Droni nell'Arte ( Droni by Art )

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[ 1] SPAZIO DELLA REGIONE DEL VENETO ALLA 73.MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA Martedì 06/09/2016 Il Giornalismo tascabile The Pocket Journalism Droni by Art © Special Issue 2016 [ISBN 978-88-88356-53-2 cod. ed. 4627-204991]

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SPAZIO DELLA REGIONE DEL VENETO

ALLA 73.MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE

CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA Martedì 06/09/2016

Il Giornalismo tascabile – The Pocket Journalism

Droni by Art©

Special Issue 2016

[ISBN 978-88-88356-53-2 cod. ed. 4627-204991]

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Ipsia Galileo Galilei

Castelfranco Veneto

[ISBN 978-88-88356-53-2 cod. ed. 4627-204991]

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Il Giornalismo tascabile – The Pocket Journalism

Droni by Art© Special Issue 2016

Sommario 4. REPORTAGE DALLA 73.MOSTRA DEL CINEMA Simone Massi disegna il manifesto della Mostra A Sonia Bergamasco il ruolo di madrina Il Cinema nel Giardino: Solo opere in prima mondiale, nuova sezione non competitiva Jean-Paul Belmondo e Jerzy Skolimowski, Leoni d’oro alla carriera 7. DRONI BY ART. IPSIA, LA SCUOLA DEI DRONI Videoregistrazioni volanti. Contro la scarsità di mezzi: l’inventiva Elenco di tutti i servizi pubblicati 11. LA SCUOLA DEI DRONI Elenco di tutti i servizi pubblicati (YouTube e stampa online) 16. REPORTAGE DALLA BIENNALE DI ARCHITETTURA VENEZIA Intervista ad Alejandro Aravena, curatore della 15. Biennale di Architettura Bruce Chatwin, Maria Reiche, le linee di Nazca, la scala, i droni 19. Blue, come i caschi blu dell'ONU. Una proposta di Malkit Shoshan 23. Israele lifeobject: Come unire biologia e architettura. Intervista a Ben Bauer 27. Extraction – Canada. Intervista a Pierre Bélanger 33. Droneporti in Africa. La proposta di Lord Norman Foster 38. The far game. Corea: speculazione edilizia o necessità? Ne parliamo con Sung Hong Kim 42. The Evidence Room. La prova certa delle camere a gas di Auschwitz-Birkenau L’attualità legislativa. i fatti che hanno rivoluzionato la storia. 54. REPORTAGE DA ROMA AL PALAZZO DUCALE Venezia, I 500 Anni del Ghetto. “Una lezione di amore per la vita” (Roma, Club stampa internazionale) 56. Venezia, gli ebrei e l’Europa. Intervista alla curatrice Donatella Calabi Droni by Art. “Il giornalismo tascabile / Le Journalisme de poche” Di Angelo Miatello, Daniele Pauletto e Nazzareno Bolzon Intervistati: Anne Bordeleau, Sascha Hastings, Robert Jan van Pelt, Donald McKay, Pierre Bélanger, Alejandro Aravena, Malkit Shoshan, Ben Bauer, Lord Norman Foster, Donatella Calabi, Luca Zaia Servizio webtv: Daniele Pauletto Fotografia: Claudio Malvestio, Daniele Pauletto, Angelo Miatello, Juli B.M e altri Stagisti: Federico Calzavara e Raunig Dubrica

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REPORTAGE DALLA 73.MOSTRA DEL CINEMA

SIMONE MASSI DISEGNA IL MANIFESTO DELLA MOSTRA

È l’immagine di una curiosa situazione di attesa, e insieme un invito alla

visione imminente dei film, il manifesto ufficiale della 73. Mostra del

Cinema di Venezia, ideato e realizzato per il quinto anno da Simone Massi.

In primo piano, una figura maschile non riconoscibile, che potrebbe essere

lo stesso autore Simone Massi, ma anche un qualsiasi spettatore, afferra

dall’alto un manifesto/sipario e inizia a svelare ciò che potrebbe essere lo

schermo dove verranno proiettati, per undici giorni, i film della Mostra.

Viene così evocata la curiosità che alimenta, nel pubblico degli

appassionati, l’attesa di ogni proiezione d’autore in un festival

cinematografico.

L'identità visiva e l'immagine coordinata della Mostra di Venezia sono state

curate anche quest'anno dallo Studio Graph.X di Milano, sulla base dei

disegni di Simone Massi.

Simone Massi, premiato col David di Donatello 2012 per il miglior cortometraggio, è l’autore della

sigla che dal 2012 introduce le proiezioni ufficiali della Mostra di Venezia. La sigla ha una durata di

trenta secondi, ottenuti da 300 disegni realizzati a mano che citano Fellini, Anghelopulos,

Wenders, Olmi, Tarkovskij, Dovženko, Truffaut. Massi ha ideato la sigla con il contributo di Fabrizio

Tassi. La musica è stata scritta ed eseguita da Francesca Badalini, mentre il sound design è di

Stefano Sasso. Julia Gromskaya ha realizzato le riprese e Lola Capote-Ortiz si è occupata della post-

produzione.

Massi, nato a Pergola nel 1970, è fra gli ultimi pionieri dell'animazione “a passo uno” e ha

all'attivo oltre 200 premi vinti nei principali festival nazionali e stranieri, oltre a essere ritenuto uno

dei più importanti autori di cortometraggi di animazione a livello internazionale. Animatore

indipendente, ha studiato Cinema di animazione alla Scuola d’arte di Urbino. In diciannove anni ha

ideato e realizzato (da solo e interamente a mano) 19 film di animazione che sono stati mostrati in

sessanta Paesi e che sono stati proposti alla sessantanove. Mostra di Venezia 2012, insieme a un

inedito, Animo resistente. Per i suoi lavori Massi non si serve dell'uso del computer, ma realizza

tutto a mano su carta, attraverso l'uso di matite, carboncini, gessetti, pastelli, grafite e china. La

tecnica dei “graffi” adottata nelle ultimissime opere – che gli consente di completare 6-7 disegni al

massimo in una giornata - lavorando senza sosta dalla mattina alla sera – fa sì che per un film di 8

minuti siano necessari anche due anni e mezzo di lavoro.

A SONIA BERGAMASCO IL RUOLO DI MADRINA

L’attrice Sonia Bergamasco sarà la madrina delle serate di apertura e di chiusura della 73. Mostra

Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016. Sonia Bergamasco è una delle attrici

italiane più versatili. È nata a Milano, dove si è diplomata in pianoforte presso il Conservatorio

Giuseppe Verdi, e in recitazione presso la Scuola del Piccolo Teatro.

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Debutta nell’Arlecchino servitore di due padroni di Giorgio Strehler, ed

è la Fatina dell’ultima edizione teatrale e televisiva del Pinocchio di

Carmelo Bene. A teatro ha lavorato anche con Theodoros Terzopoulos,

Massimo Castri e Glauco Mauri.

Dal 2001 è interprete e regista di spettacoli in cui l’esperienza musicale

si intreccia più profondamente con il teatro. Premio Duse 2014 per il

suo lavoro d’attrice, nel 2015 è regista e interprete dello spettacolo Il

ballo (tratto dal racconto di Irène Némirovsky).

Al cinema debutta nel 2001 con L’amore probabilmente di Giuseppe

Bertolucci presentato alla Mostra di Venezia. Nastro d'argento 2004

come attrice protagonista in La meglio gioventù di Marco Tullio

Giordana, lavora anche con Bernardo Bertolucci in Io e te (2012),

Giuseppe Piccioni in Giulia non esce la sera (2009), Silvio Soldini nel

cortometraggio D’estate (1994), con Franco Battiato in Musikanten

(2006). Ottiene il Premio Flaiano come miglior interprete nel film tv De

Gasperi, l’uomo della speranza (2005) di Liliana Cavani e sempre per la

televisione riscuote grande successo nelle fortunate serie Tutti pazzi per amore (2008-2010) e Una

grande famiglia (2012-2015) di Riccardo Milani.

I suoi successi più recenti sono il film Quo vado? con Checco Zalone, diretto da Gennaro

Nunziante, per il quale ha ottenuto il Premio Alida Valli al Bari Film Festival, e le nuove puntate del

Commissario Montalbano, con Luca Zingaretti.

CINEMA NEL GIARDINO SOLO OPERE IN PRIMA MONDIALE

Nel nuovo Regolamento della 73. Mostra del Cinema viene

confermata e formalizzata l’introduzione della sezione

“Cinema nel Giardino”. Si tratta di una sezione, non

competitiva, che prevede una selezione di opere, anche di

diverso genere e durata, che potranno essere precedute o

accompagnate da incontri e approfondimenti con autori, interpreti e personalità del mondo

dell'arte e della cultura. Sono ammessi alla selezione solo film presentati in prima mondiale alla

Mostra. La sezione è aperta a tutti: spettatori occasionali e frequentatori non accreditati, oltre,

naturalmente, alle migliaia di cinefili che affollano abitualmente le sale. Offrendo a ciascuno

(abitanti del Lido e di Venezia, curiosi venuti ad “annusare” l’aria del festival, giovani in cerca di

emozioni cinematografiche) l’occasione di vivere la Mostra del Cinema anche la sera, all’insegna di

un intrattenimento che si propone di coniugare l’incontro con uno o più personaggi e la proiezione

di un film. Un luogo dove potessero svolgersi attività varie: discussioni e incontri con il mondo del

cinema e dello spettacolo, proiezioni e rassegne. Il tutto per animare la vita della Mostra nella

direzione di un festival partecipato dal pubblico e non solo dagli accreditati.

Il sito predisposto è l'arena nel giardino del Casinò, dov’era il famoso “buco” fortunatamente

interrato (lì doveva sorgere il nuovo palazzo del Cinema a duemila posti ma fu bloccato perché i

sottostante terreno era inquinato da quintali di tettoie in eraclit …all’amianto interrate dal

consorzio degli alberghi lidensi o dal Comune (?). La nuova sala conterrà ben 450 posti a sedere.

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JEAN-PAUL BELMONDO E JERZY SKOLIMOWSKI

Leoni d’oro alla carriera

Da quest’anno due Leoni d’Oro alla carriera: il primo assegnato a registi o appartenenti al mondo

della realizzazione; il secondo a un attore o un’attrice ovvero a personaggi appartenenti al mondo

dell’interpretazione.

Jean-Paul Belmondo, icona del cinema francese e internazionale, ha saputo interpretare al meglio

l'afflato di modernità tipico della Nouvelle Vagueattraverso gli straniati personaggi di A doppia

mandata (À double tour, 1959) di Claude Chabrol, Fino all'ultimo respiro (1960) e Il bandito delle

11(1965, in concorso a Venezia) entrambi di Jean-Luc Godard, o La mia droga si chiama Julie (1969)

di François Truffaut. In particolare, impersonando Michel Poiccard/László Kovács in Fino all'ultimo

respiro, Belmondo ha imposto la figura di un antieroe provocatorio e seducente, molto diverso dagli

stereotipi hollywoodiani ai quali lo stesso Godard si ispirava. Questo suo carattere gli ha consentito

di interpretare alcuni dei migliori gangster del cinema poliziesco francese, come in Asfalto che

scotta (1960) di Claude Sautet, Lo spione (1962) di Jean-Pierre Melville e Il clan dei marsigliesi (1972) di

José Giovanni, ottenendo un enorme successo popolare con i molti film successivi, da L'uomo di

Rio (1964) di Philippe de Broca a Il poliziotto della brigata criminale (1975) di Henri Verneuil, da Joss il

professionista (1981) di Georges Lautner a Una vita non basta (1988) di Claude Lelouch.

“Jerzy Skolimowski è tra i cineasti più rappresentativi di quel cinema moderno nato in seno

alle nouvelles vague degli anni Sessanta e, con Roman Polanski, il regista che ha contribuito al

rinnovamento del cinema polacco del periodo” (Barbera). Lo stesso Polanski (che lo volle accanto

come sceneggiatore nel suo film d’esordio Il coltello nell’acqua), affermò: “Skolimowski sovrasterà la

sua generazione con la testa e le spalle”. In realtà, la carriera del “boxeur poeta” (secondo Andrzej

Munk, suo mentore), durata ben oltre cinquant’anni con diciassette lungometraggi realizzati, è stata

faticosa, segnata da continui traslochi – dalla Polonia al Belgio, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti,

prima del definitivo ritorno in Patria di dieci anni fa – che ne hanno contrassegnato l’opera: apolide

in apparenza, perché assoggettata a strategie produttive eterogenee ed apparentemente diseguali,

in realtà personalissima e originale in ciascuna delle sue opere. La trilogia realizzata in Polonia ai

suoi esordi, Rysopis (1964), Walkover (1965) e Barriera (1966), fu per i Paesi dell’Est ciò che i primi

film di Godard sono stati per il cinema occidentale, mentre i capolavori successivi – Il vergine (1967,

Orso d’oro a Berlino), La ragazza del bagno pubblico (1970), L’australiano (1978, Grand Prix

Cannes), Mani in alto! (1981), Moonlighting (1982, migliore

sceneggiatura a Cannes) – sono tra i film più rappresentativi di

un cinema moderno, anticonformista e audace. I film più recenti

realizzati dopo il ritorno in patria – Quattro notti con

Anna (2008), Essential Killing (2010, Premio Speciale della Giuria

a Venezia) e 11 minuti (2015, in concorso a Venezia) –

manifestano infine un’inesauribile e sorprendente capacità di

rinnovamento, che lo collocano di diritto tra gli autori più

combattivi e originali del cinema contemporaneo.

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Droni by Art©

IPSIA, LA SCUOLA DEI DRONI Videoregistrazioni volanti.

Contro la scarsità di mezzi: l’inventiva

Di Angelo Miatello

l cinematografo è stato l’invenzione

del secolo “quel nuovo progresso

dell’umanità” che dal 1890 fino ad

oggi senza freni prosegue in innovazione e

pluridisciplinarietà. Si concretizza su

macchine da presa che aprono nuove

frontiere all’informazione, già di per sé

progredita grazie alla fotografia e alla

stampa illustrata.

Nasce il film di attualità con le gare

sportive, le parate militari, i conflitti

internazionali che diventa arma del potere

e specchio della quotidianità, quando

riprende il traffico cittadino, l’animazione

di un mercato o filmare scene di grande

interesse documentario.

Il drone, robot volante inventato solo per

uso militare, cioè colpire il nemico con un

pilota remoto, dopo settant’anni irrompe

sulla scena mondiale trasformandosi in un

normale apparecchio multimediale

integrato con applicazioni e programmi

software all’uso e consumo di tutti. È

un’industria che ha uno dei tassi di

crescita più elevati, sebbene ci siano

norme restrittive protezioniste che

incidono fortemente sul suo sviluppo

tecnologico. Il drone, parola inglese

italianizzata “il fuco”, “il ronzio di un

fuco”, deriva da un soprannome dato ad

un velivolo lanciato da una rampa in una

esercitazione della marina militare

statunitense, parafrasando un precedente

esperimento britannico chiamato per

l’occasione “l’ape regina”. Ci sono voluti

diversi lustri per trasformarlo in cinepresa

volante ed altrettanti per renderlo utile

anche per servizi civili o per svago.

Non è una novità la ricaduta civile di

invenzioni tecnologiche militari, solo che

in Italia per sua natura antropologica e

sociopolitica si persiste nell’ignoranza

diffusa, mescolando innovazione e ordine

pubblico, sperimentazione e fantasmi.

L’Ipsia Galilei, per l’inventiva dei docenti

Nazzareno Bolzon e Daniele Pauletto, è il

primo istituto professionale del Nordest

che va in controtendenza, coinvolge

studenti di varie classi, testa l’uso di droni

di piccole dimensioni, di fabbricazione

straniera, li studia, li scompone e crea il

primo team per il soccorso civile, per

rispondere ad urgenti necessità come

supporto all’ordine pubblico, alla tutela

dell’ambiente naturale, alla promozione

turistica, alla “bellezza” Italia e persino in

un sistema integrato nella comunicazione

online. Viene battezzato “Droni by Art”,

ovvero “il giornalismo tascabile”.

I

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ELENCO DI TUTTI I SERVIZI PUBBLICATI

rogetto Droni by Art / I Droni che documentano l'Arte 2014-2015.

Questa sezione è l’unica che sia stata sperimentata, usando uno smartphone e dei

droni gestiti da studenti del primo o secondo anno dell’Ipsia Galilei.

Battezzata per l’occasione “Droni by Art, il giornalismo tascabile”, è servito per partecipare

alle conferenze stampa di eventi culturali o politici.

Fare del giornalismo con “i normali” strumenti di comunicazione e la gratuità della

divulgazione della notizia (siti web, youtube e altri social network) non è ancora considerata

materia di studio e pratica nella scuola. Noi per la prima volta abbiamo collezionato tanti

servizi che ne attestano la qualità e l’originalità delle flying-news (notizie volanti).

Ma il fatto da non trascurare è senz’altro la potenzialità nel migliorare la comunicazione e

il contextus del nostro racconto.

MINERVA DEL VERONESE CASA MUSEO GIORGIONE,

CASTELFRANCO VENETO 2015

https://fpa2000.wordpress.com/2015/02/17/381/

VILLA MANIN RASSEGNA AVANGUARDIA RUSSA , CODROPIO 2015

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/03/09/dal-drone-al-web-con-lavanguardia-russa-

una-pacifica-intrusione/

https://fpa2000.wordpress.com/2015/03/06/villa-manin-alla-riscoperta-dellavanguardia-

russa-con-i-droni-del-galilei/

Expo 2015 The Literary Gazette and Journal of Arts about Expo

https://exponews2015.wordpress.com/2015/03/08/un-video-drone-per-lavanguardia-russa-a-

villa-manin

INTERVISTE: LE MERAVIGLIE DI VENEZIA

https://fpa2000.wordpress.com/2015/04/15/le-meraviglie-di-venezia-liberamente-e-

gratuitamente-con-tablet-smartphone-e-da-casa//

VENETO EXPO 2015

https://exponews2015.wordpress.com/2015/03/25/expo-2015-destinazione-veneto-con-

deboli-infrastrutture/

JOURNALISM DRONE: “VENETO FOR EXPO"

https://exponews2015.wordpress.com/2015/03/24/journalism-drone-gasparin-lancia-il-

programma-veneto-for-expo/

PADIGLIONE VENEZIA BIENNALE DI VENEZIA

https://fpa2000.wordpress.com/2015/04/21/guardando-avanti-levoluzione-dellarte-del-fare-

9-storie-dal-veneto-digitale-non-solo-digitale/

SLIP OF THE TONGUE , PALAZZO PUNTA DELLA DOGANA VENEZIA

https://fpa2000.wordpress.com/2015/04/24/slip-of-the-tongue-un-lapsus-di-passione-e-

amore/

P

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LA PRIMA VOLTA DI UN “DRONE” AL MUSEO ARCHEOLOGICO

NAZIONALE DI VENEZIA

https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/01/la-prima-volta-di-un-drone-al-museo-

archeologico-nazionale-di-venezia/

https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/02/lincursione-pacifica-del-drone-by-art-nelle-sale-

del-museo-archeologico-nazionale-di-venezia/

“…ACQUA IMMUTABILE ED ANTICA…”: UN NUOVO PERCORSO AL MAN DI

VENEZIA

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/04/30/acqua-immutabile-ed-antica-un-nuovo-

percorso-al-museo-archeologico-nazionale-di-venezia

DRONI BY ART

http://www.artspecialday.com/2015/05/09/droni-by-art-la-tecnologia-al-servizio-dellarte/

https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/04/comunicare-con-i-droni-by-art-luovo-di-

colombo-bortolon-malvestio-pauletto-e-miatello-lanciano-il-giornalismo-tascabile/

CINEMA TASCABILE: TRE REGISTI

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/04/26/il-cinema-tascabile-e-di-scena-al-liceo-

giorgione-mazzariol-zaccaria-pauletto-tre-registi-a-confronto/

56. BIENNALE ARTE VENEZIA 2015

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/08/the-key-in-the-hand-le-chiavi-in-mano-di-

chiharu-shiota-che-uniscono-il-mondo/

https://fpa2000.wordpress.com/2015/05/09/il-canadissimo-di-jasmin-bilodeau-sebastien-

giguere-e-nicolas-laverdiere-ovvero-il-consumismo-universale

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/06/in-compagnia-di-federico-tra-i-padiglioni-

della-biennale/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/09/bgl-canadissimo-come-divertirsi-in-mezzo-

ai-potenti-della-terra/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/10/56-biennale-padiglione-usa-il-curatore-paul-

c-ha-e-intervistato-da-droni-by-art/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/12/la-ricerca-archeologica-della-civilta-umana-

di-moon-kyungwon-jeon-joonho/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/05/09/bgl-canadissimo-come-divertirsi-in-mezzo-

ai-potenti-della-terra/

PADOVA: I DRONI IPSIA OSPITI D’ONORE PER LA MOSTRA DI JEAN

DUBUFFET AL GIARDINO DELLA BIODIVERSITÀ

https://fpa2000.wordpress.com/2015/06/26/padova-i-droni-ipsia-ospiti-donore-per-la-

mostra-di-jean-dubuffet-al-giardino-della-biodiversita/

Giardino della biodiversità all’Orto botanico: Omaggio a Jean Dubuffet

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/06/27/giardino-della-biodiversita-allorto-botanico-

omaggio-a-jean-dubuffet-ce-lo-spiega-nicola-galvan/

In visita all’Orto Botanico di Padova con droni e smartphone

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/06/28/in-visita-allorto-botanico-di-padova-in-

compagnia-di-baniele-pauletto-federico-calzavara-e-claudio-malvestio/

DRONI BY ART ALLA 72.MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

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https://fpa2000.wordpress.com/2015/08/22/le-journalisme-de-poche-e-di-scena-allhotel-

excelsior-eccellenze-della-castellana-alla-72-mostra-del-cinema/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/08/24/1340/

MOSTRA JOAN MIRÒ A VILLA MANIN 2015

https://naturarti.wordpress.com/2015/10/16/joan-miro-negli-ultimi-trentanni-da-realista-a-

sognatore-villa-manin-tinta-di-rosso-e-nero/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2015/10/17/ennio-pouchard-miro-e-inconfondibile-lho-

conosciuto-a-roma/

DRONIFESTIVAL (2015-2016)

https://fpa2000.wordpress.com/2015/10/20/dronifestival-entra-nella-cronaca-lopinione-

pubblica-e-avvisata/

PROGETTO DRONEFILM FESTIVAL

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2015/10/18/news/cortometraggi-girati-con-i-

droni-un-festival-in-citta-1.12291635?ref=search

I DRONI TRA ARTE CINEMA E AUDIOVISIVO.IL PRIMO LIBRO SU QUESTO

TEMA 2015

https://aidanewsxl.wordpress.com/page/2/

GIORNALISMO INTEGRATO TASCABILE. DRONI BY ART

https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/02/16/salvatronda-prima-conferenza-pubblica-di-

droni-by-art-cinema-e-audiovisivo/

15. BIENNALE ARCHITETTURA VENEZIA 2016 (Reporting from the Front)

“THE EVIDENCE ROOM”. PADIGLIONE CENTRALE – GIARDINI

https://fpa2000.wordpress.com/2016/06/02/biennale-2016-olocausto-quando-anche-

larchitetto-e-malvagio/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/04/the-evidence-room-la-prova-delle-camere-a-

gas-ad-auschwitz/

https://paceguerra.wordpress.com/2016/06/01/la-malarchitettura-testimone-dellolocausto/

THE ISRAEL PAVILION’S LIFEOBJECT EXHIBITION

https://naturarti.wordpress.com/2016/06/01/the-israel-pavilions-lifeobject-exhibition-

relationship-between-biology-and-architecture/

PADIGLIONE ISRAELE ALLA BIENNALE

https://fpa2000.wordpress.com/2016/06/02/padiglione-israele-alla-biennale-quando-

larchitettura-prende-spunto-dalla-biologia/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/01/2920/

PADIGLIONE OLANDA

https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/03/olanda-larchitettura-delle-missioni-di-pace-

dei-caschi-blu/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/14/canadian-extraction-9000-progetti-minerari-

in-tutto-il-mondo-pauletto-e-miatello-incontrano-pierre-belanger/

https://aidanewsxl.wordpress.com/2016/06/14/extraction-il-canada-vuole-liberrarsi-dal-

colonialismo-britannico/

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LA SCUOLA DEI DRONI

racciare il percorso svolto da Daniele Pauletto all’interno di un istituto

professionale che in pochissimo tempo ha raggiunto livelli di notorietà tale

non è così immediato. Tutto inizia dal settembre 2013 con un esperimento a

cielo aperto. I droni sono acquistati sul mercato internazionale on line, di

fabbricazione straniera, approfittando delle decine di offerte che si rinnovano giorno

dopo giorno. L’idea è di smontare, capire come funziona, integrarlo ad un sistema

che possa servire ad obiettivi o servizi personalizzati.

Le curiosità sono tante, soprattutto con la massificazione dei cellulari e dei social

network.

Difficoltà e derisioni,ostacoli di vario tipo non sono mancati. La tenacia di uno

sparuto gruppo di studenti autofinanziati e guidati da un intraprendente e

appassionato docente, riescono a contagiare anche il vicepreside. Anzi le loro

sperimentazioni dentro e fuori il laboratorio, diventano un filone su cui sviluppare

prototipi e servizi “personalizzati”.

L’onore va al prof. Daniele Pauletto e al vicepreside prof. Nazzareno Bolzon che

hanno contribuito a far diventare l’Ipsia quale primo Istituto professionale del

Nordest che si avvia su questo (per noi) avveniristico settore robotizzato, “viaggiando

ad una velocità performativa che nessun’altra scuola aveva fino ad ora realizzato …

partecipando a fiere nazionali e internazionali …” e perfino sfidando i c.d. “gufi”.

“Il team messo in piedi dai due docenti castellani si cimenta con l’uso del drone in

varie occasioni: nel soccorso umanitario, sanitario, civile, nella tutela e conservazione

del paesaggio, dell’ambiente naturalistico e persino come mediatore turistico e nella

comunicazione”. É un’escalation di prove che la cronaca riprende con puntualità

estrema, anzi per un certo periodo i droni Ipsia tengono banco con articoli a pagina

intera con le tv locali che ne mettono in risalto le novità tecnologiche dei robot

volanti “a scopo civile”. Il paradigma è rovesciato. La Scuola si integra nella società.

Il drone è un robot volante e dovrà fare quello che l’uomo gli saprà insegnare. Partire dal presupposto che è un oggetto pericoloso (anche il coltello da cucina lo è)

significa arrestare ormai un processo evolutivo di sviluppo economico. “Usare l’aria

per trasferire merci su piccola scala o controllare lo stato di salute di tetti, alberi o

piantagioni potrebbe essere una scorciatoia per risparmiare tempo e denaro senza

dover attendere infrastrutture pesanti più convenzionali, l’equivalente della vecchia

linea telefonica paragonata al cellulare. I droni che consegnano, cibo, medicine, un

pezzo di ricambio di un’automobile o di un mulino ad acqua possono essere definiti

come una sorta di infrastruttura ‘cellulare’ – si legge in un’intervista a Lord

Norman Foster (vedi nostro servizio in questo libretto, cap. Biennale).

T

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[ 12]

Qui è il punto sul quale la scuola ancora non è in possesso di quei requisiti che la

rendono libera per avanzare esperimenti che possono avere ricadute economiche

molto positive. Siamo in un’era di nativi digitali e li teniamo incapsulati..

Sfogliando youtube e google ci si accorge che nel mondo la varietà dell’offerta dei

droni, di piccola o media grandezza, cioè che soddisfi un folto pubblico (“il drone

sarà come un cellulare”) è quasi tutta proveniente da privati (singoli o piccole società

cosiddette start-up) o da centri R&S universitari, dove appunto si possono

“brevettare” complicati sistemi integrati con fondi sostanziosi: il drone che sappia

monitorare specifici inquinanti atmosferici, i fumi e le diossine di un incendio, il

controllo dello stato degli argini di fiumi che esondano, per il trasporto di un

defibrillatore, per monitorare piantagioni vitivinicole, per la salute delle piante ad alto

fusto, e nel campo della cinematografia, cioè della fotografia aerea (“ripresa

volante”, "flying-movie").

Tutti i videoclip e gli articoli passati in rassegna, che qui diamo un elenco non

completo, ci confermano quello che abbiamo sempre sostenuto: la straordinaria

esibizione che proviene da un Istituto professionale del Nordest con modestissimi

mezzi a disposizione. Anzi, spesso contribuendo di tasca propria per ore svolte a

testare assieme ai ragazzi il buon uso del robot volante.

Sarà occasione nei prossimi mesi di de-costruire quello che si sa o non si voleva

sapere attorno ai vantaggi reali e futuri del drone: “Cosa abbiamo fatto? Cosa c’è che

bolle in pentola? Dove stiamo andando?”

I droni, fino a prova contraria, sono nati e stati usati solo per scopi militari. Un mezzo

di guerra che è codificato dalle Convenzioni di Ginevra (guerra aerea). Da qualche

anno invece stanno conquistando il mondo intero per un uso civile, persino artistico e

cinematografico.

La veduta ruotante dall’alto in basso a 180 gradi, “guidata” da terra e controllata in

tempo reale sullo schermo del cellulare o di un portatile rivoluziona totalmente il

nostro rapporto “occhio-oggetto”, ”occhio-ambiente”, facendo risaltare sia il

controcampo (contextus) che inquadrature di primi piani (close-up).Si apre uno

scenario rivoluzionario per il kinèma-atos-graphie, in cui registi | attori | ambiente |

persone si mescolano in live-streaming continuo. L’uso del selfie ne è una prova,

sebbene siamo consapevoli che questo dilagare di autoriprendersi sconfina

nell’imbecillità.

LUGLIO DICEMBRE 2013

PRIMI APPROCCI CON MODELLISMO ELICOTTERINI COMANDATI DA

SMARTPHONE

SETTEMBRE - DICEMBRE 2013

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2013 Settembre Coinvolgimenti di studenti classi quinte. Sperimentazioni con trasporto

farmaci e libri con elicotterini ed elicotteri (autofinanziati studenti e docente)

2013 Novembre Laboratorio droni Dronilab a scuola e apertura blog

2013 Dicembre Sperimentazioni trasporto farmaci con elicotterini Farmacia sotto la Torre

http://dronilab.blogspot.it/2013/12/blog-post.html

http://www.trevisotoday.it/cronaca/test-droni-ipsia-galilei-castelfranco.html

GENNAIO 2014

AUTOFINANZIAMENTO PER ACQUISTO PRIMO DRONE

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/01/14/news/gli-studenti-dell-ipsia-

galilei-vanno-a-lezione-di-volo-1.8470349

DRONI GUIDA TURISTICA

http://www.oggitreviso.it/drone-che-fa-da-guida-turistica-78873

FEBBRAIO 2014

TEST: DRONI PER LA SICUREZZA SORVEGLIANZA IPER

http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2014/20-febbraio-2014/-

sicurezza-drone-poliziotto-sorvegliera-parcheggio-iper-2224102908390.shtml

http://www.trevisotoday.it/cronaca/prova-droni-iper-castelfranco-veneto.html

http://www.oggitreviso.it/droni-dell%E2%80%99ipsia-fanno-da-security-ai-

%E2%80%9Cgiardini-del-sole%E2%80%9D-81356

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/02/16/news/i-droni-dell-ipsia-vegliano-

sullo-shopping-1.8684697

MARZO 2014

DRONI MULTIUSO

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/03/06/news/droni-dell-ipsia-sulla-

fracarro-radioindustrie-1.8802691

http://www.ilgazzettino.it/PAY/VICENZA_PAY/i_droni_dell_ipsia_in_volo_a_sfidare_gli_

ALLARMI_FRACARRO/NOTIZIE/557814.SHTML

DRONI SFILATE DI MODA

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/02/23/news/i-droni-del-galilei-ai-

giardini-del-sole-1.8729472

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/02/20/news/i-robottini-dell-ipsia-

filmano-la-sfilata-di-moda-ai-giardini-1.8709771

GUIDA SICURA

http://www.ilgazzettino.it/index.php?p=articolo&id_old=545613

DRONI ISPEZIONE TETTI EDIFICI

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/03/13/news/i-robottini-dell-ipsia-sulla-

loggia-danneggiata-dalle-piogge-1.8846744

http://www.ilgazzettino.it/index.php?p=articolo&id_old=570849

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http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/01/25/news/un-drone-in-sopralluogo-

sul-tetto-dell-ipsia-galilei-1.8541349

COME TI INVENTO UN DRONE

http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/drone-a-scuola-Ipsia-castelfranco.aspx

LE IMPRESE STUDIANO I DRONI

https://www.youtube.com/watch?v=14uO6Jpfx1w

https://www.youtube.com/watch?v=VUIDRNo1PPU

http://barbaraganz.blog.ilsole24ore.com/2014/07/31/un-drone-in-regalo-agli-studenti-gli-

artigiani-mettono-le-ali-alle-nuove-generazioni/

APRILE 2014

I DRONI TRASPORTANO I GIORNALI

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/studenti-veneti-creano-droni-e-fanno-concorrenza-

ad-amazon-0273b871-a424-4d5b-a9c5-9fb038d467d6.html

DRONE ASSISTANT COACH

è stato poi utilizato dalle squadre di calcio nel

https://www.youtube.com/watch?v=EDPr9cXvLZg

DRONELAB

https://www.youtube.com/watch?v=Z3EqNIIaAHg

PROVE CADUTA FARMACI

https://www.youtube.com/watch?v=Bn9TliWtRoY

http://www.lavitadelpopolo.it/Paesi-Citta/Castellana/I-droni-volano-a-Castelfranco-grazie-

ai-ragazzi-dell-Ipsia/(language)/ita-IT

LA MASERATI

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2014/04/09/news/i-robottini-dell-ipsia-

chiamati-per-le-maserati-1.9017853

https://www.youtube.com/watch?v=dj-PGmAcaM8

DA SOMMELIER A

GUIDA TIRISTICA

http://www.ansa.it/sito/no

tizie/cronaca/2014/05/17/

da-sommelier-a-guida-

turistica-la-nuova-vita-

dei-droni_14ec47f4-30f2-

4693-b56e-

5404d97bf0b5.html

1 maggio 2015, il drone

Ipsia entra per la prima

volta nel Museo

Archeologico Nazionale

di Venezia

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Il Giornalismo tascabile – The Pocket Journalism

Droni by Art©

SPAZIO DELLA REGIONE DEL VENETO 73.MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

06/09/2016

Evento Ipsia Galilei: La Scuola dei droni

REPORTAGE DALLA BIENNALE AL GHETTO DI VENEZIA Videointerviste volanti

a cura di Daniele Pauletto, Angelo Miatello, Nazzareno Bolzon e la collaborazione di Federico Calzavara e Dobrica Raunig

Olanda BLUE: Architettura delle missioni di pace ISRAELE LIFEOBJECT: Come unire Biologia e Architettura REPUBBLICA DI COREA THE FAR GAME: Constraints Sparking Creativity Stimolare la creatività piuttosto di soffocarla. Giocare il FAR Game (FAR: Floor, Area, Ratio) CANADA EXTRACTION: La mappa geologica del mondo rivela la vastità delle operazioni estrattive del più grande paese minerario del pianeta (Impero) UNIVERSITY OF WATERLOO (CANADA): The Evidence Room. L’architettura come prova L’architettura come prova (Niente Buco, Niente Olocausto) VENICE JEWS AND EUROPE 1516-2016: Dalla Biennale di Architettura al Palazzo Ducale per la mostra internazionale "Venezia, gli ebrei e l'Europa 1516-2016"

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Reportage dalla Biennale di Architettura Venezia

INTERVISTA AD ALEJANDRO ARAVENA Curatore della 15. Biennale di Architettura

Bruce Chatwin, Maria Reiche, le linee di Nazca, la scala, i droni

ALEJANDRO ARAVENA, CURATORE DELLA 15.BIENNALE DI ARCHITETTURA, PERCHÉ QUESTA FOTO CURIOSA? “Ho scelto come icona una donna che scruta dall’alto di una scala una distesa desertica per cogliere precisi scenari archeologici sta a significare quanto sia importante saper adattarsi a situazioni difficili nell’esser creativi senza dover sprecare in abbondanza e saper usare la pertinenza. “Durante un suo viaggio in America del Sud, Bruce Chatwin incontrò un’anziana signora che camminava nel deserto trasportando una scala di alluminio sulle spalle. Era l’archeologa tedesca Maria Reiche, che studiava le linee di Nazca. A guardarle stando con i piedi appoggiati al suolo, le pietre non avevano alcun senso, sembravano solo banali sassi. Ma dall’alto della scala, le pietre si trasformavano in uccelli,

giaguari, alberi o fiori.

Maria Reiche non aveva abbastanza denaro per noleggiare un aereo e studiare le linee dall’alto, e la tecnologia dell’epoca non disponeva di droni da far volare sul deserto del Sud America. Ma l’archeologa tedesca era abbastanza creativa da trovare comunque un modo per riuscire nel suo intento. Quella semplice scala è la prova che non dovremmo chiamare in causa limiti, seppure duri, per giustificare l’incapacità di fare il nostro lavoro. Contro la scarsità di mezzi: l’inventiva.

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D’altra parte, è molto probabile che Maria Reiche si sarebbe potuta permettere un’automobile o un furgone per viaggiare nel deserto, salire sul tetto della vettura e guardare da una certa altezza; e così facendo si sarebbe anche potuta spostare con maggiore rapidità. Ma questa scelta avrebbe distrutto l’oggetto del suo studio. Quindi in questo caso, si è arrivati a una valutazione intelligente della realtà grazie all’intuizione dei mezzi con cui prendersene cura. Contro l’abbondanza: la pertinenza. E così conclude l’architetto cileno: “Le forze in gioco non intervengono necessariamente a favore (di un risultato di qualità): l’avidità e la frenesia del capitale, o l’ottusità e il conservatorismo del sistema burocratico, tendono a produrre luoghi banali, mediocri, noiosi” Quali soluzioni? “Migliorare la qualità dell’ambiente edificato è una sfida che va combattuta su molti fronti, standard di vita pratici e concreti; interpretare desideri umani, rispettare il singolo individuo a prendersi cura del bene comune; favorire l’espansione delle frontiere della civilizzazione” Reporting from the Front è per la condivisione di un pubblico ampio ed eterogeneo, non si rivolge solo agli addetti ai lavori, che saprà cogliere l’opera delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi campi di azione, integrando il pragmatico con l’esistenziale, la pertinenza con l’audacia, la creatività con il buonsenso. - Bruce Chatwin/Trevillion Images: Immagine scelta per la Graphic Identity della 15. Mostra

Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia

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OLANDA BLUE: ARCHITETTURA DELLE MISSIONI DI PACE IL DESIGN COME QUARTO CRITERIO DELLE BASI MILITARI DEI CASCHI BLU.

Una proposta di Malkit Shoshan

LUE, come i Caschi Blu dell'ONU. è un'dea originale attorno all'emergenza migrazione che gli Olandesi hanno trasformato il loro padiglione per la 15.Biennale di Architettura, quasi come un'anticamera del Padiglione

centrale in cui si sommano progetti e risposte su temi di carattere "universale" (vedi il caso di The Evidence Room). Droni by Art è stato il primo e forse l'ultimo a sviluppare un servizio giornalistico "tascabile" (journalisme de poche/pocket jounalism) mettendo in pratica l'integrazione tra l'uso dei droni ed uno smartphone, correlato dalla fotografia istantanea digitale. Il team Droni by Art è formato da Angelo Miatello (script), Daniele Pauletto

(videomaker), Nazzareno Bolzon (coordinator), Claudio Malvestio (photographer), Federico Calzavara e Dobrica Raunig (dronemen) ed è alla sua seconda esperienza alla Biennale (l'anno scorso con Biannale Arte, passò in rassegna Canada, USA, Svizzera, Italia, Giappone, Corea, Paesi Nordici). Rimarrà nella storia dell'IPSIA Galilei di Castelfranco Veneto, l'unica scuola

B

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professionale che sia stata in grado di cogliere le sfide della comunicazione digitale, di cui il merito va essenzialmente al prof. Daniele Pauletto e al vicepreside prof. Nazzareno Bolzon che hanno sostenuto questo progetto. L'anno scorso sono state effettuate ben 52 uscite usando smartphone e mini droni per sviluppare brevissimi videoclip di mostre, allestimenti, prese di posizione e anteprime attorno al pianeta arte. Raccolte le interviste (dai minuti 1.80 ai 4.50) in un Dvd è stato presentato alla 72.Mostra del Cinema di Venezia. IL CASE STUDY DI CAMP CASTOR A GAO, IN MALI (BLUE) La proposta del Padiglione Olandese è costruita intorno al case study di Camp Castor a Gao, in Mali, dove le Nazioni Unite sono impegnate in una missione di pace. Il colore blu è inteso come metafora del conflitto, e unisce architettura e diritti umani. Le operazioni di pace si svolgono nella zona desertica dei Tuareg, chiamati anche “uomini blu” per le loro vesti color indaco, e vengono effettuate da caschi blu ONU. In questo territorio nomade i confini sono fluidi e si spostano a ogni stagione. A causa di guerra, cambiamenti climatici, malattie e fame, vi regna una crisi permanente. Il confronto fra diversi sistemi – straniero e locale, militare e civile, base e deserto, caschi blu e uomini blu, la crisi e la risposta olandese – offre lo spunto per nuove condizioni spaziali. Collegando la ricerca culturale a quella architettonica.

E' una sfida quella olandese che vuole comunque cogliere per dare nuove opportunità da questa complessa situazione. Milioni di persone sono oggi in un certo qual modo a diretto contatto con le "basi" dei caschi blu in aree di conflitto. Come si può migliorare la loro vita? "Queste narrazioni nascono sulla base di conversazioni con ingegneri militari e architetti, antropologi ed economisti, attivisti e politici". L'OBIETTIVO DELLA CURATRICE MALKIT SHOSHAN Nella scelta della curatrice Malkit Shoshan vi è alla base una rappresentazione dal collegamento effettivo tra il tema della Biennale (Reporting from the Front) e le linee programmatiche di Het Nieuwe Instituut. L’opportunità durante la Biennale di far conoscere a un vasto pubblico internazionale le potenzialità dell’architettura, tanto critiche quanto innovative, è fondamentale ai fini di una politica di internazionalizzazione. L’eredità delle missioni di pace ONU Le missioni di pace ONU sono centinaia nel Mondo. Le basi militari sono delle enclavi autosufficienti, isolate dalle immediate vicinanze. Il design estremo di questi “compound” riflette strutture e sistemi di potere delle forze di pace, e non contribuisce a migliorare la vita degli abitanti di quelle zone. Gli Olandesi si pongono un problema sostanziale e formale, cioè di poter dare nuove soluzioni spaziali che possano avere un significato anche per le comunità locali. Un architettura rivolta al sociale, all'emergenza che diventa una costante di vita. Malkit Shoshan si è focalizzata sulla modalità innovativa in cui i Paesi Bassi contribuiscono alle missioni di pace

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ONU. Le Nazioni Unite parlano addirittura in termini di “Linee guida per l’approccio integrato” e con ciò si riferiscono a difesa, diplomazia e sviluppo. Shoshan propone di aggiungere a questi un quarto criterio: il design. L’ambizione è quella di vedere le

basi ONU non esclusivamente come fortezze chiuse, ma come catalizzatori per lo sviluppo locale.

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ISRAELE LIFEOBJECT: COME UNIRE BIOLOGIA E ARCHITETTURA.

LA CAPACITÀ DI RESISTERE AI TRAUMI

Intervista a Ben Bauer

i sono punti in comune tra la biologia e l’architettura? Qual è il fil rouge di questa mostra avveniristica? Ce lo spiega l’arch. Ben Bauer, co-curatore di LifeObject “Il padiglione israeliano alla 15.Biennale di Architettura cerca di dare risposte

tridimensionalmente, nonostante sia ancora a livello di prototipo un progetto che si concretizzi nello spazio e nel tempo ravvicinato. Le distinzioni dualistiche tra natura e cultura sono sorpassate. Noi preferiamo un approccio interdisciplinare tra scienza e architettura. Esperienze biomediche con biocostruzioni e biologia sintetica verso nuovi scenari architettonici.”

Che cos’è LifeObject? “LifeObject è un’installazione che integra materiali compositi, intelligenti e biologici formando una struttura biovivente che risponde all’ambiente circostante. Ibridazione tra tecnologia avanzata e abilità produttiva”. Un modo per affrontare gli stati di crisi con cui si deve fare i conti tutti i giorni oppure una “normale evoluzione dell’intelligenza artificiale” usata anche in architettura?

C

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“Le risposte - simulazioni, plastici e grafici - sembrano plausibili anche se solo una piccola parte per ora sono attuabili.” Una cosa è certa: Israele vuole dimostrare che nel campo della ricerca scientifica è all’avanguardia ed è il primo in assoluto fra tutti i paesi del Medio Oriente. Situato ai Giardini della Biennale tra i padiglioni dei principali paesi europei e accanto agli Stati Unti d’America, gli ingegnosi israeliani scelgono una nuova disciplina: la “biometria”, cioè bios “vita” e métron “conteggio o misura”. In altre parole, ci spiega Bauer, “è quella disciplina che studia le grandezze biofisiche allo scopo di identificarne i meccanismi di funzionamento, di misurarne il valore e di indurre un comportamento desiderato in specifici sistemi tecnologici. La base teorica affonda le sue radici sulla “capacità di recupero”, un elemento essenziale dei sistemi biologici che fa riferimento alla capacità di affrontare un evento traumatico”. Qual è il filo rosso della mostra? E’ la resilienza, cioè prendere spunto da una proprietà essenziale dei sistemi biologici che dimostrano la loro capacità di resistere ai traumi. Un concetto non solo scientificamente provato ma che acquista ancor più significativa valenza nel contesto geopolitico di Israele, sottoposto allo scoppio di continue crisi che vanno ad intaccare la qualità della vita e la progettazione degli spazi. Israele sa resistere in un ambiente geopolitico che lo vede spesso coinvolto in situazioni di crisi e drammi che si ripercuotono sul modus vivendi e sulla qualità della vita dei suoi cittadini. Israele si interroga sui materiali e installa un grande nido d’uccello sintesi di biologia e architettura. Siamo oltre la bio-edilizia, pur meravigliosa, di terra e paglia e bambù. Qui l’ibrido tra

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tecnologia e biologia, in nome della “resilienza” (la capacità di resistere ai traumi) è il futuro qui e ora. L’arte quindi nasce ed esiste in funzione delle biomimesi e resilienza. La realizzazione di certi “scenari” è eloquente. Siamo di fronte ad un duplice interrogativo: bellezza estetica e funzionalità vanno d’accordo o sono solo delle speculazioni laboratoriali? “Una nuova forma di arte architettonica, introducendo in scenari urbani e metropolitani ordinari concetti come la funzionalità, il comfort, la protezione e la sicurezza. Questa tendenza è legata alla contemporaneità, a una comunicazione sempre più evoluta, proposta nelle forme geometriche attraversate dalla luce che enfatizza i colori e le sfumature.” In conclusione, il vostro progetto propone l’architettura come parte di un più ampio ecosistema. http://www.lifeobject.net / Foto di Claudio Malvestio Daniele Pauletto (video maker) LifeObject is an exhibition at The Israeli Pavillion at the 15th Annual Venice Biennale of Architecture, curated by Dr. Ido Bachelet, Ben Bauer, Arielle Blonder, Dr. Yael Eylat Van Essen, and Noy Lazarovitch.

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EXTRACTION – CANADA La mappa geologica del mondo rivela la vastità delle operazioni estrattive

del più grande paese minerario del pianeta. Un nuovo impero?

PIERRE BÉLANGER DETTA IL MANIFESTO IMPERIALISTA

l ground zero (l’installazione canadese) si trova all’intersezione degli assi d’accesso dei padiglioni vicini, (Inghilterra e Francia, ex paesi colonialisti), parafrasando le intenzioni della mostra che, con il titolo “Extraction”, vuole esplorare la storia del settore minerario

canadese, conteso con le suddette potenze internazionali. Droni by Art ha incontrato il curatore arch. Pierre Bélanger e seguito alcune fasi della performance in presenza dell’ambasciatore del Canada in Italia Peter McGovern e dell’arch. Phyllis Barbara Lambert, Leone d’oro 2014 e Wolf Prize in Arts 2016. Il 28 maggio scorso, di fronte ad un pubblico numeroso si è svolta una performance inaugurale che testimoniava "delle rimostranze d’indipendenza dalla Corona che questa esibizione scopertamente reclama". Mentre si ascoltavano i discorsi d’introduzione, tra cui quello di Pierre Bélanger, incisivo ed appassionato, l’esposizione rimaneva segreta e coperta da un manto di pelli di castoro, quale ricordo della merce di scambio più preziosa che il Canada possedeva prima della comparsa dell’industria dell’oro. A seguire, naturalmente tra gli scatti di fotografi e spettatori, l’ostensione per mano del curatore del “caposaldo aureo” (dischetto), principio di annullamento del potere della Corona sul sottosuolo canadese, che, una volta terminata la Biennale sarà consegnato alla Regina d’Inghilterra come ironico ringraziamento e reso, per la dominazione del sottosuolo fino ad oggi. Ancora sull’installazione velata da pelli di castoro è intervenuta la performance dell’artista canadese Eriel Déranger (del Athabasca Chipewyan First Nation) con un atto unico “sulla necessità di ricucire la frattura storica della colonizzazione”. Quindi un coro di mani ha liberato la superficie circolare in corian (250 cm di diametro), epifenomeno di questa installazione interrata, al centro della quale è stato installato il caposaldo aureo (dischetto) sul cui oculo i visitatori sono costretti ad inchinarsi per sbirciare il video riassuntivo di questi ultimi 800 anni di dominio britannico in vista di una sua prossima, auspicata liberazione. Per vederlo si è inchinato prima l’ambasciatore canadese in Italia, poi un bambino, quindi la celebre Phyllis Lambert, fondatrice del Canadian Center for Architecture e la giovane artista Déranger e poi via via, uno alla volta dei presenti raccolti a cerchio. L’autonomia o meglio l’indipendenza canadese dalla Corona viene portata sulla scena della Biennale, in terra veneta, oggi teatro di una crescente volontà a staccarsi dalle fauci della Lupa. Un progetto, assai complesso e ben articolato da Pierre Bélanger (coordinatore), Christopher Alton, e Zannah Matson (OPSYS), in collaborazione con Geoffrey Thün, Kathy Velikov and Colin Ripley (RVTR), Nina-Marie Lister (Ecological Design Lab, Ryerson University), Kelsey Blackwell (Studio Blackwell), Catherine Crowston (Art Gallery of Alberta), Troels Bruun & Luca Delise (M+B Studio), Alessandra Lai (Sardegna), Jane Zhang, Hamed Bukhamseen, Foad Vahidi, Olga Semenovych, Lindsay Fischer, Dan Tish, Jen Ng, Andrew Wald, Ya Suo, e Martin Pavlinic.

l

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IL MANIFESTO

L’estrazione è la sintesi che definisce il Canada nel paese e all’estero. Dall’Africa all’Asia, passando per l’America Latina, più della metà dei quasi 20.000 progetti minerari nel mondo sono gestiti da società canadesi. L’economia dell’estrazione non solo impiega circa 400.000 persone nella nazione, ma nel 2012, da sola, ha apportato 52.6 $ miliardi al Prodotto Interno Lordo. Oltre il 75 per cento delle industrie minerarie del mondo hanno sede in Canada. Anche se apparentemente impossibile da concepire, la scala di queste statistiche estende la logica del patrimonio storico del Canada come stato, nazione, e ora, come “impero di risorsa globale”. “Le potenze imperiali coloniali non si limitano a ridefinire i territori” - sostiene la storica della scienza Suzanne Zeller - “portano anche alla nascita di nuovi imperi, ripetendo più e più volte i loro cicli di espansione e di dominio”. In altre parole, ci spiega Bélanger, professore ad Harvard, “il Canada è diventato un preponderante serbatoio di risorse e una piattaforma operativa per l’industria mineraria nel mondo. Se poi, come scriveva Harold Innis nel 1930, Il Canada ha sostenuto le economie Britannica e Americana sfruttando le sue considerevoli risorse, ora dunque è diventato un impero per diritto, sede di una legione di imprese minerarie operanti sulla sua superficie le cui pratiche riflettono la potenza e la presenza canadese ovunque sulla superficie del pianeta. Mentre questa cultura estrattiva cresce, la rappresentazione di questa complessa ecologia di estrazione deve essere pienamente presa in considerazione, esaminata ed esibita attraverso nuovi linguaggi, discorsi e forme di immaginazione, mentre ci muoviamo verso il XXII secolo”.

Ecco che in apparenza un coperchio sistemato per terra sul quale viene appoggiato un dischetto di ottone, c’è la possibilità di allargare l’obiettivo sulle culture di estrazione, per sviluppare un discorso più profondo sulle complesse ecologie di estrazione delle risorse. Dalla ghiaia all’oro, dalle autostrade ai circuiti digitali, ogni singolo aspetto della vita urbana contemporanea oggi è mediato da risorse minerarie. Attraverso il linguaggio multimediale di cinema, stampa e mostre, il paesaggio dell’estrazione di risorse dall’esplorazione all’estrazione, alla lavorazione, alla costruzione, al recupero, può essere esplorato e rivelato come il fondamento della vita urbana contemporanea. Un dato di fatto: multinazionali canadesi operano circa 9.000 progetti minerari in tutto il mondo, in quasi ogni paese e continente del pianeta. Con la multimedialità si esplorano l'eredità attuale e storica dei processi estrattivi minerari da un punto di vista canadese, attraverso un filmato e un libro che raccoglie opinioni, dati, studi e ricerche di autori e studiosi di paesaggio, urbanistica, geografia, arte, ecologia, i media, la letteratura, l'architettura, l'ingegneria, la scienza, l'industria, il commercio e la cultura. Dopo la Biennale, l’installazione sarà in tour attraverso diverse regioni minerarie in tutto il Canada per celebrare il 150 ° anniversario della Confederazione nel 2017.

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Veduta della performance ripresa dal drone Ipsia L’arch.Phyllis Lambert, Leone d’oro alla carriera 2014, testimonedell’inaugurazione

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Pierre Bélanger legge il Manisfesto L’ambasciatore del Canada scruta per primo attraverso l’oculo del Groun Zero

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Undermining Empire. A Landscape Manifesto for the Next Century (part. 1-17 Rules)

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Papa Francesco The Queen Elizabeth The Prima Minister Trudeau scrutano attraverso l’oculo del Counter- Monument Pellem pro pelle “a skin for a skin“ (Old Testament Book of Job 2:4) 6th Century BCE

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DRONEPORTI IN AFRICA LA PROPOSTA DI LORD NORMAN FOSTER

Mostra 15.Biennale Architettura Arsenale - Esterno

e infrastrutture sono necessarie per lo sviluppo sociale ed economico per trasferire beni, servizi e persone - si legge nel catalogo della 15.Biennale Architettura, l’Africa è un continente che presenta molti luoghi che mancano

di infrastrutture adeguate e colmare questa lacuna richiederebbe molto tempo”. Per risolvere un tale problema, abbastanza comune per molti paesi, ci ha pensato la Fondazione Lord Norman Foster che ha sviluppato assieme ad altri enti un progetto ambizioso di aeroporto per droni civili, iniziando dal Rwanda. In Veneto abbiamo una scuola d’eccellenza dove si sperimentano l’uso di droni civili per svariate soluzioni, ma quest’idea di un aeroporto per droni civili non s’era mai sentita. Infatti, Daniele Pauletto con il suo team IPSIA Galilei ha sperimentato con successo nel 2013 il trasporto di medicinali in luoghi impervi, il soccorso alpino o lo stato di salute di piante e coltivazioni. Potrebbe essere un ulteriore input per sviluppare know-how e sottoporre sia il mondo scuola che la comunità esterna ad un salto di qualità. Per l’Africa (si legge nel comunicato stampa), usare l’aria per trasferire merci

su piccola scala potrebbe essere una scorciatoia per risparmiare tempo e denaro senza dover ricorrere a infrastrutture pesanti più convenzionali, è l’equivalente della vecchia linea telefonica paragonata al cellulare. La novità progettuale della Fondazione di Lord Norman Foster, già lanciata un anno fa che coinvolge lo studio di architettura Foster + Partner, l’università svizzera École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) e l’associata Afrotech, prevede la realizzazione nei prossimi 4 anni di 3 droneporti, ognuno dei quali gestirà due reti parallele di droni. Dunque, il prototipo esposto all’Arsenale ne è un’anticipazione.

Così Lord Norman Foster: “I droni che consegnano medicine, cibo, il pezzo di ricambio di un’automobile o di un mulino ad acqua possono essere definiti una sorta di infrastruttura ‘cellulare’. Una rete di questo genere deve contare dei porti. Per questo, abbiamo studiato l’idea di architettura modulare (con un numero di aree variabile a seconda della necessità), flessibile (in grado di crescere in base alla richiesta), realizzata con materiali locali (mattoni di argilla o fango) eventualmente riutilizzata in altri progetti (mercati, centri sociali,piazze coperte).” Entro il 2050 in Africa vivranno oltre 2 miliardi di persone, come possono le loro attuali infrastrutture pensare di tenere il passo di questa espansione demografica?

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“In Africa non esistono strade continentali, quasi non ci sono gallerie e il numero di ponti è insufficiente a collegare le tante persone che vivono nelle aree più remote del paese. L’ammodernamento delle

infrastrutture richiederebbe troppo tempo e troppi soldi, per questo è nata l’idea risolutiva dei droneporti e dei droni cargo, che trasporteranno oggetti di prima necessità da una parte all’altra del paese”.

I DRONI REDLINE avranno un’apertura alare di 3 metri e saranno in grado di consegnare forniture mediche e di emergenza (ad esempio farmaci e sacche di sangue per le trasfusioni) fino a 10 chili di peso. I BLUELINE, invece, possono trasportare oggetti più pesanti, come ad esempio prodotti elettronici, fino a 100 chili. Ma non stiamo parlando di elettrodomestici, bensì di componenti elettroniche di prima

necessità, come ad esempio un nuovo motore per la pompa idraulica che permette a un villaggio di avere acqua a disposizione. “Un drone può effettuare la consegna in circa 1/12esimo del tempo richiesto dal trasporto con il fuoristrada“.

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Non solo dei centri di smistamento. Ma i droneporti non saranno solo uno snodo di prodotti necessari, perché queste strutture, che avranno la forma di volte di mattoni in fila, ospiteranno anche una clinica, un punto di produzione digital per fabbricare parti dei droni, una sala postale, e un centro di scambio e-commerce. In Ruanda il primo droneporto civile del mondo. Secondo le stime mostrate nel progetto, i 3 droneporti permetteranno di coprire il 44 per cento del territorio del Ruanda, il cui scenario geografico rappresenta un ottimo test in vista di simili progetti che Lord Foster è sicuro che saranno realizzati in futuro. Questo è il contributo che la giusta scelta architettonica può offrire per far sì che l’edilizia sia effettivamente al servizio della comunità. Foster fa uso delle tecniche di ingegneria più avanzate in grado di essere utilizzate pressoché da tutti. “La sua scelta di coinvolgere alcuni studenti nella realizzazione del progetto non ha fini pedagogici o accademici, ma risponde

all’esigenza di collaudare la trasferibilità della proposta In ultimo, ogni modulo sarà compresso in un kit di materiali e tecniche di costruzione, sarà spedito in luoghi remoti, che dovrà poi essere implementato dalla forza lavoro locale, a volte non qualificata.” (vedi catalogo, p. 194) L’esposizione durante la Biennale, illustrata e diffusa, è una specie di “future tutorial”: il prototipo non rappresenta solo un oggetto, ma anche una procedura.

“The Droneport’s construction process was filmed and will be used to instruct local communities in Africa. Foster + Partners also says that the building could be installed in other areas, such

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as South America and parts of Asia, for example. In addition, besides drones, the firm posits that its vaulted building also serve as a market, school, or medical facility”.

Partecipants: Norman Foster Foundation con Future Africa EPFL e con Ochsendorf, Dejong & Block e con Block Research Group, ETH Zurich Titolo: PROTOTYPE DRONEPORT SHELL (Fonti: 15.Biennale Architettura; Il miodrone.it: Lord Norman Foster Foundation)

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The Far Game COREA: SPECULAZIONE EDILIZIA O NECESSITÀ?

UNA SFIDA A CIEL SERENO

l padiglione della Corea mette in scena il ruolo di un architetto che si spinge all’estremo per sfruttare al massimo le potenzialità delle norme edilizie per l’occupazione dello spazio che rimane. “Un gioco spietato tra la superficie edificabile su di un lotto (Floor

Area Ratio=FAR) e quant’altro è possibile edificare al di fuori di tale conteggio”. Questo scenario si può ammirare in una Seoul che ha un’altissima densità di popolazione, dove il costo del terreno influisce sino al 70 per cento sui costi totali della costruzione di un edificio di quattro piani. Con la spinta alla verticalità degli anni settanta, oggi la sfida si crea sulle aree meno dense che possono crescere attraverso singoli interventi, anche su quanto esistente. Il padiglione coreano è ripartito in cinque sezioni: le regole che definiscono le aree edificabili e non, con gli attori coinvolti; i 36 progetti in cui gli architetti propongono soluzioni creative per aumentare legalmente tali aree; il background socio-economico che pone Seoul tra le città più dense al mondo, superata solo da Mumbai, Faisalabad e Dacca; la rappresentazione del paesaggio urbano contemporaneo visto da alcuni artisti coreani; per giungere a “Why Does the FAR Game Matter?”, dove si definiscono possibili futuri utilizzi delle aree in espansione sugli edifici esistenti. Tra i 36 progetti analizzati ecco alcuni stratagemmi utilizzati dagli architetti: progettare su misura ampi spazi vuoti ai vari piani degli edifici, in attesa di una norma che permetta di completarli con nuovi appartamenti. E ancora: la creazione di una seconda “pelle” costruita, che racchiuda uno spazio interstiziale tra l’edificio e lo spazio aperto utilizzabile per balconi o terrazze che divengono però spazi interni. Oppure: stanze con un’altezza massima di 150 cm che non vengono conteggiati nella FAR. I plastici dei 36 progetti sono duplici: uno che risponde alla pura regola del rapporto tra area edificabile e lotto di terreno e l’altro con l’interpretazione data dal progettista. SUNG HONG KIM, curatore e docente di Architettura e urbanistica all’Università di Seoul, afferma che il termine FAR è molto conosciuto tra i proprietari di edifici, forse è il termine “architettonico” più familiare. Tocca le loro vite molto da vicino, determinando le possibilità di ampliamento dei loro edifici. Gli architetti coreani intervistati indicano l’importanza del ruolo dell’architetto mediatore tra esigenze diverse. I fruitori finali richiedono ora maggiore attenzione alla qualità degli spazi per innalzare la qualità della loro vita: si aprono nuove possibilità di gioco per funzioni condivise a valorizzazione della città. Reportage dalla Biennale, 26/27-05-2016: Droni by Art. “Il giornalismo tascabile / Le journalisme de poche” / Angelo Miatello (script) / Daniele Pauletto (videomaker) / Federico Calzavara, Dobrica Raunig (dronisti) / Nazzareno Bolzon (coordinator). Intervista

all’arch. Sung Hong Kim, curatore e docente di Architettura e urbanistica all’Università di Seoul. © Sung Hong KIM, Eungee CINN, Keehyun AHN, Seungbum KIM, Isaak CHUNG, Da Eun JEONG. Droni by Art è un progetto editoriale digitale sviluppato da FPA2000

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THE EVIDENCE ROOM University of Waterloo

LA PROVA CERTA DELLE CAMERE A GAS AD AUSCHWITZ-BIRKENAU

el 2000, una causa per diffamazione portata avanti presso la Royal Courts of Justice di Londra, Inghilterra, ha messo in crisi la falsa asserzione presentata da uno storico revisionista e negazionista dell'Olocausto, il quale sosteneva che non ci fossero

state camere a gas ad Auschwitz e che, pertanto, l'Olocausto non fosse accaduto. Punto focale in questo procedimento furono le interpretazioni forensi delle prove architettoniche di Auschwitz e la precisa testimonianza di Robert Jan van Pelt, professore di architettura presso l'Università di Waterloo in Canada. La sua interpretazione e testimonianza circa la progettazione ed il funzionamento di questi edifici come uno strumento di sterminio è stato il contributo principale per vincere la causa ed affermare la verità sull’Olocausto – il crimine che definisce il ventesimo secolo. La relazione di van Pelt – pubblicata come The Case for Auschwitz – ha avuto nel tempo uno sviluppo didattico favorendo una nuova disciplina situata nell’intersezione tra architettura, tecnologia, storia, legge, e diritti umani che prende il nome di “architettura forense”.

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Su invito di Alejandro Aravena, van Pelt ha lavorato insieme ai professori Anne Bordeleau e Donald McKay, al produttore artistico Sascha Hastings e a un team di studenti e consulenti della Università di Waterloo - School of Architecture per presentare questo materiale nell’installazione che prende il nome di The Evidence Room. The Evidence Room è costituita da riproduzioni a grandezza naturale e modelli degli elementi architettonici (una colonna per il gas e uno sportello a tenuta stagna – entrambi per l'introduzione dello Zyklon-B nelle camere a gas – una porta a tenuta stagna, copie dei progetti, lettere degli architetti, fatture delle imprese e fotografie). Nel loro insieme, queste prove concrete confermano le testimonianze del dopoguerra da parte sia dei sopravvissuti che dei carnefici e dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Auschwitz era una fabbrica volutamente progettata per la morte, dotata di camere a gas di grandi dimensioni e inceneritori di massa, nelle quali oltre un milione di persone, il 90 per cento dei quali erano ebrei, sono stati assassinati. The Evidence Room offre una sintesi concreta di un corpo esaustivo di lavoro: essa richiama l'attenzione verso il più grande crimine mai commesso dagli architetti. L’installazione sarà visitabile fino al 27 Novembre 2016 nel Padiglione Centrale ai Giardini della Biennale. “Le testimonianze riprodotte in gesso e fissate sulle pareti della stanza del Padiglione Centrale sono una parte del voluminoso dossier preparato dal prof. Robert Jan van Pelt, incaricato dalla difesa nel processo per diffamazione intentato dal negazionista britannico David Irving contro la scrittrice Deborah Lipstadt e il suo editore Penguin Books, riporta alla luce il ruolo dell’architetto nella pratica del genocidio”. [Fonte: Robert Jan van Pelt and others, The The Evidence Room, New Jewish Press, Toronto, 2016, pp. 174]

L’ATTUALITÀ LEGISLATIVA

8 giugno 2016: la proposta di legge n. 2874-b passa alla Camera dei Deputati

Contenuto del provvedimento: da 2 a 6 anni di carcere L’articolo unico della proposta di legge modifica la c.d. legge Mancino (legge n. 654 del 1975) che, all’articolo 3, punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato: “con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (lett. a); con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (lett. b). Il comma 3 dell’art. 3 della legge n. 654 vieta, inoltre, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e ne sanziona con pene detentive la partecipazione (da sei mesi a quattro anni) e la promozione o direzione (da uno a sei anni). Il provvedimento approvato dal Parlamento, all’esito di un iter complesso che ha visto Senato e Camera esaminare la proposta due volte ciascuno e dibattere soprattutto

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sull’eventuale natura pubblica delle condotte, inserisce nell’articolo 3 della legge 654 un comma aggiuntivo 3-bis. Tale disposizione prevede la reclusione da 2 a 6 anni nei casi in cui la propaganda, l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondino “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra” come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale (art. 6, crimine di genocidio; art. 7, crimini contro l’umanità; art. 8, crimini di guerra), ratificato dall’Italia con la legge n. 232 del 1989.

“Con l’approvazione di questo provvedimento, il Parlamento intende contrastare una delle forme più sottili e striscianti della diffamazione razziale, della xenofobia a sfondo antisemita e non solo, e in genere dell’incitazione all’odio”. Lo ha detto Chiara Gribaudo, vice-presidente del Gruppo Pd della Camera, nella dichiarazione di voto sulla legge sul negazionismo, spiegando che “la via scelta per stabilire una sanzione penale all’odioso comportamento negazionista non è stata quella di introdurre – come, in passato, era anche stato proposto – una nuova tipologia di reato per il negazionismo (esistente in Francia, Germania, Austria, Belgio, Svezia, Svizzera, Polonia, Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca, fino al Canada e all’Australia)”. “Abbiamo scelto, invece -spiega- di modificare l’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975 che ha recepito la Convenzione di New York del 7 marzo 1966 sulle discriminazioni razziali introducendo il contrasto di quelle azioni discriminatorie che trovano origine nella negazione o minimizzazione del genocidio degli ebrei e di quello di altre minoranze che costituiscono uno degli aspetti più odiosi delle pratiche razziste”.

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I FATTI CHE HANNO RIVOLUZIONATO LA STORIA Negazionismo, Inving, Zyklon-B, Genocidio

David John Cawdell Irving (Hutton, 24 marzo 1938) è un saggista britannico, specializzato nella storia militare della seconda guerra mondiale. È l’autore di una trentina di libri, tra cui Apocalisse a Dresda (1963), La guerra di Hitler (1977), La guerra di Churchill (1987). La reputazione di Irving come storico è stata ampiamente screditata dopo lo scoppio di una violenta polemica con la storica statunitense Deborah Lipstadt, cui seguì una causa per diffamazione intentata nel 1996 da Irving stesso contro la Lipstadt e l’editore

Penguin Books. Nella successiva sentenza – che rigettò la causa, dando torto a Irving – la Corte britannica osservò che Irving stesso era un “attivo negatore dell’Olocausto”, antisemita e razzista, nonché “associato con degli estremisti di destra che promuovono il neonazismo”. Il giudice affermò anche che Irving aveva “per le sue ragioni ideologiche continuativamente e deliberatamente manipolato e alterato l’evidenza storica”. (Fonte Wikipedia)

Il processo per diffamazione. Tra l’11 gennaio e l’11 aprile del 2000, alla Royal Court of Justice di Londra, si svolse un processo per diffamazione intentato da David Irving alla scrittrice Deborah Lipstadt e alla casa editrice Penguin Books Ltd, che si concluse con la sconfitta dello scrittore britannico. Robert Jan van Pelt, professore di storia dell’architettura all’University Waterloo, Cambridge-Ontario), fu assunto dal collegio difensivo della Lipstadt per redigere una “perizia” che egli terminò nel 1999. Si tratta del famoso “The van Pelt Report”. Successivamente van Pelt lo rielaborò e nel 2002 lo pubblicò in forma di libro, “The Case for Auschwitz”, che divenne la nuova opera di riferimento della storiografia olocaustica su questo campo… Nei suoi studi su Auschwitz nessun documento riportava la parola “camere a gas” ma “gaskammer” per spiegare che erano camere per lo spidocchiamento….”delle docce…” (vedi anche nel film di Spielberg del 1993, antecedente al processo di Londra e alla scoperta di Van Pelt, ndr.). Da indagini, rilievi fotografici, disegni di prigionieri, testimonianze, disegni tecnici, contratti edilizi, il prof. Jan van Pelt è riuscito a dimostrare l’esatta intenzione delle SS di sterminare migliaia di prigionieri civili ingannandoli che sarebbero stati “lavati” dai pidocchi (“bath houses for special actions…Bunkers 1 e 2, were peasant cottages that had been modified into gas chambers, vedi fig. 11, p. 154 del libro)” Ad esempio gli obitori furono trasformati in stanze per uccidere a centinaia le persone svestite (donne, uomini e bambini), creando un apposito buco sul soffitto da dove scendeva il cestino con lo Zyklon-B dentro la colonna a gas …. Reinstallando le porte degli obitori con l’apertura dall’esterno con lo spioncino protetto da una griglia per evitare che venisse rotto dai prigionieri nudi (“spyhole of double 8 mm glass with a rubber seal and a metal fitting. This order must be considered as very urgent”, note 12, fig. 12) Come mai un obitorio con un buco sul soffitto? Di solito sono stanze chiuse. Infatti ci volevano più 24 ore per sgombrare le camere, non per la morte che avveniva nel giro di dieci-quindici minuti, a causa

dell’esalazione del gas provocato dal Zyklon-B. Le SS dovevano aspettare 24 ore prima di dare inizio allo sgombero delle camere, sebbene, lo ripeto, le vittime perivano dopo 15 minuti. “Questa pratica divenne un grosso

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“problema” per le SS perchè l’arrivo dei treni era cadenzato ogni 24 ore e le difficoltà di sgombero provocarono disguidi alla logistica”. Il geniale (malefico) architetto progettò “la colonna di gas saldata con doppie reti metalliche (e quindi il buco nel soffitto), per calare ed estrarre il cestello con il Ciclone-B (Zyklon-B) dopo 15 minuti, invertì il portone dell’entrata della gaskammer con i battenti verso l’esterno, risolvendo il problema dei cadaveri che si ammassavano a ridosso, che aprendolo questi cadevano sull’uscio (“prima era molto faticoso spingere la porta”). La pratica ricominciava qualche ora dopo …” – ci precisa Sascha Hastings. “…prima ci volevano 24 ore per sgomberare le camere dai cadaveri, uno sopra l’altro, poi ….con la genialità dell’architetto la catena della morte andò più spedita … Nella stanza potevano entrarci

anche più di cento persone. Si dovevano spogliare nell’anticamera (seminterrato), piegare per benino le loro divise, appenderle sui chiodi che avevano dei numeretti “veniva loro raccomandato di ricordarseli perché le avrebbero riprese dopo la doccia”. I deportati venivano ingannati con la promessa che si trattava di una disinfestazione. Molte donne si rifiutarono per pudore di rimanere nude in mezzo ad altri uomini con la conseguenza però di essere bastonate o persino uccise

(come appare da alcune vignette di sopravvissuti). Da qui il nome “Niente buco Niente Olocausto!” come sottotitolo della scheda del catalogo della

15.Biennale di Architettura, un’installazione pressappoco uguale a quella inaugurata al Centre Canadien d’Architecture (CCA) di Montréal che però ha preferito “La prova con l’architettura”.

La ricostruzione esatta degli elementi architettonici. Una colonna quadrata fatta di reti intrecciate “per far scorrere al suo interno il cestello con i granuli Zyklon-B, uno sportello a tenuta stagna, una porta a tenuta stagna con uno spioncino coperto da una rete, copie dei progetti, lettere degli architetti, fatture delle imprese e fotografie, sono delle prove inconfutabili che confermano le testimonianze del dopoguerra “dei sopravvissuti” chiamati come test al Processo di Norimberga. La capacità dei crematori fu triplicata dai carnefici “4.756 corpi al giorno” (Letter from Karl Bischoff to Hans Kammler, Jume 29, 1943, fig. 27). Incenerire quasi cinquemila corpi al giorno corrispondeva al fabbisogno di smaltimento di un enorme via vai di cadaveri e

contemporaneamente di persone che venivano convogliate verso le camere a gas. Il libro The Evidence Room pubblica due foto che evidenziano un fabbricato posto a sud dei crematori con quattro comignoli “The top of the gas chamber can be seen just to the right of the locomotive’s chimney. The concrete roof is not yet covered with dirt and therefore the tops of the four gas columns can be seen.” (fig. 37) Auschwitz-Birkenau fu una fabbrica volutamente progettata per la morte, dotata di camere a gas di medie dimensioni (30 mq) e di crematori di massa, in cui oltre un milione di persone, il 90 per cento di ebrei, furono assassinate. “The Evidence Room – spiega Anne Bordeleau espone la ricostruzione di tre “monumenti” della Stanza Q (Room Q): una colonna a gas

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(column gas), il portone dell’entrata (gas-tight door) e il portello (coperchio) a tenuta stagna (gas-tight hatch)…, non è solo una revisione della storia e di quanto autorevolmente deciso dalla Corte britannica (con testimonianze e perizie) è molto di più, perchè è necessario ricordare che cosa sia “undeniable and yet stands beyond comprehension. To remember what many would rather forget, il not deny. For this, scientific proofs and architectural forensics – and, of course, rhetoric – can be necessary in a courtroom to convince twelve jurors or a judge hound by the letter of the law, but not to the same extent for the human heart and the “cause” of memory”. (Anne Bordeleau, pag. 113 libro).

Nuova disciplina forense. La relazione del prof. van Pelt – “The van Pelt Report” pubblicata come “The Case for Auschwitz” – è diventata una delle fonti di ispirazione per una nuova corrente interdisciplinare che comprende architettura, tecnologia, storia, legge e diritti umani a servizio dell’architettura forense. Infatti, con questa dimostrazione viene alla luce una nuova disciplina nel campo della pratica forense. Un work in progress collettivo (esperti, studenti, operatori - ci spiega Sascha Hastings - è una sintesi concreta di una lunga e complessa ricerca iniziata dal prof. Robert Jan van Pelt, alla quale hanno contribuito i colleghi Donald McKay, Anne Bordeleau e un folto team di studenti e consulenti della Università di Waterloo – School of Architecture (Canada).

____________________________ CyklonB, Zyklon B era il nome commerciale di un agente fumigante a base di acido cianidrico (o acido prussico) utilizzato come agente tossico nelle camere a gas di alcuni campi di sterminio nazisti. Anche se utilizzato solo in un numero limitato di lager, principalmente ad Auschwitz e Majdanek, lo Zyklon B è oggi ricordato come uno dei simboli della Shoah. L’uso della parola Zyklon (ciclone in tedesco) ha spinto varie comunità ebraiche a chiedere nel 2002 alla Bosch Siemens Hausgeräte e alla Umbro di ritirare i loro tentativi di usare o registrare tale termine per loro prodotti. L’acido cianidrico a 200 mg/m³ uccide un uomo in circa 10 minuti[8]. Da cinque a sette chili di Zyklon B erano fatti cadere nella camera della morte attraverso un’apertura nel soffitto per uccidere da 1.000 a 2.000 persone in pochi minuti. L’azione tossica si deve allo ione CN−, il quale si lega agli enzimi ossidanti preposti alla respirazione cellulare, in particolar modo all’enzima citocromo-ossidasi, provocando l’anossia. I sintomi da intossicazione erano la perdita di coscienza

e le convulsioni e dopo circa 15 minuti sopraggiungeva la morte. L’architetto (Walter Dejaco*), al servizio delle SS rivoluziona la catena di montaggio della morte nei campi di concentramento”. Oltre ai forni crematori, alle fucilazioni, al programma eutanasia, alle sperimentazioni (vedi ad esempio su ufficiali russi) si aggiungevano gli obitori trasformati in camere a gas… usando semplicemente dei barattoli di ZyKlon B (“Ciclone B”)

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della Bayer. Con “piccoli” accorgimenti tecnico-edili e di falegnameria, la mente perversa riuscì a far risparmiare tempo ed energia. In quindici minuti morivano asfissiati e ammassati nella stanza buia di circa mq30, donne, uomini, bambini nudi! Altro che spidocchiamento, come si difesero di fronte

ai giudici o taluni persistono ancora “reclamare la verità”. *W.D. 19. Juni 1909 in Mühlau (Innsbruck); † 1978) war ein österreichischer Architekt, der im KZ Auschwitz als Bauleiter bei der Zentralbauleitung der Waffen-SS und Polizei Auschwitz tätig war.

(Fonte Corriere della Sera) NEL 1996 LO STORICO INGLESE DAVID IRVING AVEVA CITATO PER DIFFAMAZIONE, DI FRONTE ALLA ROYAL COURT OFJUSTICE DI LONDRA, LA STUDIOSA AMERICANA DEBORAH LIPSTADT, la quale, nel polemizzare contro la sua interpretazione assai riduttiva delle responsabilità naziste del genocidio degli ebrei, lo aveva definito “uno dei più pericolosi portavoce del negazionismo”. Nel 1996 lo storico inglese David Irving aveva citato per diffamazione, di fronte alla Royal Court ofJustice di Londra, la studiosa americana Deborah Lipstadt, la quale, nel polemizzare contro la sua interpretazione assai riduttiva delle responsabilità naziste del genocidio degli ebrei, lo aveva definito “uno dei più pericolosi portavoce del negazionismo” II processo si concluse con una sentenza molto severa nei confronti di Irving, che non solo fu condannato a rifondere le spese alla controparte, ma venne bollato nella sentenza come ‘antisemita’ e come ‘razzista’, avendo egli ‘deliberatamente falsificato e distorto qualsiasi evidenza storica. Come ha scritto il Corriere nel 2001: ‘Il processo ‘Irving contro Lipstadt’ era destinato a trasformarsi in un processo volto ad accertare se davvero vi fu l’Olocausto, se davvero furono impiantati e utilizzati i campi di sterminio degli ebrei. E

infatti proprio questi accertamenti costituiscono il cuore della sentenza, nella quale si legge tra l’altro — in chiave di evidente condanna delle tesi negazioniste di Irving — che ‘nessuno storico obiettivo ed equanime avrebbe seri motivi per dubitare che ad Auschwitz vi fossero camere a gas e che siano state fatte funzionare su vasta scala allo scopo di uccidere centinaia di migliaia di ebrei’. II processo si concluse con una sentenza molto severa nei confronti di Irving, che non solo fu condannato a rifondere le spese alla controparte, ma venne bollato nella sentenza come ‘antisemita’ e come ‘razzista’, avendo egli ‘deliberatamente falsificato e distorto qualsiasi evidenza storica. Come ha scritto il Corriere nel 2001: ‘Il processo ‘Irving contro Lipstadt’ era destinato a trasformarsi in un processo volto ad accertare se davvero vi fu l’Olocausto, se davvero furono impiantati e utilizzati i campi di sterminio degli ebrei. E infatti proprio questi accertamenti costituiscono il cuore della sentenza, nella quale si legge tra l’altro — in chiave di evidente condanna delle tesi negazioniste di Irving — che ‘nessuno storico obiettivo ed equanime avrebbe seri motivi per dubitare che ad Auschwitz vi fossero camere a gas e che siano state fatte funzionare su vasta scala allo scopo di uccidere centinaia di migliaia di ebrei’.

Droni by Art. “Il giornalismo tascabile / Le journalisme de poche”

di Angelo Miatello, Daniele Pauletto e Nazzareno Bolzon Intervistati: Anne Bordeleau, Sascha Hastings, Robert Jan van Pelt, Donald McKay

Servizio webTv: Daniele Pauletto Fotografia: Claudio Malvestio e altri

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Immagini: Marc Chagall, Rabbino N. 2, 1914 – 1922, olio su tela, cm 104 x 84 Venezia, Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna. © Fondazione Musei Civici di Venezia, Archivio Fotografico Contratto matrimoniale ebraico, Diana bat Gavri’el Barak Caravaglio con Mošeh ben Ya’aqov Baruk Caravaglio 1723 (lunedì 14 Nissan 5483), Tempere e inchiostro su pergamena sagomata verso l’alto, mm 920 × 665, Venezia, Museo Correr - Gabinetto Disegni e Stampe, Ketubbah 17. © Fondazione Musei Civici di Venezia Sefer Ma'aseh Tuvya, Venezia, Bragadin, 1708, mm 229 x 178 x 48, Gerusalemme, National Library of Israel, R 8=35 V 4588, p. 110. © The National Library of Israel, Jerusalem Francesco Hayez, La distruzione del Tempio di Gerusalemme, Olio su tela, cm 183 x 282, Venezia, Gallerie dell'Accademia Cat. 756. ©Su concessione del Ministero dei beni e delle attività cuIturaIi e del turismo Vittore Carpaccio, Predica di santo Stefano, Olio su tavola, cm 148 x 194, Paris, Louvre Museum, Department of Paintings. © RMN-Grand Palais

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Roma, Circolo stampa internazionale

REPORTAGE DA ROMA AL PALAZZO DUCALE

VENEZIA, I 500 ANNI DEL GHETTO “UNA LEZIONE DI AMORE PER LA VITA”

oglio rispondere a una domanda prima ancora che qualcuno la faccia: gli ebrei non hanno alcuna nostalgia del ghetto”. Sgombra il campo da ogni equivoco Renzo Gattegna, presidente dell’Unione

delle Comunità Ebraiche Italiane, nel dare avvio alla conferenza stampa di presentazione delle iniziative per il Cinquecentenario del Ghetto di Venezia svoltasi questa mattina nella sede romana dell’Associazione della Stampa Estera. Nella casa dei giornalisti stranieri, accolti dal loro presidente Tobias Piller, prendono forma i diversi appuntamenti e le diverse sfide di un calendario di eventi che abbraccerà l’intero anno solare. L’atteso concerto inaugurale al Teatro La Fenice (29 marzo). La mostra “Venezia, gli Ebrei e l’Europa. 1516- 2016” ospitata a Palazzo Ducale. La settimana dedicata al Mercante di Venezia in Ghetto Nuovo. E ancora convegni, seminari, giornate di studio. “Gli ebrei veneziani hanno subito molte vessazioni, ma non ne sono usciti né umiliati né sconfitti. La loro storia, la loro vitalità, la loro forza sono un esempio altissimo di amore per la vita. Più forte di qualsiasi ostacolo” sottolinea il presidente dell’Unione. Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente della Comunità ebraica veneziana Paolo Gnignati, che ricorda come la memoria del passato, delle sofferenze subite, ma anche degli straordinari slanci culturali e ideali che non mancarono, delle pagine di storia che furono scritte in quel contesto così difficile, debbano costituire un punto di riferimento imprescindibile. Anche perché, avverte, l’intenzione della Comunità è di lavorare ogni giorno “anche per il futuro”. E di costituire un “esempio di integrazione” anche per nuove e vecchie minoranze.

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Donatella Calabi, curatrice della mostra “Venezia, gli Ebrei, l’Europa”, ricorda la “pluralità di nazioni e religioni” di quel contesto storico. E spiega come l’esposizione non si fermerà all’epoca del ghetto ma approfondirà anche cosa accadde dopo l’apertura delle sue porte. “Sarà una mostra multimediale, pronta a viaggiare anche lontano da Venezia se vi sarà la possibilità” dice Calabi. Conferma questo impegno Mariacristina Gribaudi, presidente della Fondazione Musei Civici, che si augura che la stessa possa parlare “ai giovani, a tutti i giovani del mondo”. Una proiezione internazionale che si basa anche sul fondamentale sostegno (finanziario e non solo) della fondazione Venetian Heritage, partner strategico della Comunità ebraica da oltre tre anni. A fare il punto sulle progettualità avviate è Toto Bergamo Rossi. “Questo Cinquecentenario deve parlare al nostro presente, costituire uno spunto di riflessione. Perché le nuove manifestazioni di antisemitismo e di negazionismo cui assistiamo ancora oggi sono un fatto inaccettabile” dice il governatore regionale Luca Zaia. Concorda il sindaco Luigi Brugnaro, che loda la grande capacità di integrazione degli ebrei veneziani e il loro ruolo sociale. “Questa Comunità ha scritto e continua a scrivere la storia di Venezia. E continua a costituire uno straordinario esempio per tutti” sottolinea il primo cittadino. Conclusi gli interventi, una sfilza di domande dalla platea. La dimostrazione evidente di un interesse sempre più vivo. (Roma 6 marzo 2016)

Blatas, Synagogues,

Venice Ghetto

IL NOVECENTO Gli ebrei veneziani sono tra i protagonisti dei processi di modernizzazione economica, politica, culturale e anche urbanistica della città e del territorio circostante. Alcuni di essi sono saliti ai vertici dell’amministrazione cittadina e della politica nazionale, o sono alla testa di circoli intellettuali e di istituzioni scientifiche. Dalla fine degli anni trenta sarà segnata tragicamente – anche se in modo non definitivo – dalla cesura della Shoah. Nella mostra tali percorsi sono esemplificati in particolare attraverso i profili della famiglia Musatti, di Margherita Grassini Sarfatti, di Angelo Fano e di Gino Luzzatto.

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VENEZIA, GLI EBREI E L’EUROPA

INTERVISTA ALLA CURATRICE DONATELLA CALABI

a mostra al Ducale vuole insegnare che cosa? La mostra vuole far riflettere sulla storia del termine ghetto (originariamente non ha nulla a che fare con la segregazione, né con gli ebrei), eppure ha avuto un’incredibile fortuna

terminologica. Ma pensare al “ghetto” solo come isolamento fisico e morale è riduttivo: le contraddizioni del Ghetto di Venezia (il primo al mondo), le ‘permeabilità, gli scambi culturali che ne hanno consentito la sopravvivenza, che anzi sono stati spinti anche dalla situazione particolare di cui gli ebrei hanno ‘goduto’ all’interno della Repubblica Veneta. Oggi in un momento di muri e di fili spinati dappertutto nel mondo, riflettere su questa particolare vicenda ci può forse aiutare a pensare in termini di convivenza di popolazioni aventi diverse abitudini, lingue differenti.

Dal Colophon sono dodici le sezioni che ha individuato come tappe di questo lungo viaggio da raccontare. Ci può dare qualche sua particolare annotazione, dove puntare per avere un’idea generale della straordinaria ricchezza che possediamo? Le sezioni sulle quali insistere di più sono quelle chiamate la Venezia cosmopolita e il Ghetto cosmopolita per riflettere sulle questioni poste sopra. Contemporaneamente credo che sia abbastanza poco conosciuta la fase della assimilazione degli ebrei nell’Ottocento e del loro ruolo nel processo di modernizzazione della società civile (Camera di Commercio, Accademia di Belle Arti, Porto Franco, ferrovia Venezia-Padova, collezionismo: la galleria dei ritratti e alcuni dipinti (Hayez) sono di particolare importanza per questo. La mostra è al positivo, come lei ha sottolineato alla vernice, ci vuole ripetere qui brevemente come e perchè?

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La mostra è da vedere in positivo perché vuole mettere in luce fino a che punto gli ebrei, senza mai rinunciare alla loro identità etnica, nazionale, o religiosa, hanno fatto parte, nei secoli, della società europea. In questo senso essa vuole essere ancora una volta un invito a guardare al futuro come situazione di ‘convivenza’ di popoli con le loro anime differenti, e non alla supremazia degli uni sugli altri. Alla Biennale di Architettura vi è un’installazione dedicata all’Olocausto (Niente Buco, Niente Olocausto), realizzata dal team dell’Università di Waterloo – Canada (di cui le ho presentato ieri la d.ssa Sascha Hastings). La stessa installazione è stata inaugurata due giorni fa a Montreal presso il CCA con i proff. van Pelt e Bordeleau. E’ già sui giornali canadesi. La cronaca politica non si è accorta che l’8 giugno scorso il Parlamento italiano ha approvato (finalmente) il ddl che punisce il negazionismo come aggravante… Solo la stampa on line ha fatto brevi commenti. Che ne pensa? Infatti, la sua mostra può essere un'ottima occasione per educare al rispetto della comunità ebraica nel Veneto (mi riferisco alle escursioni scolastiche giornaliere) che per essere programmate hanno bisogno di tempi più lunghi. C'è da lavorare parecchio. Educare al rispetto della comunità ebraica nel Veneto, come al rispetto di altre comunità presenti nella nostra Regione (e non solo) è un dovere civile. Lo scopo della mostra di palazzo Ducale è anche quello di far riflettere sull'esistenza di muri e di fili spinati che si continuano a realizzare in Europa e nel mondo e sulla necessità di abolirli. Le scuole sono in questo senso da considerare fra i primi destinatari di messaggi di questo tipo. L'utilizzo dei dispositivi multimediali è stato spinto da me proprio per rivolgersi in primis ad un pubblico di giovani e anche di bambini. Sono d’accordo sull’impostazione della mostra della Biennale Architettura, anche se nella mostra di Palazzo Ducale ho voluto rappresentare la storia delle persecuzioni in modo sintetico e simbolico, da un lato con il ritorno della Comunità Ebraica in Ghetto, dall’altro con l’istallazione che abbiamo chiamato “il dono del ricordo”. Non sono invece d’accordo sull’entusiasmo per il ddl sul negazionismo. Io credo – d’accordo con un folto gruppo di storici – che questi orribili atteggiamenti non possano essere limitati per legge, ma solo con l’educazione. A me pare che lo Stato Italiano dovrebbe profondere maggiori finanziamenti per una scuola pubblica e laica e per l’insegnamento (anche con le moderne tecnologie) di episodi della nostra storia recente. Un buon insegnamento della storia della Seconda guerra mondiale e della seconda metà del XX secolo sarebbero più utili contro il negazionismo di una legge del Parlamento. *Donatella Calabi è professore di “Storia della città” all’Università IUAV di Venezia; è stata visiting professor all’EHESS e all’EPHE di Parigi e presso le Università di Lovanio, di Leicester, di San Paolo del Brasile, di Tokyo. Direttore della collana “Storia della città” edita da Laterza e della collana di Architettura edita da Officina Edizioni, membro del Comitato Scientifico di “Planning

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Perspectives” e di “Città e storia”, ha scritto sulla storia della città europea in età moderna e sulle origini dell’urbanistica fra Otto e Novecento. Suoi scritti sono pubblicati in inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco, olandese, ebraico e giapponese. Da Paolo Gnignati*: “…il terreno di elezione dell’impegno civile per una minoranza con la storia di quella ebraica non può che concretizzarsi nel mettere a servizio delle nuove minoranze, e della società che con esse è chiamata a interagire, la propria esperienza, tutta giocata sul filo di quella che, a prima vista, pare una contraddizione: una caparbia e incondizionata volontà di mantenere una propria identità di gruppo e una volontà di integrazione. Si tratta, tuttavia, di una contraddizione solo apparente, che si scioglie sul piano della pluralità delle appartenenze che caratterizza non solo noi ebrei ma tutti noi, come veneziani, italiani ed europei; appartenenze che devono intendersi non in opposizione tra loro, ma come fonte di ricchezza e completamento della persona, e quindi della società nel suo complesso. Facendo propria quest’impostazione si disegna un utile e aperto metodo di confronto con le nuove minoranze, alle quali deve essere data la possibilità di un’integrazione che non imponga una rinuncia all’identità, ma che al tempo stesso sia capace di fare propri alcuni principi che si sono affermati a costo di esperienze molto spesso tragiche e costituiscono l’asse portante di un condiviso orizzonte culturale che possiamo oggi definire come “europeo”. In questa prospettiva la mostra, che ripercorre la storia del Ghetto, luogo di segregazione ma da sempre cosmopolita e culturalmente vivo, nonché la storia dell’integrazione ebraica dopo l’abbattimento delle porte del Ghetto, svolge un’importante opera di approfondimento e divulgazione che ben si inserisce nella prospettiva civile di cui si è detto e che ci chiama a un’opera di approfondimento e impegno ulteriori. Desidero, da ultimo, ringraziare anzitutto Donatella Calabi alla cui intelligenza e tenacia dobbiamo il risultato che abbiamo sotto gli occhi, e la sensibilità con cui la Fondazione Musei Civici e il Comune di Venezia hanno da subito compreso l’importanza della mostra nel quadro del cinquecentenario, assumendo l’onere di organizzazione e traino della stessa. (*Presidente della Comunità Ebraica di Venezia. Presidente del Comitato “I 500 anni del Ghetto di Venezia”) Francesco Hayez, La distruzione del Tempio di Gerusalemme,Ve- Gal. Accademia

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Contratto matrimoniale ebraico; Sefer Ma'aseh Tuvya Sefer Ma'aseh Tuvya Venezia,Bragadin,1708

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Vittore Carpaccio,

Predica di Santo

Stefano, Venezia

Gallerie Accademia;

Vittore Carpaccio

Presentazione della

Vergine al Tempio,

1502-1505, Milano

Brera Milano

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Adolfo Wildt, Margherita Sarfatti, Venezia, Ca’ Pesaro

Galleria Internazionale d’Arte Moderna. © Fondazione Musei Civici di Venezia

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ll ritorno degli ebrei nel Ghetto veneziano

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Droni by Art© Special Issue 2016

Lista dei nomi citati nei due libretti*

- 73.Mostra del Cinema

- 15.Biennale Architettura

- Palazzo Ducale

Aravena Alejandro

Baratta Paolo

Bauer Bnaya

Bélanger Pierre

Belli Gabriella

Belmondo Jean-Paul

Bertolo Giovanni

Bergamasco Sonia

Bolzon Nazzaeno

Bordeleau Anne

Bortolon Rosanna

Brugnaro Luigi

Calabi Donatella

Calzavara Federico

ChatwinBruce

Costanzo Maria Cristina

Corazzari Cristiano

Beltrame Daniela

De Gregorio Maria Teresa

Gattegna Renzo

Giovine Gianfranco

Gnignati Paolo

Greggio Cristina

Gribaudi Mariacristina

Hastings Sascha

Kim Sung Hong

Lizza Mariagrazia

Malvestio Claudio

Massi Simone

McKay Donald

Miatello Angelo

Pauletto Daniele

van Pelt Robert Jan

Pagnacco Marialuisa

Poloniato Decimo

Raunig Dubrica

Schiaffino Gianantonio

Sorrentino Paolo

Shoshan Malkit

Tagliapietra Fiorella

Vettori Fabio

Zaia Luca

Zaccaria Giuseppe

L’amor ga raixe fonde

Munaretto Raffaella

Trovato Davide

Cecchetto Francesca

Marzaro Francesco

Palermo Giorgio

Tonetto Giacomo

Rigon Andrea

Trovato Domenico

M. A.

Istituzioni

IPSIA Galilei

ISIS F. Nightingale

Regione del Veneto

Assessorato alla Cultura, Identità Veneta

Comune di Castelfranco Veneto

Comune di Nervesa della Battaglia

UNPLI Veneto

Centro polivalente Atlantis

*Progetto editoriale di Angelo Miatello