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Dr. Igor Vitale

Tecniche Conversazionali e di Relazione

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Tecniche conversazionali

di Igor Vitale

In questo manuale troverai alcune strategie di conversazione e di relazione che possono essere usate

agevolmente nella vita personale e professionale. Molte di queste si basano su teorie e approcci

come la psicologia cognitiva e strategica, la Programmazione Neurolinguistica.

L’approccio strategico alla conversazione

L’approccio breve strategico alla terapia nasce dalla collaborazione di Giorgio Nardone e Paul

Watzlawick, manifesto di questo approccio alla terapia è il testo “L’Arte del cambiamento”,

pubblicato nel 1990.

La terapia breve strategica, si basa sull’utilizzo di determinate strategie al fine di produrre

cambiamenti in tempi brevi, inizialmente pensata per la terapia, l’approccio breve strategico trova

una serie di applicazioni anche nel counseling, nel coaching, in azienda e nelle conversazioni

ordinarie.

Una delle principali critiche rivolte a questo approccio è quella di utilizzare le strategie in maniera,

persuasiva, suggestiva, ipnotica.

Il fondatore di questo approccio, risponde così alle critiche:

“Del resto quando un chirurgo opera un paziente oncologico asportandogli un tumore, non fa

qualcosa di simile? Non manipola il suo paziente? […] Eppure nessuno si sognerebbe di affermare

che tutte queste figure professionali sono dei disonesti manipolatori di persone, come invece molti

psicoterapeuti di orientamento tradizionale e/o analitico affermano nei confronti dei terapeuti

strategici. Ma ciò forse, si spiega con il fatto che loro ritengono di lavorare sulla “profondità

dell’anima” umana, mentre noi ci interessiamo “soltanto” del risolvere i problemi concreti dei nostri

pazienti. A nostro parere, tuttavia, non è molto etico tenere una persona, nel rispetto (dicono loro)

della sua “ovviamente profonda” volontà e dignità umana, per anni, per centinaia di sedute ad

analizzare il proprio inconscio o alla ricerca dell’insight. Tutto ciò mentre tale persona continua a

soffrire dei propri cambiamenti)

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Riassumendo, questo approccio è basato sulla risoluzione di complicati problemi con strategie di

comunicazione (apparentemente) semplici.

Nei primi due testi principali (L’Arte del cambiamento, Suggestione � Ristrutturazione =

cambiamento) vengono delineati alcuni punti da seguire per eseguire un efficace comunicazione

strategico, che riassumerò qui, rivisitandole in parte, e cercando di fornirti materiali e indicazioni

nella maniera più semplice possibile.

1. Utilizzare il linguaggio e le modalità rappresentazionali del paziente.

E’ una modalità comunicativa molto simile al ricalco di cui parlano Bandler e Grinder.

Il primo passaggio è cogliere la modalità rappresentazionali del cliente, successivamente bisogna

rispondere utilizzando lo stesso linguaggio e le stesse rappresentazioni, in questo modo:

a) lo si fa sentire compreso e a proprio agio

b) acquisisce il potere di dirottare dall’interno il suo disfunzionale sistema di percezione e

reazioni nei confronti della realtà.

La psicologia della persuasione [Cialdini, 1989], afferma che le persone simili tra di loro, trovano

più facilmente l’accordo.

Esistono somiglianze fisiche, nel tono di voce, nelle preferenze musicali, nell’abbigliamento, ma

esistono anche differenze fisiche, nel tono di voce, nelle preferenze musicali, nell’abbigliamento.

Per le somiglianze fisiche e magari anche nell’abbigliamento possiamo correggere di poco il nostro

tiro, ma per produrre, mediante una tecnica, una somiglianza (che crea più facilmente l’accordo),

possiamo utilizzare una modalità comunicativa che viene definita in PNL come rispecchiamento.

Il rispecchiamento è la tecnica sicuramente più adottata per entrare in relazione con l’altro. Il

rispecchiamento consiste nell’adozione del registro verbale e non verbale del proprio interlocutore.

Siamo naturalmente attratti dalle persone a noi simili, tutta la ricerca sul favoritismo verso il gruppo

di appartenenza ne è un esempio. Il rispecchiamento è quindi uno strumento cardine per aumentare

la somiglianza percepita tra interlocutori, favorendone così la comunicazione e lo scambio agevole

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di idee. Il rispecchiamento può avvenire a vari livelli, una persona può infatti “rispecchiare”

l’orientamento del corpo, l’uso delle mani e delle gambe, le espressioni facciali, ma anche aspetti

più di dettaglio ma non meno importanti come il respiro e il tono, ritmo e colore della voce.

Il rispecchiamento è una tecnica naturale, le persone che vanno d’accordo, infatti, si rispecchiano

naturalmente l’un l’altra, assumendo un registro verbale e non verbale simile, ma ottenendo anche

valori fisiologici molto simili come il battito cardiaco, le onde dell’elettroencefalogramma e la

frequenza respiratoria. L’effetto rispecchiamento è dovuto a una particolare classe di neuroni

chiamati “neuroni specchio” (Rizzolatti, 1996), neuroni che si attivano quando si osserva l’altro

compiere una determinata azione. Ad esempio, se una persona osserva l’altro mentre sorride, si

attiverà in lui una classe di neuroni specchio deputati all’azione del sorriso. In qualche misura, la

comunicazione dell’altro ci influenza anche a un livello neurofisiologico. Di fronte a questa realtà,

la scelta può declinarsi verso la consapevolezza e l’uso di strumenti come il rispecchiamento oppure

verso l’accettazione passiva e inconsapevole della comunicazione altrui.

Quando due persone vanno particolarmente d’accordo, assumono generalmente le stesse posture del

corpo.

Mediante la tecnica del rispecchiamento possiamo produrre intenzionalmente questa situazione

naturale.

Come possiamo produrre direttamente il rispecchiamento?

1° passo: Il primo passo è quello di imitare a livello di linguaggio del corpo l’interlocutore con cui

stiamo parlando.

E’ necessario dunque fare attenzione al linguaggio del corpo dell’interlocutore per imitarlo.

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Non conviene lasciare alla deriva la nostra analisi, rendendoci conto a posteriori di come essa

funzioni, ma dobbiamo utilizzare una serie di punti di riferimento chiedendoci:

Qual è l’espressione facciale?

Come comunicano gli occhi?

Le spalle sono rigide o decontratte?

Come utilizza le braccia?

Come utilizza le mani

Qual è la posizione delle gambe?

In che direzione sono rivolti i piedi?

E’ un linguaggio del corpo aperto o chiuso?

Qual è la velocità dei movimenti del corpo?

2° passo: Il secondo passo è quello di imitare il linguaggio paraverbale. Che cos’è il linguaggio

paraverbale?

Il linguaggio paraverbale, riguarda tutti quegli aspetti delle parole che non sono di significato.

Possiamo dunque fare attenzione

- alla velocità e al ritmo con cui vengono pronunciate le parole

- alla presenza di segregati verbali

- alla tonalità (acuto vs grave)

- all’espressività delle parole (lamentoso vs altisonante)

Dopo aver fatto attenzione alle modalità paraverbali di comunicazione, possiamo rispecchiare anche

quelle.

3° passo: Possiamo ora imitare le parole effettivamente verbalizzate. Anche questo terzo passo

contribuisce significativamente a farsi percepire come più simili all’interlocutore.

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Per questo passo è necessario ricordarsi che esistono, principalmente, due tipi di significati delle

parole.

1. un significato letterale: il significato delle parole così come lo ritroviamo sul vocabolario

2. un significato personale: il significato delle parole personalmente inteso, una sorta di

significato personalizzato.

Il primo passo è percepire come nella maggior parte dei le persone attribuiscano dei significati del

tutto personali alle parole che utilizzano e che percepiscono.

Possiamo schematizzare quindi due persone-in-conversazione, di fatto, come mondi simbolici in

interazione. Un mondo simbolico rappresenta tutte le attribuzioni personali di significato alle

parole. La questione da ricordare sta nel fatto che i mondi di significati quasi mai corrispondono al

significato letterale ritrovato nel vocabolario.

Ad esempio la parola “mamma” rievoca in ogni persona il significato della propria madre, del

rapporto con la propria madre, e non semplicemente il suo significato biologico e letterale.

Pensa che ogni volta che pronunci una parola, evochi nell’altro una serie di significati che non può

essere racchiusa nel significato letterale del termine, ma che è molto più ampio.

Ad esempio se parlo di “successo”, ognuno penserà alla propria personalissima concezione di

successo, e sappiamo che le concezioni di successo sono in realtà infinite, se alcuni la associano alla

ricchezza e al possesso, altri pensano di più all’autorealizzazione. Pochi pensano a “esito, risultato,

riuscita”.

Se pensate di avere concezioni diverse rispetto a termini utilizzati dall’altro, conviene spesso

chiedere all’altro il significato delle proprie parole mediante la seguente formula:

“[nome della persona] cos’è per te X?”

Esempio:

Il nostro interlocutore potrebbe affermare

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Vittorio: “Lui si che è un uomo di successo, è conveniente imparare da lui per diventare uomini di

successo.”

Risposta: “ Vittorio, cos’è per te il successo?”

Possiamo in questo modo entrare nel suo mondo di significati per esplorare cosa significa per lui la

parola “successo” e quindi utilizzare la stessa parola, con lo stesso significato.

Ha poco senso rispecchiare le parole altrui se attribuiamo significati differenti alle stesse parole.

Se ad esempio non indagassi sul significato di “successo” nell’esempio riportato, potrei continuare a

parlare col mio interlocutore, di due concetti diversi, categorizzandoli con la stessa parola,

determinando una ovvia incomprensione.

Dopo aver imitato gli aspetti non verbali, paraverbali e verbali del nostro interlocutore, siamo ad un

buon punto, ma non è detto che siamo entrati in rispecchiamento.

Per valutare se siamo entrati in rispecchiamento è opportuno operare una verifica e rispondere alle

seguenti domande:

1° verifica

Quando imito il suo linguaggio (verbale, non-verbale, paraverbale), l’interlocutore mi segue o

cambia postura, ritmo delle parole e timbro utilizzato?

Se il soggetto al mio imitare, non accetta l’imitazione e cambia registro non-verbale, ci troviamo

probabilmente di fronte a una persona che non è d’accordo con noi, e non ha intenzione di mettersi

in discussione.

Se il soggetto invece accetta il mio rispecchiamento, allora possiamo operare una seconda verifica.

Il rispecchiamento è tale per cui, abbiamo una figura vera (l’altro) e una figura nello specchio (noi),

al muoversi della figura vera, deve corrispondere quella nello specchio, ma soprattutto al muoversi

della figura nello specchio, deve corrispondere quella vera.

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2° verifica

Nel momento in cui tu e il tuo interlocutore utilizzate lo stesso linguaggio (verbale, paraverbale,

non-verbale), puoi introdurre nel sistema di relazione alcune modifiche.

La seconda verifica ha quindi due aspetti

1. Verifica

2. Modifica

Se si è veramente in rispecchiamento, alle proprie modifiche comunicative (verbali, non verbali,

paraverbali) seguono delle modifiche analoghe nell’interlocutore. Ad esempio se una persona ha

una certa ansia, posso formulare prima un rispecchiamento mostrando una comunicazione allerta,

successivamente posso verificare se il rispecchiamento è stato attuato apportando modifiche, e

quindi rilassando la comunicazione. Se il rilassamento si produce anche nell’interlocutore siamo in

rispecchiamento.

Riporto qui un esempio

Stavo conducendo un’ attività di coaching ad una ragazza riguardo il suo metodo di studio.

Dopo aver definito il problema, abbiamo cominciato a valutare il suo metodo di studio.

Attraverso una breve analisi del linguaggio del corpo, mi sono reso conto di questi principali

indicatori nei confronti dell’attività di studio.

Indicatore Tipo Interpretazione

Paraverbale Tonalità di voce lamentosa Il soggetto lamenta di non riuscire a studiare,

ma un approccio simile legittima a non

studiare adeguatamente

Non-verbale Sopracciglia aggrottate Indicatore di sottomissione, paura,

inadeguatezza

Non-verbale Postura corporale asimmetrica

e rigida

Indicatore di incongruenza. L’incongruenza si

manifesta quando c’è una “parte di sé” che

afferma il qualcosa e una “parte di sé” che ne

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afferma un’ altra. Riassumendo in questo caso:

“mi piacerebbe studiare, ma non posso”.

Verbale Critiche agli autori del testo Rappresenta una legittimazione alla propria

riuscita negativa, come a dire “non sono io che

non riesco a studiare, ma sono gli autori che si

sbagliano”.

A questo punto avrei potuto imporre il mio parere, affermando magari con modalità aggressive che

non è quello il modo di studiare, che studiare con due voci in mente (una che ti dice di studiare e

l’altra no) è poco opportuno e produttivo. Ma a cosa sarebbe servito? Probabilmente a nulla, i

consigli non vanno dati in maniera aggressiva.

Noi possiamo dare consigli anche senza parlare, mediante la tecnica del rispecchiamento. Ho

dunque assunto modalità asimmetriche e tonalità vocali acute inizialmente e presentando critiche

agli autori a livello verbale.

Quindi ho svolto i primi tre passi dello schema

1. Imitazione a livello non-verbale

2. Imitazione a livello para-verbale

3. Imitazione a livello verbale

Successivamente ho operato la prima verifica

Ho verificato se lei mantenesse un buon livello di rispecchiamento, mantenendo gli stessi stili

comunicativi (non-verbali, paraverbali, verbali).

La seconda verifica, ha sempre una doppia funzione (verifica e modifica). Ho dunque, al fine di

produrre uno stato più consapevole e flessibile allo studio, cominciato a modificare la mia

comunicazione para-verbale rilassando la voce, e quella non verbale assumendo posizioni

simmetriche e una comunicazione verbali più sicura.

Per rispecchiamento lo stesso ha fatto lei, cominciando a studiare più efficacemente il testo.

Riassumendo, i punti sono 5:

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1° passo – imitazione della comunicazione non-verbale

2° passo – imitazione della comunicazione para-verbale

3° passo – imitazione della comunicazione verbale

1° verifica – controllare se i tre tipi di comunicazione sono allineati

2° modifica e verifica – modificare la propria comunicazione per vedere se si influenza l’altro nella

stessa direzione (se sono in rispecchiamento e produco delle modificazioni comunicative l’altro

dovrebbe seguirmi).

E’ bene inoltre ricordarsi che la modifica, se funziona, porta a un cambio di prospettiva, è bene

utilizzare consapevolmente questa tecnica al fine di produrre cambi di prospettiva opportuni e non

casuali.

2.Evitare le forme negative e riorientare positivamente

Scrive Nardone [1991]: “La pratica clinica ha fatto evidenziare che l’utilizzo di affermazioni

negative, nei confronti del comportamento o delle idee del paziente, tende a colpevolizzarlo e a

promuovere reazioni di irrigidimento e rifiuto. […] da questa prospettiva in psicoterapia, invece che

criticare e negare l’operato del paziente, anche se tale operato è assolutamente errato o

disfunzionale, troviamo più produttivo gratificare la persona e mediante tale gratificazione, dare

delle ingiunzioni per la modifica del suo comportamento. Ad es.: nei confronti di due genitori

estremamente iperprotettivi, che con le loro cure familiari hanno indotto il figlio all’insicurezza e

labilità psicologica, l’azione del terapeuta sarà di complimentarsi con loro e di gratificarli per i

grandi sforzi compiuti nell’accudire un figlio così problematico e per i loro grandi sacrifici nel

proteggerlo da tutti i possibili pericoli di questo mondo. “E siccome siete stati così bravi fino ad ora,

sono sicuro che sarete altrettanto bravi nel fare in modo che egli assuma le sue responsabilità”.

E’ una strategia che funziona bene anche con clienti generalmente diffidenti, perché evita di

criticare.

3. L’anticipazione delle reazioni e delle espressioni del paziente

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Alcuni aspetti della comunicazione non verbale, ci fanno intuire lo stato d’animo del soggetto,

anticipare le reazioni e le espressioni della persona, in qualche modo, paradossalmente la blocca.

Esempio 1: Mettiamo il caso che io stia spiegando un determinato concetto, e noti in alcuni sguardi

perplessi. Prima di una loro reazione (distrazione, confutazione), posso anticiparle io affermando:

“…e capisco che per alcuni di voi ci sia perplessità riguardo questo aspetto, ma ci tengo a precisare

che proprio per questo…”. In questo modo il soggetto si sente compreso e anticipato, di solito,

questo evita il protrarsi di distrazioni e perplessità.

Esempio 2: Allo stesso modo, posso, paradossalmente anticipare una reazione di rabbia: “questo

probabilmente ti farà arrabbiare, ma questo è il mio lavoro e devo proprio dirtelo…”. In questo

modo con persone resistenti e oppositive, si scatenerà una reazione contraria, quindi non si farà

arrabbiare il soggetto.

4. La ristrutturazione

Come abbiamo detto la psicoterapia breve strategica si ispira largamente al pensiero di Watzlawick,

e la ristrutturazione è una tecnica che si basa largamente su un punto di Watzlawick.

Watzlawick, Beavin e Jackson, scrivono sulla Pragmatica della comunicazione umana (1967, trad.it

1971): “un fenomeno resta inspiegabile finché non ha un campo di osservazioni così ampio da

contenere il contesto di riferimento”. In buona sostanza se prendiamo un fenomeno e ne

modifichiamo il contesto, cambierà anche il significato del fenomeno stesso.

Prendiamo un tratto di personalità: la precisione.

Tipica del comportamento ossessivo, la precisione ha ovvi svantaggi, in un certo senso potremmo

contestualizzarla in contesti negativi: una persona precisa generalmente può esigere una

meticolosità eccessiva nei confronti dell’altro (contesto 1), se invece re-incorniciamo il

comportamento, questa precisione è un aspetto di personalità desiderabile, ad esempio nella

professione di chirurgo (contesto 2).

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Un qualsiasi fenomeno psicologico, può essere compreso il cornici di diverso tipo in modo da

produrre risultati differenti.

Generalmente le persone sono molto legate alle proprie idee, attaccare direttamente un’ idea

disfunzionale può produrre dunque un effetto di irrigidimento nello stesso, cambiando invece il

contesto si lascia l’illusione di non aver attaccato l’idea, ma si riconduce un idea senza intaccarla in

un contesto diverso.

Fatto sta che indirettamente il significato del contesto e il significato del fenomeno sono collegati…

E al variare del contesto varia anche il significato del fenomeno (azioni, comportamenti etc…).

Scrive Nardone [1991]: “nell’eseguire ristrutturazioni non si cambia il significato di quello che il

paziente ci riferisce. Ma si cambiano le cornici d iquesto. Ovviamente cambiando la corinice, si

cambia in modo indiretto il significato stesso dell’evento.

Abbiamo cinque tipi principali di ristrutturazione:

A) proposta di dubbi iptetici

B) ristrutturazione paradossale della situazione

C) si può ricorrere a manovre che sorprendano e provochino il paziente costringendolo

ad avere in quel momento una diversa prospettiva percettivo-reattiva

D) ristrutturare mediante storielle e metafore che inviino messaggi particolari

E) proporre una serie alternativa di punti di vista

6.L’ironia

L’ironia ha un potere straordinario nel ristrutturare attraverso il senso dell’umor o il ridicolo

situazioni che viste nella loro tragicità o nella loro estrema serietà vengono vissute come

inaccettabili ed immutabili. Quando una persona riesce a fare dell’autoironia, in relazione a propri

problemi , è giù un bel po’ avanti nel processo di soluzione di questi ultimi

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Tecniche conversazionali in ambito organizzativo

Come abbiamo affermato nel capitolo relativo alla psicoterapia di Nardone, le domande in qualche

modo determinano il range di risposte possibili.

In breve possiamo dividere le domande rispetto al grado di direttività.

Una domanda è tanto più direttiva quanto più riduce le alternative di risposta.

Domande direttive:

Ad esempio se affermo: “Secondo te è giusto o sbagliato che accada questo?”, fornisco al mio

interlocutore due risposte più accessibili in memoria (giusto vs sbagliato), oppure se affermo

“Preferisci bere ora il caffè o tra mezz’ora”, fornisco al mio interlocutore due possibili risposte

(adesso, tra mezz’ora).

E’ ovvio che a domande simili possono essere date anche risposte “fuori” da quelle previste dalla

domanda, ma è anche vero che la domanda rende accessibili in memoria quelle alternative che

nomina, in quanto per il semplice fatto di essere state nominate, la mente dell’ interlocutore per

capire di cosa si tratta deve attivare i significati delle parole, e i significati attivati sono anche quelli

più accessibili, dal momento che sono nella memoria di lavoro.

Quindi di fronte a una domanda direttiva come “quanto ti piace lavorare?”, si attiverà più

probabilmente, nella memoria dell’interlocutore, tutta quella serie di elementi piacevoli dell’attività

lavorativa, e più probabilmente la risposta sarà coerente alla piacevolezza del lavoro piuttosto che

agli elementi negativi, ma allo stesso tempo non sarà impossibile da parte dell’interlocutore

risponderci qualcosa che è “fuori” dalle possibili risposte coerenti alla domanda, ad esempio con:

“non mi piace per niente lavorare”.

Una domanda direttiva, può essere utile nel momento in cui si vuole indirizzare la risposta del

nostro interlocutore, ma allo stesso tempo lo limita la libertà del soggetto di rispondere in maniera

personale, in quanto gli limiti le risposte più accessibili in memoria.

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Riassumendo una domanda è direttiva quando suggerisce/impone le alternative di risposta.

Come mai accade?

Passo n.1 - Il semplice nominare determinate parole le attiva in memoria, se affermo di avere

questa credenza: “a lungo andare le persone ti deludono” attiverò nella memoria del mio

interlocutore (specie se mi sta ascoltando) il tema della delusione.

A:“a lungo andare le persone ti deludono” B attiva in memoria il tema della delusione

Ovviamente come ho scritto sul capitolo relativo alla PNL, ognuno ha un personalissimo significato

associato alle parole. Nell’esempio il soggetto A parla di delusione, il soggetto B attiva in memoria

il suo significato di delusione, ma non è detto che entrambi condividano lo stesso significato di

delusione, ad esempio B potrebbe circoscrivere il significato di delusione esclusivamente alle

delusioni sentimentali, oppure potrebbe essere più sensibile alle delusioni o meno.

Passo n.2 – L’attivazione in memoria di lavoro di determinate informazioni le renderà più

accessibili in quanto l’attenzione sarà immediatamente focalizzata sull’argomento, e se un tema è

accessibile e appena rievocato dalla memoria, sarà più probabile che B ne parli (per parlare di un

argomento dobbiamo certamente prima rievocarlo dalla memoria, altrimenti non sapremmo che

dire).

Utilizzo di

determinate parole

Attivazione nella

memoria di lavoro dei significati

associati alle parole

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B evoca suo significato personale sulla delusione. Il tema più accessibile è la delusione

Passo n.3 – Il soggetto B ha attivato in memoria il tema della delusione, la sua risposta sarà

fortemente influenzata da questo.

Riassumendo:

Domanda: Tutte le parole utilizzate da chi pone la domanda attivano una serie di significati nella

memoria dell’interlocutore.

Elaborazione: I significati (personali) rievocati saranno quelli su cui il soggetto si focalizzerà più

probabilmente

Risposta: La risposta prodotta avrà più probabilmente a che fare con questi significati rievocati in

quanto saranno più facili da recuperare in memoria

Bene, ora è importante pensare che, ogni volta che parliamo con qualcun altro, attiviamo nella sua

mente (se ci ascolta) diverse informazioni specifiche, e ogni volta che un interlocutore ci parla (se

lo ascoltiamo) attiverà in noi determinate informazioni specifiche.

Non è sempre giusto o sbagliato fare domande direttive, ma bisogna essere consapevoli della loro

forma per utilizzarle efficacemente.

Come si indirizza una domanda verso alcune alternative piuttosto che su altre?

Metodo 1 – Includere le alternative nella domanda

Attivazione nella

memoria di lavoro dei significati

associati alle parole

Accessibilità

maggiore ai temi

rievocati

Focus attentivo

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Per evocare in memoria dell’interlocutore determinati aspetti del flusso di esperienza posso

includere le alternative di risposta nella domanda, ad esempio questi modi. In questo modo le

possibili risposte sono suggerite da chi fa la domanda.

Ovviamente un abile soggetto può scegliere convenientemente le alternative

Preferisci parlarne ora o tra dieci minuti del problema?

Secondo te è giusto o sbagliato affrontare le relazioni in maniera dominante?

Come si può osservare, nella parti sottolineato è il soggetto che fa la domanda a suggerirne la

risposta, influenzando l’interlocutore nel rispondere.

Ad esempio nella seconda domanda, pongo il possibile giudizio relativo all’ “affrontare le

relazioni” che si può disporre solamente in termini giusti o sbagliati, ma l’interlocutore potrebbe

pensarla diversamente (ad esempio potrebbe pensare che sia conveniente o sconveniente)

Se invece in maniera non direttiva dico al soggetto: “Cosa ne pensi delle persone che si relazionano

in maniera dominante?”, lascio al soggetto un’ infinita gamma di possibilità.

Metodo 2 – Presupposizioni

Quando si fanno delle domande che presentano la presupposizione, rispondere affermativamente

alla domanda significa rispondere affermativamente anche alla presupposizione.

Ad esempio una domanda con presupposizione potrebbe essere formata così:

“Quanto sei d’accordo col nuovo decreto legislativo?”

Questa domanda presuppone un accordo con l’argomento, e quindi, se la domanda viene accettata la

risposta godrà di una serie di risposte poco affermative a del tutto affermative.

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Domande non direttive:

Una domanda è poco direttiva nel momento in cui le alternative di risposta non sono suggerite in

nessun modo nella domanda. Un esempio di domanda non direttiva:

“Cosa è per te il lavoro?” “Come procederai per risolvere il problema?”

Come si osserva in queste domande oltre che fornire l’argomento (lavoro, problem-solving) non si

suggeriscono possibili risposte.

Una domanda non direttiva non indirizza la risposta del nostro interlocutore, quindi se vogliamo

conoscere qualche aspetto specifico della questione ci risulta poco utile, ma ha il vantaggio di

lasciare al soggetto la libertà totale di risposta, se afferma, come sopra “Cosa è per te il lavoro?” il

soggetto sarà libero di cominciare da qualunque parte dell’argomento lavoro e finire nel modo in

cui preferisce, potrà parlare 20 minuti dell’argomento quanto parlare 10 secondi dando una risposta

laconica.

Una domanda non direttiva fornisce solamente l’argomento, le modalità per rispondere sono date

all’interlocutore, ecco alcuni esempi di domanda non direttiva:

- Domanda come: come possiamo fare a risolvere questo problema? Come pensi che

le persone si relazionino?

- Domanda cosa è per te: Cos’è per te l’amicizia?

Riassumendo

Domande direttive

Vantaggi - influenzano maggiormente la risposta

- sono più specifiche e quindi ci fanno ottenere subito le

risposte desiderate

Svantaggi - forzano il soggetto nella risposta, non enucleano il modo di

rispondere del soggetto

Domande non direttive

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Vantaggi - lasciano il soggetto libero di rispondere secondo le proprie

modalità

Svantaggi - sono aspecifiche, rischiano di farci ottenere risposte fuori dal

nostro campo di indagine

Riassumendo è opportuno utilizzare:

1. Domande direttive: quando vogliamo indagare sul che cosa il soggetto pensa

nello specifico di un determinato argomento

2. Domande non direttive: quando vogliamo indagare sul come categorizza e

considera un determinato argomento.

Ad esempio se utilizzassimo questo criterio per formulare una selezione del personale, potremmo

utilizzare domande direttive per indagare sui requisiti tecnici richiesti (ad es. “Sa utilizzare il

pacchetto Office?), in quanto in quel caso ci servirebbe conoscere semplicemente se il requisito

richiesto (il che cosa) è soddisfatto o no.

Ma se volessimo indagare come il soggetto ha vissuto la sua precedente esperienza lavorativa e

come personalmente costruisce il significato di quell’ esperienza sarebbe opportuno utilizzare

domande non direttive (Gandolfi, in Zucchi, 2004), ad esempio mediante “Com’era il tuo

precedente lavoro?”

Ho annoverato tra i vantaggi delle domande direttive, l’influenzamento nella risposta del soggetto.

Perché è così importante e persuasivo questo aspetto?

Avviene perché entra in gioco un fattore di “effetto coerenza”, che cos’è?

Se una domanda produce più probabilmente determinate risposte, faremo affermare al nostro

interlocutore determinate cose, e quelle risposte (dovute più alla domanda, che all’interlocutore

stesso) tenderanno ad affermarsi per un effetto di coerenza.

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Come aiutarsi nei colloqui di lavoro (comunicazione non verbale)

Uno studio di psicologia sociale di Albert Mehrabian stima così le percentuali di influenza delle

modalità comunicative dell’uomo

55% comunicazione non verbale

38% comunicazione paraverbale

7% comunicazione verbale

Questo significa che nell’influenzare la risposta l’aspetto più efficace è la comunicazione non

verbale (postura, gesti, espressioni facciali…), ad essa segue la comunicazione paraverbale (ritmo,

tonalità, segregati verbali) , ed infine le parole.

In termini di efficacia è meglio dire banalità con convinzione e una comunicazione non verbale

efficace che dire saggezze con una comunicazione non verbale mal impostata.

E’ bene quindi indirizzare la comunicazione non verbale verso schemi efficaci.

In questo capitolo affronteremo solamente gli aspetti principali della comunicazione non verbale,

per un approfondimento si rimanda all’apposito capitolo

Uno studio di Capozza, Contarello, Manganelli (1978), ha verificato che i seguenti indicatori non

verbali sono associati ad un atteggiamento più positivo

1. La minor distanza

2. Maggior contatto visivo

3. Orientazione più diretta

4. Postura aperta e disponibile

5. Postura rilassata

6. Inclinazione del busto verso l’altro

7. assenza della posizione di mani ai fianchi (in piedi)

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I sette indicatori trovati da Capozza, Contarello e Manganelli sono tutti indicatori che forniscono

all’interlocutore la percezione di essere ascoltati e presi in considerazione come pari, è però

opportuno ricordare alcune considerazioni.

Alcuni indicatori, se esasperati, producono l’effetto contrario, ad esempio una distanza minima può

imbarazzare l’altro, così come un contatto visivo fisso e insistente può portare ad una sensazione di

fastidio.

L’interlocutore apprezza o non apprezza l’argomento di conversazione o noi stessi?

Marco Paret ha classificato una serie di atti di gradimento e di rifiuto non verbali, se osservati

nell’interlocutore (ma anche in noi stessi, tramite un’ auto-osservazione) possiamo raccogliere

informazioni a proposito di ciò che sta pensando l’interlocutore, o ciò che il nostro inconscio ci sta

suggerendo.

Attenzione: il fatto che il soggetto ci comunichi qualcosa a livello non-verbale non significhi che il

soggetto sia del tutto consapevole di quello che provi. Se affermiamo ad esempio: “l’inclinazione

della tua schiena mi fa capire che sei disinteressato all’argomento di conversazione, ora cambierò

argomento” non fa che indurre nell’interlocutore risposte di difesa o di resistenza come “non è vero,

ero molto interessato!”

Vediamo ora gli atti di gradimento e di rifiuto e la loro interpretazione psicologica

1. Bacio dato a sé stessi, arricciando le labbra

lievemente

Gradimento verso la tematica o il soggetto

2. Pressione della lingua sulle guance L’interlocutore sta raggiungendo un potenziale

empatico non ancora acquisito

3.Accarezzamento delle labbra Gradimento emotivo della tematica o

interlocutore

4.Rotazione lingua sulle labbra o esposizione

Massimo segnale di gradimento dell’argomento

o del soggetto

5. Mordicchiarsi le labbra

6.Suzione dito o oggetto Gratificazione nei confornti dell’interlocutore o

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della tematica con connotazione sessuale

7.Accarezzarsi i capelli Gratificazione nei confronti dell’interlocutore o

argomento espresso con connotazione affettiva

8.Spostare il busto in avanti Interesse per l’argomento trattato

9. Spostare oggetti verso sé stessi Cercare di fare propri gli arogomenti/concetti

10. Soggetto che tocca amichevolmente

l’interlocutore

L’interlocutore ha potenziale empatico elevato

11. Soggetto che apre braccia e gambe Apertura nei confronti dell’interlocutore e/o

dell’argomento trattato

12. Sfregare con le dita la punta del naso Rifiuto dell’argomento o frase espressa

13.Spostare il corpo indietro Allontanamento dall’argomento e/o

interlocutore

14.Spostare oggetti lontano dalla propria

persona

Allontanare argomenti trattati

15.Spolverare o spazzare via dagli abiti

polvere

Rappresenta il volersi liberare da problemi

attinenti largomento espresso

16.Raschiamento della gola L’interlocutore rifiuta l’argomento trattato

17.Gambe accavallate e braccia conserte Chiusura verso l’interlocutore o argomento,

chisura verso l’ambiente esterno, il soggetto

vorrebbe rimanere solo

1.Grattamento del capo La tematica crea tensione nell’interlocutore

2.Grattarsi o massaggiarsi la fronte Non è chiaro l’argomento, si chiede di

approfondire l’argomento

3.Grattarsi o massaggiarsi l’occhio sinistro Non ha capito l’argomento a causa del suo

interlocutore

4.Grattarsi o massaggiarsi l’occhio destro Non ha capito l’argomento per sua causa

5.Grattarsi o massaggiarsi il lato sinistro del

naso

Insicurezza dovuta all’esterno

6.Grattarsi o massaggiarsi il lato destro del Insicurezza dovuta a e stesso

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naso

7.Mordicchiamento labbro superiore Carenza di tipo sessuale, l’argomento evoca

inconsciamente pulsioni sessuali

8.Mordicchiamento labbro inferiore Carenza energetica di tipo affettivo

9.Grattamento o massaggio orecchio Espressione di pulsioni represse di tipo sessuale

sull’argomento o nei confronti dell’interlocutore

10.Giocare con la collana Carenze affettivo-sessuali

11.Giocare con anello/bracciale

11a. Movimenti rotatori

11b. Movimenti ascendenti/discendenti

A) carenza affettiva

B) carenza sessuale

12.Toccarsi/giocare con la cravatta Carenza energetica di tipo sessuale

La rigidità corporea (ad esempio avere le ginocchia tese) è sintomo di insicurezza, le persone che

adottano questa posizione hanno bisogno di un appoggio saldo alla realtà, che, non trovato

interiormente, viene riprodotto nella postura corporea.

Per un approfondimento del tema del non verbale si rimanda all’apposito capitolo, mentre nel

seguente paragrafo verrà fornito un approfondimento a proposito degli aspetti verbali della

comunicazione

Modalità verbali efficaci durante un colloquio

a. Utilizzano il ricalco-guida

b. Utilizzano l’indicativo presente

c. Non hanno segregati verbali

d. Utilizzano uno stile affermativo

Alcune espressioni sono da eliminare

1. Espressioni negative: non so se, non le occorre, non la pensa così

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2. Espressione che contraddicono: non è così, lei sbaglia, lei è in errore, non è esatto,

impossibile

3. Espressioni predicatorie: adesso le spiego

4. Espressioni dubitative: non so se le può interessare, io sarei, forse le farebbe piacere

5. Espressioni velleitarie: vedrà che si troverà bene, se farà così vedrà che, sarà sicuramente

interessante per lei

6. Appelli di fiducia: mi creda, si fidi, abbia fiducia, stia tranquillo, glielo raccomando

7. Espressioni cerimoniose: una persona come lei, come lei ben sa, non vorrei disturbarla,

come lei mi insegna

Queste espressioni sono da eliminare perché suggeriscono un senso di squilibrio con l’altro. Se

voglio infatti comunicare efficacemente con qualcuno dovrò mettermi al suo stesso livello, senza

cercare né di dominare, né di sottomettermi all’altro, in ultima analisi non conviene neanche

utilizzare espressioni che dimostrino insicurezza.

Un espressione predicatoria pone noi stessi in una presunta dominanza che non fa altro che

mostrare uno squilibrio tra noi e il nostro interlocutore, mostrandoci one-up nella comunicazione

quando non ce n’è bisogno. Ricordiamo inoltre che uno dei meccanismi di persuasione (si rimanda

al capitolo dedicato) più efficaci è quello della somiglianza. Come possiamo essere percepiti come

simili se siamo i primi a porci su un piedistallo?

Lo stesso vale per le espressioni negative, che contraddicono, velleitarie, di fiducia.

Le espressioni dubitative e cerimoniose invece ci mostrano come se fossimo un gradino inferiore

rispetto agli altri. Nelle espressioni dubitative come “non so se”, “io sarei”, “forse le farebbe

piacere”, si maschera il nostro punto di vista incorniciandolo in un alone probabilistico e di

incertezza, in modo tale da poter non essere schierati e mascherarsi dietro espressioni ambivalenti.

L’uso del condizionale o del probabilistico non ci posiziona nel mondo di opinioni possibili ma ci

lascia in un alone di possibilità ancora da spiegare, e chi non si schiera all’interno della gamma di

pareri possibili di fatto de-responsabilizza se stesso (ponendosi un gradino più in basso) e

responsabilizza di converso l’altro.

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Le espressioni cerimoniose invece pongono l’altro in una posizione di superiorità, presupponendo

condizioni che non sono state verificate. Ecco alcune confutazioni che creano incoerenza in chi

ascolta queste espressioni

Una persona come lei. Come lei in che modo?

Come lei ben sa. Chi l’ha detto?

Non vorrei disturbarla. E’ una frase che evoca il disturbo (e questo non conviene mai), presuppone

inoltre che il nostro interlocutore si disturbi per i nostri pareri, oppure presuppone che quello che

staremo per dire sarà “disturbante.

Come lei mi insegna. Presuppone uno stato di superiorità che potrebbe non essere riconosciuto

dall’interlocutore.

A volte le persone farciscono le proprie espressioni con complimenti e frasi cerimoniose per tenersi

buono l’altro, in realtà questo è contro-indicato nel momento in cui quei complimenti e cerimonie

non sono riconosciuto nell’altro provocando un conflitto di ruolo.

In ogni caso è quasi sempre sconveniente porre l’altro in un piano diverso dal nostro, quindi sia le

frasi eccessivamente cerimoniose che le frasi che svalutano pongono l’altro su un piano diverso dal

nostro (superiore o inferiore), cosa che ostacola la comunicazione.