Donald Winnicott (Playmouth 1896 – Londra 1971) Vero Sé, creatività e sviluppo del soggetto.

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Donald Winnicott (Playmouth 1896 – Londra 1971) Vero Sé, creatività e sviluppo del soggetto

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Donald Winnicott (Playmouth 1896 – Londra 1971)

Vero Sé, creatività e sviluppo del soggetto

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• Winnicott utilizza il concetto di Vero Sé non rifacendosi ad una concezione metafisica o a una teoria dell’anima (pur non essendo concetti che si escludono!)

→ il concetto di Vero Sé contiene un’idea di per sé evidente, cioè che l’individuo è agente, intenzionale: il Vero Sé è la spontaneità originaria del soggetto.

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• Il Vero Sé contiene il senso del Sé, la certezza di esistere e di essere reali, di poter essere se stessi, creativi e spontanei; ad esso appartiene la percezione di una continuità della propria esistenza.

al centro di ciascuna persona, c’è un elemento segregato, e questo è sacro ed estremamente degno di essere preservato (Winnicott).

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• Per Winnicott rappresenta quindi la creatività originaria del soggetto.

La creatività corrisponde al naturale senso di espansione di sé che si sperimenta in quanto si è vivi. Quando siamo creativi ogni cosa che facciamo aumenta il senso di essere noi stessi (Winnicott 1970). Senza questo piano, per W., non c’è nulla.

Felice è colui che è sempre creativo nella sua vita personale come pure nei rapporti con i partner, con i figli, con gli amici ecc. (1970, tr. it. 1986, p. 41)

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• Essere creativi significa essere “soggetti” a pieno titolo. Essere soggetti significa esistere anche indipendentemente dallo stimolo esterno. Se il nostro sentirci vivi dipendesse esclusivamente da stimoli esterni, cessato lo stimolo cesserebbe anche la sensazione di sentirsi vivi.

L’essere creativi di cui parla Winnicott allude proprio al sentirsi vivi anche quando non c’è lo stimolo che proviene dal mondo esterno.

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“Fuori dalla mia finestra c’è una pianta, e il sole, e razionalmente so che deve essere uno spettacolo piacevole, per chi lo può vedere. Ma questa mattina per me tutto ciò non ha senso. Non riesco ad esserne partecipe e ciò mi rende profondamente conscio del fatto di non sentirmi reale” (Winnicott 1970).

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Il mondo... questo grosso essere assurdo. [...] Scoprire che il mondo non ha senso, che è assurdo, provoca la nausea. [...] L'essenziale è la contingenza [= la non necessità delle cose]. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea [...] La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col caffè, son io che sono in essa [...] Ed ora lo so: io esisto - il mondo esiste - ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi é indifferente. E' strano che tutto mi sia ugualmente indifferente: é una cosa che mi mette paura. E' cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giocare a far rimbalzare i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è allora che è cominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano. (Sartre, La Nausea)

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• La creatività riguarda l’ “essere” sé stessi, e viene prima del “fare”.

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Laddove il vero Sé sia stato traumatizzato, esso non deve più essere ritrovato e ferito di nuovo. Si sviluppa un falso Sé a difesa del vero Sé.

Questo falso Sé può funzionare perfettamente, eppure sta all’opposto della salute psichica perché sorge dalla negazione del vero Sé.

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Cos’è la salute mentale?

• La salute non è sinonimo di tranquillità. La vita di un individuo sano è caratterizzata da paure, sentimenti conflittuali, dubbi e frustrazioni, come pure da elementi positivi. La cosa fondamentale è che si senta di stare vivendo la propria vita, assumendosi le responsabilità di quanto si fa, il merito del successo e la colpa del fallimento. In tal caso si può dire che l’individuo è passato dalla dipendenza all’autonomia.

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• Essere e sentirsi reali sono le caratteristiche della salute. Soltanto quando l’essere è acquisito (cioè quando sentiamo di essere noi stessi) possiamo procedere verso altre mete.

Senza dubbio la gente dà per scontato il sentirsi reali. Ma a quale prezzo? In quale misura essi negano la verità che di fatto esiste il pericolo di sentirsi non reali, posseduti, di non essere se stessi, di precipitare all’infinito, di non avere una direzione, di essere separati dal proprio corpo, annientati, di essere un nulla, di non avere un luogo in cui stare… (D. Winnicott, Il concetto di individuo sano)

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Lo sviluppo della creatività:fra onnipotenza e principio di realtà

• La vita creativa che corrisponde alla

possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni cosa in modo sempre nuovo.

• L’esperienza dell’onnipotenza è qualcosa di più di un controllo magico, ma include l’aspetto creativo dell’esperienza (Winnicott 1963)

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Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H. Hemingway, si fanno immortalare di fianco a un leone massacrato, ci danno un’idea degli sforzi estremi che un essere umano può compiere nel tentativo di trionfare sull’oggetto percepito oggettivamente (Winnicott)

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• Essere creativi significa, afferma Winnicott, “mantenere qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare il mondo”.

in ogni atto creativo c’è sempre una porzione di “onnipotenza”

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• Ma l’essere creativi implica incontrare il mondo, la realtà esterna.

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• Inizialmente è la madre che si adatta ai bisogni del bambino per consentire che egli compia esperienze che sono coerenti con i suoi stati mentali.

• La madre, con la sua capacità empatica è capace di dare qualcosa di buono al bambino che, al suo livello, può solo fantasticare e “allucinare” degli oggetti: il bambino è solo con le sue illusioni, la madre conosce la realtà e può far sì che la fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.

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• Winnicott parla a tale proposito di “presentazione d’oggetto”. – Dobbiamo supporre che il bambino abbia dei

guizzi creativi in base ai quali cerca il contatto con la realtà; non essendo “organizzato” non riesce a contattare il mondo. Allora la madre, intuendo le volontà nascenti del piccolo, gli fornisce quegli oggetti che il bambino sta “allucinando”. Il bambino, cioè, è solo con le sue fantasie, la madre conosce la realtà e può far sì che la fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.

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• L’esperienza del piccolo risulterà arricchita di elementi reali ed egli stesso inizierà a sentirsi reale. Il suo essere e sentirsi reale, che sta alla base della salute psichica, dipende dunque dal fatto che le connaturali tendenze alla crescita e all’espansione del suo Sé hanno trovato un ambiente favorevole e degli oggetti che corrispondevano alle sue fantasie.

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• Più in generale, la madre, insomma, supporta l’Io del bambino: calandosi al suo livello, gli consente di credere che le esperienze che compie possano trovare un corrispettivo nella realtà esterna, protegge l’Io del bambino e supporta l’evoluzione della sua identità (”preoccupazione materna primaria”).

L’ “essere” viene garantito al bambino dalla madre.

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Approfondimento: l’aggressività e «l’uso di un oggetto»

• L’aggressività è un modo per esteriorizzare l’altro troppo intimo: per separarci dobbiamo aggredirlo!

• Finché non acquisiamo la capacità di usare le persone («oggetti») restiamo loro legati nella maniera della dipendenza totale. Siamo tutt’uno con loro, non sono esterne, sono parte del Sé: il nostro Sé dipende ancora da loro. Non abbiamo raggiunto la capacità di amare. Per amare qualcuno, questo qualcuno deve essere altro da noi!

…non è possibile per me accettare come scontato il fatto che il primo impulso, nel rapporto del soggetto con l’oggetto (percepito oggettivamente, non come soggettivo), sia distruttivo ((Winnicott, 1971)

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L’oggetto transizionale• L’oggetto transizionale consente di mantenere

interrelate due aree altrimenti separate, quella della realtà interna e quella della realtà esterna.

• L’oggetto transizionale compare tra i quattro e i dodici mesi.

• Il bambino ha bisogno di investire un oggetto del potere transizionale, tali che rappresentino un ponte tra la realtà interna e quella esterna. Si colloca tra la “creatività primaria e la percezione obiettiva basata sull’esame di realtà”.

• Anche se non tutti i bambini vi fanno ricorso, la presenza dell’oggetto transizionale è un indice sicuro di una potenziale capacità di elaborare l’onnipotenza e la separazione.

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• L’oggetto transizionale viene quindi progressivamente dimenticato.

• Può rimanere nell’adulto nella consapevolezza di mantenere un “luogo di riposo”, ove lasciar fluttuare la mente e giocare con le proprie idee. Oppure come spazio del gioco, della creatività, del sentimento religioso, ma anche della perdita del sentimento affettuoso, dell’assuefazione alla droga, dei rituali ossessivi.

• W. distingue a tal proposito l’oggetto transizionale dall’oggetto feticcio o oggetto tossico. Quest’ultimo mantiene il soggetto in uno stato di continua dipendenza, distoglie da sé e dalla realtà esterna.

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Comunicare o non comunicare? (Winnicott 1963)Nell’ambito della salute esiste un nucleo della personalità che corrisponde al vero Sé. Ritengo che tale nucleo non comunichi mai direttamente con il mondo degli oggetti percepiti e che l’individuo sappia che questo nucleo non deve entrare in comunicazione con la realtà esterna né venirne influenzato. Sebbene le persone sane comunichino e amino comunicare, è anche vero che ogni individuo è un essere isolato che non comunica in modo permanente, in permanenza sconosciuto e mai realmente scoperto. […] Al centro di ogni persona c’è un elemento incomunicabile, inviolabile, che è sacro e va preservato. Le esperienze traumatiche, che portano all’organizzazione delle difese primitive, rappresentano una minaccia al nucleo isolato, la minaccia che venga scoperto, modificato e che ci si metta con esso in contatto. La difesa consiste in un ulteriore occultamento del Sé nascosto… Essere stuprati o essere mangiati dai cannibali sono cose di poco conto rispetto alla violazione del nucleo del Sé mediante la comunicazione che si insinua attraverso le difese. …possiamo capire l’odio che la gente ha verso la psicoanalisi, la quale è penetrata assai nella personalità umana e costituisce una minaccia per il bisogno che l’individuo ha di restare segreto e isolato. Il problema è: come isolarsi senza doversi circondare di barriere?

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Credo che, inerente in ogni tipo di artista, si possa scoprire un dilemma dovuto alla coesistenza di due tendenze: il bisogno urgente di comunicare e il bisogno ancora più urgente di non essere scoperto. Ciò potrebbe spiegare la nostra impossibilità a concepire un artista che arrivi alla fine del compito che impegna totalmente la sua natura. (Winnicott 1963)

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Forse non è stata data abbastanza attenzione al fatto che il mistico si ritira in una posizione in cui può comunicare segretamente con oggetti e fenomeni soggettivi, poiché la perdita di contatto col mondo della realtà condivisa è compensata da un vantaggio nel sentirsi reale (Winnicott 1963).

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Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde provano perfino odio per l’immagine e il simbolo […]. Esistono fatti così delicati che si fa bene a coprirli e a renderli irriconoscibili sotto una grossolanità; esistono atti d’amore e di traboccante generosità, in seguito ai quali non c’è nulla di più consigliabile di prendere un bastone e picchiare di santa ragione il testimone oculare: e con ciò offuscare la sua memoria […] il pudore è ingegnoso. Non sono le cose peggiore quelle di cui ci si vergogna di più (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, 40).

Ogni profondo pensatore teme più l’essere compreso che l’essere frainteso (F. Nietzsche, idem, 290).

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• La parte principale della vita degli adulti, degli adolescenti, dei bambini e dei lattanti si svolge all’interno di quest’area intermedia, a metà strada fra soggettività e oggettività, fra sogno e realtà. La stessa civiltà può essere descritta a partire da questa visuale, dice Winnicott (1970). Nei fenomeni transizionali occorre accettare il paradosso ce collega la realtà interna a quella esterna. Non chiediamo mai dell’orsacchiotto del bambino (che è un simbolo della disponibilità materna) se è stato creato o se era già lì.

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• Negli adulti l’area transizionale è l’area degli interessi culturali, lavorativi, religiosi, politici, artistici ecc.

• Tutto è «transizionale» in quanto «abitiamo» la realtà non passivamente, subendola, ma in modo attivo, tentando di comprenderla dal nostro punto di vista: non ci sono «cose», ma le cose come sono per noi, pur restando che le cose qualcosa di reale, di altro da noi, non costruzioni soggettive.

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– Ad esempio, chi crea utilizza la propria spontaneità originaria, il proprio peculiare punto di vista, la propria prospettiva per «vedere» qualcosa dal proprio punto di vista; contemporaneamente si «connette» con la realtà: la creazione è, così, un qualcosa di «oggettivo-soggettivo»

– Anche l’umorismo può essere visto come un fenomeno transizionale in quanto chi ride si distacca per un attimo dal dato oggettivo e lo rilegge secondo la propria prospettiva; c’è un guizzo di onnipotenza nell’umorismo, un qualcosa di «antidepressivo», in quanto chi fa umorismo non accetta di essere passivo: pur stando dentro la realtà, la assume in modo soggettivo, la sovrasta e la sorpassa, pur stando dentro la realtà.

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L’umorismo di Einstein che fa la linguaccia è il simbolo della libertà del creare, il richiamo ad esercitare la propria «onnipotente» prospettiva soggettiva, con libertà, ma anche con serietà, tendendo dell’ «oggettività» della realtà.

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• «Formarsi», nella prospettiva di Winnicott, significa modificare il proprio Sé adeguandolo alla realtà ma continuando a essere sé stessi. È abitare lo spazio «tra» soggettivo-oggettivo, uno spazio che Winnicott definisce appunto transizionale, di costante passaggio e dialogo fra le due dimensioni

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• Anche per Wilfred Bion è possibile «formarsi» apprendendo dall’esperienza.

• Così come per Keats al centro dell’imparare c’era il «cuore umano», per Bion è possibile apprendere se si riescono a sperimentare e trasformare le proprie autentiche emozioni.

→ Formarsi, per Bion, deriva dalla capacità di modificare i propri sentimenti senza sbarazzarsene

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Franz Kafka – Davanti alla leggeDavanti alla legge c'è un guardiano. Davanti a lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare. L'uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. "Può darsi" risponde il guardiano, "ma per ora no". Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l'uomo si china per dare un'occhiata, dalla porta, nell'interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere: "Se ne hai tanta voglia prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l'infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell'altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io". L'uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà: la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decise di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che ancora non lo può fare entrare. L'uomo che per il viaggio si è provveduto di molte cose dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva: "Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa". Durante tutti quegli anni l'uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l'unico ostacolo all'ingresso della legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e siccome studiando per anni il guardiano conosce ormai anche le pulci del suo bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell'oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge. Ormai non vive più a lungo. Prima di morire tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può ergere il corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell'uomo di campagna. "Che cosa vuoi sapere ancora?" chiede il guardiano, "Sei insaziabile." L'uomo risponde: "Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?". Il guardiano si rende conto che l'uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: "nessun altro poteva entrare qui, perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo".

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Wilfred R. Bion (1897, Muttra, India - 1979, Oxford, UK)

Apprendere dall’esperienza o apprendere intorno alle cose?

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• In Bion è centrale l’esperienza emotiva.

• Infatti, per Bion, gli individui hanno «bisogno di essere consapevoli di un’esperienza emotiva»; viceversa il non fare esperienza emotiva «implica una carenza di verità, che sembra indispensabile per la salute psichica» (W. Bion, Apprendere dall’esperienza, 1962, p. 104)

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Il non fare esperienza emotiva produce disastrosi effetti sullo sviluppo della personalità; in tali effetti vanno compresi quei profondi deterioramenti psicotici che possono essere descritti soltanto definendoli morte della personalità.

(Bion, 1962, trad. it 1972, p. 83)

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• La razionalità «segue» l’emotività.

La ragione è schiava dell’emozione ed esiste per razionalizzare l’esperienza emotiva. (W. Bion, Attenzione e interpretazione, 1970, p. 7)

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• Il pensare per Bion non è una facoltà innata, ma una «funzione della personalità» in continuo sviluppo, che Bion chiama «funzione alfa»– Perché si possa apprendere dall’esperienza,

la funzione-alfa deve operare sulla consapevolezza di un’esperienza emotiva

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Elementi beta ed elementi alfa

• Per Bion esistono dei sentimenti e delle sensazioni rudimentali e potenziali (elementi beta) che resterebbero indecifrabili se non intervenisse la funzione simbolica dell’Io (funzione alfa) a trasformare e connettere quelle emozioni rendendole pensabili e pertanto a consentire all’Io di possedere i propri sentimenti e ad evolvere

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• I “pensieri non pensati” (elementi Beta) si collocano per Bion nel “protomentale”: questo rappresenta la radice “animale” del pensiero o, meglio, il radicarsi, pur differenziandosene, dello psichico nel fisico, una regione dove attività fisica e attività psichica sono indifferenziate.

Il poeta John Donne ha scritto: ‘ Il sangue parlò alla guancia’ come se il corpo pensasse! Ciò per me esprime esattamente quello stadio […] rappresenta sulla carta come una linea che separa gli elementi beta dagli elementi alfa (Bion)

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• La formazione della persona ha bisogno di «incarnazione», di «embodiment», di psiche-soma!– Ad esempio, anche Winnicott diceva che la

«manipolazione» e l’accarezzare il bambino favoriscono l’insediamento della psiche nel corpo.

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• Se tale trasformazione non avviene, le sensazioni rimangono non elaborate, elementi “indigeriti” dalla mente, sorta di “oggetti bizzari” che non possono avere significazione, pur avendo nuclei di significato.

↓Essi non possono comunicare col mondo esterno se non tramite un’espulsione (acting out).

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Se il paziente non è in grado di trasformare la propria esperienza emotiva in elementi alfa, non può neanche sognare. Difatti la funzione alfa trasforma le impressioni sensoriali in elementi alfa i quali hanno la somiglianza – se addirittura non sono la stessa cosa – con le immagini visive che ci sono familiari nei sogni […] la mancanza di funzione alfa significa che il paziente non può sognare e dunque che non può nemmeno dormire. Poiché la funzione-alfa fa sì che le impressioni sensoriali dell’esperienza emotiva siano approntate per il pensiero conscio e per quello onirico, il paziente, il paziente che non è in grado di sognare non potrà né addormentarsi né svegliarsi: da qui quel singolare stato che si riscontra in clinica quando vediamo uno psicotico che si comporta come se si trovasse proprio così

Bion (1962, tr. it. 1972, pp. 28-29).

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• Il sognare rappresenta per Bion una costante trasformazione delle emozioni potenziali (elementi beta) in emozioni sperimentabili (elementi alfa)

→ per Bion il sognare è pertanto un’attività costante, che opera anche nella veglia.

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↓ elementi beta (elementi psichici mentalmente non trasformabili, ma solo evacuabili)

------------------------ funzione alfa --------------------------

↓ elementi alfa (elementi psichici mentalmente trasformabili)

↓ Pensieri onirici, sogni, miti, allucinazioni

↓ Preconcezioni

↓ Concezioni

↓ Concetti

↓ Sistema deduttivo

Calcolo algebrico

(Bion, 1974, tr. it 1981, p. 40)

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Nel trasformare l’esperienza emotiva in elementi alfa, la funzione alfa adempie ad un compito fondamentale, perché il senso della realtà ha per l’individuo la stessa importanza che hanno il cibo, l’acqua, l'aria e l’eliminazione delle scorie (Bion, Apprendere dall’esperienza, 1962, trad. it 1972, p. 83).

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• Quindi, senza la funzione alfa l’esperienza emotiva rimarrebbe “incapsulata” in una autoreferenzialità primordiale che impedirebbe qualsiasi forma di interazione con la realtà;

↓Di conseguenza diventa impossibile quella trasformazione delle emozioni sulla base del «fare esperienza» che Bion chiama “apprendere dall’esperienza”

Senza la funzione alfa la personalità è incapace di produrre elementi alfa e perciò incapace di pensieri onirici, di conscio e inconscio, di rimozione e di apprendere dall’esperienza. (Bion)

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• La traduzione di elementi beta in elementi alfa è immaginata da Bion come un compito assai delicato, che comporta il passaggio da un livello psichico originario che non può essere toccato (perché non ha né colore né suono, né spazio né tempo), ad una dimensione, invece, che ha significato in quanto significabile tramite simboli, parole e concetti.

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• Acquisire la capacità di legare cose a nomi, di formarsi immagini, di sognare, di creare quelle che Bion chiama “congiunzioni costanti” diventa un’abilità fondamentale per poter accedere all’emozione contenuta negli elementi beta.

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• Quando la funzione alfa è disturbata dall’odio o dalla paura, nel paziente è distrutta ogni “possibilità di un consapevole contatto con se stesso o con gli altri nella loro qualità vivente”.

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• Bion osserva che tale “traduzione” degli elementi beta in elementi alfa comporta sempre in certo grado un’ambiguità e una non-corrispondenza fra il detto (immagini, parole, sogni, concetti ecc.) e il non-dicibile (elementi beta, mente come «cosa in sé»).

→ Bion introduce pertanto il concetto di «bugia» in quanto vi è sempre una porzione di “bugia” in ogni detto, proprio perché il linguaggio agisce nello spazio-tempo ed è inadatto a significare la mente come cosa in sé

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«Il nome non è la cosa»

Pirandello (Uno, nessuno e centomila)

«Ogni parola è anche una maschera»

Nietzsche (Al di là del bene e del male, par. 289)

«[Le parole sono] strumenti logori che sempre si deteriorano»; «si è imparato a servirsi bene delle parole soltanto per quello che non si ha più da dire»

T.S. Eliot (East Coker)

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• Chi sia capace di tollerare la frustrazione che comporta la perdita di significato connessa alla traduzione di cose a nomi (…le cose sono le emozioni e le angosce primordiali, cioè gli elementi beta), tale capacità di tolleranza gli consente – pur continuando a costituire il nome una non-cosa – di mantenere una «congiunzione costante» tra nome e cosa e di servirsi di questo nome che le è stato imposto per prendere contatto con la cosa.

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• Ci sono individui che non riescono a trasformare la cosa in pensiero. Ma così essi rinunciano al sollievo dalla frustrazione che il pensiero, se egli fosse capace di sopportarlo, gli arrecherebbe (Bion, 1970, tr. it. 1973, p. 20)

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Dare a un oggetto un nome, mettergli un’etichetta, creargli un appiglio; salvarlo dall’anonimato, strapparlo al Dominio del Senza Nome, identificarlo, insomma, è un modo per portarlo in vita (Segal, 1994, p. 63)

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• Chi non riesce a significare un materiale preverbale è nella condizione di chi ha un dolore senza sentirlo, deve comprendere il moto dei pianeti senza avere a disposizione il calcolo differenziale

• Tale persona si trova nella condizione analoga a quella del geometra che dovesse attendere l’invenzione delle coordinate cartesiane per poter elaborare la geometria algebrica

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• Non avendo un “contenitore” entro il quale “contenere” i “contenuti”, egli avverte che la realizzazione dello spazio mentale comporta una proiezione esplosiva.

La realizzazione dello spazio mentale è sentita come un’immensità così grande da non poter essere rappresentata neppure per mezzo dello spazio astronomico in quanto non può essere rappresentata affatto

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– Paura psicotica: è espressa da paziente tramite un improvviso e assoluto silenzio (come per allontanarsi il più possibile da un’emozione devastatrice)

Lo spazio mentale è così vasto in confronto a qualsiasi realizzazione dello spazio tridimensionale che il paziente sente di aver perso la propria capacità di provare emozioni perché sente l’emozione stessa fluire via e perdersi nell’immensità (Bion, 1970, tr. it. 1973, p. 22)

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• No Ice cream → No I scream

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• Aggiunge Bion: i pazienti che mi spingono a formulare queste teorie sperimentano il dolore, ma non lo soffrono.

• Soffrire il dolore comporta rispetto per il dolore, proprio o di un altro. Se così non avviene, il dolore viene sessualizzato; di conseguenza viene inflitto o accettato, ma non sofferto.

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• È utile postulare un regno del non-esistente, dove tornano i significati non elaborati.

• E’ impossibile per tali pazienti “legare” l’esperienza a parole ed emozioni. Alcuni accedono al massimo per alcuni secondi ad uno stadio di “non esistenza”. Ma subito la evacuano e tale “non esistenza” diventa immensamente ostile e riempita di invidia omicida. Lo spazio diventa terrificante, l’essenza stessa del terrore: “Le silence de ces espaces infinies m’effrae” (Bion 1970, pp. 29-32)

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• Quando viene meno la capacità di simbolizzazione, di utilizzare simboli per rapportarsi agli «oggetti», avendo imparato che c’è una «distanza» fra cosa e parola (distanza che si è capaci di tollerare), allora crolla questa distanza e il simbolo non “sta per” la cosa, ma “è” la cosa

→ si parla allora di equazione simbolica

• Per M. Klein l’equazione simbolica rappresenta la tragedia del pensiero psicotico, che resta “attaccato” alle cose senza possibilità di separarsene e quindi neanche di conoscerle come altre da sé.

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• Aggiunge Bion che l’impossibilità di comunicare senza sentirsi frustrati è così familiare che ce se ne dimentica.

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contenitore ↔ contenutoIl problema della psicoanalisi è quello della crescita e della sua soluzione armoniosa nel rapporto tra il contenitore e il contenuto ripetuta nell’individuo, nella coppia e infine nel gruppo (intra ed extra psichicamente). Ogni ipotesi definitoria, si tratti di un’esclamazione, di un nome, di un sistema teoretico o di un discorso esteso come quello di un libro ha – lo si è sempre riconosciuto – una funzione negativa. Essa deve sempre implicare che qualcosa esiste; e per ciò stesso implica che qualcosa non esiste. Resta di conseguenza a chi la recepisce inferirne l’una o l’altra di tali due eventualità a seconda del suo temperamento. Se la persona del recipiente è incapace di tollerare la frustrazione[…] la proposizione può diventare allora una pre-concezione (preconception) e l’elemento non saturo trova la via libera per saturarsi. Ma si supponga che l’incapacità di tollerare la frustrazione sia ‘eccessiva’; in tal caso la personalità può reagire contro la proposizione vedendone solo le implicazioni negative”. In tale caso ogni ipotesi definitoria viene vista nella sua valenza negativa (Bion 1970, p. 26).

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• Le trasformazioni musicale, verbale e artistica sono differenti dalle allucinazioni, sono già elaborazioni di pensiero.

→ Le allucinazioni non sono rappresentazioni, ma sono cose in sé (elementi beta non trasformati), sorte dall’intolleranza per la frustrazione e il desiderio.

→ Il problema delle allucinazioni non è quello della mancanza di rappresentazione, ma quello della mancanza di realtà. Occorre quindi prendere in esame la differenza fra realtà interna e realtà esterna.

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«La possibilità di apprendere dipende dalla capacità di conservare lo sviluppo del contenitore integrato senza renderlo rigido» (Bion, 1962)

→ elasticità mentale ed emotiva

→ creatività

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love, hate, knowledge = L/H/K

• Per Bion esistono dei sentimenti «fondamentali» che si mobilitano nel rapporto ‘profondo con la realtà:

• amore,

• odio,

• conoscenza – le cose e le persone sono sempre amate,

odiate, conosciute

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• Quando questi sentimenti sono sperimentati in modo autentico, c’è un vero coinvolgimento emotivo e di conseguenza c’è crescita e sviluppo della personalità, c’è «apprendere dall’esperienza»

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• Ma quando questi sentimenti profondi siano negati, allora viene meno l’autenticità del mio «esserci emotivamente» nel fare esperienza della realtà → c’è un falso apprendere, un apprendere «intorno» alle cose

→ La distruzione della coscienza di avere dei sentimenti depersonalizza l’Io

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È questo, come diceva George Eliot,

il destino penoso di essere ciò che definiamo una persona assai colta e tuttavia non provare alcuna gioia: di assistere a questo grande spettacolo della vita e non liberarsi mai di quella piccola parte di sé affamata e tremante – di non vedere mai la nostra coscienza trasformarsi con entusiasmo nella vivacità di un pensiero, nell’ardore di una passione, nell’energia di un’azione, ma essere sempre dediti allo studio e privi di ispirazione, ambiziosi e timidi, scrupolosi e con la vista offuscata

G. Eliot (Middlemarch, 1872, tr. it. 1983, p. 290)

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• Fingere e dissimulare il rapporto e l’esperienza dei sentimenti, sbarazzarsi del loro vero contenuto, li trasforma:

Amore → cinismo

Odio → bigottismo

Conoscere → ipocrisia

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• Mancando la verità dei sentimenti, il rapporto con l’amore non potrà più essere autentico e trasformativo, perché sarà caratterizzato da una patina di cinismo;

• l’odio dissimulato diventa bigottismo, una sorta di moraleggiare che si insinua nelle emozioni e impedisce di compiere esperienze emotive autentiche;

• anche la sete di conoscenza (che per Bion rappresenta un impulso primario!) si trasformerà in qualcosa di falso: non più desiderio autentico di capire, ma ostilità a comprendere ciò che è nuovo, a controllare, ad «avere» piuttosto che a «essere». Senza fede nella vita, la conoscenza diventa fondamentalmente ipocrita.

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• L’evoluzione mentale è ostacolata da:

1. il fallimento della funzione materna di rêverie

2. l’intolleranza della separazione e del dolore mentale

3. la privazione di un oggetto esterno significativo

4. l’invidia, che è diretta, come affermava M. Klein (al cui pensiero Bion in parte si rifà), a distruggere ciò che di buono ha l’altro non in quanto lo si vuole per sé, ma in quanto è buono.

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1. la rêverie materna è un modo di definire la capacità empatica della madre, il suo riuscire a «fantasticare» assieme al bambino, l’accoglierlo, il comprenderlo, il calmarlo con il semplice stare in relazione con lui → la rêverie materna è un «contenitore», una «pelle psichica» dove il bambino può stare e fare esperienza di essere capito e, a partire da questa esperienza relazionale, iniziare a capire se stesso

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2. l’intolleranza della separazione e del dolore mentale è l’incapacità di accedere a una dimensione condivisa con gli altri, ad una dimensione relazionale, che permetterebbe di «legare» e dare un senso alle emozioni primordiali

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3. La privazione di un oggetto significativo indica la mancanza di un «appoggio» nella che permette di fare il passo verso la realtà esterna (realtà ostile, sensazione di non essere compresi ecc.)

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4. l’invidia, che distrugge ogni forma di «legame» (con gli altri, con la realtà). Al contrario l’esperienza emotiva autentica è una forma di legame. Quando si è invidiosi non si «accetta» nulla dall’altro: «non voglio nulla di ciò che di buono mi puoi offrire», dice l’invidioso. Piuttosto che essere «grati» per ciò che di buono il mondo e gli altri ci possono offrire, sviluppando nei loro confronti una forma positiva di dipendenza e di legame, si nega ogni «dipendenza dall’oggetto» caratterizzata dai seguenti sentimenti:

–dominio–trionfo–disprezzo

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• Quando c’è invidia gli sviluppi della persona non sono autentici e non coinvolgono i nostri veri sentimenti.

• Non c’è in questo caso un formarsi in senso proprio né un interagire con la realtà che modifica il nucleo del nostro essere.

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O• Negli scritti più tardi, Bion tende a presentare la

dimensione protomentale come qualcosa che, essendo non strutturata, contiene anche delle potenzialità rigenerative e profondamente trasformative.

• Usa il segno O per indicare tale realtà, che assume le caratteristiche della realtà ultima, della verità assoluta, della cosa in sé, di Dio, dell’infinito.– O non ricade nel dominio della conoscenza o

dell’apprendimento se non in modo casuale; esso può essere “divenuto”, ma non “conosciuto”.

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• Le informazioni che l’analizzando comunica su di sé sono dannose.

→ Ciò che importa è per l’analista porre la propria attenzione ad O. l’ignoto, l’inconoscibile. “ogni oggetto conosciuto o conoscibile dall’uomo incluso l’uomo stesso, deve essere un’evoluzione in O”.

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• L’analista può conoscere non la realtà ultima, O, ma i suoi sviluppi, in quanto tale ‘O’ non può mai essere in rapporto completo con un contenitore.

• Per questo motivo, ogni trasformazione contiene un certo grado di deformazione di ‘O’.

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La bugia ha bisogno di un pensatore che la pensi. La verità non ha bisogno di un pensatore […] se il pensatore ritiene di essere indispensabile al pensiero che ha pensato, nascono invidia e possessività, che costituiscono le controparti tossiche del parassitismo. Ciò conduce ad una cultura distruttiva perché si basa sulla bugia. Il clima per il quale un pensatore si ritiene indispensabile per il pensiero che esprime genera conflittualità. Il lavoro di altri manca allora di attrazione.

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• Bion sostiene pertanto che al soggetto spetta la «fatica» di significare la realtà interna e per far ciò deve metterla in rapporto con la realtà esterna: egli deve «incarnarsi», diventare «reale» e per far ciò deve vivere nella «realtà» oggettiva «tradendo» qualcosa della sua realtà interna con fatto stesso di tradurla in qualcosa di condivisibile da tutti.– Ad esempio, non è facile «confidarsi»

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• Ma il soggetto sa che questo sforzo è a suo carico e gli eventuali fallimenti pure. Se riesce ad accettare questo rischio, riesce anche a godere dei vantaggi che da tale sforzo gli derivano, cioè potersi sentire reale.

• Egli rimane consapevole, però, che è per il suo bisogno di essere reale e di vivere i propri sentimenti che egli compie questa traduzione di O.

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• Bion, come altri autori (Jung, Fromm, Winnicott) – pensa che sia necessario un costante ritorno alla Realtà Originaria («O») perché la nostra identità va sempre decostruita e ricostruita.→ Bion parla di «evoluzione in O» per alludere alla ricerca della verità in un modo molto simile a cui Jung pensava al contatto rigeneratore con l’inconscio collettivo

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Nel corpo della madre l’uomo conosce l’universo, alla nascita lo dimentica. (proverbio ebraico, cit. in Buber 1937)

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Ps ↔ Pd*• Esiste una costante oscillazione fra Ps e Pd.

– Con Ps e Pd si intende, nel gergo della M. Klein, rispettivamente la posizione schizo-paranoide e la posizione depressiva. Nella posizione schizo-paranoide, che la Klein pensava caratterizzasse i bambini molto piccoli (fino a 6 mesi) i sentimenti contraddittori – come amore/odio, vicinanza/ripulsa, mi piace/non mi piace – non sono integrati, ma rimangono scissi; nella posizione depressiva avviene invece questa integrazione e il bambino vive degli stati psichici via via più integrati che permettono l’evoluzione della personalità

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• Se per la Klein il passaggio era Ps → Pd, per Bion occorre ricordare che durante tutta la vita avviene anche il passaggio inverso: Ps ← Pd

• Un po’ come l’artista, pur dovendo «funzionare» a livello strutturato e integrato, deve consentirsi delle incursioni nella «follia»

→ la «strutturazione psichica» (Pd) deve cedere il passo a momenti di destrutturazione psichica (Ps)

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• Il passaggio Ps ← Pd è potenzialmente terrificante (Bion lo chiama «catastrofico») perché espone il soggetto alla distruzione del proprio apparato per pensare; contemporaneamente, però, lo mette a contatto con la verità (O), da cui il nuovo può prodursi.

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• L’analista deve attendere che la seduta “evolva”. Non deve attendere che l’analizzando, parli o taccia, deve attendere un’evoluzione tramite la quale O si rende manifesto nella conoscenza del soggetto tramite l’emergenza di eventi effettivi.

• Alla stessa maniera il lettore non deve tener conto di ciò che dico finché l’O della sua esperienza di lettura si sia sviluppato fino a un punto in cui gli eventi della lettura sfocino in una interpretazione di esperienze. Una considerazione eccessiva per ciò che è scritto ostacola questo processo che Bion rappresenta con l’espressione: “Egli diventa l’O che è comune a lui ed a me”. Le ragioni di ciò sono le seguenti: nessun esito genuino può essere fondato sulla falsità [nel senso del non comprendere autenticamente].

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• L’analista deve imporsi un’astensione da “desiderio” e “ricordo”, in modo da potersi approssimare ad O.

• Analogamente, l’uomo che pensa di essere indispensabile alla verità che ha pensato diventa possessivo e invidioso.

• Il metodo psicoanalitico diventa un potente stimolo all’invidia quando è angustamente concepito come un accumulo di conoscenze (possessività) registrato sul principio di realtà e divorziato dai processi di maturazione e crescita.

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• L’uomo che balbetta: sta cercando di contenere le emozioni all’interno di parole, senza riuscirci

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“Al fine di pervenire alla condizione mentale essenziale per praticare la psicoanalisi, io evito qualsiasi esercizio della memoria e non prendo nessun appunto. Allorché mi viene la tentazione di ricordarmi degli eventi di una data seduta, vi resisto. Se mi scopro a vagare con la mente nel campo della memoria, ne desisto. In ciò il mio modo di condurre una analisi si discosta dall’opinione secondo la quale bisogna prendere appunti o secondo la quale gli psicoanalisti debbono trovare qualche modo di registrazione meccanica delle sedute o debbono addestrarsi a possedere una buona memoria. Quando scopro che non ho alcun modo di penetrare in ciò che il paziente sta facendo e avverto la tentazione che il segreto giaccia nascosto in qualcosa che ho dimenticato, mi oppongo all’impulso a ricordare ciò che è accaduto. Se scopro che un qualche mezzo ricordo sta facendosi strada, vi resisto, indipendentemente da quanto esso sia insistente o desiderabile. Rispetto ai desideri seguo una procedura simile: evito di intrattenerne e li scaccio dalla mente (Non basta tentare di fare ciò nel corso della seduta perché è troppo tardi: non bisogna permettere che la tendenza a desiderare cresca). Per esempio secondo me costituisce un grave difetto il fatto di permettersi di desiderare la fine della seduta, o di una settimana, o delle vacanze.

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Il fatto di permettere a desideri relativi alla guarigione di un paziente, o al suo benessere, o al suo futuro, di intrudersi nella mente, interferisce con il lavoro analitico. Tali desideri corrodono il potere dell’analista di analizzare e conducono ad un progressivo deteriorarsi dell’intuizione. L’introspezione mostrerà quanto i ricordi e i desideri sono diffusi e frequenti. Essi sono continuamente presenti nella mente e seguire il consiglio che sto dando comporta una difficile disciplina. Esistono però eccezioni semplici e ovvie. Certi dati (ad esempio l’ora delle sedute) possono essere facilmente registrati e non c’è bisogno di appesantire la mente con essi. Sarebbe assurdo se l’analista si dimenticasse di conservarli mentre essi sono facilmente registrabili su un taccuino. La stessa cosa può valere per l’età, per i membri della famiglia, per le passate malattie […] Questi fatti possono essere registrati, come può esserlo l’indirizzo e il numero di telefono, perché essi possono poi venire dimenticati e perché si prestano ad essere registrati […] Di conseguenza, si registrino gli eventi dotati di uno sfondo sensibile […] ma non fenomeni di importanza centrale per l’analista, dal momento che il loro sfondo non è sensibile. Rendendosi ‘artificialmente ciechi’ per mezzo dell’esclusione della memoria e del desiderio, […] il raggio di oscurità che ne deriva può essere diretto sugli aspetti oscuri della situazione analitica”