Dove va l'arte moderna? - Liber Liber

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Mario BroglioDove va l'arte moderna?

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Dove va l'arte moderna?AUTORE: Broglio, MarioTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Dove va l'arte moderna? / [prefazione diEdita Broglio]. - [Spoleto : Tip. Panetto e Petrel-li, stampa 1950]. - 85 p. ; 18 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 30 gennaio 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa

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TRATTO DA: Dove va l'arte moderna? / [prefazione diEdita Broglio]. - [Spoleto : Tip. Panetto e Petrel-li, stampa 1950]. - 85 p. ; 18 cm.

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Page 3: Dove va l'arte moderna? - Liber Liber

1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:ART009000 ARTE / Critica e Teoria

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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SOGGETTO:ART009000 ARTE / Critica e Teoria

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE..............................................................13TENDENZE ERETICHE NELL'ARTE.......................14IL MANDARINATO DEGLI ASTRATTISTI.............28I NUOVI ICONOCLASTI...........................................35«VALORI PLASTICI».................................................42IMITAZIONE DI NATURA.........................................49LA COMPOSIZIONE..................................................63FUNZIONE DELLA CRITICA...................................71MISSIONE DELL'ARTE.............................................80

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE..............................................................13TENDENZE ERETICHE NELL'ARTE.......................14IL MANDARINATO DEGLI ASTRATTISTI.............28I NUOVI ICONOCLASTI...........................................35«VALORI PLASTICI».................................................42IMITAZIONE DI NATURA.........................................49LA COMPOSIZIONE..................................................63FUNZIONE DELLA CRITICA...................................71MISSIONE DELL'ARTE.............................................80

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MARIO BROGLIO

DOVE VAL'ARTE MODERNA?

VA LO RI PLA ST IC I

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MARIO BROGLIO

DOVE VAL'ARTE MODERNA?

VA LO RI PLA ST IC I

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Page 7: Dove va l'arte moderna? - Liber Liber

Dell'ininterrotto discorso sull'arte che ha accompa-gnato la vita di Mario Broglio e che egli, durante i suoiultimi anni, era intento a raccogliere in volume, ci èconsentito di pubblicare oggi alcuni saggi.

Abbiamo creduto opportuno dare la precedenza allesue indagini d'ordine generale, già disposte e collegatein schema organico. Altri scritti, come lo studio sui pre-cursori del modernismo, i saggi monografici su Cézan-ne, Picasso, De Chirico, Carrà, Morandi e Modigliani,nonché una raccolta di aforismi sulla pittura, verrannosuccessivamente riuniti in edizione a parte.

Dei saggi qui riprodotti l'unico che, Broglio vivente,fu mandato alla stampa, è quello sull'astrattismo, da luiin seguito rielaborato.

VALORI PLASTICI

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Dell'ininterrotto discorso sull'arte che ha accompa-gnato la vita di Mario Broglio e che egli, durante i suoiultimi anni, era intento a raccogliere in volume, ci èconsentito di pubblicare oggi alcuni saggi.

Abbiamo creduto opportuno dare la precedenza allesue indagini d'ordine generale, già disposte e collegatein schema organico. Altri scritti, come lo studio sui pre-cursori del modernismo, i saggi monografici su Cézan-ne, Picasso, De Chirico, Carrà, Morandi e Modigliani,nonché una raccolta di aforismi sulla pittura, verrannosuccessivamente riuniti in edizione a parte.

Dei saggi qui riprodotti l'unico che, Broglio vivente,fu mandato alla stampa, è quello sull'astrattismo, da luiin seguito rielaborato.

VALORI PLASTICI

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L'arte è il ponte gettato tra la natura rivelata e quella da rivelare.

MARIO BROGLIO

L'esperienza cruciale che più d'ogni altro evento con-tribuì a determinare in caratteri inconfondibili la com-plessa personalità di Mario Broglio, fu il suo violentocorpo a corpo con i problemi sorti dal modernismo este-tico, nel periodo più drammatico e più travagliato chel'arte abbia mai conosciuto. Il delirante caos suscitatonel campo dell'arte dalle incursioni di sediziose filosofiee scienze moderne poteva anche offrire esca all'indoleburrascosa di Broglio, se il suo pensiero saldamente te-tragono avverso ai voli ultrartistici, non gliene avesseposto il veto. Opposizione questa non preconcetta, maoriginata dalla sua singolare facoltà di cogliere a primoacchito il punto morto nelle formule a effetto, vecchie enuove, onde egli, resistendo in disimpegnata e vigile so-litudine alle trascinanti ondate della piazza, restava ille-so ma dolorosamente passivo, mentre intorno a lui crol-lavano una dopo l'altra le più vistose teorie, dottrine ecredenze.

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L'arte è il ponte gettato tra la natura rivelata e quella da rivelare.

MARIO BROGLIO

L'esperienza cruciale che più d'ogni altro evento con-tribuì a determinare in caratteri inconfondibili la com-plessa personalità di Mario Broglio, fu il suo violentocorpo a corpo con i problemi sorti dal modernismo este-tico, nel periodo più drammatico e più travagliato chel'arte abbia mai conosciuto. Il delirante caos suscitatonel campo dell'arte dalle incursioni di sediziose filosofiee scienze moderne poteva anche offrire esca all'indoleburrascosa di Broglio, se il suo pensiero saldamente te-tragono avverso ai voli ultrartistici, non gliene avesseposto il veto. Opposizione questa non preconcetta, maoriginata dalla sua singolare facoltà di cogliere a primoacchito il punto morto nelle formule a effetto, vecchie enuove, onde egli, resistendo in disimpegnata e vigile so-litudine alle trascinanti ondate della piazza, restava ille-so ma dolorosamente passivo, mentre intorno a lui crol-lavano una dopo l'altra le più vistose teorie, dottrine ecredenze.

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E sono lunghi anni d'incubazione.Quando infine cinquantenne dichiara: «Una forza agi-

sce in noi costante che ci fa vedere le cose sul pianodell'arte», la scoperta di questa forza ossia entità chepromuove l'atto artistico gli rivela quali siano i mezziconoscitivi leciti all'arte, cioè legittimi se attivatidall'artista in stato di grazia.

Mentre da tempo le elucubrazioni estetiche si dibatto-no e s'arrovellano in astruse logomachie, nessun pensie-ro di Broglio, per contro, appare derivato da speculazio-ne mentale. Scevro di velleità retoriche, egli s'afferrasolo all'esperienza, e non esce dal riserbo se non quandopenna e tavolozza concordemente cedono a quel potereche non più emana dall'artista stesso, ma di fronte a cuil'artista «si cancella come individuo».

In Broglio, pittore personalissimo, la personalità si di-chiara disindividualizzata, in virtù di un'ascetica rinun-cia a tutti quegli interventi soggettivi favoreggiati da piùgenerazioni ed esasperati dai modernisti.

Broglio obbedisce alla esigenza universalisticadell'arte, operando in umiltà artigiana onde poter amoro-samente ritrarre la realtà oggettiva, in sé poetica, dellecose di natura. Egli ricalca le orme quasi svanite dellatradizione e riscopre, dopo secoli, i principii e le leggiche informano la grande arte del passato. Sull'ardua viaegli coglie verità artistiche dimenticate o mai ancora de-finite dal pensiero: il significato profondo della imita-zione di natura; il modernismo come eresia dell'arte;l'individualismo come elemento disgregatore; il ruolo

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E sono lunghi anni d'incubazione.Quando infine cinquantenne dichiara: «Una forza agi-

sce in noi costante che ci fa vedere le cose sul pianodell'arte», la scoperta di questa forza ossia entità chepromuove l'atto artistico gli rivela quali siano i mezziconoscitivi leciti all'arte, cioè legittimi se attivatidall'artista in stato di grazia.

Mentre da tempo le elucubrazioni estetiche si dibatto-no e s'arrovellano in astruse logomachie, nessun pensie-ro di Broglio, per contro, appare derivato da speculazio-ne mentale. Scevro di velleità retoriche, egli s'afferrasolo all'esperienza, e non esce dal riserbo se non quandopenna e tavolozza concordemente cedono a quel potereche non più emana dall'artista stesso, ma di fronte a cuil'artista «si cancella come individuo».

In Broglio, pittore personalissimo, la personalità si di-chiara disindividualizzata, in virtù di un'ascetica rinun-cia a tutti quegli interventi soggettivi favoreggiati da piùgenerazioni ed esasperati dai modernisti.

Broglio obbedisce alla esigenza universalisticadell'arte, operando in umiltà artigiana onde poter amoro-samente ritrarre la realtà oggettiva, in sé poetica, dellecose di natura. Egli ricalca le orme quasi svanite dellatradizione e riscopre, dopo secoli, i principii e le leggiche informano la grande arte del passato. Sull'ardua viaegli coglie verità artistiche dimenticate o mai ancora de-finite dal pensiero: il significato profondo della imita-zione di natura; il modernismo come eresia dell'arte;l'individualismo come elemento disgregatore; il ruolo

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negativo del criticismo; l'importanza capitale della com-posizione; la fecondità artistica del dogma e della gerar-chia; i nessi dell'arte con la poesia, la conoscenza e lareligione; il senso e la missione dell'arte. Ecco un accen-no ai risultati ottenuti da Broglio in trent'anni di instan-cabili esperienze e indagini, ed ora raccolti nelle pagineseguenti.

Sforzo titanico, quello di Broglio, inteso a dirottarel'arte dal modernismo per orientarla sulla norma che ilcorpo pittorico deve restare inalterato mentre il soggettosegue il metro del tempo. Oggi, grazie all'intervento diBroglio, l'arte, dopo le perplessità e gli smarrimenti delmodernismo, trova sgombra la via del ritorno versol'antico magistero che l'aveva sostenuta nelle epoche delsuo maggior splendore.

Fare il cammino a ritroso di cinque secoli, da solo econtro corrente, procedendo su diritta via, senza mai ag-girare gli ostacoli per le false strade del neoclassicismo,che è imitazione di opere anzichè di natura, non fu im-presa lieve; e sarebbe eccessivo pretendere che l'operadi Broglio, scaturita nell'aria rarefatta delle solitudini,possa comunicare quel calore che agli avventurati pittoridel Quattrocento fin dalla puerizia veniva naturalmenteinfuso non appena avevano varcato la soglia di bottegadel loro maestro.

E se nel compiere lo sforzo, il frutto gli cadeva dimano talvolta acerbo, se la sua attività fu troncatanell'ora stessa in cui l'ultima incertezza era dissipata, il-

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negativo del criticismo; l'importanza capitale della com-posizione; la fecondità artistica del dogma e della gerar-chia; i nessi dell'arte con la poesia, la conoscenza e lareligione; il senso e la missione dell'arte. Ecco un accen-no ai risultati ottenuti da Broglio in trent'anni di instan-cabili esperienze e indagini, ed ora raccolti nelle pagineseguenti.

Sforzo titanico, quello di Broglio, inteso a dirottarel'arte dal modernismo per orientarla sulla norma che ilcorpo pittorico deve restare inalterato mentre il soggettosegue il metro del tempo. Oggi, grazie all'intervento diBroglio, l'arte, dopo le perplessità e gli smarrimenti delmodernismo, trova sgombra la via del ritorno versol'antico magistero che l'aveva sostenuta nelle epoche delsuo maggior splendore.

Fare il cammino a ritroso di cinque secoli, da solo econtro corrente, procedendo su diritta via, senza mai ag-girare gli ostacoli per le false strade del neoclassicismo,che è imitazione di opere anzichè di natura, non fu im-presa lieve; e sarebbe eccessivo pretendere che l'operadi Broglio, scaturita nell'aria rarefatta delle solitudini,possa comunicare quel calore che agli avventurati pittoridel Quattrocento fin dalla puerizia veniva naturalmenteinfuso non appena avevano varcato la soglia di bottegadel loro maestro.

E se nel compiere lo sforzo, il frutto gli cadeva dimano talvolta acerbo, se la sua attività fu troncatanell'ora stessa in cui l'ultima incertezza era dissipata, il-

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lesa rimane nella sua opera una realtà viva e canora natadalla comunione perfetta di un'anima con la natura.

Mario Broglio, nonostante la notorietà che ebbe invita, è ancora uno sconosciuto. Valga la presente pubbli-cazione a far conoscere il merito del suo apporto in seded'arte e di pensiero, misurabile soltanto sull'incondizio-nato e assoluto.

Conta il fatto, e più del fatto l'esempio.

EDITA BROGLIO

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lesa rimane nella sua opera una realtà viva e canora natadalla comunione perfetta di un'anima con la natura.

Mario Broglio, nonostante la notorietà che ebbe invita, è ancora uno sconosciuto. Valga la presente pubbli-cazione a far conoscere il merito del suo apporto in seded'arte e di pensiero, misurabile soltanto sull'incondizio-nato e assoluto.

Conta il fatto, e più del fatto l'esempio.

EDITA BROGLIO

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PREFAZIONE

Lo studio seguente è rivolto a dimostrare che nellaconcezione e nella prassi della pittura cosidetta modernasi è introdotto un principio il quale, procedendo in sensoinverso di quello che presiede alla formazione della pit-tura non moderna, contesta la stessa ragione moraledell'arte. Codesta ragione non è quella di rappresentarci,nella varietà chiusa e convenzionale dei suoi aspetti, ildramma dell'Io sensorio e psicologico, ma di annullare,invece, gli impedimenti che ci escluderebbero dalla co-noscenza della verità e dell'Universale, in vista di sco-prire e di esaltare, imitandola, l'opera sensoriamente in-visibile di Dio – la creazione – nella sua infinita capaci-tà estrinseca, al di fuori di ogni nostro giudizio od inter-vento.

La rinuncia di voler far prevalere la vita emotiva delmicrocosmo sulla cognizione oggettiva della realtà natu-rale è la condizione per conseguire quella grazia in cuisi afferma l'ineffabile incapacità di conoscere il conosci-bile senza passare attraverso le strade obbligate dellaesperienza, creatrice dei mezzi mediante i quali è con-sentito all'arte di illuminare il mondo intangibile del Di-vino.

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PREFAZIONE

Lo studio seguente è rivolto a dimostrare che nellaconcezione e nella prassi della pittura cosidetta modernasi è introdotto un principio il quale, procedendo in sensoinverso di quello che presiede alla formazione della pit-tura non moderna, contesta la stessa ragione moraledell'arte. Codesta ragione non è quella di rappresentarci,nella varietà chiusa e convenzionale dei suoi aspetti, ildramma dell'Io sensorio e psicologico, ma di annullare,invece, gli impedimenti che ci escluderebbero dalla co-noscenza della verità e dell'Universale, in vista di sco-prire e di esaltare, imitandola, l'opera sensoriamente in-visibile di Dio – la creazione – nella sua infinita capaci-tà estrinseca, al di fuori di ogni nostro giudizio od inter-vento.

La rinuncia di voler far prevalere la vita emotiva delmicrocosmo sulla cognizione oggettiva della realtà natu-rale è la condizione per conseguire quella grazia in cuisi afferma l'ineffabile incapacità di conoscere il conosci-bile senza passare attraverso le strade obbligate dellaesperienza, creatrice dei mezzi mediante i quali è con-sentito all'arte di illuminare il mondo intangibile del Di-vino.

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TENDENZE ERETICHE NELL'ARTE

Nell'atto di impegnarci in una polemica decisiva con-tro il modernismo in arte, destinata a sterminare le ere-sie dominanti nel campo estetico per restituire le antichecostituzioni cadute in oblio o falsate, gioverà dichiararesubito che sarebbe fallace impresa voler costringere elocalizzare quello che risulterà essere l'errore dell'artemoderna nella serie delle manifestazioni plastiche stori-camente recenti e contemporanee. Allo stesso modocome riesce agevole ritrovare nelle opere di un Renoir odi un Cézanne elementi dell'antico, così nelle opere de-gli antichi si può facilmente discoprire fattori in cui è ri-conoscibile il germe dissolvente dell'arte moderna: val-gano ad esempio le cavate in profondità del chiaroscuroin Masaccio, intese a surrogare il modellato della forma,oppure il sospetto gonfiore di corpi vuoti dei quali, nelprecipitare della sua vertiginosa parabola, lo stesso Raf-faello ci ha lasciato penoso ricordo. Quel mal germe èsempre lo stesso, nel passato come nel presente, ma sol-tanto in tempi recenti esso si è moltiplicato a dismisura,

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TENDENZE ERETICHE NELL'ARTE

Nell'atto di impegnarci in una polemica decisiva con-tro il modernismo in arte, destinata a sterminare le ere-sie dominanti nel campo estetico per restituire le antichecostituzioni cadute in oblio o falsate, gioverà dichiararesubito che sarebbe fallace impresa voler costringere elocalizzare quello che risulterà essere l'errore dell'artemoderna nella serie delle manifestazioni plastiche stori-camente recenti e contemporanee. Allo stesso modocome riesce agevole ritrovare nelle opere di un Renoir odi un Cézanne elementi dell'antico, così nelle opere de-gli antichi si può facilmente discoprire fattori in cui è ri-conoscibile il germe dissolvente dell'arte moderna: val-gano ad esempio le cavate in profondità del chiaroscuroin Masaccio, intese a surrogare il modellato della forma,oppure il sospetto gonfiore di corpi vuoti dei quali, nelprecipitare della sua vertiginosa parabola, lo stesso Raf-faello ci ha lasciato penoso ricordo. Quel mal germe èsempre lo stesso, nel passato come nel presente, ma sol-tanto in tempi recenti esso si è moltiplicato a dismisura,

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avanzando rapido e vorace; per cui senza arbitrio alcunoed anzi in sede di legittima definizione è lecito compen-diare i sintomi del pericolo precisamente nel nome di«modernismo». Né talune illuminate eccezioni bastanoa sconfessare il corrotto linguaggio dei modernisti el'aberrazione estetica assurta a norma, poiché nella pro-duzione dei moderni le antiche leggi d'arte, se maiadombrate, sono più presuntive che operanti.

Infatti, nell'artista moderno vediamo compiersi unosforzo sempre maggiore tendente a stabilire la propriaautonomia di fronte alla natura ch'egli intende rappre-sentare in modo ognor più individuale, alla stregua cioèdei moti, delle sensazioni, dei sentimenti, delle reazioniche in lui suscita l'oggetto di natura, sostituendo così leimpressioni che in lui desta l'oggetto all'oggetto stesso.Nel risultato di questo sforzo risiede ormai la condizio-ne unica di essere o non essere riconosciuto artista. Per-ciò, non vi sarebbe neppure motivo di stupirsi perl'assenza di un metodo generale, in quanto, essendo infi-niti i modi di percepire le cose, ognuno di questi modirichiederebbe un metodo particolare, adeguato ad essosolo. Ma la mancanza di metodo generale incorrenell'assurdo e prova che i modernisti stanno fuoridell'arte, poiché questa non si avvera nel fatto di espri-mere le emozioni dell'individuo, ossia di rappresentarel'uomo, bensì di rappresentare la natura. Lo sforzo deimoderni, quindi, punta e si spreca in falsa direzione,mentre si avvantaggerebbe non poco nel disarmare lesensazioni ed i sentimenti individuali, relegandoli nel

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avanzando rapido e vorace; per cui senza arbitrio alcunoed anzi in sede di legittima definizione è lecito compen-diare i sintomi del pericolo precisamente nel nome di«modernismo». Né talune illuminate eccezioni bastanoa sconfessare il corrotto linguaggio dei modernisti el'aberrazione estetica assurta a norma, poiché nella pro-duzione dei moderni le antiche leggi d'arte, se maiadombrate, sono più presuntive che operanti.

Infatti, nell'artista moderno vediamo compiersi unosforzo sempre maggiore tendente a stabilire la propriaautonomia di fronte alla natura ch'egli intende rappre-sentare in modo ognor più individuale, alla stregua cioèdei moti, delle sensazioni, dei sentimenti, delle reazioniche in lui suscita l'oggetto di natura, sostituendo così leimpressioni che in lui desta l'oggetto all'oggetto stesso.Nel risultato di questo sforzo risiede ormai la condizio-ne unica di essere o non essere riconosciuto artista. Per-ciò, non vi sarebbe neppure motivo di stupirsi perl'assenza di un metodo generale, in quanto, essendo infi-niti i modi di percepire le cose, ognuno di questi modirichiederebbe un metodo particolare, adeguato ad essosolo. Ma la mancanza di metodo generale incorrenell'assurdo e prova che i modernisti stanno fuoridell'arte, poiché questa non si avvera nel fatto di espri-mere le emozioni dell'individuo, ossia di rappresentarel'uomo, bensì di rappresentare la natura. Lo sforzo deimoderni, quindi, punta e si spreca in falsa direzione,mentre si avvantaggerebbe non poco nel disarmare lesensazioni ed i sentimenti individuali, relegandoli nel

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piano delle questioni personali che non costituisconomateria d'arte.

Ma il fattore preminente nella prassi dell'arte moder-na, dopo cinquant'anni di vorticoso esercizio, è tuttorauna preoccupazione assillante tanto in coloro che sonoeletti ad operare nell'arte, quanto in coloro che esercita-no alla sua periferia il proprio gusto e la propria intelli-genza critica: un'ansia, un affanno, una frenesia chel'arte corrisponda per l'appunto all'imperativo categoricodi essere moderna. Sul senso della modernità però i pa-reri sono discordi ed oscillanti tra l'estremo del sempli-cismo e l'estremo dell'ermetismo. Inconsistente apparegià a prima vista il postulato, secondo cui l'arte debbavolta a volta adeguarsi allo spirito del tempo, cioè delperiodo storico in cui nasce. Questa istanza, evidente-mente, attinge nel vuoto del tempo, poiché sollecita unaprassi aderente a quel carattere peculiare d'un determi-nato periodo, che si palesa soltanto alla visione storicaretrospettiva e non mai alla coscienza attuale. Così perlo meno non intendono l'arte moderna gli avanguardistifedeli al mito del progresso, i quali intorno alla chimeradella modernità s'accaniscono con aspirazioni e ricercheossessionanti, auspicando e promovendo rivoluzioniestetiche e nuove acquisizioni che compensino larga-mente la negazione dei fatti artistici precedenti, e propu-gnando la conquista di nozioni fin là ignorate e di sco-perte originali, di cui l'opera moderna sappia arricchirsinei confronti di quella antica. Non è raro udire la profes-sione di fede, che soltanto una rivoluzione perpetua nel

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piano delle questioni personali che non costituisconomateria d'arte.

Ma il fattore preminente nella prassi dell'arte moder-na, dopo cinquant'anni di vorticoso esercizio, è tuttorauna preoccupazione assillante tanto in coloro che sonoeletti ad operare nell'arte, quanto in coloro che esercita-no alla sua periferia il proprio gusto e la propria intelli-genza critica: un'ansia, un affanno, una frenesia chel'arte corrisponda per l'appunto all'imperativo categoricodi essere moderna. Sul senso della modernità però i pa-reri sono discordi ed oscillanti tra l'estremo del sempli-cismo e l'estremo dell'ermetismo. Inconsistente apparegià a prima vista il postulato, secondo cui l'arte debbavolta a volta adeguarsi allo spirito del tempo, cioè delperiodo storico in cui nasce. Questa istanza, evidente-mente, attinge nel vuoto del tempo, poiché sollecita unaprassi aderente a quel carattere peculiare d'un determi-nato periodo, che si palesa soltanto alla visione storicaretrospettiva e non mai alla coscienza attuale. Così perlo meno non intendono l'arte moderna gli avanguardistifedeli al mito del progresso, i quali intorno alla chimeradella modernità s'accaniscono con aspirazioni e ricercheossessionanti, auspicando e promovendo rivoluzioniestetiche e nuove acquisizioni che compensino larga-mente la negazione dei fatti artistici precedenti, e propu-gnando la conquista di nozioni fin là ignorate e di sco-perte originali, di cui l'opera moderna sappia arricchirsinei confronti di quella antica. Non è raro udire la profes-sione di fede, che soltanto una rivoluzione perpetua nel

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campo estetico potrà sortire quelle essenze superiori attea fecondare lo spirito dell'arte moderna, cosidetta pura.Ma qui, senza dubbio, ci troviamo in presenza d'una fre-nesia estetica che, aggirando la legittima genesidell'opera, vuole bravare nel campo dell'arte.

D'altro canto, codesti novatori rivoluzionari troppo siilludono sulla identità divina dell'uomo per rinunciare apose creative. La rivoluzione tende sempre a divinizzarel'uomo, anche sul piano artistico, a scapito di Dio, dellanatura e della storia. Tale sovvertimento si palesa in unfatto centrale che riassume tutto il modernismo, e cioènella negazione del soggetto pittorico, le cui esigenze,stimate inferiori e poste in sott'ordine, si troverebbero instridente contrasto con la presunta facoltà creativadell'artista capace di esprimere figurazioni plastiche in-dipendenti dalle cose di natura. Il soggetto quindi risul-terebbe incompatibile con le finalità dell'arte moderna,in quanto questa nulla avrebbe da «narrare» – funzioneriservata alla letteratura – bensì soltanto mondi suoi pro-pri da raffigurare. Ma per quanto attiene al soggetto,nella strage di valori artistici compiuta dai moderni, nonfu da essi neppure identificato un principio basilare del-la sapienza tradizionale che riconosce nel soggetto la so-stanza stessa della costituzione plastica, e ciò in manieracosì esclusiva da rendere impercettibile ogni sua residuafunzione letteraria. Come il divino si specchia nella na-tura, così ugualmente l'arte si manifesta mediante il sog-getto che dorme nella natura. Il soggetto, con le sue irri-levanti attribuzioni letterarie, narrative, illustrative, che

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campo estetico potrà sortire quelle essenze superiori attea fecondare lo spirito dell'arte moderna, cosidetta pura.Ma qui, senza dubbio, ci troviamo in presenza d'una fre-nesia estetica che, aggirando la legittima genesidell'opera, vuole bravare nel campo dell'arte.

D'altro canto, codesti novatori rivoluzionari troppo siilludono sulla identità divina dell'uomo per rinunciare apose creative. La rivoluzione tende sempre a divinizzarel'uomo, anche sul piano artistico, a scapito di Dio, dellanatura e della storia. Tale sovvertimento si palesa in unfatto centrale che riassume tutto il modernismo, e cioènella negazione del soggetto pittorico, le cui esigenze,stimate inferiori e poste in sott'ordine, si troverebbero instridente contrasto con la presunta facoltà creativadell'artista capace di esprimere figurazioni plastiche in-dipendenti dalle cose di natura. Il soggetto quindi risul-terebbe incompatibile con le finalità dell'arte moderna,in quanto questa nulla avrebbe da «narrare» – funzioneriservata alla letteratura – bensì soltanto mondi suoi pro-pri da raffigurare. Ma per quanto attiene al soggetto,nella strage di valori artistici compiuta dai moderni, nonfu da essi neppure identificato un principio basilare del-la sapienza tradizionale che riconosce nel soggetto la so-stanza stessa della costituzione plastica, e ciò in manieracosì esclusiva da rendere impercettibile ogni sua residuafunzione letteraria. Come il divino si specchia nella na-tura, così ugualmente l'arte si manifesta mediante il sog-getto che dorme nella natura. Il soggetto, con le sue irri-levanti attribuzioni letterarie, narrative, illustrative, che

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non interessano l'arte figurativa, diventa soltanto prete-sto quando la pittura è autentica pittura. Prima di esseredramma umano, la pittura è dramma plastico. Per con-tro, l'assunto luciferino dei moderni, mirante all'elimina-zione del soggetto, cozza e s'infrange proprio control'ostacolo che essi intendevano rimuovere, e quel che re-sta dopo l'urto, sono frammenti illustrativi della vicenda,cioè inconfondibilmente letterari.

Il modernismo come tale non può vantare alcuna affi-nità con l'antico, e tanto meno presumere di rappresen-tarne la realizzazione quintessenziale, epurata delle cor-ruzioni che la tradizione avrebbe subìte. Sostanzialmen-te diverso dall'antico, svincolato da ogni legge e ordinesuperiori, eversore dei valori tradizionali, le cui virtùesso trasmuta in difetti ed i difetti esalta a virtù, antesi-gnano della rivoluzione in un dominio sottratto, per suanatura apolitica, alla rotazione delle ideologie, il moder-nismo fa parte a sé ed irrompe nel campo dell'arte comeentità autonoma sospinta da quelle forze negative chetendono alla completa distruzione del mondo classico.

A malgrado della sua combinata varietà e multiplastratificazione, il modernismo non cela alcun misterogenetico, non resiste all'indagine classificatrice e siscompone con altrettanta facilità come è stato artificial-mente totalizzato; a un discernimento più acuto anzi ri-vela supinamente il suo paradosso, per cui con la cre-scente invasione dell'individualismo nel campo artisticodiminuisce in ugual misura l'originalità dell'opera. Infat-ti, la consistenza empirica del fenomeno modernista si

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non interessano l'arte figurativa, diventa soltanto prete-sto quando la pittura è autentica pittura. Prima di esseredramma umano, la pittura è dramma plastico. Per con-tro, l'assunto luciferino dei moderni, mirante all'elimina-zione del soggetto, cozza e s'infrange proprio control'ostacolo che essi intendevano rimuovere, e quel che re-sta dopo l'urto, sono frammenti illustrativi della vicenda,cioè inconfondibilmente letterari.

Il modernismo come tale non può vantare alcuna affi-nità con l'antico, e tanto meno presumere di rappresen-tarne la realizzazione quintessenziale, epurata delle cor-ruzioni che la tradizione avrebbe subìte. Sostanzialmen-te diverso dall'antico, svincolato da ogni legge e ordinesuperiori, eversore dei valori tradizionali, le cui virtùesso trasmuta in difetti ed i difetti esalta a virtù, antesi-gnano della rivoluzione in un dominio sottratto, per suanatura apolitica, alla rotazione delle ideologie, il moder-nismo fa parte a sé ed irrompe nel campo dell'arte comeentità autonoma sospinta da quelle forze negative chetendono alla completa distruzione del mondo classico.

A malgrado della sua combinata varietà e multiplastratificazione, il modernismo non cela alcun misterogenetico, non resiste all'indagine classificatrice e siscompone con altrettanta facilità come è stato artificial-mente totalizzato; a un discernimento più acuto anzi ri-vela supinamente il suo paradosso, per cui con la cre-scente invasione dell'individualismo nel campo artisticodiminuisce in ugual misura l'originalità dell'opera. Infat-ti, la consistenza empirica del fenomeno modernista si

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esprime alla superficie con elementi mutuati o addirittu-ra plagiati da tutte le civiltà artistiche passate, in imita-zioni mimetiche o iconografiche di egiziani e bizantini,gotici ed esotici primitivi e persino cavernicoli; ed acomplicare la vicenda, non avviene mai una espropria-zione di sostanze, ma solo uno spoglio di accidenze, re-siduate attraverso i secoli e i continenti, di rifiuti dellastoria, sicché il moderno, nel suo criterio di scelta indi-rizzato alla ricerca dell'inconsueto ed eccitante, dà lapreferenza o ai segni intrasferibili della grande pittura, opiù spesso ancora agli elementi spurii, agli sviamenti ederrori, alle infezioni, alle brutture, insomma allo scarto ela schiuma dei secoli, talché l'arte moderna s'appresentacome un complesso di fattori circoscritti nel tempo o de-cadenti, e come eclettismo alla rovescia. Ma di làdall'aspetto esistenziale del modernismo, l'usurpato pre-dominio dell'Io nell'arte e il conseguente disamoramentodal legittimo e dall'oggettivo, portano nell'opera all'ege-monia di singoli elementi formali, o psicologici, o mec-canici in funzione totalitaria, come volta a voltadell'effetto dissolvente dell'atmosfera sull'oggetto, dellafigura geometrica, della deformazione, della scomposi-zione, della simultaneità, dello stato d'animo o di co-scienza, dell'emozione, dell'estro, della sensibilità,dell'astratto; e codesta sforzatura unilaterale limita lapienezza espressiva, la depaupera e uniforma e riduce amonotone variazioni di un tema solo.

Siccome il modernismo difetta di posizioni autentichee quindi manca di stabilità, non riesce a orientarsi se

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esprime alla superficie con elementi mutuati o addirittu-ra plagiati da tutte le civiltà artistiche passate, in imita-zioni mimetiche o iconografiche di egiziani e bizantini,gotici ed esotici primitivi e persino cavernicoli; ed acomplicare la vicenda, non avviene mai una espropria-zione di sostanze, ma solo uno spoglio di accidenze, re-siduate attraverso i secoli e i continenti, di rifiuti dellastoria, sicché il moderno, nel suo criterio di scelta indi-rizzato alla ricerca dell'inconsueto ed eccitante, dà lapreferenza o ai segni intrasferibili della grande pittura, opiù spesso ancora agli elementi spurii, agli sviamenti ederrori, alle infezioni, alle brutture, insomma allo scarto ela schiuma dei secoli, talché l'arte moderna s'appresentacome un complesso di fattori circoscritti nel tempo o de-cadenti, e come eclettismo alla rovescia. Ma di làdall'aspetto esistenziale del modernismo, l'usurpato pre-dominio dell'Io nell'arte e il conseguente disamoramentodal legittimo e dall'oggettivo, portano nell'opera all'ege-monia di singoli elementi formali, o psicologici, o mec-canici in funzione totalitaria, come volta a voltadell'effetto dissolvente dell'atmosfera sull'oggetto, dellafigura geometrica, della deformazione, della scomposi-zione, della simultaneità, dello stato d'animo o di co-scienza, dell'emozione, dell'estro, della sensibilità,dell'astratto; e codesta sforzatura unilaterale limita lapienezza espressiva, la depaupera e uniforma e riduce amonotone variazioni di un tema solo.

Siccome il modernismo difetta di posizioni autentichee quindi manca di stabilità, non riesce a orientarsi se

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non sul casuale, transeunte, improprio e illecito. La se-duzione dell'anarchia, ch'è il gusto del proibito, lo indu-ce a violare ogni canone e principio, ed a spodestare larealtà delle immagini, instaurando la potestà delle appa-renze irreali. La negazione di tutto ciò che è imperiturolo vota a un relativismo in cui si esaspera il dubbio circal'unità e l'integrità dell'oggetto. Un basso istinto di me-galomania individualistica lo spinge vieppiù alla elimi-nazione del soggetto e alla distruzione dell'oggetto dinatura, equivalenti plastici della tendenza a delinquere.

L'eresia modernista, nelle sue remote origini, fu unaeccezione presso gli antichi; ma poco men che un secolofa è caduto il velo, e oggi l'errore si sta organizzandocome potere sovrano e autonomo nel campo dell'arte.Quando l'oggetto perda la sua integrità, e la sua incon-fondibile personalità venga assorbita e annullata nell'Iodell'artista, allora tutta l'arte di tutti i tempi è la storia diquesta aberrazione e di questo inganno; ma solo nell'artemoderna l'errore acquista autorità ideologica e forza im-perativa; solo i moderni riuscirono a violare e sconsa-crare l'oggetto, asservendolo funzionalmente comeesponente delle loro sensazioni. La figurazione plastica,quando sia assimilata all'Io dell'artista, si chiude in sestessa e diventa intransitiva. Sofisticato dall'individuali-smo artistico, l'oggetto perde voce e senso, non reca piùalcun messaggio, e presenzia soltanto per gravitazionefisica come massa materiale.

Attribuita al modernismo, la denominazione di «arte»diventa pseudonima, convenzionale e fittizia, in quanto

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non sul casuale, transeunte, improprio e illecito. La se-duzione dell'anarchia, ch'è il gusto del proibito, lo indu-ce a violare ogni canone e principio, ed a spodestare larealtà delle immagini, instaurando la potestà delle appa-renze irreali. La negazione di tutto ciò che è imperiturolo vota a un relativismo in cui si esaspera il dubbio circal'unità e l'integrità dell'oggetto. Un basso istinto di me-galomania individualistica lo spinge vieppiù alla elimi-nazione del soggetto e alla distruzione dell'oggetto dinatura, equivalenti plastici della tendenza a delinquere.

L'eresia modernista, nelle sue remote origini, fu unaeccezione presso gli antichi; ma poco men che un secolofa è caduto il velo, e oggi l'errore si sta organizzandocome potere sovrano e autonomo nel campo dell'arte.Quando l'oggetto perda la sua integrità, e la sua incon-fondibile personalità venga assorbita e annullata nell'Iodell'artista, allora tutta l'arte di tutti i tempi è la storia diquesta aberrazione e di questo inganno; ma solo nell'artemoderna l'errore acquista autorità ideologica e forza im-perativa; solo i moderni riuscirono a violare e sconsa-crare l'oggetto, asservendolo funzionalmente comeesponente delle loro sensazioni. La figurazione plastica,quando sia assimilata all'Io dell'artista, si chiude in sestessa e diventa intransitiva. Sofisticato dall'individuali-smo artistico, l'oggetto perde voce e senso, non reca piùalcun messaggio, e presenzia soltanto per gravitazionefisica come massa materiale.

Attribuita al modernismo, la denominazione di «arte»diventa pseudonima, convenzionale e fittizia, in quanto

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esso ostenta le sembianze di sottoprodotto estetico dellascienza: la luce diventa luce fisica, l'oggetto non si illu-mina più da sé; l'effetto ottico prevale sulla visione es-senziale dell'immagine. Allettato dallo scientismo plasti-co, il pittore moderno cerca di carpire il segreto dell'artedentro la cosa, la quale invece deve restare intangibile; edall'abuso individualistico nasce questo frugamento,questa deformazione, questa aggressione dell'oggetto,quest'attacco condotto con ferocia e rancore, onde faruscire per manomissione quello che l'artista non è statocapace di vedere. Il moderno, per conoscere l'oggetto,taglia il mondo a fette, seziona le cose, le scompone edisgrega. Le masse pittoriche vengono pesate e distri-buite in sperimentale equilibrio. L'opera diventa unmeccanismo, e come tale si pone fuori della costituzioneplastica. I procedimenti modernisti ed i presunti risultatidell'operazione non hanno più nulla in comune conl'arte, di cui assumono le parvenze, dilapidandone la so-stanza. Il moderno, proprio quando nella sua infatuazio-ne egocentrica crede di esercitare un potere creativo,sbocca fatalmente nella disintegrazione dell'oggetto,cioè nella distruzione del creato.

L'arte attinge vivezza dalla natura, mentre la tecnica ela meccanica s'alimentano nella misura che la distruggo-no. Da tempo, la civiltà dei popoli si valuta secondo illoro progresso tecnico-industriale, non più secondo laloro arte. Di pari passo, l'arte decade fino a destituirsidel suo prestigio storico, perdendo un millenario magi-stero ed accodandosi infine alle concezioni meccanici-

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esso ostenta le sembianze di sottoprodotto estetico dellascienza: la luce diventa luce fisica, l'oggetto non si illu-mina più da sé; l'effetto ottico prevale sulla visione es-senziale dell'immagine. Allettato dallo scientismo plasti-co, il pittore moderno cerca di carpire il segreto dell'artedentro la cosa, la quale invece deve restare intangibile; edall'abuso individualistico nasce questo frugamento,questa deformazione, questa aggressione dell'oggetto,quest'attacco condotto con ferocia e rancore, onde faruscire per manomissione quello che l'artista non è statocapace di vedere. Il moderno, per conoscere l'oggetto,taglia il mondo a fette, seziona le cose, le scompone edisgrega. Le masse pittoriche vengono pesate e distri-buite in sperimentale equilibrio. L'opera diventa unmeccanismo, e come tale si pone fuori della costituzioneplastica. I procedimenti modernisti ed i presunti risultatidell'operazione non hanno più nulla in comune conl'arte, di cui assumono le parvenze, dilapidandone la so-stanza. Il moderno, proprio quando nella sua infatuazio-ne egocentrica crede di esercitare un potere creativo,sbocca fatalmente nella disintegrazione dell'oggetto,cioè nella distruzione del creato.

L'arte attinge vivezza dalla natura, mentre la tecnica ela meccanica s'alimentano nella misura che la distruggo-no. Da tempo, la civiltà dei popoli si valuta secondo illoro progresso tecnico-industriale, non più secondo laloro arte. Di pari passo, l'arte decade fino a destituirsidel suo prestigio storico, perdendo un millenario magi-stero ed accodandosi infine alle concezioni meccanici-

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stiche. Dimentica della sua missione, spogliata delle suedifese, la pittura prese a seguire un destino eteronomo;ma poiché ancora nel suo svilimento conservava un ri-verbero del divino, fu suo malgrado portata a presagiresimbolicamente le forme ed i modi di quel cataclismatecnico che, scatenatosi sul mondo, doveva sconvolgeretutte le concezioni tradizionali, sopratutto quelle di tem-po e spazio. A tale svolta della civiltà l'artista moderno,chiudendo gli occhi alla rivelazione dei segni premoni-tori già lampeggianti sull'orizzonte dell'impressionismo,anziché sostare e raccogliersi nelle posizioni tradizionalinon ancora smantellate, e opporsi alla invasione mecca-nicistica, tradì la propria causa, passò nel campo avver-so, e con impeto da neofita rivoluzionario prese settaria-mente partito per una presunta necessità estetica, oracausale ed ora finalistica, e contro la libertà dell'arte, perla supremazia del concetto e contro quella dell'immagi-ne, per il meccanico e contro l'organico, per l'atomismoe contro la totalità unitaria.

La rivoluzione modernista spezzava così il vincolomistico tra arte e natura, degradando l'estetica ad epife-nomeno della meccanica ed annullando la sapienza arti-stica, ossia la conoscenza della realtà attraverso l'arte.

Vari decenni prima che s'annunciasse in sede scienti-fica il relativismo di Einstein, la pittura impressionista,facendo propria avanti lettera la teoria secondo la qualetempo e spazio non sono misurabili in valori assoluti ecostanti, prese a relativizzare tutta la struttura plastica.Lo spazio impressionista cominciò a fluire come il tem-

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stiche. Dimentica della sua missione, spogliata delle suedifese, la pittura prese a seguire un destino eteronomo;ma poiché ancora nel suo svilimento conservava un ri-verbero del divino, fu suo malgrado portata a presagiresimbolicamente le forme ed i modi di quel cataclismatecnico che, scatenatosi sul mondo, doveva sconvolgeretutte le concezioni tradizionali, sopratutto quelle di tem-po e spazio. A tale svolta della civiltà l'artista moderno,chiudendo gli occhi alla rivelazione dei segni premoni-tori già lampeggianti sull'orizzonte dell'impressionismo,anziché sostare e raccogliersi nelle posizioni tradizionalinon ancora smantellate, e opporsi alla invasione mecca-nicistica, tradì la propria causa, passò nel campo avver-so, e con impeto da neofita rivoluzionario prese settaria-mente partito per una presunta necessità estetica, oracausale ed ora finalistica, e contro la libertà dell'arte, perla supremazia del concetto e contro quella dell'immagi-ne, per il meccanico e contro l'organico, per l'atomismoe contro la totalità unitaria.

La rivoluzione modernista spezzava così il vincolomistico tra arte e natura, degradando l'estetica ad epife-nomeno della meccanica ed annullando la sapienza arti-stica, ossia la conoscenza della realtà attraverso l'arte.

Vari decenni prima che s'annunciasse in sede scienti-fica il relativismo di Einstein, la pittura impressionista,facendo propria avanti lettera la teoria secondo la qualetempo e spazio non sono misurabili in valori assoluti ecostanti, prese a relativizzare tutta la struttura plastica.Lo spazio impressionista cominciò a fluire come il tem-

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po, demolendo nella sua impetuosa corrente lo spazioeuclideo e disgregando i volumi, i piani, i contorni, lerette e le curve. Ma esauritasi ben presto, in una irrefre-nabile volatilizzazione pittorica del mondo oggettivo, latesi dei Maestri impressionisti, l'arte, smarrita in labirin-ti atmosferici, cercava di riorientarsi su un qualsiasipunto di riferimento stabile. Allora Cézanne, che purconservava qualche nostalgia dell'antico, raccomandò diappoggiare le evanescenti forme al cubo, al cilindro, alleresistenti strutture dei corpi geometrici. I postimpressio-nisti accettarono questa formula, sperando di trovare neiconseguenziari sviluppi postumi dell'esasperazione im-pressionista quella risposta ai problemi plastici fonda-mentali, che lo stesso Cézanne non aveva saputo dare. Enacque il cubismo.

Il cubismo, pur ammettendo l'esistenza di uno schele-tro formale, che però non è altro se non la surrogazionedel soggetto con la impalcatura geometrica del medesi-mo, segna un altro passo sulla fatale via. Leopardi ne hapreveduto l'andamento segnalando in una sorprendentenota dello Zibaldone le premesse e gli sviluppi in cui sipalesa la genesi cubista: «L'arte corregge la rozzezzadella natura, e la natura la secchezza dell'arte. Ma quinon si fermano. La ragione avanza e, avanzando la ra-gione, la natura retrocede. L'arte non può più controbi-lanciarla. La precisione predomina, la bellezza soccom-be». Perciò il linguaggio artistico, «avendo perduto ilsuo primitivo stato di natura, e l'altro più perfetto di na-tura regolata, o vogliamo dire formata, cade nello stato

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po, demolendo nella sua impetuosa corrente lo spazioeuclideo e disgregando i volumi, i piani, i contorni, lerette e le curve. Ma esauritasi ben presto, in una irrefre-nabile volatilizzazione pittorica del mondo oggettivo, latesi dei Maestri impressionisti, l'arte, smarrita in labirin-ti atmosferici, cercava di riorientarsi su un qualsiasipunto di riferimento stabile. Allora Cézanne, che purconservava qualche nostalgia dell'antico, raccomandò diappoggiare le evanescenti forme al cubo, al cilindro, alleresistenti strutture dei corpi geometrici. I postimpressio-nisti accettarono questa formula, sperando di trovare neiconseguenziari sviluppi postumi dell'esasperazione im-pressionista quella risposta ai problemi plastici fonda-mentali, che lo stesso Cézanne non aveva saputo dare. Enacque il cubismo.

Il cubismo, pur ammettendo l'esistenza di uno schele-tro formale, che però non è altro se non la surrogazionedel soggetto con la impalcatura geometrica del medesi-mo, segna un altro passo sulla fatale via. Leopardi ne hapreveduto l'andamento segnalando in una sorprendentenota dello Zibaldone le premesse e gli sviluppi in cui sipalesa la genesi cubista: «L'arte corregge la rozzezzadella natura, e la natura la secchezza dell'arte. Ma quinon si fermano. La ragione avanza e, avanzando la ra-gione, la natura retrocede. L'arte non può più controbi-lanciarla. La precisione predomina, la bellezza soccom-be». Perciò il linguaggio artistico, «avendo perduto ilsuo primitivo stato di natura, e l'altro più perfetto di na-tura regolata, o vogliamo dire formata, cade nello stato

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geometrico, nello stato di secchezza e bruttezza». Infattiil cubismo, esteriorizzando la struttura geometrica chenegli antichi era ognora sottintesa, scarnifica la parteviva del corpo pittorico e continua l'opera di demolizio-ne iniziata per altro verso dall'impressionismo.

Molto prima che scoppiasse la prima bomba atomica,la sua potenza disgregatrice era già simbolicamenteenunciata nella pittura cubista. Come l'energia nuclearesi scatena dalla scissione dell'atomo, estrema figura cor-porale della fisica, così il cubismo, bombardandol'oggetto pittorico per rivelarne il segreto, lo infrange esquarcia, svincolando quelle forze che fin là servivanoalla coesione ed unità dell'oggetto, forze che, messe inlibertà, a lor volta continuano di propria meccanical'opera progressiva di dissociazione. E alla stregua d'unapalese analogia, come la teoria della relatività annoveracentinaia di dimensioni nello spazio fuso col tempo,così la pittura cubista preforma una spettrale polidimen-sionalità. Al cubismo null'altro fu concesso se non dicontinuare in sede d'indagine cerebrale la drammaticaavventura di Cézanne. Come risultato ne venne la spet-tacolare inaugurazione di un'indiscreta e magra trovatameccanicistica, cioè la trasposizione del punto di vistastatico e frontale da cui tradizionalmente veniva guarda-to l'oggetto, ad una visuale mobile e circolare. Ovvia-mente, si produsse così il disfacimento dell'oggetto, ilquale appariva raffigurato nella molteplicità arbitrariadei differenti aspetti che poteva assumere dai vari puntidi osservazione disposti intorno ad esso. L'impegno dei

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geometrico, nello stato di secchezza e bruttezza». Infattiil cubismo, esteriorizzando la struttura geometrica chenegli antichi era ognora sottintesa, scarnifica la parteviva del corpo pittorico e continua l'opera di demolizio-ne iniziata per altro verso dall'impressionismo.

Molto prima che scoppiasse la prima bomba atomica,la sua potenza disgregatrice era già simbolicamenteenunciata nella pittura cubista. Come l'energia nuclearesi scatena dalla scissione dell'atomo, estrema figura cor-porale della fisica, così il cubismo, bombardandol'oggetto pittorico per rivelarne il segreto, lo infrange esquarcia, svincolando quelle forze che fin là servivanoalla coesione ed unità dell'oggetto, forze che, messe inlibertà, a lor volta continuano di propria meccanical'opera progressiva di dissociazione. E alla stregua d'unapalese analogia, come la teoria della relatività annoveracentinaia di dimensioni nello spazio fuso col tempo,così la pittura cubista preforma una spettrale polidimen-sionalità. Al cubismo null'altro fu concesso se non dicontinuare in sede d'indagine cerebrale la drammaticaavventura di Cézanne. Come risultato ne venne la spet-tacolare inaugurazione di un'indiscreta e magra trovatameccanicistica, cioè la trasposizione del punto di vistastatico e frontale da cui tradizionalmente veniva guarda-to l'oggetto, ad una visuale mobile e circolare. Ovvia-mente, si produsse così il disfacimento dell'oggetto, ilquale appariva raffigurato nella molteplicità arbitrariadei differenti aspetti che poteva assumere dai vari puntidi osservazione disposti intorno ad esso. L'impegno dei

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cubisti fu insomma quello di rappresentare anche l'altrafaccia della luna. Ma, fuor di metafora, il cubismo cidette una pittura inorganica, perché la sua estetica relati-vizzava le condizioni assolute dalle quali scaturiscono leleggi della composizione. L'architettura pseudologicadel quadro cubista appare perciò vincolata a un gustosoltanto ornamentale che non può sorpassare i limitidell'arabesco. Gusto macabro, del resto, poiché la scom-posizione figurativa ridusse questa pittura a simiglianzadi un obitorio, in cui si trovino riuniti all'ammasso i mu-tili resti della dissezione cubista operata sul vivo deglioggetti.

L'abisso chiama l'abisso, e il futurismo, mentre pola-rizza le conseguenze della frattura fra l'antico e il mo-derno, continua l'opera distruttiva mandando in sfaceloil corpo pittorico. Gli artisti di questa scuola, settari deldinamismo, schiantano l'oggetto non tanto ai fini d'unaconsuntiva conoscenza plastica, quanto nel vano tentati-vo di sprigionarne energia motrice. Il futurismo fu irri-mediabilmente compromesso da un virulento scientismoche si proclamava nei torbidi concetti di dinamismo pla-stico, scomposizione e compenetrazione dei piani, si-multaneismo ecc., teorie e pratiche, queste, che abbassa-rono l'arte a un caotico scontrarsi di fluidi e di forze sen-za forma né direttiva, illustrato in segni crittografici chevogliono esprimere pressioni e urti, tensioni e vibrazio-ni, vale a dire vicende che nulla hanno da fare con l'arte.

L'analogia tra il modernismo artistico e gli eventi ato-mici si estremizzava diventando evidente e indubbia,

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cubisti fu insomma quello di rappresentare anche l'altrafaccia della luna. Ma, fuor di metafora, il cubismo cidette una pittura inorganica, perché la sua estetica relati-vizzava le condizioni assolute dalle quali scaturiscono leleggi della composizione. L'architettura pseudologicadel quadro cubista appare perciò vincolata a un gustosoltanto ornamentale che non può sorpassare i limitidell'arabesco. Gusto macabro, del resto, poiché la scom-posizione figurativa ridusse questa pittura a simiglianzadi un obitorio, in cui si trovino riuniti all'ammasso i mu-tili resti della dissezione cubista operata sul vivo deglioggetti.

L'abisso chiama l'abisso, e il futurismo, mentre pola-rizza le conseguenze della frattura fra l'antico e il mo-derno, continua l'opera distruttiva mandando in sfaceloil corpo pittorico. Gli artisti di questa scuola, settari deldinamismo, schiantano l'oggetto non tanto ai fini d'unaconsuntiva conoscenza plastica, quanto nel vano tentati-vo di sprigionarne energia motrice. Il futurismo fu irri-mediabilmente compromesso da un virulento scientismoche si proclamava nei torbidi concetti di dinamismo pla-stico, scomposizione e compenetrazione dei piani, si-multaneismo ecc., teorie e pratiche, queste, che abbassa-rono l'arte a un caotico scontrarsi di fluidi e di forze sen-za forma né direttiva, illustrato in segni crittografici chevogliono esprimere pressioni e urti, tensioni e vibrazio-ni, vale a dire vicende che nulla hanno da fare con l'arte.

L'analogia tra il modernismo artistico e gli eventi ato-mici si estremizzava diventando evidente e indubbia,

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quando l'arte tagliò il traguardo dell'astrattismo. Labomba atomica è scoppiata nell'arte prima che a Hiro-scima. L'astrattismo anticipa la moderna scienza atomi-ca e ne preforma le conseguenze. Le radioemanazionidegli scoppi atomici non avevano ancora provato la loroazione deformatrice sugli organismi colpiti, quandol'astrattismo s'era già estrinsecato in deformazioni nuovesul pianeta, dissimili da ogni aspetto di natura e total-mente disumanate. La teratologia astrattista prelude aciò che potrà residuare del mondo, se mai su di esso do-vesse abbattersi una guerra atomica.

Le metamorfosi plastiche avvicendatesi nel periododall'impressionismo all'astrattismo segnano le fasi d'unadecadenza artistica sincronizzata al progresso tecnico.Non più Dio, bensì l'atomo domina sul mondo d'oggi,nella scienza come nell'arte. Picasso e Einstein sono ve-ramente, necessariamente contemporanei.

Ma oggi, il più forte impulso alla negazione universa-le, distruttore non soltanto della natura bensì anchedell'anima umana, si attua proprio nel campo artistico. Idemoni del caos, sotto le mentite spoglie di creatori econquistatori di nuove verità, operano oggi a preferenzanelle insospettate regioni dell'arte, dissociando quellafin qui infrangibile coesione fra uomo e natura e spri-gionando così immani forze distruttive, un cataclisma dicieche forze telluriche non più disciplinate e contenuteentro la struttura gerarchica del creato. Frattanto, nellapausa crepuscolare foriera di eventi definitivi, esconodai bassifondi dello spirito e s'affacciano invereconde in

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quando l'arte tagliò il traguardo dell'astrattismo. Labomba atomica è scoppiata nell'arte prima che a Hiro-scima. L'astrattismo anticipa la moderna scienza atomi-ca e ne preforma le conseguenze. Le radioemanazionidegli scoppi atomici non avevano ancora provato la loroazione deformatrice sugli organismi colpiti, quandol'astrattismo s'era già estrinsecato in deformazioni nuovesul pianeta, dissimili da ogni aspetto di natura e total-mente disumanate. La teratologia astrattista prelude aciò che potrà residuare del mondo, se mai su di esso do-vesse abbattersi una guerra atomica.

Le metamorfosi plastiche avvicendatesi nel periododall'impressionismo all'astrattismo segnano le fasi d'unadecadenza artistica sincronizzata al progresso tecnico.Non più Dio, bensì l'atomo domina sul mondo d'oggi,nella scienza come nell'arte. Picasso e Einstein sono ve-ramente, necessariamente contemporanei.

Ma oggi, il più forte impulso alla negazione universa-le, distruttore non soltanto della natura bensì anchedell'anima umana, si attua proprio nel campo artistico. Idemoni del caos, sotto le mentite spoglie di creatori econquistatori di nuove verità, operano oggi a preferenzanelle insospettate regioni dell'arte, dissociando quellafin qui infrangibile coesione fra uomo e natura e spri-gionando così immani forze distruttive, un cataclisma dicieche forze telluriche non più disciplinate e contenuteentro la struttura gerarchica del creato. Frattanto, nellapausa crepuscolare foriera di eventi definitivi, esconodai bassifondi dello spirito e s'affacciano invereconde in

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ogni dove le larvali materializzazioni moderniste, natetutte da una civiltà in disgregazione ed incipiente putre-dine, tutte «spettri di viva morte, ombre spiranti».

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ogni dove le larvali materializzazioni moderniste, natetutte da una civiltà in disgregazione ed incipiente putre-dine, tutte «spettri di viva morte, ombre spiranti».

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IL MANDARINATO DEGLIASTRATTISTI

L'astrattismo si fa forte di una verità che la filosofiadell'arte cercherebbe invano di contestare: quella, chel'arte stessa non può essere l'esponente di una conoscen-za fenomenica acquisita attraverso la nozione sensoreadel mondo esterno, ossia attraverso la rappresentazionedella cosidetta natura fisica. Senza dubbio non appartie-ne all'arte la banale attività riproduttiva che utilizzal'occhio come lente per proiettare meccanicamente sullatela la copia di un pezzo di natura. Poiché l'arte nasce,se mai, dalla capacità di presentire che dietro il mondodelle apparenze, dentro la natura, sussiste e si nascondee chiede di essere scoperta una realtà più profonda dallacui conoscenza fummo esclusi, ma che possiamo riac-quistare e che anzi rappresenta il fine supremo per l'arte:caduta che sia ogni velleità di sostituirsi a Dio, si alzeràil velo che ci oscura quella verità, rispetto alla quale lafunzione dell'artista diventa lieve e miracolosa.

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IL MANDARINATO DEGLIASTRATTISTI

L'astrattismo si fa forte di una verità che la filosofiadell'arte cercherebbe invano di contestare: quella, chel'arte stessa non può essere l'esponente di una conoscen-za fenomenica acquisita attraverso la nozione sensoreadel mondo esterno, ossia attraverso la rappresentazionedella cosidetta natura fisica. Senza dubbio non appartie-ne all'arte la banale attività riproduttiva che utilizzal'occhio come lente per proiettare meccanicamente sullatela la copia di un pezzo di natura. Poiché l'arte nasce,se mai, dalla capacità di presentire che dietro il mondodelle apparenze, dentro la natura, sussiste e si nascondee chiede di essere scoperta una realtà più profonda dallacui conoscenza fummo esclusi, ma che possiamo riac-quistare e che anzi rappresenta il fine supremo per l'arte:caduta che sia ogni velleità di sostituirsi a Dio, si alzeràil velo che ci oscura quella verità, rispetto alla quale lafunzione dell'artista diventa lieve e miracolosa.

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Il rifiuto iniziale che la natura oppone alla rivelazionedel suo segreto può essere vinto per diverse vie; una vias'apre all'astrazione, se questa sia virtù di rinuncia. Tuttii grandi artisti sono degli «astratti in Dio», spogli di vo-lizioni individualistiche, collocati fuor d'ogni posizioneegocentrica, e tributari di entità oggettive. È ovvio che,non rappresentando la cosa, ma ciò che della cosa sisente o si pensa, la rappresentazione artistica esercitauna funzione subalterna. In tal senso l'arte figurativa –purificata talvolta fino all'anonimità, in conseguenzadella più o meno radicale rinuncia dell'artista ad arbitrariinterventi individuali – è tanto più legittima quanto piùs'astrae dal contingente e conserva l'essenziale, quantomeglio riesce a liberare l'oggetto dall'accessorio, co-gliendone la sostanza. Perciò l'astrattismo autentico ap-pare come un segreto canone tanto nei primi fatti d'arte,che talvolta non hanno un rapporto conseguenziale conl'imitazione del reale ma un'origine decisamente astratta,quanto in opere maturate nella pienezza dei tempi.

La più eloquente testimonianza in sede di astrazionelegittima si scopre sopratutto nella scultura greca, in cuii simboli geometrici, che stanno alla base della cono-scenza figurativa, s'infondono nelle forme naturali, ge-nerando l'universalità della rappresentazione classica.Infatti, negli originali greci, piazzati sulle fondamentacostituite dai predecessori in Asia Minore e sulle rivedel Nilo, non si riscontra un sol tratto «naturalistico»,eppure l'opera organica riscuote somma e prodigiosa na-turalezza. La plastica greca così ha plasmato una «se-

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Il rifiuto iniziale che la natura oppone alla rivelazionedel suo segreto può essere vinto per diverse vie; una vias'apre all'astrazione, se questa sia virtù di rinuncia. Tuttii grandi artisti sono degli «astratti in Dio», spogli di vo-lizioni individualistiche, collocati fuor d'ogni posizioneegocentrica, e tributari di entità oggettive. È ovvio che,non rappresentando la cosa, ma ciò che della cosa sisente o si pensa, la rappresentazione artistica esercitauna funzione subalterna. In tal senso l'arte figurativa –purificata talvolta fino all'anonimità, in conseguenzadella più o meno radicale rinuncia dell'artista ad arbitrariinterventi individuali – è tanto più legittima quanto piùs'astrae dal contingente e conserva l'essenziale, quantomeglio riesce a liberare l'oggetto dall'accessorio, co-gliendone la sostanza. Perciò l'astrattismo autentico ap-pare come un segreto canone tanto nei primi fatti d'arte,che talvolta non hanno un rapporto conseguenziale conl'imitazione del reale ma un'origine decisamente astratta,quanto in opere maturate nella pienezza dei tempi.

La più eloquente testimonianza in sede di astrazionelegittima si scopre sopratutto nella scultura greca, in cuii simboli geometrici, che stanno alla base della cono-scenza figurativa, s'infondono nelle forme naturali, ge-nerando l'universalità della rappresentazione classica.Infatti, negli originali greci, piazzati sulle fondamentacostituite dai predecessori in Asia Minore e sulle rivedel Nilo, non si riscontra un sol tratto «naturalistico»,eppure l'opera organica riscuote somma e prodigiosa na-turalezza. La plastica greca così ha plasmato una «se-

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conda natura», un popolo immortale di statue in mezzoal popolo storico dell'Ellade.

Oggi invece, nell'aridità dei tempi, l'astrazione, da re-ligiosa che fu, è diventata tecnica ed atea. Sembra chel'uomo moderno non sia contento delle condizioni fatte-gli da Dio in terra, e voglia correggere il creato. Cosìl'astrattista, per scansare il pericolo di smarrirsi tra lecangianti apparenze esterne, incorre in un pericolo anco-ra maggiore, mortale addirittura, quello di rinnegare lanatura stessa. Nella sua fallace presunzione individuali-stica, osa ergersi a creatore, ed esautorando la natura,nonché il classicismo artistico venutogli a noia, ritienedi poter esprimere un mondo tutto suo, con forme e va-lori nuovi, indipendenti dai prototipi e simboleggianti lasua propria autonomia e sovranità. Egli mena vanto diarricchire a questa maniera i mezzi di espressione inun'arte avulsa dalle forme obbligate di natura, e di rive-lare un mondo originale e insospettato. Nelle intenzioni,egli conta quindi di continuare, perfezionandola, l'operadella natura in nuova gestione, e di prendere in regìapropria la creazione; nei fatti però egli introducenell'arte un elemento distruttore, che cagiona, attraversouna vana problematica, il sovvertimento dell'ordine na-turale e la disgregazione del mondo oggettivo.

L'astrattismo artistico, dopo avere cercato a lungo unaallegazione estetica e difesa filosofica, e scartata l'equi-voca teoria sull'«astrazione ed immedesimazione» delWorringer, si individua oggi in talune formule dell'esi-stenzialismo, che sembrano coniate apposta per giustifi-

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conda natura», un popolo immortale di statue in mezzoal popolo storico dell'Ellade.

Oggi invece, nell'aridità dei tempi, l'astrazione, da re-ligiosa che fu, è diventata tecnica ed atea. Sembra chel'uomo moderno non sia contento delle condizioni fatte-gli da Dio in terra, e voglia correggere il creato. Cosìl'astrattista, per scansare il pericolo di smarrirsi tra lecangianti apparenze esterne, incorre in un pericolo anco-ra maggiore, mortale addirittura, quello di rinnegare lanatura stessa. Nella sua fallace presunzione individuali-stica, osa ergersi a creatore, ed esautorando la natura,nonché il classicismo artistico venutogli a noia, ritienedi poter esprimere un mondo tutto suo, con forme e va-lori nuovi, indipendenti dai prototipi e simboleggianti lasua propria autonomia e sovranità. Egli mena vanto diarricchire a questa maniera i mezzi di espressione inun'arte avulsa dalle forme obbligate di natura, e di rive-lare un mondo originale e insospettato. Nelle intenzioni,egli conta quindi di continuare, perfezionandola, l'operadella natura in nuova gestione, e di prendere in regìapropria la creazione; nei fatti però egli introducenell'arte un elemento distruttore, che cagiona, attraversouna vana problematica, il sovvertimento dell'ordine na-turale e la disgregazione del mondo oggettivo.

L'astrattismo artistico, dopo avere cercato a lungo unaallegazione estetica e difesa filosofica, e scartata l'equi-voca teoria sull'«astrazione ed immedesimazione» delWorringer, si individua oggi in talune formule dell'esi-stenzialismo, che sembrano coniate apposta per giustifi-

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carlo. Scrive infatti il Sartre, aprendo il varco ad ognisorta di arbitrio soggettivistico: «Il nostro punto di par-tenza è la soggettività dell'individuo... Resti bene intesoche non esistono valori estetici a priori, ma che vi sonovalori che risultano successivamente dalla coerenza delquadro... Se ho soppresso il padreterno, dovrà pur esser-ci qualcuno a inventare i valori... Non v'è altro universose non quello della soggettività umana... Se voi poneteun universo di oggetti, la verità sparisce... Il mondodell'oggetto non è altro che il mondo dell'eventualità».Da parte sua, la critica artistica d'avanguardia perfezionae volge pro domo i concetti enunciati dal caposcuolaesistenzialista, in un notevole sforzo inteso a chiarirel'astruseria astrattista: «Astratte o non figurative si chia-mano genericamente le correnti artistiche che, escluden-do ogni relazione tra il fatto artistico e la natura, consi-derano l'opera d'arte non come rappresentazione di og-getti, ma come oggetto essa stessa... Questa posizione èquella che Breton chiama la crisi dell'oggetto o del mo-dello: agli occhi dell'artista il mondo esterno si è di untratto svuotato; egli dovrà cercare dentro di sé il model-lo che la natura può offrirgli... La nascita dell'oggetto ar-tistico e la fine dell'oggetto di natura sono lo stesso pro-cesso: che non è né un positivo creare, né un negativodistruggere, ma il superamento della screditata nozionein una più certa e vivente realtà». (G. C. Argan).

Intanto, è d'uopo stabilire che esempi di astrattismointegrale non si trovano negli artisti di avanguardia piùclassificati, come Picasso, Braque, Moore ecc., in quan-

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carlo. Scrive infatti il Sartre, aprendo il varco ad ognisorta di arbitrio soggettivistico: «Il nostro punto di par-tenza è la soggettività dell'individuo... Resti bene intesoche non esistono valori estetici a priori, ma che vi sonovalori che risultano successivamente dalla coerenza delquadro... Se ho soppresso il padreterno, dovrà pur esser-ci qualcuno a inventare i valori... Non v'è altro universose non quello della soggettività umana... Se voi poneteun universo di oggetti, la verità sparisce... Il mondodell'oggetto non è altro che il mondo dell'eventualità».Da parte sua, la critica artistica d'avanguardia perfezionae volge pro domo i concetti enunciati dal caposcuolaesistenzialista, in un notevole sforzo inteso a chiarirel'astruseria astrattista: «Astratte o non figurative si chia-mano genericamente le correnti artistiche che, escluden-do ogni relazione tra il fatto artistico e la natura, consi-derano l'opera d'arte non come rappresentazione di og-getti, ma come oggetto essa stessa... Questa posizione èquella che Breton chiama la crisi dell'oggetto o del mo-dello: agli occhi dell'artista il mondo esterno si è di untratto svuotato; egli dovrà cercare dentro di sé il model-lo che la natura può offrirgli... La nascita dell'oggetto ar-tistico e la fine dell'oggetto di natura sono lo stesso pro-cesso: che non è né un positivo creare, né un negativodistruggere, ma il superamento della screditata nozionein una più certa e vivente realtà». (G. C. Argan).

Intanto, è d'uopo stabilire che esempi di astrattismointegrale non si trovano negli artisti di avanguardia piùclassificati, come Picasso, Braque, Moore ecc., in quan-

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to essi, seppure rappresentino una condizione iniziale diquello che potrà essere l'eventuale sviluppo ulterioredell'astrattismo, alla prova dei fatti sono legati ancoraall'oggetto di natura. Per trovare l'astrattismo integrale,bisogna ricercarlo nei minori, che però non offrono vali-di punti di presa, perché totalmente sterilizzati e sprov-visti di contrassegni caratteristici.

Comunque, le affermazioni sopra citate postulano unaspecie d'individualismo stirneriano e anarchico in arte,un protestantismo antinatura, una mistica settaria epseudoiniziatica, e una non meglio definita capacità tau-maturgica di creare ex nihil l'oggetto artistico essenzia-le; ma tutto ciò senza tener conto che l'assioma astratti-sta dell'antinatura è falso, perché una essenza non puòvenir rappresentata a sé stante, in quanto è indivisibiledalla natura, come persino i più spinti spiritualisti d'ognitempo ammettono. Dice infatti Agostino che «la naturaè la quiddità e l'essenza di ciascuna cosa»; secondo Ba-cone, «le cose fondate in opinione soltanto variano men-tre le cose fondate in natura hanno incremento»; ed ilNovalis ci rivela una più segreta traccia nel sorprenden-te aforisma: «Il mondo esterno non è che un mondo in-terno elevato al grado di mistero». In ragione direttadell'indivisibilità tra essenza e natura, l'astrattista mo-derno, nel tentativo di eliminare la natura, è irrimedia-bilmente portato a deviare dal figurativo al concettuale ead un tempo dalla serena rappresentazione oggettivaverso la materializzazione di astrattismi larvali. Gliastrattisti di stretta osservanza, boccheggianti nell'atmo-

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to essi, seppure rappresentino una condizione iniziale diquello che potrà essere l'eventuale sviluppo ulterioredell'astrattismo, alla prova dei fatti sono legati ancoraall'oggetto di natura. Per trovare l'astrattismo integrale,bisogna ricercarlo nei minori, che però non offrono vali-di punti di presa, perché totalmente sterilizzati e sprov-visti di contrassegni caratteristici.

Comunque, le affermazioni sopra citate postulano unaspecie d'individualismo stirneriano e anarchico in arte,un protestantismo antinatura, una mistica settaria epseudoiniziatica, e una non meglio definita capacità tau-maturgica di creare ex nihil l'oggetto artistico essenzia-le; ma tutto ciò senza tener conto che l'assioma astratti-sta dell'antinatura è falso, perché una essenza non puòvenir rappresentata a sé stante, in quanto è indivisibiledalla natura, come persino i più spinti spiritualisti d'ognitempo ammettono. Dice infatti Agostino che «la naturaè la quiddità e l'essenza di ciascuna cosa»; secondo Ba-cone, «le cose fondate in opinione soltanto variano men-tre le cose fondate in natura hanno incremento»; ed ilNovalis ci rivela una più segreta traccia nel sorprenden-te aforisma: «Il mondo esterno non è che un mondo in-terno elevato al grado di mistero». In ragione direttadell'indivisibilità tra essenza e natura, l'astrattista mo-derno, nel tentativo di eliminare la natura, è irrimedia-bilmente portato a deviare dal figurativo al concettuale ead un tempo dalla serena rappresentazione oggettivaverso la materializzazione di astrattismi larvali. Gliastrattisti di stretta osservanza, boccheggianti nell'atmo-

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sfera carceraria di ermetiche composizioni, hanno vera-mente riposto la loro causa nel nulla. La neutralizzazio-ne della natura dà luogo solo all'impotenza; e dove inarte sia espulso Dio, non resta che un'accademia di ni-chilismo e di morbose dilettazioni tecniche, entro l'ine-stricabile groviglio di elementi presi in prestito dallageometria e della meccanica.

Vani, d'altronde, sono gli argomenti che gli astrattistiadducono per suffragare il principio che le loro opere,prima di entrare nella conoscenza consuetudinaria, ri-chiedono una iniziazione. La iniziazione, quando inter-viene, denuncia l'insufficiente universalità dell'opera. Èvero bensì che opere la cui superiore qualità è inconte-stabile, possono chiudersi alla comprensione immediata;ma i prodotti astrattisti sono cifrati in modo da nonaprirsi neppure a chi ne conoscesse il codice e ritrovassela chiave, il più delle volte smarrita dall'autore stessoentro i meandri dell'introversione artistica.

In realtà l'astrattista moderno, non volendo e non po-tendo rispondere a certe istanze concrete dell'arte, scon-fina in un falso scientismo, o fa una lega adulterata trapittura e musica, oppure abusa, astraendo non solo ilcontingente – come avviene nell'astrazione legittima –ma pure il sostanziale, mentre sembra ignorare che ilconcetto astratto, suo supremo punto di riferimentodopo l'eliminazione dell'immagine, esiste soltanto inquanto è pensato, e quindi rimane infigurabile in arte.Simbolo ed emblema del mandarinato degli astrattistipotrebbe essere il famoso coltello di Lichtenberg, un

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sfera carceraria di ermetiche composizioni, hanno vera-mente riposto la loro causa nel nulla. La neutralizzazio-ne della natura dà luogo solo all'impotenza; e dove inarte sia espulso Dio, non resta che un'accademia di ni-chilismo e di morbose dilettazioni tecniche, entro l'ine-stricabile groviglio di elementi presi in prestito dallageometria e della meccanica.

Vani, d'altronde, sono gli argomenti che gli astrattistiadducono per suffragare il principio che le loro opere,prima di entrare nella conoscenza consuetudinaria, ri-chiedono una iniziazione. La iniziazione, quando inter-viene, denuncia l'insufficiente universalità dell'opera. Èvero bensì che opere la cui superiore qualità è inconte-stabile, possono chiudersi alla comprensione immediata;ma i prodotti astrattisti sono cifrati in modo da nonaprirsi neppure a chi ne conoscesse il codice e ritrovassela chiave, il più delle volte smarrita dall'autore stessoentro i meandri dell'introversione artistica.

In realtà l'astrattista moderno, non volendo e non po-tendo rispondere a certe istanze concrete dell'arte, scon-fina in un falso scientismo, o fa una lega adulterata trapittura e musica, oppure abusa, astraendo non solo ilcontingente – come avviene nell'astrazione legittima –ma pure il sostanziale, mentre sembra ignorare che ilconcetto astratto, suo supremo punto di riferimentodopo l'eliminazione dell'immagine, esiste soltanto inquanto è pensato, e quindi rimane infigurabile in arte.Simbolo ed emblema del mandarinato degli astrattistipotrebbe essere il famoso coltello di Lichtenberg, un

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coltello senza manico mancante di lama. Ma l'astratti-smo «puro», nonché ripudiare l'oggetto, non tollera nep-pure la reminiscenza del medesimo, e intende attingereesclusivamente dal vuoto pozzo dell'Io. Ai pittoridell'astratto, il mondo reale non interessa: consideranol'arte come una proiezione delle loro emozioni, di cuiessi stessi forniscono il materiale rappresentativo, consimboli e linguaggio obbligatoriamente incomprensibili.

L'astrattismo, fondato sulle sabbie mobili del sogget-tivismo individualistico e perciò privo di principii uni-versali, si sottrae a qualsiasi giudizio valutativo. Essosegna l'epilogo di una lunga e dura lotta in cui l'arte soc-combe. Le fasi di questa lotta, che vide alternarsi spe-ranze e miraggi, hanno preso aspetti molteplici: e il lorostesso variare addita il loro progressivo dissolvimento.Nella fase iniziale, il compromesso che si era stabilitotra la tradizione e le ideologie moderne ha generato uninganno fascinoso, la cui magia ancora dura attraversole opere degli impressionisti maggiori perpetuatisi inuna vicenda di processi apparentemente contradditori,dall'impressionismo al cubismo, al futurismo, al dadai-smo, al surrealismo; ma il germe patogeno aveva ormaitrionfato. Il sottinteso scientismo che alimentava codestiprocessi disintegrativi finì per sconfessare le illusionidel compromesso, e l'astrattismo, fuori d'ogni legge,fuori della stessa arte, precipita verso la sua distruzione,proprio nel momento in cui raccoglie gli allori decretati-gli dalla moda.

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coltello senza manico mancante di lama. Ma l'astratti-smo «puro», nonché ripudiare l'oggetto, non tollera nep-pure la reminiscenza del medesimo, e intende attingereesclusivamente dal vuoto pozzo dell'Io. Ai pittoridell'astratto, il mondo reale non interessa: consideranol'arte come una proiezione delle loro emozioni, di cuiessi stessi forniscono il materiale rappresentativo, consimboli e linguaggio obbligatoriamente incomprensibili.

L'astrattismo, fondato sulle sabbie mobili del sogget-tivismo individualistico e perciò privo di principii uni-versali, si sottrae a qualsiasi giudizio valutativo. Essosegna l'epilogo di una lunga e dura lotta in cui l'arte soc-combe. Le fasi di questa lotta, che vide alternarsi spe-ranze e miraggi, hanno preso aspetti molteplici: e il lorostesso variare addita il loro progressivo dissolvimento.Nella fase iniziale, il compromesso che si era stabilitotra la tradizione e le ideologie moderne ha generato uninganno fascinoso, la cui magia ancora dura attraversole opere degli impressionisti maggiori perpetuatisi inuna vicenda di processi apparentemente contradditori,dall'impressionismo al cubismo, al futurismo, al dadai-smo, al surrealismo; ma il germe patogeno aveva ormaitrionfato. Il sottinteso scientismo che alimentava codestiprocessi disintegrativi finì per sconfessare le illusionidel compromesso, e l'astrattismo, fuori d'ogni legge,fuori della stessa arte, precipita verso la sua distruzione,proprio nel momento in cui raccoglie gli allori decretati-gli dalla moda.

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I NUOVI ICONOCLASTI

Il concetto di antinatura bandito alla fiera artistica congran clamore di imbonimenti dall'estremismo moderni-sta, anziché nasconderla, ostenta una risentita e vendica-tiva incapacità di interferire nei rapporti tra natura edarte. Rapporti antichi, sacramentali, indissolubili, cuitutte le epoche d'alto lignaggio artistico tributarono ri-spetto e osservanza; ed anzi gli conferirono ognor mag-giore coesione, con sapienti eliminazioni degli ostacoliche s'oppongono alla rivelazione della più profonda edessenziale, quindi non meramente fenomenica realtà na-turale, tal quale essa sussiste in origine, al di fuori dinoi, sottratta ai molteplici inganni sensorei, psicologici,razionali, intellettuali o utilitari che la velano all'occhioprofano.

Ma gli astrattisti, invece di accettare i preliminari e lecondizioni imposte al processo che presiede alla forma-zione del fatto artistico, preferiscono scavalcare le pre-messe e mandano la loro sfida alla natura, la quale ri-sponde chiudendosi nel suo segreto. Non riconoscendo

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I NUOVI ICONOCLASTI

Il concetto di antinatura bandito alla fiera artistica congran clamore di imbonimenti dall'estremismo moderni-sta, anziché nasconderla, ostenta una risentita e vendica-tiva incapacità di interferire nei rapporti tra natura edarte. Rapporti antichi, sacramentali, indissolubili, cuitutte le epoche d'alto lignaggio artistico tributarono ri-spetto e osservanza; ed anzi gli conferirono ognor mag-giore coesione, con sapienti eliminazioni degli ostacoliche s'oppongono alla rivelazione della più profonda edessenziale, quindi non meramente fenomenica realtà na-turale, tal quale essa sussiste in origine, al di fuori dinoi, sottratta ai molteplici inganni sensorei, psicologici,razionali, intellettuali o utilitari che la velano all'occhioprofano.

Ma gli astrattisti, invece di accettare i preliminari e lecondizioni imposte al processo che presiede alla forma-zione del fatto artistico, preferiscono scavalcare le pre-messe e mandano la loro sfida alla natura, la quale ri-sponde chiudendosi nel suo segreto. Non riconoscendo

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nella natura un mistero da rivelare e un modello da imi-tare nella sua sostanza, l'astrattismo, ad onta del suo su-perbo assunto, si lascia dunque classificare come l'ulti-ma e più disperata incarnazione del romanticismo che,dopo aver rotto i ponti anche con le estreme ed evane-scenti parvenze del mondo naturale, presume di crearead hoc una seconda natura, attingendo i suoi deterioritemi entro il vacuo dell'Io psicologico e nelle emozioniche riceve dalla natura, ancorché la palese e stridentecontraddizione in questa simultaneità non lo consenti-rebbe.

L'astrattismo, nello sterile campo in cui s'è impegnatodi operare a mani vuote, deve per forza ricorrere adespedienti, e perciò mutua le sue immagini dalla simbo-logia geometrica, ritenendola più congeniale allo spiritoastratto e meno soggetta alla «sospetta» natura. Ma nonavverte che nell'uso improprio delle forme geometrichefinisce per dilapidare anche la ricca sostanza euclidea;infatti, se è vero che il fondamento della nozione figura-tiva risiede nei simboli geometrici, altrettanto vero è cheessi, presi a sé, quale fine a se stessi, privi come sono dicorpo naturale, risultano nella prassi artistica decisa-mente negativi e stanno all'arte come lo scheletro sta alcorpo vivente. Inoltre la geometrizzazione, che è un pro-cedimento intellettuale, investe un solo elementodell'oggetto, qualunque esso sia, e vengono trascuratitutti gli altri elementi. Ma se l'arte non tocca l'universa-le, essa impoverisce l'oggetto.

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nella natura un mistero da rivelare e un modello da imi-tare nella sua sostanza, l'astrattismo, ad onta del suo su-perbo assunto, si lascia dunque classificare come l'ulti-ma e più disperata incarnazione del romanticismo che,dopo aver rotto i ponti anche con le estreme ed evane-scenti parvenze del mondo naturale, presume di crearead hoc una seconda natura, attingendo i suoi deterioritemi entro il vacuo dell'Io psicologico e nelle emozioniche riceve dalla natura, ancorché la palese e stridentecontraddizione in questa simultaneità non lo consenti-rebbe.

L'astrattismo, nello sterile campo in cui s'è impegnatodi operare a mani vuote, deve per forza ricorrere adespedienti, e perciò mutua le sue immagini dalla simbo-logia geometrica, ritenendola più congeniale allo spiritoastratto e meno soggetta alla «sospetta» natura. Ma nonavverte che nell'uso improprio delle forme geometrichefinisce per dilapidare anche la ricca sostanza euclidea;infatti, se è vero che il fondamento della nozione figura-tiva risiede nei simboli geometrici, altrettanto vero è cheessi, presi a sé, quale fine a se stessi, privi come sono dicorpo naturale, risultano nella prassi artistica decisa-mente negativi e stanno all'arte come lo scheletro sta alcorpo vivente. Inoltre la geometrizzazione, che è un pro-cedimento intellettuale, investe un solo elementodell'oggetto, qualunque esso sia, e vengono trascuratitutti gli altri elementi. Ma se l'arte non tocca l'universa-le, essa impoverisce l'oggetto.

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Nella loro postulazione dell'antinatura e nella misticafuria di spezzatori d'immagini, gli astrattisti rinnovano,a dodici secoli di distanza, i trascorsi di quegli iconocla-sti, eretici e pedanti, ai quali il predicatore frate Giorda-ni attribuiva una «disperata salvatichezza» e Anton Ma-ria Salvini una «barbara empietà». Nel campo artisticomoderno ed in linguaggio laico, gli argomentidell'astrattismo non differiscono per nulla da quelliavanzati nel secolo ottavo da una sospetta cricca orien-tale per convincere l'imperatore bizantino Leone Isauri-co ad iniziare una lotta senza quartiere contro le imma-gini sacre, lotta che durò per oltre un secolo, mettendoin grave agitazione il mondo medievale. E parimente, lacondanna pronunciata nel secondo Concilio di Niceacontro l'iconoclasmo si basa su argomenti così validi infavore del culto delle immagini, da far ammutolire an-che il più abile dialettico dell'iconoclastia moderna. Difronte al pericolo, denunciato dagli iconoclasti, di unamistica ma irreligiosa idolatria delle immagini, gli ico-noduli, difensori delle immagini e vincitori a Nicea, ad-ditarono il pericolo ben maggiore insito nella decadenzadell'immagine e nella sua surrettizia trasformazione inarbitrari segni e maligni fantasmi figurativi. Il Concilioscelse la giusta via, e restaurò il culto delle immagini.

L'iconoclastia fu ed è, nel suo disanimato spirito ma-terialistico, una terribile forza distruttiva che forsennata-mente oppugna il miracolo della realtà naturale rivelatamediante la immagine. E gli odierni astrattisti, calcandole orme di Leone Isaurico, pretendono, nelle loro oscure

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Nella loro postulazione dell'antinatura e nella misticafuria di spezzatori d'immagini, gli astrattisti rinnovano,a dodici secoli di distanza, i trascorsi di quegli iconocla-sti, eretici e pedanti, ai quali il predicatore frate Giorda-ni attribuiva una «disperata salvatichezza» e Anton Ma-ria Salvini una «barbara empietà». Nel campo artisticomoderno ed in linguaggio laico, gli argomentidell'astrattismo non differiscono per nulla da quelliavanzati nel secolo ottavo da una sospetta cricca orien-tale per convincere l'imperatore bizantino Leone Isauri-co ad iniziare una lotta senza quartiere contro le imma-gini sacre, lotta che durò per oltre un secolo, mettendoin grave agitazione il mondo medievale. E parimente, lacondanna pronunciata nel secondo Concilio di Niceacontro l'iconoclasmo si basa su argomenti così validi infavore del culto delle immagini, da far ammutolire an-che il più abile dialettico dell'iconoclastia moderna. Difronte al pericolo, denunciato dagli iconoclasti, di unamistica ma irreligiosa idolatria delle immagini, gli ico-noduli, difensori delle immagini e vincitori a Nicea, ad-ditarono il pericolo ben maggiore insito nella decadenzadell'immagine e nella sua surrettizia trasformazione inarbitrari segni e maligni fantasmi figurativi. Il Concilioscelse la giusta via, e restaurò il culto delle immagini.

L'iconoclastia fu ed è, nel suo disanimato spirito ma-terialistico, una terribile forza distruttiva che forsennata-mente oppugna il miracolo della realtà naturale rivelatamediante la immagine. E gli odierni astrattisti, calcandole orme di Leone Isaurico, pretendono, nelle loro oscure

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pratiche, di rendere visibile il mondo invisibile demo-lendo il mondo visibile. Pertanto, nei fatti più tipici checostituiscono il fondo originario della pittura moderna,ravvisiamo i segni inconfondibili dello spirito negatore,da cui si è generato il male più pernicioso del nostrotempo artistico: la dedizione incondizionata a tutto ciòche tende al sovvertimento delle leggi sulle quali tradi-zionalmente poggia il principio di rappresentazione.Ognuno di noi pittori è stato preso nelle spire di codestopotere disgregatore ed ha speso quanto aveva di meglioper cercare giustificazioni intellettualistiche destinate asoverchiare la profonda inquietudine che si producequando sia assente quella certezza d'onde attinge le sueforze il legittimo potere artistico. Ma poiché nella deca-denza generale abbiamo toccato un fondo da cui si rice-ve la spinta stessa per risalire alla superficie, ci è impo-sto il dovere di individuare quei fatti, dentro i qualis'annida il germe del sovvertimento che, attraverso ilsuccedersi di manifestazioni artistiche apparentementecontradditorie fra di loro, ha aperto la strada alla marciatrionfale dell'astrattismo. Frattanto, la crisi già iniziatasicol dibattito tra arte e natura, dagli impressionisti ai fu-turisti, ha subìto una così acuta recrudescenza che oggi,con la carta dell'astrattismo, si giocano le sorti dell'artestessa.

L'astrattismo non è un fatto nuovo, impreveduto, pri-vo di premesse e di antecedenti storici. Mentre però lamera esistenzialità di un astrattismo avanti lettera nonpoteva dirottare il corso dell'arte né incidere sul suo de-

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pratiche, di rendere visibile il mondo invisibile demo-lendo il mondo visibile. Pertanto, nei fatti più tipici checostituiscono il fondo originario della pittura moderna,ravvisiamo i segni inconfondibili dello spirito negatore,da cui si è generato il male più pernicioso del nostrotempo artistico: la dedizione incondizionata a tutto ciòche tende al sovvertimento delle leggi sulle quali tradi-zionalmente poggia il principio di rappresentazione.Ognuno di noi pittori è stato preso nelle spire di codestopotere disgregatore ed ha speso quanto aveva di meglioper cercare giustificazioni intellettualistiche destinate asoverchiare la profonda inquietudine che si producequando sia assente quella certezza d'onde attinge le sueforze il legittimo potere artistico. Ma poiché nella deca-denza generale abbiamo toccato un fondo da cui si rice-ve la spinta stessa per risalire alla superficie, ci è impo-sto il dovere di individuare quei fatti, dentro i qualis'annida il germe del sovvertimento che, attraverso ilsuccedersi di manifestazioni artistiche apparentementecontradditorie fra di loro, ha aperto la strada alla marciatrionfale dell'astrattismo. Frattanto, la crisi già iniziatasicol dibattito tra arte e natura, dagli impressionisti ai fu-turisti, ha subìto una così acuta recrudescenza che oggi,con la carta dell'astrattismo, si giocano le sorti dell'artestessa.

L'astrattismo non è un fatto nuovo, impreveduto, pri-vo di premesse e di antecedenti storici. Mentre però lamera esistenzialità di un astrattismo avanti lettera nonpoteva dirottare il corso dell'arte né incidere sul suo de-

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stino, oggi invece, in forza della ideologia astrattista –fornita non dagli autori ma dalla critica – l'arte vienespinta irresistibilmente in una nuova zona, finora maiesplorata a fondo. Codesta ideologia, giunta a matura-zione, si manifesta sotto aspetti che non lasciano più in-certezze sulla organizzazione teorica dell'astrattismo ilquale, nella prassi, si afferma svincolato da qualsiasi re-sidua tradizione o legge d'arte e, spezzando le tavole de-gli antichi valori per imporne delle nuove, vanta di saperprodurre un corpo artistico completamente autonomo,cioè annuncia un potere da contrapporre al dominio del-la natura, una facoltà che attinga le forze motrici diretta-mente dal presunto spirito creatore insito nell'individuo,senza più ricorso al mondo oggettivo, senza riferimentialla natura, senza mediazione tra natura ed arte.

Ma troppo semplici e primitive, nella loro volgarizza-zione di problemi complessi, appaiono le formule pro-grammatiche dell'ideologia astrattista. Esse si compen-diano in due «proposizioni» principali:

1) Indipendenza dell'artista dalla natura, per cui alposto dell'oggetto di natura, screditato ed esautorato inun secolo d'arte moderna, subentra l'«oggetto artistico»,creato ex novo dall'artista.

2) Mentre in passato le forme si piegavano alle esi-genze dell'immagine, nel nostro tempo è l'immagine chedeve subordinarsi alla forma; l'immagine non solo pren-de un'importanza secondaria nell'opera pittorica, ma puòanche sparire del tutto.

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stino, oggi invece, in forza della ideologia astrattista –fornita non dagli autori ma dalla critica – l'arte vienespinta irresistibilmente in una nuova zona, finora maiesplorata a fondo. Codesta ideologia, giunta a matura-zione, si manifesta sotto aspetti che non lasciano più in-certezze sulla organizzazione teorica dell'astrattismo ilquale, nella prassi, si afferma svincolato da qualsiasi re-sidua tradizione o legge d'arte e, spezzando le tavole de-gli antichi valori per imporne delle nuove, vanta di saperprodurre un corpo artistico completamente autonomo,cioè annuncia un potere da contrapporre al dominio del-la natura, una facoltà che attinga le forze motrici diretta-mente dal presunto spirito creatore insito nell'individuo,senza più ricorso al mondo oggettivo, senza riferimentialla natura, senza mediazione tra natura ed arte.

Ma troppo semplici e primitive, nella loro volgarizza-zione di problemi complessi, appaiono le formule pro-grammatiche dell'ideologia astrattista. Esse si compen-diano in due «proposizioni» principali:

1) Indipendenza dell'artista dalla natura, per cui alposto dell'oggetto di natura, screditato ed esautorato inun secolo d'arte moderna, subentra l'«oggetto artistico»,creato ex novo dall'artista.

2) Mentre in passato le forme si piegavano alle esi-genze dell'immagine, nel nostro tempo è l'immagine chedeve subordinarsi alla forma; l'immagine non solo pren-de un'importanza secondaria nell'opera pittorica, ma puòanche sparire del tutto.

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In questa codificazione ideologica, la teoria astrattistanon cerca nemmeno di giustificarsi distinguendo tra lefalse e le autentiche interpretazioni della natura, e conte-sta brutalmente la ragione della sopravvivenzadell'oggetto. Senonché per millenaria esperienza si sache l'uomo non ha facoltà di realizzare il fatto artisticoal di fuori dei rapporti con la natura, per cui l'auspicato«oggetto artistico», presunta creazione autonomadell'artista, non trova né troverà mai una adeguata esem-plificazione nelle arti plastiche, ma soltanto un falso ri-scontro, fraudolentemente montato. Inoltre, è certo chegli antichi non operavano affatto nel senso di piegare laforma alle necessità della immagine: la misura del rap-porto è negli antichi così rigorosamente rispettata, chenon occorre ricercarne le testimonianze. Per contro,spezzata che sia l'unità della concezione artistica, la for-ma, dissociata dalla figura e considerata in se stessa, èun quid che sfugge a qualsiasi avveramento, perché ogniimmagine è figura ed ogni figura è forma; quindi, la for-ma a sé stante postulata dagli astrattisti non è altro cheun fantasma pittorico, infigurabile in arte. I Latini con-giungevano le voci «forma» e «figura», e Lucrezio per-tanto ammoniva di «serbare la figura della forma». Nonpertanto, gli astrattisti le disgiungono, asserviti comesono al folle proposito di creare in proprio, vale a direex nihil, opere autonome e sovrane, atee e inumane,all'infuori ed al di sopra di quella natura che – comesembrano dimenticare – è poi la stessa natura anchedell'uomo e dell'artista.

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In questa codificazione ideologica, la teoria astrattistanon cerca nemmeno di giustificarsi distinguendo tra lefalse e le autentiche interpretazioni della natura, e conte-sta brutalmente la ragione della sopravvivenzadell'oggetto. Senonché per millenaria esperienza si sache l'uomo non ha facoltà di realizzare il fatto artisticoal di fuori dei rapporti con la natura, per cui l'auspicato«oggetto artistico», presunta creazione autonomadell'artista, non trova né troverà mai una adeguata esem-plificazione nelle arti plastiche, ma soltanto un falso ri-scontro, fraudolentemente montato. Inoltre, è certo chegli antichi non operavano affatto nel senso di piegare laforma alle necessità della immagine: la misura del rap-porto è negli antichi così rigorosamente rispettata, chenon occorre ricercarne le testimonianze. Per contro,spezzata che sia l'unità della concezione artistica, la for-ma, dissociata dalla figura e considerata in se stessa, èun quid che sfugge a qualsiasi avveramento, perché ogniimmagine è figura ed ogni figura è forma; quindi, la for-ma a sé stante postulata dagli astrattisti non è altro cheun fantasma pittorico, infigurabile in arte. I Latini con-giungevano le voci «forma» e «figura», e Lucrezio per-tanto ammoniva di «serbare la figura della forma». Nonpertanto, gli astrattisti le disgiungono, asserviti comesono al folle proposito di creare in proprio, vale a direex nihil, opere autonome e sovrane, atee e inumane,all'infuori ed al di sopra di quella natura che – comesembrano dimenticare – è poi la stessa natura anchedell'uomo e dell'artista.

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Così l'astrattismo, disgregatore della natura ed elimi-natore delle immagini, profanatore ad un tempo della di-vinità e dell'umanità, si presenta sotto specie non solo dierrore artistico ma di colpa storica. Tutti i metodi, lo sti-le, la tattica e la tecnica d'uno sterminio organizzato ap-paiono trasferiti in quest'arte settaria, fosca e facinorosa,per cui l'astrattismo, quale apologia dello spirito distrut-tore e del nichilismo totale, si rivela un simulacro delnulla, un annuncio del caos, un abisso mortale che risuc-chia nel vuoto la natura e l'arte.

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Così l'astrattismo, disgregatore della natura ed elimi-natore delle immagini, profanatore ad un tempo della di-vinità e dell'umanità, si presenta sotto specie non solo dierrore artistico ma di colpa storica. Tutti i metodi, lo sti-le, la tattica e la tecnica d'uno sterminio organizzato ap-paiono trasferiti in quest'arte settaria, fosca e facinorosa,per cui l'astrattismo, quale apologia dello spirito distrut-tore e del nichilismo totale, si rivela un simulacro delnulla, un annuncio del caos, un abisso mortale che risuc-chia nel vuoto la natura e l'arte.

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«VALORI PLASTICI»

Se la storia, nel suo senso più appropriato, è una de-terminazione essenziale di valori, allora l'episodio di«Valori Plastici», lungi dall'esaurirsi come fatto di cro-naca, significa l'inizio di una vicenda storica venuta alenta maturazione nel corso di una generazione, e segnaancor oggi, come trent'anni fa, un punto di riferimentoattuale ed effettivo.

Il gruppo di artisti che durante un breve periodo ditempo si compose ed operò sotto l'insegna della rivista«Valori Plastici», fece la sua apparizione nell'immediatodopoguerra 1918. L'isolamento di cui si dolsero per unlustro le Nazioni d'Europa suscitò con il ritorno dellapace un desiderio febbrile di conoscenza reciproca, du-rante il quale gli artisti di «Valori Plastici», la cui prepa-razione era maturata nel periodo bellico, si trovarono incondizione di rispondere ai più urgenti interrogativi,mettendosi così al primo piano della vita e degli avvera-menti artistici di tutti i Paesi, e sopratutto – come poi ri-sultò ad evidenza dalla documentazione retrospettiva

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«VALORI PLASTICI»

Se la storia, nel suo senso più appropriato, è una de-terminazione essenziale di valori, allora l'episodio di«Valori Plastici», lungi dall'esaurirsi come fatto di cro-naca, significa l'inizio di una vicenda storica venuta alenta maturazione nel corso di una generazione, e segnaancor oggi, come trent'anni fa, un punto di riferimentoattuale ed effettivo.

Il gruppo di artisti che durante un breve periodo ditempo si compose ed operò sotto l'insegna della rivista«Valori Plastici», fece la sua apparizione nell'immediatodopoguerra 1918. L'isolamento di cui si dolsero per unlustro le Nazioni d'Europa suscitò con il ritorno dellapace un desiderio febbrile di conoscenza reciproca, du-rante il quale gli artisti di «Valori Plastici», la cui prepa-razione era maturata nel periodo bellico, si trovarono incondizione di rispondere ai più urgenti interrogativi,mettendosi così al primo piano della vita e degli avvera-menti artistici di tutti i Paesi, e sopratutto – come poi ri-sultò ad evidenza dalla documentazione retrospettiva

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alla Biennale del 1948 – nei confronti di quelli, i cui po-stulati meritavano una consapevole presa di posizione.Ma non fu soltanto questa tempestività storica della loroapparizione che polarizzò intorno alla loro attività l'inte-resse internazionale: a destarlo fu sopratutto la necessitàpropugnata e dimostrata dai protagonisti di «Valori Pla-stici» di riabilitare i principii generali che dominanol'arte.

La pittura era ormai davanti a un precipizio mortale.Disperate illusioni ne facevano ancora vivere il simula-cro attraverso sfide prometée da cui però già trasparivaun penoso grottesco. Evasa dai luoghi dove non per casonacque e fondò le sue leggi, ed emigrata verso Paesidove quelle leggi non trovarono più le condizioni fonda-mentali per garantire un ordine pittorico unitario, era na-turale che si acuisse la incompatibilità fra le moltepliciambizioni scaturite dal criticismo estetico, tendenze chenel processo dialettico si negavano vicendevolmente,senza più riammagliare le tesi ed antitesi in una sintesi.

Le aspirazioni di «Valori Plastici» si portarono subitoal di là degli interessi di un mondo artistico periferico,stagnante, parassitario e professionale. Gli artisti delgruppo, appartenenti per loro fortuna ad una generazio-ne che fu più spettatrice che attrice degli iniziali feno-meni del modernismo pittorico, dall'impressionismo alcubismo e al futurismo, incominciarono per primi a dif-fidare d'ogni formula tecnica, di tutti i metodi critici,speculativi e dialettici applicati all'arte, e si misero allaricerca per ritrovare la legge che gestisce e gerarchizza

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alla Biennale del 1948 – nei confronti di quelli, i cui po-stulati meritavano una consapevole presa di posizione.Ma non fu soltanto questa tempestività storica della loroapparizione che polarizzò intorno alla loro attività l'inte-resse internazionale: a destarlo fu sopratutto la necessitàpropugnata e dimostrata dai protagonisti di «Valori Pla-stici» di riabilitare i principii generali che dominanol'arte.

La pittura era ormai davanti a un precipizio mortale.Disperate illusioni ne facevano ancora vivere il simula-cro attraverso sfide prometée da cui però già trasparivaun penoso grottesco. Evasa dai luoghi dove non per casonacque e fondò le sue leggi, ed emigrata verso Paesidove quelle leggi non trovarono più le condizioni fonda-mentali per garantire un ordine pittorico unitario, era na-turale che si acuisse la incompatibilità fra le moltepliciambizioni scaturite dal criticismo estetico, tendenze chenel processo dialettico si negavano vicendevolmente,senza più riammagliare le tesi ed antitesi in una sintesi.

Le aspirazioni di «Valori Plastici» si portarono subitoal di là degli interessi di un mondo artistico periferico,stagnante, parassitario e professionale. Gli artisti delgruppo, appartenenti per loro fortuna ad una generazio-ne che fu più spettatrice che attrice degli iniziali feno-meni del modernismo pittorico, dall'impressionismo alcubismo e al futurismo, incominciarono per primi a dif-fidare d'ogni formula tecnica, di tutti i metodi critici,speculativi e dialettici applicati all'arte, e si misero allaricerca per ritrovare la legge che gestisce e gerarchizza

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le cose. Dovettero nel noviziato purificarsi, in crisi an-che violente, eliminando le esperienze fatue e scadenti,le illusioni campate sulla vanità, i trucchi e le estrosità, ideliri e gli stordimenti, per provare nella catarsi il mira-colo, dimesso da secoli, di vedersi rinascere. Tuttavia,non ancora abbastanza maturi per imitare l'oggetto dinatura, né abbastanza forti per affrontare il problema inpieno, si trincerarono da principio dietro la geometria.Anzi, nella fase della guarigione, si avvalsero di tutto unarsenale ortopedico-geometrico per impalcare le raffigu-razioni; ma già sotto il primitivismo di triangoli e losan-ghe circolava nuovamente il sangue dell'arte, e già neisuoi prodromi il riscatto dei valori plastici assumevaun'importanza che giustificava la definizione di pittura«metafisica», anche se, come avvenne in seguito, fuspesso erroneamente usata.

La pittura cosidetta metafisica ci diede la testimo-nianza di una più profonda coscienza storica dell'arte.Essa sorpassò le limitazioni ed i pregiudizi della moder-nità ad ogni costo, instaurando un compromesso, di va-lore indicativo nella storia dell'arte moderna, fra le pre-carie esperienze consumate dal cubismo e dai pittori fu-turisti da una parte, e dall'altra la conoscenza delle eter-ne condizioni cui l'arte deve obbedire per riscattare larappresentazione artistica dall'usurpazione soggettivisti-ca. Alla pittura metafisica spetta il titolo di aver sgom-brato il terreno dal pericolo incombente d'una totale dis-soluzione della integrità oggettiva, pericolo alimentatofin là dall'illusione che una più complessa ma fallace

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le cose. Dovettero nel noviziato purificarsi, in crisi an-che violente, eliminando le esperienze fatue e scadenti,le illusioni campate sulla vanità, i trucchi e le estrosità, ideliri e gli stordimenti, per provare nella catarsi il mira-colo, dimesso da secoli, di vedersi rinascere. Tuttavia,non ancora abbastanza maturi per imitare l'oggetto dinatura, né abbastanza forti per affrontare il problema inpieno, si trincerarono da principio dietro la geometria.Anzi, nella fase della guarigione, si avvalsero di tutto unarsenale ortopedico-geometrico per impalcare le raffigu-razioni; ma già sotto il primitivismo di triangoli e losan-ghe circolava nuovamente il sangue dell'arte, e già neisuoi prodromi il riscatto dei valori plastici assumevaun'importanza che giustificava la definizione di pittura«metafisica», anche se, come avvenne in seguito, fuspesso erroneamente usata.

La pittura cosidetta metafisica ci diede la testimo-nianza di una più profonda coscienza storica dell'arte.Essa sorpassò le limitazioni ed i pregiudizi della moder-nità ad ogni costo, instaurando un compromesso, di va-lore indicativo nella storia dell'arte moderna, fra le pre-carie esperienze consumate dal cubismo e dai pittori fu-turisti da una parte, e dall'altra la conoscenza delle eter-ne condizioni cui l'arte deve obbedire per riscattare larappresentazione artistica dall'usurpazione soggettivisti-ca. Alla pittura metafisica spetta il titolo di aver sgom-brato il terreno dal pericolo incombente d'una totale dis-soluzione della integrità oggettiva, pericolo alimentatofin là dall'illusione che una più complessa ma fallace

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nozione dell'oggetto, nella varietà inutilmente potenziatadei suoi aspetti, potesse surrogare la conoscenza intrin-seca di esso.

La riabilitazione dell'immagine, attraverso la qualeunicamente la natura si rende accessibile, rappresenta unimportante apporto della pittura metafisica, ancorchéesso si produca con mezzi di fortuna che incorrono inuna mitografia in cui intervengono proditoriamente isimboli della geometria, ultima linea difensiva dei so-pravvissuti artisti moderni contro una natura dalla qualeson stati espulsi. Codesta mitografia dei «metafisici»,sia per la materia pittorica altamente selezionata, sia peril discorso che si genera tra i suoi elementi figurativi,suscita in noi quella verità, dalla quale attingiamo la cer-tezza di appartenere ad un mondo non ancora estinto.Forse il monito all'essenziale, cui i pittori metafisici sep-pero dar voce, prese origine dalla stessa esigenza che inuna ulteriore tappa del loro cammino suggerì la rinunciaai termini del compromesso, onde misurarsi direttamen-te con la natura.

Infatti, l'atto più importante compiuto in questo ciclodai protagonisti della vicenda non fu la pittura «metafi-sica» come tale, provvisoria sebbene venuta in granfama, poiché essi ben presto uscirono dal rigorismo geo-metrico, dando via via più corpo alle cose. Il loro attodecisivo – non dichiarato ideologicamente, ma palese inpitture e scritti – fu l'abiura del modernismo e la conver-sione agli antichi principii estetici, avvenute dopo un se-colo e mezzo di sterile progressismo artistico. Anziché

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nozione dell'oggetto, nella varietà inutilmente potenziatadei suoi aspetti, potesse surrogare la conoscenza intrin-seca di esso.

La riabilitazione dell'immagine, attraverso la qualeunicamente la natura si rende accessibile, rappresenta unimportante apporto della pittura metafisica, ancorchéesso si produca con mezzi di fortuna che incorrono inuna mitografia in cui intervengono proditoriamente isimboli della geometria, ultima linea difensiva dei so-pravvissuti artisti moderni contro una natura dalla qualeson stati espulsi. Codesta mitografia dei «metafisici»,sia per la materia pittorica altamente selezionata, sia peril discorso che si genera tra i suoi elementi figurativi,suscita in noi quella verità, dalla quale attingiamo la cer-tezza di appartenere ad un mondo non ancora estinto.Forse il monito all'essenziale, cui i pittori metafisici sep-pero dar voce, prese origine dalla stessa esigenza che inuna ulteriore tappa del loro cammino suggerì la rinunciaai termini del compromesso, onde misurarsi direttamen-te con la natura.

Infatti, l'atto più importante compiuto in questo ciclodai protagonisti della vicenda non fu la pittura «metafi-sica» come tale, provvisoria sebbene venuta in granfama, poiché essi ben presto uscirono dal rigorismo geo-metrico, dando via via più corpo alle cose. Il loro attodecisivo – non dichiarato ideologicamente, ma palese inpitture e scritti – fu l'abiura del modernismo e la conver-sione agli antichi principii estetici, avvenute dopo un se-colo e mezzo di sterile progressismo artistico. Anziché

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cercare la soluzione dei problemi d'arte nell'avvenire, af-fidandosi all'utopia di una palingenesi estetica, essi pre-sero la difficile via del ritorno, e risalirono alle fonti:dall'ingrato ed egocentrico presente al borghesismo pro-vinciale del secolo scorso, e all'estro lezioso del Sette-cento, indi attraverso il nuvolare delirio del Barocco, incui l'impeto dell'artefice si sovrappone alla raffigurazio-ne, alla inappellabile ma ermetica perfezione del secon-do Rinascimento; e senza sostare risalirono ancora,chiedendo ausilio chi a Masaccio e chi a Paolo Uccello,per il massiccio volume che si sprigiona nello spaziodell'uno, per l'apoteosi mistica della geometria nell'altro;e più oltre e lontano infine verso le male esplorate zonedell'Etruria e della Magna Grecia, e verso il misteriosoantefatto primordiale.

Fu una storia di pionieri.Dall'avventuroso viaggio nel tempo, essi riportarono

l'assiomatica nozione di corpo, volume e spazio comefondamento della raffigurazione plastica; ed il campodella loro attività rimase definito da siffatta nozione.Essi riscoprirono la verità dogmatica, secondo cui, comela musica si esprime con i suoni e la poesia con le paro-le, così l'arte si dimostra per mezzo della forma corpora-le e fisica. In conseguenza essi stabilirono che ogni cosain pittura debba esser detta tramite il fisico, il corporale,il concreto; per cui, chi si attribuisce la facoltà di espri-mere le cose, deve cadere sotto l'impero delle leggi cheregolano la rappresentazione figurativa.

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cercare la soluzione dei problemi d'arte nell'avvenire, af-fidandosi all'utopia di una palingenesi estetica, essi pre-sero la difficile via del ritorno, e risalirono alle fonti:dall'ingrato ed egocentrico presente al borghesismo pro-vinciale del secolo scorso, e all'estro lezioso del Sette-cento, indi attraverso il nuvolare delirio del Barocco, incui l'impeto dell'artefice si sovrappone alla raffigurazio-ne, alla inappellabile ma ermetica perfezione del secon-do Rinascimento; e senza sostare risalirono ancora,chiedendo ausilio chi a Masaccio e chi a Paolo Uccello,per il massiccio volume che si sprigiona nello spaziodell'uno, per l'apoteosi mistica della geometria nell'altro;e più oltre e lontano infine verso le male esplorate zonedell'Etruria e della Magna Grecia, e verso il misteriosoantefatto primordiale.

Fu una storia di pionieri.Dall'avventuroso viaggio nel tempo, essi riportarono

l'assiomatica nozione di corpo, volume e spazio comefondamento della raffigurazione plastica; ed il campodella loro attività rimase definito da siffatta nozione.Essi riscoprirono la verità dogmatica, secondo cui, comela musica si esprime con i suoni e la poesia con le paro-le, così l'arte si dimostra per mezzo della forma corpora-le e fisica. In conseguenza essi stabilirono che ogni cosain pittura debba esser detta tramite il fisico, il corporale,il concreto; per cui, chi si attribuisce la facoltà di espri-mere le cose, deve cadere sotto l'impero delle leggi cheregolano la rappresentazione figurativa.

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Mentre gli artisti di «Valori Plastici» procedevano atappa a tappa sulla via del ritorno alla tradizione, anchese operavano con mezzi non sempre idonei al compito, imodernisti, giunti frattanto alle ultime conseguenze delfenomenico, rappresentavano precisamente quel mondotraviato e impenitente da cui i nostri erano evasi. Pro-prio quando l'esasperazione modernista tralignava fino anegare dignità ed autonomia all'oggetto, nel campo di«Valori Plastici» le aspirazioni s'imperniavano sulle ri-cerche atte a convertire l'oggetto in immagine plastica,custode di quel riverbero di verità divina capace ognora,sia pur umilmente, sia pure in parte minima, a rivelarcila natura come al non-artista non è consentito di vederla.

Cauti e quasi restii nel partecipare quanto della naturanella sua sostanza poteva essere rivelato, senza incorrerenella vanità e nell'oltraggio di cui ancora il corpo pittori-co portava le ferite, gli artisti di «Valori Plastici» ben sa-pevano, che la conoscenza non si acquista che a gradi eper grazia, e che futile è ogni surrogato della verità.

Ma per quanto modesto possa apparire il loro contri-buto in paragone con i periodi culminanti dell'arte figu-rativa, l'intervento di «Valori Plastici» fu un segnaled'esordio. Furono gli artisti di questo gruppo – Carrà,De Chirico, Morandi, Martini – a esorcizzare per primiil modernismo. Furono essi ad esautorare il cerebrali-smo artistico, a riorientare l'arte su taluni principii fon-damentali, preparando così l'avvento di un nuovo statusartistico. Senza dubbio, essi non furono che i primitivid'un nuovo classicismo, ancora abbagliati dalla gran

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Mentre gli artisti di «Valori Plastici» procedevano atappa a tappa sulla via del ritorno alla tradizione, anchese operavano con mezzi non sempre idonei al compito, imodernisti, giunti frattanto alle ultime conseguenze delfenomenico, rappresentavano precisamente quel mondotraviato e impenitente da cui i nostri erano evasi. Pro-prio quando l'esasperazione modernista tralignava fino anegare dignità ed autonomia all'oggetto, nel campo di«Valori Plastici» le aspirazioni s'imperniavano sulle ri-cerche atte a convertire l'oggetto in immagine plastica,custode di quel riverbero di verità divina capace ognora,sia pur umilmente, sia pure in parte minima, a rivelarcila natura come al non-artista non è consentito di vederla.

Cauti e quasi restii nel partecipare quanto della naturanella sua sostanza poteva essere rivelato, senza incorrerenella vanità e nell'oltraggio di cui ancora il corpo pittori-co portava le ferite, gli artisti di «Valori Plastici» ben sa-pevano, che la conoscenza non si acquista che a gradi eper grazia, e che futile è ogni surrogato della verità.

Ma per quanto modesto possa apparire il loro contri-buto in paragone con i periodi culminanti dell'arte figu-rativa, l'intervento di «Valori Plastici» fu un segnaled'esordio. Furono gli artisti di questo gruppo – Carrà,De Chirico, Morandi, Martini – a esorcizzare per primiil modernismo. Furono essi ad esautorare il cerebrali-smo artistico, a riorientare l'arte su taluni principii fon-damentali, preparando così l'avvento di un nuovo statusartistico. Senza dubbio, essi non furono che i primitivid'un nuovo classicismo, ancora abbagliati dalla gran

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luce della tradizione e impacciati, talvolta anche per ri-cadute soggettivistiche, nell'operare con mezzi venuti indisuso e dimenticati. Ma in virtù di quella voce di veritàche fu data ai protagonisti di «Valori Plastici», la loroopera ebbe il potere di generare nuovi impulsi, ricolle-gando con il loro messaggio un remoto passato a un lon-tano avvenire ed approntando gli elementi per la restau-razione dell'universalismo artistico.

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luce della tradizione e impacciati, talvolta anche per ri-cadute soggettivistiche, nell'operare con mezzi venuti indisuso e dimenticati. Ma in virtù di quella voce di veritàche fu data ai protagonisti di «Valori Plastici», la loroopera ebbe il potere di generare nuovi impulsi, ricolle-gando con il loro messaggio un remoto passato a un lon-tano avvenire ed approntando gli elementi per la restau-razione dell'universalismo artistico.

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IMITAZIONE DI NATURA

Nel campo dell'arte contemporanea, sempre più divi-so e sconvolto dai violenti contrasti tra le opposte fazio-ni, alligna fra tutte soltanto una tendenza maggioritaria,quella ostile al principio estetico che fu l'assunto fonda-mentale dell'arte antica: la imitazione di natura. È inne-gabile che oggi, nel campo artistico, un senso di tediointollerante investe ed esautora gran parte delle operedel passato, per cui la superstite ammirazione tributata aqueste opere non è se non un insincero atteggiamentoconvenzionale. Persino i maggiori Maestri antichi ri-scuotono solo vacue lodi ufficiali. Il ciclo biologicodell'arte tradizionale sembra esaurito. Sorge in tutti gliambienti dei cultori d'arte una viva aspirazione al nuo-vo, ancora sospesa però tra il disamoramento di quel chefu e il sospetto di quel che è. E l'uomo della strada, sesbatte nelle Gallerie e Mostre, si irride bensì delle esibi-zioni novatrici, ma non s'emoziona più affatto dinanzialle opere consacrate dalla storia.

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IMITAZIONE DI NATURA

Nel campo dell'arte contemporanea, sempre più divi-so e sconvolto dai violenti contrasti tra le opposte fazio-ni, alligna fra tutte soltanto una tendenza maggioritaria,quella ostile al principio estetico che fu l'assunto fonda-mentale dell'arte antica: la imitazione di natura. È inne-gabile che oggi, nel campo artistico, un senso di tediointollerante investe ed esautora gran parte delle operedel passato, per cui la superstite ammirazione tributata aqueste opere non è se non un insincero atteggiamentoconvenzionale. Persino i maggiori Maestri antichi ri-scuotono solo vacue lodi ufficiali. Il ciclo biologicodell'arte tradizionale sembra esaurito. Sorge in tutti gliambienti dei cultori d'arte una viva aspirazione al nuo-vo, ancora sospesa però tra il disamoramento di quel chefu e il sospetto di quel che è. E l'uomo della strada, sesbatte nelle Gallerie e Mostre, si irride bensì delle esibi-zioni novatrici, ma non s'emoziona più affatto dinanzialle opere consacrate dalla storia.

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Gli artisti d'avanguardia sentono urgere l'istanza delnuovo e inesplorato, atta a intensificare vieppiù il lororisentimento contro un mondo oggettivo ormai sfruttatoda millenarie raffigurazioni. I procedimenti artistici tra-dizionali, attraverso gli abusi della consuetudine, non si-gnificano più scoperte, e quindi non fanno presa; e nes-sun capolavoro riesce ormai tale da strappare il grido.L'artista si accorge che l'oggetto di natura oggi non ren-de come un tempo ai fini figurativi; i conti non tornanoe la pratica della imitazione di natura pare ridotta a ge-stione fallimentare. Da tempo, l'oggetto di naturas'appresenta esteticamente irrilevante, e risulta menoeloquente sulla tela che in natura. Arido, refrattario eamusico, l'oggetto non si esprime più, né invita l'artistaa perorare in suo favore. Inutile blandirlo o prenderlo dipetto; sprecata ogni lusinga, è pur oziosa ogni aggres-sione, sezione, scomposizione per fargli rivelare il suosegreto. L'oggetto rimane chiuso in se stesso, giace iner-te e sfervorato, e vano finora è risultato il tentativo,dall'impressionismo a questa parte, di riallacciare trasoggetto e oggetto un rapporto traducibile in arte. Nonv'è più simpatia, né affinità, né comunicativa, non vi èpiù fedeltà tra artista e oggetto: l'uno tradisce l'altro. Ècome se l'oggetto di natura covasse un rancore control'artista, il quale a sua volta non riesce più a captaremessaggi sensorei da una natura ammutolita e ognor piùlontana. Il veicolo dei sensi, ostacolato da questa rotturadi rapporti, rimane bloccato all'orlo dell'abisso apertositra natura ed arte. I sensi, sottratti al superiore controllo,

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Gli artisti d'avanguardia sentono urgere l'istanza delnuovo e inesplorato, atta a intensificare vieppiù il lororisentimento contro un mondo oggettivo ormai sfruttatoda millenarie raffigurazioni. I procedimenti artistici tra-dizionali, attraverso gli abusi della consuetudine, non si-gnificano più scoperte, e quindi non fanno presa; e nes-sun capolavoro riesce ormai tale da strappare il grido.L'artista si accorge che l'oggetto di natura oggi non ren-de come un tempo ai fini figurativi; i conti non tornanoe la pratica della imitazione di natura pare ridotta a ge-stione fallimentare. Da tempo, l'oggetto di naturas'appresenta esteticamente irrilevante, e risulta menoeloquente sulla tela che in natura. Arido, refrattario eamusico, l'oggetto non si esprime più, né invita l'artistaa perorare in suo favore. Inutile blandirlo o prenderlo dipetto; sprecata ogni lusinga, è pur oziosa ogni aggres-sione, sezione, scomposizione per fargli rivelare il suosegreto. L'oggetto rimane chiuso in se stesso, giace iner-te e sfervorato, e vano finora è risultato il tentativo,dall'impressionismo a questa parte, di riallacciare trasoggetto e oggetto un rapporto traducibile in arte. Nonv'è più simpatia, né affinità, né comunicativa, non vi èpiù fedeltà tra artista e oggetto: l'uno tradisce l'altro. Ècome se l'oggetto di natura covasse un rancore control'artista, il quale a sua volta non riesce più a captaremessaggi sensorei da una natura ammutolita e ognor piùlontana. Il veicolo dei sensi, ostacolato da questa rotturadi rapporti, rimane bloccato all'orlo dell'abisso apertositra natura ed arte. I sensi, sottratti al superiore controllo,

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cessano di funzionare da tramite tra oggetto e oggetto, eprendono a dettar legge in sede autonoma, trattenendo lesensazioni fisiche che tendono a organizzarsi per pro-prio conto. Così l'artista, ridotto in cattività dei sensi,stanco di cercare invano il quid animatore dell'oggettodi natura, nauseato alla fine della frode di attribuirgli si-gnificati impropri per dargli una consistenza, lo espellefuor dei confini dell'arte e volge lui stesso le spalle allanatura, dirigendo i suoi sforzi convulsi e le sue spasmo-diche ricerche verso un empireo astratto.

Dirottare lo spirito dalla natura gli sembra un'avven-tura estetica tanto più promettente, in quanto esiste unaantica faida tra natura e spirito. Però, il tentativo esteticodi evadere dalla natura e di sostituire l'oggetto naturalecon un oggetto artistico liberamente creato senza far ri-corso alle forme naturali e senza più obbedire alle leggidella natura, cozza e s'infrange contro le inamovibilibarriere imposte alle facoltà creative dell'uomo, per cuiall'artista non è dato d'inventare forme nuove.

Pittura e scultura hanno un destino figurativo. Pereluderlo, non serve all'artista né l'appello alla gerarchiageometrica o alla stirpe dei numeri, perché anche questesono preformate in natura, né lo sconfinamento nelmondo dei puri ritmi, ugualmente conclusi in natura.Qualora poi egli rimetta la causa artistica al proprio Io escenda in se stesso fino a quella profonda scaturigineove non ebbe mai luogo la polarizzazione tra soggetto eoggetto, potrà avvertire almeno, che anch'egli appartie-ne, corpo e anima, alla natura. E se infine come ultima

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cessano di funzionare da tramite tra oggetto e oggetto, eprendono a dettar legge in sede autonoma, trattenendo lesensazioni fisiche che tendono a organizzarsi per pro-prio conto. Così l'artista, ridotto in cattività dei sensi,stanco di cercare invano il quid animatore dell'oggettodi natura, nauseato alla fine della frode di attribuirgli si-gnificati impropri per dargli una consistenza, lo espellefuor dei confini dell'arte e volge lui stesso le spalle allanatura, dirigendo i suoi sforzi convulsi e le sue spasmo-diche ricerche verso un empireo astratto.

Dirottare lo spirito dalla natura gli sembra un'avven-tura estetica tanto più promettente, in quanto esiste unaantica faida tra natura e spirito. Però, il tentativo esteticodi evadere dalla natura e di sostituire l'oggetto naturalecon un oggetto artistico liberamente creato senza far ri-corso alle forme naturali e senza più obbedire alle leggidella natura, cozza e s'infrange contro le inamovibilibarriere imposte alle facoltà creative dell'uomo, per cuiall'artista non è dato d'inventare forme nuove.

Pittura e scultura hanno un destino figurativo. Pereluderlo, non serve all'artista né l'appello alla gerarchiageometrica o alla stirpe dei numeri, perché anche questesono preformate in natura, né lo sconfinamento nelmondo dei puri ritmi, ugualmente conclusi in natura.Qualora poi egli rimetta la causa artistica al proprio Io escenda in se stesso fino a quella profonda scaturigineove non ebbe mai luogo la polarizzazione tra soggetto eoggetto, potrà avvertire almeno, che anch'egli appartie-ne, corpo e anima, alla natura. E se infine come ultima

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risorsa tenterà di allearsi allo spirito puro, il più forteantagonista della natura, allora gli sarà riservato l'estre-mo disinganno, cioè la sconcertante nozione, che lo spi-rito puro è una potenza extraterrena, infigurabile in arte.

Tale la precaria, se non ancora disperata e irreparabilesituazione dell'arte moderna. L'artista oggi si trova sper-duto in un assurdo labirinto, dove ogni orientamento in-ganna. Infatti, insistendo su complicate vie nella ricercadell'«oggetto artistico», non troverà mai la possibilità disboccare nella rappresentazione figurativa. Né, per giun-gere all'uscita, potrà affidarsi alle segnalazioni dello spi-rito puro, il cui linguaggio in arte è incomprensibile.

Senonché, nel caos generale in cui l'arte moderna èprecipitata, esiste e resiste ancora una indicazione rive-latrice della giusta via: una pagina, aurea pietra miliare,nello Zibaldone di Leopardi. Il problema, perché l'artenon possa prescindere dalla condizione che l'oggettorappresentato sia riconoscibile, e quello decisivo circa ladifferenziazione tra natura ed antinatura nel campo este-tico – questioni d'importanza capitale, in quanto poten-zialmente intese a restaurare la legge eterna dell'arte –furono posti e risolti una volta per sempre da Leopardi,nella sua Polemica contro i romantici. Il Poeta, prenden-do per pretesto l'altrui interpretazione, secondo cui l'arteconsiste nel rendere quella profondità di sentimento chesi prova col mezzo dell'impressione che fa sui sensiqualche cosa di natura, suscita il senso vitale dell'artecon la domanda: Che cosa è che eccita questi sentimentinegli uomini? E risponde: La natura, purissima, tale

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risorsa tenterà di allearsi allo spirito puro, il più forteantagonista della natura, allora gli sarà riservato l'estre-mo disinganno, cioè la sconcertante nozione, che lo spi-rito puro è una potenza extraterrena, infigurabile in arte.

Tale la precaria, se non ancora disperata e irreparabilesituazione dell'arte moderna. L'artista oggi si trova sper-duto in un assurdo labirinto, dove ogni orientamento in-ganna. Infatti, insistendo su complicate vie nella ricercadell'«oggetto artistico», non troverà mai la possibilità disboccare nella rappresentazione figurativa. Né, per giun-gere all'uscita, potrà affidarsi alle segnalazioni dello spi-rito puro, il cui linguaggio in arte è incomprensibile.

Senonché, nel caos generale in cui l'arte moderna èprecipitata, esiste e resiste ancora una indicazione rive-latrice della giusta via: una pagina, aurea pietra miliare,nello Zibaldone di Leopardi. Il problema, perché l'artenon possa prescindere dalla condizione che l'oggettorappresentato sia riconoscibile, e quello decisivo circa ladifferenziazione tra natura ed antinatura nel campo este-tico – questioni d'importanza capitale, in quanto poten-zialmente intese a restaurare la legge eterna dell'arte –furono posti e risolti una volta per sempre da Leopardi,nella sua Polemica contro i romantici. Il Poeta, prenden-do per pretesto l'altrui interpretazione, secondo cui l'arteconsiste nel rendere quella profondità di sentimento chesi prova col mezzo dell'impressione che fa sui sensiqualche cosa di natura, suscita il senso vitale dell'artecon la domanda: Che cosa è che eccita questi sentimentinegli uomini? E risponde: La natura, purissima, tale

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qual'è, tal quale la vedevano gli antichi... La natura daper sé e per propria forza insita in lei, e non tolta inprestito da nessuna cosa, sveglia questi sentimenti. Orache facevano gli antichi? Dipingevano così semplice-mente la natura e quegli oggetti e quelle circostanzeche svegliano per propria forza questi sentimenti, e lisapevano dipingere e imitare in maniera che noi li ve-diamo, questi stessi oggetti, per quanto è possibile, qua-li sono in natura; e perché in natura ci destano questisentimenti, anche dipinti e imitati con tanta perfezionece li destano ugualmente... Se questi sentimenti sonoprodotti dalla nuda natura, per destarli bisogna imitarela nuda natura... La natura qual ella è bisogna imitare,ed hanno imitato gli antichi, con infinita verecondia...La natura in quanto natura è tutta essenzialmente poeti-ca.

Il Leopardi, nella magistrale esegesi dell'antica normad'arte, identifica sostanzialmente, in sede estetica, lacreazione con la imitazione, cioè la produzione artisticacon l'emulazione della natura, rigettando in pari tempoogni intervento arbitrario dell'Io nell'atto stesso della«imitazione». Egli annuncia il principio assiomatico, se-condo cui bisogna imitare la nuda natura, quella essen-zialmente poetica, e non già una natura addomesticata outilitaria o moralizzante o soggettivizzata o comunquevestita di psicologismi o di caratteri accidentali ad essaestranei, né quella parvenza di natura, svuotata di so-stanza poetica, che le accademiche copisterie riportanoin forme larvali. Imitare compiutamente la natura quindi

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qual'è, tal quale la vedevano gli antichi... La natura daper sé e per propria forza insita in lei, e non tolta inprestito da nessuna cosa, sveglia questi sentimenti. Orache facevano gli antichi? Dipingevano così semplice-mente la natura e quegli oggetti e quelle circostanzeche svegliano per propria forza questi sentimenti, e lisapevano dipingere e imitare in maniera che noi li ve-diamo, questi stessi oggetti, per quanto è possibile, qua-li sono in natura; e perché in natura ci destano questisentimenti, anche dipinti e imitati con tanta perfezionece li destano ugualmente... Se questi sentimenti sonoprodotti dalla nuda natura, per destarli bisogna imitarela nuda natura... La natura qual ella è bisogna imitare,ed hanno imitato gli antichi, con infinita verecondia...La natura in quanto natura è tutta essenzialmente poeti-ca.

Il Leopardi, nella magistrale esegesi dell'antica normad'arte, identifica sostanzialmente, in sede estetica, lacreazione con la imitazione, cioè la produzione artisticacon l'emulazione della natura, rigettando in pari tempoogni intervento arbitrario dell'Io nell'atto stesso della«imitazione». Egli annuncia il principio assiomatico, se-condo cui bisogna imitare la nuda natura, quella essen-zialmente poetica, e non già una natura addomesticata outilitaria o moralizzante o soggettivizzata o comunquevestita di psicologismi o di caratteri accidentali ad essaestranei, né quella parvenza di natura, svuotata di so-stanza poetica, che le accademiche copisterie riportanoin forme larvali. Imitare compiutamente la natura quindi

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significa emulare l'opera di Dio, rendere la sua potenzacatartica, riprodurla geneticamente e non per copia mec-canica, qual essa è, non come essa appare.

In tal senso superiore, l'imitazione di natura sfiora ilmiracolo, incitando l'artista a operare per la restaurazio-ne del paradiso terrestre. Con ciò, è conferita all'artistala suprema missione riservata agli umani: quella di com-pletare e perfezionare il creato, restituendo la naturaall'uomo e l'uomo alla natura.

Leopardi, nell'atto di restaurare l'antico principio diimitazione, esorta l'artista a non parlare in persona pro-pria perché «quanto più aggiunge di suo tanto menoimita», ed a guardarsi bene di non cadere «tra le branchedella ragione». Questa esclusione del soggettivismo edel razionalismo dal campo artistico indica, per lomeno, che la imitazione di natura non è pacifica comesembra a coloro che per eccesso di candore corrono i ri-schi che proprio vorrebbero evitare. Poiché il vago, seb-bene perentorio, ammonimento di Leopardi sfiora laconcezione che l'arte figurativa non sia affatto unaespressione autonoma dell'artista, bensì l'attività creati-va della stessa natura nell'uomo spoglio di velleità indi-vidualistiche e svincolato dagli schemi logici. Si ponecosì, rispetto alla imitazione di natura, il problema deirapporti reciproci tra arte e natura, tra artista ed oggetto,che potrà essere risolto qualora si riesca a varcare i limi-ti dinanzi ai quali la indagine leopardiana si è fermata.

I rapporti tra uomo e natura appaiono normalmentedeterminati dalle impressioni che si ricevono tramite i

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significa emulare l'opera di Dio, rendere la sua potenzacatartica, riprodurla geneticamente e non per copia mec-canica, qual essa è, non come essa appare.

In tal senso superiore, l'imitazione di natura sfiora ilmiracolo, incitando l'artista a operare per la restaurazio-ne del paradiso terrestre. Con ciò, è conferita all'artistala suprema missione riservata agli umani: quella di com-pletare e perfezionare il creato, restituendo la naturaall'uomo e l'uomo alla natura.

Leopardi, nell'atto di restaurare l'antico principio diimitazione, esorta l'artista a non parlare in persona pro-pria perché «quanto più aggiunge di suo tanto menoimita», ed a guardarsi bene di non cadere «tra le branchedella ragione». Questa esclusione del soggettivismo edel razionalismo dal campo artistico indica, per lomeno, che la imitazione di natura non è pacifica comesembra a coloro che per eccesso di candore corrono i ri-schi che proprio vorrebbero evitare. Poiché il vago, seb-bene perentorio, ammonimento di Leopardi sfiora laconcezione che l'arte figurativa non sia affatto unaespressione autonoma dell'artista, bensì l'attività creati-va della stessa natura nell'uomo spoglio di velleità indi-vidualistiche e svincolato dagli schemi logici. Si ponecosì, rispetto alla imitazione di natura, il problema deirapporti reciproci tra arte e natura, tra artista ed oggetto,che potrà essere risolto qualora si riesca a varcare i limi-ti dinanzi ai quali la indagine leopardiana si è fermata.

I rapporti tra uomo e natura appaiono normalmentedeterminati dalle impressioni che si ricevono tramite i

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sensi e che in sede razionale vengono registrate ed ela-borate ai fini di quella dominazione sulla natura – siaessa di carattere pratico, conoscitivo o artistico – di cuila presente civiltà va così fiera. Tale atteggiamento nonpuò non postulare la diversità essenziale tra l'uomo e lanatura, e infatti esso si individua nel giudizio aprioristi-co secondo cui la natura deve venir soggiogata perchénemica dell'uomo, mentre in realtà è l'uomo che, spintoda volizioni razionali e intellettuali, irrompe da nemicoe distruttore nel sereno regno della natura.

Ora se l'artista, immemore della sua alta missione, in-siste anche lui nel comune orientamento logocentrico,rimanendo strumento di uno spirito antinaturale per de-finizione, non potrà certo reclamare che l'oggetto di na-tura si riveli al suo sguardo snaturante. A nulla portal'adozione della formula «imitazione di natura», se l'arti-sta non dimette tutto l'habitus intellettualistico acquisitofuori e dentro il campo della cosidetta arte moderna e senon riscopre in sé la facoltà smarrita di accostarsi allanatura, non sulla via dello spirito, ma su quella dell'ani-ma. Non più gli sarà consentito di captare razionalmentee intellettualmente le impressioni trasmessegli dai sensi;larghissimamente invece dovrà aprire le porte dell'animaalle immagini naturali, e soltanto allora potrà se mai av-venire, come dono di natura, la rivelazione spontaneadell'oggetto. Contrariamente a un'opinione ormai quat-tro volte secolare, impostasi con il trionfo della tecnica,nel rapporto tra artista e natura, che è comunione e non

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sensi e che in sede razionale vengono registrate ed ela-borate ai fini di quella dominazione sulla natura – siaessa di carattere pratico, conoscitivo o artistico – di cuila presente civiltà va così fiera. Tale atteggiamento nonpuò non postulare la diversità essenziale tra l'uomo e lanatura, e infatti esso si individua nel giudizio aprioristi-co secondo cui la natura deve venir soggiogata perchénemica dell'uomo, mentre in realtà è l'uomo che, spintoda volizioni razionali e intellettuali, irrompe da nemicoe distruttore nel sereno regno della natura.

Ora se l'artista, immemore della sua alta missione, in-siste anche lui nel comune orientamento logocentrico,rimanendo strumento di uno spirito antinaturale per de-finizione, non potrà certo reclamare che l'oggetto di na-tura si riveli al suo sguardo snaturante. A nulla portal'adozione della formula «imitazione di natura», se l'arti-sta non dimette tutto l'habitus intellettualistico acquisitofuori e dentro il campo della cosidetta arte moderna e senon riscopre in sé la facoltà smarrita di accostarsi allanatura, non sulla via dello spirito, ma su quella dell'ani-ma. Non più gli sarà consentito di captare razionalmentee intellettualmente le impressioni trasmessegli dai sensi;larghissimamente invece dovrà aprire le porte dell'animaalle immagini naturali, e soltanto allora potrà se mai av-venire, come dono di natura, la rivelazione spontaneadell'oggetto. Contrariamente a un'opinione ormai quat-tro volte secolare, impostasi con il trionfo della tecnica,nel rapporto tra artista e natura, che è comunione e non

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contrapposizione, il ruolo attivo spetta all'oggetto, maial soggetto.

Come nel mito antico, anche l'artista s'impone la scel-ta tra due vie: o ricevere le sensazioni provenienti dalmondo naturale con lo spirito, o riceverle con l'anima; oscrutare la natura con occhio razionale ed intellettuali-stico, o mirarla con l'occhio del cuore. Non v'è alcunavia di mezzo: l'attività spirituale produce unicamenteconcetti, mentre la visione, che coglie immagini, avvie-ne soltanto nella regione dell'anima. Il compromesso trai due termini opposti, come la «visione intellettuale» dicui scrivono Plotino e Schelling e taluni filosofi francesimoderni, è rimasto lettera morta.

Già Eraclito, in qualche suo aforisma di «stile delfi-co», aveva intravisto che i contenuti concettuali nonsono che parvenze, anticipando prodigiosamente le piùrecenti nozioni, secondo cui le immagini racchiudonopiù realtà e verità dei concetti.

Anche Plotino, nelle «Enneadi», chiudendo per un at-timo gli occhi sull'arida chiarezza del logos, avverte chela fusione tra soggetto e oggetto nella visione avvieneallorché l'anima, passando per il campo della ragione,distrugga ogni residua impronta dell'intelletto.

A secoli di distanza, nei mistici del Rinascimento, siopera una più netta distinzione tra le competenze spiri-tuali e le prerogative dell'anima: essi riconoscono nellanatura i simboli e la «segnatura» di un mondo magico,attuale soltanto all'occhio dell'anima. Nel loro intendi-mento, la forza discriminatrice dell'anima si esercita nel-

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contrapposizione, il ruolo attivo spetta all'oggetto, maial soggetto.

Come nel mito antico, anche l'artista s'impone la scel-ta tra due vie: o ricevere le sensazioni provenienti dalmondo naturale con lo spirito, o riceverle con l'anima; oscrutare la natura con occhio razionale ed intellettuali-stico, o mirarla con l'occhio del cuore. Non v'è alcunavia di mezzo: l'attività spirituale produce unicamenteconcetti, mentre la visione, che coglie immagini, avvie-ne soltanto nella regione dell'anima. Il compromesso trai due termini opposti, come la «visione intellettuale» dicui scrivono Plotino e Schelling e taluni filosofi francesimoderni, è rimasto lettera morta.

Già Eraclito, in qualche suo aforisma di «stile delfi-co», aveva intravisto che i contenuti concettuali nonsono che parvenze, anticipando prodigiosamente le piùrecenti nozioni, secondo cui le immagini racchiudonopiù realtà e verità dei concetti.

Anche Plotino, nelle «Enneadi», chiudendo per un at-timo gli occhi sull'arida chiarezza del logos, avverte chela fusione tra soggetto e oggetto nella visione avvieneallorché l'anima, passando per il campo della ragione,distrugga ogni residua impronta dell'intelletto.

A secoli di distanza, nei mistici del Rinascimento, siopera una più netta distinzione tra le competenze spiri-tuali e le prerogative dell'anima: essi riconoscono nellanatura i simboli e la «segnatura» di un mondo magico,attuale soltanto all'occhio dell'anima. Nel loro intendi-mento, la forza discriminatrice dell'anima si esercita nel-

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la immaginazione scaturita da una profondità di naturaove l'immagine non è già illusione, fantasma o chimera,ma bensì realtà viva e operante. Paracelso, in un suo ap-porto chiarificatore, segnala che l'immaginazione non hanulla a che fare con la fantasia, «pietra angolare dellapazzia». E Leonardo svela l'antitesi tra concetto e imma-gine in un limpido aforisma: «Poni in iscritto il nomed'Iddio in un luogo, e ponvi la sua immagine a riscontro,e vedrai quale sarà più riverita».

Secondo il pensiero del Rinascimento, l'anima e laimmagine s'integrano in una nuova oggettività corporea.I mistici dell'epoca scoprono l'anima nell'immagine, edanno così un potente impulso all'arte figurativa. Via viapoi, seguendo le tracce antiche e medievali, la indaginesulla natura continua, pioniere un pensiero che attinge alcuore più che allo spirito. I filosofi del romanticismo,con atto audace, tale da esautorare di colpo ideologismisecolari, dirottano la indagine logocentrica verso quellabiocentrica e scoprono tesori favolosi. Spostandol'accento filosofico dallo spirito all'anima, avviene chel'attività artistica si rivela come un'alterna e feconda vi-cenda tra natura e anima. Ancora, è vero, la mistica deiromantici non scorge la problematica relativa alla incu-bazione dell'opera d'arte, fase in cui l'artista vive in co-munione con la natura e con Dio, insidiato però dalle in-terferenze e «tentazioni» più eterogenee che egli com-batte invocando e facendosi guidare dal giudizio infalli-bile segnalatogli dal suo subcosciente. Ma il romantici-smo invalida quella «ratio» che tendeva a isolare l'artista

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la immaginazione scaturita da una profondità di naturaove l'immagine non è già illusione, fantasma o chimera,ma bensì realtà viva e operante. Paracelso, in un suo ap-porto chiarificatore, segnala che l'immaginazione non hanulla a che fare con la fantasia, «pietra angolare dellapazzia». E Leonardo svela l'antitesi tra concetto e imma-gine in un limpido aforisma: «Poni in iscritto il nomed'Iddio in un luogo, e ponvi la sua immagine a riscontro,e vedrai quale sarà più riverita».

Secondo il pensiero del Rinascimento, l'anima e laimmagine s'integrano in una nuova oggettività corporea.I mistici dell'epoca scoprono l'anima nell'immagine, edanno così un potente impulso all'arte figurativa. Via viapoi, seguendo le tracce antiche e medievali, la indaginesulla natura continua, pioniere un pensiero che attinge alcuore più che allo spirito. I filosofi del romanticismo,con atto audace, tale da esautorare di colpo ideologismisecolari, dirottano la indagine logocentrica verso quellabiocentrica e scoprono tesori favolosi. Spostandol'accento filosofico dallo spirito all'anima, avviene chel'attività artistica si rivela come un'alterna e feconda vi-cenda tra natura e anima. Ancora, è vero, la mistica deiromantici non scorge la problematica relativa alla incu-bazione dell'opera d'arte, fase in cui l'artista vive in co-munione con la natura e con Dio, insidiato però dalle in-terferenze e «tentazioni» più eterogenee che egli com-batte invocando e facendosi guidare dal giudizio infalli-bile segnalatogli dal suo subcosciente. Ma il romantici-smo invalida quella «ratio» che tendeva a isolare l'artista

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dalla natura e distrugge il diaframma spiritualistico tranatura ed arte, sicché, tolti gli sbarramenti, nel nuovodominio dell'anima, la vita dell'universo può nuovamen-te affluire attraverso le porte riaperte. Di improvviso al-lora la tensione s'allenta, ed i poli, apparentemente op-posti di natura ed arte s'adagiano in eterna intesa entro lacerchia magica tracciata dall'Eros orfico. Così il roman-ticismo consacrava la misteriosa unione tra natura edarte.

Per un imperscrutabile decreto della storia – unicarealtà accanto alla natura – fu il romanticismo a ritrova-re la perduta via verso la concezione classica dell'arte eda preparare così l'avvento del filosofema che tra naturaed arte, nel senso di natura naturante, non v'è alcun con-trasto sostanziale. Pertanto, sullo sfondo della tradizionee in base alla esperienza più attuale, la posizionedell'arte figurativa, intesa in qualità di imitazione di na-tura, risulta opposta a quella del concetto e del pensieroconcettuale.

Un chiarimento del principio d'imitazione di natura sipone come una necessità particolarmente attuale, chenon ha forse precedenti, in quanto finora non è stato maicongetturato neppure per ipotesi, e tanto meno ammes-so, che l'arte possa contenere la sua negazione, comeoggi invece avviene attraverso il postulato esteticodell'antinatura.

Un elemento di questa negazione, di cui si fanno fortii moderni, si trova nell'errato giudizio che essi dannodell'arte antica, ingannati nell'atto stesso di constatare

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dalla natura e distrugge il diaframma spiritualistico tranatura ed arte, sicché, tolti gli sbarramenti, nel nuovodominio dell'anima, la vita dell'universo può nuovamen-te affluire attraverso le porte riaperte. Di improvviso al-lora la tensione s'allenta, ed i poli, apparentemente op-posti di natura ed arte s'adagiano in eterna intesa entro lacerchia magica tracciata dall'Eros orfico. Così il roman-ticismo consacrava la misteriosa unione tra natura edarte.

Per un imperscrutabile decreto della storia – unicarealtà accanto alla natura – fu il romanticismo a ritrova-re la perduta via verso la concezione classica dell'arte eda preparare così l'avvento del filosofema che tra naturaed arte, nel senso di natura naturante, non v'è alcun con-trasto sostanziale. Pertanto, sullo sfondo della tradizionee in base alla esperienza più attuale, la posizionedell'arte figurativa, intesa in qualità di imitazione di na-tura, risulta opposta a quella del concetto e del pensieroconcettuale.

Un chiarimento del principio d'imitazione di natura sipone come una necessità particolarmente attuale, chenon ha forse precedenti, in quanto finora non è stato maicongetturato neppure per ipotesi, e tanto meno ammes-so, che l'arte possa contenere la sua negazione, comeoggi invece avviene attraverso il postulato esteticodell'antinatura.

Un elemento di questa negazione, di cui si fanno fortii moderni, si trova nell'errato giudizio che essi dannodell'arte antica, ingannati nell'atto stesso di constatare

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quanto alle volte essa «sembra» differire dalla natura.Ciò accade perché i moderni non sanno più accostarsialla realtà di natura come facevano gli antichi, avvici-nando cioè la sostanza delle cose e non soltanto il loroaspetto contingente e illusorio. E armati dell'errata no-zione, essi negano la natura e credono di trovare appog-gio negli antichi per il fatto che questi la rappresentava-no diversa da quella che appare ai loro occhi. Nessunoche intenda riabilitare il principio che l'arte è imitazionedi natura potrà quindi sostenere che essa deve imitare lanatura come i moderni la vedono.

Per vedere la natura «tale qual'è», nella sua essenzapoetica, bisogna lasciar perdere le convenzioni e con-suetudini intellettualistiche, e bloccare l'osservazione ra-zionale, inadeguata ai fini dell'arte. «La natura non èmateriale come la ragione», spiega il Leopardi. Occorreeliminare ogni ambizione, e in piena dedizione rinuncia-re al proprio Io. Persino l'idea, come «prius», come ma-gistero che impartisce regole e norme, deve abdicare di-nanzi alla natura. Solo trovando sgombra la via dell'arte,l'oggetto di natura, svincolato dall'incantesimo concet-tuale, si manifesterà in tutta la sua purezza, fuori deisuoi aspetti cangianti, fuori delle attribuzioni culturali,scientifiche e tecniche, fuori dell'illuminazione fisica edelle proiezioni dell'Io, spoglio di tutte le contingenze,così come si vede la sua immagine in sogno, come la sivede a occhi chiusi, come la vede Dio ed il poeta.

Allora, la natura rivelerà i suoi prototipi, le cose allostato nascente e perciò consacrate nella bellezza, calde

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quanto alle volte essa «sembra» differire dalla natura.Ciò accade perché i moderni non sanno più accostarsialla realtà di natura come facevano gli antichi, avvici-nando cioè la sostanza delle cose e non soltanto il loroaspetto contingente e illusorio. E armati dell'errata no-zione, essi negano la natura e credono di trovare appog-gio negli antichi per il fatto che questi la rappresentava-no diversa da quella che appare ai loro occhi. Nessunoche intenda riabilitare il principio che l'arte è imitazionedi natura potrà quindi sostenere che essa deve imitare lanatura come i moderni la vedono.

Per vedere la natura «tale qual'è», nella sua essenzapoetica, bisogna lasciar perdere le convenzioni e con-suetudini intellettualistiche, e bloccare l'osservazione ra-zionale, inadeguata ai fini dell'arte. «La natura non èmateriale come la ragione», spiega il Leopardi. Occorreeliminare ogni ambizione, e in piena dedizione rinuncia-re al proprio Io. Persino l'idea, come «prius», come ma-gistero che impartisce regole e norme, deve abdicare di-nanzi alla natura. Solo trovando sgombra la via dell'arte,l'oggetto di natura, svincolato dall'incantesimo concet-tuale, si manifesterà in tutta la sua purezza, fuori deisuoi aspetti cangianti, fuori delle attribuzioni culturali,scientifiche e tecniche, fuori dell'illuminazione fisica edelle proiezioni dell'Io, spoglio di tutte le contingenze,così come si vede la sua immagine in sogno, come la sivede a occhi chiusi, come la vede Dio ed il poeta.

Allora, la natura rivelerà i suoi prototipi, le cose allostato nascente e perciò consacrate nella bellezza, calde

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ancora di vita, come uscite dalle mani del creatore, leimmagini in atto, scaturite dalle origini. La natura ri-sponderà all'evocazione dell'uomo: così come vuole es-ser rappresentata, poiché ogni cosa di natura contiene lanecessità di rivelarsi artisticamente. La natura, dice SanPaolo, soffre i dolori del parto e vuole che l'uomo l'aiuti.Da questo appello di natura, l'antica concezione dell'artecome «zoon», come forma viva. Da ciò, per Leonardo,la pittura è una «seconda natura».

Senonché, l'artista acquista certezza sulla validità del-la imitazione di natura soltanto per mezzo dell'esperien-za, al di fuori della quale non si produce certezza ma il-lusione e inganno. L'attimo così fecondo della visioneelementare, allorché l'immagine sta già cuore a cuorecon l'artista, sarebbe perduto e irrimediabilmente spre-cato, se questi, abbagliato dalla presunzione creativa, sirifiutasse di seguire il modo che la natura tiene nell'ope-rare e, senza sostare nel limbo umano del lavoro edell'esperienza, credesse di poter magicamente proietta-re la visione nella materia. La nefasta teoria sul genio,inventata da Pietro Aretino, in cui l'artista è proclamatocreatore come Dio stesso e perciò simile a Dio, risultasconfessata in tronco da Orazio, che durò nove anni difatiche per raggiungere la massima semplicità e natura-lezza nella sua famosa Ode. Fu tempo anche in cui, sullimite tra il disprezzo dell'arte figurativa propagato daPlatone e dagli iconoclasti e la divinizzazione romanticadell'uomo come creatore, si considerava l'artista un«operaio di Dio».

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ancora di vita, come uscite dalle mani del creatore, leimmagini in atto, scaturite dalle origini. La natura ri-sponderà all'evocazione dell'uomo: così come vuole es-ser rappresentata, poiché ogni cosa di natura contiene lanecessità di rivelarsi artisticamente. La natura, dice SanPaolo, soffre i dolori del parto e vuole che l'uomo l'aiuti.Da questo appello di natura, l'antica concezione dell'artecome «zoon», come forma viva. Da ciò, per Leonardo,la pittura è una «seconda natura».

Senonché, l'artista acquista certezza sulla validità del-la imitazione di natura soltanto per mezzo dell'esperien-za, al di fuori della quale non si produce certezza ma il-lusione e inganno. L'attimo così fecondo della visioneelementare, allorché l'immagine sta già cuore a cuorecon l'artista, sarebbe perduto e irrimediabilmente spre-cato, se questi, abbagliato dalla presunzione creativa, sirifiutasse di seguire il modo che la natura tiene nell'ope-rare e, senza sostare nel limbo umano del lavoro edell'esperienza, credesse di poter magicamente proietta-re la visione nella materia. La nefasta teoria sul genio,inventata da Pietro Aretino, in cui l'artista è proclamatocreatore come Dio stesso e perciò simile a Dio, risultasconfessata in tronco da Orazio, che durò nove anni difatiche per raggiungere la massima semplicità e natura-lezza nella sua famosa Ode. Fu tempo anche in cui, sullimite tra il disprezzo dell'arte figurativa propagato daPlatone e dagli iconoclasti e la divinizzazione romanticadell'uomo come creatore, si considerava l'artista un«operaio di Dio».

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Ma quale posto in arte spetta all'esperienza, calunnia-ta come bassa virtù e qualità irrilevante dal «genio» chesi arroga un aprioristico diritto dittatoriale in tutti i cam-pi, se proprio essa è chiamata a compiere la saldatura trail nulla di fatto della visione e il fatto compiuto dell'ope-ra? «Esperienza», dichiara Dante, «esser suol fonte airivi di vostr'arti». E Leonardo afferma, che il sapere arti-stico si conquista con l'esperienza. Ma il presuppostofondamentale dell'esperienza in arte, così altamente in-tesa, è la rinnegazione dell'intelligenza, lo spaccio dellabestia trionfante. La intelligenza, atta unicamente a in-telligere «tra» le cose e non «nelle» cose, a scindere edissociare e polverizzare – questa intelligenza, mandata-ria dello spirito distruttore, in arte si esautora e viene adessere sostituita dalla pazienza. Poiché in fondo alla pa-zienza si nasconde la fede di ritrovare Dio. Le immaginiemanano forze attive che fecondano l'arte solo se adesse risponde la più dura fatica figurativa dell'artista, la-voro di scavo nelle stratificazioni del subcosciente piùche di costruzione in superficie nel demanio della co-scienza. Così l'operaio di Dio pazientemente coltiva ilterreno da cui trae le sue linfe l'albero della vita, mentrel'intelligenza, non senza conseguenze, continua a spicca-re i frutti dall'albero della conoscenza.

Perché l'arte non si esaurisca e muoia per depravazio-ne di principii tra le melense dottrine moderne della par-venza estetica, ed anzi risorga dal suo avviliente statoattuale, appare urgente di ristabilire la gerarchia dei va-lori nel campo artistico: il primato della imitazione di

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Ma quale posto in arte spetta all'esperienza, calunnia-ta come bassa virtù e qualità irrilevante dal «genio» chesi arroga un aprioristico diritto dittatoriale in tutti i cam-pi, se proprio essa è chiamata a compiere la saldatura trail nulla di fatto della visione e il fatto compiuto dell'ope-ra? «Esperienza», dichiara Dante, «esser suol fonte airivi di vostr'arti». E Leonardo afferma, che il sapere arti-stico si conquista con l'esperienza. Ma il presuppostofondamentale dell'esperienza in arte, così altamente in-tesa, è la rinnegazione dell'intelligenza, lo spaccio dellabestia trionfante. La intelligenza, atta unicamente a in-telligere «tra» le cose e non «nelle» cose, a scindere edissociare e polverizzare – questa intelligenza, mandata-ria dello spirito distruttore, in arte si esautora e viene adessere sostituita dalla pazienza. Poiché in fondo alla pa-zienza si nasconde la fede di ritrovare Dio. Le immaginiemanano forze attive che fecondano l'arte solo se adesse risponde la più dura fatica figurativa dell'artista, la-voro di scavo nelle stratificazioni del subcosciente piùche di costruzione in superficie nel demanio della co-scienza. Così l'operaio di Dio pazientemente coltiva ilterreno da cui trae le sue linfe l'albero della vita, mentrel'intelligenza, non senza conseguenze, continua a spicca-re i frutti dall'albero della conoscenza.

Perché l'arte non si esaurisca e muoia per depravazio-ne di principii tra le melense dottrine moderne della par-venza estetica, ed anzi risorga dal suo avviliente statoattuale, appare urgente di ristabilire la gerarchia dei va-lori nel campo artistico: il primato della imitazione di

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natura, la preminenza dell'anima sullo spirito, la posi-zione autonoma dell'immagine di fronte a quella etero-noma del concetto, la funzione subordinata della ragionee dell'intelligenza al servizio della vita, la dignità del la-voro e dell'esperienza in opposizione alla gratuita estro-sità del cosidetto genio. Ma la restaurazione della gerar-chia artistica, lungi dall'essere in atto, appare ancor lon-tana, e intanto anche nel campo dell'arte continua a im-perversare quella crisi che ha investito tutta la civiltàmoderna.

Mentre oggi la stessa esistenza dell'arte è divenutaproblematica, l'antico adagio «omnis ars naturae imita-tio est» discopre improvvisamente, tra i sussulti dellacrisi, contenuti insospettati. La «imitazione», già malin-tesa come deteriore precetto accademico e formula em-pirica ormai in disuso, palesa di un tratto il suo prodi-gioso potere formativo ed il suo profondo significatoprimordiale, per cui nel campo dell'arte nulla supera etrapassa il valore della natura.

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natura, la preminenza dell'anima sullo spirito, la posi-zione autonoma dell'immagine di fronte a quella etero-noma del concetto, la funzione subordinata della ragionee dell'intelligenza al servizio della vita, la dignità del la-voro e dell'esperienza in opposizione alla gratuita estro-sità del cosidetto genio. Ma la restaurazione della gerar-chia artistica, lungi dall'essere in atto, appare ancor lon-tana, e intanto anche nel campo dell'arte continua a im-perversare quella crisi che ha investito tutta la civiltàmoderna.

Mentre oggi la stessa esistenza dell'arte è divenutaproblematica, l'antico adagio «omnis ars naturae imita-tio est» discopre improvvisamente, tra i sussulti dellacrisi, contenuti insospettati. La «imitazione», già malin-tesa come deteriore precetto accademico e formula em-pirica ormai in disuso, palesa di un tratto il suo prodi-gioso potere formativo ed il suo profondo significatoprimordiale, per cui nel campo dell'arte nulla supera etrapassa il valore della natura.

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LA COMPOSIZIONE

Quando abbiamo risolto il problema della imitazionedi natura, siamo giunti appena alle soglie dell'arte. In at-tesa dell'evento maggiore – il dramma della composizio-ne – la imitazione da sé sola risulta ancora insufficientee non conclusiva. Imitare una fortuita sequenza d'oggettidi natura, o peggio, vedere, secondo il vezzo moderno,un pezzo di natura attraverso un temperamento, è comespiare la festa dell'arte da un buco di serratura. Quel chevi si scorge, non è se non un convito d'ospiti di pietra, equel che se ne ritrae in immagini, sarà un ammasso dicose morte gravitanti solitarie nella tomba del quadro.

L'ambito entro cui si muove l'arte essendo unicamen-te imitativo, spetta all'artista di organizzare questa imita-zione. Fin quando non interviene la composizione, l'imi-tazione resta unilateralmente riproduttiva. Ma la compo-sizione non si attua, se l'artista ignora la bipolaritàdell'oggetto e la sua doppia funzione: una rispetto a sestesso, e una in rapporto agli altri oggetti. Quando essoentra in comunicazione con altri oggetti, nasce un fatto

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LA COMPOSIZIONE

Quando abbiamo risolto il problema della imitazionedi natura, siamo giunti appena alle soglie dell'arte. In at-tesa dell'evento maggiore – il dramma della composizio-ne – la imitazione da sé sola risulta ancora insufficientee non conclusiva. Imitare una fortuita sequenza d'oggettidi natura, o peggio, vedere, secondo il vezzo moderno,un pezzo di natura attraverso un temperamento, è comespiare la festa dell'arte da un buco di serratura. Quel chevi si scorge, non è se non un convito d'ospiti di pietra, equel che se ne ritrae in immagini, sarà un ammasso dicose morte gravitanti solitarie nella tomba del quadro.

L'ambito entro cui si muove l'arte essendo unicamen-te imitativo, spetta all'artista di organizzare questa imita-zione. Fin quando non interviene la composizione, l'imi-tazione resta unilateralmente riproduttiva. Ma la compo-sizione non si attua, se l'artista ignora la bipolaritàdell'oggetto e la sua doppia funzione: una rispetto a sestesso, e una in rapporto agli altri oggetti. Quando essoentra in comunicazione con altri oggetti, nasce un fatto

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nuovo: l'oggetto così suscitato offre allora una provasensibile, evidente, non convenzionale di sé e del suosenso peculiare. Se l'artista ne fissa solo il profilo, sitratta di una prova convenzionale, non reale. Per ottene-re la prova reale, deve entrare in opera la composizione,a riscontrare affinità e discordanze, a regolare i contattie le distanze, a tessere i rapporti tra cosa e cosa. È dacodesta «concordia discors» che scaturiscono le eviden-ze delle parti componenti il quadro. Che se l'artista siappaga di rappresentare il mondo fenomenico, ferman-dosi alle apparenze senza procedere oltre e penetrare inprofondità, allora non ne consegue arte, bensì il cosidet-to verismo, l'opposto dell'arte. L'imitazione limitata almondo fenomenico si condanna da sé, nelle sue appa-renze frammentarie e inorganiche, come riproduzione diun effetto arbitrariamente avulso dalle sue origini e tra-piantato dal campo naturale nel campo artistico dove –pianta senza radici – non può mai attecchire. Per ricolle-gare la conseguenza alla premessa, l'artista dovrà ripu-diare l'espediente di costruire l'opera sull'esproprio deifenomeni di natura; e dovrà trasferire l'intera vicendagenetica, dalle origini invisibili agli effetti palesi, nelcampo artistico.

Ma qual'è la via per ritrovare le origini e scoprire ilpunto di congiunzione tra natura ed arte? Il problema,così posto, appare sottratto all'ordine razionale; e peradombrare sia pure un solo aspetto di quella verità chenon ha parole, conviene affidarsi ai simboli. Il Demiur-go, che agisce nella profondità della natura, dal centro

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nuovo: l'oggetto così suscitato offre allora una provasensibile, evidente, non convenzionale di sé e del suosenso peculiare. Se l'artista ne fissa solo il profilo, sitratta di una prova convenzionale, non reale. Per ottene-re la prova reale, deve entrare in opera la composizione,a riscontrare affinità e discordanze, a regolare i contattie le distanze, a tessere i rapporti tra cosa e cosa. È dacodesta «concordia discors» che scaturiscono le eviden-ze delle parti componenti il quadro. Che se l'artista siappaga di rappresentare il mondo fenomenico, ferman-dosi alle apparenze senza procedere oltre e penetrare inprofondità, allora non ne consegue arte, bensì il cosidet-to verismo, l'opposto dell'arte. L'imitazione limitata almondo fenomenico si condanna da sé, nelle sue appa-renze frammentarie e inorganiche, come riproduzione diun effetto arbitrariamente avulso dalle sue origini e tra-piantato dal campo naturale nel campo artistico dove –pianta senza radici – non può mai attecchire. Per ricolle-gare la conseguenza alla premessa, l'artista dovrà ripu-diare l'espediente di costruire l'opera sull'esproprio deifenomeni di natura; e dovrà trasferire l'intera vicendagenetica, dalle origini invisibili agli effetti palesi, nelcampo artistico.

Ma qual'è la via per ritrovare le origini e scoprire ilpunto di congiunzione tra natura ed arte? Il problema,così posto, appare sottratto all'ordine razionale; e peradombrare sia pure un solo aspetto di quella verità chenon ha parole, conviene affidarsi ai simboli. Il Demiur-go, che agisce nella profondità della natura, dal centro

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d'onde si dipartono tutte le fila, è artista, fa arte. Rispet-to a lui, il mondo è composto alla perfezione, secondoleggi divine. Ma noi, spettatori dall'esterno, riscontria-mo soltanto l'effetto estrinseco, vediamo il mondo a ro-vescio, sconnesso, a centro vacante, privo dei legami evincoli che lo sostengono. Perché questo mondo appaiaa noi evidente e dimostrativo come appare al Demiurgo,occorre che entri in azione quell'elemento che contrad-distingue l'artista, cioè che avvenga quel distacco, quellaliberazione, quella sovrana autonomia dell'anima difronte all'intelletto razionale, per cui all'artista è dato diricongiungersi alle profondità della natura e di far rica-dere sotto la gestione delle leggi stesse che governano lanatura la rappresentazione delle cose, o meglio il mododi rappresentarle: poiché le norme che regolano la com-posizione e s'avverano nel fatto artistico sono anch'esseuna imitazione dei principii universali che presiedonoalla genesi della natura. La rappresentazione artistica se-gue leggi che si «scoprono», che dunque preesistono;quindi le leggi dell'arte sono imitazioni anch'esse, el'artista non è un «creatore», sebbene la scoperta di co-deste leggi, così come la scoperta dei mezzi d'imitazio-ne, è dovuta ad una facoltà, un dono, una illuminazionedi cui non esistono formule o brevetti. Né l'arte, però, èesoterica: in quanto lecita appare l'esplorazione delleorigini estetiche, purché la ricerca non violi i limiti dellaimitazione di Dio. Altra cosa invece, illecita, è l'assaltoprofano e barbarico dall'esterno, che procede col presun-

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d'onde si dipartono tutte le fila, è artista, fa arte. Rispet-to a lui, il mondo è composto alla perfezione, secondoleggi divine. Ma noi, spettatori dall'esterno, riscontria-mo soltanto l'effetto estrinseco, vediamo il mondo a ro-vescio, sconnesso, a centro vacante, privo dei legami evincoli che lo sostengono. Perché questo mondo appaiaa noi evidente e dimostrativo come appare al Demiurgo,occorre che entri in azione quell'elemento che contrad-distingue l'artista, cioè che avvenga quel distacco, quellaliberazione, quella sovrana autonomia dell'anima difronte all'intelletto razionale, per cui all'artista è dato diricongiungersi alle profondità della natura e di far rica-dere sotto la gestione delle leggi stesse che governano lanatura la rappresentazione delle cose, o meglio il mododi rappresentarle: poiché le norme che regolano la com-posizione e s'avverano nel fatto artistico sono anch'esseuna imitazione dei principii universali che presiedonoalla genesi della natura. La rappresentazione artistica se-gue leggi che si «scoprono», che dunque preesistono;quindi le leggi dell'arte sono imitazioni anch'esse, el'artista non è un «creatore», sebbene la scoperta di co-deste leggi, così come la scoperta dei mezzi d'imitazio-ne, è dovuta ad una facoltà, un dono, una illuminazionedi cui non esistono formule o brevetti. Né l'arte, però, èesoterica: in quanto lecita appare l'esplorazione delleorigini estetiche, purché la ricerca non violi i limiti dellaimitazione di Dio. Altra cosa invece, illecita, è l'assaltoprofano e barbarico dall'esterno, che procede col presun-

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tuoso sottinteso di voler carpire il segreto di Dio e svela-re il mistero ultimo e inconoscibile.

«Di fuori» si vedono le cose frammentariamente, pez-zo per pezzo, decomposte, parti staccate del tutto.All'artista perciò è demandato il ritrovamento e l'inter-pretazione autentica della legge d'arte che dia organicità,che inizi il discorso e sciolga il canto tra le cose. Tale re-gola plastica s'identifica con i principii della composi-zione che anima il quadro, riacquistando l'evidenza efornendo la prova di verità.

Il problema artistico si esaurisce essenzialmentenell'obbedienza alle norme della composizione, che a lorvolta si riammagliano ai postulati della imitazione. Ilproblema non è quello di comporre modificando e alte-rando gli aspetti naturali: conta soltanto il modo comeessi nella gerarchia del quadro vengono valorizzati. Mabisogna guardarsi dall'interrogare il mistero di quella fo-glia, di quel tronco, di quella pietra: non se ne ricavereb-be che errori. L'oggetto rimanendo intangibile, talequal'è, l'arte è chiamata a promuovere l'evidenza dellecose attraverso la loro possibilità di associarsi, in modoche gli elementi del quadro diano vita l'uno all'altro e ri-sultino immediatamente veri.

Quando si produce il caso – come nel modernismo –in cui vengano a mancare le due condizioni fondamenta-li atte a dar luogo al fatto artistico universale, e cioè lariproduzione degli oggetti sottratti all'opinione che diessi può avere l'artista, e l'assestamento degli stessi og-getti secondo il dispositivo della composizione; e quan-

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tuoso sottinteso di voler carpire il segreto di Dio e svela-re il mistero ultimo e inconoscibile.

«Di fuori» si vedono le cose frammentariamente, pez-zo per pezzo, decomposte, parti staccate del tutto.All'artista perciò è demandato il ritrovamento e l'inter-pretazione autentica della legge d'arte che dia organicità,che inizi il discorso e sciolga il canto tra le cose. Tale re-gola plastica s'identifica con i principii della composi-zione che anima il quadro, riacquistando l'evidenza efornendo la prova di verità.

Il problema artistico si esaurisce essenzialmentenell'obbedienza alle norme della composizione, che a lorvolta si riammagliano ai postulati della imitazione. Ilproblema non è quello di comporre modificando e alte-rando gli aspetti naturali: conta soltanto il modo comeessi nella gerarchia del quadro vengono valorizzati. Mabisogna guardarsi dall'interrogare il mistero di quella fo-glia, di quel tronco, di quella pietra: non se ne ricavereb-be che errori. L'oggetto rimanendo intangibile, talequal'è, l'arte è chiamata a promuovere l'evidenza dellecose attraverso la loro possibilità di associarsi, in modoche gli elementi del quadro diano vita l'uno all'altro e ri-sultino immediatamente veri.

Quando si produce il caso – come nel modernismo –in cui vengano a mancare le due condizioni fondamenta-li atte a dar luogo al fatto artistico universale, e cioè lariproduzione degli oggetti sottratti all'opinione che diessi può avere l'artista, e l'assestamento degli stessi og-getti secondo il dispositivo della composizione; e quan-

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Page 67: Dove va l'arte moderna? - Liber Liber

do da una parte l'oggetto perda la sua autonomia, mentredall'altra difetti il coordinamento che determina l'armo-nia dei suoi rapporti con gli altri oggetti, allora l'artesbocca nella morta gora dell'errore totale. Per contro,l'osservanza dei principii metaestetici d'imitazione e dicomposizione porta verso la perfezione; e non v'è peri-colo che un fatto artistico di effetto miracoloso diventimai un cliché, poiché le opere di effetto miracolososono rare in tutti i tempi. In esse v'è un riposo, una dol-cezza, un inebriarsi senza limite e fine; esse ci mettonoin relazione con l'universo intero e rinnovano ognora lafelicità panteistica di essere nel tutto.

L'arte, insomma, comincia col fatto della composizio-ne; tutto il resto è artigianato. La composizione, nellagerarchia artistica, occupa perciò un grado superiore aquello della imitazione di natura. E quindi, la riabilita-zione dell'oggetto va considerata come mezzo, noncome fine. Fare la politica della cosa in sé, significa dar-si la zappa sui piedi. L'oggetto in arte s'avvalora solo nelmomento in cui perda la prevalenza individuale es'armonizzi in funzione universale. Se l'oggetto deveprodurre nel piano rappresentativo lo stesso effetto dinatura, bisogna ambientarlo in modo da consentirgli lapossibilità di stabilire rapporti con altri oggetti. Fuori diquesti rapporti, esso resta chiuso in sé, privo di comuni-cativa, nell'impossibilità di rivelarsi. Solo dalle relazionireciproche tra le forze impegnate scaturisce la quidditàdell'oggetto, solo attraverso la composizione l'oggettodiventa oggetto, la cosa diventa cosa. Promuovere i rap-

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do da una parte l'oggetto perda la sua autonomia, mentredall'altra difetti il coordinamento che determina l'armo-nia dei suoi rapporti con gli altri oggetti, allora l'artesbocca nella morta gora dell'errore totale. Per contro,l'osservanza dei principii metaestetici d'imitazione e dicomposizione porta verso la perfezione; e non v'è peri-colo che un fatto artistico di effetto miracoloso diventimai un cliché, poiché le opere di effetto miracolososono rare in tutti i tempi. In esse v'è un riposo, una dol-cezza, un inebriarsi senza limite e fine; esse ci mettonoin relazione con l'universo intero e rinnovano ognora lafelicità panteistica di essere nel tutto.

L'arte, insomma, comincia col fatto della composizio-ne; tutto il resto è artigianato. La composizione, nellagerarchia artistica, occupa perciò un grado superiore aquello della imitazione di natura. E quindi, la riabilita-zione dell'oggetto va considerata come mezzo, noncome fine. Fare la politica della cosa in sé, significa dar-si la zappa sui piedi. L'oggetto in arte s'avvalora solo nelmomento in cui perda la prevalenza individuale es'armonizzi in funzione universale. Se l'oggetto deveprodurre nel piano rappresentativo lo stesso effetto dinatura, bisogna ambientarlo in modo da consentirgli lapossibilità di stabilire rapporti con altri oggetti. Fuori diquesti rapporti, esso resta chiuso in sé, privo di comuni-cativa, nell'impossibilità di rivelarsi. Solo dalle relazionireciproche tra le forze impegnate scaturisce la quidditàdell'oggetto, solo attraverso la composizione l'oggettodiventa oggetto, la cosa diventa cosa. Promuovere i rap-

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porti tra le cose, scoprire la loro affinità e simpatia reci-proca, suscitare la loro sociabilità: ecco il tema dellacomposizione artistica. Gran parte degli errori e degliarbritrii inaccettabili in arte hanno la loro origine nelladecadenza della composizione, e nell'ignoranza che lapotestà dell'artista non si estende all'oggetto, sacro e in-tangibile in arte nel senso primordiale, ma è limitata allafacoltà di stabilire rapporti, secondo leggi. I romanticiviolarono l'oggetto, mettendolo in funzione come espo-nente dei loro sentimenti. La necessaria restaurazionedell'oggetto è soltanto possibile, se si restaura la facoltàcomposizionale.

Siccome la stessa e medesima legge di composizionevale ugualmente per l'arte figurativa e per la poesia, civalga da esempio dimostrativo della tesi una citazionerivelatrice da Leopardi:

Passata è la tempesta:Odo augelli far festa, e la gallinaTornata in su la via,Che ripete il suo verso...

Qui il poeta riunisce tre elementi che, presi uno peruno, sono frasi viete e sprovviste di poesia: la cessazio-ne della tempesta, il cinguettio degli uccelli, il versodella gallina. Ma questi tre elementi, toccati dalla bac-chetta magica della composizione, s'uniscono a far di-scorso, ed evocano l'immagine eterna della quiete dopola tempesta. Il poeta s'identifica non con le cose che re-

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porti tra le cose, scoprire la loro affinità e simpatia reci-proca, suscitare la loro sociabilità: ecco il tema dellacomposizione artistica. Gran parte degli errori e degliarbritrii inaccettabili in arte hanno la loro origine nelladecadenza della composizione, e nell'ignoranza che lapotestà dell'artista non si estende all'oggetto, sacro e in-tangibile in arte nel senso primordiale, ma è limitata allafacoltà di stabilire rapporti, secondo leggi. I romanticiviolarono l'oggetto, mettendolo in funzione come espo-nente dei loro sentimenti. La necessaria restaurazionedell'oggetto è soltanto possibile, se si restaura la facoltàcomposizionale.

Siccome la stessa e medesima legge di composizionevale ugualmente per l'arte figurativa e per la poesia, civalga da esempio dimostrativo della tesi una citazionerivelatrice da Leopardi:

Passata è la tempesta:Odo augelli far festa, e la gallinaTornata in su la via,Che ripete il suo verso...

Qui il poeta riunisce tre elementi che, presi uno peruno, sono frasi viete e sprovviste di poesia: la cessazio-ne della tempesta, il cinguettio degli uccelli, il versodella gallina. Ma questi tre elementi, toccati dalla bac-chetta magica della composizione, s'uniscono a far di-scorso, ed evocano l'immagine eterna della quiete dopola tempesta. Il poeta s'identifica non con le cose che re-

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stano quel che sono, ma con l'immagine. La natura feno-menica, l'accozzo di oggetti empirici, non danno com-posizione; questo è il campo più propriamente riservatoall'artista. Comporre equivale a ricondurre il mondo fe-nomenico all'unità e armonia. Gli antichi mantengono,esaltano l'unità; i moderni la scompongono. Gli antichiconcertano ed architettano gli elementi del quadro; imoderni sventrano l'oggetto. Il difetto di rapporti nellapittura moderna fa sì che essa esprime non realtà, maapparenze; e le apparenze non hanno né precedenti, néconseguenze, per cui quest'arte impropria rimane sterile,vive il suo quarto d'ora, e poi svanisce. In ultima istan-za, non è la rappresentazione degli oggetti naturali checonta: decisiva è la facoltà di rendere le attinenze e ri-spondenze tra le funzioni, i caratteri, i significati deglioggetti, e di far parlare le cose, similmente come esseparlano nelle favole.

La chiave della composizione figurativa è l'armonia.Gli oggetti, se distaccati tra loro, in arte non significanopiù nulla; soltanto se messi in rapporto tra loro, ossia selevati di contrasto, conciliati e concordati, essi attraver-so un reciproco scambio di forze si potenziano l'unl'altro, e vieppiù si personalizzano, nella misura che for-mano unità superiori tendenti a loro volta all'universale.L'arte non può rivelarsi se non nel piano dell'universale,dove regna unità e armonia. In virtù d'una lunga e pa-ziente opera di discernimento, cui ogni determinazionevalida deve conferire, pena il nulla di fatto, l'apporto dinuove scoperte e conquiste e fusioni, è dato all'artista di

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stano quel che sono, ma con l'immagine. La natura feno-menica, l'accozzo di oggetti empirici, non danno com-posizione; questo è il campo più propriamente riservatoall'artista. Comporre equivale a ricondurre il mondo fe-nomenico all'unità e armonia. Gli antichi mantengono,esaltano l'unità; i moderni la scompongono. Gli antichiconcertano ed architettano gli elementi del quadro; imoderni sventrano l'oggetto. Il difetto di rapporti nellapittura moderna fa sì che essa esprime non realtà, maapparenze; e le apparenze non hanno né precedenti, néconseguenze, per cui quest'arte impropria rimane sterile,vive il suo quarto d'ora, e poi svanisce. In ultima istan-za, non è la rappresentazione degli oggetti naturali checonta: decisiva è la facoltà di rendere le attinenze e ri-spondenze tra le funzioni, i caratteri, i significati deglioggetti, e di far parlare le cose, similmente come esseparlano nelle favole.

La chiave della composizione figurativa è l'armonia.Gli oggetti, se distaccati tra loro, in arte non significanopiù nulla; soltanto se messi in rapporto tra loro, ossia selevati di contrasto, conciliati e concordati, essi attraver-so un reciproco scambio di forze si potenziano l'unl'altro, e vieppiù si personalizzano, nella misura che for-mano unità superiori tendenti a loro volta all'universale.L'arte non può rivelarsi se non nel piano dell'universale,dove regna unità e armonia. In virtù d'una lunga e pa-ziente opera di discernimento, cui ogni determinazionevalida deve conferire, pena il nulla di fatto, l'apporto dinuove scoperte e conquiste e fusioni, è dato all'artista di

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concertare l'intesa tra le cose e di stabilire la corrispon-denza delle parti tra loro e col tutto, in un concorso divalori autonomi. Nel medesimo senso, il potere dellacomposizione viene testimoniato da Goethe in una me-morabile glossa: «La concordanza nel tutto fa d'ognicosa quello che essa è, e quindi ogni singola cosa non èche un tono, una sfumatura d'una grande armonia; altri-menti, la cosa a sé stante resta lettera morta».

Così la composizione artistica, degradata dal moder-nismo a funzioni arbitrarie, si rivela quale alto magiste-ro. Comporre, significa arricchire il mondo di nuove ar-monie.

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concertare l'intesa tra le cose e di stabilire la corrispon-denza delle parti tra loro e col tutto, in un concorso divalori autonomi. Nel medesimo senso, il potere dellacomposizione viene testimoniato da Goethe in una me-morabile glossa: «La concordanza nel tutto fa d'ognicosa quello che essa è, e quindi ogni singola cosa non èche un tono, una sfumatura d'una grande armonia; altri-menti, la cosa a sé stante resta lettera morta».

Così la composizione artistica, degradata dal moder-nismo a funzioni arbitrarie, si rivela quale alto magiste-ro. Comporre, significa arricchire il mondo di nuove ar-monie.

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FUNZIONE DELLA CRITICA

Tutti gli argomenti mobilitati in questo capitolo ai finidi una riconversione dei valori nel campo artistico trag-gono origine da una presa di posizione in difesa dellatradizione e avverso il criticismo. Il rovesciamento dellaprospettiva convenzionale così effettuato, portando allaribalta lo sfondo, riserva più d'una sorpresa, non per ul-timo la rivelazione del segreto meccanismo che attival'inganno critico. Mentre però nella «Funzione della Cri-tica» i riferimenti dogmatici resteranno ancora sottinte-si, il capitolo finale ci istraderà sulla via del ritorno aiprincipii, per ritrovare dietro le origini del criticismoquel piano sereno ove dimorano l'arte, la tradizione el'esperienza dei millenni.

Oggi che la critica, dopo incessanti scorrerie nel cam-po dell'arte, sta per usurparne il dominio, degradandol'artista a ospite in casa propria, urge più che mai ridurrequesta serva-padrona entro i suoi limiti, onde evitareche il suo malgoverno disperda tutto ciò che l'arte ha

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FUNZIONE DELLA CRITICA

Tutti gli argomenti mobilitati in questo capitolo ai finidi una riconversione dei valori nel campo artistico trag-gono origine da una presa di posizione in difesa dellatradizione e avverso il criticismo. Il rovesciamento dellaprospettiva convenzionale così effettuato, portando allaribalta lo sfondo, riserva più d'una sorpresa, non per ul-timo la rivelazione del segreto meccanismo che attival'inganno critico. Mentre però nella «Funzione della Cri-tica» i riferimenti dogmatici resteranno ancora sottinte-si, il capitolo finale ci istraderà sulla via del ritorno aiprincipii, per ritrovare dietro le origini del criticismoquel piano sereno ove dimorano l'arte, la tradizione el'esperienza dei millenni.

Oggi che la critica, dopo incessanti scorrerie nel cam-po dell'arte, sta per usurparne il dominio, degradandol'artista a ospite in casa propria, urge più che mai ridurrequesta serva-padrona entro i suoi limiti, onde evitareche il suo malgoverno disperda tutto ciò che l'arte ha

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conquistato nei tempi. Il danno appare già quasi irrime-diabile, poiché è da ben un secolo e mezzo che la criticaha preso a invadere i territori altrui, da quando cioèKant fondò il criticismo, baluardo della critica intesacome giudizio valutativo e facoltà di esaminare e giudi-care. Kant dichiarava che la sua epoca era per eccellen-za quella della critica, a cui tutto deve sottomettersi.«Alla critica intendono sottrarsi generalmente la religio-ne per la sua santità e la legge per la sua maestà. Ma conciò esse suscitano giustificati sospetti contro di sè e nonpossono più esigere quella stima sincera che la ragioneconcede soltanto a ciò che ha potuto resistere al suo li-bero e pubblico esame». Kant ha fornito alla critica glistrumenti nonché la tranquilla coscienza per compiere lesue demolizioni. Da allora, la critica si arroga il dirittod'intervenire in tutti i campi, anche in quello dell'arte,con il pretesto di esaminare la possibilità, l'origine, lavalidità, la legittimità ed i limiti della facoltà di cono-scere, ma in verità per esercitare un illegittimo dominiosulle regioni fin là ad essa precluse.

La storia non cerca di falsificare l'atto di nascita delcriticismo, confermando per l'evento la data del 1781, incui uscì la «Critica della ragion pura». La critica d'arteinvece, benché filiazione del pensiero kantiano, fa risali-re arbitrariamente la propria origine addirittura al terzosecolo a. C. Essa annovera tra i primi critici d'arte nien-temeno che Platone e Aristotile, e ingemma il suo falsoalbero genealogico con nomi illustri di filosofi, storici,

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conquistato nei tempi. Il danno appare già quasi irrime-diabile, poiché è da ben un secolo e mezzo che la criticaha preso a invadere i territori altrui, da quando cioèKant fondò il criticismo, baluardo della critica intesacome giudizio valutativo e facoltà di esaminare e giudi-care. Kant dichiarava che la sua epoca era per eccellen-za quella della critica, a cui tutto deve sottomettersi.«Alla critica intendono sottrarsi generalmente la religio-ne per la sua santità e la legge per la sua maestà. Ma conciò esse suscitano giustificati sospetti contro di sè e nonpossono più esigere quella stima sincera che la ragioneconcede soltanto a ciò che ha potuto resistere al suo li-bero e pubblico esame». Kant ha fornito alla critica glistrumenti nonché la tranquilla coscienza per compiere lesue demolizioni. Da allora, la critica si arroga il dirittod'intervenire in tutti i campi, anche in quello dell'arte,con il pretesto di esaminare la possibilità, l'origine, lavalidità, la legittimità ed i limiti della facoltà di cono-scere, ma in verità per esercitare un illegittimo dominiosulle regioni fin là ad essa precluse.

La storia non cerca di falsificare l'atto di nascita delcriticismo, confermando per l'evento la data del 1781, incui uscì la «Critica della ragion pura». La critica d'arteinvece, benché filiazione del pensiero kantiano, fa risali-re arbitrariamente la propria origine addirittura al terzosecolo a. C. Essa annovera tra i primi critici d'arte nien-temeno che Platone e Aristotile, e ingemma il suo falsoalbero genealogico con nomi illustri di filosofi, storici,

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archeologi, scienziati, educatori e letterati, che col me-stiere critico non ebbero alcuna familiarità.

La critica è interessata a mantenere l'equivoco, ondeaumentare parassitariamente il prestigio del proprio li-gnaggio, e nel groviglio inestricabile delle ramificazionigenealogiche non sempre è facile distinguere gli innesti.Tuttavia, per quanto mimetizzata sotto mentite spogliefilosofiche e storiche, la critica d'arte è pur sempre rico-noscibile come processo speculativo della ragione, chenon sfiora, anzi non sospetta neppure il mistero figurati-vo, e spesso si tradisce nel fastidio psicologico che pro-voca, perché fra tutti i processi razionali la critica è sen-za dubbio il più indiscreto. Infatti, la critica d'arte non siperita di sindacare, censurare e verbalizzare, di inquisiree sentenziare, quasi fosse una magistratura estetica pre-posta all'arte, e superiore di rango all'arte stessa nellascala gerarchica.

Operante in aperto contrasto con l'indagine storica laquale, con atto di paziente dedizione, ha fatto e continuaa far luce sui casi più aggrovigliati, dando oggettivo eprezioso contributo conoscitivo, la critica, priva di pre-messe stabili e di solidi principii costitutivi, mancantecioè di uno status autonomo, appare nel novero esisten-ziale soltanto per contrapposizione al dogmatismo, ba-sato sulla tradizione e sull'autorità. Trovandosi così inperpetuo contrasto con la tradizione, e campando suquesto contrasto, essa realizza in sé l'impulso alla rivo-luzione perpetua. Non è un caso che le principali operedi Kant, detto il «Grande Stritolatore», apparvero preci-

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archeologi, scienziati, educatori e letterati, che col me-stiere critico non ebbero alcuna familiarità.

La critica è interessata a mantenere l'equivoco, ondeaumentare parassitariamente il prestigio del proprio li-gnaggio, e nel groviglio inestricabile delle ramificazionigenealogiche non sempre è facile distinguere gli innesti.Tuttavia, per quanto mimetizzata sotto mentite spogliefilosofiche e storiche, la critica d'arte è pur sempre rico-noscibile come processo speculativo della ragione, chenon sfiora, anzi non sospetta neppure il mistero figurati-vo, e spesso si tradisce nel fastidio psicologico che pro-voca, perché fra tutti i processi razionali la critica è sen-za dubbio il più indiscreto. Infatti, la critica d'arte non siperita di sindacare, censurare e verbalizzare, di inquisiree sentenziare, quasi fosse una magistratura estetica pre-posta all'arte, e superiore di rango all'arte stessa nellascala gerarchica.

Operante in aperto contrasto con l'indagine storica laquale, con atto di paziente dedizione, ha fatto e continuaa far luce sui casi più aggrovigliati, dando oggettivo eprezioso contributo conoscitivo, la critica, priva di pre-messe stabili e di solidi principii costitutivi, mancantecioè di uno status autonomo, appare nel novero esisten-ziale soltanto per contrapposizione al dogmatismo, ba-sato sulla tradizione e sull'autorità. Trovandosi così inperpetuo contrasto con la tradizione, e campando suquesto contrasto, essa realizza in sé l'impulso alla rivo-luzione perpetua. Non è un caso che le principali operedi Kant, detto il «Grande Stritolatore», apparvero preci-

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samente nel fatale decennio in cui scoppiò la Rivoluzio-ne Francese. E fatalmente presta mano allo sfacelo delmondo tradizionale la critica d'arte, emersa proprio nelperiodo quando secondo i versi celebrativi del giovaneCarducci, «decapitàro Emmanuel Kant Iddio, Massimi-liano Robespierre il Re». Tengon bordone ad essi, ri-morchiando a loro volta la critica d'arte, Alberto Ein-stein, lo stritolatore dell'atomo, e il quarto Cavalieredell'Apocalisse, Pablo Picasso.

Tutti i caratteri distintivi della critica – antitradiziona-lismo, relativismo, rivoluzionarismo – si ritrovano si-multaneamente nel modernismo artistico. Ecco il punto,dove la critica d'arte s'identifica con il modernismo.L'artista moderno è il sosia del critico d'arte, e vicever-sa. Nessuno dei due conosce una misura oggettiva, bensìrapporta ogni operazione alle fuggevoli sensazioni edemozioni soggettive, mentre l'arte incomincia soltantolà, dove finisce il soggettivismo. Nessuno dei due so-spetta che la libertà si realizza nell'accettazione dellalegge, ma scambia la libertà con l'arbitrio del cosidetto«libero esame». Nessuno dei due s'esprime in atto, masolo per riflesso e per reazioni. Come mai, dunque, ilcritico d'arte potrebbe dare un giudizio oggettivosull'artista moderno, suo gemello siamese, sangue delsuo sangue? Oppure una valutazione serena dell'arte tra-dizionale, essendo la critica per sua natura antitradizio-nalista? Ogni giudizio critico è quindi obbligatoriamentepreconcetto, è un pre-giudizio, anche nel caso ottimo,quando cioè si tratti di critica disinteressata. Così la cri-

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samente nel fatale decennio in cui scoppiò la Rivoluzio-ne Francese. E fatalmente presta mano allo sfacelo delmondo tradizionale la critica d'arte, emersa proprio nelperiodo quando secondo i versi celebrativi del giovaneCarducci, «decapitàro Emmanuel Kant Iddio, Massimi-liano Robespierre il Re». Tengon bordone ad essi, ri-morchiando a loro volta la critica d'arte, Alberto Ein-stein, lo stritolatore dell'atomo, e il quarto Cavalieredell'Apocalisse, Pablo Picasso.

Tutti i caratteri distintivi della critica – antitradiziona-lismo, relativismo, rivoluzionarismo – si ritrovano si-multaneamente nel modernismo artistico. Ecco il punto,dove la critica d'arte s'identifica con il modernismo.L'artista moderno è il sosia del critico d'arte, e vicever-sa. Nessuno dei due conosce una misura oggettiva, bensìrapporta ogni operazione alle fuggevoli sensazioni edemozioni soggettive, mentre l'arte incomincia soltantolà, dove finisce il soggettivismo. Nessuno dei due so-spetta che la libertà si realizza nell'accettazione dellalegge, ma scambia la libertà con l'arbitrio del cosidetto«libero esame». Nessuno dei due s'esprime in atto, masolo per riflesso e per reazioni. Come mai, dunque, ilcritico d'arte potrebbe dare un giudizio oggettivosull'artista moderno, suo gemello siamese, sangue delsuo sangue? Oppure una valutazione serena dell'arte tra-dizionale, essendo la critica per sua natura antitradizio-nalista? Ogni giudizio critico è quindi obbligatoriamentepreconcetto, è un pre-giudizio, anche nel caso ottimo,quando cioè si tratti di critica disinteressata. Così la cri-

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tica, per forza, vien meno nel campo dell'arte al suo as-sunto di dare giudizi valutativi. Considerata a sé, senzaapporti storici o filosofici, alla critica è possibile unica-mente esercitare una equivoca funzione celebrativa delmoderno e stroncatoria del tradizionale. Essa perciòesaurisce il suo presunto compito di giudicare già primadi averlo iniziato. Il criticismo mobilita il modernismo,che a sua volta recluta la critica, e le due parti si palleg-giano la «sensibilità», il «gusto» e le «emozioni» in unareciprocità che ha del morboso.

Quando poi avviene, come infatti è avvenuto dal1900 a questa parte, che lo snobismo e il mercantilismoartistici abbiano, con tutti i mezzi, operato a raggiungereuna alterazione profonda del cosidetto buonsenso, percui taluni fenomeni artistici mostruosi sono passati adessere proclamati arte ufficiale, allora ne consegue che,per orientarsi, lo spettatore segue più gli intendimentiche le realizzazioni dell'artefice, pago di afferrare il sen-so dei propositi e dimenticando quello che era e perma-ne l'unico fine, cioè l'opera d'arte. L'accento allora sisposta dall'arte alla critica, e si avvera il paradosso –come nel caso dell'astrattismo – che inopinatamentel'arte diserta dall'opera e sconfina verso la critica, nellaterra di nessuno inserita tra i due fronti.

Critici e artisti, affratellati nell'apostasia dalla tradi-zione, invocano oggi la trimurti di sensibilità, gusto edemozione, gli idoli moderni dalla cui grazia dipendereb-be la creatività nel campo dell'arte. Ma lungi dall'essereelementi di creatività, essi appartengono tutt'e tre al do-

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tica, per forza, vien meno nel campo dell'arte al suo as-sunto di dare giudizi valutativi. Considerata a sé, senzaapporti storici o filosofici, alla critica è possibile unica-mente esercitare una equivoca funzione celebrativa delmoderno e stroncatoria del tradizionale. Essa perciòesaurisce il suo presunto compito di giudicare già primadi averlo iniziato. Il criticismo mobilita il modernismo,che a sua volta recluta la critica, e le due parti si palleg-giano la «sensibilità», il «gusto» e le «emozioni» in unareciprocità che ha del morboso.

Quando poi avviene, come infatti è avvenuto dal1900 a questa parte, che lo snobismo e il mercantilismoartistici abbiano, con tutti i mezzi, operato a raggiungereuna alterazione profonda del cosidetto buonsenso, percui taluni fenomeni artistici mostruosi sono passati adessere proclamati arte ufficiale, allora ne consegue che,per orientarsi, lo spettatore segue più gli intendimentiche le realizzazioni dell'artefice, pago di afferrare il sen-so dei propositi e dimenticando quello che era e perma-ne l'unico fine, cioè l'opera d'arte. L'accento allora sisposta dall'arte alla critica, e si avvera il paradosso –come nel caso dell'astrattismo – che inopinatamentel'arte diserta dall'opera e sconfina verso la critica, nellaterra di nessuno inserita tra i due fronti.

Critici e artisti, affratellati nell'apostasia dalla tradi-zione, invocano oggi la trimurti di sensibilità, gusto edemozione, gli idoli moderni dalla cui grazia dipendereb-be la creatività nel campo dell'arte. Ma lungi dall'essereelementi di creatività, essi appartengono tutt'e tre al do-

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minio dei nervi, non a quello dell'arte. E il paradossovuole che tutt'e tre, eletti a guida nel campo della visibi-lità figurativa, sono ciechi. Fu Baudelaire che, oltre acompiere il rifiuto dell'arte come imitazione di natura,conferì alla sensibilità un immeritato prestigio, qualepresunta fonte dell'intuizione. Secondo i modernidell'ultima ora, la sensibilità è la comunanza di espe-rienze tra critici e artisti. Essi fanno incessantemente ri-corso alla sensibilità, onde scavalcare, senza risolverli, iproblemi dell'arte. La sensibilità divenne via via un me-lenso luogo comune e una smaccata abitudine mentale.Mai dalla sensibilità è uscito un atto pittorico. Leonardoera completamente «insensibile». Né l'arte è una drogache serva a scuotere le sensibilità ed eccitare i gusti. Siprovi di applicare la misura del gusto per esempio allapittura di Giotto, per accorgersi quale assurdo scaturiscedall'identificazione tra virtù d'arte ed esibizione di gu-sto. Tanto più che, se in arte il punto di riferimento fosseil gusto, differente in ogni epoca e latitudine, allora ogginon si potrebbe più capire l'arte antica, e mai quella eso-tica. Per un senso di dignità artistica bisognerebbe squa-lificare una pittura intesa come «atto di gusto», e pro-muovere la ribellione contro ogni sorta di edonismoestetico. Il gusto artistico, limitato a se stesso, è lo stiledella mediocrità. In arte, si tratta di operare, non di gu-stare o di stimolare emozioni e sensazioni. L'emozione,che la critica sprona invece di frenarla, essendo un de-corso di eccitazione, finisce per falsare il giudizio. Benaltri sono i moventi dell'opera d'arte, non la sensibilità,

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minio dei nervi, non a quello dell'arte. E il paradossovuole che tutt'e tre, eletti a guida nel campo della visibi-lità figurativa, sono ciechi. Fu Baudelaire che, oltre acompiere il rifiuto dell'arte come imitazione di natura,conferì alla sensibilità un immeritato prestigio, qualepresunta fonte dell'intuizione. Secondo i modernidell'ultima ora, la sensibilità è la comunanza di espe-rienze tra critici e artisti. Essi fanno incessantemente ri-corso alla sensibilità, onde scavalcare, senza risolverli, iproblemi dell'arte. La sensibilità divenne via via un me-lenso luogo comune e una smaccata abitudine mentale.Mai dalla sensibilità è uscito un atto pittorico. Leonardoera completamente «insensibile». Né l'arte è una drogache serva a scuotere le sensibilità ed eccitare i gusti. Siprovi di applicare la misura del gusto per esempio allapittura di Giotto, per accorgersi quale assurdo scaturiscedall'identificazione tra virtù d'arte ed esibizione di gu-sto. Tanto più che, se in arte il punto di riferimento fosseil gusto, differente in ogni epoca e latitudine, allora ogginon si potrebbe più capire l'arte antica, e mai quella eso-tica. Per un senso di dignità artistica bisognerebbe squa-lificare una pittura intesa come «atto di gusto», e pro-muovere la ribellione contro ogni sorta di edonismoestetico. Il gusto artistico, limitato a se stesso, è lo stiledella mediocrità. In arte, si tratta di operare, non di gu-stare o di stimolare emozioni e sensazioni. L'emozione,che la critica sprona invece di frenarla, essendo un de-corso di eccitazione, finisce per falsare il giudizio. Benaltri sono i moventi dell'opera d'arte, non la sensibilità,

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non il gusto, non l'emozione. La critica li ignora, né puòconoscerli, chiusa come è dentro i limiti del razionale edel sensoreo. Se li conoscesse, non sarebbe più critica,ma arte. Infatti per la critica, non la conoscenza, cheessa vorrebbe espellere dal campo dell'arte, contrappo-nendo la funzione estetica alla funzione conoscitiva, mala sensibilità, il gusto e l'emozione stanno in cima a ognipreoccupazione artistica; e misurando con questo metrosoggettivo, essa relativizza i valori oggettivi ed assolutidell'opera d'arte. Perciò dunque in sede critica non puòavverarsi l'assunto di dare giudizi valutativi. Il giudiziolegittimo nasce in una regione opposta a quella della cri-tica, cioè nel campo dell'esperienza, la quale in sé è dog-matica.

Se poi la critica, costituzionalmente incapace di rea-lizzarsi in giudizi valutativi, pretende, per compensarela propria impotenza, di saper cogliere l'arte «nel suofarsi», attraverso la «ricostruzione della personalitàdell'artista», si tratta di una banale vanteria: se mai lacritica riuscisse a carpire l'inviolabile segreto della ge-nesi artistica, si otterrebbe nientemeno che una miraco-losa ricetta per la produzione industriale di opera d'arte.Né la critica, facendo la spola tra causa ed effetto, potrà«ricostruire» la personalità dell'artista, perché da partistaccate ed elementi sparsi si può bensì ricomporre unmeccanismo, non però un organismo. La conoscenza ar-tistica esclude la scoperta di cause ed effetti. Appuntoper questo l'arte si differenzia dai metodi che informanole ricerche critiche. Mentre il criticismo non può che re-

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non il gusto, non l'emozione. La critica li ignora, né puòconoscerli, chiusa come è dentro i limiti del razionale edel sensoreo. Se li conoscesse, non sarebbe più critica,ma arte. Infatti per la critica, non la conoscenza, cheessa vorrebbe espellere dal campo dell'arte, contrappo-nendo la funzione estetica alla funzione conoscitiva, mala sensibilità, il gusto e l'emozione stanno in cima a ognipreoccupazione artistica; e misurando con questo metrosoggettivo, essa relativizza i valori oggettivi ed assolutidell'opera d'arte. Perciò dunque in sede critica non puòavverarsi l'assunto di dare giudizi valutativi. Il giudiziolegittimo nasce in una regione opposta a quella della cri-tica, cioè nel campo dell'esperienza, la quale in sé è dog-matica.

Se poi la critica, costituzionalmente incapace di rea-lizzarsi in giudizi valutativi, pretende, per compensarela propria impotenza, di saper cogliere l'arte «nel suofarsi», attraverso la «ricostruzione della personalitàdell'artista», si tratta di una banale vanteria: se mai lacritica riuscisse a carpire l'inviolabile segreto della ge-nesi artistica, si otterrebbe nientemeno che una miraco-losa ricetta per la produzione industriale di opera d'arte.Né la critica, facendo la spola tra causa ed effetto, potrà«ricostruire» la personalità dell'artista, perché da partistaccate ed elementi sparsi si può bensì ricomporre unmeccanismo, non però un organismo. La conoscenza ar-tistica esclude la scoperta di cause ed effetti. Appuntoper questo l'arte si differenzia dai metodi che informanole ricerche critiche. Mentre il criticismo non può che re-

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stringere all'ambito razionale la cerchia della nostra co-noscenza, e quindi estendere il raggio del nostro ingan-no, l'arte, ossia la rappresentazione del mondo nel suoaspetto originale, ci fa conoscere Dio.

La critica d'arte, questa sfrenatezza della ragionesvincolata da ogni premessa, principio e norma, e in-fluenzata da fortuite impressioni psicologiche; questoattualismo estetico in cambiamento continuo, senza su-strato permanente e senza direzione stabile; questa forzaeterodossa, non governata da leggi proprie e sottopostapassivamente all'azione di cause esterne; questa fonte dicongetture fatte passare per giudizi; questa negazioned'ogni misura e valore stabili; questo incentivo dellacorruzione, decomposizione e dissoluzione; questa jetta-tura dell'arte: questa critica insomma, nonostante che ilcanone d'una critica d'arte vuole essere ancora procla-mato, e malgrado che non c'è stata, finora, critica d'artecapace di prevenire una caduta mentre spesso ha contri-buito a dare maggiore impulso alla decadenza, – questacritica pretende tuttavia d'insegnare il verbo dell'arte edi saper plasmare una coscienza artistica. Ma in vistadei risultati emersi, si domanda in base a quale autorità,che non sia suggestione, alla critica viene conferita fa-coltà di esercitarsi, avocando a sé la potestà nel campoartistico; e s'affaccia persino il dubbio, se la critica hauna ragion d'essere. Come attitudine razionale, abitudineintellettuale e disposizione psicologica, la critica è indi-zio d'uno stato improduttivo e sterile della civiltà mo-derna. Saint-Simon ha addirittura opposto il periodo cri-

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stringere all'ambito razionale la cerchia della nostra co-noscenza, e quindi estendere il raggio del nostro ingan-no, l'arte, ossia la rappresentazione del mondo nel suoaspetto originale, ci fa conoscere Dio.

La critica d'arte, questa sfrenatezza della ragionesvincolata da ogni premessa, principio e norma, e in-fluenzata da fortuite impressioni psicologiche; questoattualismo estetico in cambiamento continuo, senza su-strato permanente e senza direzione stabile; questa forzaeterodossa, non governata da leggi proprie e sottopostapassivamente all'azione di cause esterne; questa fonte dicongetture fatte passare per giudizi; questa negazioned'ogni misura e valore stabili; questo incentivo dellacorruzione, decomposizione e dissoluzione; questa jetta-tura dell'arte: questa critica insomma, nonostante che ilcanone d'una critica d'arte vuole essere ancora procla-mato, e malgrado che non c'è stata, finora, critica d'artecapace di prevenire una caduta mentre spesso ha contri-buito a dare maggiore impulso alla decadenza, – questacritica pretende tuttavia d'insegnare il verbo dell'arte edi saper plasmare una coscienza artistica. Ma in vistadei risultati emersi, si domanda in base a quale autorità,che non sia suggestione, alla critica viene conferita fa-coltà di esercitarsi, avocando a sé la potestà nel campoartistico; e s'affaccia persino il dubbio, se la critica hauna ragion d'essere. Come attitudine razionale, abitudineintellettuale e disposizione psicologica, la critica è indi-zio d'uno stato improduttivo e sterile della civiltà mo-derna. Saint-Simon ha addirittura opposto il periodo cri-

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tico al periodo organico della storia. Nelle beate epocheprecritiche c'era la meditazione, l'immaginazione, il si-curo discernimento dei valori, la conoscenza del vero, lasaggezza artistica, l'arte. La critica ne ha fatto tabularasa. E continuerà a farsene ludibrio, finché duri il vitu-perio del modernismo.

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tico al periodo organico della storia. Nelle beate epocheprecritiche c'era la meditazione, l'immaginazione, il si-curo discernimento dei valori, la conoscenza del vero, lasaggezza artistica, l'arte. La critica ne ha fatto tabularasa. E continuerà a farsene ludibrio, finché duri il vitu-perio del modernismo.

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MISSIONE DELL'ARTE

“Giacciono a' tempi nostri per lo più le povere artinella labile memoria di una fragilissima umanità, né al-tra sussistenza ritengono, che di una vocale tradizionedegli artefici”.

Questo giudizio, tratto da un libro uscito nel 1660 eormai dimenticato, la «Dioptrica pratica» di Carlo Anto-nio Manzini, se da un verso segnala il barocco tra i pro-dromi del modernismo, dall'altro però attesta la presenzaancora operante della tradizione orale, via via svanita inseguito, dal Seicento a questa parte, e oggi ridotta al si-lenzio nel subcosciente di una umanità per eccellenzaamusica. Oggi, nessuno più sa che cosa sia arte, in checosa consista il suo ufficio, quali siano i suoi principii;per cui oggi è creduto «creazione» artistica un processodi disgregazione. L'artista stesso non è più consapevoledel fatto suo e ignora il senso della propria attività, tantoda suscitare nello spettatore un socratico stupore dinanziall'abissale incoscienza che informa una produzioneapocrifa e spuria.

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MISSIONE DELL'ARTE

“Giacciono a' tempi nostri per lo più le povere artinella labile memoria di una fragilissima umanità, né al-tra sussistenza ritengono, che di una vocale tradizionedegli artefici”.

Questo giudizio, tratto da un libro uscito nel 1660 eormai dimenticato, la «Dioptrica pratica» di Carlo Anto-nio Manzini, se da un verso segnala il barocco tra i pro-dromi del modernismo, dall'altro però attesta la presenzaancora operante della tradizione orale, via via svanita inseguito, dal Seicento a questa parte, e oggi ridotta al si-lenzio nel subcosciente di una umanità per eccellenzaamusica. Oggi, nessuno più sa che cosa sia arte, in checosa consista il suo ufficio, quali siano i suoi principii;per cui oggi è creduto «creazione» artistica un processodi disgregazione. L'artista stesso non è più consapevoledel fatto suo e ignora il senso della propria attività, tantoda suscitare nello spettatore un socratico stupore dinanziall'abissale incoscienza che informa una produzioneapocrifa e spuria.

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Il modernismo cerca di riabilitare la sua attività in-conclusiva, affermando che non esiste un'arte in sé, ben-sì unicamente una successione storica di fasi artisticheimprontate a stile, gusto e sensibilità differenti. Ma que-sta obiezione tendente a relativizzare l'arte non è valida,perché le arti di tutti i luoghi e tempi non si differenzia-no nel punto intangibile dei principii e dei valori: si dif-ferenziano soltanto in ciò che è il costume rappresentati-vo. Parimente invalidabile appare la petizione di princi-pio ostentata dai moderni nel tronfio slogan «l'art pourl'art», secondo cui l'arte si esaurirebbe nell'atto stesso diesercitarsi e non avrebbe altra funzione se non quella didare diletto a chi la gestisce. In tal caso, una cosa perfet-ta come l'arte greca sarebbe superflua. E allora, se l'artefosse demandata de officio soltanto a soddisfare se stes-sa, avrebbe ragione anche Picasso.

Senonché, l'accanimento che l'uomo pone nell'insiste-re sull'argomento dell'arte dimostra che dentro di luisussiste ed urge un'aspirazione primordiale verso la co-noscenza figurativa. Evidentemente, l'arte rivela qualco-sa che la natura da sola non palesa. Ecco un indizioesplicativo in rapporto al problema, sollevato dal Leo-pardi, per qual mai motivo una cosa, se raffigurata inarte, attrae molto più della stessa e medesima cosa vistain natura. Errato s'addimostra perciò il giudizio di Plato-ne, laddove condanna l'arte come un'ombra della natura,la quale a sua volta non sarebbe che l'ombra dell'idea;mentre splendidamente s'illumina una verità artistica nel

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Il modernismo cerca di riabilitare la sua attività in-conclusiva, affermando che non esiste un'arte in sé, ben-sì unicamente una successione storica di fasi artisticheimprontate a stile, gusto e sensibilità differenti. Ma que-sta obiezione tendente a relativizzare l'arte non è valida,perché le arti di tutti i luoghi e tempi non si differenzia-no nel punto intangibile dei principii e dei valori: si dif-ferenziano soltanto in ciò che è il costume rappresentati-vo. Parimente invalidabile appare la petizione di princi-pio ostentata dai moderni nel tronfio slogan «l'art pourl'art», secondo cui l'arte si esaurirebbe nell'atto stesso diesercitarsi e non avrebbe altra funzione se non quella didare diletto a chi la gestisce. In tal caso, una cosa perfet-ta come l'arte greca sarebbe superflua. E allora, se l'artefosse demandata de officio soltanto a soddisfare se stes-sa, avrebbe ragione anche Picasso.

Senonché, l'accanimento che l'uomo pone nell'insiste-re sull'argomento dell'arte dimostra che dentro di luisussiste ed urge un'aspirazione primordiale verso la co-noscenza figurativa. Evidentemente, l'arte rivela qualco-sa che la natura da sola non palesa. Ecco un indizioesplicativo in rapporto al problema, sollevato dal Leo-pardi, per qual mai motivo una cosa, se raffigurata inarte, attrae molto più della stessa e medesima cosa vistain natura. Errato s'addimostra perciò il giudizio di Plato-ne, laddove condanna l'arte come un'ombra della natura,la quale a sua volta non sarebbe che l'ombra dell'idea;mentre splendidamente s'illumina una verità artistica nel

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detto di San Paolo, che la natura soffre i dolori del partoe vuole che l'uomo la aiuti.

Ma oggi, col trionfo dell'intellettualismo e della tecni-ca, si sono spezzati i vincoli tra uomo e natura Siamousciti dall'armonia naturale, collocandoci in un pianoesistenziale artificiato e campato su finzioni, d'onde laragione vede ogni cosa solo dall'esterno. Centrandocinella ragione, abbiamo snaturato il mondo e irrealizzatogli oggetti di natura. Il superstite contatto tra uomo e na-tura avviene attraverso meccanismi, ivi compresi i con-cetti generali, le teorie, le ipotesi ed altre meccanichecostruzioni ausiliarie, montate all'unico scopo di domi-nare ed asservire la natura. Oggi, siamo ricaduti nellostesso peccato originale in cui, secondo il mito biblico,era incorso Adamo, primo campione del razionalismo.

Non pertanto, nel subcosciente siamo rimasti in co-municazione con tutto l'universo, siamo parte del tuttocome nel paradiso terrestre. Nel fondo di noi stessi ab-biamo il ricordo di tutto, anche delle cose non viste. Edè attraverso l'arte che possiamo riconquistare il paradisoperduto, perché l'arte ci guida alle fonti. L'arte, quantopiù si avvicina ai prototipi, alle immagini elementari,alle forme primordiali, tanto più vivamente rivela il fon-do religioso e poetico della natura, i simboli e ritmi cheplacano l'anima. L'arte scopre la verità di un mondo fuo-ri della storia, la realtà del mistico paradiso terrestre, eliberandoci dall'esilio a vita in un mondo provvisorio in-festato da finzioni concettuali e da fantasmagorie mec-

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detto di San Paolo, che la natura soffre i dolori del partoe vuole che l'uomo la aiuti.

Ma oggi, col trionfo dell'intellettualismo e della tecni-ca, si sono spezzati i vincoli tra uomo e natura Siamousciti dall'armonia naturale, collocandoci in un pianoesistenziale artificiato e campato su finzioni, d'onde laragione vede ogni cosa solo dall'esterno. Centrandocinella ragione, abbiamo snaturato il mondo e irrealizzatogli oggetti di natura. Il superstite contatto tra uomo e na-tura avviene attraverso meccanismi, ivi compresi i con-cetti generali, le teorie, le ipotesi ed altre meccanichecostruzioni ausiliarie, montate all'unico scopo di domi-nare ed asservire la natura. Oggi, siamo ricaduti nellostesso peccato originale in cui, secondo il mito biblico,era incorso Adamo, primo campione del razionalismo.

Non pertanto, nel subcosciente siamo rimasti in co-municazione con tutto l'universo, siamo parte del tuttocome nel paradiso terrestre. Nel fondo di noi stessi ab-biamo il ricordo di tutto, anche delle cose non viste. Edè attraverso l'arte che possiamo riconquistare il paradisoperduto, perché l'arte ci guida alle fonti. L'arte, quantopiù si avvicina ai prototipi, alle immagini elementari,alle forme primordiali, tanto più vivamente rivela il fon-do religioso e poetico della natura, i simboli e ritmi cheplacano l'anima. L'arte scopre la verità di un mondo fuo-ri della storia, la realtà del mistico paradiso terrestre, eliberandoci dall'esilio a vita in un mondo provvisorio in-festato da finzioni concettuali e da fantasmagorie mec-

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caniche, ci riconduce nella patria dell'anima, incontroalla Gran Madre, verso le origini.

La documentazione delle origini è la tradizione, oggiperduta come trasmissione diretta, ma ancora riconosci-bile da indelebili segni infusi nelle opere antiche e da ta-lune indicazioni, sebbene non esplicite, sparse nei vec-chi Trattati sull'arte. Procedendo dalle origini, ove nonattecchiscono problemi intellettuali perché mai una fon-te è in sé problematica, la tradizione è partecipe delleverità originarie, genuine, «nude», non ancora falsatedalle convenzioni. La tradizione ravviva e stabilisce leverità indiscutibili, ossia dogmatiche, attinte alle origini.In arte come in religione, i dogmi s'avvalorano qualiprincipii inoppugnabili e fondamentali, asseveratamenteposti. Agli scettici antidogmatici, i quali rivendicanonon la libertà dell'arte, ma l'arbitrio degli artisti, e vor-rebbero bandire dal campo estetico le leggi, i canoni, iprincipii, gli articoli di fede, gioverà ricordare: che loscetticismo, come contrapposto al dogmatismo, è sterilee non ha mai prodotto opere; che lo scetticismo, doponegato il dogmatismo, fa dogma delle proprie opinionidiscordanti e arbitrarie; che persino il fondamento dellalogica, cioè il principio d'identità espresso nella formula«A = A», è un articolo di fede, un dogma, una verità in-dimostrabile ma effettiva, la cui sola messa in discussio-ne significa già follia. Di fronte agli scettici, i criticisti, iprotestanti, i rivoluzionari, gli utopisti, i liberali, liberi-sti, libertari e libertini dell'arte, tutti e ciascuno tesi a darla scalata al potere estetico onde avvicendarsi nella ste-

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caniche, ci riconduce nella patria dell'anima, incontroalla Gran Madre, verso le origini.

La documentazione delle origini è la tradizione, oggiperduta come trasmissione diretta, ma ancora riconosci-bile da indelebili segni infusi nelle opere antiche e da ta-lune indicazioni, sebbene non esplicite, sparse nei vec-chi Trattati sull'arte. Procedendo dalle origini, ove nonattecchiscono problemi intellettuali perché mai una fon-te è in sé problematica, la tradizione è partecipe delleverità originarie, genuine, «nude», non ancora falsatedalle convenzioni. La tradizione ravviva e stabilisce leverità indiscutibili, ossia dogmatiche, attinte alle origini.In arte come in religione, i dogmi s'avvalorano qualiprincipii inoppugnabili e fondamentali, asseveratamenteposti. Agli scettici antidogmatici, i quali rivendicanonon la libertà dell'arte, ma l'arbitrio degli artisti, e vor-rebbero bandire dal campo estetico le leggi, i canoni, iprincipii, gli articoli di fede, gioverà ricordare: che loscetticismo, come contrapposto al dogmatismo, è sterilee non ha mai prodotto opere; che lo scetticismo, doponegato il dogmatismo, fa dogma delle proprie opinionidiscordanti e arbitrarie; che persino il fondamento dellalogica, cioè il principio d'identità espresso nella formula«A = A», è un articolo di fede, un dogma, una verità in-dimostrabile ma effettiva, la cui sola messa in discussio-ne significa già follia. Di fronte agli scettici, i criticisti, iprotestanti, i rivoluzionari, gli utopisti, i liberali, liberi-sti, libertari e libertini dell'arte, tutti e ciascuno tesi a darla scalata al potere estetico onde avvicendarsi nella ste-

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rile rotazione di tiranniche formulette sperimentali, ildogmatismo s'identifica come fonte di saggezza e di su-periore libertà. È difficile arrivare al dogma, ma unavolta accolti in quell'ordine, v'è maggiore libertà che nelcampo dei fuorilegge.

Nei contatti inevitabili con l'intelletto razionale, le ve-rità dogmatiche dell'arte sono però esposte al pericolo divenir subdolamente trasformate in un arido legittimismoestetico e di meccanizzarsi in precetti astratti, senza piùriflettere in se stesse il vivo mondo delle immagini.L'artista quindi deve guardarsi dal razionalizzare il dog-ma. E non essendo d'altra parte il dogma né una sinecu-ra, né un deposito fruttifero, all'artista non è consentitovivere di rendita sui tesori delle verità tradizionali. Ildogma e la tradizione risultano fecondi soltanto se al dilà d'ogni ideologia, sia del lavoro che della violenza,vengano conquistati in un diuturno e spontaneo operareper émpito interiore, attraverso la contemplazione el'esperienza, per lunga incubazione e tormentata via, fin-ché l'artista stesso si senta progenitore di queste verità eprimo scopritore di queste conoscenze. Il dogma, comela natura, è punto di partenza e punto di arrivo.

Dal dogma fiorisce ognora l'armonia e la gerarchiadei valori estetici. Nello stato preartistico, dal quale ilmodernismo non sa uscire, regna il caos, cioè la discor-danza e la disarmonia, causate in pittura dall'abbandonoall'ottica, all'istinto e all'arbitrio; ivi, tutti i rapporti tracosa e cosa sono interrotti, tutti i legami tagliati. Solocon il superamento dello stato preartistico, con la vitto-

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rile rotazione di tiranniche formulette sperimentali, ildogmatismo s'identifica come fonte di saggezza e di su-periore libertà. È difficile arrivare al dogma, ma unavolta accolti in quell'ordine, v'è maggiore libertà che nelcampo dei fuorilegge.

Nei contatti inevitabili con l'intelletto razionale, le ve-rità dogmatiche dell'arte sono però esposte al pericolo divenir subdolamente trasformate in un arido legittimismoestetico e di meccanizzarsi in precetti astratti, senza piùriflettere in se stesse il vivo mondo delle immagini.L'artista quindi deve guardarsi dal razionalizzare il dog-ma. E non essendo d'altra parte il dogma né una sinecu-ra, né un deposito fruttifero, all'artista non è consentitovivere di rendita sui tesori delle verità tradizionali. Ildogma e la tradizione risultano fecondi soltanto se al dilà d'ogni ideologia, sia del lavoro che della violenza,vengano conquistati in un diuturno e spontaneo operareper émpito interiore, attraverso la contemplazione el'esperienza, per lunga incubazione e tormentata via, fin-ché l'artista stesso si senta progenitore di queste verità eprimo scopritore di queste conoscenze. Il dogma, comela natura, è punto di partenza e punto di arrivo.

Dal dogma fiorisce ognora l'armonia e la gerarchiadei valori estetici. Nello stato preartistico, dal quale ilmodernismo non sa uscire, regna il caos, cioè la discor-danza e la disarmonia, causate in pittura dall'abbandonoall'ottica, all'istinto e all'arbitrio; ivi, tutti i rapporti tracosa e cosa sono interrotti, tutti i legami tagliati. Solocon il superamento dello stato preartistico, con la vitto-

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ria sulle forze del caos che si affollano nel limbodell'arte, si raggiunge l'armonia. Armonia, in greco«collegamento», nel mito antico è figlia di Marte, persimboleggiare che la premessa dell'armonia dev'essereun'austera e possente milizia, e non già, come nell'acce-zione moderna della parola, il tenerume psicologico del-la sensibilità.

Ma un empirico accordamento di cose dissomigliantie l'applicazione esterna delle leggi artistiche non basta-no ancora a instaurare l'armonia che, per stabilire unconcorso non fugace di valori differenti, deve collegarsiai principii gerarchici, in rapporto all'ordinato schiera-mento ascendente dei valori. Il modernismo, per ubbidi-re al suo concetto individualistico, riesce a rovesciare lascala dei valori nell'atto stesso che concede ogni arbitrioalla ragione. L'arte invece deve essere gerarchicamentecostituita e governata se vuole determinare un'armoniache temperi e discerna e concerti l'intesa tra le cose,quell'armonia che occultamente muove dalla composi-zione e che si estolle nel supremo accordo, l'«armoniadelle sfere», di cui l'armonia in arte non è che il simboloe l'obbedienza.

Armonia e gerarchia dei valori formano le normedell'arte, per cui essa si pone sullo stesso piano costitu-zionale della sapienza e della religione. Come queste,l'arte emerge e si distingue inconfondibilmente per lasua concezione integrale del mondo che l'investe nellaconoscenza universalistica e le rivela la posizionedell'uomo nel cosmo. Perciò la conoscenza figurativa

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ria sulle forze del caos che si affollano nel limbodell'arte, si raggiunge l'armonia. Armonia, in greco«collegamento», nel mito antico è figlia di Marte, persimboleggiare che la premessa dell'armonia dev'essereun'austera e possente milizia, e non già, come nell'acce-zione moderna della parola, il tenerume psicologico del-la sensibilità.

Ma un empirico accordamento di cose dissomigliantie l'applicazione esterna delle leggi artistiche non basta-no ancora a instaurare l'armonia che, per stabilire unconcorso non fugace di valori differenti, deve collegarsiai principii gerarchici, in rapporto all'ordinato schiera-mento ascendente dei valori. Il modernismo, per ubbidi-re al suo concetto individualistico, riesce a rovesciare lascala dei valori nell'atto stesso che concede ogni arbitrioalla ragione. L'arte invece deve essere gerarchicamentecostituita e governata se vuole determinare un'armoniache temperi e discerna e concerti l'intesa tra le cose,quell'armonia che occultamente muove dalla composi-zione e che si estolle nel supremo accordo, l'«armoniadelle sfere», di cui l'armonia in arte non è che il simboloe l'obbedienza.

Armonia e gerarchia dei valori formano le normedell'arte, per cui essa si pone sullo stesso piano costitu-zionale della sapienza e della religione. Come queste,l'arte emerge e si distingue inconfondibilmente per lasua concezione integrale del mondo che l'investe nellaconoscenza universalistica e le rivela la posizionedell'uomo nel cosmo. Perciò la conoscenza figurativa

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dell'arte è infinitamente superiore alla conoscenza con-cettuale, bloccata in sempiterno dinanzi ai massimi pro-blemi. La crassa ignoranza in fatto d'arte, comune agliadoratori della Dea Ragione, spiega perché essi non ri-scontrano nell'arte altro che un diletto sensualistico, unvirtuosismo tecnico, una funzione ornamentale, un lussosnobistico, e perché il criticismo non si perita di negareall'arte qualsiasi facoltà conoscitiva. Infatti l'arte che,come la religione e la poesia, parla il linguaggio arcanodei simboli e delle immagini anziché il gergo demoticodei concetti, non può essere compresa dall'intelletto ra-zionale. Ma tanto più efficacemente agisce ed ha presasul piano psichico, poiché l'arte vive e prospera nella re-gione dell'anima, non in quella dello spirito. Solo quan-do all'artista sia resa manifesta la funzione ecumenicadell'arte nel mondo dell'anima, gli sarà dato d'intravede-re quale è la essenza e la missione dell'arte.

L'arte è chiamata a una missione psicagogica, di gui-da dell'anima. L'arte riporta l'umano al naturale e il na-turale al divino, riconsacrando così i vincoli tra corpo eanima. L'arte è la politica di Dio per la conservazione diun ordo poetico nel mondo, la poesia essendo il ritornoalla purezza delle cose. L'arte è l'«habeas corpus» dellanatura, che la difende contro l'asservimento alla tecnicae contro la divisibilità dell'oggetto conclamata da tutti imoderni missionari d'empietà. L'arte conferma i poteriincontrovertibili dei principii radicali e dei giudizi con-clusivi, cioè dei dogmi, di fronte alla rivoluzione. L'arteesemplifica, oltreché in senso estetico anche in quello

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dell'arte è infinitamente superiore alla conoscenza con-cettuale, bloccata in sempiterno dinanzi ai massimi pro-blemi. La crassa ignoranza in fatto d'arte, comune agliadoratori della Dea Ragione, spiega perché essi non ri-scontrano nell'arte altro che un diletto sensualistico, unvirtuosismo tecnico, una funzione ornamentale, un lussosnobistico, e perché il criticismo non si perita di negareall'arte qualsiasi facoltà conoscitiva. Infatti l'arte che,come la religione e la poesia, parla il linguaggio arcanodei simboli e delle immagini anziché il gergo demoticodei concetti, non può essere compresa dall'intelletto ra-zionale. Ma tanto più efficacemente agisce ed ha presasul piano psichico, poiché l'arte vive e prospera nella re-gione dell'anima, non in quella dello spirito. Solo quan-do all'artista sia resa manifesta la funzione ecumenicadell'arte nel mondo dell'anima, gli sarà dato d'intravede-re quale è la essenza e la missione dell'arte.

L'arte è chiamata a una missione psicagogica, di gui-da dell'anima. L'arte riporta l'umano al naturale e il na-turale al divino, riconsacrando così i vincoli tra corpo eanima. L'arte è la politica di Dio per la conservazione diun ordo poetico nel mondo, la poesia essendo il ritornoalla purezza delle cose. L'arte è l'«habeas corpus» dellanatura, che la difende contro l'asservimento alla tecnicae contro la divisibilità dell'oggetto conclamata da tutti imoderni missionari d'empietà. L'arte conferma i poteriincontrovertibili dei principii radicali e dei giudizi con-clusivi, cioè dei dogmi, di fronte alla rivoluzione. L'arteesemplifica, oltreché in senso estetico anche in quello

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metafisico, la realizzabilità dell'armonia, ossia dellaconcordia tra elementi eterogenei, portando gli aggrega-ti all'integrazione e unità, per cui l'arte è la premessa ca-tegorica d'ogni cultura dell'anima, senza la quale la sto-ria umana si ridurrebbe a una vicenda di follie omicide.L'arte disindividualizza l'uomo, con riferimento a unaperfettibilità superiore a quella dell'Io, coatto nel pianoesistenziale della fame e della libido. L'arte, anzichéporsi il banale problema dell'esistenza di Dio, lo risolveavanti lettera, rivalutando la natura come opera divina erestituendola nella sua forma originale più pura, sottrattaalla contingenza, alla finzione ed all'errore. Quando lanatura è vista con l'anima, ecco che essa si rivela divina;e così l'arte conferma che religione significa ricollega-mento dell'uomo con la natura. L'arte ci permette di co-municare con la natura mediante quel che in noi è rima-sto ancora natura genuina, e che appartiene alla sostanzastessa di cui sono naturate le cose. L'atto artistico, percui ci annulliamo nella natura – i veri artisti si sonoognora cancellati come individui – è un atto d'amore chefa brillare ai nostri occhi la verità. Il corpo che può assu-mere questa verità, è il corpo stesso dell'arte.

Così l'arte, nel religioso operare dell'artista, che la faemergere al di sopra e al di fuori del contingente, del ca-duco, del tempo che la vede nascere, è un centro propul-sore di civiltà, è la forma più vereconda della conoscen-za, è un messaggio del paradiso terrestre, un sacro prin-cipato, una testimonianza di Dio. Perciò la missionedell'arte, anziché limitarsi al campo estetico, s'estende

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metafisico, la realizzabilità dell'armonia, ossia dellaconcordia tra elementi eterogenei, portando gli aggrega-ti all'integrazione e unità, per cui l'arte è la premessa ca-tegorica d'ogni cultura dell'anima, senza la quale la sto-ria umana si ridurrebbe a una vicenda di follie omicide.L'arte disindividualizza l'uomo, con riferimento a unaperfettibilità superiore a quella dell'Io, coatto nel pianoesistenziale della fame e della libido. L'arte, anzichéporsi il banale problema dell'esistenza di Dio, lo risolveavanti lettera, rivalutando la natura come opera divina erestituendola nella sua forma originale più pura, sottrattaalla contingenza, alla finzione ed all'errore. Quando lanatura è vista con l'anima, ecco che essa si rivela divina;e così l'arte conferma che religione significa ricollega-mento dell'uomo con la natura. L'arte ci permette di co-municare con la natura mediante quel che in noi è rima-sto ancora natura genuina, e che appartiene alla sostanzastessa di cui sono naturate le cose. L'atto artistico, percui ci annulliamo nella natura – i veri artisti si sonoognora cancellati come individui – è un atto d'amore chefa brillare ai nostri occhi la verità. Il corpo che può assu-mere questa verità, è il corpo stesso dell'arte.

Così l'arte, nel religioso operare dell'artista, che la faemergere al di sopra e al di fuori del contingente, del ca-duco, del tempo che la vede nascere, è un centro propul-sore di civiltà, è la forma più vereconda della conoscen-za, è un messaggio del paradiso terrestre, un sacro prin-cipato, una testimonianza di Dio. Perciò la missionedell'arte, anziché limitarsi al campo estetico, s'estende

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anche a quello conoscitivo e religioso. Perciò l'arte, dal-le bassure in cui è precipitata, potrà nuovamente assur-gere alla stessa dignità della saggezza e del sacerdozio.Possa allora l'artista, svincolato dal patto d'omertà mo-dernista, risolvere in singolari imprese quell'inesorabilema da secoli eluso problema che investe il senso e il de-stino dell'arte.

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anche a quello conoscitivo e religioso. Perciò l'arte, dal-le bassure in cui è precipitata, potrà nuovamente assur-gere alla stessa dignità della saggezza e del sacerdozio.Possa allora l'artista, svincolato dal patto d'omertà mo-dernista, risolvere in singolari imprese quell'inesorabilema da secoli eluso problema che investe il senso e il de-stino dell'arte.

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