Donatello Santarone_Didattica e intercultura

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Donatello Santarone DIDATTICA E INTERCULTURA ARMANDO EDITORE

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Donatello Santarone

DIDATTICA EINTERCULTURA

ARMANDOEDITORE

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Sommario

Nota introduttiva 9

1. La centralità della didattica 11

2. Insegnamento e apprendimento 12

3. “Conformismo dinamico” 14

4. La docente mediatrice didattica 16

5. Nuove domande di istruzione e risposte didattiche 19

6. Il trattamento delle diversità in ambito educativo 21

7. Didattica attiva per l’educazione degli adulti 24

8. Individualizzazione didattica 26

9. La didattica interculturale per una scuola aperta a tutti 27

10. Costituzione e intercultura 34

11. Percorsi di didattica interculturale* 41

* I testi degli autori presenti in questo capitolo sono scaricabili dal sitowww.armando.it.

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a) Emigrazione italiana 42Vinicio Ongini, Ricordare le migrazioni passateGiovanni Russo, I meridionali a TorinoPerry Wilson, Le donne nel “miracolo economico” Franco Alasia e Danilo Montaldi, Milano, CoreaRoberto Roversi, PeriferiaCarlo Levi, L’altro mondo è l’America Michele Colucci, Matteo Sanfi lippo, L’esodo italiano e l’emi-grazione politica

b) Colonialismo e imperialismo 47Giovanni Pascoli, Convito d’ombreGiovanni Pascoli, La notte di NataleGiovanni Pascoli, La Grande Proletaria si è mossaEnnio Flaiano, Tempo di uccidereGabriella Ghermandi, Un “talian sollato”Noam Chomsky, La grande impresa della ConquistaEduardo Galeano, Come porci affamati bramano l’oro Karl Marx, Colonialismo e accumulazione originaria del capi-taleFranz Fanon, Cultura e colonialismoCyril Lionel Robert James, La vita degli schiaviKen Saro-Wiwa, La maledizione del petrolio in Nigeria

c) L’Altro non occidentale 68Tzvetan Todorov, Noi e gli altriEdward W. Said, ContrappuntoDenis Diderot, Invettiva anticolonialista di un vecchio thaitianoAlbero Moravia, Un’idea dell’IndiaPier Paolo Pasolini, L’odore dell’IndiaArundhati Roy, I fantasmi del capitaleFranco Fortini, Sonetto dei sette cinesi

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d) Globalizzazione 78Tzvetan Todorov, La conquista dell’America e il genocidio degli indiosBasil Davidson, Il commercio degli schiaviMalcom X, I “creatori” di schiaviKarl Marx, Friedrich Engels, La borghesia unifi ca il pianetaRaj Patel, Wal-Mart, la più grande multinazionale al mondoLuciano Gallino, La globalizzazione come progetto politico

e) Razzismo 83Pierre-André Taguieff, La limpieza de sangre Luca e Francesco Cavalli-Sforza, Razzismo e diversitàValentina Pisanty, La difesa della razzaPietro Basso, Razzismo e crisi globale

f) Immigrazione 85Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 21° Rappor-to 2011 LINK www.dossierimmigrazione.itVicinio Ongini, Il paesaggio multiculturale della scuola italia-naVicinio Ongini, Noi domani. Un viaggio nella scuola multicul-turalePap Khouma, Io, venditore di elefantiPietro Basso, Relazione tra immigrati e autoctoni di fronte alla crisi economicaAbdelmalek Sayad, Le migrazioni come fatto sociale totaleAlessandro Barbero, I barbari alle porte dell’impero romanoCostantinos Kavafi s, Aspettando i barbari

Bibliografi a 91

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Nota introduttiva

“Io che è noi, e noi che è io”.HEGEL

La didattica interculturale rappresenta ormai da molti anni, an-che in virtù della presenza di migliaia di allievi con cittadinanza non italiana nel nostro sistema formativo, una nuova dimensione della didattica, che si aggiunge e si intreccia alle altre e diverse didattiche (didattica generale, didattiche disciplinari, didattica della lettura, didattica dell’e-learning, didattica speciale…).

Il presente volume nasce dalla necessità di defi nire la didattica interculturale quale forma di mediazione educativa tra la condi-zione socio-culturale dei soggetti che apprendono e la dimensio-ne globale dei saperi, dell’economia, della politica, della società, della cultura. Individuare, di conseguenza, metodi, strumenti e contenuti di una prospettiva internazionale e internazionalista nell’educazione che includa lo studio della storia del mondo e in essa, in modo particolare, la storia delle classi lavoratrici, dei popoli extraeuropei, dei migranti, delle donne, delle minoranze.

Il volume presenta, inoltre, un’antologia di testi in relazione a possibili percorsi di didattica interculturale utilizzabili dai docen-ti e dagli studenti nella scuola, nell’Università, nella formazione e nei corsi di aggiornamento sull’intercultura. Si tratta di un vero e proprio manuale di orientamento sui temi cruciali dell’educa-zione interculturale: emigrazione italiana, colonialismo e impe-

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rialismo, l’Altro non occidentale, globalizzazione, razzismo e immigrazione. Testi che vanno usati non come exempla di una nuova “materia” – l’intercultura –, ma come stimoli-integratori per innervare i saperi tradizionali e spingerli ad uscire da una loro, talvolta, timorosa autoreferenzialità. Nella prospettiva di consentire la conoscenza di specifi ci contenuti che potranno poi essere approfonditi anche grazie ai consigli bibliografi ci presenti nel volume.

DONATELLO SANTARONE

Roma, settembre 2012

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1. La centralità della didattica

La ricerca e la pratica didattica costituiscono una delle dimen-sioni fondamentali della pedagogia moderna a far data, almeno in Occidente, dall’opera di Comenio. Già ci troviamo di fronte, sia detto subito per inciso, ad un problema di natura squisitamente interculturale: abbiamo detto “Occidente”, circoscrivendo l’area geografi ca e storico-culturale di riferimento, perché molto poco sappiamo, ad esempio, della storia della didattica in Cina o in Nigeria o in tanti altri paesi del mondo. Questa consapevolezza ci dovrebbe accompagnare nel corso del nostro lavoro per evitare l’assunzione di qualsivoglia “assoluto didattico”, fi glio di cinque secoli di supremazia occidentale sul mondo. D’altronde relati-vizzare le nostre concezioni della didattica signifi ca pure tener conto di una delle conquiste più durature della ricerca pedagogi-ca: e cioè che qualsiasi disegno educativo, ogni modello didattico vanno contestualizzati, situati, collocati all’interno di ben precise coordinate storico-culturali.

L’importanza che la didattica ha via via assunto nel corso degli ultimi tre-quattro secoli è direttamente proporzionale all’aumento considerevole della domanda di istruzione che si è determinata in tante parti del mondo. Domanda correlata al progressivo aumento del peso che grandi masse di popolo hanno assunto in seguito ad alcuni eventi epocali della modernità: la rivoluzione scientifi ca, l’illuminismo, la rivoluzione industriale e la nascita del capita-

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lismo, la rivoluzione francese, il liberalismo e il marxismo, la rivoluzione russa, l’emersione di popoli e paesi un tempo “pe-riferici”, dall’India alla Cina, dal Sudafrica al Brasile, che oggi costituiscono le novità più rilevanti della geopolitica mondiale.

Istruire grandi masse anche in luoghi lontani e impervi, diffi -cilmente raggiungibili, portare l’alfabeto ai braccianti e ai conta-dini poveri delle aree rurali più depresse dell’India o della Tanza-nia o dell’Italia montana, diffondere la cultura, come imperativo prima di ispirazione illuministica e poi democratica e socialista, per farne uno strumento di schiarimento dalle tenebre attraverso il metodo scientifi co, di emancipazione dei soggetti, di libera-zione anche socio-economica, sono stati tra i principali fattori di civilizzazione nell’Otto-Novecento ed hanno “costretto” milioni di educatori e ricercatori a misurarsi con le forme più idonee per realizzare tutto questo. Forme rappresentate da mezzi didattici sorretti da metodi innovativi innervati dalla scienza moderna e correlati ai fi ni da raggiungere, quelli di un sapere il più possibile democratico, espansivo e condiviso. Da qui, ad esempio, anche la potente diffusione dell’istruzione a distanza, che dai primi in-vii postali nell’Ottocento è arrivata a misurarsi con le moderne tecnologie informatiche e multimediali capaci di raggiungere mi-lioni di persone dovunque.

2. Insegnamento e apprendimento

Per corrispondere ai nuovi bisogni di massa di istruzione, la ricerca didattica, nel corso del ’900, si è sempre più sposta-ta dal problema dell’insegnamento, cioè da quel complesso di tecniche e strategie educative atte a trasmettere il sapere, al pro-blema dell’apprendimento, che si preoccupa in modo particolare dei modi più idonei, più effi caci ed effi cienti, per consentire al soggetto che apprende di fare esperienza di ambienti di apprendi-mento stimolanti e capaci di suscitare curiosità, interesse e moti-

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vazione a partire da ciò che il soggetto è ed ha già appreso nella vita. Si tratta di quella “rivoluzione copernicana” del centro di gravità dell’educazione dal maestro all’allievo di cui ha parla-to John Dewey. Ma tale spostamento dell’asse pedagogico dal maestro all’allievo dovrebbe essere assunta non in maniera mec-canica e spontaneistica, come talvolta è avvenuto, ma in manie-ra dialettica. Nel senso che enfatizzare oltremisura la fi gura del docente solo come “facilitatore dell’apprendimento”, sposare in modo eccessivo la metafora del docente “allenatore”, trasformare il maestro in “tutor”, reazioni storicamente necessarie di fronte all’autoritarismo direttivo di tanta scuola nozionistica e trasmissi-va, rischia di indebolire una prospettiva educativa e didattica che va invece assunta, crediamo, nella sua totalità dialettica, nella sua relazione confl ittuale ma foriera di sviluppi inediti e creativi, nel suo essere insieme norma e infrazione della norma, ripetizione e innovazione, socializzazione e individualizzazione, collettività e soggettività, autorità e libertà. Come nel passato è stata giusta la critica ad un docente depositario unico di un sapere indiscusso e indiscutibile, così oggi è altrettanto giusta, a nostro avviso, una critica a un discente portatore di un sapere che non andrebbe mai contrastato pena la mortifi cazione di chi apprende e il fallimento dell’azione didattica. Ma noi sappiamo quante scorie sottocultu-rali inquinano le teste dei nostri allievi, giovani e adulti, esposti alla devastazione mercifi cata e mediatica delle odierne società capitalistiche e quanto sia diffi cile, pur nella consapevolezza che dal “letame nascono i fi ori” e che certamente da ciò che i giovani “sanno” bisogna partire, andare oltre tali scorie per affermare e far sedimentare saperi solidi, scientifi camente rilevanti, creativa-mente signifi cativi, concettualmente profondi. In altre parole, va contrastata la tendenza spontaneistica che vuole il docente solo un accompagnatore e va invece affermata, dialetticamente, la fi -gura di un docente che sappia anche essere “maestro”, cioè por-tatore di un sapere sapienzario, oltreché disciplinare e tecnico-scientifi co, che parli del nostro essere nel mondo alludendo ai

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fondamentali problemi della condizione umana, un sapere a forte connotazione etico-politica, fondato su un orizzonte di senso che, per quanto ci riguarda, non può non essere che quello incarnato nei valori e nei principi della Costituzione repubblicana.

3. “Conformismo dinamico”

Si tratta, in estrema sintesi, di far vivere, anche nella pratica didattica, quella dialettica tra conformismo e originalità, tra auto-rità e autoritarismo di cui hanno parlato, in tempi diversi, Antonio Gramsci e Franco Fortini.

La scuola creativa è il coronamento della scuola attiva: nella prima fase si tende a disciplinare, quindi anche a livellare, a ottenere una certa specie di “conformismo” che si può chiamare “dinamico”; nella fase creativa, sul fondamento raggiunto di “collettivizzazio-ne” del tipo sociale, si tende a espandere la personalità, divenuta autonoma e responsabile, ma con una coscienza morale e sociale solida e omogenea1.

Scambiando autoritarismo con autorità gli studenti rischiano di di-menticare che non c’è autorità più cieca di quella che non è avvertita come tale. […] Autorità è la voce, nello stesso tempo, dell’accordo e della gerarchia dei valori che sull’accordo si fonda. Hai l’autorità di un pensiero, di una verità, di un esempio. Finché non viene con-testata in nome di una più alta, c’è l’autorità della propria espe-rienza; c’è quella del proprio passato irreversibile. Autoritarismo è invece l’insieme dei modi con i quali si impone una data gerarchia di valori. L’autorità accettata è stata sempre imposta? Sì, dalla forza del padre, del maestro, del signore, eccetera; ma solo fi no a quando, contestata, non viene sostituita da un’altra autorità, quella che si

1 A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 1537.

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è venuta costituendo nel corso della contestazione e che è l’altro nome della libertà2.

In questo sempre instabile equilibrio tra naturalità e artefatto è dunque il posto della didattica.

La Didattica mette in comunicazione le dimensioni di sviluppo delle diverse età generazionali (gli stadi cognitivi e socio affettivi delle singole età evolutive) con gli oggetti simbolico-culturali (le strut-ture della conoscenza umanistica e scientifi ca e i modelli di vita sociale da questi generati) che popolano le istituzioni intenzional-mente formative: la famiglia, la scuola, l’associazionismo, le chiese, nonché le agenzie del tempo libero e della cultura di massa. […] Il suo compito metodologico è per l’appunto quello di attuare una “mediazione” formativa tra la natura dell’allievo e la cultura della società3.

Un compito che negli ultimi trent’anni assume una funzione sempre più importante di fronte al sistema dei media: informa-zione, spettacolo, intrattenimento, pubblicità, sport, televendite e telepredicatori e tutto il resto di un universo di format globa-li sempre più pervasivi e onnipresenti. Un sistema che fa della comunicazione un oggetto scientifi co di studio, un oggetto di-datticamente organizzato in ogni sua parte, un congegno raffi -natissimo (anche quando si presenta nella sua versione scurrile e viscerale) in gran parte volto a trasformare i soggetti in consuma-tori compulsivi e in passivi gregari dell’ordine sociale e politico esistente. Anche su questo terreno, naturalmente, le cose si pre-sentano in modo contraddittorio. Accanto a tale poderoso sistema egemonico esistono forme della comunicazione non omologate, tra le quali, in primo luogo, la rete internet insieme a prodotti autogestiti, fi lm d’autore, reportages coraggiosi capaci di dare

2 F. Fortini, Il dissenso e l’autorità, in Questioni di frontiera, Einaudi, Torino 1977, pp. 57-58.

3 F. Frabboni, Manuale di Didattica generale, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 44.

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voce agli esclusi, programmi educativi e per bambini di qualità, giornali e giornalisti indipendenti, televisioni di strada e quant’al-tro. Tutte esperienze nelle quali, insieme al mezzo, continua a contare il messaggio, quasi a voler contestare la troppo abusata e riduttiva parola d’ordine di McLuhan per il quale “il mezzo è il messaggio”.

4. La docente mediatrice didattica

Di fronte a tutto ciò la didattica, che si preoccupa di costruire, organizzare e trasmettere criticamente i saperi, assume una fun-zione cruciale. L’artefatto didattico, l’ambiente di insegnamento-apprendimento ricco e ben costruito, la consapevolezza da parte dei docenti del loro essere costruttori di “congegni” strutturati per l’apprendimento sono elementi necessari per combattere l’omo-logazione, il rumore di fondo, la superfi cialità gridata o soffusa, in taluni casi la menzogna, che educano naturalmente, anche gra-zie ad una loro “didattica” sapientemente orchestrata, milioni di esseri umani. Certo si corre il rischio idealistico di contrapporre una didattica povera, priva di mezzi e talvolta sciatta qual è quella praticata in tante scuole nel mondo ad una “didattica” miliardaria, fatta di professionisti super pagati, di avanzati mezzi tecnologici, sostenuta dalle maggiori imprese multinazionali e fi nalizzata in ultima analisi alla trasformazione di ogni aspetto dell’esistenza umana in merce. È del tutto evidente che in una tale situazione l’impegno per una didattica di qualità, volta a sedimentare negli allievi un sapere problematico e critico, non può non assumere i caratteri di una lotta politica che in primo luogo affermi le antiche rivendicazioni della modernità rivoluzionaria degli ultimi tre se-coli: universalità, laicità, gratuità, gestione pubblica dell’istruzio-ne. Rivendicazioni che si sono sempre accompagnate ad un’idea di società e di cultura radicalmente democratiche, solidali, fonda-te sul metodo critico-scientifi co. Una didattica che mette in primo

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piano, simultaneamente, l’acquisto delle conoscenze e competen-ze di base, il gusto della scoperta e dell’esplorazione, il pensiero divergente e la creatività.

Certo è che il carattere alienante dell’“educazione permanente naturale in atto”4, tipica dei media e delle merci, pone la grande questione del superamento di un assetto socio-economico e co-municativo fondato sull’appropriazione privata dei beni comuni (perché tali sono informazione, istruzione, sapere, conoscenza, arte) in vista di una loro fruizione sociale per tutti fondata sul valore d’uso di quei beni. Molti studiosi sostengono che non più del 20-30% del corredo cognitivo in possesso delle giovani gene-razioni sia stato appreso a scuola. Il restante 70-80% è il risultato di un impasto spesso caotico derivante dal mondo delle merci e dei media, insieme, naturalmente, alle esperienze di vita e di la-voro. Sembra essersi avverata la tesi della descolarizzazione che quasi quarant’anni fa aveva proposto Ivan Ilich: solo che essa si sta volgendo non in direzione di una rete virtuosa e autogestita di comunità civiche educanti ma in un monopolio mercantile di un pensiero unico di massa, pervasivo e molecolare, che sottrae e privatizza progressivamente, come per le grandi foreste tropicali, gli alberi dell’educazione, la biodiversità delle culture, le sementi del sapere. Ancora una volta le grandi questioni educative e didat-tiche chiamano in causa i contesti sociali, economici e politici, in una parola storici, del mondo e ci chiedono a quale idea di uomo e di società esse devono corrispondere e indirizzarsi. Ancora una volta ogni neutralità diviene una falsa coscienza.

La didattica, quindi, con tutte le cautele e le consapevolezze del caso, deve interagire e competere con questo mondo stregato che incanta e persuade. La didattica, in altre parole, deve essere attraente e retoricamente attrezzata quanto il suo antagonista, ma senza assumerne i caratteri di vacuità, superfi cialità, istupidimen-

4 F. Susi (a cura di), L’interculturalità possibile. L’inserimento scolastico degli stranieri, Anicia, Roma 1995, p. 29.

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to, senza esserne contagiata nei suoi valori effi meri tutti fondati sull’egoismo proprietario di chi deve consumare tutto e subito, in un eterno presente di narcisismi e indifferenze.

Se la didattica è una forma di mediazione tra l’allievo che ap-prende e i saperi da insegnare, il primo mediatore didattico è il docente. Anzi, la docente, considerato che questa professione è per la gran parte svolta da donne. Le cui qualità principali, come sostengono molte studiose del rapporto tra genere ed educazione, sono quelle della relazionalità e della cura educative, della ver-satilità, dell’antidogmatismo, della gratuità. Tutti fattori tipici di una buona progettazione didattica, che deve saper contemperare la dimensione scientifi ca e tecnologica dei diversi momenti di un curricolo fatto di scansioni temporali dell’apprendimento, di allestimento di materiali didattici a misura dell’allievo, di verifi -che e valutazioni robuste e docimologicamente fondate, ma che, in egual misura, deve includere – come abbiamo già visto – la dimensione socio-affettiva, emozionale e motivazionale dell’ap-prendimento, quella dimensione fatta di imprevedibilità, di deri-ve e approdi, di percezioni non sempre razionalizzabili, che fan-no della relazione educativa una relazione umana.

La pluridimensionalità della formazione scolastica esige […] che non si faccia ricorso solo a parametri relativi agli apprendimenti, cioè alla sfera cognitiva, ma anche ad altri obiettivi primari tra i quali hanno particolare importanza quelli relativi alla sfera affetti-vo-motivazionale, socio-emotiva e relazionale5.

Essendo tuttavia consapevoli che tutto questo non passa at-traverso un’astratta comunione di anime, ma solo dal concreto operare del lavoro didattico fondato su cose, oggetti di studio, numeri e poesie, dipinti e norme giuridiche, formule chimiche e mappe geografi che, brani musicali ed esercizi fi sici, ricostruzioni

5 G. Domenici, Manuale della valutazione scolastica, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 14.

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storiche e programmi informatici. Le “cose” (e tra queste vi è anche il fare, l’operare, il tirocinio) che la didattica media orga-nizza, propone, e solo a partire dalle quali è possibile conferire un senso alla contraddittoria esigenza di “onnilateralità” che ogni educazione attiva, relazionale e radicalmente democratica e par-tecipativa si propone.

5. Nuove domande di istruzione e risposte didattiche

Abbiamo sopra accennato al rapporto tra nuove domande di istruzione e innovazioni didattiche. Gli ultimi due secoli sem-brano aver accolto l’invito di Comenio di “insegnare tutto a tut-ti”, anche se gli altissimi indici di analfabetismo e di esclusione culturale presenti sul pianeta ci dicono che resta ancora molto da fare. Risulta evidente che insegnare, come è stato fatto per secoli, a piccoli gruppi di “eccellenze”, per usare un’espressione tanto di moda oggi, cioè ai fi gli delle élite economiche e politiche di un paese, anche attraverso il ricorso alla fi gura del precettore privato, è cosa assai diversa che non quella di rivolgersi a un pubblico ete-rogeneo e formato in gran parte dai fi gli delle classi subalterne. In fondo, la sfi da più grande che la didattica novecentesca ha raccol-to è stata quella di misurarsi con queste nuove diversità educative tentando di costruire percorsi di insegnamento e apprendimento a misura di esse e provando a compensare i defi cit socio-culturali che tanti allievi si portavano nelle aule scolastiche (con la consa-pevolezza che senza una radicale trasformazione della società in senso egualitario diffi cilmente si potrà costruire una scuola che dia a tutti le stesse opportunità e che garantisca a tutti i medesimi esiti formativi). Questo nuovo pubblico di massa, formato in lar-ga parte da fi gli di operai, contadini, artigiani, impiegati di bassa qualifi ca, ecc., si è via via fortemente intrecciato con altre fi gure sociali portatrici anch’esse di diversità radicali. Anzitutto le don-ne, per secoli escluse dall’educazione, che oggi rappresentano,

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anche in termini di successo scolastico, l’elemento più dinamico dei sistemi formativi, nonostante in tante parti del mondo persi-sta ancora un’odiosa esclusione nei loro confronti dalle scuole e dalle università. Va ricordato che la presenza delle donne è stata storicamente accolta in un’ottica per certi versi di tipo “segrega-zionista”, considerando che per loro l’accesso agli studi più pre-stigiosi (dal liceo classico ad alcune facoltà universitarie) è stato per molto tempo interdetto e che fi no a pochi decenni fa nelle scuole italiane vi erano classi separate tra maschi e femmine, in omaggio ad una cultura sessuofobica che ha sempre visto la don-na portatrice di un eros destabilizzante e materialistico, capace di suscitare nelle aule scolastiche quel “ritorno del represso” di cui parlava Freud e che consiste nell’affermazione della gratuità del piacere. Tema di grande importanza che sarà ripreso dai movi-menti giovanili degli anni Sessanta del ’900, divenendo oggetto anche di rifl essione fi losofi ca.

Ma l’elenco delle diversità faticosamente accettate, ma non dappertutto e mai completamente, nella scuola, sono molteplici: la diversità religiosa, prima negata (si pensi agli allievi ebrei cac-ciati dalle scuole dopo le leggi razziali del 1938), poi scoperta e parzialmente riconosciuta dall’Occidente (anche se nei fatti nella scuola italiana vi è una religione dominante, quella cattolica, con insegnanti pagati dallo Stato e scelti dalla Chiesa). Poi, come già detto, le diversità di classe, con ciò che questo ha signifi cato con la nascita del socialismo nell’Ottocento, e le diversità di genere, dalle prime rivendicazioni per il suffragio universale alla nascita del femminismo negli anni ’50 e ’60 del Novecento; le diversità nelle pratiche sessuali (non va dimenticato che l’omosessualità è ancor oggi fortemente stigmatizzata e che gli omosessuali furono tra le prime vittime del nazismo); le diversità di età e poi le diver-sità psico-fi siche (l’handicap); le diversità cosiddette etniche; le diversità linguistiche, e l’elenco potrebbe continuare.

Tra le nuove diversità presenti nella società odierna vi è quel-la dei fi gli dell’immigrazione. Una diversità, è bene subito pre-

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cisarlo, che si intreccia fortemente a quella di classe, essendo i giovani allievi che frequentano le scuole italiane in grandissima parte fi gli di edili, operai dell’industria, badanti e colf, camerie-ri, braccianti, piccoli commercianti. Una diversità, inoltre, che si intreccia con quelle storico-culturale, linguistica, di genere, di appartenenza religiosa. Tutto ciò, lo vedremo, implica per la di-dattica un grande lavoro di rifl essione e trasformazione.

6. Il trattamento delle diversità in ambito educativo

Ciò che a noi interessa, in ambito pedagogico e didattico, è il modo in cui tutte queste diversità sono state accolte nei sistemi educativi, se e quando sono state accolte e valorizzate6. Come già detto, è solo a partire dal Novecento che tutto questo avviene, in particolare con la diffusione della scuola di massa e di conse-guenza con la presenza a scuola di un’utenza eterogenea, porta-trice di bisogni socio-culturali e di domande educative diversi da quelli, selezionati e quantitativamente modesti, del passato.

In Italia, in particolare, tutto ciò avviene con l’introduzione della scuola media unica nel 1962, in concomitanza con le radica-li trasformazioni socio-economiche del Paese (gli anni del “mira-colo economico”, che porteranno ad una accresciuta domanda di istruzione). Un nuovo pubblico della formazione si affaccia nelle aule scolastiche, un pubblico costituito in gran parte da fi gli di lavoratori, fi no ad allora destinati al vicolo cieco dell’avviamento professionale. Questi nuovi e diversi soggetti sociali metteranno in crisi la cultura retorico-umanistica di una parte del ceto medio insegnante di quegli anni, il quale risponderà con la selezione e le bocciature. È in questi anni che nasce la scuola di Barbiana di don

6 Per questa parte cfr. D. Santarone (a cura di), Educare diversamente. Mi-grazioni, differenze intercultura, Armando, Roma 2006.

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Milani e Lettera a una professoressa7, l’impegno sperimentale di maestri quali Bruno Ciari e Mario Lodi, le innovazioni didattiche di associazioni quali il Cemea (Centri per i metodi dell’educazio-ne attiva), l’Mce (Movimento di cooperazione educativa) e tante altre.

Si comincia in questi anni a discutere di un tema che ave-va appassionato educatori e pedagogisti in tante parti del mondo (Claparède, Dewey, Montessori…) e che nasce dall’urgenza di docenti, capi d’istituto, uomini e donne di scuola ai diversi li-velli di misurarsi con il nuovo pubblico di allievi prodotto dalle trasformazioni di cui si parlava prima: come adeguare i processi di insegnamento/apprendimento ai nuovi e diversifi cati bisogni formativi indotti dalla scolarizzazione di massa.

Non mancavano certo riferimenti teorici e pratici. Lo psico-logo ginevrino Claparède aveva proposto, nei primi decenni del Novecento, la “scuola su misura”, volendo con ciò intendere una scuola pensata per offrire ad ogni allievo un percorso di studi in-dividualizzato, appunto “su misura” come un abito che si indos-sa. Egli proponeva il superamento del gruppo classe come entità chiusa, un curricolo comune ed un curricolo che oggi chiamerem-mo “elettivo”, scelto cioè dai singoli allievi sulla base delle loro attitudini e dei loro interessi8.

È interessante notare che il concetto di “attitudine” verrà ripre-so e sviluppato nel corso degli anni ’80 del Novecento da Howard Gardner, il quale, con la sua teoria delle intelligenze multiple

7 Così scrivono i ragazzi di Barbiana e il loro priore a proposito dei libri di storia allora adottati: «In genere non è storia. È un raccontino provinciale e interes-sato fatto dal vincitore al contadino. L’Italia centro del mondo. I vinti tutti cattivi, i vincitori tutti buoni. Si parla solo di re, di generali, di stupide guerre tra nazioni. Le sofferenze e le lotte dei lavoratori o ignorate o messe in un cantuccio. Guai a chi non piace ai generali o ai fabbricanti d’armi. Nel libro che è considerato più moderno Gandhi è sbrigato in 9 righe. Senza un accenno al suo pensiero e tanto meno ai metodi» (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967, p.123).

8 Cfr. N. Filograsso, Claparède e la pedagogia scientifi ca, La Nuova Italia, Firenze 1966.

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(linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporeo-ci-nestetica, interpersonale, intrapersonale) offre un prezioso contri-buto scientifi co per un intervento educativo capace di valorizzare le diversità individuali degli allievi9.

L’opera di Gardner è di grande interesse per gli studi intercul-turali. In un libro del 198910 egli analizza, in un serrato confronto comparativo di carattere interculturale, i sistemi educativi cinese e statunitense. Dopo essersi recato più volte in Cina negli anni ’80 del secolo scorso, lo studioso di Harvard si interroga sul rapporto tra esecuzione e creatività, tra approccio “mimetico” e approccio “trasformativo” ai problemi dell’educazione, arrivando a ricono-scere eguale dignità ai due approcci e superando la tradizionale contrapposizione tra “esecutivi” e “creativi”.

Un altro autore che ha rifl ettuto sul rapporto tra soggetto e istruzione è stato John Dewey. Il fi losofo e pedagogista statuni-tense – lo abbiamo già accennato – sostiene la necessità di spo-stare il centro di gravità dei processi di insegnamento/apprendi-mento dal maestro all’allievo, e parla, per questo, di una vera e propria “rivoluzione copernicana”.

Io posso compendiare così il mio pensiero: il centro di gravità è fuori del fanciullo. Esso è nel maestro, nel libro scolastico, in quel che volete e dove volete, eccetto che nell’attività immediata del ra-gazzo… Ora con l’educazione nuova si sta verifi cando lo sposta-mento del centro di gravità. È un cambiamento, una rivoluzione, non diversa da quella provocata da Copernico, quando spostò il cen-tro dell’astronomia dalla terra al sole. Nel nostro caso il fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli strumenti dell’educazione. Esso è il centro intorno al quale essi sono organizzati11.

9 Cfr. H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Fel-trinelli, Milano 1995.

10 H. Gardner, Aprire le menti. La creatività e i dilemmi dell’educazione, Fel-trinelli, Milano 1991.

11 J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1949, pp.26-27. Cfr. anche l’antologia curata da L. Borghi, Il mio credo pedagogico e altri scritti, La Nuova Italia, Firenze, 1954.

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Si tratta di mettere al centro l’allievo che apprende e, di conse-guenza, di adattare l’insegnamento ai suoi bisogni, alla sua indi-vidualità. Tutto questo attraverso la capacità di suscitare “interes-se” da parte del docente e tenendo in gran conto l’“interesse” del bambino. È l’origine dell’attivismo pedagogico che, nonostante le reazioni del cognitivismo di Jerome Bruner12 negli anni ’50 e ’60 del Novecento, resta – a nostro avviso – tra i lasciti maggiori del Novecento pedagogico13.

7. Didattica attiva per l’educazione degli adulti

Tale prospettiva pedagogica è centrale, ad esempio, per l’edu-cazione degli adulti, un ambito educativo nel quale è fondamen-tale tener conto della biografi a dell’adulto che apprende, della sua storia di vita e di lavoro, delle sue conoscenze ed esperienze. Non è, infatti, possibile costruire alcun percorso formativo per gli adulti se nel percorso stesso non entrano attivamente i bisogni formativi e culturali che gli adulti esprimono, le loro competen-ze, i loro vissuti. Detto in altri termini, la formazione intenzio-nale che si vuole loro proporre non può non tener conto della formazione naturale che essi hanno acquisito nei loro percorsi

12 Cfr. J. Bruner, La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano 1997.

13 A proposito di inserimento dei fi gli degli immigrati negli Usa, «è interessante apprendere […] che, pur tenacemente contrario all’assimilazione culturale forzata, Dewey considerava rischiosa la prospettiva di chi […] contrapponeva alla versione conformista del melting pot, allora circolante, le metafore dell’orchestra (ogni grup-po rappresenterebbe uno strumento che suona e si adatta armoniosamente agli altri) e della tenda (gli Stati Uniti come protezione sotto cui si ponevano i vari gruppi): all’illustre pedagogista tali metafore sembravano evocare (e magari giustifi care) una inedita forma di segregazione, nella misura in cui circoscrivevano e irrigidiva-no le differenze e le appartenenze culturali dei soggetti, e le rappresentavano come il modo per favorire la coesione delle comunità e il mantenimento delle tradizioni linguistiche, religiose, sociali praticate dalle generazioni precedenti» (F. Gobbo, Pedagogia interculturale, Carocci, Roma 2000, p. 23).

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di vita e di lavoro. Altrimenti gli adulti si infantilizzano e si de-motivano.

Due autori, in particolare, hanno rifl ettuto su tali questioni: Bertrand Schwartz e Francesco Susi. Il primo, ingegnere mine-rario divenuto formatore e “pedagogista”, ha condotto numerose azioni di formazione con lavoratori e giovani con basso livello di scolarità, pervenendo ad alcune nozioni di grande rilevanza quali “pedagogia del successo”, “pedagogia per obiettivi”, “teoria dei post-requisiti”: il soggetto deve essere messo in condizione di af-frontare problemi adeguati al suo livello di conoscenze e compe-tenze (pena la mortifi cazione), il soggetto deve poter aver chiari gli obiettivi da perseguire (anche attraverso un “contratto forma-tivo”), il soggetto può apprendere anche senza essere in possesso di quelli che normalmente vengono defi niti i pre-requisiti14. F. Susi, altresì, attraverso molteplici azioni di formazione e ricerche empiriche, ha sottolineato più volte l’importanza dell’educazione permanente naturale in atto, volendo con ciò intendere la neces-sità di tener conto di tutti quegli elementi del contesto sociale e ambientale che educano continuamente i soggetti e li persuado-no a valori e comportamenti: dal gruppo dei pari al sistema dei media, dal lavoro alla famiglia. Importante è poi la distinzione che Susi fa tra bisogni impliciti di formazione e bisogni espliciti, con la conseguente sottolineatura che la mancata manifestazione dei bisogni impedisce molto spesso il successo delle azioni di formazione15. Tutto ciò è un ambito educativo che tiene in gran considerazione la diversità individuale nel pensare e promuovere iniziative educative. Nella scuola si è cominciato a rifl ettere e a sperimentare sull’istruzione individualizzata a partire dagli anni Settanta.

14 Cfr. B. Schwartz, Modernizzare senza escludere. Un progetto di formazione contro l’emarginazione sociale e professionale, Anicia, Roma 1994.

15 Cfr. F. Susi, La domanda assente, La Nuova Italia Scientifi ca, Roma 1989, Idem, La formazione nell’organizzazione, Anicia, Roma 1995 e Idem, Educare senza escludere, Armando, Roma 2012.