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DOPO DEWEY LE STRUTTURE CONCETTUALI NELLA PEDAGOGIA DI BRUNER E LA PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO Virginia Capelli Caserta

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DOPO DEWEYLE STRUTTURE CONCETTUALI NELLA PEDAGOGIA

DI BRUNER E LA PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO

Virginia Capelli Caserta

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I edizione: dicembre 2009

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Indice

9 Introduzione 13 Capitolo I Analisi della situazione culturale pedagogica

Il concetto di struttura in Bruner, 16 – Bruner e Dewey, 19 – I conte-nuti dell’apprendimento, 20 – Insegnamento strutturale e transfert, 21 – Il metodo d’insegnamento e il metodo di apprendimento in Dewey, 24 – Il metodo d’insegnamento e il metodo d’apprendimento in Bru-ner, 29 – Rapporto scuola–società, 30

35 Capitolo II La struttura: idea banale o ipotesi interpretativa

della ricerca scientifica?

Il concetto di struttura nella cultura, 35 – Il concetto di struttura per gli strutturalisti, 38 – L’antropologia strutturale e Lévi Strauss, 41 – Lo strutturalismo e le scienze sociali, 46

49 Capitolo III

Utilizzazione del concetto di struttura significativa nelle scienze umane

La linguistica strutturale e Chomsky, 49 – L’oggetto di studio della linguistica, 52 – La grammatica strutturale, 56 – La semantica struttu-rale, 59 – La storia strutturale, 65

71 Conclusioni critiche 77 Postfazione 81 Bibliografia

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Indice

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Capitolo I

Analisi della situazione culturale pedagogica

L’incontro tra pedagogisti e matematici, psicologi, biologi, fisici, medici, storici, letterati, esperti di cinematografia, al congresso di Woods Hole, sul Capo Cod, promosso dall’Accademia Nazionale del-le Scienze nel settembre 19591, allo scopo di compiere una ricerca comune relativa al processo d’apprendimento e di trovare i sistemi più efficienti riguardo all’insegnamento scientifico, rappresentò per Jero-me Bruner, professore di psicologia all’Università di Harvard e diret-tore del Center of Cognitive Studies, l’occasione di scrivere un testo di pedagogia «Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due cul-ture»2, diventato oggi un’opera classica in America.

1 La conferenza di Woods Hole, che ha permesso la genesi dell’opera di Bruner, frutto delle ricerche

dei partecipanti, fu organizzata dall’Accademia Nazionale delle Scienze in collaborazione con l’United States Office of Education. A Washington c’è un Ufficio Generale dell’Educazione annesso al diparti-mento Federale dell’Istruzione, che ha funzione di stimolare, orientare, divulgare nuovi metodi e tecniche. Funziona con una struttura tipo quella di un Centro didattico generale, con un’opera tendente alla unifica-zione dei vari indirizzi educativi. Rende in tal modo possibile la comunicazione dei risultati di rapporti, studi, ricerche, statistiche. Il Dipartimento per l’Educazione (State Bord of Education) che si trova in ogni stato, è formato da cittadini eletti durante le elezioni generali; assieme al proprio Parlamento emana e at-tua leggi relative all’istruzione pubblica. Per informazioni circa l’organizzazione scolastica americana, vedasi T. Valdi, Note sull’organizzazione scolastica negli USA, Servizio informazioni Avio, n. 5, 6, 7, 1964 e La Scuola negli USA, a cura di Bereday e Volpicelli, Armando, Roma 1959.

2 J.S. BRUNER, Dopo Dewey, Il processo di apprendimento nelle due culture, VI edizione, Ar-mando, Roma 1970. Opera seguita alla pubblicazione dell’articolo omonimo in “Saturday Re-wiew”, marzo 1961.

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Il linguaggio di Bruner, che riassume i frutti di uno sforzo comune, lontano da complicazioni psicologiche o metafisiche, cauto nei ri-chiami storici non immediati, è facilmente accessibile in quest’opera che dà l’illusione di una facile soluzione strutturalista. Di qui la diffu-sione rapida e la moda, un’interpretazione spesso arbitraria e superfi-ciale del concetto di struttura, “concetto” con il quale l’uomo di cultu-ra deve fare i conti, sia per negarla che per accettarla.

I motivi dell’interesse suscitato si spiegano anche con il fatto che l’esigenza di facilitare i rapporti tra gli scienziati, gli uomini di cultura e gli insegnanti è argomento di un discorso già avviato in America, nei paesi sovietici e in altre parti del mondo. Viene considerato soprattutto in rapporto ai progetti di riforma dei programmi.

La diffusione dell’opera è dovuta alla critica aperta e decisa, anche se parziale, della scuola di Dewey, l’esponente pragmatista della problematica educativa americana. Le caratterizzanti strutturali della scuola attiva del “dopo Dewey” messe in evidenza dallo strutturali-smo pedagogico di Bruner, rappresentano una critica più o meno sot-tintesa alle caratterizzanti strutturali della scuola passiva, ancora e-spressa dall’atomizzazione delle materie non collegate, limite, tra l’altro, anche dei programmi italiani.

Da noi un discorso sulle materie di insegnamento è stato posto in generale più su un piano polemico che su un piano scientifico costrut-tivo. La scuola attiva è ancora per molti insegnanti sinonimo di oppo-sizione alla scuola passiva, lotta contro il nozionismo, il mnemonismo, contro ogni forma di sistemazione prematura del sapere.

Il discorso sul processo di apprendimento è spesso ancorato alle deduzioni didattiche di alcune teorie pedagogiche fissate in schemi precostituiti. Nella comune cultura pedagogica (quando esiste) l’insi-stenza su alcuni punti ritenuti fondamentali (da Gentile a Radice, dal pragmatismo all’esplorazione dell’ambiente, dalle teorie dell’interesse alla didattica del fare per conoscere, ecc.) rende difficile un dialogo li-beratore.

Sul piano teorico non sono superate da tutti le antinomie maestro–scolaro, insegnante/alunno, autorità e libertà, socializzazione e indivi-dualizzazione, istruzione ed educazione.

I precedenti culturali dell’attuale pedagogia italiana così come vie-ne recepita in genere, possono spiegare i motivi di certe astruserie o

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impotenze come di certe traduzioni idealistiche–spiritualistiche–stori-cistiche.

È sembrato necessario ad alcuni, per l’affermazione del momento educativo, negare quello istruttivo con una semplicistica critica del sa-pere strumentale.

L’affermazione dei cosiddetti principi della scuola attiva ha spesso trasformato “l’interesse” in una rinuncia allo sforzo, il “rapporto scuo-la–società” in una supervalutazione dell’ambiente. Fare un discorso sui “contenuti” e sulle “strutture” non è facile per chi rimane ancorato ad un particolare ambiente di vita, legato all’episodico e al frammenta-rio, irretito da una psicologia schematizzatrice come quella che parla di tappe dell’età evolutiva3.

Il confronto tra le strutture della scuola passiva o della “generalità astratta” e della scuola attiva, o della “totalità concreta”4 ha portato il discorso sulla struttura. Il discorso sulla struttura porta ad un nuovo discorso sulla struttura delle singole materie, ad implicazioni didatti-che che derivano dall’influenza che ha esercitato lo strutturalismo nel-la pedagogia contemporanea. Il confronto delle specializzazioni peda-gogiche con le scienze sociali, oggi in crisi, ha orientato il pedagogista impegnato verso lo strutturalismo, di cui ha scoperto la carica rinnova-trice, per la fecondità metodologica dell’analisi strutturale. La propo-sta di nuove ipotesi, cui spinge lo strutturalismo, ci sembra possibile solo dover aver individuato i limiti di Bruner, considerato come uno dei più qualificati esponenti del “dopo Dewey” che ritiene di aver già compiuto l’operazione applicativa dello strutturalismo pedagogico.

Dopo un’esposizione sintetica del pensiero di Bruner, cercheremo di rispondere ai seguenti interrogativi:

1) Come si serve Bruner del concetto dei struttura? 2) Che cosa può derivare dall’utilizzazione pedagogica delle teo-

rie strutturaliste? 3) È possibile una teoria strutturalista?

3 Come esempio significativo, il tentativo di molti insegnanti di schematizzare le tappe

dell’età evolutiva, fermandosi al testo di DEBESSE, Le tappe dell’Educazione, anziché passare a quello di Psicologia genetica funzionale differenziale dell’età evolutiva, di A.A., a cura di M. DEBESSE, Armando, Roma 1965.

4 S. HESSEN, Ideologia e autonomia dell’educazione e della pedagogia, 1962, pp. 260–282.

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Le critiche allo strutturalismo di Bruner metteranno in evidenza gli elementi di vero strutturalismo che saranno distinti dai problemi la-sciati insoluti o arbitrariamente interpretati, con una terminologia usa-ta in modo sostitutivo. Le strutture concettuali nelle scienze pedagogiche e psicologiche 1.1. Il concetto di struttura in Bruner

L’importanza della struttura viene messa in evidenza da Bruner

nella ricerca relativa al processo d’apprendimento: «Ogni argomento ha la sua struttura, coerenza, bellezza,. Questa struttura è ciò che con-ferisce all’argomento la sua fondamentale semplicità. È apprendendo la natura di essa che riusciamo ad afferrare il significato essenziale dell’argomento stesso»5.

Le nozioni apprese possono essere valutate e ricordate solo se fatte entrare in un significativo contesto: non è una novità per le psicologie dell’apprendimento. L’importante è che per poter “afferrare il signifi-cato dell’argomento” occorre individuare le più semplici strutture del sapere che solo le menti più profonde riescono a cogliere. Di qui la necessità di una collaborazione, per la stesura dei programmi, di scienziati dell’educazione. La semplicità di chi coglie la struttura coincide con la stessa profondità del pensiero.

Due sono i motivi che guidano la ricerca di Bruner: 1) la ricerca delle “strutture”, ossia dei principi che distinguono

tra loro le materie d’insegnamento; 2) la ricerca delle vie che ne rendono possibile la scoperta. Il fine è quello di rendere possibile a tutti, attraverso la “scoperta”

della struttura, un personale coordinamento delle nozioni ed un perso-

5 J.S. BRUNER, Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, Armando, Roma 1971, p. 133.

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nale ampliamento progressivo del sapere. Lo studio viene inteso come un processo di scoperta, dove l’apprendere stesso implica un modo di ragionare attraverso la scoperta.

Le idee organizzatrici di un qualsiasi sistema di conoscenze sono scoperte che mirano a connettere e a semplificare l’esperienza (in fisi-ca si è scoperta l’idea di forza, in chimica quella di combinazione, in psicologia l’idea di motivazione, in letteratura quella di “stile”6.

Secondo Bruner, l’efficacia delle idee organizzatrici dell’esperien-za consiste nell’aiutarci ad apprendere, nel prefigurarci il futuro, nel modificare il mondo in cui viviamo e nel fornirci gli strumenti utili per l’esperienza.

La storia stessa della cultura si rivela storia delle grandi idee organizzatrici o strutturali, idee che derivano da ipotesi e giudizi sem-pre più profondi sulla natura e sull’uomo. Occorre pertanto studiare la struttura della conoscenza e cioè le connessioni che fanno derivare un’idea dell’altra, per poter scoprire l’unità del conoscere.

Il problema dell’unità del conoscere si pone, come dice G. Miller, per una legge economica, per l’esigenza di un’economia massima nel processo di apprendimento, altrimenti non sarebbe possibile possedere nemmeno una specializzazione, anche in una vita intera.

La psicologia ha accertato inoltre che l’apertura mentale è in grado di far possedere solo sei o sette cognizioni correlate e che perciò tanto l’adulto quanto il bambino è in grado di acquisire solo un determinato numero di cognizioni. Di qui l’insistenza di Miller perché l’uomo riempia i pochi canali del sapere non di scorie ma d’oro.

Il problema dell’unità del conoscere si richiama a quello utopistico dell’unificazione di tutto il sapere, da cui non è esente né lo struttura-lismo né ad esempio, il positivismo logico o una qualsiasi filosofia metafisica. Il tema dell’unità del sapere è presente in filosofie diverse ma soprattutto si presenta in modo più evidente in ogni tentativo scientifico di creare il “modello dei modelli”, la scienza delle scienze o una qualsiasi “summa”, sia di carattere tomistico, sia di carattere il-luministico.

L’ipotesi strutturalista, cui Bruner crede di poter pervenire, che ci sembra confermare l’intuizione di Comenio, è che qualunque cosa si

6 Op. cit., p. 20.

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può insegnare, in qualunque momento dell’età scolastica, quando l’alunno è stato messo in grado di padroneggiare generali strutture.

Non c’è sostanziale differenza tra lo scienziato alle frontiere del suo sapere e il fanciullo alle frontiere del suo sapere, se è comune la volontà di apprendere, ognuno in modo proporzionato alle fasi del processo evolutivo.

Non si tratta quindi di apprendere nozioni in forma statica e con-clusiva ma di apprendere un metodo che renda possibile il compito di “traslazione” del sapere.

Lo studio psicologico dello sviluppo mentale ha riconosciuto infatti che ogni fase dello sviluppo presenta caratteristiche diverse da utiliz-zare in modi diversi ma con contenuti comuni.

«Il compito di insegnare una materia ad un fanciullo in una deter-minata età consiste nel trovare il modo di rappresentare la struttura di quella materia nei termini della maniera di vedere le cose proprie del fanciullo»7.

Se una materia viene presentata in modo che sia possibile la padro-nanza della struttura logica, l’apprendimento avrà una forza generativa capace di permettere allo stesso individuo di costruire e di ricostruire i particolari.

La scoperta della struttura consente ad ognuno di utilizzare uno schema funzionale, dove i particolari possono essere inseriti non ap-pena si presentano in ordine successivo nell’esperienza.

Per Bruner “scoprire” significa infatti trovare la “struttura” più a-datta, il significato più profondo, il riordinamento e la trasformazione delle nozioni possedute in modo che ognuno possa spingersi al di là di esse, per la costruzione di nuovi concetti e per la soluzione di nuovi problemi.

Bruner sembra anzi ricordare l’insegnamento già di Maimonide: «Se l’eccellenza intellettuale dell’uomo è la più importante delle per-fezioni, l’elemento più squisitamente personale di ciò che si conosce è quello che si scopre da sé»8.

L’imparare ad imparare è il motivo essenziale che guida la sua ri-cerca. Lo studio dell’apprendimento nella conferenza di Woods Hole

7 Op. cit., p. 52. 8 Op. cit., p. 136.

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ha permesso a Bruner di confrontare le sue tesi con quelle di Piaget e di Wertheimer. Il problema è quello di chiarire il senso del paralleli-smo tra le “strutture logiche” proprie dei sistemi di conoscenza a livel-lo scientifico e le “strutture mentali” che la psicologia studia nel loro graduale costituirsi.

Occorre anche studiare le “strutture” interne all’ambiente culturale che condizionano lo stesso sviluppo9. Occorre studiare “Pierino” o la matematica? Secondo la pedagogia strutturalista, si tratta di impostare in modo diverso il problema, cioè di studiare “Pierino che studia le matematica”. 1.2. Bruner e Dewey

Bruner cerca di rispondere ai problemi filosofici ambientali in mo-

do adeguato alle richieste dei tempi in rapida trasformazione ed in modo corrispondente alla teoria filosofica sostenuta, prospettando il suo “strutturalismo” in una posizione di superamento della pedagogia tradizionale anche rispetto al pragmatismo di Dewey10.

Gli interrogativi pedagogico–didattici si possono così riassumere: 1) Quali devono essere i contenuti, il metodo ed il tempo d’ap-

prendimento e d’insegnamento? 2) Quale tipo di ricerca può aiutare il crescente sforzo per la crea-

zione di nuovi programmi? 3) Quali sono i problemi connessi col tentativo di mettere in evi-

denza la struttura di ogni materia, perché ogni studente possa presto arrivare all’intuizione delle idee fondamentali di ogni disciplina?

Le risposte data da Bruner verranno confrontate con quelle di De-

wey per poter stabilire se Bruner rappresenti davvero il dopo–Dewey.

9 J.S. BRUNER e altri, Studi sullo sviluppo cognitivo, Armando, Roma 1968. L’autore sug-gerisce tecniche per il potenziamento dello sviluppo cognitivo in rapporto alle condizioni so-cio–culturali dell’ambiente.

10 J.S. BRUNER, La sfida pedagogica americana, Armando, Roma 1970.

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1.3. I contenuti dell’apprendimento «La concezione dell’educazione viene intesa non come trasmissio-

ne di cultura, ma come formazione di un potere e di una sensibilità mentali che consentono la costruzione di una personale cultura interio-re»11.

Sembra una concezione tradizionale ispirata ad un qualsiasi “per-sonalismo” pedagogico12. È davvero in grado tale concezione di anda-re al di là di Dewey?

Dewey e Bruner sono d’accordo sul fatto che la mente ben formata è in grado di dominare il sapere e che ogni acquisizione vale nei limiti in cui può essere utilizzata nel futuro. Poiché è impossibile prefigurare il mondo in cui i fanciulli dovranno vivere, noi possiamo incoraggiare l’uso della mente, strumento valido, qualsiasi trasformazione operino il tempo e le circostanze ambientali13.

Secondo Bruner occorre che i fanciulli imparino soprattutto il lin-guaggio naturale e matematico. Il potere mentale si accresce con l’approfondimento della ricerca, non con l’aumento nozionistico delle informazioni, che spesso genera confusione, angoscia e quindi fa as-sumere posizioni di difesa quali l’evasione, la ribellione, l’indiffe-renza, il sovraccarico o l’amnesia, mali attuali della scuola.

La confusione delle idee e non l’ignoranza si oppone al libero uso della mente. Poiché il fine educativo ed il fine del corso degli studi sono la stessa cosa, i contenuti devono essere visti in rapporto al fine educativo proposto che è “il sapere organizzato”.

La convinzione di Bruner è che si possa insegnare in forma onesta qualsiasi argomento, a chiunque ed a qualsiasi età. La condizione è che il processo educativo sia fondato sulla libertà d’insegnamento, ca-pace di promuovere una ricerca intellettuale autonoma, unica fonte del sapere. Occorre cioè che il processo educativo, in qualsiasi ambiente

11 J.S. BRUNER, Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, Armando, Roma 1971, p. 29.

12 Per il rapporto tra personalismo e pragmatismo vedere: G. CATALFAMO, La pedagogia contemporanea ed il personalismo, Armando, Roma; G.M. BERTIN, Filosofia ed educazione nel pensiero contemporaneo, Armando, Roma, pp. 148–151.

13 I paragrafi “Educazione ed evoluzione sociale”, “Educazione e processo scientifico” di J.S. BRUNER in Verso una teoria dell’istruzione, Armando Roma 1967, mettono a fuoco il problema.

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si svolga, si liberi dalla disonestà intellettuale di chi usa falsi espedien-ti per non farsi capire o per far capire solo ciò che vuole. La scuola deve rendere vitale l’uso della ragione, in modo che la possibilità di verificare ciò che è implicito in ciò che è appreso, accresca la fiducia nella possibilità di servirsi dei poteri mentali.

Mentre Dewey cerca la giustificazione di un argomento di studio sulla base del rapporto di ogni argomento con l’attività sociale del fanciullo, Bruner sostiene che l’unità del conoscere è possibile solo se cercata nel conoscere stesso e cioè nella struttura della conoscenza, in quanto il concetto della commutatività non deriva dall’intuizione so-ciale.

Più che al Dewey, ci sembra che si possa avvicinare Bruner a Wer-theimer, per cui il problema fondamentale è l’apprendimento come so-luzione di problemi.

Secondo Wertheimer, una soluzione basata sulla comprensione ef-fettiva è possibile attraverso la scoperta di una certa struttura, cioè di certi rapporti reciproci tra gli elementi del problema. Ci sarebbero dunque tante strutture quanti sono i problemi, oppure un’unica struttu-ra specifica di discipline diverse? Lo studio dell’apprendimento ma-tematico, ad esempio, diventerebbe in tal caso studio di quegli specifi-ci processi mentali che sono propri del pensiero matematico. Il discor-so porta al problema del processo dell’apprendimento.

1.4. Insegnamento strutturale e transfert

Si pone il problema della positività o negatività del transfert. Se-

condo Bruner, l’adempimento adempie alla sua funzione di utilizza-zione nel futuro attraverso due tipi di transfert:

1) il transfert specifico dell’addestramento; 2) il transfert non specifico “dei principi” e delle “attitudini”. Il primo tipo di transfert, comunemente realizzato attraverso l’ap-

prendistato, dà la possibilità di applicare ciò che è stato appreso in at-tività analoghe, mentre il secondo rende possibile una maggiore effi-cienza in attività diverse.

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Il transfert dei princìpi consiste nell’apprendere prima una idea generale, base per poter riconoscere i problemi che via via si presentano nell’esperienza. Si tratta della “idea generale” di cui ebbe intuizione già Rosmini, secondo il quale non si passa dal particolare all’universale se l’universale non è già collegato con il particolare?

“L’idea dell’essere” di Rosmini è universale e necessaria e si appli-ca ad ogni conoscenza. I principi o le strutture di cui parla Bruner si differenziano invece da materia a materia. Più che al Rosmini, si può accostare Bruner a Gentile, la cui formula fondamentale, posta a base del metodo d’insegnamento e quindi del processo di apprendimento, è: “sapere è sapere insegnare”. Conoscere la struttura di una disciplina, secondo Bruner, è trovare il modo di far sì che l’alunno scopra la stes-sa struttura e se ne serva autonomamente per procedere da sé alla con-quista del sapere. Ma Gentile è rimasto ad una impostazione di ordine generale, qualche volta in opposizione ad ogni didattica e ad ogni me-todologia14.

I problemi di carattere pedagogico didattico richiamano in modo particolare l’interesse di Bruner. La necessità del contributo degli spe-cialisti nella stesura dei programmi scolastici deriva appunto dal fatto che solo chi ha effettiva padronanza della materia, non solo nei parti-colari contenuti ma anche nella sua “struttura fondamentale,” è in gra-do di fornire contributi adeguati. Per questo motivo lo storico, meglio di altri, potrà dirci che cosa è “fondamentale” in storia, così come il matematico lo potrà dire per la matematica. Tanto il pedagogista, quanto l’insegnante e l’alunno devono essere però consapevoli, anche se in modo diverso, degli sviluppi più recenti del progresso scientifico.

È la psicologia dell’apprendimento che ha condotto Bruner a rico-noscere che il transfert dei principi e degli atteggiamenti più che di specifiche abilità si realizza meglio quanto più “fondamentali” sono i principi appresi.

La continuità dell’apprendimento legato al “transfert dei principi” si fonda sulla padronanza della struttura della materia.

14 M. LANG, Problemi di struttura della pedagogia, Brescia 1960, p. 172. L’autore stabili-

sce un confronto tra Wilman, Hessen, Gentile, a proposito del concetto di struttura in Hessen e del modo in cui è stato realizzato un assestamento strutturale nella pedagogia contempora-nea.

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Poiché un’idea ha un’ampiezza d’applicazione pari alla sua forza, i programmi e i metodi scolastici devono essere pertanto rivolti all’inse-gnamento delle idee fondamentali di ogni materia.

La scoperta della “scoperta” non è originale, in quanto possiamo dire che risalga a Socrate. Più originale è l’analisi dei modi in cui la scoperta può attuarsi. Non interessa a Bruner trovare la legge, ma le leggi, non un’unica maieutica ma le maieutiche.

Già Socrate e Platone avevano parlato dello schiavo che scopre il teorema di Pitagora, se messo nelle condizioni adatte. Per Bruner è importante soprattutto la scoperta individuale delle strutture della ma-tematica, anche se ammette l’esistenza di un sapere impartito e di un sapere scoperto: la distinzione tra un metodo che renda possibile solo la prova e la verifica del sapere appreso, rispetto ad un metodo che permetta la scoperta della generalizzazione implicita.

Non ci sembra che lo strutturalismo porti a quella “degenerazione monistica” della scuola attiva di cui parla Hessen, che si caratterizza con la “sostituzione delle materie con un insegnamento totale in cui tutto il materiale scientifico è determinato da un unica idea centrale (il lavoro, il popolo, ecc.)15.

Al concetto di “degenerazione” si ricollega lo Spranger quando parla di effetti collaterali involontari che sono derivati16 perché, se è vero che le parti dipendono dal tutto, anche il tutto dipende dalle parti, nella psicologia della forma, come sostiene Kreutz, così come in pe-dagogia17.

15 S. HESSEN, Ideologia e autonomia dell’educazione e della pedagogia, Armando, Roma

1962, pp. 260–282. 16 E. SPRANGER, La legge degli effetti collaterali involontari nell’educazione. Educazione

e diseducazione involontaria, Armando, Roma 1964. 17 La necessità di un tirocinio psico–pedagogico per gli insegnanti e di una ricerca meto-

dologica scientifica, s’impone per la conoscenza di una psicologia dinamica, per cui i rapporti interpersonali si strutturano, entrano in conflitto e si organizzano.

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1.5. ll metodo d’insegnamento e il metodo di apprendimento in Dewey

Il problema del metodo è vivo nella pedagogia contemporanea.

Dewey e Bruner hanno in comune il tentativo di inserire il processo didattico nel cuore della problematica culturale filosofica. Infatti l’indicazione dei metodi e le soluzioni date hanno in gran parte in-fluenzato la cultura “occidentale”e “orientale”18, diventando per qual-che aspetto patrimonio di base comune dei critici della scuola cosid-detta “tradizionale”.

La tradizione idealistico–spiritualistica della problematica pragma-tista e strutturalista, diffusa nella cultura pedagogica italiana, però rende difficile tanto una utilizzazione consapevole quanto un effettivo superamento di Dewey e Bruner.

Vediamo ora i punti essenziali della pedagogia di Dewey, per un confronto significativo con quello di Bruner, anche a proposito del problema del metodo.

Attraverso Dewey, il pensiero moderno ha condotto una critica al concetto del sapere inteso come fatto e dato, possesso, trasmissione, distribuzione.

Nella vecchia didattica il problema del metodo era quello di trovare i mezzi e le vie per realizzare il trapasso del sapere dalla mente dell’insegnante a quella dell’alunno. Il metodo consisteva in una parti-colare abilità per infondere la scienza posseduta.

La concezione del sapere inteso come processo, svolgimento, in-venzione, scoperta, già in Dewey manifesta il tentativo di inserire il processo didattico nella realtà.

La realtà viene concepita come un infinito processo di sviluppo, i cui componenti sono le cose particolari, esseri singoli in infinite rela-zioni che non si uniscono in un unico atto, ma interagiscono. Il pro-blema della vita di ogni essere sta nella capacità di stabilire relazioni tali con l’ambiente, tanto che possa modificarlo ed esserne modificato a suo vantaggio. Punto di partenza della pedagogia di Dewey è la vita

18 La storia critica di Dewey viene svolta in occidente ed in oriente attraverso i testi di BRU-

NER. Vedi J.S. BRUNER, Il processo di apprendimento, Varsavia e Le ricerche pedagogiche in Polonia e in Russia di K. LECH nel testo dello stesso BRUNER…, Dopo Dewey, op. cit., p. 161.

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intesa come processo educativo di sviluppo. Poiché il problema della vita è anche il problema della scuola in quanto educazione e vita sono la stessa cosa, perché l’educazione si compia, deve essere fondata sull’impegno dei ragazzi in situazioni vitalmente problematiche.

L’esigenza di riportare la didattica dall’analisi astratta del sapere alla formazione, allo svolgimento, è il punto di partenza comune tra i pensatori americani e italiani.

In Italia la polemica condotta da Gentile contro il pedagogismo, il didatticismo, il metodologismo, muove dall’esigenza di attuare “un metodo vivo”. Si tratta di una esigenza comune ma con soluzioni di-verse, per una concezione diversa della filosofia.

La filosofia è per Dewey la teoria generale dell’educazione, la pe-dagogia è filosofia applicata19.

La concezione dinamica della vita assume la forma di uno strumen-talismo biologico, dove è fondamentale il principio del movimento in-teso come sviluppo.

Il processo idealistico di auto–creazione dell’essere che esige uno sviluppo continuo attraverso l’unità, la centralità e l’assolutezza, lascia in ombra le stesse conquiste scientifiche e psicologiche.

Anche in Dewey come nell’idealismo, l’unità e la circolazione del teoretico e del pratico sembrano motivi ricorrenti. Di qui la possibilità di una riduzione idealistica di un concetto educativo pragmatista che tende a universalizzare il mondo dell’esperienza.

Ci sembra che proprio il contrasto tra un metodo scientifico e un metodo filosofico, prospettato in una visione idealistica, abbia reso difficile quello che Bruner dice “l’incontro fra le due culture”20. La distinzione troppo accentuata tra l’“homo faber” e l’“homo sapiens” è uno dei più gravi mali della civiltà.

Già secondo Dewey il sapere è umanistico quando esercita la fun-zione liberatrice dell’uomo, aumentando la sua potenza di controllo sulla natura.

Lo scopo dell’educazione è quello di favorire l’azione compensa-trice di due tipi di mentalità. Ogni essere umano è capace di discipline

19 Cap. 21° di Dewey, Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze, VII edizione. 20 La genesi dell’opera Dopo Dewey, “Il processo di apprendimento nelle due culture vie-

ne spiegata” da BRUNER a p. 33 del testo stesso.

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astratte e concrete solo realizzando l’azione reciproca e armoniosa del-le due forze, visibili nell’uomo che sa unire la riflessione generalizzata a quella che vuole perseguire un fine pratico.

Il problema ci sembra particolarmente attuale, date le condizioni alienanti e frustranti dell’epoca in cui viviamo; ancor oggi, l’equi-librio dinamico dell’uomo impegnato a livello scientifico, umanistico e tecnico deriva dal modo in cui vive il problema di funzione del tempo.

È utile tanto la riflessione diretta a cose che non sono di utilità im-mediata, quanto quella che serve a fini pratici immediati. L’armonia tra la vita e il pensiero è il fine che la scuola attiva, attraverso Dewey, in modo ottimistico ritiene raggiungibile.

Il pensiero è concepito come un organo per la soluzione dei pro-blemi, parte intrinseca della realtà, perché la realtà si libera e si espan-de per mezzo dell’intelligenza che rischiara la via all’azione. Conosce-re e fare sono connessi intimamente. Pensare logicamente significa in-fatti rappresentarsi chiaramente una difficoltà, formulare un’ipotesi di comportamento atta a superarla, dar vita ad una situazione nuova, par-tecipare alla costruzione del mondo.

Insegnare a pensare, tanto per Dewey quanto per Bruner, è possibi-le se gli alunni sono messi a confronto con una realtà vivente, immersi in una siuazione problematica.

Il “metodo dei problemi” di Dewey vuole aiutare l’individuo ad uscire da una situazione di dubbio, evitando conclusioni anticipate, conducendo in modo sistematico la ricerca. Ognuno deve essere in grado di dominare la situazione con una autonoma capacità di giu-dizio.

L’ideale dell’educazione attiva è l’intervento attivo dell’alunno nel processo di formazione delle sue idee, in quanto più agisce nel mondo, più impara e quanto più impara, tanto più agisce.

“Occorre l’impulso per suscitare il pensiero, ma solo il pensiero no-ta gli ostacoli, inventa gli strumenti, dirige la tecnica, converte l’impulso in un’arte che vive negli oggetti”21.

21 Per il “metodo dei problemi” ed il “metodo dei progetti”, vedi i testi: HESSEN, La peda-

gogia di J. Dewey, Armando, Roma 1958; L. BORGHI, Il metodo dei progetti, La Nuova Italia, Firenze; W.H. KILPATRICK, La Fondazione del metodo, La Nuova Italia, Firenze.

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Il pensiero così concepito libera dall’ossessiva presenza del pro-blema e rende possibile una spinta personale verso il futuro, estirpa pregiudizi, abitudini erronee e tendenze irrazionali radicate nell’am-biente sociale. Il sapere è “la conoscenza utilizzata a dirigere le forze verso il migliore impiego della vita”22 e perciò è azione trasformatrice della realtà.

Il vero sapere è sintesi di forma e di contenuto, di informazione e di attività dell’intelligenza. Prepara il regno della vera libertà che è intel-lettuale. La libertà è lo sviluppo dell’individuo come personalità crea-trice. “La sola libertà che ha durevole importanza è la libertà dell’in-telligenza. Essa sola è eterna conquista ed eterno progresso. Non è le-cito indottrinare nella democrazia, ma concedere libertà di pensiero e di scelta”23.

Per Dewey chiamare le idee vere non significa che renderle vere, con una attiva costruzione, con un comportamento adatto, corrispon-dente alle esigenze della situazione. Il termine “idee vere” viene usato senza far riferimenti a principi ontologici, esclude ogni spiegazione metafisica. Di qui la mia ricerca per ammettere i fondamenti o le teo-rie dei fondamenti dell’esperienza metafisica. Il riferimento implicito alla teoria del behaviorismo dimostra l’interesse psicologico di Dewey per lo studio sperimentale dell’apprendimento che si è arricchito di molte ricerche, da Dewey in poi.

Ci sembra interessante ricordare le teorie del comportamentismo, sia di quelle che mettono in evidenza i condizionamenti, come quelle che considerano fondamentale l’intenzionalità, teorie che hanno arric-chito indirettamente la pedagogia di Bruner24.

L’utilizzazione della legge d’apprendimento, secondo cui ogni atto della condotta consiste in una risposta alla situazione esistente, si esprime in Dewey con l’“essere pronti”, ossia con la formula: “Law of Readiness”.

22 Il capitolo XII di Democrazia ed Educazione di DEWEY, mette in evidenza la necessità

dell’alunno di saggiare da sé le sue idee con l’applicazione. 23 Parte di un discorso tenuto all’Università della Virginia. Vedi La libertà nelle scuole

nuove in “The New Republic” del 9 luglio 1930. 24 Sono ritenuti superati il concetto di apprendimento per prove ed errori e la formula S–

R. Con TOLMAN, che da importanza alle variabili intermedie, si tratta di individuare il sistema dei bisogni e la matrice valori–credenze, che determinano lo spazio del comportamento.

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Disposizione, prontezza, azione persistente, successo, soddisfazio-ne, apprendimento, sono connessi.

La fecondità della pedagogia di Dewey realizza l’impulso irresisti-bile dei pionieri verso l’avvenire, verso un’aspirazione costante a co-struire e a ricostruire. Quattro sono le categorie degli istinti fondamen-tali: sociali, del fare e del costruire, dell’investigare, dell’esprimere.

Il bambino educato in modo non empirico ma sperimentale, svilup-perà in modo naturale un atteggiamento scientifico.

Il senso del problema, l’osservazione delle condizioni, la formazio-ne e l’elaborazione razionale di una conclusione, la prova sperimenta-le attiva, sono i termini di cui si serve Dewey per indicare lo sviluppo di una sensibilità scientifica che indica le fasi a cui si deve adeguare un metodo di insegnamento. L’organizzazione sistematica delle mate-rie non deve far dimenticare che nella vita le materie non si imparano volta per volta. Dewey rappresenta il successo della logica strumentale che concepisce l’esperienza elaborata deduttivamente e concettual-mente. In altri lavori ho confrontato il problema del rapporto metodo-logico tra la deduzione e l’induzione.

L’accentuazione intellettualistica nel “metodo dei problemi” viene corretta da Kilpatrick col “metodo dei progetti”. Questi, realizzatore del pensiero pedagogico di Dewey è già “dopo Dewey”? Chi teme l’uso della logica formale teme anche gli elementi logici, messi in pri-mo piano da Dewey; chi teme il rischio dell’intellettualismo, i cui prin-cipi possono far conservare alla scuola la tradizionale routine, mette in evidenza il volontarismo. Sviluppa il concetto di “attività intenzionale, unità tipica di vita degna del processo scolastico”25. Nella dottrina dell’“interesse”, Bruner si rifà a Dewey ed in quella del “proposito” allo psicologo americano Thorndike e, attraverso ambedue, a James.

Il “progetto” è un caso di attività intenzionale, è il perseguimento di un proposito.

Il connessionismo di Thorndike ritiene che la “sinapsi”, cioè la modificazione che si produce nelle cellule nervose, si verifichi quando le connessioni si fissano, con la risposta agli stimoli. L’alunno non

25 W. KILPATRICK, Educazione per una civiltà in cammino, La Nuova Italia, Firenze, VIII

ristampa.

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prova sensazioni isolate, ma percepisce situazioni in un cambiamento di cui lui stesso è parte.

1.6. Il metodo d’apprendimento e d’insegnamento in Bruner

Il passaggio dal puro apprendimento logico all’uso di ciò che si è

appreso, tanto per Dewey quanto per Bruner, rappresenta il passo ne-cessario per la conquista della maturità intellettuale. Occorre incorag-giare l’alunno a trarre i maggiori benefici da ciò che si impara, ren-dendolo in pari tempo sensibile alla connessione sistematica propria del conoscere. Il fine dell’educazione indicato da Bruner è quello della conoscenza del mondo e delle sue leggi, conoscenza che ha una strut-tura ed una storia. Il metodo di apprendimento coincide con il metodo d’insegnamento. È implicito in ogni attività conoscitiva, perché si ma-nifesta come sforzo ordinato e responsabile verso l’auto apprendimen-to, sforzo per disporre ogni particolare in una ordinata rappresentazio-ne del mondo.

Pertanto il sapere è in grado di ordinare l’esperienza. Il ciclo di ap-prendimento inizia con il riconoscimento dell’immediato particolare ma procede verso l’astrazione, che rappresenta il momento essenziale dell’intelletto. Le esperienze collegate nella vita del fanciullo sono in-fatti il punto di partenza per l’intuizione e l’idea generale. Prima di po-ter apprendere nozioni sugli argomenti, chi apprende deve possedere una “idea generale” sul modo in cui una materia può essere ordinata e sul sistema in cui la nozione può essere collocata. Ne deriva una conse-guenza che Bruner ritiene traducibile in termini strutturalistici: se tutte le attività fossero incasellate nei quadri di una struttura mentale, si im-pedirebbe ogni inutile e confuso immagazzinamento. L’uso diretto delle nozioni sarebbe inoltre stimolo per un atteggiamento costruzionista.

Se la logica, la matematica, la statistica, ad esempio, fossero usate per favorire l’uso di corrette tecniche d’indagine, diventerebbe anche più facile l’organizzazione delle informazioni ed il recupero del mate-riale appreso.

Il potenziamento intellettuale, secondo Bruner, viene incoraggiato attraverso la scoperta dei rapporti di regolarità collegati nell’ambiente di vita. Impadronirsi di ciò che si apprende significa saper inserire nel

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proprio interiore mondo culturale ciò che il fanciullo viene progressi-vamente creando da sé. I vantaggi che derivano dalla scoperta sono il senso di confidenza e pertanto una maggiore ricompensa psicologica, una migliore tecnica di indagine, l’uso fecondo dei processi mnemonici.

Tali ricompense naturali servono ad impedire che gli alunni, come spesso accade, si organizzino solo in vista di un’altrui approvazione e fanno da antidoto contro la passività perché rafforzano il processo stesso di una disciplinata ricerca.

1.7. Rapporto scuola–società Le trasformazioni della società nell’epoca in cui viviamo si vanno

facendo sempre più complesse e più rapide. Occorre che la scuola ri-fletta il ritmo stesso dei rapidi cambiamenti con un aggiornamento co-stante, non solo per quanto riguarda il sapere scientifico e tecnico.

Secondo Bruner l’organizzazione autonoma dei sistemi scolastici è uno dei fattori di conservatorismo, superabile solo attraverso la parte-cipazione di tutte le forze impegnate per il progresso. Occorre che la scuola, per essere alla base dello stesso progresso, sia in grado di tra-sformare l’istruzione introducendo nei programmi le scoperte del no-stro tempo.

Bruner fa l’ipotesi di nuove facoltà da denominare “Istituti per lo studio dei programmi “scolastici” dove possono incontrarsi regolar-mente uomini di cultura, scienziati, uomini d’affari, artisti, insegnanti, mossi dall’esigenza di una riforma delle strutture scolastiche e di una nuova concezione dei programmi, in rapporto alle rapide trasforma-zioni dell’era che stiamo vivendo.

La nostra poliedrica civiltà fa emergere modelli di perfezione a cui la scuola non sempre sa dare espressione.

La produzione di “modelli” adeguati contribuisce a vivificare stu-denti e insegnanti. Con l’apporto di tutte le forze sociali, Bruner ritie-ne possibile un continuo aggiornamento anche dei programmi. Basti ricordare le conseguenze in campo pedagogico–didattico della scoper-ta dei matematici strutturalisti che ritengono di poter insegnare perfino ai bambini i principali concetti della teoria degli insiemi. Ciò significa che occorre essere preparati tanto per insegnare alla scuola materna,

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quanto all’università. Il problema della preparazione e dell’aggiorna-mento degli insegnanti si pone in modo urgente anche nella scuola ita-liana. Già Dewey, in “Unità della scienza come problema sociale”26 manifesta la necessità di instaurare un legame tra le scienze fisico–chimiche e quelle psicologiche–sociali. Dewey, secondo Bruner, ha accentuato in modo ottimistico la problematica sociale, con una inter-pretazione dei principi democratici di tipo neo–liberale. È ottimistica la sua convinzione di aver superato l’antitesi tra umanesimo e natura-lismo, con un tecnicismo illuminato in campo etico e politico. Egli in-fatti vuole contribuire a trasformare le società in una grande comunità sostenuta da legami interiori, abolendo i confini tra le classi, asse-gnando un posto giusto ad ognuno nella comunità del popolo, con una giusta scelta professionale. La partecipazione ai beni sociali di tutti i membri comporta l’abolizione di classi stabilite. La crescente influen-za reciproca delle forme di vita collettiva produce un processo di evo-luzione tra i diversi gruppi sociali, un adattamento delle istituzioni so-ciali alle nuove situazioni.

In “Democrazia ed educazione”27, Dewey mette in evidenza come la scuola attiva possa rendere possibile l’autocoscienza dell’ideale del-la democrazia. Democrazia non è solo una forma politica, ma una concezione o forma di vita. Significa anche forma di vita collettiva dove gli interessi comuni trovano modo di esprimersi.

La scuola è veramente l’ambiente semplificato, purificato, armoni-co, auspicato, teorizzato, realizzato da Dewey? Come si concilia la sua ottimistica visione della scuola purificata che è “vita” essa stessa, con il concetto secondo cui la vera natura della vita è quella di lottare per esistere? La lotta è armonia? Anche la “lotta” nella scuola e nella so-cietà tutta? Ci sembra che Dewey parta dalla premessa che sia possibi-le l’armonia tra la vita dell’uomo e la sua professione, in tal modo spi-ritualizzate. La sua scuola del lavoro deve accogliere l’evoluzione di-namica del recente sviluppo industriale e preparare ad un cambiamen-to professionale. Dewey è contro la scuola professionale integrativa di Kerschensteiner. Il lavoro viene inteso in “scuola e società”28 non co-

26 J. DEWEY, Unità della scienza come problema sociale in Neopositivismo e unità della scienza, Bompiani, Milano 1958, p. 55.

27 J. DEWEY, Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze, VII edizione. 28 Vedi i capitoli VI e VII di Dewey in Scuola e società, la Nuova Italia, Firenze, VII edizione.

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me insegnamento a sé, ma come metodo di vita e di apprendimento. L’attività lavorativa deve essere liberata da un unilaterale legame col pratico e con l’utile. L’attività non si fonda solo sul movimento ma anche sulla quiete. Di qui l’educazione all’ “otium” che è uno dei più importanti compiti dell’educazione moderna, riconosciuta del resto anche dalle scuole popolari integrative tedesche e italiane!

Importa creare un nuovo centro di vita fuori dalla quotidiana pro-fessione. La possibilità di utilizzazione del tempo libero con una pro-gressiva riduzione dell’orario di lavoro, comporta un vantaggio per la cultura. La difficoltà di utilizzare in modo proficuo il tempo libero è diventata oggi fonte di banale dispersione con cui spesso si cerca di rimediare in modo insoddisfacente alle frustrazioni.

La scuola del lavoro, come si è sviluppata in America, ha portato a delle contraddizioni. I limiti dell’applicazione dipendono dal sistema filosofico con cui la sua concezione pedagogica si identifica, ma anche dal suo ottimismo intellettuale. Per questo la sua dottrina si presta ad ambiguità, al punto che da qualcuno viene detta “marxista”, da altri “socialdemocratica”. Il suo attivismo infatti si può ridurre ad un per-sonalismo in cui si accentua l’idea della totalità. Il concetto di plurali-smo mantiene la dottrina ad un livello uniforme. In realtà tutto il peso di un giudizio morale d’una situazione è sopportato dall’intelletto a cui spetta la scelta della soluzione più opportuna.

L’ambiguità, in qualche caso, è dovuta all’uso di termini che si pre-stano ad equivoci.

La parola “otium” ad esempio, non è solo usata nel senso di “tempo libero”. Quando Dewey vuole contrapporre la scuola attiva all’ “o-tium”, simbolo della cultura dei tempi in cui la classe dirigente si di-stingueva da quella operaia29, pensa di poter sostituire alla “scuola dell’otium” quella del lavoro.

Cade in un ottimismo intellettuale, non tenendo presenti i problemi industriali, per cui, in altre parti delle sue opere, manifesta notevole capacità interpretativa, come lo stesso Bruner riconosce30.

29 È interessante notare che in greco la parola scholeè,“pr. scholé”, significa ozio. 30 R. MAZZETTI, Dewey e Bruner. Il processo educativo nella società industriale, Arman-

do, Roma 1970.

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L’incidenza e lo sviluppo del progresso tecnologico che caratteriz-za gran parte della nostra civiltà hanno posto alla scuola odierna pro-blemi che vanno al di là di Dewey e di Bruner.

Lo strutturalismo può rispondere anche a queste richieste della so-cietà dei nostri tempi?

Con una visione critica stimolante, favorita dalla flessibilità psichi-ca dell’uomo che vive in modo impegnato la problematica odierna, vedremo quanto il concetto di struttura abbia reso feconda l’im-maginazione scientifica ed in quali limiti la pedagogia possa utilizzare una metodologia, al fine di proporre in modo nuovo ipotesi rivoluzio-narie, per quanto riguarda i valori sociali.