Donne senza lo Stato

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numero 22 Il Serale Settimanale quotidiano L’emancipazione è annegata nella violenza Donne senza lo Stato 19 novembre 2012

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L'emancipazione è annegata nella violenza

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numero 22

Il SeraleSettimanale quotidiano

L’emancipazione è annegata nella violenzaDonne senza lo Stato

19 novembre 2012

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Ho subìto una violenza. È stato miopadre, mio fratello, mio cognato.

Sei stato tu. Passerò i prossimi cinqueanni, se va bene, a dimenticarmi di esserestata violata come persona. Poi altricinque, arrotondo, per rimpiangere ildiritto di essere considerata donna oltreogni ragionevole buco, o seno. Poi nonperderò tempo, come nei romanzi, achiedermi quanti mesi passeranno primadi fidarmi ancora di una persona,figuriamoci di un uomo, figuriamoci diun marito. Farò cazzate e le farò da sola.Scatenerò l’ira di chi mi vorrà piùcoerente con gli altri e mi dirà che nonmi devo chiudere in me stessa. Verrannogli psichiatri, gli amici e gli amicipsichiatri; nessuno di loro però avràtempo di rimanere per la notte perché,pur avendo 38 anni, ho ancora paura delbuio. Non dico loro niente perché nonvoglio beneficienza e poi: cosa dovreidire? Nemmeno tu vuoi sentire ilracconto delle percosse e degli schiaffi,né quello delle penetrazioni. Non voglioun ascolto, non voglio più avere niente ache fare con quel dolore, non voglio ilsostegno delle istituzioni, non voglio laprevenzione senza la cura, né mi servono13 articoli di una legge contro lo stalking.Voglio che ti metti nei miei panni e cheper un minuto tu comprenda che sonodiversa da te, che sono sola e arrabbiata.

E poi voglio che tu te ne vada.*

di Lorenzo Ligas

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«Un segnale forte»

*L’editoriale non è una testimonianza. Il 15 ottobre scorso ilGoverno ha convertito in legge il Decreto Legge n. 93,

Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrastodella violenza di genere. Questo è il numero scritto un anno faesatto, ma problemi qui evidenziati sono rimasti gli stessi, per

sbaglio nemmeno lambiti dalle nuove norme

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Femminicidio, il confine del neologismoCosa c’è dietro una parola nuova e abusata? La linea che distingue

l’omicidio, la propaganda e la protezione della violenza con ilsilenzio

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«Penso che in Italia sia stata coniata unaparola nuova: “femminicidio”; questo

per dire che siamo alla 102esima donna uccisadal suo maschio proprietario». Sono le paroledel candidato alle primarie del centrosinistraNichi Vendola. Cosa si cela dietro questoneologismo, usato soprattutto per appellitelevisivi? Probabilmente ciò che nasconde è ladegradante realtà di un Paese che regola la vitacomunitaria delle donne attraverso lasoggezione e la sopraffazione. A partire dalladisparità di trattamento economico, fino al veroe proprio terrore psicologico e fisico. Ilfemminicidio è «la forma estrema di violenza digenere contro le donne, prodotto dellaviolazione dei suoi diritti umani in ambitopubblico e privato, attraverso varie condottemisogine – maltrattamenti, violenza fisica,psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro,economica, patrimoniale, familiare,comunitaria, istituzionale – che comportal’impunità delle condotte poste in essere tanto alivello sociale quanto dello Stato e che,ponendo la donna in una posizione indifesa e dirischio, possono culminare con l’uccisione o iltentativo di uccisione della donna stessa, o inaltre forme di morte violenta di donne ebambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenzefisiche e psichiche comunque evitabili, dovuteall’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni ealla esclusione dello sviluppo e dellademocrazia». Non più omicidio tout court, maomicidio di genere e violazione sistematica deidiritti umani sulla base del genere sessuale diappartenenza.Pugnalate, strangolate, annegate, picchiate a

morte, bruciate vive, smembrate, freddate acolpi di pistola. Cambiano i nomi, cambia l’età, illuogo d’appartenenza e la scena del crimine. Ma

di Luigi Loi e Silvia Fiorito

Ogni tipo di violenzafisica, psicologica,

sessuale può culminarecon l’uccisione

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la storia rimane pressoché la stessa: sono quasisempre i “loro uomini” – padri, fidanzati, maritiecc… – a rivelarsi i protagonisti assoluti di talibrutalità. Ed è proprio questo l’elemento chiaveche caratterizza l’omicidio di genere. Secondogli esperti, il tutto nasce dal capovolgimento delruolo della donna, ormai non più relegatoall’atavica idea tradizionale. Molti uomini nonlo digeriscono e non accettanoquest’eguaglianza ontologica. La colpa èdunque di quella cultura patriarcaleprofondamente radicata nel nostro Paese, chegiustifica il bisogno ancestrale di avere autoritàsui membri femminili della famiglia,considerandoli come oggetti piuttosto chesoggetti eguali e pensanti. L’impressione è che, soprattutto in particolari

zone dell’Italia, persistono atteggiamentisocioculturali inclini a “perdonare” la violenzadomestica. «Quando la stavo accompagnandoall’ospedale mi ha detto: “dì alla polizia che si ètrattato di una rapina, ti crederanno”»: sono leparole pronunciate da una donna di Napolipoco prima di morire. È questo il 102esimofemminicidio dell’anno; l’assassino è il marito38enne che, a seguito di una banalediscussione, ha perso la testa e ha pugnalatomortalmente la sua compagna di vita. L’omertàdi alcune vittime è un fattore allarmante,tuttavia molte uccisioni continuano ad avvenirea causa della mancanza di una forte rispostacollettiva da parte delle Stato. Necessaria,adesso, una presa di posizione più chiara eincisiva da parte delle istituzioni, per far sì cheil femminicidio venga considerato socialmenteinaccettabile. Per davvero. Ma quando lo Stato è latitante, il problema è

difficilmente inquadrabile, infatti alcuni datiillustrano statistiche confortanti, altri invece

Secondo gli esperti laviolenza nasce dal

capovolgimento delruolo della donna

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Idati osservabili al momento, sono statielaborati e raccolti grazie al lavoro delle

associazioni che operano sul territorionazionale contro la violenza maschile sulledonne, poiché in materia gli unici dati ufficialisono quelli Istat del 2006. In assenza di nuovericerche, il fenomeno rischia di esseredifficilmente inquadrabile ma soprattuttoimpossibile da affrontare da parte delLegislatore. L’Italia non ha ancora ratificato laConvenzione del Consiglio d’Europa sullaprevenzione e la lotta alla violenza neiconfronti delle donne, firmato a Istanbul nelmaggio 2011 da 10 stati europei.

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sono degli allarmanti bollettini di guerra.Atteniamoci ai dati ufficiali fornitidalle Nazioni Unite per il 2011 (il biennioesaminato è quello del 2008/2010) tramiteil Global study on homicide. Questi illustranoche nella sezione “Homicides by sex” lapercentuale che ha interessato le donne uccisein Italia è agli ultimi posti nell’Ue. In Italia il23,9% di vittime è donna, in Svizzera è il49,1%, in Belgio il 41,5%, a Malta il 75%, inUngheria il 45,3%. Gli Stati Uniti hanno unapercentuale del 22,5%. Purtroppo il dato chedovrebbe far preoccupare maggiormente è didifficile lettura: il 70% dei femmincidi in Italiaaccade in un contesto in cui forze dell’ordine ola rete di tutela erano già al corrente di unasituazione di rischio. La morte è solo la puntadi un iceberg che nasconde una violenzaperpetrata quotidianamente.

Il ritardo endemico italiano inoltre è quellodi non riuscire a inquadrare un problema didisagio sociale diffuso, ratificando come unicasoluzione praticabile l’inesistenza del problemastesso. Fino a cinquanta anni fa si dicevaapertamente “la Mafia non esiste”, illudendosiche gli omicidi e la violenza delle bombefossero solo un retaggio antropologico del SudItalia. Fino al 1982, per i delitti di mafia siricorreva all'art. 416 del codice penale:“L’associazione a delinquere”. Il 416 eraincongruente di fronte alla peculiarità e allavastità del fenomeno mafioso e alle sue ricadutenel territorio. Il femminicidio, seppur con gliaggiustamenti del caso, potrebbe finalmentedefinire alcuni tratti specifici di un problemadifficile da ignorare.

Il 70% degli omicidi inItalia accade in un

contesto che si conoscegià a rischio

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Insufficienza legalePer quanto venga migliorato, l’apparato legislativo da solo non

basta a tutelare le donne e un cambiamento nella culturadell’antiviolenza femminile

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Che quello della violenza sulle donne siaun tema di triste attualità non è un

mistero. È di questi giorni infatti la notiziadell'impegno, assunto dal governo italiano, aratificare quanto prima la convenzione delconsiglio d'europa messa a punto ad Istanbulnel 2011, riguardante proprio questo delicatotema. Questo rappresenterebbe un ulteriorepasso avanti nell'evoluzione legislativasull'argomento ,cominciata ormai oltre 15 annior sono. Ma andiamo con ordine. È con la leggen.66 del 15 febbraio 1996 che viene compiuto ilprimo vero grande passo in tema di repressionee prevenzione della violenza sulle donne. Ilmerito di tale legge è quello d'aver spostatol'ambito d'appartenenza dei delitti contro lalibertà sessuale, dal capo del codice penalerelativo ai delitti contro la moralità pubblica eil buon costume, a quello dei delitti contro lapersona, affermando per la prima volta che iltitolare del bene leso non è la collettività, ma ilsingolo indivduo vittima dell'abuso. Altroimportante aspetto di tale riforma è statal'unificazione sotto la dicitura “atti sessuali”,delle due precedenti figure di violenza carnalee degli atti di libidine violenta (ovvero quellidove non vi sia effettiva congiunzione carnale),a testimonianza di un nuovo e forte intentorepressivo nei confronti di ogni genere diviolenza a sfondo sessuale. Ulteriore impulso alla disciplina è arrivato

successivamente dalla legge n.154 del 5 aprile2001, riguardante le “Misure contro la violenzanelle relazioni familiari”. Come facilmenteintuibile, obiettivo del provvedimento era latutela dei singoli all'interno del nucleofamiliare, raggiungibile peraltro solo tramiteuna semplificazione dei mezzi di tutelaimmediata accessibili alle vittime di violenza.

di Daniele Di Corcia

La Carfagna, nel 2009,ha introdotto all'

articolo 612 bis il reatodi “atti persecutori”

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In precedenza infatti, gli unici rimedi possibilicontro tali forme di maltrattamento erano: insede penale la sollecitazione nei confronti del

Pubblico Ministero a richiedere la misuracautelare del “divieto di dimora”, mentre in

sede civile la possibilità di chiedere un ricorsoper separazione coniugale. Grazie alla

sopracitata legge, lo scenario è radicalmentecambiato. Oggi è infatti possibile inoltrarepersonalmente la richiesta di uno specifico

provvedimento giudiziale, sia in ambitopenale che civile, che porti all'applicazione dimisure cautelari quali l'allontanamento dallacasa familiare e il divieto di avvicinamento a

determinati luoghi frequentati dallafamiglianei confronti del soggetto colpevole

delle violenze. Anche in questo caso,siamo difronte al chiaro intento, da parte del

legislatore, di rendere più incisiva la tuteladelle vittime di abusi tramite l'introduzione diuna disciplina apposita per casi estremamente

delicati come quelli di violenza all'internodelle mura domestiche.

Al fianco di queste forme di violenza piùevidente, caratterizzate da veri e propri abusi

di tipo fisico, si collocano quelle, di piùdifficile individuazione, consistenti in

comportamenti persecutori o intimidatoriaventi effetti sulla psiche delle vittime invece

che sul loro fisico. Categoria ben rappresentata dal cosiddetto

“stalking”. Esso si manifesta in queicomportamenti finalizzati alla reiterazione diminacce, molestie o atteggiamenti persecutori,

nei confronti di persone che, a causa di talicondotte, siano portate a temere per la propria

incolumità e ne traggano grave pregiudizionelle proprie abitudini di vita. Proprio per

combattere tale fenomeno è stato emanato il

Dal “divieto di dimora”allalegge 154 del 2001, le misure

adottate hanno fatto deipassi in avanti

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decreto legge n.11 del 23 febbraio 2009 (poiconvertito in Legge 23 Aprile 2009,n.38), cheha introdotto all'articolo 612 bis del codicepenale il reato di “atti persecutori”. Esso trovaambito d'applicazione quando non sussista unaforma di reato più grave, è attivabile tramitequerela di parte e comporta una pena dai 6 mesiai 4 anni per chi se ne renda responsabile. Ilmotivo dell'introduzione di questa nuova formadi reato, va ricercata nell'insufficienza delleforme di tutela presenti nel nostro ordinamentofino a quel momento, individuabili infattispecie penali di scarsa incisività quali lacontravvenzione di molestia e i delitti diviolenza privata o minaccia.Tuttavia, le modifiche legislative fin qui

analizzate, per quanto di indubbia utilità, nonpossono essere considerate ancora sufficienti dasole ad affrontare in maniera del tuttosoddisfacente un problema radicato comequello della violenza sulle donne. Infatti, perquanto inasprite, le pene oggi comminabili pertali reati, ancora non appaiono sempreappropriate, anche e soprattutto in virtù delgrosso ambito di discrezionalità lasciatoall'organo giudicante, che molte volte haportato a disparità di valutazioni,alle voltepoco condivisibili. Inoltre, le fattispecie oggipresenti all'interno all'ordinamento, sebbenemigliorate nel corso degli anni, ancora nonpaiono permettere la puntuale repressione deitanti abusi che ogni anno si consumano nelnostro Paese. Ed è per questo, che la ratificadella convenzione di Istanbul, in quest'ottica ,appare come un dovere morale da adempieresenza ulteriori indugi, come dimostrazione divolontà nel combattere un fenomeno ormai sintroppo diffuso ed al quale occorre al piùpresto porre un freno. Reale.

Troppa discrezionalità epoca aderenza con i numeridel fenomeno della violenza:le leggi da sole non bastano

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La rete che verràAssociazioni e movimenti per le donnecercano di coordinarsi. Senza lo Stato

In Italia le associazioni come Telefono Rosa,Pangea, Gi.U.Li.A sono molto diffuse. Ciò chemanca è la coordinazione forte che le pubblicizzi

di Anita Franzon

Si chiamano TelefonoRosa, Pangea, Diffe-

renza Donna, L'unionedelle donne, Casa interna-zionale delle donne,GI.U.Li.A Giornaliste esono solo alcune tra le tanteassociazioni che si occupanodelle violenza contro ledonne in Italia. Il loro com-pito è quello di offrire assi-stenza e primo aiuto alledonne che si sentono mi-nacciate da un uomo, di or-ganizzare campagne per lasensibilizzazione e la pre-venzione nelle scuole e, at-traverso i media, forniredati e statistiche e creareeventi. Sono tutti centrispecializzati e sono in gradodi riunire la voce di tantedonne che spesso nonhanno il coraggio di parlare. In Italia, questo tipo di as-

sociazioni è abbastanza dif-fuso, la violenza contro ledonne è però gestita nontanto dal governo in ma-

niera unitaria e coordinata,ma frammentariamente davarie congregazioni didonne che agiscono sul ter-ritorio senza avere un'eco alivello nazionale. Per questo motivo sono

nate associazioni comeD.i.Re, Donne in Rete con-tro la violenza. D.i.Re rac-coglie in un unico progettocirca sessanta di queste as-sociazioni ed è stata creataallo scopo di costruire un'a-zione politica nazionalevolta a innescare un cam-biamento culturale di tra-sformazione della societàitaliana nei riguardi di que-sto fenomeno.D.I.Re ha da poco denun-

ciato la 105esima vittimadonna in Italia dall'iniziodel 2012, inserendola nellalista di quelle morti che daqualche tempo rientranosotto la dicitura di “femmi-nicidio”.

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Alcuni centri sono attrez-zati anche per rispondere inmaniera pronta ed efficace aqualsiasi emergenza, comeTelefono Rosa che ha messoa disposizione un call cen-ter, il 1522, che risponde arichieste di aiuto da parte didonne, adolescenti e anzianiche subiscono violenza fi-sica, psicologica, econo-mica, sessuale, mobbing estalking. Le operatrici delcall center sono volontariedell'associazione e hannoseguito uno specifico corsodi formazione. Il team è co-stituito da avvocati, psicolo-ghe e sessuologhe,mediatrici culturali e assi-stenti al diritto di famiglia etutte le consulenze sonogratuite.Secondo le donne di

D.i.Re è giunta l'ora di lan-ciare un appello rivolto algoverno e al parlamento af-

finché Carmela, morta a di-ciassette anni per difenderela sorella dalla violenzadell’ex fidanzato, sia l'ul-tima vittima. La petizionepubblica, i cui primi firma-tari, resi noti alla fine del-l'appello, sono il giornalistaRiccardo Iacona e la presen-tatrice Serena Dandini, agi-sce sostanzialmente su duepunti importanti: il primo èla richiesta di ratificazionedella Convenzione del Con-siglio d'Europa firmata adIstanbul, che vincola i Paesiaderenti ad azioni e inizia-tive importanti di contrastoalla violenza sulle donne el'Italia è tra i pochi Paesiche non l'ha ancora sotto-scritto; il secondo punto ri-guarda invece l'effettiva econcreta attuazione delprimo Piano nazionale anti-violenza, approvato con De-creto Ministeriale l’11

novembre 2010 e non an-cora messo in completa-mente in atto. Le donne deicentri antiviolenza spera-vano che, essendo statecoinvolte e consultate, al-cune istanze fondamentalipotessero essere recepite nelpiano, ma finora, dopo quasi2 anni, esso è rimasto undocumento di buone inten-zioni e manca quasi deltutto la concretezza delleazioni. Inoltre, nel piano non è

nemmeno presente una de-finizione dei centri antivio-lenza, ovvero di quei luoghigestiti principalmente dadonne che sono nati con loscopo esclusivo di aiutarealtre donne a uscire dallaviolenza attraverso percorsiindividualizzati, affiancateda operatrici specializzate.Secondo i dati forniti da

queste associazioni, le ri-

Il Telefono Rosa (in foto lapresidente Maria Gabriella

Moscatelli) ha messo adisposizione il 1522

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chieste di aiuto delle donneaumentano di anno in anno,ma le capacità di ospitalità eaccoglienza diminuiscono acausa della riduzione deifondi messi a disposizionedagli enti locali per la pro-tezione delle vittime, tantoche diversi centri hanno giàchiuso e altri sono a rischiochiusura. Il problema si presenta

quest'anno più che mai, a ri-dosso della giornata mon-diale contro la violenzasulle donne, il 25 novem-bre, perché il governo ita-liano dovrà rispondere nel2013 sulle politiche che haattuato rispetto al temadegli stereotipi di genere esulla violenza maschile neiconfronti delle donne.Stando sempre ai dati for-

niti da D.i.Re, sono quasi14mila le donne che si ri-volgono ogni anno ai centri

antiviolenza e nella maggiorparte dei casi si tratta didonne italiane che subi-scono violenza da uominiitaliani.Un po' di numeri: i centri

aderenti D.i.Re con casa ri-fugio sono solo 31 e 19 sonole associazioni che hannoun progetto contro la pro-stituzione coatta. Comples-sivamente, su 127 centriesistenti in Italia, 99 sonogestiti da associazioni disolo donne e solo 61 hannouna casa rifugio. Il Consigliod’Europa, però, raccomandaun centro antiviolenza ogni10mila persone e un centrod’emergenza ogni 50milaabitanti. Se rispettasse que-ste norme, l’Italia dovrebbeavere più di 5mila postiletto, invece ne abbiamo ap-pena 500, un numero moltolontano dallo standard eu-ropeo.

Le richieste di tantedonne restano senza rispo-sta e tante altre sono a ri-schio di vita: ogni anno inItalia vengono uccise oltre120 donne, dall’inizio del2012 sono 105 e la maggiorparte dei femminicidi sicompie nella casa della vit-tima per mano di mariti,compagni o ex.Ma questi sono solo nu-

meri, anche perché per ilfemminicidio non esistono,in realtà, dati ufficiali: man-cano dati aggiornati, perio-dici e sistematici relativi allevarie forme di violenza digenere, in particolare l’Italiaè anche uno dei pochissimiPaesi europei nei quali nonviene effettuata sistematica-mente un’analisi dei costisociali della violenza, in ter-mini di sofferenza umana edi perdita economica.É bene ricordare, però,

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che la violenza sulle donnenon è unicamente femmini-cidio, ma è nella vita di tuttii giorni. Gi.U.Li.A, ad esempio,

ovvero Giornaliste unite peril cambiamento, è una retenazionale di giornalisteunite libere autonome, natain tempi di crisi grave delPaese e di attacco alla di-gnità della donna, ai dirittidel lavoro e dell'informa-zione. GI.U.Li.A è contro ibavagli e per questo è inprima fila nella battaglia perla libertà dell'informazionee del web. Il loro messaggioè principalmente quello di“dire basta anche all'usodella donna come corpo, og-getto, merce e tangente;abuso cui corrisponde unaspeculare sottovalutazionedelle sue capacità e compe-tenze. Serve una svolta cul-turale. Una rigenerazione

della politica. La discrimi-nazione delle donne nelmondo del lavoro, l’emargi-nazione dalla vita pubblica,sono ostruzioni che vannorimosse: uno spreco enormedi intelligenze che indebo-lisce il Paese e lo spinge aldeclino”. Un passo ulteriore sa-

rebbe quello di fare in modoche i problemi di questotipo in Italia non diventinooggetto di discussione pub-blica e politica solamente inmomento di campagne elet-torali, ma che vengano trat-tati all'ordine del giorno. Non è un caso che, a ri-

dosso della giornata mon-diale della violenza sulledonne e in prossimità dielezioni, molti esponentidella politica dicano la lorosu questo tema. La violenza sulle donne è

spesso definita da politici e

giornalisti una “mattanza”,un “atto inammissibile”, etutti si mostrano esperti asparare dati, sentenze e sta-tistiche. Ma bisogna stareattenti anche agli allarmi-smi: in risposta a un articolosul Fatto Quotidiano in cuisi dichiarava il fallimentodel Piano antiviolenza va-rato dall’ex ministra dellePari opportunità Mara Car-fagna, l'associazione Te-lefono Rosa esprime ilproprio dissenso su quantoscritto, precisando di nonritenere in alcun modo cheil Piano antiviolenza “indue anni non ha raggiuntoalcun obiettivo”. “Siamocerte, è chiaro - scrivono -che ci sia ancora molto dafare e da migliorare suipiano della lotta alla vio-lenza sulle donne, ma unavisione così catastrofica èlontana, a nostro parere, sia

Le pubblicità nazionalicontro la violenza vengono

condotte spesso solo durantele campagne elettorali

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dalla realtà che dalla nostraopinione. Sono state fattecose importanti e attivatimolti progetti, grazie aiquali sono stati formati ope-ratrici e operatori che si tro-vano in prima linea inquesta battaglia”.Bisogna dunque fare at-

tenzione anche ai dati che,tra gli altri, forniscono imezzi di comunicazione: se,infatti, da una parte nonviene data abbastanza im-portanza a questo problema,dall'altro spesso si tende aingigantire numeri e stati-stiche. Non a caso l'associazione

GI.U.Li.A promuove uncambiamento radicale nelgiornalismo italiano: «bastacon l'informazione ad ef-fetto, con l'uso della cro-naca-spettacolo, con lamanipolazione delle noti-zie, le censure».

Il problema vero è chenon esiste ancora un pianoconcreto nazionale per aiu-tare chi, davvero, avrebbebisogno di assistenza primadi essere conteggiata comela 106esima vittima di fem-mincidio. Insomma, mancala prevenzione. Perché leviolenze sulle donne e ilfemminicidio sono spessocronache di morti annun-ciate che non trovano spa-zio nel vuoto che il governoha lasciato fino a oggi ri-spetto a questo problema.

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Antiviolenza di periferiaNel silenzio delle istituzioni parlano ledonne: cronache dal Centro Donna Lisa

Paola e Teresa sono due delle operatrici delCentro Donna Lisa, un'associazione che si

occupa di donne vittime di violenza con sedenel quarto municipio romano. Alla vigilia dellagiornata di lotta contro la violenza sulle donnel'associazione si prepara alla mobilitazione.Nell'ampia e accogliente sede dove miaccolgono cominciano ad ammucchiarsi lescarpe che, vuote e abbandonate sulle strade,andranno a comporre un flash mob: unatestimonianza delle assenze delle donneassassinate nel corso del 2012. Teresa mi mostragli striscioni, e mi racconta il suo viaggio dellasettimana scorsa all'Aquila, dove ha presiedutoal processo per stupro e tentato omicidio di unmilitare. La sua vittima è stata una ventenne,abbandonata sulla neve nuda e col ventresquartato e oggi miracolosamente viva perl'intervento di un passante. Superato il magoneche questo brandello di storia lascia nell'aria cisediamo su un divano, e parliamo dell'attivitàdi questo centro, che oltre ad offrire un servizioalle vittime di violenza forma anche nuoveoperatrici in grado di aiutarle. In altre parole, afronte del vuoto lasciato dallo Stato intorno altema, le donne si sono organizzate perproteggersi da sole, per autogestire la propriadifesa.

Abbiamo intervistato due operatrici del Centro donnaLisa, associazione che si occupa delle vittime di

violenza nel quarto municipio romano

di Flavia Orlandi

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IL CENTRO QUANTI ANNI HA?T – 15. Siamo nate il 7 ottobre del 1997 come

Centro Donna Lisa con l'occupazione di questoluogo. Prima nel 1993 nacque “Donne inGenere” in seguito ad un forte attaccoistituzionale alla legge sui consultori. Dopo 4anni si decise di occupare questo posto, che erauna casa popolare abbandonata e lasciata in baliadi poveretti che venivano a bucarsi. L'abbiamopreso e ripulito, rendendolo un servizio non soloper questo municipio: assistenti sociali e forze dipolizia ci mandano donne da tutta Roma e ancheda fuori. Abbiamo uno sportello di accoglienza,e la consulenza legale gratuita, ma anche moltealtre attività, dai corsi di alfabetizzazioneinformatica, ai corsi di italiano per le donnestraniere, alle cene multietniche, ai corsi diginnastica, yoga e in generale corsi diformazione. QUAL'È L'ITER CHE AFFRONTA UNA DONNA CHE

VIENE QUI O IN QUALUNQUE ALTRO CENTROANTIVIOLENZA?T – Prima c'è l'accoglienza perché

generalmente si ha il bisogno di raccontare e di

Prima nel 1993 nacque“Donne in Genere”

dopo 4 anni si decise dioccupare questo posto

«Abbiamo uno sportello di accoglienza, e la consulenza legalegratuita, ma anche molte altre attività, dai corsi di alfabetizzazione

informatica, ai corsi di italiano per le donne straniere»

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sapere che non si è l'unica a cui è successoqualcosa del genere, dopodiché c'è laconsulenza legale con cui la donna viene asapere qual'è la strada migliore per tutelarsi etutelare eventuali figli. Le avvocate a quelpunto indicano quale possa essere la stradamigliore per allontanarsi dalla situazione diviolenza. QUAL'È IL LIVELLO DI VIOLENZA CHE PIÙ

COMUNEMENTE VI TROVATE AD AFFRONTARE?T – Guarda, tristemente esiste un copione

prestabilito. Innanzitutto le vittime si trovanoad affrontare una fase di isolamentro da partedell'uomo: rispetto alla famiglia, alle amicizie ein generale ai riferimenti affettivi. Noi lachiamiamo la “spirale della violenza”. Poi c'è lamortificazione sistematica: “tu sei scema, noncapisci niente, dipendi da me, cosa credi diriuscire a fare da sola..”. Poi si passa allaminaccia di toglierle i figli, violenzepsicologiche che si ripetono giorno dopogiorno, notte dopo notte. E poi arrivano lebotte. Ed è impressionante come sia semprecosì, c'è un cliché mentale che porta questiuomini a comportarsi nella stessa manieraindipendentemente dalla classe, dall'etnia. Noiormai lo abbiamo constatato nel corso di 14anni. Ma le donne che lo subiscono non nesono consapevoli, e generalmente reagisconocon il senso di colpa, in parte perchè ce loinsegnano da 2000 anni, ma anche perchè lafamiglia e le istituzioni a volte cercano diminimizzare il fenomeno per evitare una lororeazione. E quindi gli stessi poliziotti invitanole donne che denunciano i compagni a tornarea casa perchè “Cosa vuole che sia uno schiaffo?Quello è il padre dei suoi figli. Vuole davverodistruggere la famiglia?”

Un cliché mentaleporta questi uomini acomportarsi così aprescindere dalle classi

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SECONDO VOI IN ITALIA LA LEGISLAZIONE IN TEMADI VIOLENZA SULLE DONNE PRESENTA DELLE LACUNEO IL PROBLEMA NON È LEGISLATIVO?T – No, è anche un problema legislativo,

infatti abbiamo visto che in Spagna Zapaterofece quel suo primo mandato una legge chediminuì notevolmente la violenza sulle donne,da noi la legislazione di fatto non c'è. E la sualegislazione non puntava tantosull'aggravamento delle pene, quanto sullaprevenzione del problema, sull'educazionenelle scuole e sull'informazione. Quindisoprattutto un impegno nel sostegnofinanziario ai centri antiviolenza eall'educazione. Io penso che in Italia non cisiano questi investimenti non per dimenticanzama proprio per scelta, non a caso ancora oggiquesto è un paese che non ha una legge control'omofobia, dove va ancora difesa la 194 a 30dalla sua nascita perché nei consultori non vieneapplicata, dove aumentano gli obiettori e sitagliano tutti i finanziamenti che riguardano lasalute delle donne. P – Secondo me c'è una totale inadeguatezza

del piano nazionale antiviolenza del

«Credo ci sia una totaleinadeguatezza delpiano nazionaleantiviolenza»

«Abbiamo visto che in Spagna Zapatero fece quel suo primomandato una legge che diminuì notevolmente la violenza sulledonne, da noi la legislazione di fatto non c’è»

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dipartimento delle pari opportunità, ossia ilcosiddetto Piano Carfagna di due anni fa, èinadeguato e andrebbe risistemato con degliinterventi massicci. E poi c'è da dire che l'Italianon ha ancora ratificato la Convenzione delConsiglio d'Europa che risale ad “Istanbul2011” per la prevenzione e la lotta allaviolenza. L'Italia è ancora inadempiente suquesto, oltre al fatto che come diceva Teresa c'èun enorme problema di finanziamenti. Non cisono leggi regionali ad hoc che finanziano iComuni e quindi non ci sono progetti seri e chevadano avanti in maniera regolare. Ci sono soloconcessioni per cui una tantum ti danno questequattro lire con le quali dovresti far quadraredei bilanci che non quadreranno mai. Non c'èuna visione lungimirante i posti letto nelle“case rifugio” sono assolutamente sottostimati ele Istituzioni lo sanno perfettamente, ma c'èuna totale inadeguatezza e direi anche unsilenzio complice. Domenica sicuramente per lagiornata contro la violenza sulle donne ci saràun pieno di grandi parole di solidarietà allevittime e di condanna ai carnefici, però poi difatto non ci sono politiche attive e materiali. Esi sa che una donna che ha subito violenze habisogno di poter contare su una reteistituzionale per ricostruirsi una vita,costruendosi innanzitutto un'indipendenzaeconomica che spesso è la prima cosa amancare.

T - La mancanza delle “case di fuga” è unodei problemi maggiori, perché c'è il rischio chequeste donne rimangano con il carnefice ocomunque in una situazione di paura eprecarietà economica.

P – La “casa rifugio” serve per le situazioni diemergenza, ma se non ci sono è un grandeproblema. I posti a disposizione sono

«...Perché c’è il rischioche queste donne

restino con il carneficeo nella paura»

«La mancanza delle“case di fuga” è uno dei

problemi maggiori epiù gravi...»

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insufficienti, nel Lazio come in tutta Italia. T – A volte siamo costrette a rivolgerci agli

istituti religiosi, alle suore. E non si capisceperchè non si possa finanziare un progettopubblico piuttosto che pagare dei privati, chespesso non sono neanche all'altezza delcompito. In questi istituti a volte c'è anchel'obbligo a partecipare alle funzioni religiose..

P – In altri paesi questa storia farebbe riderenella sua drammaticità. La chiusura del cerchio,dalla casa del padre alla casa di Dio...

IL MESSICO HA RICONOSCIUTO IL FEMMINICIDIOCOME REATO SPECIFICO, CREANDO UNA NUOVATERMINOLOGIA LEGISLATIVA AD HOC. PENSATE SIANECESSARIO FARLO ANCHE IN ITALIA AUMENTANDOLE PENE RELATIVE?

T- Sinceramente non ci interessa questo. E'più importante la prevenzione perchè ilproblema è culturale. Certo, avessimo avuto illivello di barbarie eclatante del Messico magarimi sarei interessata anche alla “vendetta”. Main generale non è quella che risolve ilproblema.

P- C'è piuttosto bisogno di fondi e dirisolvere quello che è un problema culturale,dei costumi, del modo di pensare. Ossial'ideologia patriarcale, nulla di più e nulla dimeno. L'inasprimento delle pene è solo unpalliativo, il cambiamento va fattonell'educazione, nelle scuole. La cultura digenere è qualcosa che non viene propagandatoin questo paese. Poi io personalmente non sonogiustizialista e non credo che così sicontribuisca a limitare il fenomeno.

SECONDO VOI ALLA BASE DELLA LEGISLAZIONEITALIANA E DELLO STESSO PIANO CARFAGNA C'È UNRICONOSCIMENTO DI QUELLE CHE SONO LE RADICI

«C'è piuttosto bisognodi fondi e di risolverequello che è unproblema culturale»

«Siamo costrette arivolgerci agli istitutireligiosi. Non ci sonoprogetti pubblici»

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CULTURALI DEL PROBLEMA DELLA VIOLENZA SULLEDONNE?T – No, io non credo proprio. Anzi sono

rimasta colpita dal fatto che quando la Carfagnafece un convegno su questo tema non invitò icentri antiviolenza. La sua politica è risultatastrumentale anche perché era all'interno di unGoverno che tutto se ne poteva dire meno chericonoscesse la dignità delle donne o delgenere. In realtà penso ci sia lo stesso fenomenoanche all'interno del Pd, forse nella base peròc'è una sensibilità diversa visto che c'è statodietro un lavoro di 50 anni, per cuiquantomeno ci si può lavorare. Poi a livellodella dirigenza sono uguali e in entrambi i casil'interesse sul tema è solo di facciata. Per cuivediamo che anche le donne del Pd hannorecluso le immigrate nei Cie, tanto per dirneuna. COME CENTRO ANTIVIOLENZA VOI PARTECIPATE A

BANDI PUBBLICI PER ACCEDERE A FINANZIAMENTI,CIÒ VI PERMETTE DI MANTENERE UNA DIRIGENZAAUTONOMA NELLE SCELTE STRATEGICHE?T- Certo, completamente autonoma, però

non vogliamo nemmeno autoescluderci. Adesempio abbiamo partecipato ad un bando delComune, in quanto sono anni che lavoriamonelle scuole medie superiori sul problema delbullismo, che è a sua volta un problema digenere.SECONDO VOI NELL'ACCESSO AI FONDI DEI BANDI

C'È UNA SELEZIONE CULTURALE, PER CUI UNA SERIEDI PROSPETTIVE CHE APPARTENGONO ALLO STATO EAI PARTITI CHE LO DIRIGONO SONO LE UNICHEFINANZIATE?T- Io personalmente penso di sì. Che ci sia un

filtro, come dire, ideologico. Non a caso molti

«Partecipiamo a bandidel Comune, perché

sono anni che andiamonelle scuole medie»

«Quando la Carfagnafece un convegno su

questo tema non invitòi centri antiviolenza»

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bandi a cui abbiamo partecipato sono stati vintida associazioni di partito e associazioniparrocchiali. P – Ma anche dai soliti noti ormai entrati in

una serie di relazioni con le istituzioni, diconoscenze e di appoggi. Questo succedeperché crearsi una rete spesso significascendere a compromessi. Il Centro Donna Lisaspesso non lo fa. Noi accediamo aifinanziamenti in merito a singoli progetti e alloro valore e, credimi, a volte il feedback sulnostro lavoro è davvero stupefacente. Adesempio l'evoluzione di ragazze e ragazzi chevivono di periferia dove il bullismo è unaforma mentis a cui non sembrano esisterealternative.ESISTONO CENTRI ANTIVIOLENZA STATALI, GESTITI

DIRETTAMENTE DALLE ISTITUZIONI?T – Mi sembra di no. In generale è un settore

carente da questo punto di vista. Per dirti aRoma ci sono solo tre centri antiviolenza. AMonteverde c'è Differenza donna, poi uno aTorre Spaccata sempre di Differenza Donna,poi c'è qualche sportello informativo. Di paripasso c'è il taglio ai consultori. C'è una carenzatotale, cronica e secondo me voluta. Negliultimi anni sono diminuiti gli omicidi ma sonoaumentati i femminicidi. Se ogni due giorni cifosse un gioielliere ammazzato, o un poliziotto,o un carabiniere, ci sarebbe una reazione moltoforte. Credo che questo faccia parte del fattoche in fondo non viene considerato unproblema. GENERALMENTE LA VIOLENZA MASCHILE SULLE

DONNE VIENE FATTA PASSARE COME UN RESIDUO DIUNA CULTURA ARCAICA. EPPURE PARADOSSALMENTECRESCE DI ANNO IN ANNO L'OMICIDIO DI GENERE. SIPUÒ ALLORA CONSIDERARE UN TIPO DI VIOLENZA

«A Roma ci sono trecentri antiviolenza.

Non ce ne sono direttidalle istituzioni»

«Quando partecipiamoai bandi, vincono

associazioni di partitoe parrocchiali»

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FIGLIO DELLA MODERNITÀ?T – Secondo me è figlia di 2000 anni di

patriarcato.MA QUESTO AUMENTO NON POTREBBE ESSERE

UNA REAZIONE AL CAMBIAMENTO DELLE DONNE EAL LORO RIFIUTO DEL CONTROLLO MASCHILE?

T – Bé, gli assassini diventano tali perché nonreggono l'abbandono e soprattutto la perdita dipotere sulla donna. Quindi può darsi che ci siauna reazione ad una maggiore indipendenza.Però non nel sono del tutto sicura.

P – Noi italiani viviamo comunque in unacornice di riferimento patriarcale, di tipo“suprematista”, bianco, occidentale, borghese.In altri paesi si manifesta in altri modi, magaripiù arcaici. Ma il problema rimane semprequello della divisione dei ruoli, e rimane difondo l'analisi che fecero Marx ed Engels. Se inuna famiglia si crea una divisione dei ruoli poispesso c'è anche una divisione dei poteri e taledisuguaglianza può andare avanti fino allamanifestazione somma che è l'assassinio delladonna. Ma non sono sicura che l'aumento deicrimini sia figlio della modernità, perchérischia di trasformare la maggiorerivendicazione da parte della donna in unasorta di attenuante del fenomeno. Lo fanno imedia, che ingabbiano il fenomeno nelcambiamento della donna quando invece ce nesono moltissime che vivono situazioni di totalevessazione psicologica ed economica. Quindiattenzione perché il fenomeno in realtà arrivada molto lontano e nasce tra le muradomestiche all'interno delle quali le donnemantengono ancora dei ruoli arcaici.

C'È UNA DIFFERENZIAZIONE DI CLASSE DELFENOMENO? E' AD ESEMPIO PIÙ DIFFUSA TRA LE

«La modernità rischiadi trasformare lamaggiore libertà daparte della donna»

«Gli assassinidiventano tali perchénon reggono la perditadi potere sulla donna»

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DONNE POVERE?T – Assolutamente no, abbiamo constatato

con mano che non c'è classe, non c'è frontiera,non c'è razza, è veramente un fenomenotrasversale, e siamo rimaste colpite dal fatto checi sono in mezzo anche tutori dell'ordinecostituito, poliziotti, carabinieri che si sonotrasformati in assassino o stupratori. O anchemedici che sanno come picchiare senza lasciarelividi, facendolo scientificamente. QUESTO PER QUEL CHE RIGUARDA IL CARNEFICE.

MA PER QUEL CHE RIGUARDA LE VITTIME, LE DONNEPOVERE HANNO PIÙ DIFFICOLTÀ AD USCIRE DA UNASITUAZIONE DI SOPRUSI?P – Il problema di classe subentra secondo

me in due situazioni. Lo vedi nella gestione daparte del colpevole della sua uscita dallasituazione legale e giudiziaria. E lo vedi poinella gestione, parallela se vogliamo, dell'uscitadella donna dalla situazione di violenza. Ha unadimensione politica, e non privata, collettiva,sociale, che attinge a incrostazioni ideologichedella società. Certo anche le donne possonoavere una responsabilità nel non reagire. Ma èdifficile se la tua cultura per 2000 anni tiinsegna come devi essere.MA UNA DONNA CHE VIENE IN UN CENTRO

ANTIVIOLENZA E FA UN RECUPERO PSICOLOGICO PUÒDIVENTARE UNA MADRE MIGLIORE E TRASMETTEREAI FIGLI UN NUOVO MODELLO CULTURALE?T – Spero proprio di sì, in particolare ai figli

maschi. Proprio ieri mattina una donna che èvenuta qui mi ha detto: “Io ho mio figlio che ha10 anni. Ho capito che ciò che gli devoinsegnare è il rispetto massimo per tutte ledonne”. Spero che sia così, ma so che èdifficile.

«La violenza ha unadimensione politica, enon privata, collettiva,

sociale»

«Non c'è classe, non c'èfrontiera, non c'è

razza, è veramente unfenomeno trasversale»

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Piano Carfagna la legge rimasta disegno

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Niente soldi per la spesa sociale e le leggi contro lo stalking e ilpiano antiviolenza del 2010 sono così rimaste attuate solo in parte

Inutile girarci intorno, il mo-mento è quello che è. LoStato non ha soldi in cassa emolte sacrosante battaglie per ladifesa dei diritti delle persone ri-schiano di crollare sotto i colpidi una spending review che nonguarda in faccia a nessuno, nem-meno ai reduci di guerra e aimalati di Sla. Perché di questo sitratta, di fondi che non ci sonoe di tagli alla spesa sociale chetravolgono le prospettive di vitae la tranquillità di molti in nomedi un pareggio di bilancio scrittoforse un po’ troppo frettolosa-mente nella nostra Costituzione. In questo contesto, non fa ec-

cezione lo stato in cui versa tuttaquella rete di servizi e di soggettiimpegnati quotidianamentenella lotta alla violenza di ge-nere, fenomeno a lungo sottova-lutato e oggetto di una specificapolitica di contrasto solo daqualche anno grazie all’introdu-zione del reato di stalking (legge23 aprile 2009, n. 38) e all’ap-provazione del primo Piano na-zionale antiviolenza (decretoministeriale l’11 novembre2010), quel “Piano Carfagna”che secondo le stesse associa-zioni coinvolte è rimasto perbuona parte disatteso. A dispetto dei buoni propositi,

in effetti, non si riesce nem-meno a capire a che puntosiamo. Si legge in un documentodell’Associazione NazionaleDi.Re – Donne in Rete contro laviolenza: «Non si conosce al mo-mento lo stato di realizzazionedel Piano né sono stati coinvoltigli enti locali deputati a svolgere

un lavoro a carattere program-matorio, operativo, di verificadella situazione». Segue, puntoper punto, un elenco di tutti inodi rimasti in sospeso. A co-minciare dalla mancanza gene-rale di politiche e strategienazionali coordinate cui si ac-

di Gaia Mutone

Nel 2010 è stato fatto un piano nazionale, ma nessuno si èoccupato di rilevare i dati sul territorio. Così non abbiamo

risposto nulla quando l’Ue li ha chiesti

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compagna l’assenza di criteri perdefinire i centri antiviolenza,con il rischio evidente di affian-care ai centri nati e attrezzatiper lo scopo altri non meglioprecisati “servizi di assistenzapubblici e privati, di protezionee reinserimento delle vittime”;va ricordato, infatti, che in tuttoil mondo i centri antiviolenzanon coincidono con nessun altromodello di carattere assisten-

ziale poiché devono risponderea precise esigenze e avere deter-minati requisiti (essere gestiti dasole donne, mettere a punto per-corsi individuali, ricorrere aoperatrici con competenze spe-cializzate ecc.) per cui un cen-tro-servizio che non fosse

adeguatamente attrezzato si ri-velerebbe dannoso oltre cheinutile. Un alone di mistero,inoltre, avvolge l’osservatorio eil comitato di monitoraggio, dueorgani previsti dal Piano, ma dicui non c’è traccia e per i qualinon è stato proposto il coinvol-gimento dei centri antiviolenza.Cosa che invece sarebbe auspi-cabile in una logica di assistenzaspecializzata.A questo si aggiungono altre

“zavorre” o, piuttosto, i pro-blemi strutturali. Su tutti, un si-stema giudiziario che con le suelungaggini vanifica anche quelpoco che si riesce a fare. Nei casidi stalking o di maltrattamentoin generale, l’eccessiva duratadei processi fa andare il procedi-mento in prescrizione (che pereffetto della legge ex Cirielli, L.n. 251 del 2005, è di soli setteanni e mezzo per questo tipo direati) con il risultato che lo Statonon riesce a tutelare adeguata-mente la persona vittima di per-secuzione o atti violenti e cheproprio allo Stato si era rivoltadenunciando con coraggio. Pro-seguendo nell’ambito legisla-tivo, va anche ricordato chel’Italia è inadempiente nei con-fronti dell’Europa su due fronticruciali: è l’unico Paese a non at-tuare la direttiva 2004/80/CE del29 aprile 2004, che prevede il ri-sarcimento delle vittime di tuttii reati dolosi qualora i colpevoli

Nei casi di stalking o maltrattamento ladurata dei processi porta alla prescrizione delreato. Così si rende vana la legge e il coraggiodi chi ha denunciato la violenza

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non siano in grado di farlo, enon ha ancora sottoscritto laConvenzione di Istanbul sullaprevenzione e la lotta alla vio-lenza nei confronti delle donne(11 maggio 2011). A dire il vero,il 27 settembre scorso, il mini-stro del Lavoro e delle Politichesociali Elsa Fornero, che ha ladelega per le Pari opportunità, siè recata a Strasburgo per firmareil documento, ma questo deveessere ratificato dal Parla-mento…Andando in giro per l’Italia, poi,si scopre poi quanto la capacitàdi protezione e l’offerta di assi-stenza siano drammaticamenteinadeguate rispetto alla do-manda. Negli articoli precedentiabbiamo già ricordato che se-condo gli standard europei nellenostre case rifugio dovremmoavere un posto letto ogni 10milaabitanti, mentre in Italia se necontano solo 500 a fronte di unminimo che dovrebbe aggirarsi

sui 5700, ma il problema è chemolti centri antiviolenza nonriescono nemmeno a garantireun servizio quotidiano o una re-peribilità telefonica 24 ore su 24.Molti di questi si reggono sul la-voro volontario e sono abbando-nati alle fluttuazioni (finanziarie

e politiche) della contrattazionecon gli enti locali, i quali hannola responsabilità della gestionedelle risorse stanziate ed erogatein autonomia dalle Regioni suinput dello Stato centrale tra-mite il Fondo nazionale per lepolitiche sociali (Fnps). Quello

La spending review non lascia spazio. Intanto il ministroFornero, con delega alle pari opportunità, ha firmato a

Strasburgo il documento che l’Ue ci ha chiesto di adottare

Secondo gli standard europei nelle nostrecase rifugio dovremmo avere un posto lettoogni 10mila abitanti. In Italia ne esistono 500sui necessari 5700

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che però succede nella pratica èche anche quando i centri rie-scono ad avere dei contributipubblici poi non riescono a rea-lizzare i progetti di assistenzaperché viene richiesto loro uncofinanziamento: il contributodelle Pari opportunità è del 90per cento, mentre il centro devemettere il restante 10. E se sipensa che in prevalenza si trattadi centri senza risorse che con-

tano su donazioni private e siavvalgono di volontariato, sicomprende quanto sia precariala loro esistenza e incerto il lorofuturo (qualcuno parla di pochimesi di autonomia alle attualicondizioni).

Continuando con le cifre,

sono tre i bandi finanziati finoad ora nell’ambito del Piano. Liha ricordati la stessa Fornero incommissione Affari sociali allaCamera nella seduta del 25 lu-glio scorso. Si tratta di un primoavviso pubblico per un ammon-tare complessivo di tre milionidi euro, che ha distribuito con-tributi a 24 progetti diversi; unsecondo avviso pubblico per 10milioni di euro rivolto diretta-mente ai centri antiviolenza cheaccolgono donne e i loro figliminori, bando finalizzato al-l’ampliamento della rete sul ter-ritorio e collegare i nuovi centriai servizi del 1522, il numero dipubblica utilità che raccoglie lerichieste di aiuto, coordina e in-dirizza le azioni di assistenza; unterzo avviso pari a 1.700 milaeuro per la formazione deglioperatori sanitari, degli avvocatie del personale delle Forze del-l’ordine (polizia e carabinieri).Per quanto riguarda queste ul-time, va citata la convenzionestipulata con il ministero del-l’Interno e la creazione della Se-zione Atti Persecutori istituitapresso i Carabinieri, sezione chein futuro dovrebbe favorire uninquadramento migliore del fe-nomeno della violenza di ge-nere, che come si sa ha un ampiosommerso.

Ma tutta la rete non funzionase non ci sono i soldi, più preci-samente quelli del Fondo per le

1700mila euro sono andati alla formazione dioperatori, infermieri e forze dell’ordine. Perqueste ultime è stata creata la Sezione AttiPersecutori, istituita presso i Carabinieri

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Pari opportunità. Finanziato asua volta dal già citato Fondonazionale per le politiche sociali,è passato dai 64 milioni del 2008ai poco più di 12 di oggi. Messonero su bianco nei documentiufficiali, è un taglio che fa paura.L’andamento del triennio 2010-2012 per quanto riguarda la“missione” Diritti sociali e poli-tiche sociali è il seguente:205.586.000 euro nel 2010,82.822.391 nel 2011 e52.222.196 nel 2012. Qui ci sonoi fondi per l’assistenza agli an-ziani, ai malati, ai non autosuf-ficienti, le politiche per gliadolescenti, i sostegni alla fami-glia, per la lotta alle dipendenzee per le Pari opportunità. Unasforbiciata complessiva chesegna -59,71% solo tra il 2010 eil 2011 e che si accompagna al -58,64% della missione Giovani esport e al -51,75% della missioneTurismo. Questa la fotografia:l’effetto dell’austerità e delle

manovre di salvataggio visto davicino. Ultima considerazione. La po-

litica e le istituzioni sono tenutea dare delle risposte e a garantireassistenza a chi ne ha bisogno,ma questo non deve sollevare lasocietà dalle sue responsabilità.

A partire dalla scuola e dalla fa-miglia….un esame di coscienzanon costa nulla.

L’andamento del triennio 2010-2012 per la “missione” Dirittisociali e politiche sociali è il seguente: 205.586.000 euro nel

2010, 82.822.391 nel 2011 e 52.222.196 nel 2012

La politica e le istituzioni sono tenute a daredelle risposte e a garantire assistenza a chi neha bisogno, ma questo non deve sollevare lasocietà dalle sue responsabilità

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Settimanale quotidiano*

Chiara Esposito