nesso non insenso di giudizio intellettivo, ma di consapevolezza psi-chica). Per Rosmini, superiore in questo a Kant, la per-cezione è elevata anch'essa a giudizio intellettivo; eglimostrerà che non è possibile percezione senza giudizio.La percezione, per Rosmini, è oggettiva anch'essa: v'hae deve essere, per Rosmini, una percezione intellettiva.Per Kant, intellettivo è il giudizio che oggettiva la per-

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giudizi di esperienza sono empirici, ma solo alcuni giu-dizi empirici sono anche giudizi di esperienza. Tra giu-dizi empirici e d'esperienza non c'è una inversione logi-ca simpliciter che c'è in tutti i giudizi definitori, il chevuol dire che la empiricità non basta a definire l'espe-rienza anche se in questa non si può escludere del tuttoquella. Così, per intenderci, la vita non è definitoria del-la umanità, perchè gli uomini, sì, sono viventi, ma soloalcuni viventi sono uomini. Nei giudizi empirici dunquemanca qualche cosa che c'è in quelli di esperienza e cioèl'oggettività; cioè i giudizi empirici che abbiano l'ogget-tività sono giudizi di esperienza. Immediata percezionedei sensi (cioè giudizi empirici) più l'oggettività dàl'esperienza; e il giudizio d'esperienza è dunque resopossibile dall'aggiungersi dell'oggettività ai giudizi em-pirici, che Kant dice giudizi di percezione (pag. 82): «Igiudizi empirici, in quanto hanno una validità obbietti-va, sono giudizi di esperienza; ma quelli che sono validisoltanto soggettivamente io li chiamo semplici giudizidi percezione. Gli ultimi non han bisogno di alcun con-cetto puro dell'intelletto, ma soltanto del nesso logicodella percezione in un soggetto pensante» (nesso non insenso di giudizio intellettivo, ma di consapevolezza psi-chica). Per Rosmini, superiore in questo a Kant, la per-cezione è elevata anch'essa a giudizio intellettivo; eglimostrerà che non è possibile percezione senza giudizio.La percezione, per Rosmini, è oggettiva anch'essa: v'hae deve essere, per Rosmini, una percezione intellettiva.Per Kant, intellettivo è il giudizio che oggettiva la per-

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cezione, non la percezione, che, come percezione, è sog-gettiva perchè empirica. Vedemmo già che noi viviamoin una natura la quale in tanto è per noi quella natura incui viviamo, in quanto è legalità di cose che ci risultanoesistenti, e che non possono risultare esistenti se non inquel sentire, che, abbiamo visto, è la facoltà del cono-scere in quanto ci mette in rapporto con l'esistenza, laquale perciò è una esistenza intuita. Cioè questi esistentinon ci risultano che nel senso e cioè in quella pseudoconoscenza che è intuizione fenomenica. Se vogliamoimpostare il problema puro della natura, cioè del comeconoscerla apriori (necessariamente ed universalmente)e pur sinteticamente (cioè senza perderla nella sua real-tà) dobbiamo partire dall'esperienza nelle sue condizio-ni trascendentali: apriori. Questa trascendentalità ciconsentirà l'apriorità; laddove l'esperienza non ci faràperdere la sinteticità. Dobbiamo, cioè, dicemmo, partire,dalla possibilità (apriorità) della esperienza (che cometale ha in sè l'empirico, è, diremmo, materiata di empiri-cità). Questa esperienza non solo non esclude l'oggetti-vità, cioè non è soltanto soggettiva, come è il giudiziopercettivo, ma richiede l'oggettività perchè sia esperien-za. Ma donde questa oggettività? L'esperienza si ha inquanto la realtà intuita non è più soltanto intuizione sog-gettiva ma è oggettiva, cioè, secondo Kant, è ottenutamediante l'applicazione dei concetti intellettivi puri, co-stituenti l'intelletto, alla intuizione concreta.

Se io giudico rimanendo col mio giudizio entro mestesso e perciò dicendo di un quid qualche cosa che altri

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cezione, non la percezione, che, come percezione, è sog-gettiva perchè empirica. Vedemmo già che noi viviamoin una natura la quale in tanto è per noi quella natura incui viviamo, in quanto è legalità di cose che ci risultanoesistenti, e che non possono risultare esistenti se non inquel sentire, che, abbiamo visto, è la facoltà del cono-scere in quanto ci mette in rapporto con l'esistenza, laquale perciò è una esistenza intuita. Cioè questi esistentinon ci risultano che nel senso e cioè in quella pseudoconoscenza che è intuizione fenomenica. Se vogliamoimpostare il problema puro della natura, cioè del comeconoscerla apriori (necessariamente ed universalmente)e pur sinteticamente (cioè senza perderla nella sua real-tà) dobbiamo partire dall'esperienza nelle sue condizio-ni trascendentali: apriori. Questa trascendentalità ciconsentirà l'apriorità; laddove l'esperienza non ci faràperdere la sinteticità. Dobbiamo, cioè, dicemmo, partire,dalla possibilità (apriorità) della esperienza (che cometale ha in sè l'empirico, è, diremmo, materiata di empiri-cità). Questa esperienza non solo non esclude l'oggetti-vità, cioè non è soltanto soggettiva, come è il giudiziopercettivo, ma richiede l'oggettività perchè sia esperien-za. Ma donde questa oggettività? L'esperienza si ha inquanto la realtà intuita non è più soltanto intuizione sog-gettiva ma è oggettiva, cioè, secondo Kant, è ottenutamediante l'applicazione dei concetti intellettivi puri, co-stituenti l'intelletto, alla intuizione concreta.

Se io giudico rimanendo col mio giudizio entro mestesso e perciò dicendo di un quid qualche cosa che altri

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può non dire, questo che faccio è un giudizio di perce-zione; è un giudizio che non vale per altri. L'intuizione,in quanto tale, è mia e mia soltanto; l'oggetto no, ancheio non posso che intuirlo: «Quando un giudizio concor-da con un oggetto, tutti i giudizi sullo stesso oggetto de-vono concordare tra loro» (pag. 83). Si osservi, per ana-logia, il processo psicologico nei primi atteggiamentispirituali dei bambini; il bambino passa da uno statosoggettivo, in cui è chiuso in se stesso, alla determina-zione di oggetti.

Kant identifica questo superamento del puro statomio soggettivo, questa concordia con l'oggetto, che purnon è dato se non nella intuizione soggettiva che biso-gna superare, l'identifica col valere del giudizio sempre(necessità) per me e per tutti (universalità). (Es., c'è unacattedra: fin che io sono chiuso in me davanti alla perce-zione che ho di questa cattedra non posso invitare nes-sun altro a dire altrettanto; devo presupporre che ognunodi noi giudichi ugualmente della intuizione che egli ha,come ne giudico io, perchè si abbia un giudizio di espe-rienza).

Da che cosa ci accorgiamo che c'è un oggetto?dall'imprescindibile, non arbitrario consentimento ditutti e sempre. Consentimento non arbitrario anche ilmio, come quello di tutti. L'esserci di un oggetto cometale è la validità necessaria ed universale del giudizioche afferma questo esserci. Quell'oggetto, dunque, perquanto certo un esistente - intuìto da me e da ciascunodegli altri intuenti, proprio per poter essere intuìto anche

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può non dire, questo che faccio è un giudizio di perce-zione; è un giudizio che non vale per altri. L'intuizione,in quanto tale, è mia e mia soltanto; l'oggetto no, ancheio non posso che intuirlo: «Quando un giudizio concor-da con un oggetto, tutti i giudizi sullo stesso oggetto de-vono concordare tra loro» (pag. 83). Si osservi, per ana-logia, il processo psicologico nei primi atteggiamentispirituali dei bambini; il bambino passa da uno statosoggettivo, in cui è chiuso in se stesso, alla determina-zione di oggetti.

Kant identifica questo superamento del puro statomio soggettivo, questa concordia con l'oggetto, che purnon è dato se non nella intuizione soggettiva che biso-gna superare, l'identifica col valere del giudizio sempre(necessità) per me e per tutti (universalità). (Es., c'è unacattedra: fin che io sono chiuso in me davanti alla perce-zione che ho di questa cattedra non posso invitare nes-sun altro a dire altrettanto; devo presupporre che ognunodi noi giudichi ugualmente della intuizione che egli ha,come ne giudico io, perchè si abbia un giudizio di espe-rienza).

Da che cosa ci accorgiamo che c'è un oggetto?dall'imprescindibile, non arbitrario consentimento ditutti e sempre. Consentimento non arbitrario anche ilmio, come quello di tutti. L'esserci di un oggetto cometale è la validità necessaria ed universale del giudizioche afferma questo esserci. Quell'oggetto, dunque, perquanto certo un esistente - intuìto da me e da ciascunodegli altri intuenti, proprio per poter essere intuìto anche

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dagli altri non si risolve nella soggettiva intuizione mia:è anch'esso un esistente. Se, ad es., questo tavolo si ri-solvesse nelle sensazioni che ne ho io e ne ha ciascunodi noi, siccome io e ciascuno siamo ciascuno un ciascu-no, non potremmo convenire nell'affermazione del tavo-lo; allora questo tavolo si risolverebbe in ciascuno di noie non ci sarebbe il tavolo (e non ci saremmo, aggiungo,neppure ciascuno di noi). In tanto è possibile questonon arbitrario consentimento universale in quanto c'èun esistente. Ma in quanto in questo esistente convienetal universale giudizio, anzi in quanto tal universale giu-dizio è l'esistente stesso, quell'esistente è elevato ad og-getto: non è più soltanto un esistente fenomenico, è unoggetto, è un quid universale e necessario, non è più unsingolare esistente. L'oggetto è l'universale e necessario;e così reciprocamente l'universale e necessario è ogget-to.

Questa è una e forse la scoperta fondamentale diKant; la scoperta di Kant, non è, come si è ripetuto, chel'oggetto sia la negazione che il soggetto conoscente fadi sè come conoscente. Kant questo non ha mai detto nèpensato. L'oggetto è l'universale e necessario. Ci sonotanti motivi in cui si sente questa scoperta kantiana,quantunque Kant non ne sia sempre esplicitamente con-sapevole. Questa la vera scoperta di Kant e non l'inco-noscibilità della cosa in sè come tale; inconoscibilità chesolo da questa scoperta ha il suo significato e valore.Senza questa scoperta, l'inconoscibilità della cosa in sèsi risolverebbe (e storicamente purtroppo così è stata in-

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dagli altri non si risolve nella soggettiva intuizione mia:è anch'esso un esistente. Se, ad es., questo tavolo si ri-solvesse nelle sensazioni che ne ho io e ne ha ciascunodi noi, siccome io e ciascuno siamo ciascuno un ciascu-no, non potremmo convenire nell'affermazione del tavo-lo; allora questo tavolo si risolverebbe in ciascuno di noie non ci sarebbe il tavolo (e non ci saremmo, aggiungo,neppure ciascuno di noi). In tanto è possibile questonon arbitrario consentimento universale in quanto c'èun esistente. Ma in quanto in questo esistente convienetal universale giudizio, anzi in quanto tal universale giu-dizio è l'esistente stesso, quell'esistente è elevato ad og-getto: non è più soltanto un esistente fenomenico, è unoggetto, è un quid universale e necessario, non è più unsingolare esistente. L'oggetto è l'universale e necessario;e così reciprocamente l'universale e necessario è ogget-to.

Questa è una e forse la scoperta fondamentale diKant; la scoperta di Kant, non è, come si è ripetuto, chel'oggetto sia la negazione che il soggetto conoscente fadi sè come conoscente. Kant questo non ha mai detto nèpensato. L'oggetto è l'universale e necessario. Ci sonotanti motivi in cui si sente questa scoperta kantiana,quantunque Kant non ne sia sempre esplicitamente con-sapevole. Questa la vera scoperta di Kant e non l'inco-noscibilità della cosa in sè come tale; inconoscibilità chesolo da questa scoperta ha il suo significato e valore.Senza questa scoperta, l'inconoscibilità della cosa in sèsi risolverebbe (e storicamente purtroppo così è stata in-

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tesa) in una pura negazione che è lontanissima dal pen-siero kantiano, e che è in se stessa un assurdo. Nel veroKant l'oggetto è questo universale e necessario; e lacosa in sè come noumeno non è che l'oggetto intesonella sua purezza, l'oggetto non natura ma coscienzapura. Verso questa oggettività dobbiamo far andare lacosa in sè kantiana, ed avremo approfondito Kant edaperte nuove vie alla speculazione; avremo intesol'Oggetto puro come l'assoluto Unico costitutivo sostan-ziale della coscienza dei soggetti, che con la loro plura-lità individuano la coscienza stessa.

Ma di questo non qui e non ora. Basta avervi accen-nato. Fermiamoci alla affermazione innegabile di Kant:l'oggettività come universalità e necessità, e proseguia-mo nell'esame del nostro problema.

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tesa) in una pura negazione che è lontanissima dal pen-siero kantiano, e che è in se stessa un assurdo. Nel veroKant l'oggetto è questo universale e necessario; e lacosa in sè come noumeno non è che l'oggetto intesonella sua purezza, l'oggetto non natura ma coscienzapura. Verso questa oggettività dobbiamo far andare lacosa in sè kantiana, ed avremo approfondito Kant edaperte nuove vie alla speculazione; avremo intesol'Oggetto puro come l'assoluto Unico costitutivo sostan-ziale della coscienza dei soggetti, che con la loro plura-lità individuano la coscienza stessa.

Ma di questo non qui e non ora. Basta avervi accen-nato. Fermiamoci alla affermazione innegabile di Kant:l'oggettività come universalità e necessità, e proseguia-mo nell'esame del nostro problema.

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XILA COSCIENZA IN GENERALE

COME OGGETTI VITÀ (paragr. 20)

Il mondo conoscitivo kantiano come mondo rappresen-tativo. Il duplice giudicare. La condizione mediatricedel passaggio dal giudizio percettivo al giudiziod'esperienza. L'oggettività della coscienza in genera-le. Il concetto puro implicito alla intuizione ma nondeducibile da essa.

«Perciò validità oggettiva e validità necessaria ed uni-versale sono concetti reciproci».... cioè la validità ogget-tiva si risolve nella necessità ed universalità e «sebbenenon conosciamo l'oggetto in sè, pure, quando conside-riamo un giudizio come universalmente valido e perciònecessario, vi sottintendiamo appunto la validità ogget-tiva. Mediante questo giudizio noi riconosciamo l'ogget-to, lo riconosciamo dal valore universale e necessariodel nesso delle percezioni date» (pag. 83-84).

«L'oggetto (Obiekt) rimane sempre sconosciuto in sè,ma quando il nesso delle rappresentazioni, che da esso(e cioè dall'Obiekt = in sè) son date alla nostra sensitivi-tà, è, mediante un concetto intellettivo, determinatocome valido universalmente, viene allora determinato

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XILA COSCIENZA IN GENERALE

COME OGGETTI VITÀ (paragr. 20)

Il mondo conoscitivo kantiano come mondo rappresen-tativo. Il duplice giudicare. La condizione mediatricedel passaggio dal giudizio percettivo al giudiziod'esperienza. L'oggettività della coscienza in genera-le. Il concetto puro implicito alla intuizione ma nondeducibile da essa.

«Perciò validità oggettiva e validità necessaria ed uni-versale sono concetti reciproci».... cioè la validità ogget-tiva si risolve nella necessità ed universalità e «sebbenenon conosciamo l'oggetto in sè, pure, quando conside-riamo un giudizio come universalmente valido e perciònecessario, vi sottintendiamo appunto la validità ogget-tiva. Mediante questo giudizio noi riconosciamo l'ogget-to, lo riconosciamo dal valore universale e necessariodel nesso delle percezioni date» (pag. 83-84).

«L'oggetto (Obiekt) rimane sempre sconosciuto in sè,ma quando il nesso delle rappresentazioni, che da esso(e cioè dall'Obiekt = in sè) son date alla nostra sensitivi-tà, è, mediante un concetto intellettivo, determinatocome valido universalmente, viene allora determinato

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da questo rapporto l'oggetto (Gegenstand) e il giudizio èoggettivo» (pag. 84).

Ricordiamo: la nostra sensitività è forma del cono-scere, la quale porta questo al suo limite, in cui il cono-scere nasce dall'esistere; ma in tal primo grado del co-noscere non c'è Obiekt (che non c'è, secondo Kant, innessun conoscere) divenuto fenomeno intuito, non c'èGegenstand perchè non c'è ancora il concetto intellettivoa dare al fenomeno intuito la validità universale.

Differenza fra Obiekt e Gegenstand: Obiekt è il purooggetto che si potrebbe identificare col concetto di cosain sè. Ma in questa abbiamo quasi riguardo ad una qual-che essenza della cosa; nell'Obiekt, no, esso è un quidreale, che per natura sua trascende la conoscenza pro-prio per essere reale, è lo scolastico esse in re. Ma ab-biamo visto come col processo intuitivo questo Obiektreale ha in qualche modo (col fenomeno) il suo corri-spettivo nella conoscenza. Riconoscere questa rispon-denza del fenomeno all'Obiekt è trasformare il fenome-no intuito in Gegenstand. Perciò questo è qualche cosache sta dentro a noi conoscenti; il Gegenstand è il feno-meno dell'Obiekt, ma riconosciuto universale e necessa-rio per questo suo essere un Obiekt ma di coscienza.Obiekt è ciò che ci sta di fronte, fuori, cioè che non ècoscienza, proprio per poter essere Obiekt (è la cosa insè realistica). Gegenstand è l'Obiekt come può stare nel-la coscienza. Per quanto l'oggetto in sè non sia cono-sciuto, proprio perchè sia in sè, pure io, con la mia co-scienza, devo ritrovare l'Obiekt, sotto pena di nullità

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da questo rapporto l'oggetto (Gegenstand) e il giudizio èoggettivo» (pag. 84).

Ricordiamo: la nostra sensitività è forma del cono-scere, la quale porta questo al suo limite, in cui il cono-scere nasce dall'esistere; ma in tal primo grado del co-noscere non c'è Obiekt (che non c'è, secondo Kant, innessun conoscere) divenuto fenomeno intuito, non c'èGegenstand perchè non c'è ancora il concetto intellettivoa dare al fenomeno intuito la validità universale.

Differenza fra Obiekt e Gegenstand: Obiekt è il purooggetto che si potrebbe identificare col concetto di cosain sè. Ma in questa abbiamo quasi riguardo ad una qual-che essenza della cosa; nell'Obiekt, no, esso è un quidreale, che per natura sua trascende la conoscenza pro-prio per essere reale, è lo scolastico esse in re. Ma ab-biamo visto come col processo intuitivo questo Obiektreale ha in qualche modo (col fenomeno) il suo corri-spettivo nella conoscenza. Riconoscere questa rispon-denza del fenomeno all'Obiekt è trasformare il fenome-no intuito in Gegenstand. Perciò questo è qualche cosache sta dentro a noi conoscenti; il Gegenstand è il feno-meno dell'Obiekt, ma riconosciuto universale e necessa-rio per questo suo essere un Obiekt ma di coscienza.Obiekt è ciò che ci sta di fronte, fuori, cioè che non ècoscienza, proprio per poter essere Obiekt (è la cosa insè realistica). Gegenstand è l'Obiekt come può stare nel-la coscienza. Per quanto l'oggetto in sè non sia cono-sciuto, proprio perchè sia in sè, pure io, con la mia co-scienza, devo ritrovare l'Obiekt, sotto pena di nullità

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della coscienza stessa. E vi trovo infatti, nel concetto in-tellettivo, quella universalità e necessità che mi fa dire:non ci sono solo io come coscienza soggettiva, c'è unGegenstand (corrispettivo dell'Obiekt nella coscienza).

Avendo presente il problema che ci occupa (quellodella fisica pura come secondo grado per la soluzionedel problema interno della filosofia), noi finora abbiamotrovato che, per venire a parlare di natura come oggettodella fisica pura, dobbiamo intendere la oggettività,giacchè questa caratterizza la esperienza, nella quale ab-biamo coscienza della natura. Abbiamo indicato di que-sta oggettività di coscienza le due caratteristiche: uni-versalità e necessità. Occorre ora un più profondo inten-dimento di questi due caratteri per intendere a fondol'oggettività.

Per Kant la percezione precede il giudizio. Nel con-cetto poi c'è già il giudizio, cioè questo scindersi dellacoscienza in due aspetti e trovare la propria unità con-creta proprio in questa duplicità di aspetti. Per es., nelgiudizio: il bene è il fine supremo del volere, ci trovia-mo davanti alla coscienza di bene e di fine che per unmomento scindiamo ma proprio per conquistare il con-cetto del bene come fine della volontà. Ora nel concetto(dice Kant implicitamente), anche se preso nella formu-lazione tradizionale del concetto che si risolve in note,in questa unità solida del concetto non possono non es-serci le note, cioè i predicati del giudizio; quelle ci sonoin quanto attribuiamo questi predicati a quella cosa, cioèin quanto formuliamo il giudizio. Non è dunque possibi-

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della coscienza stessa. E vi trovo infatti, nel concetto in-tellettivo, quella universalità e necessità che mi fa dire:non ci sono solo io come coscienza soggettiva, c'è unGegenstand (corrispettivo dell'Obiekt nella coscienza).

Avendo presente il problema che ci occupa (quellodella fisica pura come secondo grado per la soluzionedel problema interno della filosofia), noi finora abbiamotrovato che, per venire a parlare di natura come oggettodella fisica pura, dobbiamo intendere la oggettività,giacchè questa caratterizza la esperienza, nella quale ab-biamo coscienza della natura. Abbiamo indicato di que-sta oggettività di coscienza le due caratteristiche: uni-versalità e necessità. Occorre ora un più profondo inten-dimento di questi due caratteri per intendere a fondol'oggettività.

Per Kant la percezione precede il giudizio. Nel con-cetto poi c'è già il giudizio, cioè questo scindersi dellacoscienza in due aspetti e trovare la propria unità con-creta proprio in questa duplicità di aspetti. Per es., nelgiudizio: il bene è il fine supremo del volere, ci trovia-mo davanti alla coscienza di bene e di fine che per unmomento scindiamo ma proprio per conquistare il con-cetto del bene come fine della volontà. Ora nel concetto(dice Kant implicitamente), anche se preso nella formu-lazione tradizionale del concetto che si risolve in note,in questa unità solida del concetto non possono non es-serci le note, cioè i predicati del giudizio; quelle ci sonoin quanto attribuiamo questi predicati a quella cosa, cioèin quanto formuliamo il giudizio. Non è dunque possibi-

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Page 78: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

le pensare un qualche cosa cioè avere un concetto senzache questo concetto non abbia in sè, non sia anche unatto giudicativo; perciò l'intelletto proprio in quanto fa-coltà del concepire è la stessa facoltà del giudicare. Eperciò Kant dice: (pag. 86) «A fondamento (dell'espe-rienza) vi sta la intuizione di cui sono consapevole, cioèla percezione che appartiene soltanto ai sensi. In secon-do luogo poi vi appartiene anche il giudicare (che spettasoltanto all'intelletto)». Non dobbiamo dunque accusaredi incoerenza Kant se considera l'intelletto come facoltàdei concetti e se nello stesso tempo dice: il giudiziospetta solo all'intelletto che è facoltà giudicativa. «Orquesto giudicare può essere duplice: in primo luogoconfronto le percezioni soltanto e le collego in una co-scienza del mio stato, oppure, in secondo luogo, le col-lego in una coscienza in generale» (p. 86-87).

Osserviamo il quadro nella nota n. 60 a pag. 86: ilgiudicare comincia dal n. 4. Gli elementi della coscien-za, per Kant, sono le rappresentazioni; questo è il campodella esperienza. La conoscenza quindi, secondo Kant,si risolve in rappresentazioni. Opinione tradizionale rin-verdita da Leibniz, dal quale Kant la prende; opinione anostro avviso erronea: se il conoscere è soltanto rappre-sentare, il conoscere non può adempire al suo compitoconoscitivo, il conoscere è un assurdo; saremmo semprein un mondo rappresentativo, quello reale ci sfuggireb-be irrimediabilmente. La coscienza ridotta a rappresen-tazione della realtà, non sarebbe mai la realtà: le sarebbeprecluso ogni ricorso diretto alla realtà. Possono perciò

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le pensare un qualche cosa cioè avere un concetto senzache questo concetto non abbia in sè, non sia anche unatto giudicativo; perciò l'intelletto proprio in quanto fa-coltà del concepire è la stessa facoltà del giudicare. Eperciò Kant dice: (pag. 86) «A fondamento (dell'espe-rienza) vi sta la intuizione di cui sono consapevole, cioèla percezione che appartiene soltanto ai sensi. In secon-do luogo poi vi appartiene anche il giudicare (che spettasoltanto all'intelletto)». Non dobbiamo dunque accusaredi incoerenza Kant se considera l'intelletto come facoltàdei concetti e se nello stesso tempo dice: il giudiziospetta solo all'intelletto che è facoltà giudicativa. «Orquesto giudicare può essere duplice: in primo luogoconfronto le percezioni soltanto e le collego in una co-scienza del mio stato, oppure, in secondo luogo, le col-lego in una coscienza in generale» (p. 86-87).

Osserviamo il quadro nella nota n. 60 a pag. 86: ilgiudicare comincia dal n. 4. Gli elementi della coscien-za, per Kant, sono le rappresentazioni; questo è il campodella esperienza. La conoscenza quindi, secondo Kant,si risolve in rappresentazioni. Opinione tradizionale rin-verdita da Leibniz, dal quale Kant la prende; opinione anostro avviso erronea: se il conoscere è soltanto rappre-sentare, il conoscere non può adempire al suo compitoconoscitivo, il conoscere è un assurdo; saremmo semprein un mondo rappresentativo, quello reale ci sfuggireb-be irrimediabilmente. La coscienza ridotta a rappresen-tazione della realtà, non sarebbe mai la realtà: le sarebbeprecluso ogni ricorso diretto alla realtà. Possono perciò

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Page 79: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

esserci parlamenti rappresentativi di popolo: non puòesserci un assoluto potere di rappresentare e soltanto dirappresentare. Svanirebbe, in quanto assolutamente as-sente, il rappresentato (realtà) e svanirebbe così anche ilrappresentante (coscienza). Il conoscere non è dunquesoltanto rappresentare; questo è concetto realistico eporta come conseguenza lo scetticismo.

Kant continua a concepire il mondo mentale conosci-tivo come rappresentativo, quantunque contro di essofaccia la più grave crociata; abbatte la dottrina della co-noscenza - rappresentazione, ma non se ne rende contoesplicito.

Chiudendo la parentesi riguardo a questo conoscere -rappresentare, torniamo alla detta duplicità di giudizio.Il giudizio empirico o di percezione consiste nella co-scienza in quanto puramente soggettiva, puramente sin-golare, cioè riconosco come soggettivo questo collega-mento; questa mia coscienza soggettiva, questa «co-scienza del mio stato», dunque, non nega l'oggettività,ma ne manca.

«Per l'esperienza non è sufficiente, come comune-mente si immagina, confrontare delle percezioni e colle-garle in una coscienza per mezzo del giudicare; da ciònon nasce una validità universale e una necessità delgiudizio, in forza delle quali soltanto esso può avere va-lore oggettivo ed essere esperienza» (pag. 87). Il giudi-zio dunque (e questa è stata considerata una incoerenzakantiana) non basta per uscire da questa coscienza delmio stato; anche questa è giudizio, sebbene non sia

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esserci parlamenti rappresentativi di popolo: non puòesserci un assoluto potere di rappresentare e soltanto dirappresentare. Svanirebbe, in quanto assolutamente as-sente, il rappresentato (realtà) e svanirebbe così anche ilrappresentante (coscienza). Il conoscere non è dunquesoltanto rappresentare; questo è concetto realistico eporta come conseguenza lo scetticismo.

Kant continua a concepire il mondo mentale conosci-tivo come rappresentativo, quantunque contro di essofaccia la più grave crociata; abbatte la dottrina della co-noscenza - rappresentazione, ma non se ne rende contoesplicito.

Chiudendo la parentesi riguardo a questo conoscere -rappresentare, torniamo alla detta duplicità di giudizio.Il giudizio empirico o di percezione consiste nella co-scienza in quanto puramente soggettiva, puramente sin-golare, cioè riconosco come soggettivo questo collega-mento; questa mia coscienza soggettiva, questa «co-scienza del mio stato», dunque, non nega l'oggettività,ma ne manca.

«Per l'esperienza non è sufficiente, come comune-mente si immagina, confrontare delle percezioni e colle-garle in una coscienza per mezzo del giudicare; da ciònon nasce una validità universale e una necessità delgiudizio, in forza delle quali soltanto esso può avere va-lore oggettivo ed essere esperienza» (pag. 87). Il giudi-zio dunque (e questa è stata considerata una incoerenzakantiana) non basta per uscire da questa coscienza delmio stato; anche questa è giudizio, sebbene non sia

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Page 80: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

esperienza. E per Kant invece, che pone la facoltà delconcepire (intelletto) come facoltà del giudicare, do-vrebbe bastare. Non basta, perchè Kant ammette ancheun giudicare schiettamente soggettivo (percettivo, nonfatto dall'intelletto); se lo facesse l'intelletto, siccomequesto, essendo facoltà del concetto, non può non essereuniversale e necessario, sarebbe oggettivo. E invece, ri-petiamo, i giudizi di percezione sono per Kant giudizi,ma non sono oggettivi. E perciò questi giudizi percettividi validità soltanto soggettiva non bastano. Fin che stoin questo stato soggettivo, ho rappresentazioni sensibili,non sono in quella ordinata connessione, che è il giudi-care da cui nasce l'oggetto (Gegenstand). Quando c'è ilvero e proprio giudicare, il giudicare dell'intellettocome facoltà dell'universale concetto, la coscienza nonè più soggettiva ma oggettiva.

Il giudizio percettivo è dunque coscienza singolare;esperienza è questa stessa coscienza più l'oggettività.Apportatore di tale oggettività è il concetto intellettivo,il concetto che nella sua purezza costituisce quell'intel-letto che formula, che esprime il giudizio oggettivo.«Tal concetto è un concetto puro dell'intelletto, apriori,concetto che non fa altro che determinare in generale, inuna intuizione, il modo in cui essa possa servire a deigiudizi» (pag. 88); il concetto puro ritrova sè nella in-tuizione.

Perchè dunque io raggiunga l'oggettività occorre:a) un giudizio percettivo;

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esperienza. E per Kant invece, che pone la facoltà delconcepire (intelletto) come facoltà del giudicare, do-vrebbe bastare. Non basta, perchè Kant ammette ancheun giudicare schiettamente soggettivo (percettivo, nonfatto dall'intelletto); se lo facesse l'intelletto, siccomequesto, essendo facoltà del concetto, non può non essereuniversale e necessario, sarebbe oggettivo. E invece, ri-petiamo, i giudizi di percezione sono per Kant giudizi,ma non sono oggettivi. E perciò questi giudizi percettividi validità soltanto soggettiva non bastano. Fin che stoin questo stato soggettivo, ho rappresentazioni sensibili,non sono in quella ordinata connessione, che è il giudi-care da cui nasce l'oggetto (Gegenstand). Quando c'è ilvero e proprio giudicare, il giudicare dell'intellettocome facoltà dell'universale concetto, la coscienza nonè più soggettiva ma oggettiva.

Il giudizio percettivo è dunque coscienza singolare;esperienza è questa stessa coscienza più l'oggettività.Apportatore di tale oggettività è il concetto intellettivo,il concetto che nella sua purezza costituisce quell'intel-letto che formula, che esprime il giudizio oggettivo.«Tal concetto è un concetto puro dell'intelletto, apriori,concetto che non fa altro che determinare in generale, inuna intuizione, il modo in cui essa possa servire a deigiudizi» (pag. 88); il concetto puro ritrova sè nella in-tuizione.

Perchè dunque io raggiunga l'oggettività occorre:a) un giudizio percettivo;

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b) la subordinazione dell'intuizione, in cui consiste que-sto giudizio percettivo, ai concetti intellettivi puri;c) si ha così il giudizio di esperienza con cui abbiamoconquistata la oggettività (p. 87).

Con questa oggettività siamo alla coscienza in gene-rale, che «così» (v. pag. 87) procura la validità universa-le ai giudizi empirici. Che cosa è questa coscienza in ge-nerale? Fino ad oggi è stata interpretata come l'io asso-luto trascendentale. Su quale presupposto è fondata taleinterpretazione? Su quello realistico pre ed anticriticoche il soggetto sia coscienza e l'oggetto sia l'oppostodella coscienza, cioè la non coscienza. Se ne è concluso:con questa coscienza in generale Kant passa dall'io sin-golare empirico all'io universale assoluto. Non è passag-gio; è un salto che falsifica la coscienza in generale diKant e rende impossibile la coscienza. Causa del salto èil pregiudizio realistico (nel farlo si suppone valida lasoluzione realistica del problema della conoscenza,mentre a parole si nega il realismo: il mondo conosciti-vo stante a sè, fatto di rappresentazioni, e il mondo del-la realtà stante a sè e fatto di cose). Or questa soluzioneè stata mostrata falsa; dalla coscienza, per salti che sifacciano, non si può uscire: l'ammissione di un esse inre è cosciente; l'esse in re e l'esse in mente (Obiekt eGegenstand) non si possono staccare dalla coscienzaanche se li ammettiamo in modo diverso, e cerchiamo digiustificare tale diversità.

Quando questo sia inteso bene, l'oggetto non si potràpiù dire qualche cosa di non coscienza. E allora la co-

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b) la subordinazione dell'intuizione, in cui consiste que-sto giudizio percettivo, ai concetti intellettivi puri;c) si ha così il giudizio di esperienza con cui abbiamoconquistata la oggettività (p. 87).

Con questa oggettività siamo alla coscienza in gene-rale, che «così» (v. pag. 87) procura la validità universa-le ai giudizi empirici. Che cosa è questa coscienza in ge-nerale? Fino ad oggi è stata interpretata come l'io asso-luto trascendentale. Su quale presupposto è fondata taleinterpretazione? Su quello realistico pre ed anticriticoche il soggetto sia coscienza e l'oggetto sia l'oppostodella coscienza, cioè la non coscienza. Se ne è concluso:con questa coscienza in generale Kant passa dall'io sin-golare empirico all'io universale assoluto. Non è passag-gio; è un salto che falsifica la coscienza in generale diKant e rende impossibile la coscienza. Causa del salto èil pregiudizio realistico (nel farlo si suppone valida lasoluzione realistica del problema della conoscenza,mentre a parole si nega il realismo: il mondo conosciti-vo stante a sè, fatto di rappresentazioni, e il mondo del-la realtà stante a sè e fatto di cose). Or questa soluzioneè stata mostrata falsa; dalla coscienza, per salti che sifacciano, non si può uscire: l'ammissione di un esse inre è cosciente; l'esse in re e l'esse in mente (Obiekt eGegenstand) non si possono staccare dalla coscienzaanche se li ammettiamo in modo diverso, e cerchiamo digiustificare tale diversità.

Quando questo sia inteso bene, l'oggetto non si potràpiù dire qualche cosa di non coscienza. E allora la co-

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scienza in generale di Kant sarà il soggetto stesso fatto-si universale, oppure sarà l'oggetto di cui il soggetto èconsapevole? Io credo debba essere l'oggetto. La co-scienza in generale di Kant non è dunque nè un io nèl'Io, ma è l'oggetto puro della coscienza degli io, èl'oggettività della coscienza. Kant certo questo non cidice esplicitamente, ma non pochi e non piccoli sono imotivi del suo filosofare, che autorizzano questa inter-pretazione, o, se si vuole, deduzione dal suo argomenta-re.

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scienza in generale di Kant sarà il soggetto stesso fatto-si universale, oppure sarà l'oggetto di cui il soggetto èconsapevole? Io credo debba essere l'oggetto. La co-scienza in generale di Kant non è dunque nè un io nèl'Io, ma è l'oggetto puro della coscienza degli io, èl'oggettività della coscienza. Kant certo questo non cidice esplicitamente, ma non pochi e non piccoli sono imotivi del suo filosofare, che autorizzano questa inter-pretazione, o, se si vuole, deduzione dal suo argomenta-re.

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XIIDALLA OGGETTIVITÀ ALLA NATURA

(paragr. 21 - 26): IL CONCETTO

La coscienza conoscitiva come giudizio. Le forme delgiudizio e i concetti intellettivi puri che le esprimono.La necessità della esperienza. Passaggio alla naturacome esperienza possibile apriori attraverso lo sche-matismo. Soluzione del problema della fisica pura.

Qual'è la condizione mediatrice del passaggio dalgiudizio percettivo, per il quale si è nella coscienza limi-tata al soggetto, al giudizio di esperienza, per il quale siriconosce che in questa coscienza, che pur certo il sog-getto ha, c'è della oggettività? La condizione mediatricedel passaggio è la subordinazione della intuizione, nellaquale consiste il giudizio percettivo, ad un concetto in-tellettivo. Che cosa è quest'ultimo? Vediamolo nellestesse espressioni kantiane; così a pag. 88: «il concettonon fa altro che determinare in generale, in una intuizio-ne, il modo, in cui essa possa servire a dei giudizi...»; e96: «non vi sono condizioni di giudizi di esperienza ol-tre quella che subordina i fenomeni, secondo la variaforma della loro intuizione, ai concetti intellettivi puri».Ma la più chiara definizione è quella che trovasi a pag.

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XIIDALLA OGGETTIVITÀ ALLA NATURA

(paragr. 21 - 26): IL CONCETTO

La coscienza conoscitiva come giudizio. Le forme delgiudizio e i concetti intellettivi puri che le esprimono.La necessità della esperienza. Passaggio alla naturacome esperienza possibile apriori attraverso lo sche-matismo. Soluzione del problema della fisica pura.

Qual'è la condizione mediatrice del passaggio dalgiudizio percettivo, per il quale si è nella coscienza limi-tata al soggetto, al giudizio di esperienza, per il quale siriconosce che in questa coscienza, che pur certo il sog-getto ha, c'è della oggettività? La condizione mediatricedel passaggio è la subordinazione della intuizione, nellaquale consiste il giudizio percettivo, ad un concetto in-tellettivo. Che cosa è quest'ultimo? Vediamolo nellestesse espressioni kantiane; così a pag. 88: «il concettonon fa altro che determinare in generale, in una intuizio-ne, il modo, in cui essa possa servire a dei giudizi...»; e96: «non vi sono condizioni di giudizi di esperienza ol-tre quella che subordina i fenomeni, secondo la variaforma della loro intuizione, ai concetti intellettivi puri».Ma la più chiara definizione è quella che trovasi a pag.

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90: «i concetti intellettivi puri non sono più che concettidi intuizioni in generale». Essa significa che quando ioho l'intuizione, ad es., di una pietra riscaldata dal sole (v.pag. 88), sono certo in un giudizio percettivo, e, per ave-re un giudizio d'esperienza, devo sussumere questa per-cezione «sento calda questa pietra illuminata dal sole»al concetto di causa, e dire quindi: «questa pietra è caldaperchè il sole la illumina»; ma già nella intuizione dellapietra riscaldata dal sole c'era questo «perchè», quantun-que io non lo vedessi esplicitamente, non ne facessi ungiudizio di esperienza.

«Si trova anzi che essi (i giudizi sintetici) sarebberoimpossibili, se ai concetti tratti dall'intuizione, non fossevenuto ad aggiungersi un concetto puro dell'intelletto,sotto al quale quei concetti sono stati subordinati e solocosì collegati in un giudizio oggettivamente valido»(pag. 89). Si potrebbe qui domandare: Come si conciliaciò con quanto abbiamo poco prima citato dalla pag. 90?I concetti puri sono «concetti di intuizione in generale»,ovvero «si aggiungono ai concetti tratti dalla intuizio-ne»? La soluzione della difficoltà l'avevamo implicita-mente data già nella lezione precedente, nel cui somma-rio avevamo detto: «Il concetto puro implicito alla intui-zione, ma non deducibile da essa». E cioè il concettopuro come tale non è deducibile dalla intuizione perchèaltrimenti saremmo sempre nella soggettività. Il concet-to puro è un qualche cosa di indipendente dalla intui-zione e costituisce quella coscienza necessaria e univer-sale, cioè oggettiva, in cui sta l'intelletto, il quale intus

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90: «i concetti intellettivi puri non sono più che concettidi intuizioni in generale». Essa significa che quando ioho l'intuizione, ad es., di una pietra riscaldata dal sole (v.pag. 88), sono certo in un giudizio percettivo, e, per ave-re un giudizio d'esperienza, devo sussumere questa per-cezione «sento calda questa pietra illuminata dal sole»al concetto di causa, e dire quindi: «questa pietra è caldaperchè il sole la illumina»; ma già nella intuizione dellapietra riscaldata dal sole c'era questo «perchè», quantun-que io non lo vedessi esplicitamente, non ne facessi ungiudizio di esperienza.

«Si trova anzi che essi (i giudizi sintetici) sarebberoimpossibili, se ai concetti tratti dall'intuizione, non fossevenuto ad aggiungersi un concetto puro dell'intelletto,sotto al quale quei concetti sono stati subordinati e solocosì collegati in un giudizio oggettivamente valido»(pag. 89). Si potrebbe qui domandare: Come si conciliaciò con quanto abbiamo poco prima citato dalla pag. 90?I concetti puri sono «concetti di intuizione in generale»,ovvero «si aggiungono ai concetti tratti dalla intuizio-ne»? La soluzione della difficoltà l'avevamo implicita-mente data già nella lezione precedente, nel cui somma-rio avevamo detto: «Il concetto puro implicito alla intui-zione, ma non deducibile da essa». E cioè il concettopuro come tale non è deducibile dalla intuizione perchèaltrimenti saremmo sempre nella soggettività. Il concet-to puro è un qualche cosa di indipendente dalla intui-zione e costituisce quella coscienza necessaria e univer-sale, cioè oggettiva, in cui sta l'intelletto, il quale intus

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legit, collega le note, ci dà l'essenza della cosa, cioèl'oggettività. Il concetto puro è questa lettura del colle-gamento intimo della cosa intuìta nella sua unità; lettu-ra, nella quale e con la quale l'intelletto raggiunge larealtà, è la realtà stessa, sempre fenomenica si intende,ma vista nel suo essere originata da un Obiekt e così po-sta dall'intelletto come Gegenstand. Ed è per questo cheuna facoltà, un atto conoscitivo del soggetto, qual'èl'intelletto come tale, è oggettivante; è per questo che iconcetti puri nello stesso tempo col loro puro essere for-male costituiscono l'intelletto e forniscono la realtàcome oggettiva. Si ripete qui ad un grado superiorequello che si disse per l'intuizione pura. Sia questa che ilconcetto puro fanno uno con la realtà e così possonofornire la sintesi.

Finora abbiamo veduto che cosa sono i concetti puri;ora ci resta da vedere quali sono, dove e come li trovere-mo. Se è vero che questi concetti puri sono la stessa co-scienza universale e necessaria, li troveremo in essa; mail trovarli in essa non solo non ci allontana dalla realtà,ma anzi ci mette in contatto con questa. Potremo anchequi come per la matematica avere la sintesi reale senzarinnegare l'apriorità necessitante. Secondo Kant la co-scienza in generale non ci indica esplicitamente questiconcetti puri; però ci dà una indicazione secondo cui ri-trovarli; ce la dà proprio col suo essere coscienza cono-scitiva. Il conoscere umano per Kant è sempre giudica-re; è giudicare sia quando percepisce empiricamente chequando fa un giudizio di esperienza. Or se questi con-

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legit, collega le note, ci dà l'essenza della cosa, cioèl'oggettività. Il concetto puro è questa lettura del colle-gamento intimo della cosa intuìta nella sua unità; lettu-ra, nella quale e con la quale l'intelletto raggiunge larealtà, è la realtà stessa, sempre fenomenica si intende,ma vista nel suo essere originata da un Obiekt e così po-sta dall'intelletto come Gegenstand. Ed è per questo cheuna facoltà, un atto conoscitivo del soggetto, qual'èl'intelletto come tale, è oggettivante; è per questo che iconcetti puri nello stesso tempo col loro puro essere for-male costituiscono l'intelletto e forniscono la realtàcome oggettiva. Si ripete qui ad un grado superiorequello che si disse per l'intuizione pura. Sia questa che ilconcetto puro fanno uno con la realtà e così possonofornire la sintesi.

Finora abbiamo veduto che cosa sono i concetti puri;ora ci resta da vedere quali sono, dove e come li trovere-mo. Se è vero che questi concetti puri sono la stessa co-scienza universale e necessaria, li troveremo in essa; mail trovarli in essa non solo non ci allontana dalla realtà,ma anzi ci mette in contatto con questa. Potremo anchequi come per la matematica avere la sintesi reale senzarinnegare l'apriorità necessitante. Secondo Kant la co-scienza in generale non ci indica esplicitamente questiconcetti puri; però ci dà una indicazione secondo cui ri-trovarli; ce la dà proprio col suo essere coscienza cono-scitiva. Il conoscere umano per Kant è sempre giudica-re; è giudicare sia quando percepisce empiricamente chequando fa un giudizio di esperienza. Or se questi con-

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cetti intellettivi puri non sono altro che il nesso intimodella intuizione in generale, cioè il giudizio implicitonella intuizione, e perciò sono il mezzo per il quale daun giudizio soggettivo passiamo ad uno oggettivo, que-sti concetti intellettivi puri saranno tanti quanti sono imodi in cui la coscienza giudica. Kant prende dalla lo-gica tradizionale la determinazione di questi modi digiudicare. Non dunque critica di essi e del giudizio; maloro pura e semplice accettazione. Eleviamo la funzio-nalità di ciascuno di questi modi al suo concetto, edavremo i concetti puri. Questa è la famosa deduzionedelle categorie. Si suole distinguere una duplice dedu-zione di esse: genericamente, ed abbiam visto perchè,esse sono tratte dalla coscienza in generale; ma, nellaloro determinazione, sono tratte dalla tavola logica deigiudizi.

A pag. 91 abbiamo detta tavola dei giudizi in corri-spondenza della tavola trascendentale (pag. 92) di queitali concetti che servono di mediazione tra il giudiziopercettivo e il giudizio di esperienza, e servono di me-diazione perchè forma implicita dell'uno, esplicitadell'altro. Sono note le kantiane dodici categorie, colloro raggruppamento a tre a tre sotto quattro titoli diver-si (qualità, quantità, relazione, modalità). L'aristotelicaenumerazione di dieci categorie, Kant giustamente chia-ma una accozzaglia, una rapsodia, perchè Aristotele nonle ha dedotte. Già per la loro natura questi predicamentiuniversalissimi di Aristotele, nei quali quasi si ritrovanole essenze universali delle cose, sono lontanissimi dalle

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cetti intellettivi puri non sono altro che il nesso intimodella intuizione in generale, cioè il giudizio implicitonella intuizione, e perciò sono il mezzo per il quale daun giudizio soggettivo passiamo ad uno oggettivo, que-sti concetti intellettivi puri saranno tanti quanti sono imodi in cui la coscienza giudica. Kant prende dalla lo-gica tradizionale la determinazione di questi modi digiudicare. Non dunque critica di essi e del giudizio; maloro pura e semplice accettazione. Eleviamo la funzio-nalità di ciascuno di questi modi al suo concetto, edavremo i concetti puri. Questa è la famosa deduzionedelle categorie. Si suole distinguere una duplice dedu-zione di esse: genericamente, ed abbiam visto perchè,esse sono tratte dalla coscienza in generale; ma, nellaloro determinazione, sono tratte dalla tavola logica deigiudizi.

A pag. 91 abbiamo detta tavola dei giudizi in corri-spondenza della tavola trascendentale (pag. 92) di queitali concetti che servono di mediazione tra il giudiziopercettivo e il giudizio di esperienza, e servono di me-diazione perchè forma implicita dell'uno, esplicitadell'altro. Sono note le kantiane dodici categorie, colloro raggruppamento a tre a tre sotto quattro titoli diver-si (qualità, quantità, relazione, modalità). L'aristotelicaenumerazione di dieci categorie, Kant giustamente chia-ma una accozzaglia, una rapsodia, perchè Aristotele nonle ha dedotte. Già per la loro natura questi predicamentiuniversalissimi di Aristotele, nei quali quasi si ritrovanole essenze universali delle cose, sono lontanissimi dalle

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Page 87: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

categorie - funzioni di Kant: questi predicati aristoteliciinvestivano la realtà, riguardavano la cosa in sè (direb-be Kant); laddove in Kant le categorie sono l'essenzafunzionale del giudizio di esperienza e così e perciò leg-gi della realtà conosciuta. La coscienza critica kantianapoi è molto turbata da quel raggruppamento aristotelico,senza ordine e senza discernimento, pel quale troviamomessi insieme, per es., i fenomenici ed intuitivi «dove»e «quando» con l'intellettiva e necessaria «causa», ecc....Per Kant non c'è possibilità di spiegare la conoscenzasenza la chiara distinzione del sentire dall'intendere, an-che se, come abbiam visto, questo secondo non può es-sere scisso dal primo, senza del quale sarebbe vuoto. Ela categoricità è dell'intendere e soltanto di questo, per-chè questo solo raggiunge l'oggettività assicurata dallacategoricità. Aristotele non fa (e certo non poteva fare asuo tempo) l'analisi critica della conoscenza.

Con la seconda tavola abbiamo trovato la determina-zione dei concetti intellettivi puri e perciò siccome que-sti dànno ai giudizi percettivi la oggettività, abbiamotrovato la determinazione della oggettività. Abbiamospiegato la oggettività della esperienza; siamo semprenella coscienza, per quanto non più chiusa nei soggettisingolari. Diremo: «è così», e non più soltanto «per meè così».

Ma il problema della fisica pura era quello di passaredalla esperienza come punto di partenza alla legalità dinatura o dalla legalità della natura alla esperienza. Kant(abbiamo visto) preferisce la prima via. E perciò, essen-

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categorie - funzioni di Kant: questi predicati aristoteliciinvestivano la realtà, riguardavano la cosa in sè (direb-be Kant); laddove in Kant le categorie sono l'essenzafunzionale del giudizio di esperienza e così e perciò leg-gi della realtà conosciuta. La coscienza critica kantianapoi è molto turbata da quel raggruppamento aristotelico,senza ordine e senza discernimento, pel quale troviamomessi insieme, per es., i fenomenici ed intuitivi «dove»e «quando» con l'intellettiva e necessaria «causa», ecc....Per Kant non c'è possibilità di spiegare la conoscenzasenza la chiara distinzione del sentire dall'intendere, an-che se, come abbiam visto, questo secondo non può es-sere scisso dal primo, senza del quale sarebbe vuoto. Ela categoricità è dell'intendere e soltanto di questo, per-chè questo solo raggiunge l'oggettività assicurata dallacategoricità. Aristotele non fa (e certo non poteva fare asuo tempo) l'analisi critica della conoscenza.

Con la seconda tavola abbiamo trovato la determina-zione dei concetti intellettivi puri e perciò siccome que-sti dànno ai giudizi percettivi la oggettività, abbiamotrovato la determinazione della oggettività. Abbiamospiegato la oggettività della esperienza; siamo semprenella coscienza, per quanto non più chiusa nei soggettisingolari. Diremo: «è così», e non più soltanto «per meè così».

Ma il problema della fisica pura era quello di passaredalla esperienza come punto di partenza alla legalità dinatura o dalla legalità della natura alla esperienza. Kant(abbiamo visto) preferisce la prima via. E perciò, essen-

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Page 88: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

do ancora nell'esperienza, siamo ancora nel punto dipartenza, non siamo ancora alla legalità universale dinatura, non abbiamo ancora risoluto il problema della fi-sica pura.

Prima di proseguire, vediamo il paragr. 22, che ècome il sommario di quanto Kant dice a propositodell'esserci la necessità, in quanto c'è oggettività, nellaesperienza. Per la dissociazione del concetto di necessitàda quello di oggettività Kant non venne inteso. Si provauna specie di scandalo per una pretesa incoerenza kan-tiana, quando Kant dice che l'esperienza è necessaria;incoerenza, perchè Kant ci ripete continuamente chenon può essere tratta dall'esperienza la necessità ed uni-versalità scientifica. Se infatti anche tutta l'umanità fos-se concorde in una determinata esperienza, non per ciòquesta sarebbe necessaria ed universale; l'umanità ha in-cominciato ed un giorno finirà. Pur Kant parla di neces-sità della esperienza, e non può non parlarne se l'ogget-tività è necessità ed universalità e l'esperienza è ogget-tiva. Ma così la necessità come l'oggettività che ci sononella esperienza, provengono non da quanto di empiri-co, di qualitativo questa contiene, ma da quanto contie-ne di apriori, di pura concettualità.

Chiarito questo carattere di necessità dell'esperienza,occorre uscire dal punto di partenza e avviarci verso ilpunto di arrivo, cioè alla legalità della natura, perchè al-lora soltanto sarà risoluto il problema della fisica; soloallora sarà dimostrato che è possibile la scienza della

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do ancora nell'esperienza, siamo ancora nel punto dipartenza, non siamo ancora alla legalità universale dinatura, non abbiamo ancora risoluto il problema della fi-sica pura.

Prima di proseguire, vediamo il paragr. 22, che ècome il sommario di quanto Kant dice a propositodell'esserci la necessità, in quanto c'è oggettività, nellaesperienza. Per la dissociazione del concetto di necessitàda quello di oggettività Kant non venne inteso. Si provauna specie di scandalo per una pretesa incoerenza kan-tiana, quando Kant dice che l'esperienza è necessaria;incoerenza, perchè Kant ci ripete continuamente chenon può essere tratta dall'esperienza la necessità ed uni-versalità scientifica. Se infatti anche tutta l'umanità fos-se concorde in una determinata esperienza, non per ciòquesta sarebbe necessaria ed universale; l'umanità ha in-cominciato ed un giorno finirà. Pur Kant parla di neces-sità della esperienza, e non può non parlarne se l'ogget-tività è necessità ed universalità e l'esperienza è ogget-tiva. Ma così la necessità come l'oggettività che ci sononella esperienza, provengono non da quanto di empiri-co, di qualitativo questa contiene, ma da quanto contie-ne di apriori, di pura concettualità.

Chiarito questo carattere di necessità dell'esperienza,occorre uscire dal punto di partenza e avviarci verso ilpunto di arrivo, cioè alla legalità della natura, perchè al-lora soltanto sarà risoluto il problema della fisica; soloallora sarà dimostrato che è possibile la scienza della

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Page 89: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

natura come tale. Kant lo fa mediante la tavola III a pag.92 (v. paragr. 23, 24, 25).

È il difficile problema dello schematismo della ra-gion pura (v. cap. I del libro II della Critica della Ragionpura). Che cosa è questo schematismo? Kant, abbiamvisto, ammette due forme apriori dell'intuire (lo spazioe il tempo: forma dell'intuire le cose esterne in quantotali è lo spazio; intuire le cose, è vederle in una data for-ma spaziale. Il tempo è la successione del prima e delpoi, che non si riferiscono alla esteriorità come tale, perla quale basta la spazialità. Il tempo non c'entra con laesteriorità; è un qualche cosa che caratterizza l'intuizio-ne nella sua interiorità alla coscienza; il tempo è il suc-cedersi dei miei stati di coscienza. Attribuiamo questasuccessione anche alle cose esterne solo indirettamenteper il loro riviverle in questa intuizione interiore che ioho dei miei stati di coscienza, e quindi anche delle mieintuizioni esterne).

In questa intuizione interiore che è il tempo, dobbia-mo vivere anche i concetti intellettivi puri, i quali in talevita acquistano quel potere mediatore pel quale si passadai giudizi soggettivi agli oggettivi, e pel quale insiemequelle nostre pure funzioni giudicative, quali sono le ca-tegorie, i concetti puri in atto, sono anche principi fisio-logici, cioè leggi generalissime della natura.

Questo intervenire diretto della categoricità logicafunzionale nella fenomenica realtà attraverso l'intuizio-ne interiore del tempo, questo investire così tale realtàfenomenica dando a quella categoricità logica il valore

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natura come tale. Kant lo fa mediante la tavola III a pag.92 (v. paragr. 23, 24, 25).

È il difficile problema dello schematismo della ra-gion pura (v. cap. I del libro II della Critica della Ragionpura). Che cosa è questo schematismo? Kant, abbiamvisto, ammette due forme apriori dell'intuire (lo spazioe il tempo: forma dell'intuire le cose esterne in quantotali è lo spazio; intuire le cose, è vederle in una data for-ma spaziale. Il tempo è la successione del prima e delpoi, che non si riferiscono alla esteriorità come tale, perla quale basta la spazialità. Il tempo non c'entra con laesteriorità; è un qualche cosa che caratterizza l'intuizio-ne nella sua interiorità alla coscienza; il tempo è il suc-cedersi dei miei stati di coscienza. Attribuiamo questasuccessione anche alle cose esterne solo indirettamenteper il loro riviverle in questa intuizione interiore che ioho dei miei stati di coscienza, e quindi anche delle mieintuizioni esterne).

In questa intuizione interiore che è il tempo, dobbia-mo vivere anche i concetti intellettivi puri, i quali in talevita acquistano quel potere mediatore pel quale si passadai giudizi soggettivi agli oggettivi, e pel quale insiemequelle nostre pure funzioni giudicative, quali sono le ca-tegorie, i concetti puri in atto, sono anche principi fisio-logici, cioè leggi generalissime della natura.

Questo intervenire diretto della categoricità logicafunzionale nella fenomenica realtà attraverso l'intuizio-ne interiore del tempo, questo investire così tale realtàfenomenica dando a quella categoricità logica il valore

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di legalità della realtà fenomenica naturale è quello cheKant dice schematismo della ragion pura.

I principi fisiologici sono quei principi che ci dannola possibilità della natura nelle sue leggi; sono le leggistesse della natura; sono le leggi universali nelle qualiconsiste la natura (v. paragr. 23 e 24).

L'esperienza apriori è possibilità di esperienza, nonesperienza di fatto che suppone quella possibilità. Equella esperienza apriori (soltanto possibile) è lo sche-matismo che riassume i principi fisiologici e cioè le leg-gi universali della natura: con lo schematismo abbiamoraggiunta la legalità di natura.

Le leggi universali sono conoscenze apriori e ce ledà la fisica pura che è la scienza della possibilitàdell'esperienza; la quale dà le leggi a cui l'esperienza difatto deve obbedire perchè sono insieme le leggi dellanatura conosciuta e dell'esperienza con cui la si può co-noscere.

Kant distingue i principi fisiologici in principi mate-matici e in principi dinamici; questi ultimi soltanto sonole vere e proprie leggi della fisica pura.

Ecco dunque per la fisica pura, come già per la mate-matica, giustificate ad un punto, la sua apriorità (neces-sità ed universalità) e la sua sinteticità (realtà). Il cono-scere non è scisso dalla natura che si conosce: se l'unprocesso e l'altro (il conoscitivo e il naturale) non fosse-ro fondamentalmente uno, non ci potrebbe essere nèl'uno nè l'altro.

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di legalità della realtà fenomenica naturale è quello cheKant dice schematismo della ragion pura.

I principi fisiologici sono quei principi che ci dannola possibilità della natura nelle sue leggi; sono le leggistesse della natura; sono le leggi universali nelle qualiconsiste la natura (v. paragr. 23 e 24).

L'esperienza apriori è possibilità di esperienza, nonesperienza di fatto che suppone quella possibilità. Equella esperienza apriori (soltanto possibile) è lo sche-matismo che riassume i principi fisiologici e cioè le leg-gi universali della natura: con lo schematismo abbiamoraggiunta la legalità di natura.

Le leggi universali sono conoscenze apriori e ce ledà la fisica pura che è la scienza della possibilitàdell'esperienza; la quale dà le leggi a cui l'esperienza difatto deve obbedire perchè sono insieme le leggi dellanatura conosciuta e dell'esperienza con cui la si può co-noscere.

Kant distingue i principi fisiologici in principi mate-matici e in principi dinamici; questi ultimi soltanto sonole vere e proprie leggi della fisica pura.

Ecco dunque per la fisica pura, come già per la mate-matica, giustificate ad un punto, la sua apriorità (neces-sità ed universalità) e la sua sinteticità (realtà). Il cono-scere non è scisso dalla natura che si conosce: se l'unprocesso e l'altro (il conoscitivo e il naturale) non fosse-ro fondamentalmente uno, non ci potrebbe essere nèl'uno nè l'altro.

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XIIICONFUTAZIONE DELLO SCETTICISMO

(paragr. 27 - 31)

Il circolo vizioso notato da Hume tra leggi causali dinatura e loro esperienza umana. Estensione del dub-bio humiano. Soluzione del circolo vizioso nel con-cetto di natura come esperienza possibile. Accentua-zione kantiana della distinzione della noumenicitàdalla fenomenicità di natura. Problemi insorgentidalla soluzione kantiana del dubbio scettico: 1) don-de e perchè la singolarità dei fatti e delle cose? 2)donde e perchè la diversità dei concetti puri comeleggi?

Il dubbio di Hume è semplice nella sua natura; tuttiparlano – e più se ne parlava ai tempi di Hume – di cau-sa e di effetto; su questa ammissione dell'esserci, nellarealtà, questo nesso, si fonda la conoscenza umana chediciamo esperienza: questa conoscenza non par possibi-le se non presupponiamo già come reale questo nesso dicausa e di effetto. Ma d'altra parte solo la già fatta espe-rienza prova la realtà di tale nesso. Siamo in un circolo:la causalità reale fonda l'esperienza, l'esperienza fondala causalità reale. Questo circolo Hume mette in eviden-

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XIIICONFUTAZIONE DELLO SCETTICISMO

(paragr. 27 - 31)

Il circolo vizioso notato da Hume tra leggi causali dinatura e loro esperienza umana. Estensione del dub-bio humiano. Soluzione del circolo vizioso nel con-cetto di natura come esperienza possibile. Accentua-zione kantiana della distinzione della noumenicitàdalla fenomenicità di natura. Problemi insorgentidalla soluzione kantiana del dubbio scettico: 1) don-de e perchè la singolarità dei fatti e delle cose? 2)donde e perchè la diversità dei concetti puri comeleggi?

Il dubbio di Hume è semplice nella sua natura; tuttiparlano – e più se ne parlava ai tempi di Hume – di cau-sa e di effetto; su questa ammissione dell'esserci, nellarealtà, questo nesso, si fonda la conoscenza umana chediciamo esperienza: questa conoscenza non par possibi-le se non presupponiamo già come reale questo nesso dicausa e di effetto. Ma d'altra parte solo la già fatta espe-rienza prova la realtà di tale nesso. Siamo in un circolo:la causalità reale fonda l'esperienza, l'esperienza fondala causalità reale. Questo circolo Hume mette in eviden-

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za e contesta quindi il valore oggettivo reale della cau-salità. Continueremo dunque, dopo Hume, a fare la no-stra esperienza con questo nesso ma non sapendo se at-tinge o meno la realtà: a noi consta solo il prima e il poicostante o no, e noi trasformiamo in causalità il prima epoi costante. Così Hume rompeva il circolo vizioso an-nullando ciò che lo costituisce: il valore oggettivo dellacausalità. Kant soggiunge, anzi aggiunge: Hume ha ra-gione; ma dobbiamo estendere il suo dubbio; es., il soleè causa del calore della pietra, ma anche quando dico:l'uomo è animale ragionevole pare che dall'esserci realedell'uomo io mi formi il concetto della sua essenza, e in-vece il suo esserci reale dipende dal mio pensarlo. Per-ciò anche nel nesso sostanziale e non soltanto in quellocausale c'è questo circolo vizioso; par che ci sia circoloin ogni nesso necessario che si ritrovi nella natura e cheperciò si attui nella esperienza. Ma ampliato così loscetticismo, Kant continua: perchè questa constatazionefosse scetticismo, bisognerebbe provare che al di là diquesta esperienza, che voi dimostrate che è in circolo vi-zioso con la natura, ci sia come natura una natura chenon sia l'esperienza. La natura invece è proprio la natu-ra conosciuta sperimentalmente; l'esperienza umana èproprio l'esperienza naturale. L'errore è in questo dua-lizzare.

Kant invece di puntare su questa unità natura-espe-rienza, la rende concetto secondario e prende come pri-mario questo: Hume avrebbe ragione se il sapere uma-no avesse per compito di conoscere le cose in sè; ma

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za e contesta quindi il valore oggettivo reale della cau-salità. Continueremo dunque, dopo Hume, a fare la no-stra esperienza con questo nesso ma non sapendo se at-tinge o meno la realtà: a noi consta solo il prima e il poicostante o no, e noi trasformiamo in causalità il prima epoi costante. Così Hume rompeva il circolo vizioso an-nullando ciò che lo costituisce: il valore oggettivo dellacausalità. Kant soggiunge, anzi aggiunge: Hume ha ra-gione; ma dobbiamo estendere il suo dubbio; es., il soleè causa del calore della pietra, ma anche quando dico:l'uomo è animale ragionevole pare che dall'esserci realedell'uomo io mi formi il concetto della sua essenza, e in-vece il suo esserci reale dipende dal mio pensarlo. Per-ciò anche nel nesso sostanziale e non soltanto in quellocausale c'è questo circolo vizioso; par che ci sia circoloin ogni nesso necessario che si ritrovi nella natura e cheperciò si attui nella esperienza. Ma ampliato così loscetticismo, Kant continua: perchè questa constatazionefosse scetticismo, bisognerebbe provare che al di là diquesta esperienza, che voi dimostrate che è in circolo vi-zioso con la natura, ci sia come natura una natura chenon sia l'esperienza. La natura invece è proprio la natu-ra conosciuta sperimentalmente; l'esperienza umana èproprio l'esperienza naturale. L'errore è in questo dua-lizzare.

Kant invece di puntare su questa unità natura-espe-rienza, la rende concetto secondario e prende come pri-mario questo: Hume avrebbe ragione se il sapere uma-no avesse per compito di conoscere le cose in sè; ma

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Page 93: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

esso ha per compito la conoscenza delle cose comesono nella conoscenza umana perchè l'uomo agisce nel-la esperienza; quindi la sua azione è resa possibile anchese la sua conoscenza è solo di cose quali si presentano;in base alla costituzione di queste cose egli non puòavere torto; la sua conoscenza è vera, anche se è sol-tanto del fenomeno.

Questa presentazione di Kant si fonda sulla distinzio-ne tra cose in sè e fenomeno. La conoscenza umana nonè falsificante – come falsificante invece l'aveva presen-tata Hume, in quanto elevava a necessità reale (causali-tà) quello che era un puro abito soggettivo – perchè puòconoscere e conosce i fenomeni della natura; il fenome-no naturale non è diverso da quello che si conosce. Nèil fenomeno naturale potrebbe essere diverso per altripercipienti; il fenomeno naturale non è solo umano, nonè creazione umana. Ha una sua, la sua oggettività. Que-sta oggettività è conoscibile apriori, è la stessa possibili-tà della esperienza, possibilità dell'esperienza, chel'esperienza umana attua e può attuare solo perchè c'èquella possibilità. Possibilità dell'esperienza, che è lastessa legalità di natura.

Per capire bene Kant occorre avere sempre presentela distinzione tra possibilità dell'esperienza ed esperien-za: (1. possibilità dell'esperienza è legge, essenza dellanatura come tale; 2. esperienza di fatto è l'inquadra-mento della percezione empirica in questa possibilitàdell'esperienza, è vivere nella coscienza il fatto di naturacon la sua legge: ad es., noi con una esperienza di fatto

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esso ha per compito la conoscenza delle cose comesono nella conoscenza umana perchè l'uomo agisce nel-la esperienza; quindi la sua azione è resa possibile anchese la sua conoscenza è solo di cose quali si presentano;in base alla costituzione di queste cose egli non puòavere torto; la sua conoscenza è vera, anche se è sol-tanto del fenomeno.

Questa presentazione di Kant si fonda sulla distinzio-ne tra cose in sè e fenomeno. La conoscenza umana nonè falsificante – come falsificante invece l'aveva presen-tata Hume, in quanto elevava a necessità reale (causali-tà) quello che era un puro abito soggettivo – perchè puòconoscere e conosce i fenomeni della natura; il fenome-no naturale non è diverso da quello che si conosce. Nèil fenomeno naturale potrebbe essere diverso per altripercipienti; il fenomeno naturale non è solo umano, nonè creazione umana. Ha una sua, la sua oggettività. Que-sta oggettività è conoscibile apriori, è la stessa possibili-tà della esperienza, possibilità dell'esperienza, chel'esperienza umana attua e può attuare solo perchè c'èquella possibilità. Possibilità dell'esperienza, che è lastessa legalità di natura.

Per capire bene Kant occorre avere sempre presentela distinzione tra possibilità dell'esperienza ed esperien-za: (1. possibilità dell'esperienza è legge, essenza dellanatura come tale; 2. esperienza di fatto è l'inquadra-mento della percezione empirica in questa possibilitàdell'esperienza, è vivere nella coscienza il fatto di naturacon la sua legge: ad es., noi con una esperienza di fatto

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Page 94: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

determiniamo l'anno solare in base ai movimenti dellaterra attorno al sole; ma questa legge empirica è resapossibile dalla possibilità stessa dell'esperienza, cioèdalla legalità di natura). Non più dunque scetticismodella nostra conoscenza concreta, proclama Kant, maassoluta certezza, determinata dalla identità di funzioniconoscitive e leggi naturali.

A proposito della causalità dice Kant (pag. 105): «Èquesto il punto di scalzare dalla sua base il dubbio diHume. Egli a buon diritto affermava che con la ragionenoi non intendiamo in alcun modo la possibilità dellacausalità, cioè della relazione della esistenza di una cosacon la esistenza di un qualcos'altro che sia posto neces-sariamente da quella». Questa affermazione di Hume,dice Kant, può essere estesa all'idea della sussistenza edella reciprocità.

Parte essenziale dell'argomentare di Kant in questopunto sono i tre concetti intellettivi puri di relazione (so-stanza, causa, reciprocità... v. pag. 92) che devono tuttiessere messi in dubbio se si dubita di uno solo.

Nel paragr. 28 a pag. 106 Kant insiste sulla distinzio-ne fra cosa in sè e fenomeno e presenta la soluzione deldubbio di Hume. Soluzione così pel rapporto causale pelquale ci sono gli eventi, come pel rapporto sostanzialepel quale soltanto troviamo cose nella natura, come, in-fine, per quel reciproco saldo legame di tutte le cose chefa una la natura. Il coesistere delle cose naturali è sem-pre un interferire e questo interferire è l'unità del mondonaturale; questo essere insieme, anche quando si conce-

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determiniamo l'anno solare in base ai movimenti dellaterra attorno al sole; ma questa legge empirica è resapossibile dalla possibilità stessa dell'esperienza, cioèdalla legalità di natura). Non più dunque scetticismodella nostra conoscenza concreta, proclama Kant, maassoluta certezza, determinata dalla identità di funzioniconoscitive e leggi naturali.

A proposito della causalità dice Kant (pag. 105): «Èquesto il punto di scalzare dalla sua base il dubbio diHume. Egli a buon diritto affermava che con la ragionenoi non intendiamo in alcun modo la possibilità dellacausalità, cioè della relazione della esistenza di una cosacon la esistenza di un qualcos'altro che sia posto neces-sariamente da quella». Questa affermazione di Hume,dice Kant, può essere estesa all'idea della sussistenza edella reciprocità.

Parte essenziale dell'argomentare di Kant in questopunto sono i tre concetti intellettivi puri di relazione (so-stanza, causa, reciprocità... v. pag. 92) che devono tuttiessere messi in dubbio se si dubita di uno solo.

Nel paragr. 28 a pag. 106 Kant insiste sulla distinzio-ne fra cosa in sè e fenomeno e presenta la soluzione deldubbio di Hume. Soluzione così pel rapporto causale pelquale ci sono gli eventi, come pel rapporto sostanzialepel quale soltanto troviamo cose nella natura, come, in-fine, per quel reciproco saldo legame di tutte le cose chefa una la natura. Il coesistere delle cose naturali è sem-pre un interferire e questo interferire è l'unità del mondonaturale; questo essere insieme, anche quando si conce-

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pisca come mucchio (il che non è neppure possibile)pure importa sempre interdipendenza. La reciprocità èla più fondamentale e comprensiva legge dell'essere,perchè in essa convergono molteplicità ed unità. Quantopiù chiariremo come e possibile essere molti e uno in-sieme, e viceversa, tanto più saremo andati profondonella conoscenza e, direi, nella coscienza dell'essere.

La cosa di natura, dunque, come cosa è il giudiziopossibile di sostanza; io lo pronuncio quando una cosadi natura di fatto sperimento. La mia esperienza in gene-re è l'insieme di cose naturali costitutive del mio giudi-care e perciò appunto non in sè. La ragione vera e pro-fonda con cui Kant supera Hume è questa: ridurre lanatura alla esperienza possibile e l'esperienza possibilealla legalità naturale. Questa identificazione nondell'esperienza umana di fatto ma solo della esperienzapossibile con la legalità naturale esclude l'interpretazio-ne e lo sviluppo del kantismo in umanismo. Tale svilup-po è soltanto una falsificazione non uno sviluppo diKant.

Nel paragr. 30 Kant afferma che se natura è esperien-za possibile e questa è lo schematismo dei concetti in-tellettivi puri, è chiaro che se volessimo far servire que-sti ad organizzare cose in sè, faremmo cosa arbitrariaed essi non servirebbero. Sono leggi che devono essereriempite del fenomeno e non delle cose in sè. Sarebbecome voler far regolare le leggi del suono dalle leggi delsapore; come voler dare le qualifiche del sapore al suo-no. Kant forse anche lui non si è liberato del tutto da

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pisca come mucchio (il che non è neppure possibile)pure importa sempre interdipendenza. La reciprocità èla più fondamentale e comprensiva legge dell'essere,perchè in essa convergono molteplicità ed unità. Quantopiù chiariremo come e possibile essere molti e uno in-sieme, e viceversa, tanto più saremo andati profondonella conoscenza e, direi, nella coscienza dell'essere.

La cosa di natura, dunque, come cosa è il giudiziopossibile di sostanza; io lo pronuncio quando una cosadi natura di fatto sperimento. La mia esperienza in gene-re è l'insieme di cose naturali costitutive del mio giudi-care e perciò appunto non in sè. La ragione vera e pro-fonda con cui Kant supera Hume è questa: ridurre lanatura alla esperienza possibile e l'esperienza possibilealla legalità naturale. Questa identificazione nondell'esperienza umana di fatto ma solo della esperienzapossibile con la legalità naturale esclude l'interpretazio-ne e lo sviluppo del kantismo in umanismo. Tale svilup-po è soltanto una falsificazione non uno sviluppo diKant.

Nel paragr. 30 Kant afferma che se natura è esperien-za possibile e questa è lo schematismo dei concetti in-tellettivi puri, è chiaro che se volessimo far servire que-sti ad organizzare cose in sè, faremmo cosa arbitrariaed essi non servirebbero. Sono leggi che devono essereriempite del fenomeno e non delle cose in sè. Sarebbecome voler far regolare le leggi del suono dalle leggi delsapore; come voler dare le qualifiche del sapore al suo-no. Kant forse anche lui non si è liberato del tutto da

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Page 96: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

questo arbitrio. Infatti la causalità, che appartiene sol-tanto a questa naturale legalità, egli ha messa al limitetra cose in sè e fenomeno: «Se ci sono i fenomeni cisono i noumeni che li causano», egli ha detto in base alprincipio di causalità.

«Questa completa soluzione del problema di Hume,sebbene riesca contro l'aspettazione dell'autore, salvadunque ai concetti puri dell'intelletto la loro origineapriori e alle leggi universali della natura la loro validitàcome leggi dell'intelletto» (pag. 110). I concetti intellet-tivi puri sono dunque apriori e pur valgono per la realtà,in quanto costituiscono la possibilità dell'esperienza cheè certo esperienza di realtà naturale.

«Scaturisce quindi da tutte le indagini finora fatte, ilseguente risultato: «Tutti i principi sintetici apriori nonsono altro che principi dell'esperienza possibile» e nonpossono mai essere riferiti a cose in sè, ma soltanto a fe-nomeni come oggetti dell'esperienza» (pag. 110). La na-tura dunque è la natura conosciuta e la natura conosciutaè la natura. Si è soliti presentare la prima di queste dueproposizioni perfettamente convertibili, e quindi suppor-re quasi una natura in sè accanto o sotto una natura co-nosciuta. Non è così per Kant; non bisogna confonderela cosa in sè kantiana con una pretesa natura in sè,espressione che per Kant è una pura e semplice contrad-dizione. Perchè natura non è che possibilità di esperien-za. Resta così sempre aperto il campo alle scienze speri-mentali sul fondamento di questa possibilità indagata eritrovata apriori dalla fisica pura.

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questo arbitrio. Infatti la causalità, che appartiene sol-tanto a questa naturale legalità, egli ha messa al limitetra cose in sè e fenomeno: «Se ci sono i fenomeni cisono i noumeni che li causano», egli ha detto in base alprincipio di causalità.

«Questa completa soluzione del problema di Hume,sebbene riesca contro l'aspettazione dell'autore, salvadunque ai concetti puri dell'intelletto la loro origineapriori e alle leggi universali della natura la loro validitàcome leggi dell'intelletto» (pag. 110). I concetti intellet-tivi puri sono dunque apriori e pur valgono per la realtà,in quanto costituiscono la possibilità dell'esperienza cheè certo esperienza di realtà naturale.

«Scaturisce quindi da tutte le indagini finora fatte, ilseguente risultato: «Tutti i principi sintetici apriori nonsono altro che principi dell'esperienza possibile» e nonpossono mai essere riferiti a cose in sè, ma soltanto a fe-nomeni come oggetti dell'esperienza» (pag. 110). La na-tura dunque è la natura conosciuta e la natura conosciutaè la natura. Si è soliti presentare la prima di queste dueproposizioni perfettamente convertibili, e quindi suppor-re quasi una natura in sè accanto o sotto una natura co-nosciuta. Non è così per Kant; non bisogna confonderela cosa in sè kantiana con una pretesa natura in sè,espressione che per Kant è una pura e semplice contrad-dizione. Perchè natura non è che possibilità di esperien-za. Resta così sempre aperto il campo alle scienze speri-mentali sul fondamento di questa possibilità indagata eritrovata apriori dalla fisica pura.

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Page 97: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

Che questa soluzione kantiana del dubbio scettico ri-guardo alla natura soddisfi completamente, non diremo.Rimangono senza risposta due interrogativi:

1°) la natura è esperienza possibile; ma come, dondemai la singolarità delle cose costituenti la natura, lasingolarità dei fatti in cui la legge si attua? Singolaritàdi cose e di fatti che permettono appunto l'esperienza inatto. Donde e perchè una esperienza di fatto su unaesperienza soltanto possibile? Questa esperienza del fat-to come tale era l'assillo di Hume; egli diceva: troviamoattuate le leggi naturali in fatti che compongono la no-stra esperienza (fino ad oggi) con questa loro legalità:dobbiamo essere necessitati a ritenere che questa lega-lità sia anche futura? Risponde a ciò Kant? Temo di no.Talune leggi di natura (per es. l'esserci della terra e ilsorgere del sole finiranno; e perchè?) Non credo che sitrovi risposta nella dottrina kantiana della natura comepossibilità di esperienza. Questo problema sarà poi ri-preso, mettendosi in evidenza la contingenza delle leggidi natura (cfr. p. es. Boutroux).

2°) Inoltre, perchè i diversi concetti puri come leggi?Abbiamo inteso questa natura come legalità, sempreriempita di fenomeni; varrà essa per qualunque natura,quindi non più soltanto per soli con attorno dei pianeti,ma per qualsiasi natura immaginabile? ammessa questalegalità eterna del fenomeno – contingente e passeggero– perchè ci devono essere il principio di causa, di so-stanza, di necessità, ecc.? È il problema della diversitàdi leggi fondamentali della natura, correlativo alla diver-

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Che questa soluzione kantiana del dubbio scettico ri-guardo alla natura soddisfi completamente, non diremo.Rimangono senza risposta due interrogativi:

1°) la natura è esperienza possibile; ma come, dondemai la singolarità delle cose costituenti la natura, lasingolarità dei fatti in cui la legge si attua? Singolaritàdi cose e di fatti che permettono appunto l'esperienza inatto. Donde e perchè una esperienza di fatto su unaesperienza soltanto possibile? Questa esperienza del fat-to come tale era l'assillo di Hume; egli diceva: troviamoattuate le leggi naturali in fatti che compongono la no-stra esperienza (fino ad oggi) con questa loro legalità:dobbiamo essere necessitati a ritenere che questa lega-lità sia anche futura? Risponde a ciò Kant? Temo di no.Talune leggi di natura (per es. l'esserci della terra e ilsorgere del sole finiranno; e perchè?) Non credo che sitrovi risposta nella dottrina kantiana della natura comepossibilità di esperienza. Questo problema sarà poi ri-preso, mettendosi in evidenza la contingenza delle leggidi natura (cfr. p. es. Boutroux).

2°) Inoltre, perchè i diversi concetti puri come leggi?Abbiamo inteso questa natura come legalità, sempreriempita di fenomeni; varrà essa per qualunque natura,quindi non più soltanto per soli con attorno dei pianeti,ma per qualsiasi natura immaginabile? ammessa questalegalità eterna del fenomeno – contingente e passeggero– perchè ci devono essere il principio di causa, di so-stanza, di necessità, ecc.? È il problema della diversitàdi leggi fondamentali della natura, correlativo alla diver-

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Page 98: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

sità delle categorie di giudizio. Non crediamo che Kantsi sia posto il problema di tale diversità sotto l'uno ol'altro aspetto.

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sità delle categorie di giudizio. Non crediamo che Kantsi sia posto il problema di tale diversità sotto l'uno ol'altro aspetto.

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XIVL'ESIGENZA CRITICA

(paragr. 32 - 38)

La noumenicità come mondo intelligibile. Insidia dovu-ta alla purezza dei concetti intellettivi e sua elimina-zione. L'autoconoscenza della ragione. Rivoluzionecopernicana di Kant nello stabilire la possibilità del-la natura. Soggettivismo e oggettivismo nell'intenderetale rivoluzione copernicana.

Come mai l'umanità ha aspettato tanti secoli – 2300anni circa a cominciar soltanto da Talete – a chiarirequesto errore, dal quale Hume ha tratto il suo scettici-smo? Perchè c'è un'insidia naturale nelle stesse catego-rie: esse si presentano ingenue, schive di esperienza edin questa loro purezza, in questa indipendenza dallaesperienza si presentano necessitanti; ci han fatto cosìcredere che esse siano delle cose in sè, o almeno loroproprietà, loro legge. Ecco perchè noi finora trattavamoi concetti puri come cose; la purezza delle categorie citendeva il tranello: interpretavamo la loro necessitàcome la stessa necessità delle cose in sè. Quando invecepossiamo sventare questa insidia, possiamo, in questaloro purezza, appunto perchè tale, riconoscere il vuoto,

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XIVL'ESIGENZA CRITICA

(paragr. 32 - 38)

La noumenicità come mondo intelligibile. Insidia dovu-ta alla purezza dei concetti intellettivi e sua elimina-zione. L'autoconoscenza della ragione. Rivoluzionecopernicana di Kant nello stabilire la possibilità del-la natura. Soggettivismo e oggettivismo nell'intenderetale rivoluzione copernicana.

Come mai l'umanità ha aspettato tanti secoli – 2300anni circa a cominciar soltanto da Talete – a chiarirequesto errore, dal quale Hume ha tratto il suo scettici-smo? Perchè c'è un'insidia naturale nelle stesse catego-rie: esse si presentano ingenue, schive di esperienza edin questa loro purezza, in questa indipendenza dallaesperienza si presentano necessitanti; ci han fatto cosìcredere che esse siano delle cose in sè, o almeno loroproprietà, loro legge. Ecco perchè noi finora trattavamoi concetti puri come cose; la purezza delle categorie citendeva il tranello: interpretavamo la loro necessitàcome la stessa necessità delle cose in sè. Quando invecepossiamo sventare questa insidia, possiamo, in questaloro purezza, appunto perchè tale, riconoscere il vuoto,

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l'assenza di contenuto e non l'ente intelligibile, la cosain sè. Queste categorie, per quanto valgano per l'essere,non sono enti, ma solo funzioni che ordinano gli enti.Ma, e daccapo, quali enti? Quelli dati dalle intuizionisensibili, gli enti intuiti. Kant dice di essere il primo adaprire gli occhi alla umanità su questa insidia. Ed ha ra-gione. Ha ragione specialmente in questo implicito an-nunziare così come problema nuovo il vecchissimo pro-blema della filosofia: problema nuovo come problema, alei interno, della sua stessa possibilità. Problema internodella filosofia che doveva trarre la sua soluzione dallasoluzione del problema generale del conoscere.

Pur Kant spesso continua a chiamare noumeni questecose in sè, inattinte e inattingibili dall'intelletto. Noume-ni e cioè oggetti di pensiero, puri pensati. Perchè? Giàda Platone si era determinato questo, che le essenze veredelle cose sono le loro essenze immutabili. Or immuta-bili sono soltanto le essenze che ci dà l'intelletto in con-trapposto di quelle del senso che ci dà il mutabile ed ilrelativo. Questo è motivo platonico che è rimasto e si èsviluppato nella tradizione filosofica: l'essenza vera èciò che non può essere distrutto, ciò che non diviene,non finisce; e questa essenza immutabile che non finisceè solo quella pensata dalla mente, dal nous: è l'idea.Queste cose, nella eternità loro, nella loro essenza uni-versale e necessaria, non possono essere che idee. Cosìle cose in sè come noumeni sono l'essere in sè, secondola scoperta platonica dell'idealità dell'essere come tale.L'essere in sè deve dirsi dunque noumenico. Questo, se-

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l'assenza di contenuto e non l'ente intelligibile, la cosain sè. Queste categorie, per quanto valgano per l'essere,non sono enti, ma solo funzioni che ordinano gli enti.Ma, e daccapo, quali enti? Quelli dati dalle intuizionisensibili, gli enti intuiti. Kant dice di essere il primo adaprire gli occhi alla umanità su questa insidia. Ed ha ra-gione. Ha ragione specialmente in questo implicito an-nunziare così come problema nuovo il vecchissimo pro-blema della filosofia: problema nuovo come problema, alei interno, della sua stessa possibilità. Problema internodella filosofia che doveva trarre la sua soluzione dallasoluzione del problema generale del conoscere.

Pur Kant spesso continua a chiamare noumeni questecose in sè, inattinte e inattingibili dall'intelletto. Noume-ni e cioè oggetti di pensiero, puri pensati. Perchè? Giàda Platone si era determinato questo, che le essenze veredelle cose sono le loro essenze immutabili. Or immuta-bili sono soltanto le essenze che ci dà l'intelletto in con-trapposto di quelle del senso che ci dà il mutabile ed ilrelativo. Questo è motivo platonico che è rimasto e si èsviluppato nella tradizione filosofica: l'essenza vera èciò che non può essere distrutto, ciò che non diviene,non finisce; e questa essenza immutabile che non finisceè solo quella pensata dalla mente, dal nous: è l'idea.Queste cose, nella eternità loro, nella loro essenza uni-versale e necessaria, non possono essere che idee. Cosìle cose in sè come noumeni sono l'essere in sè, secondola scoperta platonica dell'idealità dell'essere come tale.L'essere in sè deve dirsi dunque noumenico. Questo, se-

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condo Kant, può e deve continuare a dirsi vero. Ma nonperciò questo mondo noumenico di cose in sè intelligi-bili deve dirsi anche conosciuto dall'umano intelletto.Conosciuto è intuitivamente soltanto dall'intelletto divi-no. Ma il mondo che è inteso, conosciuto dall'intellettoumano che fonda la sua sinteticità sul senso fenomeniz-zante, è soltanto il mondo delle connessioni logiche edelle leggi naturali, che non attinge l'essere in sè. Que-sto per l'uomo rimane soltanto pensato, affermato colpensiero.

Kant è fiero della sua scoperta: non devesi più con-fondere il mondo noumenico, che non può essere che di-vino, con quello dell'intelletto umano. Intellettoquest'ultimo che è pur sempre intelletto anche limitatoentro organismi sensitivi e costretto quindi a prendereda questi il suo contenuto, il che, per Kant, rende taleumano intelletto, come intelletto, soltanto formale e nonontologico. L'ontologismo dell'intelletto umano è sol-tanto fenomenico: in questo mondo del fenomenol'intelletto umano fa uno con l'essere.

L'intelletto kantiano perciò non è il soggetto, non èl'io; l'intelletto kantiano è oggettivo. Come si può, pensaKant, consolidare questa scoperta e far sì che essa trion-fi della insidia delle categorie? Con questa nuova scien-za: la critica; così le categorie non saranno più scam-biate per entità, ma si saprà che sono soltanto funzioni.Chi di questa critica sia incapace, chi ne prescinde, nonscoprirà mai l'insidia delle categorie. Di qui lo sdegno diKant per coloro che continuavano a fare della filosofia,

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condo Kant, può e deve continuare a dirsi vero. Ma nonperciò questo mondo noumenico di cose in sè intelligi-bili deve dirsi anche conosciuto dall'umano intelletto.Conosciuto è intuitivamente soltanto dall'intelletto divi-no. Ma il mondo che è inteso, conosciuto dall'intellettoumano che fonda la sua sinteticità sul senso fenomeniz-zante, è soltanto il mondo delle connessioni logiche edelle leggi naturali, che non attinge l'essere in sè. Que-sto per l'uomo rimane soltanto pensato, affermato colpensiero.

Kant è fiero della sua scoperta: non devesi più con-fondere il mondo noumenico, che non può essere che di-vino, con quello dell'intelletto umano. Intellettoquest'ultimo che è pur sempre intelletto anche limitatoentro organismi sensitivi e costretto quindi a prendereda questi il suo contenuto, il che, per Kant, rende taleumano intelletto, come intelletto, soltanto formale e nonontologico. L'ontologismo dell'intelletto umano è sol-tanto fenomenico: in questo mondo del fenomenol'intelletto umano fa uno con l'essere.

L'intelletto kantiano perciò non è il soggetto, non èl'io; l'intelletto kantiano è oggettivo. Come si può, pensaKant, consolidare questa scoperta e far sì che essa trion-fi della insidia delle categorie? Con questa nuova scien-za: la critica; così le categorie non saranno più scam-biate per entità, ma si saprà che sono soltanto funzioni.Chi di questa critica sia incapace, chi ne prescinde, nonscoprirà mai l'insidia delle categorie. Di qui lo sdegno diKant per coloro che continuavano a fare della filosofia,

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Page 102: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

prescindendo dalla Critica. «Ma non può giovare a nullail cercar di moderare quelle infruttuose ricerche della ra-gion pura con ammonimenti d'ogni genere sulla difficol-tà della soluzione di quistioni così profondamente re-condite, col dolersi dei limiti della nostra ragione e colridurre le affermazioni a semplici congetture. Poichèquando l'impossibilità di esse (cioè delle cose in sè) nonsia chiaramente dimostrata, e l'autoconoscenza della ra-gione non divenga vera scienza, nella quale sia, a cosìdire, distinto con certezza geometrica il campo del suouso legittimo da quello del suo uso nullo ed infruttuoso,quei vani sforzi non saran mai tolti completamente»(pag. 117).

L'autoconoscenza della ragione e cioè la critica è perKant la conoscenza trascendentale, cioè quella scienzache, invece di avere ad oggetto l'essere o una determi-nata forma dell'essere, ha se stessa a suo oggetto. Solocosì, con questa preventiva Critica, noi potremo elimi-nare l'insidia delle categorie nella soluzione del proble-ma dell'essere.

Su questa determinazione dell'intelletto come insiemedi concetti puri, cioè indipendenti dall'esperienza, mache non per questo sono enti intelligibili, perchè sonoinvece nessi in cui i fenomeni della natura devono ne-cessariamente avvenire – e non altro che i fenomeni –Kant poggia la soluzione del problema definitivo di que-sta IIa parte: come è possibile la natura stessa? È qui ilcopernicanesimo di Kant, che ha portato, al dire dellostesso Kant, nel mondo speculativo una rivoluzione

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prescindendo dalla Critica. «Ma non può giovare a nullail cercar di moderare quelle infruttuose ricerche della ra-gion pura con ammonimenti d'ogni genere sulla difficol-tà della soluzione di quistioni così profondamente re-condite, col dolersi dei limiti della nostra ragione e colridurre le affermazioni a semplici congetture. Poichèquando l'impossibilità di esse (cioè delle cose in sè) nonsia chiaramente dimostrata, e l'autoconoscenza della ra-gione non divenga vera scienza, nella quale sia, a cosìdire, distinto con certezza geometrica il campo del suouso legittimo da quello del suo uso nullo ed infruttuoso,quei vani sforzi non saran mai tolti completamente»(pag. 117).

L'autoconoscenza della ragione e cioè la critica è perKant la conoscenza trascendentale, cioè quella scienzache, invece di avere ad oggetto l'essere o una determi-nata forma dell'essere, ha se stessa a suo oggetto. Solocosì, con questa preventiva Critica, noi potremo elimi-nare l'insidia delle categorie nella soluzione del proble-ma dell'essere.

Su questa determinazione dell'intelletto come insiemedi concetti puri, cioè indipendenti dall'esperienza, mache non per questo sono enti intelligibili, perchè sonoinvece nessi in cui i fenomeni della natura devono ne-cessariamente avvenire – e non altro che i fenomeni –Kant poggia la soluzione del problema definitivo di que-sta IIa parte: come è possibile la natura stessa? È qui ilcopernicanesimo di Kant, che ha portato, al dire dellostesso Kant, nel mondo speculativo una rivoluzione

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uguale a quella operata da Copernico nel mondo fisico.La rivoluzione che Copernico ha prodotto nell'intendi-mento dei moti celesti, io la opero, dice Kant, nel cam-po gnoseologico, perchè finora si diceva che erano leleggi di natura che venivano ad improntar di sè l'intel-letto da cui si facevano conoscere. È vero invece l'oppo-sto: non è la natura che con leggi sue eterogeneeall'intelletto venga ad improntar di sè l'intelletto stesso ecosì si faccia conoscere (cosa impossibile ad ottenersicosì) ma è l'intelletto stesso che informa delle sue leggila natura stessa, la quale così ha una sua legalità, laquale perciò non è eterogenea, in quanto naturale,all'intelletto.

Questa è la scoperta di Kant; ma questo copernicane-simo venne inteso falsamente, come se l'intelletto, pro-prio come intelletto umano, creasse a sè le sue leggi e ledesse anche alla natura; è questo il punto di vista ideali-stico soggettivistico, che necessariamente finisce in unumanismo tutt'altro che giustificato. L'intelletto, con lasua presenza nell'uomo, non solo supera la singolaritàdegli individui umani, ma anche la totalità di essi e lanecèssita.

Perciò per Kant l'intelletto è già costituito con questesue leggi che sono le categorie (sostanza, causa, recipro-cità, ecc....) e di cui esso non può spogliarsi; l'intellettoumano per Kant non dà esso a se stesso queste leggi, inmodo che possa spogliarsene ed esse non siano necessa-rie. L'intelletto kantiano non è lo Spirito autocreatore,quale lo si è fatto diventare dopo. Che non ci siano diffi-

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uguale a quella operata da Copernico nel mondo fisico.La rivoluzione che Copernico ha prodotto nell'intendi-mento dei moti celesti, io la opero, dice Kant, nel cam-po gnoseologico, perchè finora si diceva che erano leleggi di natura che venivano ad improntar di sè l'intel-letto da cui si facevano conoscere. È vero invece l'oppo-sto: non è la natura che con leggi sue eterogeneeall'intelletto venga ad improntar di sè l'intelletto stesso ecosì si faccia conoscere (cosa impossibile ad ottenersicosì) ma è l'intelletto stesso che informa delle sue leggila natura stessa, la quale così ha una sua legalità, laquale perciò non è eterogenea, in quanto naturale,all'intelletto.

Questa è la scoperta di Kant; ma questo copernicane-simo venne inteso falsamente, come se l'intelletto, pro-prio come intelletto umano, creasse a sè le sue leggi e ledesse anche alla natura; è questo il punto di vista ideali-stico soggettivistico, che necessariamente finisce in unumanismo tutt'altro che giustificato. L'intelletto, con lasua presenza nell'uomo, non solo supera la singolaritàdegli individui umani, ma anche la totalità di essi e lanecèssita.

Perciò per Kant l'intelletto è già costituito con questesue leggi che sono le categorie (sostanza, causa, recipro-cità, ecc....) e di cui esso non può spogliarsi; l'intellettoumano per Kant non dà esso a se stesso queste leggi, inmodo che possa spogliarsene ed esse non siano necessa-rie. L'intelletto kantiano non è lo Spirito autocreatore,quale lo si è fatto diventare dopo. Che non ci siano diffi-

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coltà e durezze in questa concezione kantiana dell'intel-letto, certo noi non neghiamo; ma neghiamo che laspontaneità dell'intelletto kantiano possa e debba essereinterpretata come quell'assoluto autoporsi che annullaogni categoria. Per ciò l'intelletto kantiano può interpre-tarsi, proprio in una maniera opposta a quella seguitafino ad oggi, come la stessa oggettività necessitante,cioè la universalità e necessità della coscienza del sog-getto.

E possiamo finalmente rispondere alla domanda:come è possibile la conoscenza pura e pur sintetica dellanatura per l'uomo? È possibile perchè l'uomo è intellettodella legalità dei fenomeni, che nella loro unità diciamonatura.

Si spiega così come l'uomo possa apriori costruire lafisica, e pur costruire una fisica non imaginaria ma verafisica della reale natura. Questo significa scalzare ognimaterialismo, ogni spiegazione materialistica dell'esse-re, a cominciare proprio anche da quel mondo della na-tura, nel quale la materia si affermerebbe. Tanto più ilmaterialismo viene scalzato alla base per quel mondonoumenico dell'essere in sè, anche se kantianamentedobbiamo ritenerlo sconosciuto. Sconosciuto quanto sivoglia, esso non può essere quel fenomeno spiritualedell'essere, che è la materia.

Questo soprattutto richiede il copernicanesimo diKant: non l'umanismo da una parte, non l'agnosticismodall'altra.

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coltà e durezze in questa concezione kantiana dell'intel-letto, certo noi non neghiamo; ma neghiamo che laspontaneità dell'intelletto kantiano possa e debba essereinterpretata come quell'assoluto autoporsi che annullaogni categoria. Per ciò l'intelletto kantiano può interpre-tarsi, proprio in una maniera opposta a quella seguitafino ad oggi, come la stessa oggettività necessitante,cioè la universalità e necessità della coscienza del sog-getto.

E possiamo finalmente rispondere alla domanda:come è possibile la conoscenza pura e pur sintetica dellanatura per l'uomo? È possibile perchè l'uomo è intellettodella legalità dei fenomeni, che nella loro unità diciamonatura.

Si spiega così come l'uomo possa apriori costruire lafisica, e pur costruire una fisica non imaginaria ma verafisica della reale natura. Questo significa scalzare ognimaterialismo, ogni spiegazione materialistica dell'esse-re, a cominciare proprio anche da quel mondo della na-tura, nel quale la materia si affermerebbe. Tanto più ilmaterialismo viene scalzato alla base per quel mondonoumenico dell'essere in sè, anche se kantianamentedobbiamo ritenerlo sconosciuto. Sconosciuto quanto sivoglia, esso non può essere quel fenomeno spiritualedell'essere, che è la materia.

Questo soprattutto richiede il copernicanesimo diKant: non l'umanismo da una parte, non l'agnosticismodall'altra.

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PARTE TERZATERZO GRADO DEL PROBLEMA

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PARTE TERZATERZO GRADO DEL PROBLEMA

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XVLA METAFISICA COME ESIGENZA

UMANA

Il mondo indicato dalla ragione nella sua purezza: ilgreco mondo intelligibile ed il cristiano mondo so-prannaturale. Le idee e loro caratteristica. Loro ori-gine dalla sublimazione dei concetti intellettivi puri.Conseguente dialettica naturale umana: il compitodella ragione pura nella sua esigenza metafisica.

È chiusa così la II parte della trattazione; quello cheabbiam detto II grado della soluzione del problema dellascienza come assoluta conoscenza, della soluzione cioèdel problema interno della filosofia.

Il III quesito era (pag. 47): come è possibile la metafi-sica in generale? Kant parte ora non più dal senso (puro)come per la I parte, non più dall'intelletto (puro) comeper la II parte; parte invece dalla ragione (pura), perchèla metafisica vuol essere una scienza che, mediante laragione, indipendentemente da ogni esperienza, rag-giunga qualche cosa che è il mondo intelligibile in sè.Ciò già con Platone e nella filosofia tradizionale cri-stiana. Nella filosofia tradizionale cristiana, a far attin-gere di colpo il mondo intelligibile, il soprannaturale,

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XVLA METAFISICA COME ESIGENZA

UMANA

Il mondo indicato dalla ragione nella sua purezza: ilgreco mondo intelligibile ed il cristiano mondo so-prannaturale. Le idee e loro caratteristica. Loro ori-gine dalla sublimazione dei concetti intellettivi puri.Conseguente dialettica naturale umana: il compitodella ragione pura nella sua esigenza metafisica.

È chiusa così la II parte della trattazione; quello cheabbiam detto II grado della soluzione del problema dellascienza come assoluta conoscenza, della soluzione cioèdel problema interno della filosofia.

Il III quesito era (pag. 47): come è possibile la metafi-sica in generale? Kant parte ora non più dal senso (puro)come per la I parte, non più dall'intelletto (puro) comeper la II parte; parte invece dalla ragione (pura), perchèla metafisica vuol essere una scienza che, mediante laragione, indipendentemente da ogni esperienza, rag-giunga qualche cosa che è il mondo intelligibile in sè.Ciò già con Platone e nella filosofia tradizionale cri-stiana. Nella filosofia tradizionale cristiana, a far attin-gere di colpo il mondo intelligibile, il soprannaturale,

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era intervenuto lo sviluppo della rivelazione cristiana:con la fede si era raggiunto l'essere. Così quello che perPlatone era il mondo intelligibile, scoperto dalla ragionestessa, nella filosofia cristiana diventa il mondo sopran-naturale, raggiunto dalla fede. È con ciò forse cessatal'esigenza di una filosofia come ragion pura? No, a partela necessità che in ogni fede in qualche modo ci sia del-la filosofia, nella stessa speculazione cristiana, dopo losviluppo patristico del dogma rivelato, come tale, si ètentata di esso, almeno in parte, una giustificazione ra-zionale con la Scolastica. Nella stessa Scolastica dunquela metafisica è questa ragion pura, che, indipendente-mente da quello che la natura è, dimostra quel che deveessere questa soprannatura. Kant si attiene a questo con-cetto tradizionale, quando pone il problema della ragionpura. Egli tratta della realtà in sè (pag. 220) e cioè delmondo intelligibile che è il vero, sia in senso platonico,sia in senso cristiano, sia come cosa in sè kantiana.L'essere è l'oggetto della metafisica; non l'apparenza o ildivenire, non il greco mondo della sensibilità, non ilcontingente mondo naturale cristiano, non il mondo fe-nomenico di Kant; ma l'essere che non ha cominciato, eche non può finire; l'essere in sè. La metafisica devesempre voler cogliere questa realtà in sè; se no, non èpiù il sapere (Aristotele) che ha come oggetto l'esserecome essere.

Or dell'indagine finora fatta da Kant non avevano cer-to bisogno nè i matematici nè i fisici: ai matematici ba-stava l'evidenza, ed ai fisici bastava l'esperienza: una

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era intervenuto lo sviluppo della rivelazione cristiana:con la fede si era raggiunto l'essere. Così quello che perPlatone era il mondo intelligibile, scoperto dalla ragionestessa, nella filosofia cristiana diventa il mondo sopran-naturale, raggiunto dalla fede. È con ciò forse cessatal'esigenza di una filosofia come ragion pura? No, a partela necessità che in ogni fede in qualche modo ci sia del-la filosofia, nella stessa speculazione cristiana, dopo losviluppo patristico del dogma rivelato, come tale, si ètentata di esso, almeno in parte, una giustificazione ra-zionale con la Scolastica. Nella stessa Scolastica dunquela metafisica è questa ragion pura, che, indipendente-mente da quello che la natura è, dimostra quel che deveessere questa soprannatura. Kant si attiene a questo con-cetto tradizionale, quando pone il problema della ragionpura. Egli tratta della realtà in sè (pag. 220) e cioè delmondo intelligibile che è il vero, sia in senso platonico,sia in senso cristiano, sia come cosa in sè kantiana.L'essere è l'oggetto della metafisica; non l'apparenza o ildivenire, non il greco mondo della sensibilità, non ilcontingente mondo naturale cristiano, non il mondo fe-nomenico di Kant; ma l'essere che non ha cominciato, eche non può finire; l'essere in sè. La metafisica devesempre voler cogliere questa realtà in sè; se no, non èpiù il sapere (Aristotele) che ha come oggetto l'esserecome essere.

Or dell'indagine finora fatta da Kant non avevano cer-to bisogno nè i matematici nè i fisici: ai matematici ba-stava l'evidenza, ed ai fisici bastava l'esperienza: una

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Page 108: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

matematica ed una fisica scienze già c'erano: erano stategià fatte, potevano e dovevano continuare a farsi nellostesso modo. Kant non vuole insegnare a matematici efisici a fare la loro scienza. Vuol ritrovare la metafisicaed insegnare ai metafisici a farla.

Con la metafisica (pag. 130) ci troviamo davanti aconcetti puri della ragione e non dell'intelletto. Di solitoKant li chiama idee pure della ragione. Prima ha parlatodelle intuizioni pure: spazio e tempo; poi delle catego-rie; ora di idee, che sembrano entità di coscienza diver-se dalle prime e dalle seconde: par che abbiano un po'delle categorie, ma nulla delle intuizioni.

Nel sentire spaziale e temporale si trovava la confer-ma delle intuizioni pure matematiche; dei concetti intel-lettivi puri si ha conferma nella esperienza. Delle ideepure della ragione non pare si possa avere conferma;sono qualche cosa di puro, apriori come le une e gli al-tri, ma mancano di quella capacità sintetica con cui siraggiunge la realtà.

Sono arcinote le principali idee pure della ragione se-condo Kant: anima, mondo, Dio. Sporadicamente si pre-sentano come idee pure anche il fine e la libertà. Le ideenon concorrono a formare l'esperienza possibile e perciòsono escluse da ogni esperienza di fatto. La stessa ideadi mondo non è esperienza possibile, non può attuarsi innessuna esperienza di fatto.

Queste idee, si sa, sono, per Kant, l'assolutizzazionedelle categorie di relazione: il mondo, della categoria dicausa; l'anima, di quella di sostanza; Dio, della categoria

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matematica ed una fisica scienze già c'erano: erano stategià fatte, potevano e dovevano continuare a farsi nellostesso modo. Kant non vuole insegnare a matematici efisici a fare la loro scienza. Vuol ritrovare la metafisicaed insegnare ai metafisici a farla.

Con la metafisica (pag. 130) ci troviamo davanti aconcetti puri della ragione e non dell'intelletto. Di solitoKant li chiama idee pure della ragione. Prima ha parlatodelle intuizioni pure: spazio e tempo; poi delle catego-rie; ora di idee, che sembrano entità di coscienza diver-se dalle prime e dalle seconde: par che abbiano un po'delle categorie, ma nulla delle intuizioni.

Nel sentire spaziale e temporale si trovava la confer-ma delle intuizioni pure matematiche; dei concetti intel-lettivi puri si ha conferma nella esperienza. Delle ideepure della ragione non pare si possa avere conferma;sono qualche cosa di puro, apriori come le une e gli al-tri, ma mancano di quella capacità sintetica con cui siraggiunge la realtà.

Sono arcinote le principali idee pure della ragione se-condo Kant: anima, mondo, Dio. Sporadicamente si pre-sentano come idee pure anche il fine e la libertà. Le ideenon concorrono a formare l'esperienza possibile e perciòsono escluse da ogni esperienza di fatto. La stessa ideadi mondo non è esperienza possibile, non può attuarsi innessuna esperienza di fatto.

Queste idee, si sa, sono, per Kant, l'assolutizzazionedelle categorie di relazione: il mondo, della categoria dicausa; l'anima, di quella di sostanza; Dio, della categoria

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Page 109: E-book campione Liber Liber...DELLA FILOSOFIA IN ITALIA L'universalità della filosofia come sua difficoltà e ra-gione immanente per dubitare del suo esserci. Questo brevissimo corso,

di reciprocità. Per es., dell'idea del mondo avremmo laconferma quando si potesse con l'esperienza risolverequesto problema: c'è, e quale è, la causa effettiva di tuttoil mondo nel suo complesso? Solo allora avremmo unconcreto concetto di mondo vissuto in esperienza. Ciòinvece è, umanamente, impossibile. Da questa impossi-bilità da una parte ed esigenza di sintesi anche della ideadi mondo dall'altra nascono le antinomie dell'idea co-smologica.

Si dica altrettanto per i paralogismi dell'idea dell'ani-ma: cerchiamo di concepirla come la stessa nostra so-stanza, come qualche cosa, quindi, che non comincia enon finisce. Ragionamenti falsi quelli che con tal pre-supposto facciamo, perchè prendiamo i caratteridell'anima che vive la nostra vita fenomenica, e li ele-viamo a sostanziale cosa in sè.

Così per l'idea di Dio. Essa è l'esasperazione dell'ideadi reciprocità o comunanza. Quando due entità possonoessere reciproche? Reciprocità è la coesistenza di esseriin modo che uno non possa essere senza l'altro. Perchèci sia questa reciprocità, i due reciproci hanno un qual-che cosa che rende indispensabile l'uno all'altro. L'ideadi Dio è la sublimazione di questa categoria di recipro-cità; non sentiamo noi forse questa comunanza nostra inquell'essere unico che è Dio? La sentireste, dice Kant,quando foste riusciti ad individuare in un singolo questocomune. E cioè, p. es.: l'essere comune a noi uomini im-porta l'esserci di una umanità comune; altrimenti non cidiremmo tutti uomini (tutti gli empiristi ed i monadisti

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di reciprocità. Per es., dell'idea del mondo avremmo laconferma quando si potesse con l'esperienza risolverequesto problema: c'è, e quale è, la causa effettiva di tuttoil mondo nel suo complesso? Solo allora avremmo unconcreto concetto di mondo vissuto in esperienza. Ciòinvece è, umanamente, impossibile. Da questa impossi-bilità da una parte ed esigenza di sintesi anche della ideadi mondo dall'altra nascono le antinomie dell'idea co-smologica.

Si dica altrettanto per i paralogismi dell'idea dell'ani-ma: cerchiamo di concepirla come la stessa nostra so-stanza, come qualche cosa, quindi, che non comincia enon finisce. Ragionamenti falsi quelli che con tal pre-supposto facciamo, perchè prendiamo i caratteridell'anima che vive la nostra vita fenomenica, e li ele-viamo a sostanziale cosa in sè.

Così per l'idea di Dio. Essa è l'esasperazione dell'ideadi reciprocità o comunanza. Quando due entità possonoessere reciproche? Reciprocità è la coesistenza di esseriin modo che uno non possa essere senza l'altro. Perchèci sia questa reciprocità, i due reciproci hanno un qual-che cosa che rende indispensabile l'uno all'altro. L'ideadi Dio è la sublimazione di questa categoria di recipro-cità; non sentiamo noi forse questa comunanza nostra inquell'essere unico che è Dio? La sentireste, dice Kant,quando foste riusciti ad individuare in un singolo questocomune. E cioè, p. es.: l'essere comune a noi uomini im-porta l'esserci di una umanità comune; altrimenti non cidiremmo tutti uomini (tutti gli empiristi ed i monadisti

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non hanno compreso ciò profondamente; e perciò dico-no che umanità è astrazione, che è solo qualche cosa cheesiste in questa parola). Kant dice: in questo con - esse-re, essere insieme, essere comune degli enti c'è certoqualche cosa di comune. Quando però ci riferiamo aDio, cioè all'Essere assoluto, assolutamente comune allaassoluta totalità, noi siamo saliti all'incondizionato e ab-biamo dato a questo una sua entità, laddove non ci tro-viamo che dinanzi alla totalità logica del condizionato.Questa esigenza della ragione di salire dalle condizioniall'Incondizionato, ci spinge verso di questo, ma non cipuò dare, nella conoscenza, la Sua possibilità e tantomeno la Sua realtà. La realtà all'uomo risulta nella sinte-ticità; or questa, anche quando è apriori, è del fenome-no, non dell'in sè. Elevare a totalità le condizioni forma-li categoriche e cioè elevare a principi di ragione le re-gole dell'intelletto non è sufficiente a raggiungere larealtà. Or la ragione non fa che quello.

La ragione, in questa sua dialettica naturale, vuoletrovare l'incondizionato come ente e dà valore di entitàa questa totalità dell'essere formale. Quando la ragionescopre la natura di questa sua dialettica, ne scopre ancheil valore. Il fondamentale è quello di farci distinguere ilfenomeno dall'in sè; senza ragione saremmo condannatia scambiare l'uno per l'altro. È proprio per questo che c'èl'esigenza metafisica nell'umana coscienza: per dire aimatematici ed ai fisici: plaudo alla vostra scienza, ma èscienza di natura, del condizionato, non dell'Incondizio-nato; pur non potendo dirvi quale sia l'essere in sè, di

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non hanno compreso ciò profondamente; e perciò dico-no che umanità è astrazione, che è solo qualche cosa cheesiste in questa parola). Kant dice: in questo con - esse-re, essere insieme, essere comune degli enti c'è certoqualche cosa di comune. Quando però ci riferiamo aDio, cioè all'Essere assoluto, assolutamente comune allaassoluta totalità, noi siamo saliti all'incondizionato e ab-biamo dato a questo una sua entità, laddove non ci tro-viamo che dinanzi alla totalità logica del condizionato.Questa esigenza della ragione di salire dalle condizioniall'Incondizionato, ci spinge verso di questo, ma non cipuò dare, nella conoscenza, la Sua possibilità e tantomeno la Sua realtà. La realtà all'uomo risulta nella sinte-ticità; or questa, anche quando è apriori, è del fenome-no, non dell'in sè. Elevare a totalità le condizioni forma-li categoriche e cioè elevare a principi di ragione le re-gole dell'intelletto non è sufficiente a raggiungere larealtà. Or la ragione non fa che quello.

La ragione, in questa sua dialettica naturale, vuoletrovare l'incondizionato come ente e dà valore di entitàa questa totalità dell'essere formale. Quando la ragionescopre la natura di questa sua dialettica, ne scopre ancheil valore. Il fondamentale è quello di farci distinguere ilfenomeno dall'in sè; senza ragione saremmo condannatia scambiare l'uno per l'altro. È proprio per questo che c'èl'esigenza metafisica nell'umana coscienza: per dire aimatematici ed ai fisici: plaudo alla vostra scienza, ma èscienza di natura, del condizionato, non dell'Incondizio-nato; pur non potendo dirvi quale sia l'essere in sè, di

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cui sento l'esigenza, posso dirvi con assoluta certezzache esso non è i vostri enti, cioè quelli di cui fate lascienza.

Esigenza metafisica, dunque, che ha il suo compitonel non farci scambiare lucciole per lanterne; lucciole,gli enti naturali che conosciamo; lanterne, l'essere in sèdi cui la ragione ci attesta l'esserci e cioè l'Incondiziona-to.

È così risoluto il III problema: quello dell'essercinell'anima umana una esigenza della metafisica; di quel-la metafisica, il cui esserci come scienza Kant ha messoin dubbio.

Esigenza che già per sè sola, indipendentementedall'essere o no attuata in una scienza, ha il suo grandefondamentale valore: 1) dare alla scienza, che troviamodi fatto costituita in modo innegabile (e cioè alla mate-matica ed alla fisica), i suoi limiti: è scienza del fenome-no; 2) affermare l'in sè in modo anche più innegabile diquella costituita scienza.

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cui sento l'esigenza, posso dirvi con assoluta certezzache esso non è i vostri enti, cioè quelli di cui fate lascienza.

Esigenza metafisica, dunque, che ha il suo compitonel non farci scambiare lucciole per lanterne; lucciole,gli enti naturali che conosciamo; lanterne, l'essere in sèdi cui la ragione ci attesta l'esserci e cioè l'Incondiziona-to.

È così risoluto il III problema: quello dell'essercinell'anima umana una esigenza della metafisica; di quel-la metafisica, il cui esserci come scienza Kant ha messoin dubbio.

Esigenza che già per sè sola, indipendentementedall'essere o no attuata in una scienza, ha il suo grandefondamentale valore: 1) dare alla scienza, che troviamodi fatto costituita in modo innegabile (e cioè alla mate-matica ed alla fisica), i suoi limiti: è scienza del fenome-no; 2) affermare l'in sè in modo anche più innegabile diquella costituita scienza.

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CONCLUSIONELA SOLUZIONE DEL PROBLEMA

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CONCLUSIONELA SOLUZIONE DEL PROBLEMA

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XVILA METAFISICA COME SCIENZA

Soluzione kantiana del problema. Insoddisfazione diquesta. Ragione della impossibilità kantiana di risol-vere il problema. Salita ad un nuovo problema criti-co: l'essenza della metafisica. Soluzione del proble-ma della possibilità di questa dopo la soluzione diquello precedente.

Così le idee della ragion pura, pur con le loro antino-mie, paralogismi e falsi ragionamenti dell'Ideale, nonservono a Kant soltanto a mettere in evidenza la debo-lezza, l'insufficienza della umana ragione, come si suoleripetere, ma a ben altro: a mettere in evidenza la naturae l'ufficio della ragione: natura per cui l'umana coscien-za è capace di affermare l'essere in sè, anche se si trovanell'impossibilità di conoscerlo. Perciò della ragionecome tale è propria soltanto la metafisica. E questa,come pura e semplice esigenza della coscienza, pur conla sua dialettica naturale, è l'unica possibile affermazio-ne dell'Incondizionato. E perciò, nonostante che questaragion pura, della quale soltanto la metafisica (e soltantoessa) si serve, dia luogo a questa eterna insoddisfazioneumana, pure non si può dire che la natura umana sia fat-

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XVILA METAFISICA COME SCIENZA

Soluzione kantiana del problema. Insoddisfazione diquesta. Ragione della impossibilità kantiana di risol-vere il problema. Salita ad un nuovo problema criti-co: l'essenza della metafisica. Soluzione del proble-ma della possibilità di questa dopo la soluzione diquello precedente.

Così le idee della ragion pura, pur con le loro antino-mie, paralogismi e falsi ragionamenti dell'Ideale, nonservono a Kant soltanto a mettere in evidenza la debo-lezza, l'insufficienza della umana ragione, come si suoleripetere, ma a ben altro: a mettere in evidenza la naturae l'ufficio della ragione: natura per cui l'umana coscien-za è capace di affermare l'essere in sè, anche se si trovanell'impossibilità di conoscerlo. Perciò della ragionecome tale è propria soltanto la metafisica. E questa,come pura e semplice esigenza della coscienza, pur conla sua dialettica naturale, è l'unica possibile affermazio-ne dell'Incondizionato. E perciò, nonostante che questaragion pura, della quale soltanto la metafisica (e soltantoessa) si serve, dia luogo a questa eterna insoddisfazioneumana, pure non si può dire che la natura umana sia fat-

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ta male. Neppure qui è scettica la dottrina kantiana: loscopo della conoscenza è soddisfatto, perchè la ragionenon solo teoreticamente ci attesta che gli enti naturalinon sono essere in sè, e che l'essere in sè c'è, ma ancheperchè ci dà un modo di raggiungere, se non di conosce-re, questi enti in sè: la condotta morale, etica. Ecco il si-gnificato metafisico del costume, inteso in senso moralee cioè della doverosa libertà che è costrizione del sog-getto naturale. La ragione pura e solo essa ci permettedi essere morali.

Sappiamo così perchè l'uomo filosofi e debba filoso-fare. Ma non sappiamo ancora quel che Kant vuol sape-re, e cioè se tale esigenza sia in qualche modo traducibi-le, organizzabile in una scienza, e cioè in una conoscen-za sintetica apriori. Cioè Kant non ha ancora risoluto ilproblema interno della filosofia, nel modo in cui eglil'ha impostato, e per cui è stato costretto a chiedere aiutoad una scienza indubitabile come scienza.

Siamo al IV quesito: è possibile che questo sapere(giacchè questa interiore esigenza è pure, comunque sivoglia, un sapere), cui la dialettica naturale della ragionpura dà luogo, sia una scienza? Kant in definitiva nonrisponde; e non poteva rispondere, e forse morì col ram-marico di non aver dato questa risposta. Non risponde,non ostante che pur esplicitamente egli affermi che duescienze metafisiche sono possibili dopo l'annullamentodella metafisica dogmatica. Questa va annullata, perchè,costruita senza aver posto il problema critico, dava luo-go a una falsa scienza, la quale perciò diceva cose diver-

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ta male. Neppure qui è scettica la dottrina kantiana: loscopo della conoscenza è soddisfatto, perchè la ragionenon solo teoreticamente ci attesta che gli enti naturalinon sono essere in sè, e che l'essere in sè c'è, ma ancheperchè ci dà un modo di raggiungere, se non di conosce-re, questi enti in sè: la condotta morale, etica. Ecco il si-gnificato metafisico del costume, inteso in senso moralee cioè della doverosa libertà che è costrizione del sog-getto naturale. La ragione pura e solo essa ci permettedi essere morali.

Sappiamo così perchè l'uomo filosofi e debba filoso-fare. Ma non sappiamo ancora quel che Kant vuol sape-re, e cioè se tale esigenza sia in qualche modo traducibi-le, organizzabile in una scienza, e cioè in una conoscen-za sintetica apriori. Cioè Kant non ha ancora risoluto ilproblema interno della filosofia, nel modo in cui eglil'ha impostato, e per cui è stato costretto a chiedere aiutoad una scienza indubitabile come scienza.

Siamo al IV quesito: è possibile che questo sapere(giacchè questa interiore esigenza è pure, comunque sivoglia, un sapere), cui la dialettica naturale della ragionpura dà luogo, sia una scienza? Kant in definitiva nonrisponde; e non poteva rispondere, e forse morì col ram-marico di non aver dato questa risposta. Non risponde,non ostante che pur esplicitamente egli affermi che duescienze metafisiche sono possibili dopo l'annullamentodella metafisica dogmatica. Questa va annullata, perchè,costruita senza aver posto il problema critico, dava luo-go a una falsa scienza, la quale perciò diceva cose diver-

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se secondo i diversi metafisici che la costruivano. Man-cando la critica non ci si domandava fino a qual punto especialmente in qual modo l'uso della ragione pura eralegittimo nel costruire la scienza: ne veniva fuori unapretesa scienza che era fantasticheria o scambio dellarealtà naturale con la realtà in sè.

Dopo la critica, dunque, secondo Kant, due scienzemetafisiche ci possono e ci devono essere: con la criticada una parte siamo dinanzi al fenomeno delle cose, allacosiddetta natura; dall'altra siamo necessitati ad ammet-tere l'essere in sè. E allora, dice Kant, 1) ci sarà una me-tafisica della natura: natura intesa nei suoi puri principiprimi che spiegano l'esperienza, che costituiscono lapossibilità stessa della esperienza. Scienza che non puònon essere unica, che non può esser diversa per i diversipensatori. Scienza quindi veramente universale e neces-saria. 2) E ci sarà anche una metafisica dell'essere in sè,che, non potendo essere scienza dell'essere in sè, perchèquesto in tale scienza diverrebbe natura, sarà metafisicadei costumi; una vera e propria metafisica della morali-tà. C'è infatti un essere in sè a cui siamo necessitati dallaragione pura. Ora è vero che nel campo della conoscen-za di esso non posso costruire scienza, ma moralmente,con la mia moralità, io raggiungo quell'essere in sè, cheaffermo col pensiero, ma che con la conoscenza nonraggiungo. Or la metafisica della moralità, checchè essasia, mi fa comprendere perchè e come mai l'uomo – pu-ramente morale, anche non scienziato, non filosofo –possa raggiungere l'essere in sè, il regno dei fini, il re-

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se secondo i diversi metafisici che la costruivano. Man-cando la critica non ci si domandava fino a qual punto especialmente in qual modo l'uso della ragione pura eralegittimo nel costruire la scienza: ne veniva fuori unapretesa scienza che era fantasticheria o scambio dellarealtà naturale con la realtà in sè.

Dopo la critica, dunque, secondo Kant, due scienzemetafisiche ci possono e ci devono essere: con la criticada una parte siamo dinanzi al fenomeno delle cose, allacosiddetta natura; dall'altra siamo necessitati ad ammet-tere l'essere in sè. E allora, dice Kant, 1) ci sarà una me-tafisica della natura: natura intesa nei suoi puri principiprimi che spiegano l'esperienza, che costituiscono lapossibilità stessa della esperienza. Scienza che non puònon essere unica, che non può esser diversa per i diversipensatori. Scienza quindi veramente universale e neces-saria. 2) E ci sarà anche una metafisica dell'essere in sè,che, non potendo essere scienza dell'essere in sè, perchèquesto in tale scienza diverrebbe natura, sarà metafisicadei costumi; una vera e propria metafisica della morali-tà. C'è infatti un essere in sè a cui siamo necessitati dallaragione pura. Ora è vero che nel campo della conoscen-za di esso non posso costruire scienza, ma moralmente,con la mia moralità, io raggiungo quell'essere in sè, cheaffermo col pensiero, ma che con la conoscenza nonraggiungo. Or la metafisica della moralità, checchè essasia, mi fa comprendere perchè e come mai l'uomo – pu-ramente morale, anche non scienziato, non filosofo –possa raggiungere l'essere in sè, il regno dei fini, il re-

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gno di Dio. Questo compito assolve la metafisica dei co-stumi. Questa è dunque la risposta di Kant di fronte alIV quesito, risposta non trattata esplicitamente nei Pro-legomeni, nei quali (pag. 184-192) Kant si limita a met-tere in evidenza che solo la Critica potrà rigenerare lametafisica, e che «sebbene sia già giunto il tempo dellacaduta di ogni metafisica dogmatica, pur vi manca anco-ra parecchio per poter dire che sia già all'incontro com-parso il tempo della sua rigenerazione per mezzo di unafondamentale e completa critica della ragione» (pag.186).

Di quella risposta Kant stesso dovette rimanere insod-disfatto, se fino alla morte continuò a fare tentativi perdarci la sua metafisica, che non sarebbe stata più la suametafisica, ma la metafisica, una volta per sempre asso-data, ritrovata come indubitabile scienza, le cui proposi-zioni, niuno avrebbe potuto più in alcun modo metterein dubbio o variare dissentendone.

Di questa insoddisfazione vediamo il perchè traendo-lo dalla stessa intima coerenza del pensiero kantiano.

Kant, vedemmo, imposta così il problema: la metafi-sica fino ad oggi non c'è, perchè ci sono tante metafisi-che; per vedere se da me in poi ci possa essere o no,devo vedere come deve essere fatta la scienza. Prendo ledue che ci sono, la matematica e la fisica, e analizzando-le scopro che la scienza è conoscenza apriori (universalee necessaria) e sintetica. La scienza deve dunque esseresempre un sistema di giudizi apriori, deve essere unasintesi apriori. Come è fatta questa sintesi?

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gno di Dio. Questo compito assolve la metafisica dei co-stumi. Questa è dunque la risposta di Kant di fronte alIV quesito, risposta non trattata esplicitamente nei Pro-legomeni, nei quali (pag. 184-192) Kant si limita a met-tere in evidenza che solo la Critica potrà rigenerare lametafisica, e che «sebbene sia già giunto il tempo dellacaduta di ogni metafisica dogmatica, pur vi manca anco-ra parecchio per poter dire che sia già all'incontro com-parso il tempo della sua rigenerazione per mezzo di unafondamentale e completa critica della ragione» (pag.186).

Di quella risposta Kant stesso dovette rimanere insod-disfatto, se fino alla morte continuò a fare tentativi perdarci la sua metafisica, che non sarebbe stata più la suametafisica, ma la metafisica, una volta per sempre asso-data, ritrovata come indubitabile scienza, le cui proposi-zioni, niuno avrebbe potuto più in alcun modo metterein dubbio o variare dissentendone.

Di questa insoddisfazione vediamo il perchè traendo-lo dalla stessa intima coerenza del pensiero kantiano.

Kant, vedemmo, imposta così il problema: la metafi-sica fino ad oggi non c'è, perchè ci sono tante metafisi-che; per vedere se da me in poi ci possa essere o no,devo vedere come deve essere fatta la scienza. Prendo ledue che ci sono, la matematica e la fisica, e analizzando-le scopro che la scienza è conoscenza apriori (universalee necessaria) e sintetica. La scienza deve dunque esseresempre un sistema di giudizi apriori, deve essere unasintesi apriori. Come è fatta questa sintesi?

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La sinteticità kantiana (nell'esplicito dei filosofi biso-gna sempre cercar di scoprire i fili conduttori del loropensiero, il loro pensiero implicito; occorre fare opera diapprofondimento, entrare nell'organismo vivo del loropensiero e vedere ciò che è effettivamente da essi pensa-to sotto le parole scritte) non è solo stringere, in un attologico, enti logici, pensieri che prima non erano sintetiz-zati tra loro, ma significa anche, abbiam visto a suffi-cienza (cfr. lez. V), fusione della logicità con la realtàcome tale, significa quel che io direi ontologicità dellaconoscenza. Ontologicità che per Kant è fondamental-mente l'intuire, cioè il punto limite genetico della cono-scenza, nel quale la conoscenza non è ancora tale perchèè ancora esistenza, e viceversa l'esistenza non è più esi-stenza perchè è già conoscenza.

Or questa esistenza, vedemmo, è l'esistenza naturale(l'intuitività è fenomenica). E allora è vero che la sintesiapriori per la sua apriorità mi spiega l'universale e il ne-cessario dell'essere, ma sarà sempre universalità e ne-cessità dell'essere fenomenico. Or, se questo è il pensie-ro kantiano, io capisco la sintesi apriori matematica e lacostruzione dei concetti; capisco la sintesi fisica e quin-di la determinazione della possibilità della esperienza,tutto questo capisco perchè sono nel mondo della natu-ra; ma non capisco la metafisica della natura. Non capi-sco, perchè la metafisica, nella sua esigenza, afferma l'insè e vuol coglierlo. Quindi il problema, che, prima diogni partizione della metafisica, Kant deve risolvere, è:come è possibile la sintesi apriori metafisica, e cioè

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La sinteticità kantiana (nell'esplicito dei filosofi biso-gna sempre cercar di scoprire i fili conduttori del loropensiero, il loro pensiero implicito; occorre fare opera diapprofondimento, entrare nell'organismo vivo del loropensiero e vedere ciò che è effettivamente da essi pensa-to sotto le parole scritte) non è solo stringere, in un attologico, enti logici, pensieri che prima non erano sintetiz-zati tra loro, ma significa anche, abbiam visto a suffi-cienza (cfr. lez. V), fusione della logicità con la realtàcome tale, significa quel che io direi ontologicità dellaconoscenza. Ontologicità che per Kant è fondamental-mente l'intuire, cioè il punto limite genetico della cono-scenza, nel quale la conoscenza non è ancora tale perchèè ancora esistenza, e viceversa l'esistenza non è più esi-stenza perchè è già conoscenza.

Or questa esistenza, vedemmo, è l'esistenza naturale(l'intuitività è fenomenica). E allora è vero che la sintesiapriori per la sua apriorità mi spiega l'universale e il ne-cessario dell'essere, ma sarà sempre universalità e ne-cessità dell'essere fenomenico. Or, se questo è il pensie-ro kantiano, io capisco la sintesi apriori matematica e lacostruzione dei concetti; capisco la sintesi fisica e quin-di la determinazione della possibilità della esperienza,tutto questo capisco perchè sono nel mondo della natu-ra; ma non capisco la metafisica della natura. Non capi-sco, perchè la metafisica, nella sua esigenza, afferma l'insè e vuol coglierlo. Quindi il problema, che, prima diogni partizione della metafisica, Kant deve risolvere, è:come è possibile la sintesi apriori metafisica, e cioè

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l'apriorità sintetica dell'essere in sè nella coscienza uma-na? Kant non è in condizione di poter risolvere questaquestione, perchè la sinteticità che egli ha scoperta eanalizzata, è ineluttabilmente del fenomeno. Perciò, perlui, la metafisica non potrà essere scienza, se questa ri-chiede la sintesi, e la sintesi si attacca al fenomeno.

Nè la difficoltà riguarda solo la metafisica della natu-ra. La metafisica dei costumi è scienza o no? Nella«Fondazione della metafisica dei costumi» non dice seessa sia scienza. Per Kant non può essere scienza, per leragioni sopradette. E allora perchè mai Kant ci parla conla Critica e dopo la Critica di una Metafisica della mora-lità, che non è più soltanto tormentosa dialettica esigen-za metafisica della coscienza, ma metafisica col suo va-lore di scienza? A tutto ciò Kant non può rispondere,perchè da una parte la concezione kantiana della scienzacome vera e propria conoscenza si regge tutta sulla in-troduzione, nel conoscere, dell'esistere solo in quantofenomeno; e dall'altra la metafisica, di fronte a tale con-cezione della scienza, non rinnega la sua scientificità,pur permanendo nella sua essenza di affermazione e ri-cerca dell'essere in sè.

Questa impossibilità fu dimenticata dal pensiero post-kantiano; e nacque così l'equivoco sottostante a tuttol'idealismo. Infatti secondo Fichte è vero che le due me-tafisiche kantiane non sono metafisiche, ma solo fisica emoralità, ma pure Kant avrebbe fatto la scoperta dellametafisica senza accorgersene: la sua stessa Critica sa-rebbe la metafisica. Questa sarebbe la scoperta chiara di

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l'apriorità sintetica dell'essere in sè nella coscienza uma-na? Kant non è in condizione di poter risolvere questaquestione, perchè la sinteticità che egli ha scoperta eanalizzata, è ineluttabilmente del fenomeno. Perciò, perlui, la metafisica non potrà essere scienza, se questa ri-chiede la sintesi, e la sintesi si attacca al fenomeno.

Nè la difficoltà riguarda solo la metafisica della natu-ra. La metafisica dei costumi è scienza o no? Nella«Fondazione della metafisica dei costumi» non dice seessa sia scienza. Per Kant non può essere scienza, per leragioni sopradette. E allora perchè mai Kant ci parla conla Critica e dopo la Critica di una Metafisica della mora-lità, che non è più soltanto tormentosa dialettica esigen-za metafisica della coscienza, ma metafisica col suo va-lore di scienza? A tutto ciò Kant non può rispondere,perchè da una parte la concezione kantiana della scienzacome vera e propria conoscenza si regge tutta sulla in-troduzione, nel conoscere, dell'esistere solo in quantofenomeno; e dall'altra la metafisica, di fronte a tale con-cezione della scienza, non rinnega la sua scientificità,pur permanendo nella sua essenza di affermazione e ri-cerca dell'essere in sè.

Questa impossibilità fu dimenticata dal pensiero post-kantiano; e nacque così l'equivoco sottostante a tuttol'idealismo. Infatti secondo Fichte è vero che le due me-tafisiche kantiane non sono metafisiche, ma solo fisica emoralità, ma pure Kant avrebbe fatto la scoperta dellametafisica senza accorgersene: la sua stessa Critica sa-rebbe la metafisica. Questa sarebbe la scoperta chiara di

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Kant; e questa è l'essenza della Dottrina della scienza diFichte: la filosofia è scienza della scienza, è la scienzache, invece di considerare l'essere, considera se stessa eperciò la vera e l'unica filosofia è la filosofia trascen-dentale cioè la Critica.

Si dimentica che per Kant la critica è l'introduzionealla metafisica e non la metafisica; e che non può nonessere così, se il concetto di critica in qualche modo vo-gliamo conservare. In tanto è possibile la valutazionedel conoscere (e si dica pure il conoscere del conoscere)in quanto c'è il conoscere. Ridurre il conoscere al cono-scere del conoscere, annullando il primo rende impossi-bile anche il secondo, cioè annulla la Critica. Kant ave-va bensì detto: facciamo questa indagine circa il cono-scere, cioè conosciamo il conoscere e perciò, provviso-riamente, lasciamo da parte l'essere che si conosce: masolo come momento introduttivo a questo schietto cono-scere, che è innegabile come tale. Negando questo i post- kantiani negano anche l'indagine kantiana e la sua pos-sibilità. E si spiega quindi il dogmatismo, in cui l'ideali-smo, che tale riduzione ha fatto, è caduto.

Il proseguimento di Kant bisogna che prenda altravia: la critica di Kant era ancora monca, era solo gno-seologica, cioè fatta su un concetto realistico della cono-scenza; superiamola nella considerazione più alta dellaspiritualità e facciamo una critica più ampia, della co-scienza e non della conoscenza. Fin che si consideravala realtà come stante a sè, e la conoscenza comequell'impossibile potere che andava ad impossessarsi di

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Kant; e questa è l'essenza della Dottrina della scienza diFichte: la filosofia è scienza della scienza, è la scienzache, invece di considerare l'essere, considera se stessa eperciò la vera e l'unica filosofia è la filosofia trascen-dentale cioè la Critica.

Si dimentica che per Kant la critica è l'introduzionealla metafisica e non la metafisica; e che non può nonessere così, se il concetto di critica in qualche modo vo-gliamo conservare. In tanto è possibile la valutazionedel conoscere (e si dica pure il conoscere del conoscere)in quanto c'è il conoscere. Ridurre il conoscere al cono-scere del conoscere, annullando il primo rende impossi-bile anche il secondo, cioè annulla la Critica. Kant ave-va bensì detto: facciamo questa indagine circa il cono-scere, cioè conosciamo il conoscere e perciò, provviso-riamente, lasciamo da parte l'essere che si conosce: masolo come momento introduttivo a questo schietto cono-scere, che è innegabile come tale. Negando questo i post- kantiani negano anche l'indagine kantiana e la sua pos-sibilità. E si spiega quindi il dogmatismo, in cui l'ideali-smo, che tale riduzione ha fatto, è caduto.

Il proseguimento di Kant bisogna che prenda altravia: la critica di Kant era ancora monca, era solo gno-seologica, cioè fatta su un concetto realistico della cono-scenza; superiamola nella considerazione più alta dellaspiritualità e facciamo una critica più ampia, della co-scienza e non della conoscenza. Fin che si consideravala realtà come stante a sè, e la conoscenza comequell'impossibile potere che andava ad impossessarsi di

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essa, si capiva che anche la filosofia dovesse essere co-noscenza e scienza; ma quando si toglie questa conce-zione, si riapre il problema interno della filosofia a co-minciare dalla stessa pretesa essenza sua di scienza.Nella soluzione di esso bisogna cominciar dal vedereche cosa possa essere la filosofia in una coscienza cheinveste la realtà e in una realtà che investe la coscienza(è spiritualità). Kant aveva posto il problema della pos-sibilità della filosofia presupponendola scienza; per pro-seguire occorre porre lo stesso problema senza questopresupposto, ma con quella esigenza metafisica che nel-la sua peculiarità (cfr. lez. XV) Kant ha il merito di avermesso in chiaro. Ridurre la filosofia a sola conoscenza èmettere fuori di essa tutti gli altri valori spirituali: reli-gione, etica, poesia, ecc., e restringer così la natura dellafilosofia, la quale invece ha la sua ragione di essere, lasua caratteristica proprio nella sua universalità. Essadeve esserci anche nell'intimo di ciascuno di questi va-lori spirituali; o altrimenti non è filosofia. Vengano tuttele difficoltà che si vogliono (cfr. lez. I), questa è e deveessere la filosofia.

Perciò io l'ho sempre ritenuta aspirazione versol'essere puro, verso l'in sè, verso l'Assoluto. Se essa èquesto sublime bisogno4 essa deve risolversi in uno sfor-zo e cioè in una continua affermazione del problemadell'Assoluto, di Dio, problema perciò che, in filosofia,

4 Cfr. P. Carabellese: Il problema teologico come filosofia. Fi-renze, Sansoni, 1931.

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essa, si capiva che anche la filosofia dovesse essere co-noscenza e scienza; ma quando si toglie questa conce-zione, si riapre il problema interno della filosofia a co-minciare dalla stessa pretesa essenza sua di scienza.Nella soluzione di esso bisogna cominciar dal vedereche cosa possa essere la filosofia in una coscienza cheinveste la realtà e in una realtà che investe la coscienza(è spiritualità). Kant aveva posto il problema della pos-sibilità della filosofia presupponendola scienza; per pro-seguire occorre porre lo stesso problema senza questopresupposto, ma con quella esigenza metafisica che nel-la sua peculiarità (cfr. lez. XV) Kant ha il merito di avermesso in chiaro. Ridurre la filosofia a sola conoscenza èmettere fuori di essa tutti gli altri valori spirituali: reli-gione, etica, poesia, ecc., e restringer così la natura dellafilosofia, la quale invece ha la sua ragione di essere, lasua caratteristica proprio nella sua universalità. Essadeve esserci anche nell'intimo di ciascuno di questi va-lori spirituali; o altrimenti non è filosofia. Vengano tuttele difficoltà che si vogliono (cfr. lez. I), questa è e deveessere la filosofia.

Perciò io l'ho sempre ritenuta aspirazione versol'essere puro, verso l'in sè, verso l'Assoluto. Se essa èquesto sublime bisogno4 essa deve risolversi in uno sfor-zo e cioè in una continua affermazione del problemadell'Assoluto, di Dio, problema perciò che, in filosofia,

4 Cfr. P. Carabellese: Il problema teologico come filosofia. Fi-renze, Sansoni, 1931.

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nel momento in cui riceve una soluzione, si riapre in unnuovo problema.

Occorre oggi vedere questo problema nell'afferma-zione dell'Assoluto come Oggetto puro di coscienza.Così si legano il problema interno della filosofia e quel-lo oggettivo dell'essere in sè, in quanto questo si chiari-sce come lo stesso Oggetto puro della coscienza.

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nel momento in cui riceve una soluzione, si riapre in unnuovo problema.

Occorre oggi vedere questo problema nell'afferma-zione dell'Assoluto come Oggetto puro di coscienza.Così si legano il problema interno della filosofia e quel-lo oggettivo dell'essere in sè, in quanto questo si chiari-sce come lo stesso Oggetto puro della coscienza.

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