DRAFT Falconetto Cornaro Berti

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ARCHITETTURA E TECNOLOGIA NELLA CORTE CORNARO Maurizio Berti

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ARCHITETTURA E TECNOLOGIA

NELLA CORTE CORNARO

Maurizio Berti

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PENSIERI SOPRA LE LESIONI DI UNA VOLTA A SCHIFO

...Quattro squadre di laton, tra gran de e pizzole. Una scattoletta con colori.Una tascha con una cen-tura. Un pezzeto in tella a guazo di Sodoma. Pezzi 8 di dissegni delle cose diVerona. Pezzi 4 di dissegni delle cose de Puola . Peci 20 di de-segni da Roma. Una busta ferada con desegni drento de pitura.(dall’inventario delle cose lasciate ai vivi l’otto di gennaio del 1535, giorno della morte, da Giovanni Maria Falconetto)

Come è stata costruita la Loggia

... et maggior errore è quello di quelli che in simili edifitij mette-no colonne al primo ordine, che sustentano li volti, et nel secon-do similmente metteno colonne, che sustentano il tetto, et perchè conoscono che tal opera non durerebbe se non la legasseno, però la legano con catene di ferro, et per ogni via, o ver verso et è un manifesto segno che tal opera non è durabile perchè ha bisogno di esser conservata da tal catene, ma perchè simili catene o per terre-moto, o per longhezza di tempo vengono a meno (,) la opera a forza dà a terra, et però di simil opere non si vedeno in antico perchè come è detto son ruinate che li ferri, che le conservano son venuti a meno, ma quelle che furono fatte senza ferri et sopra pilastri sono integre, ...

Il brano è parte della terza regola del Trattato d’ar-chitettura del magnifico messer Alvise Cornero. Prima

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Editione ed è stato oggetto, con il corpo degli scritti apografi sull’architettura del Cornaro, di una resti-tuzione critica, nel 1980, dello storico Paolo Carpeg-giani.�

Il breve testo cornariano, contrapposto alle prime restituzioni rinascimentali del trattato di Vi-� - A. CORNARO, Scritti sull’architettura, a cura di P. CARPEGGIANI, Padova 198O, pp. 48-49.

Interno della Loggia Cornaro

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truvio, riesce ad ergersi per caratteri del tutto propri che vengono qualificati nella storiografia più recente con il termine di empiría. E’ stato però dimostrato che gli scritti sull’architettura del Cornaro, al di là del loro chiaro intento apologetico, sono da connet-tere strettamente a casi sperimentati negli edifici del-la Corte al Santo. L’osservazione del dissesto causato dalle catene alla volta della loggia è stato un primo caso, presente nel monumento, che ha fatto pensare a questi scritti come ad una sorta di diario o ricordo. L’invettiva contro l’utilizzo dei ferri sembra di per sè riferibile ad un caso specifico in quanto l’uso del-le catene era pratica diffusa ed incontrastata alme-no fino a che, dal 1562, iniziò a diffondersi la Regola delli cinque ordini d’architettura di Jacopo Barozzi che definiva la pratica degli incatenamenti un’imperfe-zione ideologica della struttura di una fabbrica. Per la verità la questione delle catene è vista dal Corna-ro all’interno di un tema più ampio, già esplorato a fondo da Leon Battista Alberti: l’uso strutturalmente appropriato delle colonne e dei pilastri. Dunque sa-rebbe questo un tema riconducibile agli interessi an-tiquari e trattatistici che coinvolsero in gran numero architetti, committenti e dilettanti durante la prima metà del Cinquecento. Ma un’appendice tecnologi-ca, quale è il legamento di un arco o di una volta, sembra appartenere più al costruttore che al dilet-tante d’architettura. Infatti la valutazione dell’effet-to di una catena in una struttura edile è possibile se si ha la cognizione esatta del relativo apparecchio;

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e ciò può avvenire solo durante la costruzione o la demolizione di un edificio. E’ inoltre necessario aver

osservato dal vero gli effetti di una catena mal riposta per saper-ne dire come fa il Cornaro.Queste considerazioni sono state sollecitate da un’anali-si pubblicata nel 1980 Giulio Bresciani Alvarez. Lo storico dell’arte si propose di confrontare i materiali storico-ico-nografici disponibili con le stratificazioni edili riconoscibili nella Corte al fine di comprenderne l’evoluzione costrutti-va. Oltre alle varie tappe che segnarono la costruzione del-la Corte interessava, anche al fine di un miglior restauro

del monumento, approfondire la conoscenza dei dati tec-noligici e materiali connessi all’ evoluzione del complesso dal 1524, data scolpita sull’architrave della Loggia, al 1535,

Prospetto della Loggia Cornaro

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data presunta d’inizio della costruzione dell’Odeo.2E’ stato abbastanza agevole ampliare la ricerca par-tendo da quell’anomalia già segnalata da Bresciani: lo stacco della muratura della Loggia da quella che sostiene il pianerottolo per l’accesso alla sala del se-condo ordine della Loggia stessa. Dall’osservazione comparata dell’intera muratura d’ambito retrostante alla Loggia, ormai del tutto priva d’intonaco, e del-l’estradosso della volta a schifo, da cui era stato aspor-tato ogni materiale che costituiva il pavimento della sala, è stato possibile ricostruire assieme al quadro fessurativo la dinamica del dissesto. Delle quattro catene estradossali, la seconda da ovest è spezzata. L’intradosso della volta è segnato longitudinalmen-te da una fessura centrale alla quale corrispondono altre, all’estradosso, disposte in serie parallele lungo i quattro fianchi arcuati. Inoltre, un’importante fes-surazione corre lungo la controfacciata del secondo ordine della Loggia ad un’altezza di circa 80 centi-metri dall’estradosso della volta.

Una volta incatenata

Una catena applicata ad un sistema strutturale a vol-ta mette in vicendevole contrasto i piedritti di soste-gno provocando l’ annullamento delle spinte oriz-zontali che però diventano la tensione della catena. Che lo scopo della catena sia sempre stato ben inteso lo dimostra il fatto che fin da epoche altomedioeva-2 - G. BRESCIANI ALVAREZ, Le fabbriche di Alvise Cornaro, in AA.VV., Alvise Cornaro e il suo tempo, Padova 1980.

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li le catene venivano fissate alla testa del piedritto ossia all’intradosso della volta. La pratica consueta dell’incatenature non si prefiggeva affatto di conte-

nere le spinte della volta ma semplicemente di an-nullarne gli effetti. Vi sono esempi, ai nostri giorni, di riassetti di volte dissestate mediante incatenature estradossali, allestite con barre, tiranti e travi a dop-

tirante in ferro forgiato

chiodatura

pietra tenera di Nanto

muratura

fascia esterna di mattoni rossi

ánco

ra

saetta

labbri di apertura dellelesioni della volta

Sezione schematica della volta a schifo con le linee di dissesto

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sezione longitudinale verso nord

sezione orizzontale secondo ordine

sezione longitudinale verso sud

catenaspezzatafrenelli

linee

dile

sion

e

sala superiore

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pio T. Tali sistemi, che però riducono quasi del tutto l’azione della volta sull’intero sistema, possono per-mettere un assetto statico efficiente. Grosse travi a doppio T vengono annegate verticalmente nel pie-dritto ed emergono dal livello dell’estradosso della volta sicchè sulla loro testa possa essere fissata una trave orizzontale che costituirà la struttura di un so-vrapposto nuovo solaio.3L’ancoraggio estradossale della volta a schifo del-la Loggia è solo apparentemente simile ai presidii d’epoca attuale come s’è accennato. Questi, in un certo senso, annullano il sistema voltato trasforman-dolo in quello “trilitico”. Nella Loggia, invece, si ri-conosce il tentativo di contenere le spinte orizzontali con quattro catene che agiscono sulla sola porzione voltata della struttura. Le catene estradossali sono state una pratica diffusa e sperimentata durante il primo Rinascimento italiano. Esse sono associate al-l’adozione delle volte ribassate, a schifo o a sezione elittica, che per la verità ebbero incerta ispirazione a modelli architettonici classici ma costituirono una geometria ideale alla composizione di partimenti decorativi in stucco e pittura, questi sì, di sicura ispi-razione antiquaria.Il caso dell’apparecchio padovano è ritenuto, dalla scienza delle costruzioni, tipicamente fallimentare. Il tirante orizzontale ammorsato con capichiave nel-la muratura verticale di sostegno è sottoposto a tra-zione in due punti intermedi dalle due saette che vi 3 - Si veda l’argomento, con esempi, in G.A. BREYMAN, Costruzioni civili. Costruzioni in pietra, Testo, Milano 1926.

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sono chiodate. Le saette, a loro volta, sono racchiuse nella muratura dei frenelli di rinfianco e fissate alle stesse ancore o capichiave cui è collegato il tirante. Il dissesto in atto è l’effetto tipico causato da questo sistema: depressione in chiave ed impennamento sui fianchi. E’ una sorte inevitabile in quanto i carichi, che altrimenti verrebbero ripartiti lungo tutta la sezione dell’arco, vengono qui concentrati in corrisponden-za dei due punti di chiodatura che, nel nostro caso, corrispondono all’inizio del settore più debole della sezione: il piano dello specchio.4Ci sembra che la volta a schifo padovana possa essere il risultato di una sperimentazione dovuta a due per-sonalità distinte per formazione e sapere: Giovanma-ria Falconetto ed Alvise Cornaro. Mentre sappiamo con certezza che la Loggia fu costruita su progetto, e probabilmente anche su direzione, del Falconetto; dobbiamo ritenere, al contrario, che il contributo del Falconetto per la ralizzazione dell’intera Corte si sia limitato all’ideazione del programma proporzionale e, forse, alla redazione di un accurato progetto, non essendo possibile invece la sua presenza alla ripresa della costruzione, nel 1535, data in cui concordemen-te gli storici ritengono sia potuto iniziare il cantiere dell’Odeo, poichè egli in quello stesso anno spirò. E pertanto restano credibili le testimonianze di Ser-lio, Vasari, Marcolini che assegnano il merito della

4 - Sull’argomento: G. GIOVANNONI, La tecnica della costruzione presso i Romani, Roma 1925, pp. 33-70; J. CLAUDEL, Pratique de l’art de construi-re. Voutes, Paris 1870; S. MASTRODICASA, Dissesti statici delle strutture edilizie, Milano 1993, pp. 616-633.

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costruzione dell’Odeo ed il conseguente completa-mento della Corte al solo Cornaro.

Le volte di Francesco di Giorgio

Dunque anche la costruzione della volta a schifo della Loggia potrebbe essere conseguenza di un per-sonale pensiero del Cornaro probabilmente ispirato solo per via letteraria da una copia degli scritti di architettura di Francesco di Giorgio Martini. Sap-piamo infatti che un codice con scritture in volgare sull’architettura era presente a Padova presso il calli-grafo Bartolomeo Sanvito. Ma questo, relativamente al Cornaro, potrebbe essere del tutto insignificante. Mentre di un certo interesse può essere il ricordare che Francesco di Giorgio tratta delle volte antiche e moderne descrivendo, per quelle moderne, il siste-ma dell’incatenamento estradossale. Abbiamo moti-vo di credere, confrontando gli argomenti del tratta-to del Martini con quelli del trattato cornariano, che il Cornaro agli scritti di Francesco di Giorgio si sia ispirato davvero. Probabilmente la presenza del Fal-conetto, attentissimo osservatore dei particolari co-struttivi dei monumenti rilevati, avrebbe orientato l’adozione di una tecnica più appropriata a voltare la Loggia, ma ciò non fu e pertanto l’apparecchio al-lestito non potè che avere un carattere sperimentale con il rischio di un clamoroso fallimento, cosa che appunto accadde.5

5 - Si veda: S. DE KUNERT, Un padovano ignoto ed un suo memoriale de’ primi anni del Cinquecento (1505-1511), con cenni su due codici mi-

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Quasi tutte le tecniche descritte dal Martini furono sperimentate dal Cornaro, probabilmente in suc-cessione, valutandone le attitudini e l’efficienza. Si va quindi dalle volte incatenate all’estradosso, alle leggere con getti in pietra pomice (apprezzate anche niati, in “Bollettino del Museo civico di Padova”, X (1907), pp. 1-16, 64-73; P.SAMBIN, Briciole biografiche del Ruzante e del suo compagno d’arte Marco Aurelio Alvarotti (Menato), in “Italia medioevale e umanistica”, IX (1966), pp. 265-293; F. DI GIORGIO MARTINI, Trattati di architettura in-gegneria e arte militare, a cura di Corrado Maltese, 2 vv., Milano 1867. In particolare si fa riferimento alla trascrizione del codice Saluzziano 148 (con varianti dell’Ashburnhamiano 361).

Le successioni delle fasi costruttive della Loggia e del passaggio sopraelevato

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dal Cornaro nel proprio trattato e forse dallo stesso realizzate), alle volte con riempimenti dei rinfianchi con vasi di terracotta (ne abbiamo la testimonianza del Serlio sulla volta dell’Ottagono), alle volte in in-cannicciato stuccato appese a solai in travatura di legno. Quest’ultima tecnica fu la più utilizzata dal Cornaro essendo ritenuta la più affidabile e la più economica. Essa fu fatta addottare, dal Cornaro in quanto amministratore del cardinale di Padova, an-che nella costruzione del duomo.

Le ricognizioni

Durante il lavoro diagnostico necessario all’appron-tamento di una parte del progetto di restauro, è stato possibile riconoscere le tracce dei successivi cantieri che, dal Cornaro, furono allestiti per la costruzione della Loggia, della volta ribassata, del passaggio so-praelevato tra l’Odeo e la sala superiore della Log-gia.L’accertamento delle fasi di costruzione di questa volta hanno portato nozioni utili all’opera di conso-lidamento e restauro ma anche hanno permesso di dare alcune conferme sulla figura di Alvise Cornaro architetto dilettante e filosofo umanista. La ricognizione visiva e ragionata ha per oggetto il prospetto nord, quello sud e la sezione trasversale della Loggia.

Il prospetto nord

I tamponamenti delle quattro ancore corrispondono

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a relative aperture predisposte in opera esattamente in corrispondenza dell’attacco della saetta all’àncora verticale o paletto. Il tamponamento di tali aperture sul vano di alloggiamento delle catene, essendo stato composto il fianco della volta ed il relativo conglo-bamento della saetta in ferro, potrebbe far pensare ad un’eventuale tiraggio o rilascio della saetta a fine d’opera, ribattendo lo spessore a cuneo collocato tra l’occhio della saetta e l’àncora.In corrispondenza dell’attacco dell’àncora con il tirante muro è perfettamente sigillato: ciò fa sup-porre che quel tratto di muratura d’ambito sia stata costruito successivamente al disarmo della volta e pertanto durante la formatura della volta le quattro catene siano state avvolte dalla muratura solo per la metà inferiore della loro altezza.La fascia omogenea di sette corsi di mattoni di co-lore rosso, che si estende per tutta la lunghezza del prospetto posteriore della Loggia fino alla muratu-ra che sostiene l’accesso laterale alla sala superio-re, starebbe ad indicarci che l’approntamento della volta è accaduto prima che la Loggia fosse collegata all’Odeo ma in una fase distinta da quella della co-struzione del primo ordine della Loggia stessa. Sono visibili due coppie di buche pontaie, rispettivamente allineate al primo ed al terzo corso dei mattoni di colore rosso: se il ponte di lavoro avesse avuto due piani praticabili distinti si potrebbe pensare che la volta sia stata composta in due metà, nel senso della lunghezza.

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Il chiaro segno di separazione tra la massa muraria dell’arco per l’accesso laterale al piano superiore e quella del prospetto posteriore della Loggia vera e propria scompare al primo corso inferiore della fa-

scia omogenea di colori di color rosso. Oltre, verso l’alto, la tessitura murale è continua ed uniforme per ambo le parti fino al marcapiano in pietra di Nanto. Questo può, verosimilmente, indicare che la volta è stata costruita durante lo stesso cantiere in cui è stato costruito il passaggio sopraelevato e quindi ad edifi-cazione già ultimata del primo ordine dell’Odeo.

Il prospetto est

Sotto il grande arco, fino all’altezza della fascia di mattoni rossi c’è separazione tra la muratura del pie-

Il prospetto verso nord dell’edificio della Loggia prima dei restauri

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dritto dell’arco e quella del lato breve ad est della Loggia, più su le due compagini sono tra loro am-morsate ed i relativi ricorsi sono complanari.La quota del camminamento sui due archi che col-legano Odeo e Loggia è la stessa della cornice del fronte della Loggia.Il raccordo tra la soglia del fornice nord della log-gia dell’Odeo e l’inizio del passaggio sui due archi è palesemente irrisolto e l’arco in aggetto è traccia o recupero di una precedente, ignota soluzione archi-tettonica.

La sezione trasversale

Sull’intradosso della volta è possibile osservare che, in corrispondenza degli ispessimenti di sezione della stessa volta che separano le tre specchiature, maggiore è la separazione dei labbri di fessurazione rispetto a quella sugli specchi. Questo, dal punto di vista geometrico, è un fenomeno determinato dalla diversità dello spessore lungo la linea della fessura: la sezione degli ispessimenti misura circa il doppio di quella degli specchi. La volta, perciò, agisce come un insieme di zone che hanno sollecitazioni e reazio-ni tra loro differenti. Particolare importanza hanno gli ispessimenti, cui sono immerse o sormontate le catene che costituiscono, sul piano formale e struttu-rale, la costolatura muraria della volta.Procedendo da ovest, sull’estradosso, si può agevol-mente osservare che il secondo tirante è spezzato e che il terzo ed il quarto tirante successivi sono allog-

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giati, in chiave, nella muratura: una palese anomalia che fa pensare ad una sperimentazione costruttiva.

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COPIA PER IMMAGINI O PER TECNO-LOGIE: DA MANTOVA A PADOVA

E’ noto che una copia della decorazione della Sala dei Cesari di palazzo Te è stata fatta a Padova nella casa di Alvise Cornaro. Si ritiene che essa sia stata pos-sibile per una descrizione del Cornaro stesso oppu-re per una trascrizione di Tiziano Minio. Un’attenta osservazione dei partimenti degli angoli permette di riconoscere, per le due volte, differenti applicazioni tecnologiche. Il diverso sistema di lavoro con cui si sono costruite le decorazioni sono un’interpretazio-ne differente di uno stesso archetipo. Fu questo un disegno contenuto nell’Hypnerotomachia Polyphili?Mentre è riconoscibile nello schema decorativo del-la volta del vestibolo dell’Odeo il modello presente nella volta anulare del mausoleo di S. Costanza, in-dagato da pittori ed architetti già dalla fine del Quat-trocento (Codex Excurialensis) e propagato, dal 1540, ad opera del Serlio, lo schema degli angoli della volta della cosiddetta Sala d’Ercole resta senza un modello antiquario diretto a noi noto; tuttavia l’aver ricono-sciuto tale schema noscosto tra le xilografie del ro-manzo di Francesco Colonna induce a fissare qualche ragionamento, utile alla comprensione delle vicende

...et per giovare dopo morte anco-ra, comise che lo suo corpo fusse aperto aciochè si conosese che la sua vita sobria havea conservato bene tute le sue interiore.(Alvise Cornaro)

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della Corte al Santo e dell’indole del suo proprieta-rio ed animatore.6

Aldo Manuzio, Pietro Bembo, Raffaello Sanzio e altri

Forse non è indispensabile ricercare a Roma la pre-senza di Aldo Manuzio tra il 1499, anno di edizione dell’Hypnerotomachia Polyphili, ed il 1515, anno della sua morte, per ipotizzare che già nei primi anni del Cinquecento circolasse in ambiente roma-no la copia del Polifilo. Le invenzioni proposte nelle tavole dovevano considerarsi soggetti interessanti, in ambito antiquario, sollecitando la curiosità per i giochi compositivi eseguiti con vario materiale anti-quario ma in modo davvero nuovo. Qualsiasi riferimento romano di Manuzio non può prescindere dalla figura del Bembo. Quando Pietro Bembo approda stabilmente a Roma, nel 1512 presso la residenza del cardinale Federico Fregoso, era già autorevole membro tra gli umanisti della cor-6 - Nella scelta tra le due principali tesi, oggi avanzate, sull’identità di Fran-cesco Colonna sarebbe stato più conveniente ai ragionamenti del testo quella del Colonna prenestino, inserito nella vita politica ed umanistica della Roma di fine Quattrocento. Ma è assai più convincente la ricostruzione fatta del fra-te Colonna, domenicano tra Venezia e Padova, anche se così resta più proble-matico individuare il grado di penetrazione del Polifilo in ambiente romano. L’identità veneziana del Colonna interessa anche per le vicende dell’editore della sua opera, Leonardo Grassi, la cui presenza è attestata dallo storico Sambin nella casa del giovane Ruzante.M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980; F. COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, a cura di G. Pozzi e L.A. Ciapponi, 2 vv., in “Medioevo e Umanesimo”, Padova 1980; P. SAMBIN, Briciole, cit., pp. 267-268.

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te papale. Egli vi arrivava edotto, ma anche noto, per un precedente lungo soggiorno quando, diciottenne al seguito del padre Bernardo in missione diploma-

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tica, fu a Roma dal novembre 1487 all’ottobre del 1488; per un secondo soggiorno, nel 1502, con l’ami-co Vincenzo Querini; per un terzo, nel 1505. Durante la lunga e problematica residenza ad Urbi-no, sotto la protezione dei Della Rovere dal 1506 al 1512, Bembo diverrà la figura del nuovo pedagogo per il perfetto cortigiano, così come fu poi ritratto, nel 1528 nel IV de Il libro del cortegiano di Baldassar Castiglione. Non trascurabile argomento di conscen-za tra i due fu, nel 1505, Gli Asolani che il Bembo pubblicò per i tipi di Manuzio. Ma con Manuzio il Bembo aveva pubblicato prima, nel 1495, il giovani-le De Aetna e poi, almeno fino all’arrivo ad Urbino, aveva con lui collaborato con continuità alla cura di varie produzioni editoriali.Così, quando nel 1516 Bembo con Navargero, Ca-stiglione e Raffaello partecipa alle esplorazione ar-cheologiche nella campagna romana poteva essere un sicuro propagatore della produzione aldina; nè è credibile che il capolavoro tipografico di Manuzio fosse, proprio in quest’ambito, trascurato.La composizione delle epigafi per la tomba, nel Pan-theon, di Raffaello (1520) e di quella, in S. Maria delle Grazie a Curtatone, per Castiglione (1529-30) è il segno di una significativa frequentazione. In re-centi studi di Nicole Dacos su Giovanni da Udine è ricostruita la vicenda della costruzione della Stufetta del Bibbiena in Castel Santangelo. Nel 1519 il Bem-bo seguì, per conto dell’amico cardinale in missione diplomatica in Francia, la realizzazione di tale am-

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biente ideato e decorato da Raffaello con l’aiuto di Giulio Romano e Giovanni da Udine.La presenza del “romanzo” del Colonna a Roma può rappresentare per noi poco più che un pretesto per cercar connessioni tra la bottega di Raffaello e Man-tova, Venezia, Udine, Vicenza e Padova. Un sem-plice modello di partimento decorativo osservato a Mantova, Padova e, mimetizzato, in una xilografia del Polifilo è ovviamente assai meno suggestivo del ritratto di Pietro Bembo accanto allo stesso Raffaello nella regale rappresentazione della “Scuola d’Ate-ne”. Tuttavia anche aspetti minori dell’arte possono offrire argomenti utili a stabilire la qualità delle rela-zioni tra i protagonisti della cultura ufficiale romana che, ben presto travolti dalla Riforma protestante, sarebbero stati obbligati ad una rigenerativa diaspo-ra controriformistica.(7)

Il cantiere di Giulio Romano

Nel 1989 veniva compiuto il restauro di Palazzo Te. I restauratori, durante i lavori, trovarono ampie conferme e qualche novità sul modo di operare nei cantieri di Giulio Romano. Anche la decorazione della volta della Sala dei Cesari fu realizzata con la particolare organizzazione del lavoro che l’allievo di Raffaello inventò per poter dirigere personalmente tutta la vasta e complessa costruzione del Te senza dover trascurare i numerosi altri pubblici cantieri che Federico II gli aveva affidato a Mantova. Il la-voro di decorazione era preordinato da ben defi-

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nite fasi di lavorazione tra loro in successione che permettevano alla stessa “impresa” di maestranze ed artisti una produzione continua passando da un luogo all’altro della stessa fabbrica o a fabbriche di-verse. Nello stesso Palazzo Te è possibile il raffronto tra due stadi differenti di questo particolar modo di costruire e decorare: quello della volta della loggia del prospetto nord del palazzo e quello della volta della loggia contigua e comunicante che dà verso il cortile. Nella prima i cassettoni sono portati ad uno stadio di intonacatura sottile, rifiniti sulle bordure e così lasciati; nella seconda, invece, quest’identica condizione, architettonicamente sufficiente, è porta-ta ad uno stadio successivo mediante l’applicazione delle decorazioni a stucco e delle pitture.Questo procedimento è stato adottato anche per la realizzazione delle decorazioni agli angoli della vol-ta della Sala dei Cesari, escludendovi così la tecnica dell’affresco sia per dar pittura ai fondi dei compar-timenti ottenuti e sia per pigmentarne i rilevi in stuc-co.

Il settore dell’”Amoenissima insula”

A Mantova, come a Padova, lo schema decorativo corrisponde ad una delle due matrici estrapolabi-li da un modello contenuto nell’Hypnerotomachia. Il settore dell’Amoenissima insula che si prende in esa-me è composto dall’intreccio di due sviluppi deco-rativi indipendenti: quello considerato è costituito da una matrice avente, per semi grafici elementari,

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un ottagono, quattro esagoni ed un quadrato; l’altro sviluppo, anch’esso applicato in altre vicine sale sia a Mantova che a Padova, è costituito dall’ottagono e dal quadrato.Sappiamo che, nel Rinascimento, allo studio dei com-partimenti delle decorazioni delle architetture è data un’attenzione perlomeno pari alla pittura prospetti-va. La scelta del modello contenuto nel Polifilo tro-va giustificazione per il fatto di essere adattabile ad una superficie curva anche con raggio di curvatura variabile. La xilografia, per la verità, rappresenta un settore piano avente il perimetro di forma trapezoi-dale con i lati paralleli curvi. Quanto induce a pensa-re che tale modello decorativo possa adattarsi bene sia ad una superficie concava che ad una convessa è l’essere comprimibile o dilatabile, per fasce paral-lele, nei suoi semi elementari; il modello decorativo si presenta come una distorsione di uno schema la cui origine è geometricamente sviluppata lungo assi ortogonali di simmetria. inquadratura di campo non ortogonale. Ma per tradurre la decorazione da una condizione bidimensionale a quella spaziale si è do-vuto, nei due casi considerati, cercar soccorso nel-l’invenzione di una tecnica applicativa. Il pensiero va per analogia, ma solo per inciso, ai temi della rap-presentazione topografica e geografica di particolare attualità a cavallo dei secoli XV e XVI a causa dei viaggi transoceanici e, per quanto più ci riguarda, per la presenza vicino a Bembo e Raffaello, durante le eplorazioni antiquarie, del cartografo Giovanbat-

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tista Ramusio.

La volta della Sala dei Cesari

La tecnica adottata nelle ripartizioni d’angolo della volta mantovana non ha portato a soddisfacenti esi-ti formali, in particolare per il mancato allineamento del disegno alla base della cornice perimetrale. E non poteva essere altrimenti poichè la decorazione è otte-nuta mediante la sagomatura a rilievo della rete de-gli ottagoni. Venivano composti, a partire dall’asse di simmetria geometrica del campo d’angolo, di volta in volta dei mezzi esagoni di stucco ottenuti dal riempi-mento di una controforma di tavolette di legno. Con il ribaltamento della stessa controforma in legno si poteva riempire d’impasto l’altra metà dell’esagono e così via. Il risultato sarebbe stato, ogni otto appli-cazioni della controforma, di ottenere la formazione dell’ottagono avente il quadrato (o rombo) al centro. Questi piccoli getti erano preceduti dall’infissione di chiodi nell’intonaco sottostante in modo da dare struttura e sostegno al al nuovo stucco.Fin tanto che l’impasto di stucco restava modellabile venivano impresse sui bordi del getto le cornici di unghie o palmette. Giunzioni e bordature venivano poi, alla fine, ripassati regolando il tutto con spatole di ferro. Il fondo degli esagoni era già predisposto, secondo la pratica accennata del cantiere giuliano, alla decorazione pittorica; eseguita la quale, al centro dei quadrati, era applicata la rosellina dorata. (8)

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La volta della Sala d’Ercole

Il passaggio alla realizzazione padovana, nella salet-ta dell’Odeo di casa Cornaro, è stato più volte con-siderato dagli storici dell’arte come opera di copia della decorazione mantovana, stabilendo così una conseguenza temporale nella relizzazione delle due opere: a Padova i lavori non possono che essere ini-ziati dopo Mantova, ossia dopo il 1530-32. Ma l’inter-dipendenza delle due realizzazioni non si dovrebbe dedurre tanto dai disegni in se stessi, che potrebbero indipendentemente derivare da uno stesso modello quale quello del Polifilo, quanto dall’impianto gene-rale delle ripartizioni delle due volte e ancor più dal-la posizione degli stemmi gentilizi agli angoli.La realizzazione della decorazione padovana, anche se più discreta rispetto alla magnificenza della Sala dei Cesari offre spunti nuovi di conoscenza delle innovazioni introdotte nel cantiere rinascimentale. Il raggiungimento della compiutezza formale della decorazione è qui dovuto all’adozione di una tecnica che apporta un’evoluzione tecnologica alla realizza-zione di stucchi o grottesche osservati e copiati tra i ruderi antichi. Si tratta, in definitiva, dell’applicazio-ne, anche nelle decorazioni, di quel concetto plinia-no di economia già osservato nella conduzione del programma edilizio padovano. Nella decorazione a stucco della sala dell’Odeo l’adozione dello stampo, tecnica elementare e ripetitiva, permette di compiere tutte le fasi necessarie all’intera opera, ad esclusione

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della pittura. E’ anche questo un modo di procedere nell’astrazione progettuale. Durante il Rinascimento diventa pratica diffusa e corrente anticipare la co-struzione della fabbrica da elaborati disegni o mo-delli. (9)La figura elementare prescelta per comporre l’intera maglia decorativa è ancora l’esagono. Ma, a Padova, esso viene eseguito con uno stampo che riproduce intero, sullo stucco fresco, il sottile rilievo del peri-metro esagonale e ne deprime il campo interno. Con tale procedimento l’ottagono ed il quadrato centrale della matrice polifiliana si compongono come risul-tato di quattro impressionioni dello stampo avente inciso il perimetro dell’esagono.Pare evidente, nella sala padovana, l’obiettivo di re-stituire, attraverso una tecnica “economica” di de-corazione a rilievo, un modello bidimensionale: ri-portare ad uno stesso piano percettivo un ottagono, quattro esagoni ed un quadrato. Che vi fosse comun-que intenzione di dare alla realizzazione un’adegua-ta incorniciatura lo dimostra il fatto che, dei quattro angoli della volta, solo l’ultimo (quello con lo stem-ma del Bembo) è il tentativo portato a buon esito formale. Qui infatti, contrariamente al risultato man-tovano ed ai tre altri tentativi nella medesima sala dell’Odeo, l’ordito finalmente riesce ad ottenere una forma coerente sia alla superficie concava del fondo che alla cornice perimetrale del partimento d’ango-lo. Ne vien sacrificata, certo, la regolarità del tratto che disegna la maglia, che in alcuni casi si dilata ed

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in altri si restringe. L’effetto generale risulta comun-que, a colpo d’occhio, accettabile. E non è così affer-

Ma se ben il povero mangia se non pane e panatella e ovo, non bisogna che mangi se non la quantità che può digerire (Alvise Cornaro)

mato uno dei principali precetti della decorazione alla romana?LA SCELTA TECNOLOGICA COME “RAGIO-NE D’ARCHITETURA”

Il progetto del cortile

Il sostegno letterario di cui la Loggia e l’Odeo del pa-lazzo di Alvise Cornaro hanno goduto fino ad oggi ha, in qualche modo, oscurato alcune prerogative schiettamente architettoniche e struttive dell’insie-me della Corte. Un’attenta osservazione dei luoghi ha potuto discernerle e riproporle all’attenzione. La tradizione ha molto aiutato, anche negli studi più recenti, a privilegiare l’interpretazione della loggia sul fondo del cortile quale scaenae frons per il teatro del Ruzante e l’edificio sul lato destro quale luogo di riunioni musicali, ma a chi attendeva l’inizio dei lavori di restauro, interessava di più capire una pos-sibile idea generale dell’assetto del palazzoe della sua Corte.Sarebbe stato probabilmente difficile riconoscere lo schema generale del progetto originario di Giovan-

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maria Falconetto se per la valutazione di questi stessi luoghi ci si fosse basati su un rilevamento compiuto con il sistema metrico decimale. Il riconoscimento del progetto di un cortile di casa all’antica, problematicamente ascrivibile ai ca-noni vitruviani, è avvenuto sulla ricostruzione delle progressioni simmetriche dell’architettura; una rico-struzione decifrata nella “modulazione” del piede veneziano, sia relativamente al gioco numerico del-le modanature architettoniche che ai rapporti fra le misure di sintesi quali la riquadratura del cortile o l’elevazione dei prospetti.Si fissa ora l’attenzione sui due prospetti che sono di maggior evidenza nel cortile del palazzo Cornaro al fine di enucleare alcuni spunti relativi al supera-mento di una tecnologia costruttiva accaduto fra gli anni venti e trenta del Cinquecento, cioè durante il periodo trascorso nella realizzazione di questo pa-lazzo. L’oggetto del superamento è la pietra di cava, la pietra tenera dei colli Berici che viene soppiantata per il migliore favore goduto dalla pietra cotta. E si stima che ciò sia accaduto a Padova con qualche an-ticipo sulle consuetudini costruttive generali.Nonostante questa mutazione tecnologica fosse acca-duta, sarebbe comunque stato rispettato l’originario progetto falconettiano, ma con notevoli conseguenze sull’ordinamento del cantiere, sulle concezioni strut-turali via via adottate, sulla spesa e sulla durabilità dei manufatti.Se allo storico capitasse di ritovare fra le fonti le car-

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te del progetto falconettiano, anche il modello, forse potremmo capire se il Falconetto intendesse affidare la realizzazione dei paramenti della propria architet-tura alla pietra di cava oppure al mattone intonaca-to; o all’una e all’altro assieme. Ma su questo argo-

arc

ate

Loggia Odeoprofilo profilosezione sezione

pietradi Nanto

mattoni

s e c o n d o o r d i n e a r c h i t e t t o n i c o d e l l a C o r t e C o r n a r o

b a s a m e n t o d e l p r i m o o r d i n e d e l l a C o r t e

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ia

Otta

gono

pietra di Nanto mattoni

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mento può essere utile ricordare la testimonianza di un inconfessato estimatore del Falconetto: il Serlio. Sebastiano Serlio, nel settimo libro del suo trattato, concludendo l’esposizione della decimaottava habita-tione fuori della Città ci dice che un progetto costituito di un prospetto e due sezioni, certo proporzionato ma di sommaria descrizione, può essere esauriente per condurre l’edificio a termine. Egli ci dà così una preziosa indicazione sulla relativa importanza che il progetto disegnato aveva nell’economia generale di un’opera architettonica.I ruoli concorrenti all’architettura rinascimentale: l’architetto, il disegno, i muratori, i lapicidi, i deco-ratori ed il committente, costituiscono un capitolo della conoscenza complesso e per tanti aspetti an-cora aperto. Nel nostro caso ci è facile, essendovene materia, indagare sul ruolo e la personalità del com-mittente dell’opera, Alvise Cornaro.

Ragione d’architetura

L’espressione ragione d’architetura, che ritroviamo negli scritti del Cornaro, può essere letta come la speciale consapevolezza che egli, dilettante, poteva avere nella pratica d’architettura, o meglio, nell’at-tività edificatoria. L’espressione sembra assumere particolare significato nell’esordio del suo trattato d’architettura dove, oltre al divino Vitruvio, è citato il gran Leon Baptista Alberti. Ma in quale misura l’espli-cito riferimento all’Alberti può costituire un segno

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elettivo del Cornaro? (10)Già Falconetto aveva portato da Roma a Padova la verifica critica del testo vitruviano, attraverso i rilie-vi dei monumenti romani, per cui l’interesse verso Vitruvio era ampiamente assicurato. Sui rilievi di anticaglie eseguiti dal Falconetto si è indotti ad at-tribuire un’attenzione strutturale o tecnologica su-periore a quella che nelle stesse circostanze adottò il Palladio. (��) Ed è in qualche modo cosa abbastanza insospettabi-le se si pensa alla formazione dei due architetti. Pal-ladio fu lapicida, e Falconetto, fino a cinquant’anni, pittore. (12)

Mattoni e cieli di cannicci intonacati

Il tema tecnologico al quale l’empiria del Cornaro si è rivolta ha ampio e diffuso riscontro nel De re aedificatoria dell’Alberti. Sul tema delle murature il Cornaro orienta gran parte delle sue meditazioni architettoniche: così nel suo trattato d’archittettura, nella relazione sulla fabbrica del Duomo di Padova, nei riferimenti alla copertura della cappella dell’arca del Santo.La convenienza economica è una virtù ricercata e Cornaro lo dichara. Se nella relazione sulla fabbri-ca del Duomo egli prospetta una riduzione di spesa di due terzi sul costo dell’opera preventivato, ciò è dovuto all’adozione di una particolare tecnica mu-raria: l’uso generalizzato del mattone cotto. Inoltre la sostituzione delle volte in muratura con volte in

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incannicciato stuccato e l’uso ampio degli stucchi a fini prevalentemente decorativi sono effetti diret-ti dell’abbandono dell’uso della pietra di cava. Una tecnica e un principio, questi, ripresi alla lettera nel suo progetto di riordino del bacino di S. Marco; par-ticolarmente per la erezione del Theatro. (13) I motivi che il Cornaro adduce a sostegno della scel-ta, per i volti di copertura del duomo di Padova, dei cannicci intonacati piuttosto che i mattoni, sono sia il vantaggio derivato dal minor tempo richiesto per la costruzione che il vantaggio economico deriva-to dall’impiego di minor quantità di materiale. Ma l’eliminazione della pietra di cava era un’operazione che comportava da sola la riduzione di ben un terzo della spesa complessiva per l’opera architettonica.Havandosi fabricare la chiesa del duomo di questa città di Padova, et essendo calculato sopra il modello che la spesa debba esser duc. 6O M. il qual denaro sia trazersi 2/3 dal R.mo Vesc.o et l’altro terzo dalla chiesa, cioè canonici et altri beneficiati, et vedendosi che questa è una gran quan-tità di danari et che ella non se potrà trarre in manco di 2O anni a d. 3 M. all’anno, et così chi la principiarà potrà poco sperare di goderla. Per la qual cosa colui farà mal volentieri tal spesa la qual pur farebbe quando conoscesse che se potesse finir inanzi et con la spesa delli d. 3 M. soli all’anno. et acciocche questa si veda, et che la si possa far con lo terzo solo della spesa disegnata, io Alvise Cornaro. a ricordo il modo, (...) l’opera di scarpello si de fuggirla perchè si avanza un terzo della spesa, et così de d. 6O m. la se serà in 4O m., delli quali se ghe leverà ancora la

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metà, facendo li volti di essa chiesa di cannevere, quali per la sua gran leggerezza non havaranno bisogno se non della metà delle grossezze delli fondamenti delli muri, et così tal volta costerà meno la metà di quello che costerà uno di pietra, et battuti duc 2O m. di 4O m. resteranno 2O m. soli et questi sono calculi che non possono errare. potendosi dunque far tal chiesa con spesa di duc. 2O m. soli, perchè volesse spendere 6 m. et che poi la non sia più bella, ... (14)

Durevole ma di poca spesa

L’attenzione alle soluzioni costruttive non può che essere una naturale manifestazione della colti-vata sensibilità del Cornaro all’uso del denaro. E si parla di una sensibilità educata all’impresa econo-mica, cosa del resto già rivendicata da lui stesso in una lettera allo Speroni (15): una condizione che gli permette un competente ruolo anche nelle cose del-l’architettura. Il Cornaro può dimostrare adeguata competenza, non nell’idealità espressa dal modello del Falconetto o nelle decorazioni, bensì là dove vi è ragione d’architettura; là dove l’architettura signi-fica giustapposizione di fasicostruttive; fasi che del modello traducano una realizzazione economica conveniente.La spesa, i tempi di realizzazione delle opere, l’af-fidabilità statica, la durabilità dei manufatti archi-tettonici sono le categorie che egli più afferma nei propri scritti e che ritroviamo anche nel trattato al-bertiano. Attraverso la promozione di una tecnica

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piuttosto che di un’altra il Cornaro può condiziona-re lo spirito filologico del Falconetto e dare così una sua interpretazione ai diligenti rilievi falconettiani dell’architettura antica.

Il gran Baptista Alberti

Due rilevanti argomenti fanno intendere in Alberti la riforma del cantiere ed entrambi privilegiano l’uso della muratura in mattoni. Nel libro terzo del tratta-to sull’architettura, l’Alberti teorizza l’importanza di riservare la massima cura alle cantonate degli edi-fici e, come secondo argomento, la trasformazione tecnica degli elementi portanti puntiformi, il passag-gio cioè dalle colonne ai pilastri.Oltra di questo le Cantonate per tutto lo edificio, percioche elle debbono essere oltra modo gagliardissime, si debbono fare di muraglia saldissima: Ciononsia certamente, che se io ne giu-dico bene, ciascuna Cantonata è la metà del tutto dello edificio. Per che il mancamento di una cantonata non può succedere senza il danno di amenduoi gli lati. Et se tu consideri questo, Tu troverai senza dubbio che quasi nessuno edificio è cominciato a rovinare per altro, che per il difetto delle Cantonate. (16) Nel Libro settimo ricorre l’artificio del pilastro so-prattutto in relazione alle volte e agli archi. Va detto però che nel trattato albertiano colonna e pilastro si differenziano tra loro solo per la forma della sezio-ne orizzontale: circolare per la colonna, quadrilatera per il pilastro. Non è pertanto esplicitamente det-to che la funzione propria di un pilastro a sezione complessa è di rispondere con maggior efficacia alla

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compressione ed alla spinta orizzonatale generate dall’appoggio di un arco. Da un lato, secondo la tec-nologia medioevale, Alberti risolve la convergenza di più archi su di un unico sostegno costituito da una colonna e ordina la massima cura alla disposizione del concio in chiave, ma anche di quel concio che co-stituisce il piede o l’origine di più archi convergen-ti, tralasciando di considerare però gli effetti delle spinte sui piedritti. (17) D’altra parte, sempre probabilmente derivando dalla tecnologia medioevale, l’Alberti molto spesso chiama le colonne o i pilastri ossa e ossami intenden-do con essi una parte costitutiva della muratura: si tratta della concezione di una vera e propria strut-tura (semicolonne e lesene + architravi e cornici) che consolidi e nello stesso tempo alleggerisca la massa muraria. (�8) L’importanza e la cura costruttiva delle cantonate nell’impianto portante di un edificio è tipica della tradizione costruttiva in diverse aree geografiche, sia che si tratti di edilizia ordinaria che di edilizia monumentale. Alla cantonata di una costruzione è riservata la funzione di concatenazione delle mura-ture d’ambito. A riprova di tale grande attenzione si ricorderà come in costruzioni tardomedioevali, ma anche nel XVI e XVII sec., continui l’uso di “canto-nare” le fabbriche in muratura di mattoni con conci squadrati in pietra di cava. Nè è difficile intendere quale significato didascalico continui a manifesta-re l’uso stilistico che, degli spigoli, si è fatto talvolta

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in epoca tardo barocca, allorquando il bugnato d’angolo è stato reso con muratura di mattoni scol-pita in riquadri ed intonacata o stuccata a simula-zione di conci in pietra di cava.Al riconoscere le proprietà meccaniche dello spigolo nell’assemblaggio delle murature, consegue l’im-piego del pilastro a sezione complessa e l’uso del-lo svuotamento della muratura per migliorarne le attitudini statiche.

Oltre il divino Vitruvio

A lato dei temi formali, nell’impianto architettonico dell’Odeo, è possibile leggere il recupero dell’anti-ca tecnologia. In esso le concavità delle quattro nic-chie sul perimetro ottagonale raddoppiano l’azione degli otto spigoli già presenti nella massa muraria, rendendo in un ambiente intero quanto nell’unità è reso dal pilastro barocco. (�9) Per quanto concerne invece il progressivo abban-dono dell’uso della colonna a rocchi monolitici, le cause possono essere non solamente stilistiche: arco su pilastro o architrave su colonna; neppure sempli-cemente statiche, come sintetizza il Cornaro nella sua prima regola del trattato. ... et così non si vegono più edificij porteghi o ver lozze sustentante da colonne tonde, ma da Pilastri quadri, sì perchè le colone non possono durare a sustentar altro, che Architravo friso, et cornison, et frontispicio, come si vede al portico della Rotonda in Roma, et se si meteno a sustentare edificio ruinano in breve tempo, et per non si vedono tal opere in antico le

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quali in tutto biasmo, se ben di quelle ne è stato scritto dalli Architetti, i quali se ora fussero vivi sarebbeno della mia opi-nione, perchè non vedrebbono in essere tal sorte di opere. (20) Le ragioni di questa trasformazione saranno anche cantieristiche. L’enciclopedico Scamozzi ne avvertirà la necessità soprattutto nell’area padana, ove abbon-dano le argille per ottimi mattoni. Lo stesso Palladio non rinunciò alla colonna a tutto tondo a favore del pilastro. Egli spesso con un raffinato uso del matto-ne non solo costruirà le colonne ma riuscirà a gettare sui capitelli architravi e piattabande in altre epoche scolpiti in monolite.Gli architravi , utilizzati dal Palladio per i colonna-ti delle logge, ebbero vari esiti. In particolar modo la fiducia riposta allora negli architravi costruiti in mattoni si giustifica oggi per la durata del sistema; sistema costruttivamente efficace almeno quanto lo è l’adozione delle travi lignee con funzione di ar-chitrave. Gli architravi in mattoni del Palladio sono in realtà delle piattabande private della curvatura e, nelle “aspirazioni” tecnologiche, esse dovrebbero funzionare come una volta (i remenati). Ma si tratta di funzionalità imperfetta poichè Palladio arma le piattabande di catene metalliche aventi funzione di contrasto alle spinte orizzontali. (21) La tradizione cantieristica medioevale aveva molto coltivato la tecnologia della pietra di cava al punto da portare, attraverso l’opera dei lapicidi, il lavoro dei conci a limiti virtuosistici. Proprio quel cantiere aveva attuato la scomposizione delle forze inerenti all’equilibrio statico di una fabbrica nelle due

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componenti, verticale ed orizzontale; affidando pertanto la stabilità verticale alle sole catene.

La docile pietra dei colli

Diversamente da quanto teorizzato dall’Alberti e dallo stesso realizzato per esempio nella trasposi-zione tecnologica e tipologica dell’arco di Augusto di Rimini sulla facciata del Tempio Malatestiano, il recupero dell’uso edile della pietra di cava avvie-ne in Padova con spinto interesse economicista. Nel primo ordine della loggia la docile pietra dei Berici ha funzione portante esclusiva: essa è utilizzata per comporre i pilastri, gli archi, l’architrave, i fregi e la cornice; forse il piano attico preesistente alla sopraelevazione, secondo l’interpretazione del Bre-sciani. (22) Fra i vari tipi di pietra per usi edili l’Alberti conosce-va l’impiego delle pietre tenere. Nel Geneovese, & nel Venetiano, & nel Ducato di Spuleto, & nella Anconitana, & appresso la Borgogna, si truova una Pietra bianca, la quale si può facilmente segare con sega a denti, & piallare ancora e se non chè ella per altro, è di natura debole e frale, sarebbe nelle opere di ognuno uscita fuori; ma dalle brinate, dal ghiaccio, & dalle spruzzaglie, si rompe, & non è gagliarda contro i Venti di mare. (23)

I mattoni

Nel piano superiore della loggia, una seconda fase del cantiere, la portanza è assicurata dalla muratura

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in mattoni mentre la pietra tenera, tagliata in lastre relativamente sottili, è utilizzata come rivestimento. Ma il più evoluto riscontro alla lezione albertiana è assicurato, in un’ulteriore fase, dagli archi di passag-gio dall’odeo alla loggia e dall’impianto dell’odeo stesso; opere ove è quasi del tutto abbandonato

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l’uso, anche in funzione di rivestimento, della pietra da taglio e dove alla muratura si sovrappongono, a simulazione della pietra viva, l’intonaco e lo stucco. Ed anche così il modello antico, proposto dal Falco-netto, era stato rispettato.A questo punto la trasformazione del cantiere è av-venuta. La riduzione del ciclo di produzione a fasi costruttive di più semplice esecuzione conteneva gli elevati costi richiesti dall’impiego di lapicidi che lavorassero la pietra da cava per funzioni portanti e nello stesso tempo evitava gli sprechi 3di materiale lapideo connessi al lavoro di sbozzo o finitura ese-guiti in cantiere. L’abbandono della pietra di cava è dunque l’effetto di una riforma cantieristica che trovò nello spirito di imprenditorialità del Cornaro non solo la giusta interpretazione ma anche sicura conoscenza. Egli comprese che la tecnica della muratura in cotto oltre ad essere di poca spesa avrebbe conferito all’opera grande durabilità e facile manutenzione.

NOTE

1 - A. CORNARO, Scritti sull’architettura, a cura di P. CARPEGGIANI, Padova 198O, pp. 48-49.

2 - G. BRESCIANI ALVAREZ, Le fabbriche di Alvise Cornaro, in AA.VV., Alvise Cornaro e il suo tempo, Pa-dova �980.

3 - Si veda l’argomento, con esempi, in G.A. BREY-

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MAN, Costruzioni civili. Costruzioni in pietra, Testo, Milano 1926.

4 - Sull’argomento: G. GIOVANNONI, La tecnica della costruzione presso i Romani, Roma 1925, pp. 33-70; J. CLAUDEL, Pratique de l’art de construire. Voutes, Paris 1870; S. MASTRODICASA, Dissesti statici delle strut-ture edilizie, Milano 1993, pp. 616-633.

5 - Si veda: S. DE KUNERT, Un padovano ignoto ed un suo memoriale de’ primi anni del Cinquecento (1505-1511), con cenni su due codici miniati, in “Bollettino del Museo civico di Padova”, X (1907), 1-16, 64-73; P. SAMBIN, Briciole biografiche del Ruzante e del suo com-pagno d’arte Marco Aurelio Alvarotti (Menato), in “Italia medioevale e umanistica”, IX (1966), pp. 265-293;F. DI GIORGIO MARTINI, Trattati di architettura in-gegneria e arte militare, a cura di Corrado Maltese, 2 vv., Milano 1867. In particolare si fa riferimento alla trascrizione del codice Saluzziano 148 (con varianti dell’Ashburnhamiano 361).

6 - Nella scelta tra le due principali tesi, oggi avan-zate, sull’identità di Francesco Colonna sarebbe sta-to più conveniente ai ragionamenti del testo quella del Colonna prenestino, inserito nella vita politica ed umanistica della Roma di fine Quattrocento. Ma è assai più convincente la ricostruzione fatta del frate Colonna, domenicano tra Venezia e Padova, anche se così resta più problematico individuare il grado di penetrazione del Polifilo in ambiente romano. L’iden-

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tità veneziana del Colonna interessa anche per le vi-cende dell’editore della sua opera, Leonardo Grassi, la cui presenza è attestata dallo storico Sambin nella casa del giovane Ruzante.M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980; F. COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, a cura di G. Pozzi e L.A. Ciapponi, 2 vv., in “Medioevo e Uma-nesimo”, Padova 1980; P. SAMBIN, Briciole, cit., pp. 267-268.

7 - G.C. MAZZACURATI, Pietro Bembo, in “Storia della cultura veneta: Dal primo Quattrocento al Con-cilio di Trento”, a cura di G. Amaldi e M.P. Stocchi, vol. II, Vicenza 1980, pp. 1-59; N. POZZA, L’editoria veneziana da Giovanni da Spira ad Aldo Manuzio. I centri editoriali di Terraferma, in AA.VV. Storia, cit., pp. 215-244;N. DACOS e C. FURLAN, Giovanni da Udine 1487-1561, Udine 1987, pp. 35-37; Ma da pagg. 32-33: “Ar-tisti, letterati e poeti discutevano frequentemente i loro problemi nei cenacoli ove si riunivano. Quello d’Ermolao Barbaro doveva trasformarsi in accade-mia e attorno alla bottega di Aldo Manuzio gravita-vano, tra gli altri, il poeta Andrea Navagero, l’uma-nista Pietro Bembo, tutti e due spesso a Roma sotto il pontificato di Leone X, e il cartografo Ramusio.Lungi dall’essere confinati nei loro studi, questi uo-mini frequentavano gli artisti con la competenza di veri e propri conoscitori. Pietro Bembo mise insieme a Roma un’importante collezione di libri, monumen-ti antichi, medaglie antiche e moderne, che avrebbe

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spedito nella sua villa di Padova (il Noniano)”.

8 - Per l’interpretazione delle tecniche di decorazione utilizzate da Giulio Romano mi sono avvalso delle approfondite conoscenze passatemi dal restauratore della Sala dei Cesari, il dott. Gianfranco Mingardi; con lui ringrazio il dott. Carlo Micheli ed il dott. Gian Maria Erbesato, custodi e studiosi di Palazzo Te.

9 - L. FRANZONI, Antiquari e collezionisti nel Cinque-cento, in AA.VV. Storia, cit., pp.208-266; G. FIOCCO, Alvise Cornaro, il suo tempo e le sue opere, Padova 1965; W. WOLTERS, La decorazione interna della Loggia e del-l’Odeo Cornaro, in AA.VV., Alvise, cit. pp. 72-79.

10 - L’espressione è contenuta nell’Elogio di Al-vise Cornaro (Autoelogio): ... e fabricò poi per sè uno casamento comodo e proprio alla agricoltura fato con ra-gione di architetura che uno sì bello forte non vi è in que-sti contorni. (dalla trascrizione del Carpeggiani in A. CORNARO, Scritti, p. 72; e ancora nel Trattato de la vita sobria del Magnifico M. Luigi Cornaro nobile vini-tiano: ... et nelle mie stanze, le quali, oltre che sono nella più bella parte di questa nobile et dotta città di Padova, sono anchora veramente belle e lodevoli et di quelle che di più non sono state fatte alla nostra etade, con una parte delle quali mi difendo dal gran caldo, con l’altra dal gran freddo, perchè io l’ho fabbricate con ragion d’Architetu-ra, la qual ci insegna come s’habbia ciò a fare; (in M. MI-LANI, Alvise Cornaro. Scritti sulla vita sobria. Elogio e lettere, Venezia 1983, p. 95).

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La prima trascrizione del trattato è in G. FIOCCO, Al-vise Cornaro e i suoi trattati sull’architettura, “Accade-mia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze Morali. Memorie”, vol. IV, serie VIII, fasc. 2, pp. 195 - 222.Considerazioni circa la datazione degli scritti del-le due edizioni del trattato sono in P. CARPEG-GIANI, G.M. Falconetto. Temi ed eventi di una nuova architettura civile, in AA.VV., Padova. Case e Palazzi a cura di L. Puppi e T. Zuliani, Vicenza 1977, p. 76 nota) e in A. CORNARO, Scritti, p. 15,16, 17 e 19.

11 - Il giudizio espresso da Lionello Puppi sulle at-tribuzioni dei rilievi architettonici delle raccolte del RIBA e del Museo di Vicenza rende problematico l’utilizzo dell’edizione di Giangiorgio Zorzi. Per-tanto conscio della ‘querelle’ esistente tra gli storici mi sono limitato a confrontare solo quelle coppie di disegni che hanno per oggetto uno stesso reperto (L. PUPPI, Andrea Palladio, Milano 1986, p. 13 e nota n. 57): Porta del Leoni a Verona. Parte antica (fig. 13 e 12); Porta dei Leoni a Verona. Parte moder-na (fig. 15 e 14); Particolari del rilievo della Porta dei Leoni a Verona (fig. 17 e 16, 19 e 18); Arco di Giove Ammone a Verona. Metà destra del prospetto (fig. 25 e 24); Arco dei Gavi a Verona (fig. 26 ... 32); Arco dei Sergi a Pola (fig. 69, 7O, 72); Terme di Dioclezia-no a Roma (fig. 126...135); Foro di Nerva e Tempio di Minerva a Roma (fig. 147...15O); Tempio di Venere e Roma a Roma (fig. 169 e 169); più difficile una valu-tazione comparata sui rilievi dei teatri ed anfiteatri

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in Roma, Pola e Verona (G.G. ZORZI, I disegni delle antichità di Andrea Palladio, Venezia 1959).Gli elementi che maggiormente diversificano i rilievi di architetture antiche attribuiti al Falconetto rispetto a quelli del Palladio sono la registrazione delle tecniche murarie e le indicazioni sui tipi di materiali riscontrati. Mentre il tipico prospetto di un’architettura rilevata da Palladio è un contorno bidimensionale, in Falconetto al prospetto è asso-ciata una sezione assonometrica oppure una sezio-ne prospettica. Questo espediente rende possibile al Falconetto la rappresentazione del taglio volumetri-co dei conci in pietra e nello stesso tempo la geome-tria della massa muraria eventualmente accordata alla pietra.Purtroppo, più avanzata in senso critico, la recente restituzione dei disegni custoditi al Museo di Vi-cenza non può soccorrere poichè i disegni che qui interessano sono nella raccolta del RIBA di Londra: L. PUPPI, Palladio. Corpus dei disegni al Museo Civico di Vicenza, Vicenza, �989.L’osservazione dei disegni attribuiti al Falconetto mi fa credere che nell’invenzione della pilastrata della corte Cornaro vi sia stato qualcosa di più che un’ispi-razione al secondo ordine del teatro di Marcello. In-dizio ne siano le figurette in chiave degli archi, non visibili nell’attuale rudere, che sono registrate sia nel rilievo del Falconetto nella raccolta del RIBA, sia nel rilievo del Serlio nel terzo libro del suo trattato e sia nel teccuino di disegni di Giuliano di Sangallo.

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12 - Per quanto qui interessa e per l’attività di Fal-conetto pittore valga G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti etc, a cura di G. MILANESI, Firenze 19O6, Vol. V, pp. 318 - 325; G. FIOCCO, Le architetture di G.M. Falconetto, “Dedalo”, pp. 12O2 - 1241, 1931; G. FIOCCO, Alvise Cornaro. lI suo tempo e le sue opere, pp. 6O - 66; G. SCHWEIKART, La cultura archeolo-gica di Alvise Cornaro, in AA.VV. Alvise, pp. 64 - 71; W. WOLTERS, La decorazione, cit., pp. 72 - 79. Credo non trascurabile per l’attività pittorico-decorativa del Falconetto -come per quella di architetto, del resto- la presenza della bottega. Ma a questo scopo sono attese le indispensabili ricerche su contratti e pagamenti con l’amministrazione della città per es., così come lo sono i documenti notarili ed ammini-strativi per i lavori fatti dal Falconetto e dalla sua bottega per la volta della cappella dell’Arca (si veda in A. SARTORI, Documenti di storia e arte francesca-na, I, a cura di G. Luisetto, Padova 1983, pp. 363 - 364).

13 - Adunque per fuggire questi errori si farà un Theatro di pietra grande, ma non di pietra da scarpello: ma di cotta, che non costerà la metà, e sarà opera durabile come di pietra da scarpello: perchè la cotta ora che si ha trovato il stucco la si instuccherà; e come si vede tal stuc-co si converte in sasso; L’aricordo cornariano è datato dal Tafuri intorno al 156O, ben dopo le esperienze padovane. Questo passo è ripreso dalla trascrizio-ne del Tafuri stesso. M. TAFURI, Scrittura di Alvise Cornaro sul bacino marciano, in Venezia e il Rinascimen-

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to, Torino 1985, pp. 242 - 243.

14 - G. BRESCIANI ALVAREZ, Alvise Cornaro e la fabbrica del Duomo di Padova, in AA.VV. Alvise, pp. 48 - 62; e ancora: “AL M. M.CO S.RE EL PADRON MIO EX. IL S. GIOVA. BATT.A BAILE VEN.A S. CAS-SANO”, La fabbrica del Duomo di Padova di Alvise Cornaro, in G. FIOCCO, Alvise, p. 155.

15 - C. BELLINATI a cura di, Lettera di Alvise Cornaro a messer Sperone Speroni, in Alvise, p. 146. 16 - L.B. ALBERTI, L’architettura, Venezia 1565, Libro terzo, p. 73.

17 - L.B. ALBERTI, L’architettura, pp. 86 - 87.

18 - L.B. ALBERTI, L’architettura, p. 188.

19 - Con riferimento al Pantheon Alberti mette in relazione le sollecitazioni di una cupola con l’elaborazione di una mura-tura di sostegno appropriata: Chi pensa che per arrogere dignità a un Tempio si debbino far’le mura grossissime si inganna. Percioche chi è quello, che non biasimasse quel’corpo, che havesse qual che membro enfiato oltra modo? Oltre che per fare le mura troppo grosse si impediscono le commodità de lumi. Nella ritonda quello eccellentissimo Architettore havendo bisogno di muro grosso, si servì solamente degli ossami, & lasci§ stare gli altri ripieni, & quei vani, che in questo luogo i poco accurati harebbono ripieni, occupò egli con zane, & altri vani; & in questo modo spese manco, resse la mole-stia del peso, & fece l’opera più graziosa. (L.B. ALBERTI, L’architettura, p. 237).

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Per un riordino sistematico sul tema dei soste-gni puntiformi bisognerà attendere il primo libro del trattato sull’architettura del Palladio dove gli ordini hanno definitivamente la doppia risoluzione: archi-trave su colonne, arco su pilastri. Esplicitamente l’Alberti associa il pilastro all’arco solo nell’ana-lisi dell’architettura teatrale antica e della tipologia dell’arco trionfale, per poi contraddirsi quando, nel capitolo XV, alla necessità di opporre maggior re-sistenza alle logge voltate propone l’aumento del numero delle colonne (L.B. ALBERTI, L’Architettura, p. 258).Nella successione delle date relative all’opera dell’Alberti si riconosce però come le tecniche di mu-ratura abbiano avuto impiego sempre più esclusivo al punto da esaudire persino quelle esigenze stilisti-che collegate all’impiego degli ordini architettonici classici nello stesso momento in cui rispondevano perfettamente alla necessità statica di controspinta alle coperture voltate. Se pertanto nel De re aedifi-catoria la funzione teorica del pilastro non è ancora ben focalizzata (il manoscritto è degli anni intorno al 1452), nella fabbrica del Tempio Malatestiano a Rimi-ni, tra il 1450 ed il 1468, quest’artificio costruttivo è correttamente allestito. 20 - A. CORNARO, Scritti, p.45.

21 - Personalmente ho osservato l’applicazione dell’architrave in mattoni armati nella loggia interna del palazzo Porto Barbarano in Vicenza.

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22 - G. BRESCIANI ALVAREZ, Le fabbriche, p.48.

23 - L.B. ALBERTI, L’architettura, p.50.