Don Chisciotte 34, luglio 2010

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. Spedizione in abbonamento postale per l’interno . Stampa periodica - autorizzazione n. 1042 del 11. 09. 09 Direzione Generale PP . TT della Rep. di San Marino LA CITTA’ DELLE AUTOMOBILI Chi guida chi?

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Il mensile culturale dell'Associazione Don Chisciotte di San Marino. Dal 2004 l'associazione è attiva "contro i nuovi mostri". In questo numero - Roberto Ciavatta: "Un paese senza prospettive"; Marco Canarezza: "Cosa significa salvare la Grecia?" + "Intervista a Paolo Barnard"; Riccardo Castelli: "La città delle automobili"; Pietro Masiello: "The reality show must go on"; OASIVERDE: "Bestiario belllico"; Davide Tagliasacchi: "Devianza e divergenza negli adolescenti"; Stefano Palagiano: "Un melone è un melone"; ACDC: "IV festa del solstizio".

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Spedizione in abbonamento postale per l’interno.Stampa periodica - autorizzazione n. 1042 del 11. 09. 09

Direzione Generale PP. TT della Rep. di San Marino

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Direzione Generale PP. TT della Rep. di San Marino

LA CITTA’ DELLEAUTOMOBILI

Chi guida chi?

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RubricheDEVIANZA E DIVERGENZA NEGLI ADOLESCENTIGli aspetti difficili di un periodo complicato, e fon-damentaleAPPUNTI DI PSICOLOGIA di Davide Tagliasacchi

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I numeri precedenti del mensile sono consultabili in Biblioteca di Stato.Stampato su carta riciclata presso Carlo Filippini Editore

RedazioneDIRETTORE RESPONSABILE: Roberto CiavattaCAPOREDATTORE: Angelica BezziccariART DIRECTOR: Luca Zonzini ([email protected])GRAPHIC DESIGN: Luca Zonzini ([email protected])TEL: 0549. 878270MAIL: [email protected]: associazionedonchisciotte.orgCOLLABORATORI : Angelica Bezziccari, Marco Canarezza, Riccardo Castelli, Pietro Masiello, Oasiverde, Stefano Pala-giano, Davide Tagliasacchi.

Copia depositata presso il tribunale della Repubblica di San Marino

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UN MELONE È UN MELONE!Punto critico sullo stato di salute del movimento GASGRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALEdi Stefano Palagiano

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Da tempo credo, ora ne ho conferma, che

San marino non ha mai avuto una classe po-

litica, se per “politico” intendiamo chi spende

il suo tempo nell’interesse della collettività,

ma solo parassiti che giocano alle elezioni,

assicurandosi voti di scambio accordandosi

con i potentati economici del paese, con

l’unico obiettivo di accedere a cariche che

prevedono privilegi di casta medievali.

La loro specializzazione, stanti le cose, non

può che essere quella di favorire chi con

i voti portati gli ha permesso di diventare

“superiore”, e di qui viene l’incapacità a fare

gli interessi del paese.

Non abbiamo mai avuto una politica, insom-

ma, ma solo dei cortigiani, al massimo dei

giullari pronti a pagare per vendersi!

Credo da sempre che se San Marino non ha

perso la sua indipendenza è perché un ma-

nipolo di persone, ostinatamente, non hanno

mai accettato di diventare sudditi (come

invece la maggior parte ha fatto) e hanno

resistito ad ogni attacco di questa classe

parassita a suon di leggi popolari, istanze

d’arengo, opinione pubblica, referendum,

movimenti civici ecc.

Ora ne ho conferma, dopo che per mesi la

maggioranza ci ha detto che non saremmo

entrati in black list, spendendo cifre enormi

per viaggi diplomatici (o viaggi della speran-

za…), mentre puntualmente ci siamo entrati, e

ora l’economia ne soffre, le aziende chiudono,

i lavoratori vengono licenziati.

Nel frattempo le ipotesi di risollevamento

rimangono casinò, allargamento dell’aero-

porto, grandi opere edili… insomma opere

che richiedono lunghi lavori preparatori,

arricchiscono i soliti pochi (sempre quelli che

portano i voti), e danneggiano ancor più

l’immagine del paese non rispondendo ai bi-

sogni immediati, mentre si svendono servizi che

potremmo sostenere da noi come la lettura

dei contatori, l’asfaltatura delle strade ecc, e i

consiglieri mantengono per sé privilegi vergo-

gnosi, come l’esenzione dal pagamento dei

parcheggi durante il consiglio, la possibilità

di assentarsi dal consiglio durante le sessioni

senza perdere il gettone di presenza ecc.

Si favorisce ancora l’edilizia, come non avessi-

mo 8000 appartamenti sfitti e i vari Grandoni,

Bacciocchi, De Biagi (quest’ultimo da decenni

in conflitto d’interessi dentro la commissione

urbanistica) non avessero goduto di benefici

di rendita insopportabili.

In questa ottica, nel mese scorso il consiglio

grande e generale ha deciso che per (s)

vendere terreni pubblici non serve più la mag-

gioranza qualificata di 40 consiglieri, a tutela

della preservazione del (poco) territorio rima-

sto, ma è sufficiente la maggioranza semplice:

ci aspetta la più grande speculazione edilizia

della nostra storia!

Per questo l’Associazione Micologica è par-

tita con la raccolta firme per un referendum

che cancelli questa legge indecente, ultimo

affronto di una classe politica in affanno.

L’associazione Don Chisciotte ha deciso di

sostenere l’iniziativa dell’AMS, per questo

motivo invitiamo tutti i nostri lettori a recarsi

alla Cancelleria Civile del Tribunale o presso

lo Stato Civile, muniti di documento, a firmare

affinché questo referendum raggiunga il quo-

rum e si possa finalmente fare giustizia in un

paese in cui se non ci fosse stata un poco di

società civile sempre all’erta in questi anni, la

crisi e la black list sarebbero da tempo calate

sul nostro capo!

È solo uno step, per togliersi di mezzo una

classe dirigenziale insopportabilmente

incapace.

UN PAESE SENZA PROSPETTIVE

SOMMARIO NUMERO 33

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COSA SIGNIFICA SALVARE LA GRECIA?Ciò che si nasconde dietro il salvataggio economico di un paese indebitatodi Marco Canarezza

LA CITTÁ DELLE AUTOMOBILIChi guida chi?di Riccardo Castelli

BESTIARIO BELLICOStorie di animali in mimeticaPAGINA AUTOGESTITA da Oasiverde

Articoli

L’autogestita

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RitagliIV FESTA DEL SOLSTIZIO 16

INTERVISTA A PAOLO BARNARDEcco le sue opinioni molto scomode su finanza e banchea cura di Marco Canarezza

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THE SHOW MUST GO ONCome la tv - finzione censura la realtàdi Pietro Masiello

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Appello a firmare per il referendum!

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COSA SIGNIFICA SALVARE LA GRECIA?Ciò che si nasconde dietro il salvataggio economico di un paese indebitatodi Marco CanarezzaE’ difficile parlare di economia senza essere noiosi. Dicendo che vi stanno derubando e ren-dendo stupidi schiavi, presterete più attenzione all’argomento?La Grecia è in bancarotta e, dicono i media, se l’Europa non verserà del denaro, ne paghe-remo le spese a livello comu-nitario. Cerchiamo di capire partendo dall’inizio della favola.Se uno Stato è vicino alla bancarotta significa che ha debiti. Spesso i debiti sono contratti dagli Stati nei confronti di banche che hanno prestato loro del denaro. Una volta per risollevare un Paese in difficoltà si svalutava la moneta. Tutti i cittadini diventavano più poveri del 20-30%. L’esportazione au-mentava a causa dei prezzi dei prodotti più competitivi. Stretta la cinghia, si ripartiva. La ricetta moderna che sostituisce la sva-lutazione è quella di “aiutare” un paese in difficoltà per salvare un sistema (quello di Eurolandia) nel suo insieme: un programma etico, a prima vista. Josè Zapa-tero ha rivelato che il presidente Nicolas Sarkozy, durante un ver-tice a Bruxelles, aveva minac-ciato di portar fuori la Francia dalla zona euro se la Germania avesse detto no agli aiuti alla Grecia. Inoltre l’Unione Europea da un lato deve aiutare i paesi in difficoltà, dall’altro deve con-tinuare a tenere un basso profilo per contrastare la speculazione proveniente da Wall Street e dal mondo finanziario britanni-co. Dovendo l’euro mantenere un ruolo di moneta di scambio nelle transazioni internazionali, difficilmente si sarebbe ricorso alla svalutazione per fare un favore alla Grecia… e dunque

ecco una manovra europea da 120 miliardi di euro. In tutto il mondo sono le Banche (di Diritto Privato) a stampare e prestare soldi agli Stati (di Diritto Pubblico). Gli Stati prendono soldi a prestito dalle banche, ed a garanzia della restituzione delle somme ricevute, emettono titoli di Stato. Ciò avviene in aperto contrasto con gli atti Costitutivi degli Stati, e malgra-do le interrogazioni parlamen-tari al riguardo (come quella dell’Onorevole Italo Sandi Deputato alla Camera nella Legislatura XIV, presentato il 2 aprile 2003 nella seduta n.291, rimasta senza risposta). Quando le cose vanno bene i titoli di Stato vanno sul mercato; qualcuno li acquista, paga gli interessi fino a rimborsare il valo-re dei titoli alla scadenza. Se le finanze pubbliche peggiorano, gli interessi da riconoscere sui titoli emessi aumentano e i com-pratori diminuiscono a causa del possibile rischio default… come accaduto in Grecia.La manovra europea per salvare la Grecia si è tradotta nell’acquistare i titoli greci inven-duti. Ciò significa che il debito di uno Stato è stato comprato e spalmato su altri paesi. Il punto su cui portare attenzio-ne non sta nel valore etico o meno del salvataggio greco, ma nella truffa che sottostà al salvataggio così come è stato realizzato. In genere la ricetta consigliata agli Stati per evitare la bancarotta è il controllo della spesa pubblica, in particolare quella di caratte-re sociale. Le indicazioni a tal riguardo sono impartite dalle banche centrali (Banca d’Italia,

BCE, FMI-Fondo Monetario Internazionale), ovvero gli stessi enti che causano buona parte dei debiti pubblici. Il presidente argentino Cristina Fernandez Kirchner ha giudi-cato “equivoche e sbagliate” le misure di austerità che stanno applicando certi Paesi europei, perché non porteranno niente di buono. Quello che sta succedendo in Europa è il contrario della strada imbocca-ta dall’Argentina che ha scelto invece di difendere e garantire i diritti di tutti lavoratori anziché impoverirli. Va ricordato che in Grecia l’imposizione di misure di austerità ha comportato la riduzione dei salari del 30%, l’au-mento dell’età pensionabile da 60 a 65 anni e l’aumento delle tasse. Tale direzione è la stessa che si registra in altri paesi della Comunità; anche San Marino, che non fa parte dell’Europa, e che pertanto non riceverà un aiuto in nessun modo, sta percorrendo questa strada.Consideriamo l’attuale situazio-ne sammarinese. Siamo asser-ragliati da uno Stato – quello italiano sovrinteso da Banca d’Italia – il quale afferma di lottare contro l’evasione fiscale. Se da un lato è vero che San Marino ha volgarmente prestato la sua indipendenza territoriale e giuridica per consentire il riciclaggio di denaro sporco, dall’altro capo ci sono anche piccole imprese e cittadini italiani che cercano semplice-mente di proteggere i propri soldi da un regime di tassazione oppressivo. San Marino è dun-que meno etico della Banca d’Italia che cerca di combatte-re l’evasione fiscale e il riciclag-

gio? Il presidente del Comitato di Liberazione Monetaria, ing. Argo Fedrigo, ha sottolineato la dichiarazione di una banca delle Cayman Islands, che indicava di tenere presso di sé due conti segreti della Banca d’Italia. Perché mai Banca d’Italia promuove misure contro l’evasione fiscale a San Marino, quando essi stessi nascondo-no i loro capitali nei paradisi fiscali? Quando i governanti ci raccontano che certe norme sulla trasparenza bancaria sono necessarie per combattere il riciclaggio del denaro sporco della mafia, dicono una mezza verità. Lo scopo di quelle norme è quello di spiare il patrimonio del cittadino per depredarlo, ovvero tassarlo, in favore dei proprietari di Banca d’Italia. Riassumendo: l’Europa ha stan-ziato fondi per farsi carico del debito pubblico della Grecia, quando il debito di quest’ultima è stato in buona parte causato dall’accumulo insanabile di de-bito verso le banche centrali. Le banche centrali dal canto loro dettano regole atte a ridurre la tenuta dei servizi pubblici, promuovono la trasparenza in nome dell’antiriciclaggio e, allo stesso tempo, nascondono e riciclano i propri capitali in paradisi fiscali. Sommando a tutto ciò la facoltà di stampare moneta e creare valore dal nul-la, sorgono dubbi sul significato giuridico dell’operato degli istituti bancari. Tutto ciò tira in ballo la Sovranità Monetaria… ma questo tema necessita di una seconda puntata.

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Appello a firmare per il referendum!

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di Riccardo CastelliNella città delle automobili l’ uomo é solo un utile comple-mento di queste, almeno finché non saranno in grado di deter-minare da sole le proprie mete (perché in fondo é questo che gli uomini fanno: comandano loro dove andare).La città delle automobili é pen-sata apposta per loro, i pedoni vengono dopo: fate largo agli

automezzi!Se siete a piedi e dovete recar-vi lungo la strada sottomontana da Murata a Borgo Maggiore (o viceversa) siete spacciati, invece per un’ automobile è uno scherzo.Se siete arrivati al World Trade Center e siete una macchina trovate un ampio parcheggio ombreggiato apposta per voi,

ma se siete un uomo nel piazza-le non troverete nemmeno una panchina per sedervi, e sapete perché? Perché quell’ area non è pensata per la gente che vorrebbe sostarvi: è un luogo di transito come quasi tutta San Marino. Se ti siedi su una pan-china non spendi e non produci: sei un inutile complemento per le macchine.

Dovete comprare il latte? Pren-dete l’ auto.Volete vedere il vostro parro-co? Prendete l’ auto.Un caffè al bar? Auto.Prendete l’ auto e troverete intere piazze storiche disponibili come parcheggi.Senza auto come attraverse-remmo gli innumerevoli non-luoghi del nostro territorio?

Chi guida chi?

LA CITTA’ DELLE AUTOMOBILI

TERRITORIO NUMERO 33

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Cemento ed asfalto divorano non solo Dogana ma l’intero territorio sammarinese

I Castelli di San Marino un tempo erano centri storici vitali ed autosufficienti, ognuno con la propria chiesa, i negozi, vari punti di interesse per chi volesse passeggiare e fare vita sociale; oggi sono solo nomi che scandiscono il percorso della Superstrada (Dogana, Serraval-le, Domagnano...): stiamo per-dendo il contatto con la nostra storia, ma si sa, le macchine non hanno bisogno di storia.Le chiese vengono nascoste dagli edifici delle banche, e questo è un chiaro messaggio per la gente: “finitela di guardar-vi dentro, adesso producete.”Quando poi il menefreghismo verso cultura e tradizioni non é sufficiente ad incrinare il nostro rapporto con l’ ambiente, riu-

sciamo nell’ intento depredan-do quest’ ultimo delle proprie risorse. Ma niente paura, la tecnologia ci assiste.A questo serviranno le auto ecologiche: a proseguire il nostro processo involutivo senza quel fastidioso senso di colpa per le emissioni di CO2.L’ effetto che le auto hanno sulle persone é alienante quando non é spaventoso, ma noi uomini siamo un piccolo prezzo da pagare sulla via lastricata d’ oro che porta al progresso.Una persona al volante spesso ha una condotta che, andasse a piedi, non si sognerebbe mai, eppure una volta smontato dall’ auto non corre più il rischio di fare poltiglia con gli arti di chi attraversa la strada e difficilmen-

te ignora le regole della civile condivisione di uno spazio.Quando si diventa un com-plemento di una macchina si cambia.Ci avete mai fatto caso che quando lasciate passare un pedone sulle strisce anziché fingere di ignorarlo come si farebbe di solito, questo vi rin-grazia oppure aumenta il passo per non sottrarvi troppo tempo nell’ attesa?Eppure è lui ad avere la prece-denza e voi l’ obbligo di farlo passare.Le macchine hanno alterato i rapporti tra le persone: un uomo con una macchina vale più di un uomo senza, e la preceden-za a quest’ ultimo la si dà solo se si vuole impressionare gli

amici con la propria magnanimi-tà verso una razza inferiore.Sarà che la macchina con l’ uomo dentro ha molte meno preoccupazioni di un pedone: una carrozzeria si ripara molto più facilmente di un impasto di muscoli ed ossa.Invece di chiedere allo Stato di disincentivare l’ uso degli automezzi e di restituirci i centri storici (che riscopriamo solo in occasione delle sagre), ce ne stiamo seduti, mano sul volante, a fissare l’ asfalto che corre sotto di noi mentre scandiamo mentalmente le tappe che ci separano dalla meta: “Dogana, Serravalle, Domagnano...”

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Paolo Barnard è un giornalista freelance e saggista italiano. Laureato in psicologia, ha lavorato in RAI per 14 anni partendo da Samarcanda; è stato uno dei fondatori della trasmissione Report (Rai Tre), con la quale ha collaborato per dieci anni, per approdare infine a Rai Educational. Barnard ha trattato temi poco conosciuti al pubblico televi-sivo, esercitando con partico-lare fervore il diritto di cronaca giornalistico. I suoi reportage parlano di lobby della glo-balizzazione, del terrorismo internazionale e della situazione in Medio Oriente, della New Economy e del Fondo Moneta-rio Internazionale. Il suo ultimo libro si intitola Perché ci odiano (Milano, BUR 2006).

D: Paolo Barnard è un giornali-sta costretto in un angolo dagli organi d’informazione principali. Perché?R: Perché dico quello in cui credo a 360 gradi senza mai risparmiare nessuno. Questo è estremamente pericoloso in una società che non tollera la

libertà di pensiero.D: Anche a San Marino non sei stato trattato molto bene. Hai rilasciato un’ intervista alla TV di Stato che poi non è stata messa in onda. Di cosa parlavi in questa intervista? Cosa c’era di così scomodo?R: C’era la denuncia della parte politica italiana che ha portato il nostro Paese nella catastrofe dell’euro consapevolmente. E’ il centrosinistra, con Prodi in testa. Dicevo anche che il centrode-stra, per quanto scandaloso per molti aspetti, è da considerarsi meno responsabile in questo. Spiegavo cosa sta succeden-do, e quali inganni vengono perpetrati sulla pelle dei cittadi-ni, che ne pagheranno conse-guenze enormi per generazioni. Denunciavo i finanzieri privati che stanno lucrando sulle nostre disgrazie.D: Avendo l’opportunità di dire la tua opinione senza censu-ra, c’è qualcosa che vorresti aggiungere a quello che hai già dichiarato in quell’intervista mai messa in onda?R: No, posso solo ribadire che la perdita della sovranità moneta-ria da parte dei Paesi europei

a favore di una moneta assurda (l’euro) che non ha padrone pubblico e che ha solo padroni privati, è la via che sta con-ducendo alla rovina tutti, non solo la Grecia. Il pubblico deve capire che mentre una volta (con lira, franco, marco ecc.) gli Stati europei originavano la propria moneta senza indebi-tarsi con nessuno se non con se stessi, oggi gli Stati della UE devono prendere in prestito dai mercati privati gli euro prima di poterli spendere per i cittadini. Quindi oggi gli Stati UE sono nei guai grossi col debito e deficit, esattamente come lo sarebbe un cittadino che ha preso in prestito una montagna di soldi da un privato. Ecco perché da ora in poi dovremo tutti subire tagli di spesa pubblica orrendi.D: Come vedi un piccolo paese come San Marino alla luce delle recenti imposizioni unilaterali (in termini di traspa-renza bancaria) da parte del governo italiano? Andorra, per esempio, soffre le stesse enormi pressioni dalla Francia.R: No comment.D: Dal punto di vista europeo la Grecia, l’Italia, la Spagna e il

Portogallo sono chiamati PIIGS, cioè paesi economicamente poco affidabili . Sono forse tutti a rischio di default?R: Certo, per le ragioni spiegate sopra; ma lo sono anche i paesi come Germania e Francia, per-ché anche loro per spendere devono andare a prendere euro dai privati. Ripeto il pro-blema con una metafora chiara, anche perché spiegarlo con i dettagli tecnici richiederebbe un libro: una volta gli Stati prima dell’ Unione Monetaria erano come un nucleo familiare che si indebitava con se stesso, cioè il marito prestava alla moglie e viceversa. Dov’è il problema? Oggi con l’euro, gli Stati sono come marito e moglie che si sono indebitati con l’usuraio del piano di sopra, che è tutt’altra storia, ben più grave.D: I tagli al welfare sono le misure suggerite dalle banche centrali e dal Fondo Monetario Internazionale. Alcuni politici - come il presidente argentino Cristina Fernandez Kirchner - dicono di non cadere in que-sta facile tentazione, sugge-rendo di sostenere i lavoratori e i servizi (ospedali e scuola in

INTERVISTA A PAOLO BARNARDEcco le sue opinioni molto scomode su finanza e bancheA cura di Marco Canarezza

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Ecco le sue opinioni molto scomode su finanza e banche

Paolo Barnard

primis). La tua opinione?R: Essendo indebitati con i mercati privati di capitali, in effetti i soldi oggi li dobbiamo restituire, se no i mercati ci ab-bandonano e crollano le nostre economie. Dunque i nostri Stati possono solo usare la tassa-zione e il risparmio per trovare il denaro. Ci sarebbero misure alternative, ma non saranno mai prese in considerazione dai politici, perché significherebbe andare contro i finanzieri privati e le loro lobby, cioè quelli che stanno lucrando miliardi di euro su questa storia.D: Alcuni hanno l’impressione che dietro alla crisi economica vi siano dei piloti, qualcuno che dirige l’orchestra. Cosa ne pensi?R: L’ho appena detto. Sono tutti i soggetti finanziari privati che possono prestarci l’euro a tassi da strozzini, le grandi banche d’investimento, i venture capital, le banche private maggiori, i finanzieri come Soros, e gli hedge fund che scommettono sulle nostre disgrazie. Poi ci sono i grandi gruppi di servizi privati che dai tagli alla spesa pub-blica trarranno occasioni d’oro

di comprare fette dei servizi privatizzati a prezzi stracciati.D: Torniamo in Italia e all’infor-mazione. Il parlamento italiano sta elaborando un progetto di legge per limitare la libertà d’informazione. Agiranno sulla Rete, sui blog. Quale futuro per chi vorrà fare informazione alternativa?R: Va visto nei dettagli il dise-gno di legge, come passerà, se passerà. La Rete oggi porta in sé un pericolo immane, che è quello della moltiplicazione for-sennata di fonti di informazione senza autorevolezza e control-lo, che finiscono per annebbia-re ancora di più i cittadini già bombardati dalla informazione ossessiva dei media normali. Un controllo deve essere introdotto nei campi della responsabilità per quello che si pubblica e dell’autorevolezza.D: Cambiamo argomento con un’ultima domanda. Hai sempre trattato i temi palestinesi con grande attenzione. Come consideri il recente blitz delle forze navali israeliane contro un’imbarcazione di attivisti filo-palestinesi?R: Ciò che è accaduto è

frutto della struttura ‘genetica’ dell’esercito d’Israele, che si forma negli anni ‘30 del XX secolo come forza dedita al terrorismo contro civili, e che ha mantenuto questo suo specifico per 60 anni. La Israeli Defence Force ammazza civili per scelta politica. Nel gennaio del 1948, i padri fondatori d’Israele Yigal Allon e Ben Gurion dichiaravano che “c’è bisogno di una reazione brutale. Dobbiamo essere pre-cisi su chi colpiamo, se accu-siamo una famiglia palestinese dobbiamo colpirli senza pietà, donne e bambini inclusi. Non dobbiamo distinguere fra col-pevoli e innocenti”. Nella guerra arabo-ebraica del 1948, Ben Gurion riservò le migliori unità mi-litari dell’Hagana per il compito specifico di pulire etnicamente i villaggi di civili palestinesi facen-do stragi, come rivelato dallo storico israeliano Ilan Pappe nel suo “La Pulizia Etnica della Palestina.” Nel 1978, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito d’Israele, Mordechai Gur, dichia-rò all’analista militare israeliano Ze’ev Schiff che “Per 30 anni abbiamo combattuto una

guerra contro civili che vivono in villaggi, abbiamo colpito civili consciamente perché se lo meritano, il nostro esercito non ha mai fatto distinzione fra target militari e civili, ma ha attaccato di proposito target civili”. Nel 2000, Dan Halutz, che sarà Capo di Stato Maggiore dell’esercito di Tel Aviv, dopo un attacco aereo da lui stesso condotto su Gaza e dove furo-no massacrati dei civili dichiarò “Cosa ho provato? Solo una piccola scossa al mio aereo per lo sgancio della bomba, ma dopo un secondo passa tutto”. Se a questo si aggiunge la totale impunità garantita a Tel Aviv dagli Stati Uniti, essendo Israele la più grande base mili-tare USA del mondo, abbiamo un binomio micidiale di esercito assassino di civili che non teme sanzioni. Ecco come accade una tragedia come quella della Flottilla.

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Negli anni Settanta Ennio Flaia-no profetizzava: “fra trent’ anni l’Italia non sarà come l’hanno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la tv”.Ma com’è la situazione ora in Italia? Nella nostra italica Telecrazia vige un duopolio di fatto: da una parte Rai e Mediaset, Sky dall’altra.All’interno di questo mercato televisivo un ruolo via via cre-scente viene rivestito dai reality show, ossia programmi televisivi che avrebbero la finalità di mostrarci piccole parti di verità;

vedremo come questo fenome-no sapientemente eterodiretto abbia superato e sostituito nell’iperspazio mediatico la realtà fattuale.Un esempio clamoroso e signi-ficativo di quanto enunciato sopra è quanto accade al programma di Enrico Mentana, ”Matrix” su Canale 5, che nel febbraio 2009 si sarebbe do-vuto occupare di una vicenda umana dai profondi risvolti etici: il caso della morte di Luana Englaro.I dirigenti del palinsesto deci-

dono che la programmazione non si può rivoluzionare, quindi non si tocca la già prevista puntata sul Grande Fratello. Di lì a poco Enrico Mentana rassegnerà le proprie dimissioni in polemica con la dirigenza di Canale 5.Eppure la cronaca parla di un parlamento mobilitato per giorni per approvare una legge che evitasse al signor Englaro di far morire dignito-samente “il corpo della figlia tenuto artificialmente in vita, ma si è scontrato con una

serie infinita di ostacoli, persino una Camera convocata per approvare in tutta fretta una legge che senza nessun reale contraddittorio in aula, evitasse il ‘distacco della spina’”. Una campagna informativa a tratti vergognosa e ai limiti dello sciacallaggio umano, alimentata sia dal governo Berlusconi che dalle alte sfere del Vaticano, un paese diviso in due, insomma un momento nazionale meritorio di un serio dibattito di approfondimento a più voci.

THE REALITY SHOW MUST GO ONCome la tv-finzione censura la realtàdi Masiello Dott. Pietro

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È palese che “Qualcuno” abbia deciso scientemente di “abrogare” la realtà lasciando lo status quo della programma-zione serale con una fiction di dubbio gusto e a basso costo, forse per completare l’opera di lavaggio cerebrale a quella che il compianto Edmondo Berselli aveva definito come “pubblica opinione senza opi-nione, ma con diritto di voto”.La verità virtuale ha preso il posto degli eventi concreti. Non sembra che vi siano state proteste eclatanti per quanto accaduto, e poco rilievo ha l’obiezione per cui Mediaset è un’ emittente privata che ha degli interessi commerciali come priorità.Tali fiction ottengono la qua-dratura del cerchio, mettendo d’accordo tutti, inserzionisti pubblicitari, produttori di format e reality show, emittenti nazio-nali e satellitari, editori televisivi e -last but not least- la politica.

E sia: the reality show must go on.Un esempio che visualizza l’esistente duopolio televisivo in Italia è dato dal reality “L’isola dei cassaintegrati”, fatto da cassaintegrati che si sono autoreclusi all’Asinara in Sardegna. Se sappiamo della loro particolare prote-sta lo dobbiamo a voci fuori dal coro come Gad Lerner e Luca Telese, che nei rispettivi programmi di informazione L’Infedele e Tetris su La7 (non a caso un’ emittente esterna al duopolio) hanno mostrato quali profonde tragedie umane stiano dietro a queste grandi crisi industriali, e come queste persone siano state abbando-nate da tutti, anche dalla cara sinistra italiana.Mentre in Italia accade tutto questo, in tv aumentano e si diversificano i reality show, questi giganteschi Barnum della mediocrità umana dove in ge-

nere non sono richiesti grandi talenti o nozioni di qualche tipo, ma come ben evidenziato: “occorre solo rinunciare alle-gramente alla propria libertà. La libertà fisica e mentale”. In questi giganteschi show tutto è già scritto, dalle liti ai giochi sessuali alla microsolidarietà tra compagni di viaggio.I reality show comunque si evol-vono: tra le ennesime tappe del decadimento televisivo si segnalano i vari reality dei vip (La Talpa, L’isola dei famosi…). In pratica la televisione è ridotta a ufficio di colloca-mento per residuati televisivi dei tempi andati, e la Chiesa pare non aver nulla da dire sui reality, anche se poi muove le sue truppe porporate in Rai per fare allontanare Aldo Busi per delle acute riflessioni su omo-fobia e sull’ attualità politica. Paradossalmente appena nel reality è entrata la protesta e un’ opinione fuori dal coro, è

scattata la censura (sic!).Certo chi segue la televisione ha il sacrosanto diritto di guar-dare quello che più gradisce, ma è un dato che il duopolio generalista tende a ridurre i te-lespettatori a cavie il cui unico obbligo è guardare, spendere, votare. Di fatto i nuovi regimi (televisivi) non vogliono mobi-litare nessuno. Il cliente ideale è un disgraziato che trascorre ore ed ore davanti al piccolo schermo in stato di coma vigile, e l’informazione che introduce elementi critici è ridotta al minimo, meglio se azzerata.Tutto questo mi ricorda una fra-se che Abatantuono pronuncia nel film Nirvana: “noi siamo par-te di un gioco, c’è gente che ci trova gusto a farci andare l’uno contro l’altro, si divertono con noi, allora spiazziamoli, provate a fare una cosa diversa dal solito”.

Un momento dell’Isola dei famosi

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Da quando Annibale scese con i suoi elefanti per creare meraviglia e spargere il panico tra le truppe romane o questi ultimi mandarono maiali coperti di pece e dati alle fiamme contro i cartaginesi, gli animali hanno sempre avuto un ruolo cruciale nelle strategie militari. Coinvolti nei conflitti umani, sono ancora oggi usati nelle guerre: rapaci per spiare le linee nemiche, beluga a caccia sottomarina, piccioni decorati al valore, falchi in missione, delfini addestrati alla guerra sott’ac-qua. La rilevazione delle mine antiuomo e anticarro è il caso più noto dell’impiego di animali, ad iniziare dai cani. Durante la seconda guerra mondiale, l’esercito americano usò cani kamikaze per far saltare in aria i panzer tedeschi. Appena svezzati venivano tolti alle madri e veniva dato loro il cibo solo sotto alla “pancia” dei carri armati. Una volta sul campo di battaglia, i cani venivano tenuti a digiuno, con un esplosivo e un’alta antenna di comando sul dorso. Una volta rilasciati, correvano istintivamente sotto ai carri nemici per cerca-re il cibo e quando l’antenna strisciava contro la pancia di metallo, faceva detonare l’esplosivo distruggendo carro

armato e cane. Anche scovare mine antiuomo e anticarro è prerogativa dei cosiddetti Mine Detection Dog, cani esperti ad annusare esplosivi, ma da anni la frontiera di questo settore si è spinta oltre, dotandosi di altre due specie: i topi e le api. I ricercatori belgi del progetto Apopo hanno scoperto l’infalli-bile fiuto dei criceti gambiani, la razza più grossa di topo esisten-te che arriva fino al kilo di peso, ed ha pensato di utilizzarli per le delicate attività di sminamento del territorio africano. Da allora insegnano loro ad associare l’odore delle banane e delle noccioline, i loro cibi preferiti, a quello dell’esplosivo. Gli animali perlustrano le aree sospette e raschiano il terreno per segna-lare la presenza di ordigni. Nel 2004 hanno superato i primi test sul campo: in Mozambico, lungo una ferrovia minata nel corso della guerra civile, ognuno dei tre piccoli componenti della squadra-pilota ha scovato venti mine. Grazie alla sensibi-lità dell’olfatto e al loro peso esiguo, riescono a calpestare il terreno minato senza innescare esplosioni, riducendo il rischio di saltare in aria, come può invece capitare ai cani. Una volta scoperto l’esplosivo, i topi si mettono in posizione eretta

sulle zampette posteriori oppure piantano il muso sul terreno, permettendo l’intervento delle squadre di disattivazione.A seguito della buona riuscita dell’esperimento le autorità mozambicane hanno ingaggia-to le bestiole dell’Apopo per effettuare delle operazioni di bonifica su larga scala.La possibilità di utilizzare le api per la rilevazione delle mine è stata, invece, scoperta nel 2004. Indotte ad associare l’odore dell’esplosivo al polline, sciamano nelle aree in cui per-cepiscono la presenza di TnT, avendo dalla loro parte, come per i topi, il fattore leggerezza, che impedirebbe di innescare il meccanismo di detonazione. Seguendo i loro spostamenti è quindi possibile tracciare una mappa delle zone contaminate.Questo per quanto riguarda le mine terrestri, perché per quelle gettate in mare la questione è diversa e la storia prende tutta un’altra piega. Una piega che parte da molto lontano perché quando si parla di operazioni in mare non si fa riferimento solo all’intercettazione di ordigni, ma a vere e proprie operazioni di guerra. La Marina militare Usa, ad esempio, già da tempo ha arruolato delfini ed otarie. I primi sono stati utilizzati già a partire

dalla prima guerra del Golfo, nel 1991, mentre le otarie sono state utilizzate per la prima volta durante le operazioni della guerra in Iraq. Ai delfini, però, non è andata bene come potrebbe andare bene ai topi gambiani o alle api: durante la prima guerra del Golfo, infatti, i militari montarono sul muso di questi cetacei ordigni esplosivi, mandandoli a schiantarsi contro il nemico. La pratica trovò la forte opposizione delle asso-ciazioni animaliste che insorsero contro la Us Navy, costringen-dola a fare un passo indietro.Non era la prima volta, in verità, che gli Stati Uniti ricorressero ai war-dolph, come vengono chiamati i delfini kamikaze, perché il loro utilizzo era già noto durante la guerra del Vietnam. In quegli anni, in cui dominava la contrapposizione USA-URSS, esistevano veri e propri programmi top secret per l’addestramento di animali per operazioni militari ad alto rischio.Anche l’Unione Sovietica, infatti, durante la Guerra Fredda ha dotato le Forze Speciali di una delle divisioni di cetacei (delfini e beluga bianchi) più famosa e disponeva di ben cinque centri di ricerca. Tra i diversi incarichi, i delfini erano addestrati per servizi di guardia. Due sezioni di

BESTIARIO BELLICOStorie di animali in mimetica

Addestramento di cani nella guerra del Vietnam

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ASSOCIAZIONE OASI VERDE ED ATTIVITA’ CONVENZIONATE

E’ supportato da

delfini, che operavano su turni di dodici ore, erano impiegati per controllare l’accesso alle basi più importanti. Se il delfino sco-priva un intruso era addestrato a premere col muso un pulsan-te di allarme. Questi animali sarebbero capaci di distinguere il rumore dei sottomarini, di indivi-duare missili dispersi sui fondali, di attaccare cariche esplosive sulla chiglia delle navi e ingag-giare combattimenti corpo a corpo con sommozzatori nemici grazie ad arpioni piazzati sulla schiena. Tra e tecniche di ad-destramento accertate, i delfini vengono “controllati” attraverso la privazione del cibo. Quando sono sazi, sono molto difficili da controllare perché non hanno un incentivo a ritornare. Quindi, quando vanno in missione, vengono equipaggiati con un pezzo di velcro avvolto intorno al muso che impedisce loro di aprire la bocca per catturare pesci. Ciò li spinge a fare ritorno alla base. Accanto ai delfini, a svolgere azioni subacquee sono state impiegate anche le otarie. In grado di raggiungere i 300 metri di profondità e di camminare sul fondale marino, per quanto non vengano sca-gliate come missili umani contro obiettivi nemici, allo stesso modo, le otarie subiscono un trattamento poco consono alle loro esigenze L’incarico è di scovare gli ordigni ed aggan-ciarli con un apposito uncino per favorirne il recupero, ma

nulla garantisce che questo tipo di attività sia senza rischi per l’animale. Inoltre, per impedirne la fuga o la deviazione verso qualcosa che ne attiri l’attenzio-ne, l’animale viene equipaggia-to con un particolare zainetto, contenente un interruttore a tempo ed una bombola di gas che si attiva dopo un determi-nato periodo di tempo facendo gonfiare un palloncino che lo riporterà in superficie. Un crudele sfruttamento in mimetica, un inu-tile sacrificio in nome dell’eco-nomia perché esistono già altri mezzi per l’individuazione delle mine e per rintracciare la presenza di sostanze chimiche e batteriologiche nell’aria, ma un animale da soffocare e fare esplodere costa infinitamente meno della tecnologia.Senza contare gli animali utilizzati a scopo di ricerca militare: intossicati da gas vene-fici, irradiati con raggi Gamma, condizionati con elettroshock, usati per provare ogni tipo di arma, che sia da fuoco, chimica, batteriologica, atomica: un massacro preliminare a quello compiuto sugli uomini a cui tali armi sono destinate. Alcuni forse ricordano la spaventosa registrazione dei presunti espe-rimenti militari di Al-Qaeda che fu mostrata dalla CNN agli USA e al resto del mondo durante la guerra in Afghanistan. Il filmato mostrava l’agonia di un cane chiuso in una stanza in cui veni-va liberato del gas tossico.

Il cane cominciava a leccarsi le labbra (l’aumento di saliva è uno dei primi segni di avvelena-mento), poi perdeva il controllo delle zampe posteriori e infine giaceva sulla schiena guaendo. Le immagini avevano un forte impatto emotivo, non solo per la loro brutalità ma soprattutto perché i cani sono animali da compagnia particolarmente amati. L’esibizione di questo filmato, autentico o contraffatto che fosse, fu evidentemente un’operazione di propaganda finalizzata a sobillare l’opinione pubblica statunitense contro la “barbarie” talebana. Ma un filmato del genere avrebbe potuto benissimo essere di pro-venienza americana. Esperimenti di questo tipo, infatti, non sono una novità e non sono limitati all’Afghanistan: al contrario, vengono praticati ancora oggi dagli eserciti di tutto il mondo, ed hanno una lunga storia che ha avuto inizio nella nostra Europa, durante il primo conflitto mondiale, quando per la prima volta furono utilizzati gas letali a scopo bellico. Quando si è anche solo sfiorati dal pensiero che non tutto ciò che accade sia inevitabile, che esistono delle ragioni diverse dalle verità di comodo propinate dall’alto, si arriva a capire che esiste un’alternativa alla sperimenta-zione animale così come esiste un’alternativa alla guerra. Le vite di milioni di esseri, umani ed animali, possono essere salvate:

esistono tecniche di laboratorio diverse, riconosciute valide, così come esiste sempre una soluzione diplomatica ad una possibile guerra. Di fatto, però, chi ha l’autorità per decidere non è interessato a condurre una strategia che massimizzi il bene (la conservazione della vita, qualsiasi forma essa abbia) o il vero (l’uso di un metodo scientificamente più attendibile o la risoluzione di un conflitto mediante il riconoscimento dei giusti diritti delle parti in causa). Occorre riconoscere che i fattori di scelta appartengono ad una sfera diversa dal vero e dal bene: la sfera del potere e del guadagno. In questo modo, cominciamo ad accorgerci che animali ed umani insieme sono indiscriminatamente vittime di un meccanismo di potere esteso, ramificato e complesso, che non può essere spiegato semplicisti-camente in termini di “malvagità” umana ma che deve essere ca-pito e combattuto. Capito nella sua globalità attraverso l’eser-cizio della critica, che svela l’in-consistenza delle verità imposte. Combattuto attraverso il rifiuto di queste verità e la costruzione di una scelta autonoma, sgan-ciata dalle strategie del profitto e dai saperi autoritari, orientata verso una riorganizzazione della sfera etica sulla base di valori di comprensione, accoglienza, cura.

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Nei suoi tentativi di rendersi indipendente dall’adulto (mate-rialmente e psicologicamente) un adolescente viene spesso a trovarsi in contrapposizione, talvolta polemica, con i “grandi”, per elaborare convinzioni, atteggiamenti, comportamenti propri che vanno a differenziarsi in misura più o meno notevole, da quelli degli adulti che gli stanno vicino, nella famiglia o nella scuola: tale fase di sviluppo del giovane, del tutto naturale nella formazione della

personalità, viene definita pro-cesso di divergenza. L’esistenza di codeste forme di comportamento costituisce essa stessa pure uno degli elementi della cosiddetta “questione giovanile”, per i vari problemi che pone, relativi agli spazi da riservare ai ragazzi e ai loro gruppi spontanei, alle modalità di un rapporto dialettico adulti-adolescenti, alla conoscenza e comprensione delle culture giovanili.Tuttavia, questa tendenza a

diversificarsi dagli adulti, ad entrare in polemica con loro, ad opporsi ad essi in quanto singoli individui o in quanto rappresen-tanti delle istituzioni, travalica talvolta i limiti della divergenza, e si configura come devianza. Vi sono però alcune caratteristi-che peculiari che ne contraddi-stinguono differenze.Innanzitutto va detto che nel caso della divergenza, si ha generalmente una prerogativa positiva, in quanto indica un processo di differenziazione,

di elaborazione di un’identità propria, di un modo autonomo e talvolta originale di vedere il mondo, (e come tale do-vrebbe dunque venire favorito nell’ambito di una scuola che voglia garantire un equilibrio fra processi di pensiero “conver-gente” e processi di pensiero “divergente”).Per quanto riguarda la devian-za, essa induce al contrario, in una connotazione pretta-mente negativa, indicando un processo che dovrebbe venire

DEVIANZA E DIVERGENZA NEGLI ADOLESCENTIGli aspetti difficili di un periodo complicato, e fondamentaledi Davide Tagliasacchi

APPUNTI DI PSICOLOGIA NUMERO 33

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contrastato, o qualora si sia oramai verificato, cercare di essere riequilibrato attraverso interventi di recupero (i quali sono invece impensabili nel caso della divergenza).Questa valutazione radicalmen-te diversa dei due processi, si fonda principalmente sul tipo di rapporto che nutre il giovane nei confronti della società, con i suoi valori e la sua cultura, ed il grado di profondità con i quali si rapporta ad essa. Nel caso della divergenza, l’individuo singolo, tende ad adattarsi alle richieste fondamentali della so-cietà in cui cresce: ne accetta sostanzialmente il linguaggio, l’insieme di conoscenze e spiegazioni che formano il pa-trimonio accumulato nei secoli dalla cultura di appartenenza. Soprattutto accetta un insieme di valori e norme che riguar-dano i singoli individui e il loro gruppo, riconosciuti in quanto persone.

Sulla base di questa sostan-ziale accettazione di norme e valori fondamentali, il ragazzo, o il gruppo di medesimi, può in qualche misura divergere, differenziarsi: per esempio può usare il linguaggio in modo molto personale, ma pur sempre in forme comprensibili per gli altri; può essere solidale e altruista, ma in forme assai personali; e può programmare il proprio futuro con ampio respiro ma conciliando in modo originale obbiettivi lontani con esigenze e interessi del momento. Con la devianza, le cose vanno invece in modo diverso. “Deviare”, non significa solamen-te “allontanarsi da una norma”, perché in tal caso si dovrebbe considerare devianti tutti coloro che pensano od operano in modo diverso dalla maggior parte della gente. Occorre che a questa prima condizione se ne aggiungano altre perché un fenomeno classificabile come

semplice divergenza, assuma i caratteri della devianza.Una di tali condizioni preclude il fatto che tale comportamento diversificato si sia sviluppato con l’intento esplicito di arre-care disturbo agli altri, o per creare loro dei problemi. Una seconda condizione è che vi sia sempre da parte degli altri una contro-azione volta sia a prevenire la divergenza-devian-za, sia ad annullarla qualora si sia già verificata, con tentativi vari di recupero che stimolano un correlativo processo di “con-vergenza” verso norme e forme di comportamento largamente condivise,e ritenute socialmente accettabili (come accade nel caso dei comportamenti delin-quenziali).Tuttavia, anche queste condi-zioni, non sono comunque suffi-cienti, per parlare esplicitamen-te di devianza. Basti pensare ad esempio a Galileo e al suo divergere da una visione del

mondo condivisa, o ai gruppi antifascisti al tempo del regime nella seconda guerra mondiale.la condizione più importante, a mio avviso, è rappresentata dai valori ai quali, chi diverge dalla maggioranza fa implicitamente o esplicitamente riferimento, va-lori che se presi entro un signifi-cato universale (come la libertà) possono produrre convergenze a livelli superiori. E nel caso in cui, questi vengono considerati entro un ambito centrato princi-palmente su valori personali ed egoistici (vuoi anche derivati da problemi interni al gruppo o all’individuo), in questo caso la situazioni portano inevitabilmen-te a norme di comportamento atte a produrre situazioni a rischio, per l’individuo e la collet-tività stessa. In questo caso si può parlare di vera e propria devianza.

DEVIANZA E DIVERGENZA NEGLI ADOLESCENTI

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Il 5 e 6 giugno scorsi ad Osna-go (LC) si è tenuto il decimo convegno nazionale dei gas (gruppi di acquisto solidali). Significativo, sotto molti punti di vista, il fatto che il convegno di quest’anno sia stato voluto come evento unitario fra gas e DES (Distretti di economia solidale): questi ultimi posso-no essere visti, infatti, come evoluzione in qualche modo naturale dei gas. In realtà, questo passaggio non è privo di conseguenze e di criticità. Sulla sua stessa spontaneità si potrebbe discutere.Come avevo anticipato, quella del convegno nazionale dei gas è certamente un’occasione utilissima per conoscere situa-zioni e persone, per dibattere e condividere, per interrogarsi su un passaggio come questo, certamente cruciale per il movi-mento dei gas nel suo comples-so. Il punto di vista che intendo proporre qui non è tanto orien-

tato ad una mera rendiconta-zione di quanto è avvenuto tra sabato 5 e domenica 6 giugno (http://www.convegnoga-sdes2010.org/), una due giorni di relazioni interessantissime che varrebbe comunque la pena di ascoltare e di meditare. Come di consueto, è lo spazio dell’in-terazione, della critica, della dialettica quello che mi pare più interessante, anche perchè evita ai gas di diventare troppo un fenomeno da convegno e li riporta ad un’essenza di relazio-ni, di socialità, di vita.E’ il terzo convegno gas a cui partecipo. Questo è stato molto particolare perchè forse giunge in un momento cruciale per il mondo dell’economia solidale nel suo complesso. I temi sui quali insisterò rispecchiano questa situazione e sono frutto sia di quanto emerso in modo ufficiale sia di quanto viene fuori dai confronti personali che ho avuto con persone di vari gas

d’Italia, sia al convegno che in tante altre occasioni. Di questi confronti di natura culturale dovrebbero farsi portatori i gas dei e nei territori, ma so per certo che almeno per qualcuno dei gruppi di acquisto solidale questa priorità non esiste e deve lasciare campo libero al funzionamento del “negozio”. Del resto, ho partecipato ai lavori di Osnago nel gruppo tematico che si occupava della comunicazione, un tema spinoso nel mondo gas, e ancora una volta ho ribadito agli esterrefatti ascoltatori (fra cui protagonisti storici della rete) questo deficit di democrazia, di cultura e di riflessione presente in qualche autoproclamatosi gas. Per tutte queste ragioni, e fermo restando che mentre scrivo non sono ancora usciti i resoconti ufficiali dei gruppi di lavoro tematici, provo a fornirvi tre chiavi di lettura dell’attuale situazione del mondo gas, tre

tracce aperte, tre argomenti emersi e in parte discussi, in modi diversi, anche al convegno. Allo stesso tempo, quello che vi consegno è qualche elemento di riflessione, una riflessione che ho potuto condividere con altre persone. Nella consapevolezza della varietà delle storie e delle esperienze, vorrei approfittare dell’occasione del convegno per ragionare su alcuni aspetti che sono critici e sentiti e che toccano nel vivo alcuni nodi meno risolti dell’economia soli-dale e dei gas.

1) L’economia : quando si parla di economia capita che anche alcuni gasisti non riescano a ve-nir fuori dal consueto paradig-ma che ragiona di e sul denaro. In effetti, appena si guardi aldilà del proprio naso, si scopre facil-mente che esiste un mondo e un modo che ragiona in maniera completamente diversa. Dover dire a dei gasisti (o proclamatisi

Punto critico sullo stato di salute del movimento GAS

UN MELONE E’ UN MELONE!

di Stefano Palagiano Una tipologia di melone

GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE NUMERO 33

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tali) che il denaro non è tutto ci fa scivolare nell’ovvio e ci co-stringe a ribadire un qualcosa che dovrebbe essere scontato. E’ mia personale convinzione che finchè non proveremo almeno a cercare di riflettere seriamente su cosa comporti consegnarsi anima e corpo all’economia monetaria, che finchè non proveremo ad uscire dall’economia basata sul de-naro, non verremo mai fuori dai problemi che diciamo a parole di affrontare. E’ un aspetto da considerare. Un gas che sposta solo dei soldi senza preoc-cuparsi di fare altro, di creare alternative, non è un gas.

2) Le Istituzioni : il rapporto con le Istituzioni è un problema molto più di quanto non possa sembrare. Qualche gas soffre di una eccessiva verticalizzazione di questo rapporto. La conse-guenza è una trasformazione da movimento di base, forte della

propria orizzontalità, che ne è l’essenza, a soggetto accon-discendente nei confronti delle istituzioni, sempre con la mano tesa sotto il Palazzo, spesso in attesa di raccogliere briciole, magari anche solo un patroci-nio nominale. In una situazione come questa, un soggetto rischia di svendere la propria identità, in cambio di favori, vantaggi, per motivi in generale di “opportunità”. Conservare la propria originalità dovrebbe es-sere inteso come un dovere. Dal punto di vista pratico, questo non vuol dire essere necessaria-mente antagonisti rispetto alle istituzioni. Vuol dire però essere certamente alternativi, e se es-sere alternativi vuol dire essere a volte anche antagonisti ciò è semplicemente frutto della coe-renza e dell’onestà, non certo di una qualche altra matrice. Vista da un altro punto di vista, non si può (come mi è capitato di ve-dere) criticare soggetti che non

ci sono “amici” e poi cercarne il supporto. Bisogna scegliere e valutare, semplicemente, i fatti.

3) Lo stile di vita personale: dobbiamo certamente cercare di essere il cambiamento che vogliamo vedere, ma questo comporta qualche piace-vole gesto di coerenza, utile sotto molti punti di vista. La verità è che, quando portiamo il ragionamento su quello che noi facciamo, singolarmente e quotidianamente, spesso casca l’asino. Mi è capitato di vedere gasisti che riponevano la spesa locale, buona e giusta, accanto a frigoriferi stracolmi di imballaggi e alimenti discutibili. La questione dei panieri gas, d’altro canto, può risultare con-troversa: avere 20, 30 fornitori, 4/5 tipi di formaggi o situazioni di questo genere pone un problema di consumo critico. Dobbiamo tornare a ciò che è essenziale davvero. Consu-

mare meno e meglio. Mangiare meno e meglio. Questa è la verità, così come la spiattellano autori del calibro di Francesco Gesualdi, che tutti nominano a piè sospinto. Riprenderò volentieri questi argomenti prossimamente e allargherò la riflessione a molti altri.

Punto critico sullo stato di salute del movimento GAS

Un raduno dei GASUna tipologia di melone

GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALENUMERO 33

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IV FESTA DEL SOLSTIZIO

Anche quest anno, sfidando il cattivo tempo e confortati da una tensostruttura per pararsi da eventuali piogge, centinaia di persone hanno affollato per

una intera giornata il Parco di Montecerreto, dove abbiamo tenuto la quarta edizione della Festa del Solstizio.Mercatini, mostre fotografiche

ed artistiche, musica a go-go, il pomeriggio con l’Associazione Probimbi e pesca di benefi-cenza, d.n.b djset fino a notte, da mangiare, da bere ecc

ecc.Molte più foto nella pagina della festa sul nostro sito www.associazionedonchisciotte.org

Anche quest anno un grazie ai tanti partecipanti ed ai gruppi che hanno suonato

EVENTO NUMERO 33

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Alcune delle immagini scattate alla Festa del solstizio