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1 Dizionario dei medici celebri ____________________________________________________________ OPERA ORIGINALE: JEAN RIVERAINS - Dictionnaire des médecins célèbres - Libreria Larousse, Parigi, 1969 Traduzione in italiano a cura di di Francesco Abritta. Integrazioni di Beppe Carugo, tratte da “Breve storia della Medicina, della diagnostica e delle arti sanitarie – Fatti, scoperte scientifiche, curiosità e altro...” – bozza terza edizione, 2018 ____________________________________________________________ ABULCASIS, in arabo Abu al – Quasim el – Zahrawi. Chirurgo arabo, vissuto a Cordova nel X° secolo. Autore di un’opera monumentale in 30 volumi: “Al-Tersif”(compendio delle conoscenze in materia di chirurgia nel mondo arabo della sua epoca). Come gran parte dei suoi colleghi musulmani riservò un posto d’onore alla “cauterizzazione” per ottenere l’”emostasi” (arresto di una emorragia per compressione, seguita da un “tocco” col ferro incandescente). Abulcasis conosceva l’operazione al gozzo e praticò la resezione degli aneurismi. Preconizzò l’impiego di un osso di bue per le protesi dentarie, e utilizzò come antisettico le punture delle formiche. ADLER Alfred. Medico e psicologo austriaco. Vienna 1870 – Aberdeen 1937. Allievo di Freud, si separa ben presto dal maestro. Minimizza il ruolo svolto dalla sessualità nella genesi della personalità e delle nevrosi. Secondo Adler ciò che predomina nelle nevrosi non sono né l’istinto sessuale né il principio di piacere, bensì quello di potenza (la volontà di farsi valere, la virilità, il desiderio di dominio). Da qui il dissenso con Freud e la conseguente rottura. ALBARRAN Joaquin. Chirurgo francese di origine spagnola (Sagua la Grande, Cuba 1860 – Parigi 1912). Professore di ruolo alla facoltà di Parigi nel 1892; chirurgo ospedaliero nel 1894 succede nel 1906 al dottor Guyon, suo maestro, e diventa un celebre urologo.Per primo praticò l’ablazione del rene e quella della prostata. Per l’esame della vescica utilizza il cistoscopio elettrico, apparecchio messo a punto dal tedesco Max Nitze. Questa forma di endoscopia poté essere fatta grazie alla lampada elettrica inventata da Edison nel 1878. L’operazione della prostata all’epoca veniva realizzata in due tempi; uno per l’apertura della vescica e l’altro, uno o due mesi dopo,(tempo prostatico), quando veniva praticata l’ablazione della prostata. ALESSANDRO di Tralles. Medico greco. (Nato a Tralles in Lidia nel 6° sec. d.C. Esercitò a Roma, dopo aver seguito per molto tempo l’imperatore di Bisanzio Giustiniano e Belisario nei loro viaggi. Era fratello di Antemiodo, l’architetto che costruì la famosa basilica di Santa Sofia di Costantinopoli. Pubblicò le sue conoscenze mediche; il Biblio intrica duokaideca” che ogni medico teneva nella propria biblioteca( fino al XVIII° secolo). Fra le sue descrizioni cliniche, sono da ammirare, per l’esattezza, quella riguardante l’ascesso del fegato. “ C’è la febbre, l’espettorato spesso é di color ruggine,

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Dizionario dei medici celebri ____________________________________________________________ OPERA ORIGINALE: JEAN RIVERAINS - Dictionnaire des médecins célèbres - Libreria Larousse, Parigi, 1969 Traduzione in italiano a cura di di Francesco Abritta. Integrazioni di Beppe Carugo, tratte da “Breve storia della Medicina, della diagnostica e delle arti sanitarie – Fatti, scoperte scientifiche, curiosità e altro...” – bozza terza edizione, 2018 ____________________________________________________________

ABULCASIS, in arabo Abu al – Quasim el – Zahrawi. Chirurgo arabo, vissuto a Cordova nel X° secolo. Autore di un’opera monumentale in 30 volumi: “Al-Tersif”(compendio delle conoscenze in materia di chirurgia nel mondo arabo della sua epoca). Come gran parte dei suoi colleghi musulmani riservò un posto d’onore alla “cauterizzazione” per ottenere l’”emostasi” (arresto di una emorragia per compressione, seguita da un “tocco” col ferro incandescente). Abulcasis conosceva l’operazione al gozzo e praticò la resezione degli aneurismi. Preconizzò l’impiego di un osso di bue per le protesi dentarie, e utilizzò come antisettico le punture delle formiche. ADLER Alfred. Medico e psicologo austriaco. Vienna 1870 – Aberdeen 1937. Allievo di Freud, si separa ben presto dal maestro. Minimizza il ruolo svolto dalla sessualità nella genesi della personalità e delle nevrosi. Secondo Adler ciò che predomina nelle nevrosi non sono né l’istinto sessuale né il principio di piacere, bensì quello di potenza (la volontà di farsi valere, la virilità, il desiderio di dominio). Da qui il dissenso con Freud e la conseguente rottura. ALBARRAN Joaquin. Chirurgo francese di origine spagnola (Sagua la Grande, Cuba 1860 – Parigi 1912). Professore di ruolo alla facoltà di Parigi nel 1892; chirurgo ospedaliero nel 1894 succede nel 1906 al dottor Guyon, suo maestro, e diventa un celebre urologo.Per primo praticò l’ablazione del rene e quella della prostata. Per l’esame della vescica utilizza il cistoscopio elettrico, apparecchio messo a punto dal tedesco Max Nitze. Questa forma di endoscopia poté essere fatta grazie alla lampada elettrica inventata da Edison nel 1878. L’operazione della prostata all’epoca veniva realizzata in due tempi; uno per l’apertura della vescica e l’altro, uno o due mesi dopo,(tempo prostatico), quando veniva praticata l’ablazione della prostata. ALESSANDRO di Tralles. Medico greco. (Nato a Tralles in Lidia nel 6° sec. d.C. Esercitò a Roma, dopo aver seguito per molto tempo l’imperatore di Bisanzio Giustiniano e Belisario nei loro viaggi. Era fratello di Antemiodo, l’architetto che costruì la famosa basilica di Santa Sofia di Costantinopoli. Pubblicò le sue conoscenze mediche; il “ Biblio intrica duokaideca” che ogni medico teneva nella propria biblioteca( fino al XVIII° secolo). Fra le sue descrizioni cliniche, sono da ammirare, per l’esattezza, quella riguardante l’ascesso del fegato. “ C’è la febbre, l’espettorato spesso é di color ruggine,

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una sensazione di spasmo a livello della clavicola, una tosse diaframmatica che provoca più che un dolore una sensazione di pesantezza epatica. Quando l’infiammazione interessa i rivestimenti ed i vasi circostanti, il dolore si fa più vivo.” Fu il primo a distinguere le diverse specie di vermi parassiti che possono albergare nell’intestino dell’uomo e indicò per ciascuno di questi un rimedio che si dimostrò efficace negli anni a venire. Rimedi consigliati: Olio di ricino contro le tenie Olio etereo contro gli ascaridi e gli ossiuri. Abile dietologo, scrisse che “l’alimentazione è la prima e la più importante parte nel trattamento di ogni malattia. Propose l’ingestione della limatura di ferro agli anemici, non si fece scrupoli a ricorrere a pratiche superstiziose, come l’applicazione di amuleti. A lui è attribuito questo pensiero: “Il medico colto deve sforzarsi di alleviare il dolore con ogni mezzo; impiegare anche i sortilegi e le formule sapienziali e le ricette delle comari.”Inoltre scrisse questo pensiero, riflesso della libertà del suo spirito: “Platone è il mio amico, ma la verità è pure la mia amica. Dovendo scegliere fra i due, propendo per la verità”. Ci associamo a M.Bariéty e C.Coury nell’applaudire Alessandro il cui pensiero merita “ di figurare in una antologia dei più elevati pensieri medici”Egli anticipò di mille anni la liberazione dello spirito scientifico. Fu,come si diceva ai suoi tempi, il “ medico per eccellenza”. ANDRAL Gabriel. Medico francese (Parigi 1797 – Chateauvieux, Loir-et-Cher, 1876). Il grande merito di Andral è di avere, dopo Laennec, posto le fondamenta della “nosologia”, cioè la classificazione delle malattie, lo studio dei caratteri distintivi che permettono di definire ognuna di esse. Agli inizi del 19° secolo, la più grande confusione regnava ancora in questo campo. Ogni trattato di medicina redatto, prima della “Clinica medica” di Andral (1823-1856) e il suo “Compendio elementare di anatomia patologica (1829) ne fa fede, tutto è confuso. Per esempio, sotto l’etichetta di “Febbri putride” troviamo spiegate affezioni tanto diverse come la febbre tifoide, il paratifo, il tifo esantematico, il colera, lo scorbuto, la dissenteria. Andral, come Laennec, quest’altro geniale clinico, capì che ogni fenomeno patologico è un fenomeno naturale, sottoposto a un determinismo tanto rigoroso quanto quello che regola i fenomeni fisici e chimici. Lo scopo della patologia, che è precisamente la scienza medica, è di scoprire questo determinismo. Nel corso delle sue ricerche sulle affezioni toraciche, creò, nel 1828, il termine di “cardite reumatica” e studiò (1845) la capacità polmonare per mezzo della “spirometria”, che misura in via approssimativa il volume d’aria ispirata ed espirata e non ebbe timore di scrivere, nel 1825, ciò che nessun medico oserebbe pretendere oggi: “La storia delle malattie cardiache e delle sue complicanze deve essere considerata quasi conclusa” Membro dell’”Accademia di medicina” nel 1824, succedette a Broussais alla cattedra di patologia e terapia generale alla facoltà di Parigi. Il riassunto delle sue lezioni è stato pubblicato col titolo: “Trattato elementare di patologia e terapia generale”. ARBUTHNOT John. Medico e scrittore satirico scozzese (Arbuthnot, Kincardineshire, 1667 – Londra 1735). Figlio di un pastore anglicano che era stato privato della retribuzione per motivi politici, vegetò a Londra in povertà, dando qualche lezione di matematica. Riuscì a farsi ammettere all’Università di Oxford, dove ottenne l’attestato di medico e fisiologo (1696). Di spirito brillante e caustico, fu amico di Swift, di Pope e del libellista Tory. Il suo principale titolo di merito è di aver illustrato, e non creato, come si dice, la figura di John Bull (1712) personaggio simbolo di una certa Inghilterra ostinata e

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materialista. E’ l’autore della prima parte delle “Memorie della vita straordinaria e delle scoperte di Martinus Scriblerus” firmate da Pope. “Ognuno dei vostri giorni, gli scriveva Swift, ci da più luce che tutti i nostri messi insieme, in dodici mesi”. Non sappiamo se questo uomo di spirito fu anche un buon medico. ARCAGATO, (Roma ca 200 a.C.). Con lui inizia la pubblica professione medica esercitata in luoghi a metà strada tra ambulatori, farmacie e scuole detti taberne medicinae che ricordano molto da vicino gli jatreia greci descritti da Ippocrate. Emigrato dalla Grecia gli viene concessa la cittadinanza romana e a spese pubbliche apre un ambulatorio all'incrocio di Via Acilia. Plinio il Vecchio dipinge Arcagato come un maestro nel curare ferite, ma un suo uso troppo disinvolto degli strumenti chirurgici, e un eccessivo ricorso alle amputazioni, gli vale il soprannome di Carnifex, "carnefice". Questo comprensibilmente non giova alla sua fama e fa diminuire la stima dei cittadini nei suoi confronti, finché non verrà mandato in esilio. ARETEO di Cappadocia. Medico greco (Cappadocia, verso la fine del 1° secolo dell’era cristiana). Lasciò quattro trattati, scritti in dialetto ionico: “Dei segni e delle cause delle malattie acute; dei segni e delle cause delle malattie croniche. Della cura delle malattie acute. Della cura delle malattie croniche.” Boerhaave, medico olandese, ne fece una buona traduzione in latino. Non fu un compilatore come Aristotele o Plinio, né un dottrinario come Galeno, che considerava le malattie e il loro trattamento, ma un pratico un clinico, e senza il minimo spirito di sistema. Ancora oggi un medico può trovare profitto a leggere le sue descrizioni cliniche. E’ così che completando il famoso quadro ippocratico del “male sacro” (epilessia), nota l’emissione di urina, le contrazioni o la dilatazione delle pupille. A proposito dell’emiplagia, fu il primo a far notare che questo male è localizzato nel lato opposto a quello della lesione e deduce l’incrocio degli elementi nervosi, ciò che confermerà la fisiologia. Diede inoltre buone descrizioni delle sincopi cardiache, delle cefalee, di alcune psicosi maniaco depressive, della lebbra, della peste, delle angine ulcerose, di cui, una varietà, la cosiddetta “Siriana” sarà riscoperta da Bretonneau…. Non si può trovare dell’asmatico in stato di crisi migliore descrizione della sua:” Si raddrizza per respirare se è coricato, esce, vaga in preda a sete di aria che lo spinge ad aprire la bocca con avidità e il più possibile spalancata, ma senza risultato né sollievo…. La sua respirazione sibilante gli fa gonfiare il collo. E’ scosso da una tosse frequente e penosa che comporta un espettorato poco abbondante, viscoso….” La sua terapia è meno attendista di quella di Ippocrate. Fa meno affidamento sulle risorse della natura, mette in atto una farmacopea abbondante e ricorre volentieri alla chirurgia. ARISTOTELE. Filosofo greco precettore di Alessandro Magno (Stagira, Macedonia 384 ca. – Calcis, Eubea 322 a.C.) Aristotele era figlio di un medico. Suo padre, Nicomaco,si era fatto a questo titolo una notevole reputazione in Macedonia. Non eserciterà la medicina, ma l’enciclopedismo; ne sarà il teorico e per secoli i suoi innumerevoli errori non gli impediranno di venire considerato, nel campo della fisiologia e della terapia come un pari di Ippocrate e di Galeno. Si può essere grande filosofo e scadente osservatore (ciò che, per esempio, dimostrerà Cartesio). Fra le asserzioni stravaganti di Aristotele, citiamo queste:

• il cuore non ha tre cavità. E’ l’organo “caldo” per eccellenza. Vero calorifero dell’organismo.

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• i polmoni non hanno altra funzione che quella di rinfrescare e allo stesso tempo attivare la sua combustione, come fosse un mantice.

• poiché gli animali piccoli sono dotati di polmoni ridotti, hanno il sangue più caldo di quelli grandi.

• lo spirito o “neuma” non è legato ad alcun organo determinato. Il cervello per la sua bassa temperatura ha come funzione principale quella di compensare il calore cardiaco.

• è l’aria aspirata, e non espirata, che permette la fonazione laringea. • lo sperma è un miscuglio di “neuma” e di acqua. E’ dall’incontro con i mestrui della

donna che si produce l’embrione, a meno che non nasca per generazione spontanea. • tutti i corpi secchi che diventano umidi o tutti i corpi umidi che seccano, producono

degli esseri animati in grado di nutrirli. Si può dire che Aristotele, per l’autorità del suo nome, ha ritardato di duemila anni i progressi della medicina. ARNAUD de Villeneuve. Medico e alchimista catalano (Villeneuve, vicino a Montpellier 1235 ca. – 1313) Studia medicina a Barcellona, poi a Salerno, prima di soggiornare a Lerida, a Roma, a Genova, a Parigi, dove abita per circa dieci anni, a Marsiglia, ad Avignone ed infine a Montpellier dove diventerà la luce principale. In medicina, Parigi non aveva seria rivale se non Montpellier, e questa rivalità si protrarrà fino agli inizi del XIX° secolo. Mentre la facoltà di Parigi era pregna di razionalismo e di una sorta di positivismo, peraltro elementare, quella diMontpellier era vitalistica e attirata dalla astrologia, dall’alchimia; una teologia tinta di averroismo e che susciterà talvolta gli strali della Chiesa. Una delle cause di questo” avventurismo” scientifico e filosofico era il cosmopolitismo stesso della facoltà di Montpellier, posto a dettame dal suo fondatore Guglielmo VIII° signore del luogo: “Io non darò a nessuno la prerogativa e il monopolio di poter insegnare e tenere dei corsi a Montpellier nella facoltà di fisica (ossia di medicina; le due parole erano allora sinonimi) perché è brutto concedere ad uno solo il monopolio di una scienza così utile; e per questo io voglio e ordino che tutti, da qualsiasi paese essi provengano, possano, senza preoccupazione, insegnare la medicina a Montpellier.” E’ così che Montpellier, per via della sua facoltà di medicina, si popolò di studenti e di maestri dalla Spagna, di Inglesi come John of Ardern e John of Gaddesden, di ebrei e di musulmani. A Montpellier, come a Parigi non si giurava che su Ippocrate, Aristotele, Avicenna, Galeno, ciò che non si sarebbe osato fare a Parigi. Non si decideva per un rimedio senza consultare gli altri; si esaminava, alla maniera di Avicenna il corpo umano come un rapporto intimo con la vita misteriosa dell’universo. Arnaud de Villeneuve riservò, come i suoi colleghi, e più di loro, un posto prevalente alla astrologia nella pratica medica. Non praticava il salasso indifferentemente con ogni costellazione e riservava particolare importanza alla posizione della luna. Alchimista, affermò di avere “fatto l’oro” durante il suo soggiorno a Roma e davanti a numerosi testimoni. Le sue doti di chimico sono fuori discussione. Gli dobbiamo il miglioramento di certi vini per cottura del mosto dell’uva, denunciò il pericolo dei vapori del carbone e fu uno dei primi a impiegare, per guarire “certe malattie della pelle” l’unguento mercuriale. Le sue descrizioni di cancri e di ulcere genitali, non lasciano alcun dubbio sull’esistenza della sifilide prima della scoperta dell’America. Gli vennero rimproverate pratiche sataniche e di aver cercato di produrre artificialmente la vita gettando dello sperma in una zucca. Nelle sue numerose opere di medicina, di cui: “Breviario e Regimen sanitatis”, tentò la sintesi delle idee di Ippocrate, di Galeno, degli Arabi e della Scuola salernitana. Alcuni dei suoi aforismi potrebbero servire ancora di lezione al corpo medico. “Colui che si istruisce nella sua professione non per amore della scienza ma per spirito di lucro diventa un fallito.” “La

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terminologia è indispensabile alla scienza, ma non si ottiene una guarigione in virtù di una semplice formula ….” “Il miglior trattamento è quello che procura il risultato previsto con i mezzi più semplici.” Ma è necessario ricordare ai medici queste regole tanto vecchie quanto la medicina. “Prescrivete sempre qualche cosa quando siete in presenza del malato in modo da non sembrare degli incapaci senza l’aiuto dei libri.” Si può dire, a suo merito, che per l’interesse che mostra per le prescrizioni individuali può apparirci come un precursore della biotipologia, questo studio dei caratteri comuni e distintivi fra gli esseri viventi di una stessa specie ARSONVAL Jacques Arséne. Medico e fisico francese (La Borie, Haute – Vienne 1851 -1940). Preparatore di Claude Bernard, dottore in medicina (1876) fu nominato nel 1882 direttore del laboratorio di fisica biologica al Collegio di Francia, dove, dopo aver fatto supplenze al corso di medicina sperimentale, diventa professore(1894). C’è in Arsonval l’inventore, il fisico, il biologo ed il medico. Come inventore gli si deve ogni sorta di apparecchi ingegnosi, come il galvanometro aperiodico, un telefono magneto-elettrico, il becco a gas multiplo, il miofono. Fisico e biologo, fondò nuovi campi:la fisica biologica, che concerne la totalità degli esseri viventi, quindi anche per l’uomo, da qui la sua importanza in medicina. Ha legato il suo nome (arsonvalisazione) all’applicazione terapeutica delle correnti ad alta frequenza sperimentata da lui stesso nel 1890. Questo procedimento è impiegato nel trattamento delle affezioni articolari e specialmente nei reumatismi, nei disturbi circolatori (ipertensione, artrite, acrocianosi) nelle affezioni ginecologiche, nella sifilide nervosa (paralisi generale, tabe) nella poliomielite, nelle perivisceriti. Arsonval ha dimostrato che la frequenza raggiunti 500.000 periodi, il passaggio di corrente non è più avvertita dal paziente. Si procurò solo una sensazione di calore, dovuta alla resistenza dei tessuti al passaggio della corrente, da qui il nome di atermia, che denota questo processo terapeutico. Arsonval, spirito non prevenuto, si interessò ai fenomeni soprannaturali ed ha partecipato, sotto gli auspici dell’Istituto generale di psicologia di Parigi, al controllo dei fenomeni spiritici prodotti dalla celebre Eusapia Palladino, medium italiana. Fra coloro che assistettero figurano Pierre e Marie Curie, Henry Bergson, Charles Richet, Eduard Branly, Ade Gramont. Tre serie di sedute si sono succedute fra gli anni 1905,1906 e 1907. La relazione finale di queste sedute, firmate da tutti questi grandi nomi (ad eccezione di Pierre Curie, morto nel 1905) è un documento importante. Arsonval ha osservato, nella prima seduta, attorno alla testa di Eusapia in trance: “una specie di zona oscura seguita da una zona luminosa somigliante allo spazio nero catodico nella scarica di un di Crookes. Si legge nel rapporto che una tavola si era sollevata quando non si poteva pensare a un inganno da parte di Eusabia perché “M. d’Arsonval e M. Ballet controllavano scrupolosamente i piedi e le ginocchia d’Eusabia e che nessun contatto era stato esercitato sui piedi della tavola. La tavola, se si crede alla testimonianza di d’Arsonval, è rimasta in aria “per molti secondi”. Arsonval dichiarò: “Lasciamo da parte i fenomeni di contatto, di apparizioni di mani o di materializzazione che si spiegano facilmente come frodi o acrobazie: quelli di cui non troviamo spiegazioni per il momento, sono fenomeni di lievitazione di tavoli, e malgrado le precauzioni prese, la frode è potuta avvenire. In ogni caso, al momento attuale, alcune constatazioni avente carattere rigorosamente scientifico non permettono di negare o affermare la realtà dei fenomeni di lievitazione. ASCLEPIADE Medico greco (Prusa, Bitania124 a.C. – Roma 40 a.C.) Esercitò la medicina ad Atene, poi ad Alessandria e risiedette a Capitolino. I medici greci abbondavano a Roma. Guardati con sospetto da coloro che esercitavano la medicina, i

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medici greci erano tacciati di snobismo. Fino dai tempi di Giulio Cesare era segno di distinzione avere un medico greco, un precettore greco, un parrucchiere greco. Noi sappiamo da Plinio che “ coloro che praticano la medicina senza parlare il greco non hanno autorità, lo stesso vale per coloro che non conoscono questa lingua o è a loro poco famigliare.” Asclepiade, le cui maniere eleganti, il fisico piacente , accattivante, diventa e resta il medico alla moda in Italia. Ebbe fra i suoi clienti, che furono anche suoi amici, Cicerone, Crasso, Antonio. Ad Alessandria aveva appreso la dottrina fisiologica degli atomi e spiegò quasi tutte le malattie per sovrabbondanza di atomi, assottigliamento, indurimento, o “fluidificazione eccessiva dei canali” di questi atomi. Tutto ciò parve molto strano agli occhi di Plinio che vedeva in questo sistema un mirabile artificium. Asclepiade piaceva tanto ai suoi malati perché prescriveva loro rimedi piacevoli, quasi sempre naturali ma che non guarivano affatto, ma che rispettavano l’aforisma ippocratico primo non nocere. Il buon vino era “tanto un sostegno morale quanto il migliore elisir. Gli si attribuisce il Tuto, cito, jucunde ( In sicurezza, presto e piacevolmente). ASELLI Gaspare. Medico italiano (Cremona verso il 1581 – Milano 1626). E’ diventato celebre per la scoperta dei vasi chiliferi, che osservò nel 1622, quando dissezionò un cane sacrificato durante la sua digestione. Questo reticolo di cordoni bianchi, erano i nervi, come assicurano i suoi successori? Tagliò uno di questi cordoni ed ecco uscire un liquido bianco come il latte. “Eureka!”, gridò. Trova un nuovo liquido organico, il “chilo”, chiamato ancora “linfa” e che, al pari del sangue, come dimostra con altri esperimenti, possiede il suo reticolo circolatorio. Un anno prima di Harvey, nel 1627, trattò l’argomento della circolazione sanguigna, il cui meccanismo era ancora completamente ignorato come ai tempi di Ippocrate.”Non sarebbe assurdo pensare che il sangue portato ai polmoni dalla arteria, si mescola con l’aria per movimento del polmone e ritorna al ventricolo per l’arteria venosa….” Un anno dopo la sua morte i suoi discepoli pubblicano la sua unica opera in cui viene esposta la scoperta del chilo: “De lactibus, sine lacteis venis, quarto vasorum mesentericum genere, novo invento.” ATTMED ibn el- Jazzar. Medico arabo (Kairuan, Tunisia 898- 980). Apparteneva alla famiglia El-Jazzar che diede a Kairuan una discendenza di medici celebri per la loro competenza e la loro virtù. Studiò medicina presso Ibrahim e l’illustre Isac el- Israili, tutti formatisi all’Università di Beit – el- Hikma. Non lasciò mai la sua città natale, se non per ritirarsi, nella stagione calda, a Ribat di Monastir, ritiro religioso che attirava i devoti musulmani. Ha lasciato tre opere, tradotte da Costantino l’Africano:”Viatico del viaggiatore e sussistenza del sedentario”, “Del pericolo derivante dai salassi (praticati) senza necessità”, “Medicina del povero; opere caratteristiche della medicina araba del tempo.Come in occidente, l’autorità di Galeno, di Ippocrate, di Aristotele non è messa in discussione, ma il senso pratico tipico dei musulmani non è infastidito da queste autorità ingombranti, e mentre nella cristianità l’ospedale è una istituzione monastica, sottoposta a regole fisse, votata a una spiritualità meno inquieta di sopprimere la sofferenza che a sublimarla, è, nell’Islam, organizzata efficacemente avendo destinato tutto alla guarigione. In tal modo Attmed ibn el- Jazzar aveva fatto della sua casa un vero dispensario, dove riceveva gratuitamente gli indigenti della città e i viaggiatori poveri. Aveva sistemato nelle vicinanze del suo domicilio una farmacia dove si potevano trovare, dopo il consulto, i medicamenti prescritti, che spesso erano piante africane o asiatiche, sconosciute in Europa. Attmed ebbe per discepolo Abu Hafs Omar ibn Barik el- Andalusi, medico del califfo di Cordova Abderrahman en- Necir (1018)

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che trasmise lui stesso il sapere del suo maestro a numerosi allievi cristiani, musulmani ed ebrei di Spagna. E’ così che il nome del medico di Kairuan giunse fino alle scuole dell’Europa medievale. AUENBRUGGER Leopold. Medico tedesco (Graz 1722- Vienna 1809). Figlio di un albergatore di Graz, diventato medico dell’Ospedale spagnolo, a Vienna, esaminò nel 1754 un malato tormentato da febbre accompagnata talvolta da tosse. Era pleuritico? Come accertarsene? E’ allora che un ricordo, provvidenzialmente, ritornò alla sua mente. Suo padre l’aveva portato una sera, nella sua cantina, perché tenesse la candela e là, per mezzo di un martello di legno, aveva rotto le sue botti, di volta in volta, e in posti diversi. A secondo che la botte fosse vuota o piena o semipiena, il suono variava, cupo nelle parti piene, vuoto nelle parti vuote e di una tonalità più o meno elevata in proporzione al liquido contenuto. Allora dolcemente,il giovane medico applicò il suo orecchio sul dorso del malato, prima sul fianco destro e poi sul fianco sinistro, che batté leggermente con la punta delle dita. A sinistra il suono era cupo, come quello di una botte piena; a destra, il suono traduceva il vuoto, il vuoto normale di un polmone gonfio di aria. Nessun dubbio che il polmone sinistro non fosse ingombro d’aria pleuritica…. Qualche mese più tardi, avendo accumulato prove sufficienti, Auenbrugger scrisse, in latino, un opuscolo dal titolo “Inventum novum ex percussione toraci humani, che tradotto interessò molto, trenta anni dopo, Corvisart, il medico di Napoleone. Dal procedimento di Auenbrugger, Laennec trarrà le sue conseguenze ultime sulla “auscultazione”che è l’ascolto dei rumori normali e anormali del corpo umano, rivelatori, ad un orecchio esercitato e fine , di mali nascosti. Il grande medico francese, rendendo omaggio al suo precursore austriaco, ha potuto scrivere:”Prima della scoperta di Auenbrugger, la metà dei peripneumonici e dei pleuritici acuti e quasi tutti pleuritici cronici dovevano essere necessariamente ignorati….” AVERROE’ (Abu al – Walid ibn Rashd). Medico e filosofo arabo (Cordova 1126 –Marrakesh 1198). Meglio conosciuto col nome di Averroé, medico e filosofo arabo (Cordova 1126 – Marrakesh 1198) Figlio e nipote di eminenti giureconsulti, esercitò le funzioni di cadi a Siviglia e a Cordova. Dopo la morte del padre, che era stato suo maestro, in diritto e in teologia, rivestirà la stessa funzione di “grande giustiziere”che adempie con molto zelo e abilità. Studia nello stesso tempo filosofia, fisica, astrologia e medicina. Chiamato dal re del Marocco Masour, dal quale Cordova dipende, riforma l’amministrazione della giustizia: ma questo giurista è soprattutto un filosofo che non si perita di insegnare un sistema razionalista e materialista ancor più di quanto non avesse osato fare Avicenna. Secondo Averroé, non per la contemplazione né per la pratica della virtù che noi avremo accesso alla verità ma per la scienza. Riprendendo la distinzione di Aristotele fra l’intelletto passivo e quello attivo, fa di quest’ultimo una sorta di “spirito della terra e dell’umanità” dove attinge ogni intelligenza, e che sola alberga immortale. Ora, questo spirito universale è, per la conoscenza dei fatti naturali, l’espressione sensibile che potremo assimilare Una tale filosofia, molto invisa ai devoti musulmani, ha ispirato tutta una scuola scientifica e medica, quella di Salerno prima, di Montpellier poi, il cui vitalismo è una delle conseguenze dell’insegnamento di Averroè. In quanto medico Averroé si è accontentato di seguire gli insegnamenti di Galeno, del quale fece una ampia compilazione.I suoi contributi personali sono rari. Ha formulato osservazioni esatte sul ruolo svolto dalla retina nella visione ed ha constatato, sette secoli prima di Jenner, che l’individuo una volta colpito dal vaiolo resta definitivamente immunizzato.

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AVICENNA ibn Sina. Medico e filosofo iraniano (Afshana, vicino a Bukara 980-1037). Lasciò della sua infanzia ricordi indelebili, fose esagerati (come da tradizione orientale). All’età di dieci anni, avrebbe imparato a memoria il Corano e superato i suoi maestri in teologia, algebra e aritmetica… Dopo la caduta della dinastia Sassanide e la morte del padre, viaggia nel Kharezn e nel Khorassan; a Djuzddjen, ebbe un potente protettore nella persona di Abu Mohammed Shirazi, che gli fece dono di una casa per poter tenere corsi pubblici di medicina. Protetto per qualche tempo dal sovrano di Hamadan, viene nominato visir, ma vittima di intrighi politici, verrà presto imprigionato. Essendo riuscito a fuggire, si rifugerà a Ispahan, dove morirà per una malattia allo stomaco “contratta, ci dice la cronaca, in seguito a un eccesso di lavoro e di piaceri” La sua opera principale è il Canone della medicina che, tradotto in latino, fu per molto tempo autorità in Europa. A lui si deve inoltre una Enciclopedia delle scienze filosofiche, di cui la parte più interessante e più feconda riguarda la classificazione delle scienze. Vi distingue le scienze superiori (speculative), le scienze inferiori (che concernono le cose materiali, come la botanica) e le scienze intermedie , dove la materia è in relazione con lo spirito (come le arti plastiche, la musica , la medicina). Il Canone di Avicenna è diviso in cinque libri, che trattano rispettivamente dell’anatomia e della fisiologia, della materia medica, delle malattie, delle febbri e degli antidoti. Questa opera è un monumento di dogmatismo, che poggia più su una cultura enciclopedica che su di un’ampia esperienza personale. La migliore e la più originale è quella che tratta delle descrizioni cliniche, come quella della pleurite; si veda la traduzione del Castiglioni, il grande storico italiano della medicina:” I segni della pleurite semplice sono evidenti: la febbre è continua; esiste un dolore eguale a quello prodotto da una punta conficcata in profondità, e violentemente sotto le costole, e che si manifesta di quando in quando allorché il malato respira profondamente. Il terzo segno è dato dal disturbo e dalla accelerazione dei movimenti respiratori. Il quarto segno è la rapidità e la debolezza del polso. La tosse costituisce il quinto segno: secca in principio, poi produttiva; nell’ultimo caso sta a significare che esiste egualmente un attacco al polmone. Avicenna ha studiato a fondo alcune affezioni del sistema nervoso. Distinse le semplici reazioni meningee dalle vere meningiti acute, di cui ci dà questa descrizione: “Il sersam acuto indica una infiammazione o un tumore del rivestimento del cervello. I prodromi di questa affezione comportano mal di testa, un sonno agitato, una depressione senza cause. Quando la malattia si é localizzata nelle meningi, i primi sintomi a comparire sono l’agitazione, violenti dolori alla testa e alla nuca. Talvolta compare l’epistassi e una lieve incontinenza urinaria, convulsioni generalizzate o localizzate sopravvengono; il sonno è agitato, allucinazioni; il malato è estremamente agitato: grida e non sopporta la luce. Ha descritto la sciatica che colpisce il grande nervo della coscia, e ha sospettato il ruolo che hanno i ratti nella diffusione della peste. Ha consigliato, prima di Brown-Sequard, di trattare gli anemici facendo loro ingerire midollo osseo fresco. Avicenna è considerato giustamente come il più grande dei medici arabi e come una delle intelligenze più ampie del medioevo. Ancora più importante del Canone e dell’Enciclopedia è il Trattato dell’anima e del destino e la Guida della saggezza, di profondità non comune.

BABINSKI Joseph. Medico francese di origine polacca (Parigi 1857 -1932). Capo della Clinica di Charcot alla Salpetrière, medico ospedaliero (Ospedali di Parigi,1890). Conosciuto soprattutto per i suoi lavori sulle malattie del sistema nervoso. A lui si deve la scoperta di numerosi “segni” che permettono di distinguere alcune malattie del midollo spinale e del cervello da quelle dovute a nevrosi. I suoi studi più importanti hanno come oggetto i riflessi, la fisiopatologia del cervelletto, la craniotomia decompressiva, la

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vertigine voltaica, la tabe. Ai suoi occhi, l’isteria, che Charcot ricreava nelle sue famose conferenze alla Salpetrière, non è che effetto della suggestione. “L’isteria, ha scritto, è uno stato patologico che si manifesta con disturbi che sono difficili da riprodurre per suggestione in certi soggetti, in maniera perfetta e possono scomparire con l’influenza della persuasione L’isterico non può essere, secondo Babinski, distinto dal simulatore / mitomane che favoleggerebbe col suo corpo ma non con lo spirito.Contro questa teoria del pitiatismo si sono schierate le “teorie psicogene” e le “teorie organogene” Fra le prime, la teoria psicoanalitica ha avuto il merito di dare una spiegazione profonda del fatto isterico. Le manifestazione dell’isteria tradurrebbero i conflitti affettivi non pervenuti alla coscienza o che sono stati ricacciati indietro, censurandoli. (v. Freud) La teoria organogena dell’isteria la si può ritrovare in tutte le specie animali, grazie all’abbassamento delle facoltà di sintesi. Quanto al fattore della suggestione, non è che la spinta che dà impulso al meccanismo isterico e che un Pavlov ha sperimentato con successo sugli animali. BAGELLARDO Paolo. (Padova, inizio XV secolo – Morto a Padova il 1494). Cattedratico a Padova, completa il "De infantium aegritudinibus et rimediis infantium", primo trattato completamente dedicato alla pediatria: diviso in due parti che trattano questioni di puericoltura e, in 22 capitoli, le malattie dei bambini. L'opera deve la sua originalità alla sapiente fusione, compiuta dall'autore, della ricca tradizione medica araba con la scienza occidentale. BAVARY Robert. Medico austriaco (Vienna 1876 – Uppsala 1936). Nel 1900 diventa di ruolo all’Università di Vienna e pratica per alcuni anni all’Ospedale di Friburg-Breslau. Ritornato a Vienna, si specializza in otologia (parte della medicina che studia la fisiologia delle malattie dell’orecchio) e continuerà ad insegnare a Uppsala dal 1917 fino alla fine della sua vita. I suoi studi sul nistagmo vestibolare gli valsero, nel 1914, il Premio Nobel per la medicina. BARTHEZ Paul Joseph. Medico francese (Montpellier 1734 – Parigi 1806) Fu una delle figure fra le più originali in campo medico della sua epoca. Medico a Montpellier (1754) va a Parigi, dove ispira un vivo interesse a Falconet, medico consulente del re, e grazie a questa protezione viene introdotto nella società dei filosofi diventando amico di Alembert. Per qualche anno medico dell’esercito, è nominato redattore del Journal des savants per la parte concernente la medicina. Nello stesso tempo, scrive per l’Encyclopedie gli articoli “svenimento”, “sfinimento”, “fascinazione”, “volto”, “fame”, “piegamento” (muscoli) ecc. Una cattedra vacante all’Università di Montpellier, essendo stata messa a concorso, è vinta da Barthez,che ottiene all’unanimità i suffragi. (1761) I suoi corsi sono seguiti con entusiasmo, anche se alcuni lo rimproverano perché parla troppo trascurando in modo eccessivo la clinica. Di lui abbiamo questo pensiero rivelatore, che ci mostra, rispondendo a un contraddittorio, la vanità del personaggio. “Un uomo dotato della forza di giudizio e della sagacia necessarie può contribuire molto di più al progresso reale della scienza, che non con fatti, preoccupandoci di aggiungerli a questa scienza pecon tentativi sperimentali”. Il risultato di tali teorie è che Barthez non ha contribuito a creare un sistema più avanzato.Il suo vitalismo è “unitario”.Per questo si oppose a Van Helmost, che aveva preteso che ciascun organo del corpo umano, il cuore, lo stomaco, la milza, ecc. erano dotati di vita propria. Molto ambizioso, aspirante alla nobiltà, che non poteva ottenere che per mezzo della magistratura, si laureò in diritto

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alla facoltà di Montpellier, e, dopo aver sostenuto la sua tesi (1780), acquistò un incarico di consigliere al tribunale per le cause civili e penali in materia fiscali. Munito di questo titolo, riprende nel 1781 il cammino verso Parigi. Succede a Tronchin come medico del duca di Orleans e non tarda a diventare uno degli esperti più ricercati, i meglio pagati della capitale. Ebbe onori: è nominato in seguito consulente medico del re, medico capo di tutti i reggimenti dei dragoni, membro del Consiglio di Stato. All’apertura degli Stati Generali, pubblicò uno scritto, di carattere fortemente aristocratico, e fatto per piacere alla nobiltà: “Libero discorso sulle prerogative che deve avere la nobiltà nella costituzione e gli Stati Generali della Francia”. Durante la Rivoluzione Francese, ritirato nel Midi, non pensò altro che a farsi dimenticare. All’inizio dell’anno 1802, il Primo console creò due posti per medici dell’Amministrazione (Governo). Uno venne dato a Corvisart e l’altro a Barthez. La sua vecchiaia fu amara e dolorosa, dovuta a un carattere ombroso e a un celibato che gli pesava sempre di più con l’avanzare dell’età. Le sue arguzie sono state spesso citate: Qualcuno gli riferisce che M. Lemure, benché medico, dicesse apertamente di non credere alla medicina… “Per Bacco, risponde Barthez, se parla della sua ha ragione”. Un medico che sosteneva che la pratica altro non è se non l’arte di guadagnare denaro e di mantenere le malattie, per trarne profitto, come la gotta, questo incomodo per gente ricca, diceva a proposito del suo libro su “Le malattie gottose” “Signore, io credo che voi veniate da noi per imparare a guarire i gottosi” “ No signore, rassicuratevi, io vi insegno l’arte di farli durare a lungo”. Berthez, nei suoi “Nuovi elementi della scienza dell’uomo”si sforzò di confermare scientificamente l’analogia fatta in ogni tempo dai poeti fra il sonno e la morte. Dopo questa analogia, e dopo un certo numero di osservazioni, fu indotto a credere che l’uomo gode un “sottile piacere” a morire, ciò che ispirò a Rulhière questi versi satirici: Ce magistrat, docteur en médecine et chancelier de la gent assassine, Dans je ne sais le quel de ses fatras Prone beaucoup le moment du trépas.

Agonise rest un plaisir extreme, Et render l’ame est la voluptè meme. On reconnait à l’oeuvre l’ouvrier: Un jour de deuil lui semble un jour de noce; C’est bien avoir l’amour de son métier. Vous etes orfèvre, monsieur Josse BAUDELOCQUE Jean – Louis . Chirurgo e professore di ostetricia alla Scuola di Medicina di Parigi. (Heilly,in Picardia, 1746-Parigi 1810). Dapprima ricevette lezioni da suo padre, chirurgo ad Amiens, poi andò a studiare a Parigi chirurgia e anatomia. Le lezioni di Solayres lo orientarono verso l’ostetricia. Fu scelto come assistente del suo maestro e poi gli succederà alla cattedra di ostetricia. All’età di trentanni, godeva in questa specialità di reputazione a livello europeo. Ostetrico alla Maternità, fu oggetto di una campagna di calunnie ispirata da un rivale, il dottor Sacombe che, lo accusava di praticare con troppa leggerezza il cesareo e di subordinare nel contempo la vita della madre e del bambino alla sua curiosità di anatomista.I tribunali gli resero giustizia, e l’Imperatrice Maria Luisa lo scelse per partorire. Morì prima della nascita del re di Roma. Baudelocque ha determinato i movimenti del feto nel suo passaggio attraverso il bacino, ha fissato le dimensioni di tale cavità ed i loro rapporti con la testa del feto. Ciò che gli si rimprovera è di avere troppo spesso fatto marcia indietro, come gli veniva contestato da Sacombe, di fronte alla sezione della sinfisi pubica nei parti laboriosi. Scrisse, fra le altre opere, “I principi dell’arte del parto, con domande e risposte, ad uso delle allieve

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levatrici (1775). Il suo “Arte del parto” (1781) destinato ai medici, è stato costantemente riedito per circa un secolo. BESHTEREV Vladimir Mihailovic. Psicofisiologo russo (vicino a Viatka 1857 – Leningrado 1927) Insegnò a San Pietroburgo (1881-1885) a Kazan (1885-1893) e nuovamente a San Pietroburgo (1893-1907). Autore di un “Trattato sulla conduzione nel cervello e nel midollo”e di numerosi articoli per il Giornale di psicologia. In collaborazione con Pavlov, ha studiato i riflessi condizionati, che lui chiamò Riflessi congiuntivi tanto negli animali quanto nell’uomo. Concluse i suoi studi con una “memoria organica” , attribuendo alla testa una parte importante della vita psichica. Per lui, come per Parlov, i fenomeni psicologici più complessi (abitudine, volontà, e perciò anche la memoria) sarebbero riducibili a un insieme di riflessi condizionati di cui alcuni potrebbero perfino essere trasformati in riflessi assoluti, ereditari. BEHRING Emil von. Medico e batteriologo tedesco (Hansdorf, vicino a Deutsch-Eylau 1854 – Marburg 1917). Medico militare fino al 1889, entra poi all’Istituto per le malattie infettive, diretto da Koch. Nel 1895 diventa direttore dell’Istituto d’Igiene di Marburg. La sua principale scoperta fu la dimostrare che il siero del sangue degli animali vaccinati contro il tetano possono essere refrattari a questa malattia. Nel 1890, con lo scienziato giapponese Kitasato, riuscì ad immunizzare un porcellino d’India contro la tossina tetanica. Il siero di animali immunizzati viene messo in contatto per giorni con delle tossine specifiche; si inietta a un altro porcellino d’India un miscuglio di tossina-siero: il criceto restaimmune . Si conclude pertanto che l’animale ha ricevuto una tossina neutralizzata dal siero dell’animale vaccinato. In un altro esperimento, Behring e Kitasato presero il siero di un criceto vaccinato contro la tossina tetanica e lo iniettarono a un altro porcellino d’India questi restò immune sebbene,in seguito, gli furono iniettate tossine tetaniche. Nel siero di un animale che ha ricevuto la tossina esiste quindi una proprietà capace di neutralizzare la tossina: è l’antitossina. Basta iniettare una tossina a un animale per vedere svilupparsi un’antitossina nel suo siero. Gli esperimenti condotti dai due scienziati sulle tossine della difterite hanno permesso di approntare una terapia: la Sieroterapia, che ha reso particolari servigi nella lotta contro la difterite, fino allora il terrore delle madri (V. Roux). Behring è stato il primo a dimostrare che la tubercolosi dell’adulto non è, il più delle volte, che il secondo stadio di una tubercolosi risalente all’infanzia e che lo scoppio di questa malattia è dovuto a tutta una serie di cause secondarie, quali la fatica, la gravidanza ripetuta ecc. Teoria che completa quella di Villemin (v.q.n.). Ha ricevuto nel 1901 il Premio Nobel per la fisiologia e la medicina. BELFANTI Serafino. Immunologo e batteriologo italiano, (Castelletto Ticino 1860 – Milano 1939). Nel 1895 pubblica il lavoro "Sulla natura dell'antitossina Difterica", prodotta dall'Istituto Sieroterapico Milanese (ISM) da lui fondato nel 1894 per iniziativa della Società Medica lombarda e per le offerte di Enti morali e di privati benefattori. E’ di quest’anno inoltre la trasformazione in Ente Morale (Decreto del 19 aprile) con l’obiettivo di provvedere direttamente alla preparazione di sieri, dei vaccini e dei prodotti biologici in generale, a scopo medico e tecnico, e di promuovere gli studi relativi, allo scopo di perfezionare ed aumentare le pratiche di applicazione, “nell'interesse dell'umanità e della Patria”. La spinta che porta alla nascita di questo istituto, per iniziativa dell'Associazione medica, è l'assoluta necessità di produrre il siero antidifterico, in modo tale da poter garantire la sieroterapia anche alle classi meno abbienti. Nel secolo XX l'Istituto avrà una

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valenza non solo scientifica ma anche sociale. Durante la prima guerra mondiale, con la necessità improvvisa in cui si troverà l'Italia di procurarsi direttamente il materiale medicamentoso, l'Istituto ospiterà per tre anni e mezzo il laboratorio dell'ospedale militare, e in quegli anni verranno esaminati ben centomila campioni di materiali patologici, verrà intensificata la ricerca e la produzione tanto che le mille dosi di siero antidifterico diventeranno 190.000, le mille dosi di siero antimeningococcico 24.000 e così via. Un valido contributo alla scienza verrà dall'Istituto con le oltre trecento pubblicazioni di studi e ricerche, di cui quasi un centinaio ad opera personale del prof. Serafino Belfanti. Direttore scientifico dell’ISM, negli anni ’20, sarà il prof. Camillo Golgi, primo premio Nobel italiano per la medicina. Queste opere, assieme ai libri antichi della biblioteca del Belfanti sono attualmente conservati nella biblioteca della Svas Biosana. Le pubblicazioni più importanti dell’ISM saranno la rivista "Terapia" (edita in 35.000 copie, distribuite gratuitamente ai medici d'Italia e che tratta la parte pratica della sieroterapia), e il "Bollettino" , un mensile che raccoglierà la parte scientifica pubblicando lavori originali di batteriologia ed immunologia. BELL Charles. Fisiologo scozzese (Edimburgo 1774 – Worcester 1842).Rimasto orfano del padre, della sua educazione si fecero carico la madre e il fratello maggiore John. “C’era in ogni membro della mia famiglia - scrisse – una fiducia, una indipendenza che io acquisì per imitazione. Si parla molto dell’educazione, e se ne dimentica l’esempio, questo è tutto”. Diventato chirurgo stimato e professore all’Università di Edimburgo, John fece del fratello Charles il suo allievo. L’adolescente ad appena diciotto anni pubblicò un “Manuale di dissezione”, illustrato con tavole incise coi suoi disegni, e collaborò all’opera del fratello:” L’anatomia del corpo umano”particolarmente interessata allo studio del sistema nervoso, di cui all’epoca si conosceva molto bene l’anatomia, ma male il funzionamento. Nel 1804, si reca a Londra, dove cerca, senza successo, di farsi una clientela. Per un anno vegeterà nell’isolamento e in miseria nera fino alla pubblicazione della sua opera, che avrà un grande successo per la sua novità: “L’anatomia dell’espressione nella pittura”.Non è più sotto l’involucro del corpo reale che affonda illoscalpello ma, in questo singolare libro, nei corpi rappresentati da Raffaello, da Michelagelo. Ecco i sorrisi spogliati della loro carne, le Veneri trasformate in reticoli nervosi, somiglianti ad alberi, ma i dotti discernono ben altro: i primi elementi di una scoperta che l’autore stesso evoca senza poterla nominare. Nel 1807, fa partecipe , in numerose lettere, il fratello John delle sue ricerche nel campo dell’anatomia e delle sue ipotesi: “Io considero, scrive, a proposito del sistema nervoso, gli organi esterni come una classe di nervi distinti dagli altri (ossia da quelli del cervello). Io ne seguo la traccia fino alle parti corrispondenti del cervello e ne trovo un’origine differente. Io prendo cinque tubercoli del cervello come sorgente dei sensi interni, metto in relazione i nervi del naso, dell’occhio, dell’orecchio…. stabilisco in qualche modo una circolazione. In queste investigazioni descrissi numerose connessioni sconosciute fino ad ora. Il mio scopo non é di pubblicarle ma di farne lezioni per i miei amici, in modo che tutta la città ne parli: é la sola novità in anatomia dai tempi di Hunter.” Nel 1811, decide di stampare il suo “Abbozzo di una nuova anatomia del cervello” (Idea of a new anatomy of the brain). L’opuscolo non incontrò che indifferenza in ambito scientifico. Sembra allora che Bell voglia rinunciare a dar seguito alla sua scoperta. Si sposa. Con la modesta dote di sua moglie acquista parte di una scuola privata per l’insegnamento della medicina, nota a Londra con il nome di “Scuola hunteriana di Great Windmill Street”. Giorno dopo giorno, cerca utili relazioni, consolida la sua reputazione di professore e pratica la chirurgia nel grande ospedale del Middlesex. Era conscio che le sue idee sull’anatomia del sistema nervoso non potevano progredire se non con la sperimentazione, che però

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non poteva praticare sui malati affidati alle sue cure. Quando lo si invitò, nel 1815, ad unirsi all’esercito di Wellington in Belgio, alla vigilia della grande battaglia di Waterloo, non esitò. Un campo di battaglia sarebbe stato un tragico ma unico terreno di esperienze e di osservazioni. Lo vediamo sulla “triste pianura” in campo britannico, carico di feriti francesi ammassati dopo la battaglia. Dalle sei del mattino alle otto di sera, opererà senza interruzioni, i suoi abiti intrisi di sangue e non nascondendo l’ammirazione che egli provava per “il coraggio di quei soldati francesi dalle rigide figure, dagli occhi malinconici, dal colorito bronzeo la cui gaiezza caratteristica riprende presto vita, uomini capaci di marciare senza fatica dall’ovest dell’Europa all’est dell’Asia”. Alcuni passaggi delle sue lettere fanno pensare alla “Battaglia di Solferino”che, come scrisse Henry Dunant, quest’altro testimone di un grande massacro della storia “ A tutte le glorie di Waterloo si associarono sempre, ai nostri occhi, accenti supplicanti, grida strappate a nobili coraggi, espressioni di moribondi…” Sei anni dopo, facendo una sintesi delle sue ricerche, Charles Bell scrive una memoria “Sui nervi”ed ha il privilegio di leggerla davanti alla Società reale di medicina. Questa volta, il successo è totale. Scrive al fratello John: “Finalmente posso convincermi di non essere un visionario. La mia scoperta mi porrà a fianco di Harvey (….). Questa questione dei nervi resterà per molto ancora quella che è ora prima che possa diventare quella che deve essere: ma la mia ambizione gode all’idea consolatrice che la mia é la scoperta più importante fatta finora in ambito anatomico (…) E io non sono al termine ….” In cosa consiste questa scoperta? Sta nella distinzione dei condotti nervosi( per il movimento e per il senso). Scoperta dovuta al ragionamento e all’osservazione. Bell si è detto. “Io voglio che la mia mano muova, e la mia mano obbedisce. Occorre perciò che dal mio cervello, che ha trasmesso l’ordine alla mano che l’ha ricevuto, una forza centrifuga abbia circolato per mezzo di un condotto nervoso. Ma ecco che un’altra volta la mia mano, accostatasi al fuoco, ne senta la bruciatura, sensazione immediatamente trasmessa al cervello, che avverte il pericolo. Bisogna quindi che dalla mia mano e dal mio cervello, dalla periferia la centro, abbia agito una forza centripeta. E’ lungo lo stesso condotto nervoso che le due forze, dirette in senso inverso, sono state trasmesse? La ragione si rifiuta di crederlo e opta per due specie di condotti nervosi, gli uni sensitivi e gli altri motori.” Alcuni esperimenti sostengono l’ipotesi. Bell dimostra, in particolare, e in modo inequivocabile, il ruolo propulsore delle radici rachidiane anteriori, nozione presto confermata da Magendie, che scoprirà a sua volta la funzione sensitiva delle radici posteriori.Nel 1820 Bell è titolare della cattedra di anatomia ad Edimburgo occupata fino allora dal fratello, poiu deceduto. “ Non c’è che una città, scrisse lasciando Londra, dove io possa sperare di continuare una vita scientifica: Edimburgo.Devo tentare. Se trovo lo stesso spirito di bassezza, addio ad ogni insegnamento pubblico; che altro potrei fare se non lasciarci le ossa?.” Ritornato cittadino della sua città natale, Bell resta disilluso. Qualche anno più tardi, si reca in Italia attraversando la Francia. Prepara una nuova edizione del suo “Anatomia dell’espressione” e vuole rivedere i capolavori che gli hanno ispirato l’opera sua. Ovunque, a Parigi, a Lione, a Montpellier, a Marsiglia, a Genova, a Bologna, a Roma viene accolto da grande uomo, “Nemo profeta in patria.”, dirà. Al suo ritorno, dopo aver trascorso qualche giorno in campagna, nei dintorni di Worcester,muore improvvisamente. Bell ebbe il torto di compararsi a Harvey, di lui più vecchio di due secoli, il grande scopritore della circolazione del sangue. Ben altra circolazione quella da lui scoperta, quella ancora misteriosa dell’anatomia ! La scienza inglese brillerà di un particolare bagliore. BERENGARIO Iacopo (Carpi, 1460-1536) professore di anatomia a Padova e a Bologna, contribuisce in modo determinante ad arricchire il sapere anatomico e a

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dirimere errori che si erano trascinati per secoli, soprattutto perché fondati sullo studio dell'anatomia animale, come nel caso della cavità uterina, che solo intorno quest'anno comprese essere unica e non bicorne come nei piccoli mammiferi. Attraverso iniezioni di acqua nella vena renale Berengario, che è sperimentatore e non solo osservatore, scopre che il liquido iniettato non si riversa subito nel bacinetto renale ma ne raggiunge il lume attraverso le papille, che egli evidenza sezionando il rene dalla parte concava. A Berengario va riconosciuta anche la priorità nell'aver negato l'esistenza nell'uomo della formazione definita da Galeno come "rete mirabile“: "Poiché ho buoni occhi e mani e strumenti adatti a separare la dura madre dal cranio e ho sezionato numerosi crani [...] senza trovare questa rete [...] devo concludere che Galeno è in errore poiché [...] molte volte ho inserito un piccolo stilo nelle arterie che ascendono sopra la dura madre, situate vicino ai nervi ottici, e ho trovato che lo stilo penetra direttamente verso il basso attraverso queste arterie, senza ostacoli, fino alla base cranica; e se queste arterie si dividessero in tale rete al di sopra della base del cranio, come afferma Galeno, lo stilo non potrebbe penetrare nelle arterie fino alla base cranica perché la rete costituirebbe un ostacolo. Per questa ragione, affermo che questa rete in quel luogo non esiste”. A Berengario si deve anche la riscoperta delle vescicole seminali, già osservate da Erofilo e poi da Galeno, ma successivamente dimenticate per secoli, e che lui definisce "raccoglitori di sperma". BERNARD Claude. Fisiologo francese (Saint-Julien, Rhone 1813 – Parigi 1876). Figlio di un vignaiolo nasce nelle vicinanze delle celebri colline del Beaujolais. Si può ancora visitare la sua casa natale, di modeste dimensioni, fiancheggiata a sinistra da un orto e a destra da un fitto bosco.Col bel tempo, si possono distinguere le cime innevate delle Alpi. Ha iniziato i suoi studi nel suo villaggio, sotto la guida del curato. Li ha proseguiti poi al collegio di Villefranche-sur-Saone, poi a Thoissy, nell’Ain. Dovette interrompere gli studi a causa del fallimento del padre, il quale si mise alla ricerca di un impiego per il figlio diciassettenne. A Lione gli trovò un posto di commesso di farmacia; impiego che il giovane, che un giorno avrebbe rivoluzionato la medicina, giudicava umiliante. Tutto lo rattristava e lo disgustava. Non poteva sopportare l’odore della “treriaca”, panacea oggi completamente abbandonata, la cui composizione conteneva quasi sessanta elementi ognuno dei quali più nauseabondo dell’altro. Il commesso non pensava che alla letteratura. Credeva di avere talento. Un vaudeville, “La rosa del Rodano” aveva trovato una buona accoglienza da parte di un ristretto numero di estimatori. Si gettò nella tragedia, compose in versi alessandrini una piece in cinque atti, in stile rigorosamente classico “Arturo di Bretagna” e aspirando alla gloria, prese la strada per Parigi, garantito da una lettera di raccomandazione per uno dei più celebri letterati e politici del tempo: Saint-Marc de Girardin. Indirizzò una copia della sua lettera al personaggi, poi andò a trovarlo. Il giudizio fu sfumato: “ Ho letto il vostro pezzo, signore. Avete lo stile, la tecnica … non ho trovato in questi cinquemila versi un solo errore di prosodia. Ciò che vi manca è l’essenziale: il senso della drammaticità …. Ma ditemi, che cosa avete fatto sino ad ora?” “Ero impiegato in una farmacia” “Farmacia?” “E non avete ambizioni? Orbene! Tentate con la medicina” Claude Bernard segue il consiglio e si iscrive a questa facoltà. Ha come maestro Magendie. E’ un uomo di difficile approccio, arrogante, sempre arrabbiato e che davanti alla mortalità che si accanisce nei reparti dell’Ospedale Maggiore, fino a ruggire:”Se venissero scacciati tutti i medici da qui, si morirebbe di meno” Può essere che Magendie non creda alla medicina? Ci crede, ma non a quella praticata da questi sognatori che non fanno che parlare di sistemi, e contrappongono il “vitalismo” al “materialismo”, la scuola di Parigi a quella si Montpellier. Magendie conosce il fatto nudo e crudo, non vuole sentire parlare se non di “medicina

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sperimentale”. Se abbandona il campo proprio della scienza medica, non si rivolge alla filosofia ma verso altre scienze affini come la fisica e la chimica. “Un medico, scrive, che non chiama in suo aiuto la chimica o la fisica e non è votato alla difficile arte della sperimentazione sugli animali, e molti ce ne sono, non vede in un insieme di malati che persone più o meno sofferenti, moribonde, convalescenti, o semplicemente dei clienti…” Nei suoi corsi di clinica ripeteva sovente:” Io ho gli occhi, ma non le orecchie!”. La maggior parte degli allievi Magendie sceglieva come preparatori non li teneva con sé per più di un mese, ma Claude Bernard,per sua natura paziente e flemmatico, sapeva sopportare gli inconvenienti dell’impiego. Magendie riconobbe presto in questo giovane il futuro maestro. Le sue mani erano abili nella dissezione, il suo spirito curioso di tutto, cercava nel campo dell’anatomia ciò che altri ritenevano come acquisito.I complimenti erano particolarmente graditi in quanto venivano da Magendie, un “positivo, uno sperimentatore nato” da uno che non poneva la domanda sull’origine degli esseri, sulle fonti della vita. , Un giorno gli disse:” Io vi prendo come preparatore ai miei corsi al Collegio di Francia. Trovatevi domani mattina alle otto in rue Saint-Jacques.” Questi corsi di Magendie tenuti nel vecchio Istituto fondato da Francesco I, santuario della libertà di pensiero, non erano corsi magistrali ma esperimenti di laboratorio fatti a braccio e commentati.Una sessantina di studenti e di “gente di mondo” assistevano, con Magendie, a un lavoro di esplorazione per mezzo dell’anatomia, della fisiologia,della patologia umana e animale. Spesso il corso mutava in dialogo, di cui Bernard era il principale interlocutore. Davanti a una delle sue risposte pertinenti, che erano già la dimostrazione di un sapere più ampio: “Va bene! Tu sei più forte di me….” Claude Bernard era lontano dall’essere una bestia in concorso. Non ebbe mai il bernoccolo degli esami. Al concorso di interno si classificò penultimo.Fu bocciato all’aggregazione. Disfatte che nel corso degli anni ogni genere di onori, i più alti, fecero dimenticare. Nel 1843 difende la sua tesi su “Il succo gastrico e il suo ruolo nella nutrizione”. E’ uno studio importante che apre il cammino alla identificazione della maggior parte dei succhi intestinali e pancreatici. Claude Bernard ha sempre avuto il proprio laboratorio. Il primo si trovava nel passaggio Commerce-Saint-André-des Arts, una viuzza del quartiere dell’Odeon. Si stabisce poi in rue Saint-Jacques,a metà strada tra il suo domicilio e il Collegio di Francia. . “Miserabile tana, ha scritto Henry Mondor, in cui non andrà alcun cliente…. “ e Renan:” Là in mezzo a spettacoli disgustosi, respirando l’atmosfera della morte, trova i più intimi segreti della vita, e la verità che uscendo da questo triste ridotto stordiscono tutti coloro che sanno vedere…” Bisogna figurarselo: il suo cappello a cilindro in testa, un grembiule bianco da macellaio adattato alla redingote, le mani nude immerse nelle viscere di un cane morto o nello stomaco di un uomo, trafugato con destrezza dall’Ospedale Maggiore. E’, secondo l’espressione di Magendie, “uno straccivendolo della scienza che spazza via tutto ciò che incontra sul suo cammino, con la punta del suo uncino. “Io sono, scrisse lui stesso, di quegli anatomisti che inseguendo con piacere un filetto nervoso la cui carne puzzolente e livida sarebbe per tutti gli altri uomini un qualcosa di orribile…”E’ in questo suo carnaio, i cui odori cadaverici hanno più volte attirato l’attenzione del commissario di polizia, che egli conosce la gioia incomparabile della scoperta, ma breve come la voluttà dell’amore. “Per un capriccio della nostra natura, questa gioia della scoperta tanto cercata e tanto sperata viene meno non appena trovata. Questo non è che un lampo il cui chiarore ci ha svelato altri orizzonti verso i quali la nostra curiosità insoddisfatta si appoggia ancora con più ardore”. Ritorna a casa tardi la sera. Sua moglie, che dicono bisbetica e che avrebbe aizzato i figli ad odiare il padre, questo “crudele vivisettore”, rimproverandogli l’odore infetto che porta sugli abiti, va dicendo pubblicamente che contamina la sua famiglia e la donna di servizio. Si chiude nel suo studio, toglie dalle tasche appunti scarabocchiati e macchiati di sangue, redige uno di quei suoi memoriali di cui l’Accademia delle scienze ammirerà il

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pensiero ed anche lo stile armonioso e chiaro. L’opera scritta di Claude Bernard é immensa. La sola enumerazione, con una breve nota bibliografica, per ciascun titolo, riempie 250 pagine stampate su due colonne. Alcune di queste opere, come la famosa “Introduzione alla medicina sperimentale” che Bergson ha comparato al “Discorso sul metodo” di Cartesio, sono pensieri ampi e di sintesi; altri, certamente i più numerosi, trattano problemi spesso molto particolari, ma che incanalano la scienza verso scoperte di grandissima ampiezza. E’ lui, per primo, a chiamare “mezzo interiore”ciò che sarà l’intermediario fra il mezzo esteriore e l’organismo. In questo mezzo, gli elementi fisiologici compiono le loro funzioni e ogni fase della loro esistenza come in un’atmosfera che gli sarà propria,fatta di liquidi nutritivi (sangue, linfa, succhi,ecc.) dove attingono i loro principi respiratori e alimentari, dove rigettano i residui escremenziali della nutrizione. Mezzo atto a conservare costantemente le suo proprietà fisico-chimiche,necessita di aria e di ossigeno. Tale sarà il ruolo devoluto ai globuli rossi, questi vettori di ossigeno, proprietà che egli ha scoperto per via patologica dell’intossicazione di carbonio. Ha messo in evidenza, proseguendo le ricerche di Bichat, i fenomeni vaso-motori. Il ruolo del sistema nervoso è così apparso in ogni genere di funzioni non riconosciuto prima di allora. Come ha scritto Jean Lhermitte:” Fino in questi ultimi anni l’attenzione dei neurologi si era concentrata quasi esclusivamente sulle funzioni del sistema cerebro-spinale della vita di relazione, e non ci si era per niente preoccupati di questa parte del sistema nervoso le cui manifestazioni infinite penetrano in tutti i nostri visceri; tutti i nostri organi, avvolgendo i vasi sanguigni e linfatici delle loro inestricabili reti per regolarne l’armonia funzionale. Quasi nessuno, tuttavia, ne ignorava l’importanza; quella ci era stata rivelata da Bichat (1820). La scoperta delle ghiandole a secrezione interna da parte di Claude Bernard e Brown-Sèquard ha trascinato la scoperta del sistema organo-vegetativo. La neurologia non è più soltanto cerebro-spinale; è diventata così la scienza delle funzioni simpatiche, cioè degli apparati nervosi che regolano la vita dei nostri tessuti, dei nostri vasi, delle nostre ghiandole e, in una certa misura, della nostra vita psichica. (Enciclopedia francese). Incidendo un punto del bulbo Claude Bernard,( è questa l’origine della sua scoperta, e possiamo dire, l’origine di questa scienza del XX° secolo: la psicosomatica) ha provocato la comparsa dello zucchero nelle urine,e qualche tempo più tardi un esperimento gli dimostrava che agendo sui nervi di alcune ghiandole si può modificare localmente la composizione del sangue venoso nell’organo preso in esame. In tutta l’opera di Claude Bernard, gli errori sono minimi: gli si può rimproverare di avere sottostimato le osservazioni di Pasteur nel campo della microbiologia, e una delle sue lettere, dove sorride di questa “ricerca della bestiolina” è il solo caso dove la sua lucidità fa difetto. “In trenta anni, fece di più Claude Bernard che cinque generazioni di scienziati. La sua opera scientifica è immensa, prima per le sue scoperte, di cui una sola basta alla gloria di un uomo e che restano le basi definitive sulle quali poggia la fisiologia contemporanea. Forse è ancora più grande per l’intuizione i cui chiarori illuminano il suo campo d’azione e rivelano orizzonti insospettati. Queste terre sconosciute, non le esplorava lui stesso, ma le designava; ed è verso quelle che noi tracciamo il nostro solco.” (P.Mauriac. Libera storia della medicina francese, Stock ed.). Mentre le scoperte scientifiche di Claude Bernard sono state un po’ superate, come Cortés superò Colombo nella scoperta dell’America, la parte teorica della sua opera,soprattutto quella che si trova nel suo “Introduzione alla medicina sperimentale”, non cessa di essere utilizzabile, e i suoi aforismi non sono invecchiati. BERT Paul. Fisiologo e uomo politico francese (Auxerre 1833 – Hanoi 1886). Dottore in medicina e in scienze naturali, insegnò zoologia alla facoltà di Bordeaux, in seguito fisiologia alla facoltà di Parigi e alla Scuola di Studi superiori. Dopo la guerra del 1870 si

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orienta verso la politica; viene nominato prefetto del Nord, viene eletto nel 1872 deputato della Yonne, dipartimento dove verrà costantemente rieletto. Vota con i repubblicani radicali e prende parte a tutte le riforme nel campo dell’insegnamento: é il principale artefice dell’insegnamento laico gratuito ed obbligatorio. Ministro della Pubblica Istruzione nel Governo Gambetta (1881 – 1882) viene nominato nel 1896 governatore generale dell’Annan e del Tonchino. E’ nell’esercizio delle BICHAT Marie Francois – Xavier. Anatomico francese (Thoirette. Jura, 1771 – Parigi 1802) . Fece i suoi studi al Collegio di Nantes, poi presso i gesuiti di Lione e, cominciò, nel 1791, nella stessa città, a praticare la medicina. Fu allievo di Antoine Petit. Nel 1793, dopo Lione, si stabilì a Bourg, dove seguì i corsi all’Ospedale, indi andò a Parigi unendosi agli allievi del celebre chirurgo Dessault. Si fece notare dal suo maestro per i resoconti delle lezioni del giorno prima, come venivano redatti in quella scuola di medicina. Ormai Dessault era legato a Bichat da un sentimento di paterno affetto. La vita di Bichat, così breve, perché morì all’età di trentun anni, fu sempre attivissima. Assicurava il servizio di chirurgia esterno all’Ospedale; visitava gli ammalati di Dessault, lo assecondava durante gli interventi chirurgici; redigeva le consultazioni richieste per iscritto da ogni parte della Francia. Riuniva le osservazioni, i documenti che sarebbero serviti nei futuri corsi e passava buona parte della notte a fare autopsie. Quando Dessault morì, peraltro in modo misterioso,si parlò di avvelenamento criminale, il 1° giugno 1795, Bichat pubblicò il quarto volume del “Giornale di Chirurgia” di questo grande scienziato. Nel 1799, curò la pubblicazione dell’ultimo volume delle opere del maestro, “Nuove considerazioni sulle malattie delle vie urinarie” Durante il periodò che lavorò con Dessault, Bichat fondò, con numerosi colleghi, fra i quali Corvisart,una società che avrà un peso nella storia della medicina, “La società medica di emulazione”, che pubblicherà i lavori di Bichat: “Descrizione di un nuovo tipo di trapano”, “Le fratture dell’estremità scapolare della clavicola”, “Descrizione di un nuovo procedimento per la legatura dei polipi”. Nelle sue “Memorie sulle membrane sinoviali delle articolazioni”, espone ciò che sarà la parte più importante delle sue scoperte, ossia lo studio dei tessuti fisiologici, fra cui le membrane.. Il suo “ Trattato sulle membrane”fu oggetto della sua tesi discussa nell’anno 1800. Stando al giudizio dell’autore era un “opera considerevole”in cui allegava il metodo di Haller e di Spallanzani unitamente alle vedute grandi e filosofiche di Bordeu. Si ricorda che Bordeu era un vitalista della Scuola di Montpellier, i cui argomenti pur essendo poco originali risultarono però interessanti trattando della regolazione ghiandolare ed il ruolo del tessuto connettivo. Claude Bernard lo terrà in considerazione come terrà in considerazione Bichat, entrambi appartenenti alla medesima scuola di pensiero. Nella sua “Introduction” Bichat ricorda che molto si é già fatto per la descrizione degli organi, ma che niente si è tentato in merito all’analisi dei tessuti, di cui sono fatti gli organi, se non da Bordeu, autore del “Tessuto mucoso o cellulare”. Pinel ha riconosciuto che le membrane presentano in queste malattie , sia nei fenomeni morbosi e nelle lesioni, differenze marcate. Differenti allo stato patologico, queste specie di tessuti lo sono anche allo stato normale, da qui la necessità di sottoporre a un esame particolare e comparativo. Per primo Bichat ha proposto una classificazione delle membrane, distinguendo le membrane “semplici”, la cui esistenza isolata non si lega che in rapporto indiretto di organizzazione con le parti vicine; le membrane “composte”, risultanti dall’unione di due o tre membrane semplici. Divide le membrane semplici in tre grandi classi: le mucose, le fibrose e le sierose. Poi distingue i tessuti ossei, muscolari, tendinosi, elastici, cellulari. Esaminata così, l’anatomia cessa di essere puramente organica, diventa generale, poiché ogni tessuto può partecipare alla costituzione di più

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organi ed è per questo che Bichat chiama “anatomia generale” lo studio dei tessuti considerati isolatamente. Egli è il vero fondatore dell’anatomia scientifica, e per contro, dell’istologia (studio microscopico dei tessuti e delle cellule che li costituiscono). Bichat non è solo anatomista ma è anche fisiologo. Ha formulato la dottrina delle proprietà vitali in questa celebre definizione:” La vita è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte”. Come ha scritto Henri Mondor : “Grazie a quest’uomo di sorprendente genialità, secondo i suoi successori più grandi, Claude Bernard per esempio, il corpo umano non è solamente una serie di organi; ha saputo considerarlo, se non a ridurlo, nei suoi elementi semplici, i tessuti, e mostrare la distribuzione generale di questi e le loro affinità patologiche.” BOE Francois, detto Sylvius. Medico e anatomista olandese (Hanang Hesse, 1614 – Leida 1672). La sua famiglia era di origine francese, attestata dal suo vero patronimico: Du Bois, da cui l’olandese Boe. Insegnò a Leida. La sua farmacopea è soprattutto chimica e fece grande uso di sostanze forti,di moda ai suoi tempi, benché la loro efficacia sia stata riconosciuta come nulla: l’antimonio, di cui scrisse: “che raffina il corpo come raffina l’oro…” Sebbene condivise molti degli errori del suo tempo, fu un grande clinico, pervaso dall’idea che è al capezzale del malato che la medicina può progredire, grazie alle osservazioni ed alle esperienze quotidiane. Ha tracciato queste linee guida esemplari: “io ho condotto i miei studenti per mano, iniziandoli alla pratica medica, servendomi di un metodo sconosciuto a Leida, che consiste nel portarli ogni giorno a visitare gli ospedali, esponendo loro i sintomi delle malattie, facendo loro sentire i lamenti dei malati, richiedendo loro un parere circa le cause, le cure da somministrare razionalmente per ogni caso specifico e le ragioni del loro parere. Hanno potuto vedere i felici risultati quando Dio ha affidato alle nostre cure la guarigione di un malato; hanno inoltre potuto assistere all’autopsia del corpo umano quando il paziente ha dovuto pagare l’inevitabile tributo alla morte…” Fu uno dei primi ad accettare l’opinione, diffusa da Harvey, circa la circolazione del sangue. BOERHAAVE Hermann. Medico e chimico olandese (Voorhout, vicino a Leida 1668 – Leida 1738). Fu prima dottore in filosofia (1690), poi si orienta verso la medicina e nel 1693 consegue la laurea. Diventa professore a Leida. Le sue lezioni attirano folle enormi di studenti e di medici, al punto che bisogna, per accoglierli, allargare i muri della città. Diventa una delle personalità più famose d’Europa. Un mandarino cinese gli scrive da Nanchino: “Signor Boerhaave, medico in Europa”, e la lettera gli arriva senza alcun ritardo. E’ il personaggio che Carlo Goldoni, innovatore della Commedia dell’Arte, ha rappresentato nel suo “ Medico olandese nei panni del dottor Bainer”. Boerhaave é un seguace di Ippocrate, il quale considera che la teoria deve essere il prodotto dell’esperienza e che niente é più pericoloso del cammino contrario. Suo maestro è lo scozzese Pitcairne (1625- 1713) che insegna a Leida, dove si mostra avversario irriducibile della dottrina “chimiatrica”, illustrata da Paracelo, pure assai vicina alla verità. secondo tale dottrina tutte le azioni fisiologiche interne, come ad esempio la digestione, sono dovute a reazioni chimiche. Alla dottrina chimiatrica, Boerhaave oppose la “iatromeccanica” (dal greco iatros, medicina) che vede in ogni fenomeno della vita e nei disturbi della salute azioni meccaniche, teoria che, a ben guardare, si potrebbe attribuire anche a Cartesio (Descartes). Oggi di Boerhaave non ci resta più nulla, se non le sue osservazioni, talvolta esatte, sulla patologia umorale, che la medicina d’oggi non ha smentito per quanto riguarda soprattutto i disturbi quantitativi (per eccesso o per difetto) e certi disturbi qualitativi. Storicamente è al centro di battaglie che si sono abbandonate solo alla fine del XVIII° secolo, fra i partigiani delle scuole chimiatriche,

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meccaniche e vitalistiche. La scuola vitalista di Montpellier si è particolarmente scagliata contro di lui. (V. Desault). BORDET Jules. Medico e microbiologo belga (Soignes 1870 – Bruxelles 1961). Allievo dell’Istituto Pasteur di Parigi, è autore di importanti lavori sulla immunità e la sierologia. A lui e al suo collaboratore Gengou dobbiamo la “reazione di fissazione di complemento” che ha per obbiettivo quello di scoprire nel siero la presenza o l’assenza di una sensibilizzazione data e, per conseguenza, dell’antigene – o microbo – che lo ha generata. E’ una delle forme di siero-diagnostica. (V. Widal) Ha ricevuto nel 1919 il Premio Nobel. BORDEU Théophile. Medico francese (Iseste, Basses-Pyrénées 1722- Parigi 1776). Studente alla facoltà di Montpellier, consacrò la sua tesi alla “Sensibilità generale” Vera dichiarazione di guerra alla scuola di Boerhaave (v.q.n.). Esamina la questione, allora molto di moda, degli “spiriti animali” e la considera come ipotesi gratuita, e annovera fra le varie ricerche quelle della “sede dell’anima” che alcuni collocano nel cervello, altri nel cuore, altri ancora nel fegato. Diventato dottore nel 1774, dopo aver presentato, oltre la sua tesi, una “Dissertazione sui fenomeni digestivi” va a Parigi per ricoprire la carica di Sovrintendente alle acque minerali di Aquitania, e redige a Pau le “Lettere in lode delle cure termali”, lettere non destinate agli scienziati ma alla gente comune, che ne apprezzano lo stile leggero, anche se a volte enfatico, ed il suo spirito. Ai medici indirizza le sue “Ricerche sulla posizione e l’azione delle ghiandole”. pubblicate dopo il suo ritorno a Parigi, dove conta di stabilirsi definitivamente. Le sue idee su questo delicato capitolo della fisiologia , spesso si rivelano giuste. Affronta il problema della secrezione, che considera come una vera elaborazione chimica, una specie di ”fabbrica” che produce un liquido particolare. Quest’opera lo mette in contatto con gli scienziati e i letterati del suo tempo. Diderot gli presta attenzione e lo introduce nella cerchia dei redattori dell’”Enciclopedia”, dove redigerà alcuni articoli relativi alla medicina, sulla “crisi”, per esempio, dove ammette, con gli Antichi, una specie di armonia in virtù della quale i fenomeni patologici sono il risultato di sforzi combinati e tendenti a ristabilire lo stato normale. Ma nega che la crisi venga a periodi regolari. La dottrina dei “giorni critici” non gli sembrava che avesse altro fondamento che il valore mistico attribuito ai numeri da parte dei pitagorici. Perché possa esercitare a Parigi gli occorre un nuovo dottorato. Si sottopone alla prova e propone alla commissione tre dissertazioni in latino:”La caccia considerata come l’esercizio più igienico”, “L’uso delle acque minerali di Aquitania nelle malattie croniche”, “Il concorso di tutte le parti del corpo nella digestione”. Diventa dottore per due volte. I medici della capitale non vedevano di buon occhio la concorrenza e il successo di questo meridionale .Ebbe come principale persecutore un certo dottor Bouvart, uomo bruttissimo, con un viso segnato da una cicatrice che si era fatta, scrisse Diderot, maneggiando goffamente la falce della morte…(da intendersi il bisturi). Bouvart arrivò persino ad accusare il collega di aver depredato un malato che egli stava portando a Baréges e che durante il viaggio era morto. Il calunniatore ebbe molto credito tanto da far radiare Bordeu dall’ordine dei medici di Parigi. Venne in seguito reintegrato nelle sue funzioni grazie a un decreto del Parlamento. Questo episodio non è che uno dei tanti di una guerra dichiarata che vedeva contrapposti, fin dal XIII° secolo, i “vitalisti” di Montpellier agli “organicisti” di Parigi. Bordeu nelle sue opere era troppo appagato dalle parole. Le sue teorie troppo spesso facevano a meno di riferimenti scientifici:”Ogni malattia è un lavoro la cui conclusione è un’escrezione quando sopraggiunge la guarigione. L’arte guarisce le malattie preparando ed eccitando la crisi.

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Ogni parte del corpo è un animale nell’animale…” Ma quando si applica a delle osservazioni di dettaglio, si comporta da vero fisiologo. E’ così che per le sue “Ricerche sul tessuto mucoso o organo cellulare” (1767), apre la porta a Bichat, ed egli stesso la terrà aperta a Claude Bernard. Grazie al buon lavoro di Bordeu, ha scritto Flourens, (v.q.n.), comincia l’anatomia generale. Che fa Bichat nel suo “Trattato di anatomia generale”? Prende un tessuto dopo l’altro e lo studia singolarmente e nel suo insieme. Ciò che aveva fatto Bordeu riguardo al tessuto mucoso. Da dove viene il nome di “tessuto”, con riferimento alle parti originarie e semplici? Viene da Bordeu. Richard, da parte sua, gli ha reso questo omaggio: “Per primo ha fissato l’attenzione dei medici su questa trama particolare dei nostri organi, tessuto generalmente sparso nella nostra economia e che lo si può considerare come il modello o matrice che serve nello stesso tempo a contenere, a legare, a isolare e a formare tutte le parti…”. Del resto, nelle sue “Ricerche sulle malattie croniche” il capitolo relativo ai nervi, di cui ha seguito tutte le ramificazioni in ogni organo, e di cui riconosce i regolatori delle funzioni essenziali, va tenuto in considerazione. Bordeu fu un bravo medico? Possiamo ritenerlo; un medico meno assassino della maggior parte dei suoi colleghi, ed inoltre non spillò denaro a nessuno. In una delle sue lettere si legge: ”Io un giorno dissi a uno dei miei amici che il primo che osò fare un salasso era un uomo ben coraggioso, per non dire di più. Ho visto un monaco che non cessava di fare salassi, dopo averne fatti tre ne faceva un quarto per il semplice fatto che quattro sono le stagioni, le parti del mondo sono quattro, quattro le età della vita, quattro i punti cardinali. Dopo il quarto ne occorreva un quinto perché cinque sono le dita della mano, ecc.”. E’ stato il medico del principe di Conti, del duca di Chevreuse, di Madame du Barry, di Luigi XV stesso. Madame de Lespinasse, che ne apprezzava lo spirito, disse a un suo subalterno:”Non c’è alcuna differenza fra un medico di vaglia e un filosofo sognatore…”. BRAMBILLA Giovanni Alessandro (San Zenone Po 1728 – Padova 1800). A lui si deve lo sviluppo della chirurgia nell'Europa centrale. Arruolato nell'esercito austriaco come chirurgo ed entrato nelle grazie del comandante del suo Reggimento, diventò il medico di Giuseppe II, primogenito di Maria Teresa, imperatrice d'Austria e usò la sua influenza sull'Imperatore affinchè ai chirurghi venisse insegnato il latino, per poter studiare i testi scientifici e per essere quindi messi alla pari dei medici. Nelle università imperiali è ancor oggi infatti presente il simbolo di questa parificazione: due donne che si tengono per mano, che rappresentano, rispettivamente, una la medicina, l'altra la chirurgia, al di sopra di una scritta: " In unione Salus". BRETONNEAU Pierre. Medico francese (Saint-Georges-sur-Cher, Loir-et- Cher, 1778 – Parigi 1862). Figlio di un capo-chirurgo di campagna, non ricevette che un’educazione sommaria. Un sacerdote,uomo brutale, limitato, gli impartì i rudimenti del sapere. Di costui conserverà il più triste dei ricordi. La sua vera educatrice sarà la natura. Il secolo compensa le sue chimere, i suoi nembi intellettuali. Il suo amore per la terra, il gusto per l’erboristeria, lo apprende da Jean-Jacques, quello, preferito, per gli animali, da Buffon. Lo sguardo di questo” ragazzino dall’aria aperta”,come disse Henri Mondor, non si apre meravigliato che sugli alberi, i fiori, gli animali da cortile e della foresta, i pesci che i pescatori prendono pazientemente nelle verdi acque dello Cher. Sarà naturalista! No, medico. Il 14 Frimaio dell’Anno III, la Convenzione ha creato una Scuola di Sanità. All’età di 17 anni viene ammesso in questo vivaio. Uno dei primi uomini che ammira è Cuvier, la cui fama era giunta fino al suo villaggio. Si affrettò a seguire i corsi all’Orto Botanico, incantato dal linguaggio “brillante di immagini e di allegorie” ma soprattutto colpito per il

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prodigioso lavoro di classificazione di cui questo erudito proponeva, ancorché giovanissimo, un primo quadro. La natura, per Cuvier, si organizza, dal pesce fossile all’uomo, dalla felce preistorica all’ultima rosa cara a Redouté. Altro grande uomo che abbaglierà il giovane provinciale sarà Corvisart, uno dei più grandi clinici del tempo e di cui Napoleone Bonaparte, allora giovane ufficiale macilento, senza comando e senza soldi, dirà:” Io non credo alla medicina, ma credo in Corvisart”. E’ alla Charité che Corvisart gli insegnerà anatomia utilizzando i cadaveri del giorno. “Ammiro con quale facilità, scrive a suo padre, le cose che ci appaiono le più ripugnanti ci diventino indifferenti per abitudine: io faccio dissezioni da otto giorni e già dal settimo non provo il minimo disgusto”. Dopo due anni e mezzo di studi, deve riposarsi, stremato dal lavoro. Riprende il cammino verso la sua Touraine. Qualcuno lo porta fino al castello di Chenonceaux, dove regna Madame Dupin, una novantenne ancora molto vivace, vedova di un fattore che ha attraversato senza grande danno, nel suo castello e per sua fortuna, la tormenta rivoluzionaria. La sua memoria non difetta. Come si ricorda di Rousseau! “Come l’avete conosciuto, signora ?”. “Non avete letto le “Confessioni”, giovanotto?.” Il cuore di Bretonneau si entusiasma… Così Jean-Jacques ha camminato su questi parquets color biondo e dal profumo di cera. Sognato in questo immenso parco?Nello stesso tempo, servitore, protetto e per la bella vita che conduceva lì ingrassato come non mai,possibile? Recentemente tradotto da Fouquier, le cui parole lo colpiscono:” Un’arte congiunturale – la medicina – riempita di incoerenze e di falsi in quasi ogni sua parte, sarà alla fine ricondotta a una scienza sicura che può essere chiamata la scienza della vita?”. Nel 1814, grazie all’appoggio di Duméril, la Facoltà di Parigi lo dispensa dei primi tre esami. Dovrà superare il quarto, il quinto, in latino e la tesi. La tesi tratta in particolar modo della antisepsi. In essa leggiamo frasi che sono in sintonia con i principi di Lister e che fanno presagire quelle di Pasteur:” Di tutte le cause che possono aggravare l’infiammazione, una delle più gravi è senza dubbio l’influenza dell’aria, soprattutto se questa è rarefatta. Poco nociva nell’enfisema se a contatto con i liquidi versati o coi solidi privati in parte o in tutto della loro vitalità”. Eccolo dottore. Presto verrà nominato medico all’Ospedale Generale di Tours. Si dimostra clinico notevole; non considera le teorie “a priori”, lo interessano solo i fatti, accumula osservazioni. Una epidemia che infierì nel 1818-19 e che sembra colpisse soprattutto l’intestino, male al quale si è dato, per la varietà dei suoi sintomi, ogni genere di nomi: febbre atassica, adinamica, cerebrale, mucosa, intestinale, attirò particolarmente la sua attenzione. Non vede che un solo malato, colpito da lesioni intestinali molto caratteristiche: sulla tunica interna dell’intestino stigmate alquanto simili a quelle del vaiolo, bolle, ulcerazioni. Per questa malattia crea il termine di “dotienterite” che cambierà in seguito con “febbre tifoide”. Nelle numerose memorie che dedica alla sua scoperta, Bretonneau insiste sul carattere eminentemente contagioso della malattia:” Il materasso sul quale muore un dotienterico, credete che venga bruciato, lavato, arieggiato?”. Il nome di Bretonneau è legato alla febbre tifoide ed anche alla difterite. Ridusse a una sola malattia ciò che attribuiva a molte, e sostituisce a diversi nomi (angina, rosolia, flegmone…ecc.) uno solo nome: “difterite “. Per molto tempo, e fino ai giorni nostri, la difterite, e specialmente nella sua forma laringea (croup) è stata il terrore delle madri. Ostacolata da finte membrane, la laringe non permette che una respirazione sibilante , orribile a sentirsi. Bretonneau comprese molto meglio dei suoi predecessori la natura di questa malattia mortale, tentando, ma invano, rimedi che risultarono solo palliativi; solo la tracheotomia (apertura chirurgica della laringe) permetteva la respirazione e scongiurava il pericolo di morte. Oggi la difterite è estremamente rara e molto meno pericolosa grazie ai trattamenti messi a punto: “trattamento preventivo”, per immunizzazione attiva o passiva, vaccinazione con l’antitossina di Ramon (v.q.n.) diventa obbligatoria al 2° o 3° mese di vita, così come nell’esercito (dove viene associata alla vaccinazione antitetanica e antitifoide)

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trattamento curativo, per mezzo della sieroterapia. Parigi, con voce tonante, vuol ricondurre ogni malattia a fenomeni di origine infiammatoria e digestiva e, senza distinzione, tutte le cure si riducono al salasso e all’utilizzo delle sanguisughe. Bretonneau, al contrario, è sempre più convinto della “specificità delle malattie”: “La specificità delle malattie, scrive, è provata da una tale quantità di fatti che, forse, non c’è verità meglio dimostrata e più feconda… E’ sulla nozione più o meno esatta, netta e confermata, confessata o tacita che ha sempre riposato la diagnostica. La maggior parte delle malattie, senza questa nozione, non potrebbero essere provate e la scelta dei mezzi terapeutici sarebbe sempre opinabile e, lontano dal poter dare un risultato confortante e innocuo. …”Bretonneau era noto per la sua generosità. Un aneddoto: in una grande fattoria di Touraine, mentre esaminava un malato, si davano da fare per mettere insieme 1000 franchi che era l’onorario da lui abitualmente chiesto: biglietti, argento, monete di bronzo. Bretonneau riceve la somma in un sacchetto di tela che nasconde in tasca. Mentre sta per andarsene gli riferiscono che la moglie di un paziente se ne sta andando per via della tisi. Si reca da costei,la conforta. Il caso è disperato. In mancanza di rimedi occorre che la malata mangi e beva del buon vino per sostenersi fino alla fine. Le prescrive buona carne al sangue del buon vino bianco abbastanza dolce al quale si dovrà aggiungere dello zucchero…. osserva la stanza. Tutto parla di miseria. La sua prescrizione suona come una beffa. Non aggiunge altro. Dopo aver lasciato la casa, il marito della malata scoprirà sotto il cuscino una borsa gonfia di 1000 franchi. A Tour non ebbe che pochi allievi: Velpeau e Trousseau sarebbero fra i dieci che gli vengono attribuiti. Velpeau sarà il suo preferito. Con lui compie una scabrosa impresa: scavalcano di notte il muro di un cimitero per dissotterrare bambini morti di croup ed eseguire su di loro l’autopsia in un vicino capanno. Sentono dei colpi di fucile. La cronaca locale parla con orrore di queste “iene umane”, senza dubbio affamate di carne morta. Velpeau sarà uno dei grandi chirurghi del suo tempo. Non cesserà di stimolare il suo maestro ad essere meno modesto o piuttosto meno indifferente di fronte al successo. Bretonneau sembra rifiutare gli onori, le cattedre prestigiose, di tutto si fa beffa. “Con la vostra pigrizia, gli scrive da Parigi Velpeau, dove comincia a farsi un nome, non resterà più niente delle vostre idee, ognuno le sbocconcella a modo suo. Per conto mio vi confesso di essere dispiaciuto di non aver reso pubblico la maggior parte delle cose che io ho appreso da voi,tanto sono vessato, questa è la parola, di vedere ogni giorno i saccheggiatori vantare come fossero nipoti le idee con le quali io ho vissuto e che ho ricevuto da voi….” E Trousseau:”Bisogna, mio caro Maestro, che tutti i vostri allievi e i vostri amici non gridino più, ma urlino la vostra infame pigrizia, voi siete depredato da tutti; voi siete la causa per la quale io ho avuto più di venti discussioni, tanto che Velepau è diventato afono…” Contrariamente alla maggior parte dei medici del suo tempo , che si esprimono con enfasi e, come Broussais, sprofondano la loro ignoranza sotto un effluvio di parole, Bretonneau scrive come dovrebbe scrivere ogni uomo di scienza, con parsimonia e chiarezza. Si farebbe un’antologia esemplare dei suoi aforismi, di cui molti sono in anticipo sul suo tempo: “ Le malattie specifiche si sviluppano sotto l’influenza di un principio contagioso, di un agente riproduttore” “Una moltitudine di infiammazioni sono prodotte da cause materiali estrinseche, da esseri venuti da fuori.” “Un germe particolare, proprio di ciascun contagio, dà origine a ogni malattia contagiosa.” “Penetrando nella nostra economia, i virus si moltiplicano, ciò non impedisce che la quantità di virus successivamente assorbita non eserciti un’influenza sulla sua azione, di modo che al tempo di una epidemia i medici che corrono da un ammalato all’altro, non assorbono che dosi frazionate di virus, arrivando alla conquista di una immunità spesso osservata, generalmente mal compresa”. Bretonneau termina la sua vita a Touraine,facendo giardinaggio e non occupandosi più di medicina se no quando riceveva la visita dei suoi allievi, che andavano a trovarlo a Parigi. Aveva sposato all’età di 79 anni una ragazza di

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18; la differenza eccessiva di età, in un senso come nell’altro, era decisamente ai suoi occhi un pegno di felicità. Questo grande iniziatore della fisiologia e della terapeutica moderna ha circoscritto il suo universo, durante i suoi ultimi anni diuna lunga vita, ai ciliegi e a una giovane donna. BRIGHT Richard. Medico inglese (Bristol 1789 – Londra 1858) Fu medico al Guy’s Hospital. Il suo insegnamento e la notorietà che seppe acquistare gli valsero il titolo di “medico della regina. Dal 1827 al 1836 pubblicò una serie di studi sulle malattie dei reni e legò il suo nome alla nefrite cronica: “male di Bright”. BROCA Paul. Chirurgo francese (Sainte-Fog-la Grande, Gironde, 1824 – Parigi 1880). Professore di patologia chirurgica alla facoltà di medicina di Parigi, professore al laboratorio di antropologia della Scuola di studi superiori, poi all’Istituto antropologico, fondato nel 1876. Fu particolarmente interessato all’anatomia del cervello e alla localizzazione cerebrale di diverse funzioni e facoltà, come quella del linguaggio. Si mette così nella scia di Gall, Bouillaud, Imbert, e soprattutto di Marc Dax che, nel 1836, aveva creduto di poter collocare la facoltà della parola nella regione parietale sinistra. Paul Broca ha potuto precisare, nel 1861, che le lesioni anatomiche responsabili dell’afemia interessano la terza circonvoluzione frontale sinistra. E’ inoltre l’iniziatore della moderna antropologia comparata che, dopo aver utilizzato per lungo tempo le misure antropometriche propriamente dette, ricorse ai metodi di biotipologia, di cui l’etnografia oggi non può farne a meno. Si deve a Broca alcune interessanti e talvolta curiose opere, come “Studi sugli animali” (1860) “Sull’origine e la ripartizione della lingua basca” (1875) ecc. Eletto senatore a vita, morì, durante una seduta del Senato, fulminato da aneurisma. BROUSSAIS Francois Joseph. Medico francese (Saint-Malo, 1772 – Vitry 1838). Nella corte Laverai di Val- de - Grace, a destra entrando,si scorge l’effige di un uomo oppresso da una pila di libri. Un’iscrizione ci rammenta che si tratta di Francois Joseph Broussais “fondatore della medicina fisiologica”. Questi libri ostentati con disprezzo, cosa sono? Simboleggiano la medicina prima di Broussais, la medicina di cui ha fatto il processo nel suo furioso “Esame delle dottrine mediche. Nato in una città di corsari,manifesta, dalla più tenera età, istinti battaglieri. Suo padre, ufficiale di sanità, porta talvolta con sé nei suoi giri a cavallo questo piccolo strillone collerico Al Collegio dei Cordeliers, a Dinan, ha come compagno Chateaubriand, che nota, con ironia, questi ricordo: “Si portavano gli scolari a fare il bagno ogni giovedì come i chierici sotto il Papa Adriano I°, o ogni domenica, come i prigionieri sotto l’Imperatore Onorio. Una volta credetti di annegare, un’altra M. Broussais fu morso da ingrate sanguisughe, imprevidenti del futuro.”Sotto la Rivoluzione si dichiara ardente repubblicano e si unisce ai Blues contro i realisti della vandea. E’ coraggioso, a suo agio in battaglia. Presto colpito da dissenteria, deve cessare di percorrere la impervia via, da franco tiratore, e cedendo al desiderio dei suoi famigliari, impara la medicina negli ospedali di Saint-Malo e di Brest, e ottiene un incarico di chirurgo a bordo della fregata “Renommée”. Poco prima della sua partenza, apprende, da una lettera del Comune, che suo padre e sua madre sono stati massacrati dai vandeani. Sopportò questa prova con stoicismo, ma la sua durezza naturale sarà accresciuta. “La causa, dirà Miquet, alla quale vennero immolati i suoi genitori, che già era quella delle sue convinzioni, divenne allora quella del suo risentimento filiale..” Si imbarcò sull’”Emile” con Surcouf. Una delle sue crociere su il “Bougainville”, altro

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naviglio da corsa, gli precurarono, dopo la divisione, 7450 lire. Arriva a Parigi nel 1799 per guadagnarsi il titolo di dottore. Già, prima di sentire Bichat e Pinel, è interessato alla medicina fisiologica, ossia fondata sull’anatomia, la clinica, che è buona ma che abbisogna ancora che un sano giudizio le lezioni le ricavino dall’esperienza. Broussais, le cui virtù sono tutte di ordine militare,sbaglia però nel giudicare la persona. E’ così che nella sua tesi, consacrata alle “ Sei febbri di Pinel “ (1803), tesi secondo il professor Mondor, più “pinelliana” di Pinel, aggiunge una febbre propria, la febbre “ettica” dal momento che occorreva che il suo lavoro apportasse una novità. Bisogna dire che questa febbre ettica non è che una veduta dello spirito? Diventato medico militare, segue la Grande Armée attraverso l’Europa. Il suo spirito, la sua vitalità sono straordinari; mai stanco, una vanità che promana dal suo viso rubicondo, cure efficaci, elementari, come il salasso, al quale prende gusto. Larrey, questo chirurgo dell’esercito, di cui Napoleone I° dirà:”E’ l’uomo più virtuoso che abbia mai conosciuto”, scrive a proposito di Broussais:”Nell’esercito, nel mezzo del frastuono della guerra, negli ospedali e nei paesi stranieri, non cessa mai di lavorare, di osservare, di scrivere e di professare….” questo medico esercita in ogni luogo o, meglio, indottrina. Nella sua “Storia dei flemmoni o delle infiammazioni croniche” ci sono meno osservazioni e più di un’idea arbitraria, espressa in stile Bossuet:”E’ a causa di un’infiammazione che il maggior numero numero di uomini perisce. Ogni pratico abituato a contemplare le rovine di questo ammirevole edificio, che non ha potuto impedire di crollare, è penetrato da questa verità….” Nominato nel 1814 professore in seconda a Val-de-Grace, subito diventato medico-capo, diventerà ispettore generale di medicina militare, può a suo piacere sviluppare le sue teorie, che non sedussero che gli ignoranti; il suo anfiteatro di rue de Four d’altronde ne è popolato: pseudo-studenti, ma anche oziosi, vecchi malati degli ospedali attirati come i pregiudicati lo sono dalle udienze dei tribunali. Broussais manca della disinvoltura sovrana di un Bichat. Barbuglia, si perde nelle sue note e poi, improvvisamente, si infiamma, parla da tribuno. I passanti si radunano, credendo a una manifestazione politica, ma parole stravaganti, proferite da una voce veemente, li disinganna:”Sovrairritazione, iperinfiammazione e brandelli di frasi definitive come “Colui che non sa digerire l’irritabilità dello stomaco non saprà mai trattare alcuna malattia…”Il miracolo allora si verifica:si plaude al professore come di un altro Frèderick Lamaitre, lo si scorta fino al suo domicilio.Solo i dotti seri hanno un riserva. La dottrina di Broussais pare loro chimerica, ma soprattutto inutile, perché se apporta delle spiegazioni (senza prova) non propone alcun altro medicamento che questo salasso, eredità del XVII° secolo e che ha già ucciso un’immensa quantità di malati e di persone in salute. Broussais, che si raccomanda(chiede l’appoggio) a Bright e a Bichat, di cui è ben lontano nell’imitare il rigore scientifico, non riconosce alla materia vivente che una sola proprietà: la contrattilità. Tutte le altre non sono che una varietà di quella. Questa proprietà fondamentale non può essere messa in gioco che per l’azione di agenti fisici: la luce stimola l’occhio, l’aria i polmoni,il sangue porta l’eccitazione attraverso tutto l’organismo. Se l’eccitazione è troppo debole, c’è la debolezza; troppo forte, ci sarà l’irritazione, e nelle parti irritate, i liquidi arrivando in troppo grande abbondanza, ci sarà esagerazione degli “atti della chimica naturale”, in seguito infiammazione. E’ l’infiammazione che, secondo il suo grado di intensità e gli organi che occupa, produce la diversità delle malattie. Da questo sistema deriva una terapia semplicissima: in caso di debolezza, prescrivere stimolanti, in caso di irritazione eccessiva, dei debilitanti, o piuttosto uno solo:il salasso. Questo salasso, che si crede generalmente una aberrazione dai tempi di Molière , ha infierito più ancora nei primi anni del XIX° secolo e ha trovato il suo apogeo con Broussais. Contrariamente al buon metodo scientifico, Broussais ha subito scelto un sistema, poi ha tentato con degli esperimenti per sostenerlo.

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Uno degli esperimenti è tipico della falsità del suo spirito. Avendo osservato a più riprese che i cadaveri messi a disposizione presentano trasudamento di sangue all’interno dell’intestino, benché questi malati siano pretesi morti da ogni sorta di malattia, ne deduce: sono le vittime di una stessa malattia per eccesso di sangue dovuto all’infiammazione, e i sintomi osservati prima non erano che secondari. Prova perentoria, secondo lui, che una stessa malattia mette a letto l’ottanta per cento dei nostri simili nei cimiteri, il venti per cento di quelli che restano soccombenti alla malattia numero due: la debolezza. Un medico un po’ informato non fa fatica ad attribuire questi trasudamenti di sangue intestinali a l’autolisi delle cellule “post mortem”. Come cavare sangue? Per mezzo delle sanguisughe. Questo animaletto anfibio di cui Broussais, bambino, ha subito i morsi, sarà ormai la sua arma favorita. Diffonde questa opinione che la sanguisuga pompa di preferenza le sostanze più nocive diffuse nel nostro sangue. La domanda di sanguisughe arricchì i farmacisti. Ben presto tutti gli stagni della Francia furono spopolati. Bisogna andarle a cercare più lontano, in Boemia, in Ungheria, sul Baltico. Secondo il dottor H.S. Glasscheib (“Alla ricerca del grande segreto”, la Table ronde, ed.) “Gli ospedali parigini consumarono, solo loro, dal 1827 al 1836 , 5, 6 milioni di sanguisughe all’anno, per un valore di 1 milione e mezzo di franchi. La Francia intera consumava quasi 33 milioni di sanguisughe. In ogni sala di ciascun ospedale di una certa classe, se ne impiegavano 400-500 unità al giorno. Esse venivano conservate in vasi di vetro e aspettavano il momento di entrare in azione. Le si metteva sul ventre dei malati per liberare gli afflussi di sangue della “gastroenterite” malattia immaginaria, per mezzo del loro succhiare…” La fiducia in Broussais fu immensa per oltre venti anni. Verso la fine della sua vita, declinò notevolmente. Gli scienziati del suo tempo osavano, ora che era vecchio, contraddirlo. Laennec gli lanciò, indirettamente, delle frecciate che lo colpirono sul vivo: “I brownisti di Francia rigettano tutto, eccetto il salasso” Andrai, accogliendo il dogma dell’infiammazione, ne fa già “una vecchia moneta senza carattere, che deve essere messa fuori causa”. Broussais, sentendo che la sua gloria scoloriva, tenta di riconquistarla con la frenologia, questa scienza delle protuberanze del cranio inventata da Gall. Contro Rojer-Collard e Victor Cousin, egli si fa avvocato del materialismo.Invano. Non è più ascoltato. Una malattia senza pietà (il cancro del retto) lo attacca. Mostra allora ciò che fu il meglio di se stesso: il coraggio. Giorno dopo giorno, segue il decorso della malattia. Ne annota tutti i sintomi, tutte le impressioni, spesso orribilmente dolorose. “In un libretto con penna a poco a poco meno ubbidiente, tiene il giornale delle sue sofferenze, del suo pronostico, delle proroghe probabili. Di quando in quando, pensa orgogliosamente agli ossequi di Dupuytren, alla loro grandezza d’apoteosi, quando da Saint-Eustache a Pére-Lachaise, gli studenti e gli operai portano pietosamente il feretro sulle loro spalle…(H.Mondor). Il 17 novembre 1838, sentendosi morire, con gesto antico e teatrale, abbassa lui stesso, con un dito, le sue palpebre e spira. BROWN John. Medico scozzese (Lintlaws o Preston, Berwickshire, 1735 – Londra 1788). I suoi genitori, modesti lavoratori, lo mandano a fare l’apprendista presso un tessitore. A sedici anni, è inviato alla scuola “latina” di Dunse e come allievo si dimostra estremamente dotato. Diventa subito istitutore in seconda, poi, precettore in una famiglia di ricchi Scozzesi; ma le sue bizzarrie, presto, lasciano il segno. Si mostra pedante, addormentando i suoi allievi con lunghi discorsi filosofici o religiosi, collerico e già dedito al bere. Avendo risparmiato qualche soldo, si reca ad Edimburgo per dedicarsi allo studio della teologia. Sarà pastore, ma presto la fede lo abbandona, come era capitato a Boerhaave. In questa confusione di commentari (di Edimburgo) delle Scritture, come trovare il Cristo del Vangelo? La medicina, fortunatamente, offre agli idealisti scoraggiati

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dalla Chiesa l’esercizio della prima delle virtù teologali: la carità. E perciò John Brown si impegna nella carriera medica. Essendo povero lo si dispensa dalle tasse di iscrizione. Paga i suoi maestri con il suo zelo e ottiene da loro la stessa stima guadagnata alla Scuola di Dunse. Nel 1765, avendo conquistato i suoi gradi ed essendosi sposato, apre una specie di pensione per studenti di medicina, dove insegna privatamente. Sono dieci, dodici allievi attorno a un tavolo, che ascoltano John Brown che mostra loro tavole anatomiche, legge loro Ippocrate, Galeno, ma soprattutto espone loro le sue idee, sistema che non è ancora che agli inizi, ma che di lì a qualche anno, formerà un tutto coerente, corredato di razionalità e di prove, del resto sospette. Sarà il “brownismo”. Nel brownismo, come in tutti i sistemi in medicina, ci sono molti errori e un po’ di verità. Per Brown, che ha attinto questa idea da Haller (v.q.n.)), gli esseri viventi non differiscono dai corpi organici che per la loro proprietà di essere eccitati. Gli agenti capaci di eccitare i corpi viventi sono di due specie: 1° gli agenti esterni oppure contenuti nelle cavità e nei vasi, ossia gli alimenti, l’aria, il sangue, i liquidi secreti e gli oggetti esterni. 2° certe funzioni del corpo, come le contrazioni muscolari, l’azione cerebrale, che provocano le sensazioni, il lavoro della mente, la passione. Questi agenti diversi costituiscono le potenze “incitanti”, e la loro proprietà fondamentale che mettono in gioco si chiama “incitazione”. L’”incitazione” è il risultato dell’azione delle potenze incitanti sull’incitabilità: è la vita tutta intera. Così, la vita è il prodotto di due fattori, esterno e interno. Da qui due le cause della morte: la cessazione delle azioni eccitanti, l’estinzione dell’incitabilità. La salute dipende da un equilibrio fra i due fattori. Ogni malattia consiste in un eccesso o in un difetto dell’incitazione, “Asteniche” le malattie per l’eccesso contrario. Tutti i problemi della terapeutica si riducono a saper aumentare o diminuire l’incitazione. Le malattie locali non sono che i segni di una malattia generale, le cui cause prime non possono che rapportarsi ai principi suddetti. E Brown per mostrare in modo vivido e simbolico la sintesi della sua dottrina, posa sul tavolo un mappamondo: l’equatore è la stenia grave, le regioni tropicali la stenia, il Mediterraneo e le regioni europee la salute, più a nord l’astenia, il cui termine fatale sarà il polo…. La terapeutica si limita a trovare buoni tonici e buoni debilitanti, non rimedi per la malattia, ma due o tre rimedi per tutte le malattie. Fra i debilitanti, ritiene soprattutto il salasso. Brown sarà il principale responsabile del ritorno in forza del salasso nella seconda metà del XVIII° secolo. Gli eccessi alcolici gettano disordine nella sua vita domestica. Perde i suoi pensionati, si consola con il gin. Lo si ritroverà di mattino presto ubriaco fradicio sul selciato. Qualcuno dei suoi colleghi della facoltà se ne inquieta.Uno di loro, il celebre Cullen, lo raccoglie , gli trova delle lesioni, lo obbliga alla temperanza, così che nel 1779 può pubblicare i suoi “Elenenta medicinae” che sviluppa nelle lezioni pubbliche. E’ questo il principale manifesto del brownismo, tutto teso ad attaccare le altre scuole mediche e che creerà, a tale titolo, in seno all’università molti sommovimenti. Nel 1786, ricade nell’alcolismo e nella miseria; lascia Edimburgo per Londra e pubblica, l’anno dopo, anonimamente, un compendio popolare della sua dottrina, sotto il titolo di “Osservazioni sulla medicina vecchio sistema”. Muore nel 1788, dopo aver ingerito, coricandosi, una dose eccessiva di laudano, come era solito fare tutte le sere. Il browismo ha trovato numerosi adepti, come Broussais in Francia, Resori in Italia, Benjamin Rush in America, che edificò anche lui una teoria che mirava a fare di tutte le malattie umane un’unica affezione: novità apparente, ma in realtà conservatorismo il più retrogrado. Si dovrà attendere Laennec perché l’evoluzione medica fugga da questi nembi e riprenda la sua marcia verso il progresso. BROWN-SEQUARD Charles Eduard. Fisiologo e medico francese (Port Louis, Ile Maurice,1817- Sceaux 1894), Americano da parte di padre, francese da parte di madre. Inglese di nascita, termina nel 1838 i suoi studi a Parigi. Dottore nel 1846 si dà allora allo

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studio delle malattie nervose. Dopo il Colpo di Stato del 1851, parte per gli Stati Uniti, insegna fisiologia a New York, a Richmond (Virginia) poi a Londra, dove, negli ospedali, tratta le malattie d’origine nervosa (paralisi generale, epilessia, ecc.) e occupa una cattedra all’Università di Harvard. Ritornato in Francia, succede nel 1878 a Claude Bernard al Collegio di Francia. Al seguito di Magendie e di Claude Bernard si applica subito alla fisio-patologia nervosa e a completare i lavori di quest’ultimo sui nervi vasomotori, sul sistema vaso simpatico, sul meccanismo della costrizione e della dilatazione dei nervi periferici. La sua principale scoperta porta alle ghiandole a secrezione interna, di cui egli ha, per primo, definito il ruolo e il meccanismo. Dal 1855, Claude Bernard, a proposito dei suoi studi sulla funzione del fegato, aveva riconosciuto che le ghiandole dell’organismo potevano avere due specie di secrezioni: una detta “esterna” che rovesciava per mezzo di un canale nell’intestino o nell’organo cavo; l’altra “interna” collegata per mezzo dei vasi capillari e direttamente proiettata nella circolazione sanguigna per agire sui tessuti e gli organi, per l’intermediazione di questi “messaggeri chimici” ai quali Starling darà il nome di “ormoni”. Non è che nel 1889, più di trenta anni dopo la scoperta del suo maestro, che Brown-Sequard ha potuto affermare il ruolo importante delle ghiandole a secrezione interna e della loro secrezione. Intanto,le funzioni endocrine della ghiandola tiroide erano state precisate prima di lui da Reverdin (1882), Kocher (1883) poi da Graves e Basedow (1885) e Pierre Marie aveva, nel 1886, mostrato il ruolo capitale dell’ipofisi. Oggi si sono isolati più di trenta ormoni principali, di cui la maggior parte sono chimicamente definiti e riprodotti industrialmente per sintesi a fini terapeutici. E’ così che l’uso del cortisone, questo ormone secreto dalla corteccia della ghiandola surrenale, creato sinteticamente dopo il 1943, ha dato risultati spettacolari nel trattamento della poliartrite cronica evolutiva, del reumatismo articolare acuto diffuso, della gotta, ecc. D’altra parte - e in questo ambito i risultati sono meno provati - Brown-Sequard ha cercato di rendere la loro vitalità ai vecchi e agli anemici per mezzo di iniezioni di succo testicolare prelevato dagli animali. Questa medicazione che costituisce l’”opoterapia”, le cui origini risalgono alla notte dei tempi. Conosciuta da Ippocrate, si è trasmessa, fino agli inizi del XVIII° secolo, dove fu molto di moda. Un gran numero di vecchi e di deficenti sessuali chiedevano agli estratti testicolari dei capri o degli scimpanzè, in mancanza di tori, un rimedio alla loro impotenza. I ciarlatani guadagnarono delle fortune. Occorse Brown-Sequard perché questa terapia non fosse più empirica. Difficilmente realizzabile con organi freschi, la medicazione opoterapica riposa su organi disseccati e polverizzati: “polvere d’organi”, soluzioni da iniettare a partire da queste polveri, principi costituenti isolati da certe ghiandole, tali la tiroxina del corpo tiroideo,ecc. Brown-Sequard, che lo aveva individuato nel succo testicolare, fu lui stesso oggetto di esperimento, con risultati che potè dichiarare incoraggianti. Nella storia della medicina, questo scienziato occupa un posto a parte; luogo di incontro di culture scientifiche le più diverse (francese, inglese, americana) mostra nello stesso tempo un rispetto assoluto per la scienza positiva e un abbandono alle teorie le più anticonformistiche, come la Scuola di Claude Bernard aveva insegnato. CABANIS Georges. Medico e filosofo francese (Cognac, Limousin, 1757-Rueil,com. di Seraincour,1808). Ribelle all’educazione dei Dottrinari, religiosi che succedettero ai Gesuiti, cacciato dal regno, è subito condotto a Parigi, dove suo padre, per mettere alla prova il suo carattere, lo abbandona. Il ragazzo si guadagna la vita con lavoretti, riprende i suoi primi studi, legge Locke e i filosofi. All’età di sedici anni, precettore presso una famiglia polacca, nel 1773 si reca in Polonia, ciò che gli permette di assistere alla divisione di questo sfortunato paese e di essere testimone di scene strazianti. Al suo ritorno in Francia, prova la poesia, traduce l’Iliade (1775) senza successo, poi sceglie la

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medicina. Frequenta poco le scuole, segue il dottor Dubreuil durante le sue visite. Tuttavia, è più filosofo che scienziato, più teorico che osservatore. La sua prima opera:”Osservazioni sugli Ospedali”, non è che un pretesto per dissertazioni sulla disuguaglianza umana (1789). Assiste Mirabeau che, nei suoi ultimi momenti non vuole altri medici. Lo si sospetta di aver avvelenato il tribuno. Per difendersi scrive: “Il giornale della malattia e della morte di Onorato-Gabriele-Vittorio Riguieti di Mirabeau” che testimonia soprattutto le indecisioni della sua diagnosi. Alcune precise accuse sono mosse a Cabanis, ma non bisogna stupirsi che una persona come Mirabeau, e in quell’epoca, non potesse sparire senza sospettare il crimine. E’ possibile e verosimile che i rimedi somministrati da Cabanis abbiano accelerato la fine del suo cliente già minato da sifilide, estenuato per i prolungati “bagni di mercurio”: Sotto il Direttorio è eletto membro del Consiglio dei Cinquecento; si fa intimo di Sieyès, sostiene il colpo di Stato di Brumaio e figura nella lista dei cinquanta deputati scelti nelle due camere per elaborare un progetto di costituzione. Bonaparte, per ricompensarlo dei suoi servizi, lo fa senatore e commendatore della Legion d’Onore. Per molto tempo si è giudicato la sua opera scientifica trascurabile. Così, il “Grande Dizionario universale” di Pierre Larousse, pubblicato circa un secolo fa, passa brevemente sulla sua opera. “Il grado di certezza in medicina” (1793) e più brevemente ancora in quest’altra, apparsa nel 1803: “I rapporti del fisico e della morale dell’uomo” (1802) che è stata edita dal dottor Sue, il padre di Eugène Sue, l’autore dei “Misteri di Parigi”, dove si legge, fra le altre riflessioni che “se Condillac avesse meglio conosciuto l’economia animale, avrebbe meglio sentito l’anima che è una facoltà e non un essere” Ma, dopo venticinque anni, la stella di Cabanis è risalita. Così, il professor Delay lo considera come il fondatore della psico-fisiologia. Cabanis ha tentato in effetti di colmare il fossato profondo scavato fra l’anima e il corpo dalla filosofia cartesiana, essa stessa prolungamento della vecchia teologia. Il suo materialismo ateo lo spinge a considerare come un tutto la persona, senza attribuire al psichico e al fisico due nature differenti, l’una mortale e l’altra no. “Il cervello, va persino a scrivere, assimila in qualche modo le impressioni, fa organicamente la secrezione del pensiero. Sul capitolo della terapia, Cabanis accorda il primo posto al “regime”, che non è soltanto alimentare. Il clima vi gioca un ruolo considerevole, così che il modo di vita, le abitudini, le distrazioni, senza dimenticare soprattutto le influenze reciproche che il corpo, per una certa igiene, può esercitare sullo spirito e “viceversa”. A questo riguardo Cabanis è uno dei medici più “moderni” del suo tempo. CAGLIOSTRO Alessandro conte di.. avventuriero celebre, il cui vero nome era Giuseppe Balsamo, e che si fece chiamare successivamente Tischio, Melina, Belmonte, Pellegrini, Fenix, Anna, Harat, infine Cagliostro. (Palermo 1743 – castello di San Leone, presso Roma 1795?). Di umili origini, prese l’abito dei frati della Misericordia, si fece infermiere, poi si elevò fino al grado di medico. La sua cattiva condotta lo fece cacciare dall’ordine, condusse allora una vita di ciarlatano, mettendo a profitto le sue poche conoscenze di medicina. Percorse la Turchia, l’Egitto, la Persia. Ritornato in Europa, fa lo zimbello in tutte le capitali e diventa di moda a Parigi, dove l’alta società si diverte di questo medico che sarà anche mago e un po’ stregone.Il conte Beugnot, nelle sue “Memorie”, ha tracciato di lui questo ritratto:”Era di taglia mediocre, abbastanza grasso, aveva la pelle color olivastra, il collo molto grosso, il viso rotondo, ornato da due grandi occhi a livello della testa e un naso ampio e rivolto all’insù. Aveva tutto del ciarlatano e faceva sensazione, soprattutto sulle signore, quando entrava in un salotto. La sua pettinatura era nuova in Francia: aveva i capelli divisi in numerose piccole cadenette che si riunivano dietro la testa, e si ripiegavano in quello che si chiamava allora catogan. Cagliostro, come Mesmer, sapeva esercitare il suo potere sulle donne sensibili,

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e a maggior ragione sulle isteriche. Non si accontentava di fare il taumaturgo, prediceva il futuro. A più riprese, lo si può vedere in qualche grande casa di Parigi, trasformare un salotto in un tempio misterioso, creare la penombra, mettere sopra un tavolo una boccia di vetro e fare, inginocchiandosi davanti ad essa, una veggenza, generalmente una ragazza esaltata, che gettata in uno stato di trans dallo sguardo del mago, distingueva in questa boccia ogni sorta di immagini dai significati fantastici. (Il fenomeno psichico di cui questa bolla è lo strumento fra le categorie conosciute in psicologia sotto il nome di immagini “ipnagogiche” ossia immagini interiori virtuali che hanno trovato in quelle esterne informi una specie di alimento e di direzione. Leonardo da Vinci ha lui stesso notato il potere che hanno certe muffe del soffitto o dei muri di trasformarsi, con il concorso dell’immaginazione, in mostri, foreste, personaggi, ecc.) Cagliostro è stato associato al movimento framassonico e ha istituito una massoneria “egiziana”. Implicato con il cardinale di Rohan nell’”Affare” del collier della regina, venne incarcerato per qualche tempo nella Bastiglia, poi esiliato (1786). Nel 1789, dopo aver di nuovo percorso l’Europa, venne arrestato a Roma. Il tribunale dell’Inquisizione lo condannò a morte come “illuminato”, pena commutata a carcere a vita. La sua ultima prigione fu il Castello di San Leone. CALMETTE Albert. Medico e batteriologo francese (Nizza 1863 – Parigi 1933). Sogna da principio di fare grandi viaggi e prepara il concorso alla Scuola Navale. Motivi di salute lo inducono a scegliere la carriera del medico di marina. Nel 1881 entra nella Scuola di medicina navale di Brest. Il suo primo viaggio lo compie in Estremo Oriente. A bordo della “Trionfante” nella squadra dell’ammiraglio Courbet, naviga fino in Cina. Facendo scalo ad Hong Kong visita l’Ospedale britannico ed è ricevuto dal celebre Patrick Manson, che gli mostra, al microscopio, il responsabile di una malattia di cui dieci cinesi su cento sono colpiti: la Filaria di Bancroft, agente della Filariosa. E’ il suo primo contatto con il mondo dell’infinitamente piccolo, di cui sarà l’esploratore. Nel 1882 c’è la guerra. Assiste, nell’isola di Formosa, al debellamento del paludiamo, della dissenteria, del colera. I medici militari non hanno niente di efficace da opporre a queste epidemie, mentre a Parigi Pasteur rivela le sue scoperte sensazionali in microbiologia a proposito del colera dei polli. In occasione di un’altra crociera, in Africa, questa volta, può osservare l’effetto di altri flagelli: paludiamo negli europei, malattia del sonno nei neri. Un vecchio missionario l’introduce nel cimitero francese di Libreville.: “Ecco, gli dice, il giardino di acclimatizzazione dei bianchi…”. Qualche tempo dopo incontra il famoso Savorgnan di Brezza, che ha dato alla Francia immensi territori in Africa equatoriale e che prepara allora nuove esplorazioni.:”Seguitemi, dice a Calmette,…. “abbiamo bisogno di un medico…” Per qualche giorno il giovanotto esita, pronto all’avventura, poi rinuncia, comprendendo che il suo destino è altrove, nei laboratori, e che è urgente portare a termine, prima di estendere la colonizzazione, questi rimedi che ne faranno un’opera umanitaria. Terzo grande viaggio, quello verso i ghiacci settentrionali. Il suo vascello deve passare l’inverno a Saint-Pierre-et-Miquelon (1887), nella sua modesta infermeria vengono a consultarlo, si esercita a osservare i microbi che vogliono ben apparire nel campo del suo microscopio. “Senza faticare, scrive, divertendomi, io mi inizio alla tecnologia batteriologica, che ignoro completamente, avendo come guida le sole opere che ho potuto procurarmi…”Ed ecco che il piacere lo prova su una scoperta; riesce ad isolare il germe del “rosso del merluzzo”, disperazione dei pescatori e che rende il loro pesce inadatto al consumo. Il merluzzo non c’entra per niente in questa malattia, che è invece trasmessa da un certo sale dei barili, un sale della costa atlantica…” Nel 1890, passa per la prima volta la soglia dell’Istituto Pasteur, rue Dutot, inaugurato due anni prima, e di cui Emile Roux è l’anima, ora che il grande Pasteur, nel pieno della gloria, e,

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debole in salute, vi appariva sempre meno. Fra Calmette e Roux, c’è un’amicizia improvvisa. Durerà quarantatre anni, fino alla morte di uno e dell’altro, che se ne andranno a cinque giorni di distanza. Ormai, Calmette non sarà che un microbiologo. Quando viene fondato un Istituto Pasteur a Saigon, Calmette ne divente direttore. Adatterà alle condizioni locali la vaccinazione contro la rabbia e la vaccinazione Jenneriana. Come Pasteur aveva fatto per la fermentazione della birra, lui si interessa all’alcol di riso, preparato seguendo antiche ricette cinesi, separando le quarantasei droghe che entrano nella composizione, isola il microscopico fungo che serve alla fermentazione di questi lavori, la produzione dell’alcol in Francia, a partire dai grani e dai tubercoli, trarrà notevole notevole profitto. Il 14 novembre 1894 è nominato direttore dell’Istituto Pasteur di Lilla. Resterà per venticinque anni conducendo parallelamente le sue ricerche di laboratorio e i suoi corsi di batteriologia e di igiene alla facoltà . Si dedica allo studio delle polluzioni delle acque residuali, lotta contro l’anchilostomiasi, affezione parassitaria dei minatori, ma è contro la tubercolosi, campo nel quale è particolarmente famoso, che dispiegherà soprattutto i suoi sforzi. Questa malattia, dianzi chiamata “ftsia”, isolata da Laennec, nel 1819,, poi dimostrata contagiosa da Villemin (1861) e da Koch, che nel 1882, scoprirà il bacillo,che continua a produrre i suoi danni. E’ il principale agente di mortalità nelle grandi città, ed in particolare in quelle del Nord dal clima umido e freddo. Quando Calmette assunse l’incarico a Lilla, gli ospedali rigurgitavano di tubercolotici moribondi. Altri meno visibilmente colpiti, incapaci al lavoro se non in modo episodico andavano diffondendo i loro germi, erano secondo la stima della municipalità, circa seimila su una popolazione di duecentoventimila abitanti. Nel 1901, Calmette crea il primo dispensario antitubercolare, a cui viene dato il nome di Emile Roux, in mancanza di infermiere qualificate, crea una falange di “monitori di igiene volontari” la maggior parte essendo operai o minatori. Le infermiere succedono a loro e si vedono moltiplicarsi in Francia i “dispensari del genere Calmette” Ma come lottare contro la tubercolosi con i metodi pasteuriani? Nel momento in cui Calmette intraprendeva la campagna, la maggior parte dei ricercatori, Behring escluso, considerava che la tubercolosi non poteva contrarsi che per via respiratoria. Conducendo le sue ricerche con Guerin, Calmette è presto persuaso che Behring ha ragione. L’osservazione del bestiame lo convince che la principale via di contagio per le bestie con le corna è digestiva. La seconda osservazione che, questa, lo guiderà verso la sua grande scoperta, quella del vaccino antitubercolare, il famoso B.C.G., osservazione che riposa su il “fenomeno di Koch” sino all’ora senza conseguenza pratica: se si inocula a un porcellino d’India sano una coltura pura di bacilli, un’ulcera persistente si forma nel punto della inoculazione, e l’animale muore tubercolotico. Ma se lo si inocula a un animale tubercolotico, non si produce un’ulcera, tutto al più un semplice albugine. La pelle si necrotizza, lasciando un’ulcera superficiale che guarisce. Cosa si è prodotto? Bisogna ammettere che esiste presso i soggetti colpiti da infezioni da bacilli occulti e latenti uno stato di resistenza alle nuove infezioni. Quando due infezioni si sovrappongono, l’infezione acquisita dimora latente e l’infezione provocata produce un fenomeno di intolleranza nei riguardi dei nuovi bacilli. Già Marfan aveva enunciato, nel 1886, questa legge di esperimento: “ Non si constata mai tubercolosi polmonare evidente e in evoluzione presso i soggetti che, durante l’infanzia, sono stati colpiti da scrofolosi (ossia da adenite suppurata al collo) e che sono guariti prima dell’età di 15 anni…” Calmette, nel mezzo di una grande investigazione (di Marfan) del corpo medico, constata che la legge di Marfan è verificata. Si pone allora la domanda: “Poiché la persistenza nell’organismo di qualche bacillo, pochi numerosi e poco virulenti, pare essere la migliore salvaguardia contro la tubercolosi evolutiva, non si potrebbe ottenere l’immunità tubercolare con l’introduzione nel sistema linfatico, principalmente per mezzo del tubo digestivo, dei bacilli tubercolari vivi, ma privi di virulenza e quindi non patogeni? Ma come

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ottenere questo bacillo inoffensivo? Calmette isola un bacillo coltivato in una patata impregnata di bue glicerinato al 5%: combinazione che è il risultato di mesi di prove, di scacchi e di brancolamenti. Questo mezzo fa perdere al bacillo la sua virulenza: non produce più lesioni tubercolari, ma i bacilli restano tuttavia capaci di creare degli “anticorpi”, cioè energici mezzi di difesa, come farebbero i bacilli tubercolari virulenti. Il 1° luglio 1921 su iniziativa del dottor Weil-Halle, un bambino è sottoposto alla vaccinazione, piccolo essere che si considera fortemente minacciato. Sua madre è morta tisica, e sua nonna, che lo alleva, è anch’ella gravemente colpita. Il bambino crescerà indenne dal male, e dopo osservazioni di molti anni, e la vaccinazione riuscita su 317 altri bambini che , il 25 giugno 1924, Calmette fa alla Accademia di medicina la sua comunicazione memorabile. Dopo la rabbia, la difterite, una delle più mortali malattie al mondo, la tubercolosi, è ora soggiogata! Nel 1928, il Comitato di Igiene della S.D.N., riunito a Parigi, riconosce il B.C.G. (Bacillo Calmette-Guérin) e ne raccomanda l’impiego universale. Nel 1930, è dichiarato obbligatorio in U.R.S.S., poi in Romania, e i paesi scandinavi lo adottarono a loro volta. Non verrà reso obbligatorio in Francia che nel 1950 e non più assunto per via orale, ma per iniezioni sottocutanea. Nel 1930 c’è il dramma di Lubecca. Un microbiologo di questa città tedesca ha ordinato a Calmette un ceppo di B.C.G. Centinaia di bambini vengono vaccinati: soccombono a decine E’ lo sgomento. Calmette e molti dei suoi collaboratori vanno a Lubecca. Viene aperta una indagine giudiziaria. Cosa era successo? Non lo si è mai saputo: errore di manipolazione, certo, ma dove? A Parigi? Più verosimilmente in Germania, dove i ceppi vivi, virulenti sono potuti essere sostituiti ai ceppi attenuati dell’Istituto Pasteur. Il B.C.G. a dispetto di questa catastrofe, ha proseguito la sua marcia, come la strada ferrata nascente dopo il deragliamento di Saint-Germaine. Gli accidenti sono da allora assai rari. Calmette è anche famoso in un campo molto particolare: quello del veleno dei serpenti. A Saigon, numerose casse gli erano state consegnate, nel 1891, contenenti 19 cobra. Il cobra incuteva allora, nelle giungle dell’Estremo Oriente, ed in modo particolare in Indocina, un terrore che era analogo a quello suscitato nelle nostre province dell’Est dal lupo, fino verso il 1880. Ogni anno 20.000 persone e 6.000 capi di bestiame soccombevano ai suoi morsi. L’attenzione di Calmette era già stata attirata dalla virulenza straordinaria del veleno dei cobra: mezzo milligrammo era sufficiente per uccidere un coniglio; un centigrammo e mezzo un uomo. Grazie a questi cobra che gli inviò un generoso donatore, Calmette potè intraprendere un lungo lavoro sulla composizione e i poteri del veleno mortale. Riuscì soprattutto a produrre un vaccino e per mezzo di questo processo, mescolando veleno con ipoclorito di calce, ad immunizzare, in tre mesi, un coniglio contro venti dosi mortali, in sei mesi contro cento dosi mortali. Da allora potè intraprendere la vaccinazione di grandi animali produttori di siero: cavalli e buoi. La sieroterapia antivenifica aveva ormai acquistato i suoi diritti di cittadinanza nella medicina. Essa è oggi adottata in tutti i paesi infestati da serpenti velenosi.

CARDANO Gerolamo. Filosofo, matematico e medico italiano (Pavia 1501 – Roma 1576). Quando si recava al capezzale di un malato cominciava col domandargli il giorno e l’ora di nascita e faceva il suo oroscopo; solo allora si appoggiava sui segreti dell’astrologia, stabiliva la sua diagnosi e redigeva la prescrizione. Aveva nelle sue abitudini compassate, le sue arie misteriose, le sue millanterie, qualcosa del ciarlatano. In realtà Cardano aveva del genio. Ma il suo genio era singolare, inquietante, il suo non conformismo tale, che a più riprese l’ Inquisizione aveva rizzato le orecchie, registrando – secondo fidate testimonianze – che aveva stabilito l’oroscopo di Gesù Cristo, che egli non giurava che per Giambico, questa testa pazza di Alessandria, questo maestro del pensiero di Giuliano l’Apostata che attribuiva ai fiori un’anima, e che l’idea del suicidio lo

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assillava come il miglior modo di morire. In quanto medico, quando abbandonava la sua metafisica quando si metteva a osservare, Cardano si rivela uno spirito fine, penetrante e positivo. E’ lui che, nel 1536, durante una epidemia di tifo esantematico, che colpisce l’Italia, distingue questa affezione dal morbillo con la quale la si confondeva, e lui da il nome subito appropriato di “morbus pulicaris”, ossia malattia trasmessa dai pidocchi. L’idea che il tifo potesse avere il pidocchio come agente di trasmissione non era ancora venuta a nessuno e parve incredibile. Solo nel XIX° secolo lo scozzese Matthews e, dopo di lui, il grande microbiologo francese Charles Nicolle confermeranno le osservazioni di Cardano.

CARREL Alexis Fisiologo e chirurgo francese (Sainte-Foy-les-Lyon 1873 – Parigi 1944) Dottore in medicina (1900) e chirurgia, si stabilisce negli Stati Uniti, diventa professorall’Università di Chicago e, nel 1906, all’Istituto Rockefeller di New York. Realizza interessanti esperimenti sulla sutura dei vasi sanguigni, l’innesto di tessuti e di organi; la sopravvivenza delle cellule, dei tessuti e degli organi in vitro. Ciò che aveva già tentato con successo Harrison (1907) Grazie al metodo messo a punto da Carrel, si possono mantenere in vita frammenti di tessuto, o di organi in modo artificiale. Così un frammento di cuore di pollo, prelevato dall’embrione poté essere coltivato per una ventina di anni. Si constatò, grazie a Carrel, l’immortalità delle cellule messe a coltura. E non solo queste cellule vivevano ma si moltiplicavano dando vita a innumerevoli discendenze, tanto che se ne può conservare la cultura con ulteriori trapianti praticati ad intervalli regolari e gettare il resto. Se si mantiene la massa totale delle cellule discendenti del frammento originale si otterrà , in venti anni, un volume superiore a quello del globo terrestre! Carrel conservando in cultura dei succhi di cellule congiuntive, o fibroblaste, dimostrò che si poteva considerare stabilita la moltiplicazione indefinita di elementi cellulari separati dall’organismo e mantenuto, anche quando questo organismo fosse scomparso da tempo, lo stesso posto nelle condizioni più favorevoli (Encyclopédie francaise, Santé et malarie, t. VI). Nel 1941 creò a Parigi una fondazione per lo studio dei problemi umani. Il suo libro “L’uomo, questo sconosciuto” di contenuto spiritualista ha segnato un’epoca. Nel 1913 ricevette il Premio Nobel. CASSERIO Giulio. Anatomista italiano (Piacenza 1545 – Padova 1616). Praticò e insegnò medicina a Padova.A lui dobbiamo la scoperta del muscolo esterno dell’orecchio (orecchio medio). Scrisse una storia dell’anatomia degli organi vocali e dell’occhio, dal titolo :”De vocis auditusque historia anatomica” (1603) Iniziò come cameriere di Fabricio d’Acquapendente, che sostituì nella cattedra di anatomia. CELINE (Louis Ferdinand Destouches, detto). Medico e scrittore francese ((Courbevoie 1894 – Meudon 1961). Il suo primo romanzo “Viaggio al termine della notte”, notevole per il tono popolare e raffinato a un tempo , per la sua filosofia pessimistica e tuttavia ardente di pietas per la miseria degli uomini, è un romanzo di medicina. Il suo eroe , colui che dice “Io” è il dottor Destouches, medico - per affinità – della povera gente. Il lettore lo segue nei bugigattoli, nel retro dei negozi, nei nascondigli delle periferie degradate. Eccoci a cento leghe dai “grandi padroni” che non vedono la malattia che sotto l’aspetto amministrativo, antisettico degli ospedali, o negli appartamenti decorosi di coloro che possono pagare. Con Céline, è l’orrore delle piaghe infette, il cui odore raggiunge quelle di una cucina tenuta male, la tosse dei tubercolotici cronici, i convogli senza corone verso Thiais o Ivry……

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CELSO (Celsus Cornelius Aulus, detto) medico ed erudito latino del tempo di Augusto, chiamato il “Cicerone della medicina”. Si ignora il luogo di nascita. Alcuni lo situano a Verona, al tempo di Cesare. Aveva probabilmente praticato la chirurgia, che pare conoscesse molto bene. La sua opera principale “De arte medica” venne stampata per la prima volta a Firenze, nel 1498, grazie al Papa Nicola V, e fu tenuta in discreta considerazione. Celso, con Ippocrate e Galeno, sarà il più citato fra i medici dell’antichità. Nella sua “De arte medica” passa in rassegna le sette mediche che lo hanno preceduto. Riteneva che la medicina dovesse essere razionale e che fosse inutile e crudele la vivisezione, come quella che si praticava ai suoi tempi sui condannati a morte, e che le dissezioni dei cadaveri, unitamente alle operazioni chirurgiche, fossero necessarie alla scienza anatomica. Molti dei suoi aforismi sono degni di Ippocrate, e sembrano anticipare la medicina sperimentale: “Io penso che la medicina deve essere razionale non attingendo le sue indicazioni che nelle cause evidenti. La medicina è legata alla teoria, ma deve fondarsi sui fenomeni visibili. Le cause oscure devono essere scartate, non dallo spirito del medico, ma dall’arte propriamente detta.” Fra i suoi consigli - tutti eccellenti – di deodontologia: “ Un medico esperto deve guardarsi dall’impadronirsi, al suo arrivo, del braccio del paziente per tastare il polso ma sedersi vicino a lui, con viso sorridente; si informerà del suo stato, e se gli parrà inquieto o commosso, lo calmerà aiutandolo con argomenti convincenti e solo in seguito gli tasterà il polso. La sola presenza del medico può bastare ad accelerare….” Le sue raccomandazioni terapeutiche sono quasi tutte felici:

• per i tisici, un soggiorno in Egitto, il cui clima è caldo e secco,o un viaggio per mare;

• per gli obesi, un solo pasto al giorno,un sonno poco prolungato, bagni salati, esercizi ginnici e massaggi.

Conosce l’influenza del morale sul fisico ed alcuni dei suoi trattamenti per il mal di stomaco, per coliche ostinate, consistono soprattutto in distrazioni, come i viaggi, le letture ad alta voce, ecc. Boerhaave lo considerava il primo chirurgo di ogni tempo. CESALPINO Andrea Medico, botanico e filosofo italiano (Arezzo 1519 – Roma 1603) La scienza gli è debitrice di un importante progresso, relativo all’annoso problema riguardo alla circolazione del sangue. Bayle, l’autore del “Dizionario critico” lo considera giustamente come il precursore diretto di Harvey (v.q.n.): “Le prove sono così chiare che non c’è bisogno di cavilli che possano eluderle” Cisalpino si inscrive, in effetti, nella scia di coloro che, Ippocrate dei giorni nostri, hanno tentato di esplorare il sistema sanguigno. Lo si deve collocare dopo Servet (v.q.n.) e Colombo (v.q.n.) Ha spodestato il fegato dalle prerogative fisiologiche che gli si erano attribuite a proposito della circolazione del sangue. Fu lui che per primo ha impiegato in questo senso la parola “circolazione”; ha attribuito al cuore il ruolo primordiale ma si fece soprattutto un’idea più che giusta della circolazione polmonare. Respingendo l’ipotesi di una mistura diretta dell’aria e del sangue, intravede il meccanismo dell’ematosi. La sua descrizione lascia un segno nella storia della fisiologia: “Gli orifizi del cuore sono previsti dalla natura perché il sangue dalla vena cava penetri nel ventricolo destro del cuore, da dove esce per andare dal cuore al polmone; al di là del polmone penetra per un altro orifizio nel ventricolo sinistro, nel quale si apre a sua volta l’orifizio dell’aorta. Le membrane poste all’orifizio dei vasi si oppongono al riflusso del sangue di modo che esista un movimento continuo della vena cava attraverso il cuore e attraverso i polmoni fino all’aorta.

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CHAIN Ernest Boris. Fisiologo inglese (Berlino 1906 - …..) Nel 1933 dopo essersi laureato all’Università Friedrich-Wilhelm lascia la Germania per stabilirsi in Inghilterra e collabora con Sir Frederich Gowland Hopkings a Cambridge, poi insegna e dirige ad Oxford delle ricerche sugli enzimi. Diventa cittadino britannico nel 1939. Intraprende con Sir Howard W. Florey uno studio sistematico di tutte le sostanze antibatteriche, dove la penicillina e i suoi derivati occupano il primo posto. Per i suoi lavori sulla produzione e l’isolamento della penicillina ricevette nel 1945 il Premio Nobel per la fisiologia e la medicina, con Sir Howard Walter Florey e Alexander Fleming. CHANTEMESSE Andrè. Medico, batteriologo e igienista francese (Le Puy 1851 – Parigi 1919). Il suo nome è indissolubilmente legato a quello di Widal, col quale ha messo a punto un vaccino antitifico. Il nome di “bacillo di Chantemesse e Widal” è stato dato anche all’agente patogeno della dissenteria epidemica che si avvicina, per certi aspetti, al bacillo d’Eberth.

CHARAKA. Fu un autore indiano vissuto attorno all’anno 1000. Con il termine charaka si usava riferirsi alla figura del medico itinerante, mentre attualmente si identifica con Charaka l'autore del testo Charaka Samhita, che insieme al Sushruta Samhita, costituisce quello che oggi è il canone dell'Ayurveda, un sistema di medicina e stile di vita sviluppato nell'antica India. È conosciuto come l'autore del trattato di medicina Charaka Samhita. Charaka resiedeva a Kaphistal, ora conosciuta come Karphutala, nel Panchanada (nome del Punjab nel Mahabarata). È generalmente riconosciuto come il "padre indiano della medicina". Secondo le traduzioni di Charaka la salute e la malattia non sono predeterminate e la vita può essere prolungata dallo sforzo umano e l'attenzione verso lo stile di vita. Nei sistemi di medicina indiana e ayurvedica, la prevenzione di ogni tipo di malattia deve avere un ruolo più prominente della cura, includendo la regolazione dei ritmi della vita con quelli della natura e delle quattro stagioni, cosa che garantirebbe completa salute. Charaka sembra essere stato uno dei primi a proporre il modello medico "la prevenzione è meglio della cura". La seguente frase è attribuita a Charaka: «Un medico che non riesce ad entrare nel corpo del paziente con la lampada della conoscenza e del discernimento non potrà mai guarire malattie. Dovrebbe precedentemente studiare tutti i fattori, compreso l'ambiente, che influenzano la malattia del paziente, e solo successivamente prescrivere una cura. È più importante prevenire l'avverarsi di una malattia che cercarne una cura.». Sono stati riconosciuti contributi di Charaka nei campi della fisiologia, dell'eziologia e dell'embriologia. Charaka è generalmente cosiderato il primo medico a presentare i concetti di digestione, metabolismo, e immunità. Un corpo funziona poiché contiene tre dosha or principî, movimento (vata), trasformazione (pitta) e lubrificazione e stabilità (kapha). Le dosha, corrispondono alla classificazione occidentale degli umori, vento, bile e flegma. Esse vengono prodotte quando il dhatus (sangue), pelle e midollo agiscono sul cibo ingerito. Per la stessa quantità di cibo mangiato, ogni corpo produce dosha in quantità variabile da quella prodotta da altri corpi, è per questo che un corpo è diverso da un altro. Inoltre, la malattia è causata quando l'equilibrio tra i tre dosha del corpo sono disturbati. Per restaurare l'equilibrio prescriveva erbe e farmaci. Nonostante fosse a conoscenza della teoria dei germi e dei microorganismi nel corpo, non dava loro primaria importanza. Charaka studiò l'anatomia del corpo umano e dei vari organi. Scrisse che il numero totale delle ossa, inclusi i denti, presenti nel corpo umano. Aveva ragione quando cosiderò il cuore come un centro di controllo. Affermò che il cuore è connesso all'intero corpo

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attraverso 13 canali principali. Oltre questi canali, ve ne sono innumerevoli altri di differenti dimensioni che non solo forniscono nutrienti ai vari tessuti, ma permettono il passaggio dei prodotti di scarto. Affermò anche che ogni ostruzione nei canali principali porta a una malattia o deformità nel corpo.

CHARCOT Jean-Martin. Medico francese (Parigi 1825 – Lac des Settons, Niévre 1893). Fu una delle personalità più eminenti della medicina francese, coperto di onori e di titoli. Medico ospedaliero a 31 anni , membro dell’Accademia di medicina nel 1873, dell’Accademia delle Scienze nel 1883. Fu a un tempo un grande neurologo e uno psichiatra, fondatore della celebre “scuola della Salpetrière”, dove insegnò per circa venti anni. Il suo nome è particolarmente legato allo studio di questa malattia misteriosa, benché essa sia conosciuta da che esistono i medici: l’isteria, che gli antichi credevano propria esclusivamente della donna e dovuta ai movimenti dell’utero. Per Platone, l’utero è un animale “che desidera ardentemente generare bambini quando rimane a lungo sterile dopo l’epoca della pubertà, ne soffre, si indigna, percorre tutto il corpo, ostruendo le uscite dell’aria, arrestando la respirazione, gettando il corpo nei pericoli estremi e dando occasione a diverse malattie” (Timeo) Nel Medioevo, l’isteria diviene il segno della possessione diabolica: niente altra terapia che l’esorcismo, o il rogo E’ alle isteriche che bisogna imputare le scene scatenate attorno alla benna di Mesmer (v.q.n.). Willis (id) che riconosce la possibilità di una isteria maschile accusa, per primo, una sregolatezza del sistema nervoso, idea che sarà ripresa da un altro medico del XVII° secolo: Sydenham. Pinel (v.q.n.) e molti altri medici del XIX° secolo considerano tuttavia che esiste una relazione stretta fra l’isteria e le funzioni sessuali femminili. Charcot distingue l’isteria dalla maggior parte delle malattie mentali quando queste non gli sembrano corrispondere ad alcun centro nervoso particolare: essendo la più fisica delle nevrosi. Un fulmineo sguardo, qualche parola imperiosa, talvolta, provoca la crisi della donna isterica. Ci sono allora manifestazioni strane e che sembrano tradurre in modo teatrale ogni sorta di dramma interiore, o mimare i sintomi di diverse malattie. Una cade in catalessi e diventa rigida come una panca. Gli studenti la posano su due schienali di sedia. Lei rimane così fino a quando il maestro, con gesti da prestigiatore, le rende la flessibilità naturale, la riporta, svegliandola, al suo stato primigenio. Da una commerciante tirerà fuori una liana di Pougy, mentre un’altra imiterà tutti i sintomi della malattia di Parkinson, o di semplici reumatismi articolari. Fra gli ascoltatori, che non dimenticheranno mai queste sedute straordinarie, e ne saranno profondamente colpiti, ecco Freud, giovane studente venuto da Vienna; Bechterev, di San Pietroburgo, Babinski , figlio di immigrati polacchi, Marinesco, di Bucarest. Questo francese dal grande viso di levantino, è Léon Daudet, il figlio di Alphonse, e che abbandonerà la medicina per la politica. Il maestro ha fatto il suo ingresso col cilindro in testa con il quale copre graziosamente un busto di Ippocrate. La sua testa è meravigliosa, quella di prelato dagli occhi profondi e dolci, dalla mano gentile, dalle costanti buone maniere. Se si mostra un po’ distaccato con i suoi allievi, alla sera il suo immenso salotto sarà aperto a tutti. Sua figlia dedita ai fornelli e si potrà scorgere suo figlio, un giorno marinaio ed esploratore, morto sul campo dell’onore durante le scoperte polari a bordo del “Pourquoi pas?” (Erede di una fortuna immensa, farà costruire a sue spese i suoi navigli). “Il signor Charcot è arrivato alle dieci, scrive Freud alla fidanzata. E’ un uomo di 58 anni, di statura alta, con due occhi tristi sbalorditivamente dolci (un occhio piuttosto, l’altro è senza espressione afflitto da uno strabismo convergente), lunghi capelli radi gettati dietro le orecchie, rasato, una fisionomia molto espressiva e le labbra carnose: in poche parole ha l’aria di un prete laico a cui si ammette molto spirito e dotato di buone maniere.” Ascoltiamo ancora il fondatore della psicoanalisi quando rivedendo l’opera del maestro,

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intento a scrivere ai colleghi di Vienna, un necrologio: “Charcot era letteralmente affascinante”: Solo raramente presentava un singolo malato, più spesso era una serie di casi opposti che egli metteva a confronto. Qualche anno prima, un cambiamento si era prodotto nelle tendenze scientifiche di Charcot, al quale dobbiamo i suoi più bei lavori. Si mise a pensare che la dottrina delle malattie nervose ero ora provvisoriamente portata a termine, e da allora rivolse il suo interesse quasi esclusivamente all’isteria, trovandosi così per caso al centro dell’interesse generale… Il lavoro di Charcot ebbe il merito di rendere a questo argomento la sua dignità: si perse a poco a poco l’abitudine di sorridere sarcasticamente della malata (isterica) che, all’epoca, era certa di provocare. Si dimostrò che non era una simulatrice, poiché, Charcot, con tutto il peso della sua autorità, intervenne in favore dell’autenticità e dell’obbiettività dei fenomeni isterici. Poco dopo la morte di Charcot, si parlò, in certi ambienti medico-letterari, di ciarlataneria. Si è preteso che l’isteria fosse completamente scomparsa con lui dalla Salpetriére, e che tutti i sintomi che riempivano i suoi corsi clinici li avesse creati per suggestione. Imputazione molto stupida, perché l’isteria è precisamente riguardata come una “malattia da suggestione”. Se Charcot non era più lì per fare apparire in superficie i disturbi profondi del sistema nervoso e dell’inconscio, questi disturbi non di meno esistevano, nascosti. Uno degli allievi di Charcot, Babinski, la cui buona fede non può essere messa in dubbio, ha cercato di assimilare l’isteria a una semi-simulazione, quella dei mitomani e considerato che i disturbi che appaiono per il fatto della suggestione “sono suscettibili di scomparire sotto l’influenza della sola persuasione (controsuggestione). Egli ha preferito, di conseguenza, il nome di “piatismo” (malato di suggestione) a quello di isteria. Freud, infine, ha dato una spiegazione approfondita del fatto isterico: le manifestazioni dell’isteria traducono conflitti affettivi non pervenuti alla coscienza o che sono stati rimossi per censura. La psicoanalisi - e non la suggestione - farà scomparire questi disturbi. All’opposto è nata una teoria “organogena” della isteria: certe attività di tipo primitivo saranno liberate, gli accidenti tradurranno le reazioni riflesse istintive che si possono ritrovare in tutta una serie animale. L’isteria - e questa posizione è molto forte oggi – sarebbe una reazione morbida possedendo caratteri psico-fisiologici. Mentre i partigiani di Freud preconizzano – come trattamento, la cura psicoanalitica, i sostenitori della teoria organogena ricorrono all’elettrochock, perfino all’ingestione di sostanze chimiche. Charcot, dopo la calunnia che subì la sua memoria, è oggi reintrodotto nel Pantheon dei grandi medici e fisiologi. CHAULIAC Guy de. Medico e chirurgo francese (Chauliac, XIV° secolo) Studente a Tolosa, poi a Montpellier, passa le Alpi per andarsene a Bologna per assistere alle dissezioni, vietate in Francia. Soltanto dopo la sua morte, nel 1375, il duca di Anjou darà l’autorizzazione alla Scuola di Montpellier di sezionare ogni anno il cadavere di un impiccato. Dopo un breve soggiorno a Parigi, Guy de Chauliac si stabilisce nella città allora più viva e felice del mondo: Avignone, città dei Papi. Sarà il medico di Clemente VI, ed il re di Boemia ricorrerà a lui per farsi operare di cataratta. Nel 1348, quando l’epidemia di peste devasta il Languedoc, mostrerà il suo eroismo nel salvare gli ammalati. Affronta il contagio, che, per altro, lo risparmia. Petrarca, grande poeta, se vogliamo, ma povero di spirito in queste circostanze, si è - lo si ignora per quale motivo – accanito contro Chauliac nelle sue “Invettive contro un medico” dove dileggia questo “vecchio sdentato disceso dalle montagne”. Guy de Chauliac ha lasciato un’opera importante: la “Grande chirurgia o inventario della parte chirurgica della medicina compilata e completata”. E’ divisa in tre parti: una consacrata all’anatomia, la seconda relativa “al mezzo per portare la fine richiesta al posto del soggetto”. Se Chauliac accarezza tutti gli errori del suo tempo, per quanto concerne la “madre Aorta”, il cuore

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questo “principe della vita” e partendo come Roy e Seigneur, assiso in mezzo al petto, il fegato, questo organo che aveva affascinato i vecchi fisiologi e per i quali l’autore divide le sue litanie “Lui, che distribuisce il colera alla vescica della fiele, la malinconia alla milza, il flegma alle giunture, la superfluidità acuta ai rognoni e alla vescica…” Si mostra dei più realisti in chirurgia. Così la sua tecnica delle trapanazioni non lascia niente a desiderare, se si tiene conto dei mezzi di cui disponeva il chirurgo del XIV secolo: “ In primo luogo, radere la testa del ferito, si pratichino due fenditure, intersecatesi a forma di croce. Poi bisogna scorticare gli angoli, e che sia scoperto tutto l’osso fratturato, al quale occorre fare lo scavo… Bisogna far sedere il malato come si conviene poi tappare le sue orecchie con la lana o il cotone allo scopo che il rumore dei colpi non lo offenda… E’ allora l’intervento delle forbici se l’osso “non tiene per niente”, o del martello, se resiste: “Ma se l’osso è resistente, occorrerà praticare un foro con il succhiello, facendo diversi fori, l’uno vicino all’altro, della lunghezza di una provetta se si vuole risparmiare l’osso.” Guy de Chauliac lava le ferite profonde del torace per mezzo di un clistere riempito di vino, “fino a che questi risulti netto e chiaro”; cerca di evitare le suppurazioni per mezzo di aperture artificiali, e mette dei drenaggi, ciò che rappresenta una novità, dopo di lui troppo spesso dimenticata. Formula le regole di una antisepsi elementare, ma allora quasi sconosciuta: lavaggi con acqua salata, medicazioni con vino puro o alcol. Si legge con interesse la sua bella e drammatica descrizione della peste del 1348. COLOMBO Realdo. Anatomista e farmacista italiano (Cremona 1516 – Padova 1577) Successore di Vesalio all’Università di Padova (1544) insegnò in seguito a Pisa e a Roma. Questo professore, che poteva vantare di avere, nel corso della sua vita, praticato quasi mille dissezioni, ha avuto il principale merito di descrivere.,nel 1558, la circolazione polmonare. Egli ha confermato che il setto del cuore era impermeabile al flusso sanguigno e ha distinto i grossi vasi della base del cuore secondo le loro funzioni: portare il sangue al cuore durante la diastole, trasportare il sangue eliminato dal cuore per la sistole: “ Quando il cuore di dilata, ha scritto, il ventricolo destro riceve il sangue venuto dalla vena cava, nello stesso momento, il ventricolo sinistro riceve per l’intermediazione dell’arteria polmonare il sangue e l’aria; le membrane allora si abbassano e cedono alla penetrazione, mentre che, allora la penetrazione cardiaca, si ferma opponendo così un reflusso del sangue per questa stessa via: le valvole della grande arteria, l’aorta, come pure quelle che dalle vene arteriose, l’arteria polmonare, si aprono nello stesso momento che il sangue naturale, venoso, si dirige verso i polmoni.” Ha scritto ancora: “Il sangue è portato dall’arteria polmonare ai polmoni, dove è attenuato. Poi, avendo subito l’azione dell’aria, è rimandato al ventricolo sinistro del cuore dalla vena polmonare….” Questo testo è uno dei più importanti della storia della medicina, e lo si può condividere e Colombo lo aggiunge alla sua spiegazione: “Ecco ciò che non è stato ancora osservato da nessuno, sebbene questo possa essere notato da tutti.” Ha, per primo, negato il passaggio diretto del sangue dal ventricolo sinistro. “La sua opera segna l’inizio della distruzione definitiva della statua di Galeno e del galenismo. (R.Bouisson, Storia della Medicina, Enciclopedia Larousse tascabile). COMBES Emile. Medico e uomo politico francese (Roquecourbe, Tarn 1835 – Pons, Charente-Maritime 1921). Colui che si diede il soprannome di” piccolo padre Combes e che il governo, dal 7 giugno del 1902 al 24 gennaio 1905, privò la congregazione del suo diritto all’insegnamento, è stato medico prima di indossare l’abito talare. Ha esercitato a Pons per una ventina di anni ed è stato scelto come sindaco di questa incantevole e

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antica città. Eduard Heriot, all’epoca suo collega al senato, ci dice come Combes tentò di guarirlo, senza successo, da una sinusite ribelle. COME Jean Baseilhac, detto Fratel, chirurgo francese (Pouyastruc, nei pressi di Tarbes, 1703-1781). Fu chirurgo ordinario del principe di Lorena. Avendo perduto il suo protettore, entrò nell’ordine dei “Feuillants” continuando ad esercitare il suo mestiere. Facilitò il metodo per l’esecuzione dell’operazione dei calcoli rendendola meno pericolosa grazie a un “lithotome caché” (litotomo nascosto), di sua invenzione. A lui si devono anche gli strumenti(di precisione) perfezionati per l’operazione della cataratta. Ha lasciato un grande numero di opere di diverso argomento specialistico. Alla sua morte, una folla considerevole sfilò davanti al suo feretro, esposto nel convento dei “Feuillants”. CORVISART Jean Nicolas. Medico francese (Dricourt, Ardenne 1775 – Parigi 1821) Figlio di un procuratore al Parlamento di Parigi, entrò all’età di 12 anni nel Collegio Sainte-Barbe, vicino al Pantheon, poi suo padre lo impiega nel suo studio di avvocato. Il giovanotto che ha in orrore le procedure, se ne va spesso di sera a bighellonare per Parigi, alla ricerca di una vocazione; lo troviamo predicatore in una chiesa e ufficiale in un cortile di caserma. In rue Montagne-Sainte Geneviève, in una notte d’estate, ode una voce che provenendo da una finestra gli fece cambiare il corso della vita. Questa voce, apparteneva a un professore di medicina, come ce n’erano tanti allora, che insegnavano nelle piccole aule prese in affitto da loro stessi. Costui parlava con brevi frasi spezzettate della circolazione del sangue che regola i battiti del cuore, irriga tutte le parti del corpo e mantiene la vita…. Questo fu una sorta di colpo di fulmine. Corvisart non cercò più. Sarebbe diventato medico…. Lasciata la famiglia, che non voleva saperne di una tale professione, si fece assumere come semplice infermiere all’Ospedale Maggiore. Per la sua viva intelligenza e la sua distinzione, fu subito ammesso nella famigliarità di Petit Desault Louis questo astro della medicina del tempo . Nel 1782 fu nominato “dottore reggente della Facoltà di Parigi”. Fino al giorno in cui divenne il medico di Bonaparte, ciò che gli assicurò la gloria postuma, Corvisart fu professore di anatomia, di fisiologia, di chirurgia. Unì a queste alte funzioni quella, più modesta, di “medico dei poveri” della parrocchia di Saint-Sulpice, ciò che gli permise a un tempo di alleviare i miseri e far notevole esperienza. Nel 1798 ottenne il posto di medico della Charité. Successore di Desbois de Rochefort, fece meraviglie in questa clinica, e si assicurò la reputazione di primo medico del suo tempo. Fu un uomo di buon senso, nemico della teoria e meno dotato di facoltà di sintesi che di analisi, garanzia di riuscita in medicina, e specialmente in quell’epoca dove i sistemi più aberranti fiorivano. Nel 1799, i primi giorni del Consolato, è nominato “medico del governo”, poi primo medico di Napoleone Bonaparte e di Giuseppina. Aveva conosciuto Giuseppina da Barras, e fu lei a presentarlo a suo marito. Dopo che il medico e il generale si furono per qualche tempo intrattenuti sulla medicina, la giovane donna tirò Corvisart in disparte: “Dottore, voi che avete visto e ascoltato, secondo voi a quale malattia è più esposto?” “A quella del cuore… “Bonaparte che lo aveva sentito, andò da lui: “ Alle malattie del cuore? Avete scritto un libro sull’argomento?” “No, ma ne scriverò uno…” “ Fate presto, ne parleremo insieme” Poco tempo dopo questa intervista, Corvisart scrive il suo “Saggio sulle malattie e le lesioni organiche del cuore” che fu pubblicato nel 1806. Altro oggetto di studi, lo scirro del piloro, male che un giorno, porterà alla tomba Napoleone. L’imperatore amava

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ripetere:”Io non credo nella medicina, ma credo in Corvisart.” Le relazioni fra i due sono segnate da numerosi aneddoti. Eccone uno, riferito dalla duchessa di Abrantés. Davanti alla sterilità di Giuseppina Napoleone pensava di divorziare: “Secondo voi, Corvisart, qual’è il tempo migliore per la potenza in materia di paternità? Per esempio un uomo di 60 anni che sposa una giovane ha ancora figli?” “Qualche volta, sire:” “E a 70?” “Sempre sire, soprattutto se la sua sposa è giovane e graziosa” Un giorno l’imperatore gli consegna, di persona, un diploma per suo fratello, anch’egli medico: ”Permettete, dice Corvisart, che lo rifiuti per mio fratello?” Il posto esige una capacità che lui non ha. So che è povero, ma sono affari suoi….” Allora Napoleone, si gira verso il ministro: “Ne conoscete molti come questi?” Nel 1805 viene fatto barone, poi ufficiale della Legion d’onore, primo medico a ricevere questa onorificenza. Oltre alla sua opera sulle malattie cardiache, pubblicò una traduzione (1808) dell’opera di Auenbrugger: “Nuovo metodo per conoscere le malattie esterne del petto attraverso la percussione” Corvisart è, in Francia, il primo seguace della percussione, e in quella precursore di Laennec. CRUVEILHIER Jean Medico e anatomista francese (Limoges 1791 – Sussac, vicino a Limoges 1874). Nel 1825 M. de Frayssinous grande maestro dell’Università, cercava un professore per la facoltà di medicina di Parigi; gli occorreva dotto, di buona tradizione medica francese, monarchico, cattolico, perché si era sotto il regno del “pio monarca”. E’ allora che il ministro si ricorda dell’esistenza di un medico di Limoges, che era stato allievo di Dupuytren e che aveva tutte le garanzie morali e tutte le qualità scientifiche richieste. Cruveilhier, designato,dovette, con la morte nell’anima, compenetrato della sua indegnità, prendere a Parigi la successione di Bichat e di Blécard. Era un buon medico di provincia. La sua biblioteca era ben fornita di libri di medicina, ma aveva molte lacune in fisiologia, ed era la cattedra di fisiologia che veniva assegnata. Per un “eroico riciclaggio”, si mise ad imparare ciò che doveva insegnare. La sua buona grazia e la sua modestia erano tali che gli studenti, che non ignoravano le lacune del loro maestro, sembravano trovare interesse e profitto a seguirlo nel suo lavoro di scoperta. Come si legge nel “Grande dizionario universale del XIX° secolo”: “in capo a dieci anni sapeva l’anatomia sulla punta delle dita; aveva accumulato materiale numerosissimo, e pubblicato un trattato concepito con semplicità, scritto con eleganza, perfetto modello del genere accademico, diventato un classico, il rudimento di tutto il corpo medico…” .Dopo aver pubblicato l’anatomia fisiologica, si orientò verso l’anatomia patologica, fece per questa seconda branca, ciò che aveva fatto per la prima. Gli onori durarono un anno. Ciò fu come dice lo stesso dizionario, uno delle grandi “fortune mediche di quel tempo”. Carriera riuscita sia socialmente, che scientificamente, questo era apparso subito. E’ sufficiente osservare, per esempio, il suo “Trattato di patologia generale” (1849-1864) per trovarvi ciò che vi era di più sicuro, di più ragionevole, di più intelligente allora. Una storia della medicina, come quella di M. Bariéty e C. Coury, richiama, a più riprese, il contributo di Cruveilhier al progresso della patologia; che si tratti della dilatazione dei bronchi, già pubblicata da Laennec, della emorragia cerebrale, della cirrosi epatica, già identificata da Kiernan o del censimento, al quale si era dedicato, appoggiandosi a Lannec ,e di ogni specie possibile di tumori cancerosi. CURIE Pierre. Fisico francese (Parigi 1859 – 1906). Fu nel 1895 che, laureatosi in scienze, sposò una studentessa (russa*) polacca, Maria Sklodowska, e si dedica con lei

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a lavori che porteranno alla scoperta del “radium”. Questi lavori si inseriscono nella scia di Roentgen (v.q.n.) l’inventore dei raggi X e di Henri Becquerel, che dimostrerà nel 1896 che l’uranio emette delle radiazioni ionizzanti, le cui proprietà sono simili a quelle dei raggi X. Nel 1898, Pierre e Marie Curie si interessano alla “pechblenda” o “Pechuranio” (in tedesco Pech= pece e Urane = uranio) metallo così chiamato perché contiene uranio e si presenta in masse compatte, nere come la pece. Nel loro laboratorio del College de France, hanno riconosciuto il potere “raggiante” di questa materia. Una tonnellata di pechblenda viene loro inviata dalla Boemia (dove abbonda e serve per la fabbricazione del famoso cristallo). In un cortile del College de France, eccoli alle prese con questa massa vischiosa di cui, instancabilmente, cercano di separare gli elementi chimici. Occorrerà loro quattro anni per estrarre da questo magma 0,22 grammi di un elemento le cui radiazioni sono 2 milioni e mezzo più forti di quelle dell’uranio puro. Chiamarono questa materia “radio” Chiuso in un flacone opaco, il radio emana una radiazione di una luce bluastra, a volte mortale a volte salvifica. La scienza si è avvicinata alle forze sovrane, distruttrici della materia, come furono, forse, alle loro origini. Questo flacone aureolato è il primo segno di una benefica e temibile avventura, che un pittore potrebbe rappresentare in dittico: su un’anta di sinistra, un malato che offre le sue cellule cancerose in pasto ai suoi raggi; su quella di destra, la esplosione apocalittica di Hiroshima. DARWIN Erasmus. Medico e poeta inglese (Eiston Hall 1731 – Derby 1802) Diventa dottore all’Università di Edimburgo ed esercita in alcune città dell’Inghilterra prima di stabilirsi a Derby. Questo personaggio, nonno dell’illustre naturalista, è uno spirito brillante il cui anticonformismo si ritroverà nel nipote. Secondo lui, ogni cosa si rapporta alla fisiologia, compresa l’anima. Il suo ateismo, che pubblicizza senza tergiversare, è totale. Non c’è “Pneuma” Tutti i fenomeni naturali sono l’effetto del “movimento”, compresi i sentimenti e le idee. Le malattie sono dei falsi movimenti, o delle insufficienze, o ancora degli eccessi di movimento. Quanto alla sua terapeutica, essa è fatta di movimenti provocati, attenuati, amplificati secondo i bisogni del paziente. E’ così che per la guarigione dei malinconici ha inventato la “macchina rotatoria” Si tratta di un letto sospeso a un braccio orizzontale, il quale può girare attorno a un sostegno, come il cavallo di legno del maneggio. Un movimento circolatorio è impresso al letto sul quale il malato è attaccato. Il letto presto comincia a volteggiare, ma ecco che viene fermato bruscamente. Non è il malato che è scacciato per via della forza centrifuga, ma la sua malinconia… Arriva nel mentre che il letto è stato violentemente scosso, l’”agitazione maniacale”; succede alla “rigidità malinconica”. Poeta ha pubblicato nel 1871 il “Giardino botanico”, fantasia singolare dalla cui simbologia nascondono le idee più paradossali e più scandalose in quell’Inghilterra di Giorgio III. DAVY Sir Humphrey. Chimico inglese (Penzance, borgo di Cornouailles 1778 – Ginevra 1829). Occupa un posto nella storia della medicina per la scoperta che fece, all’età di 19 anni, quando era apprendista farmacista, della “anidride di azoto”, proseguimento dei lavori di Priestley (v.q.n.). Avendo respirato questo gas si sentì come “partito fra le nuvole”, planato, volteggiante in pieno cielo. Poi cominciò a ridere senza potersi riprendere. Nel ridere l’ampolla in cui respirava il gas gli sfuggì dalle mani e si frantumò. Ritornato in sé, non poté fare che questa constatazione: “Che gas meraviglioso!”. “E’ un gas esilarante!”. Il nome così trovato sarà comunemente applicato al primo anestetico di laboratorio. Fu in tale stato di esaltazione che il giovane chimico, al posto di redigere un rapporto scientifico della sua esperienza, compose versi.

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Davy, avendo ripetuto i suoi esperimenti fece altre scoperte: il “protossido di azoto” sopprime il dolore. Soffrendo molto per un dente del giudizio, respirò profondamente questo gas meraviglioso ed il suo dolore, anche dopo lungo tempo che l’ebbe respirato, scomparve. Dopo questo esperimento, il protossido di azoto fu impiegato all’Istituto di Beddo su dei malati, in particolare su asmatici e sofferenti di emicrania. I risultati furono tali che i malati accorsero da ogni parte dell’Inghilterra per essere curati col nuovo gas miracoloso. Nel suo libro “I gas in medicina” Davy ha scritto questa frase profetica: “ Come il protossido è capace di eliminare il dolore (all’apice del suo effetto) fisico, lo si potrà utilizzare vantaggiosamente per interventi chirurgici di breve durata.”Davy giunto al massimo della gloria, adottò un povero apprendista, Michel Faraday, che scoprì questo altro anestetico, già impiegato da Paracelo, ma ricaduto nella dimenticanza (carburo di idrogeno saturo). Così i chimici avevano prodotto due anestetici: il gas esilarante e i vapori di etere. Ora i medici ne utilizzano gli effetti. (v. Morton e Priestley). DEBRE’ Robert. Medico francese (Sedan 1882) Interno all’Ospedale di Parigi nel 1906, incaricato della direzione dell’Istituto di Igiene e di batteriologia della facoltà di medicina di Strasburgo nel 1918, ordinario e medico degli ospedali di Parigi nel 1920, è nominato professore di clinica medica dei bambini nel 1940. Ha contribuito a fare dell’Ospedale dei “Bambini ammalati”, a Parigi, rue de Sévres, un centro medico di fama internazionale, ed è stato il promotore della riforma degli studi di medicina nel 1960: Padre di Michel Debré, uomo politico francese. DEIDIER Antoine. Medico francese (nato negli ultimi anni del XVII° secolo – Marsiglia 1746). Non si parlerebbe più di questo professore di Montpellier se non avessse supposto, come Fra castoro (v.q.n.), che l’origine della sifilide, e spiegato i suoi danni e il suo contagio, è dovuto alla presenza di migliaia di “piccoli vermi” invisibili e che, tramite il sangue, andavano diffondendo le loro colonie in tutto l’organismo. Diciamo “microbi” al posto di “vermi” e così Deidier apre la storia della microbiologia. Come Pasteur, verrà contraddetto da ogni sorta di pedanti ottusi, di cui Jean Astruc, suo collega, che scrisse in maniera tronfia, creando confusione postuma: “Se si ammette una volta che la sifilide fu provocata da piccoli animali che nuotano nel sangue, si avrebbe ragione di pensare lo stesso della peste non soltanto, ma anche del vaiolo… Io non mi accontenterò di rifiutare queste idee…” Meno fortunato di Pasteur, Deidier non ebbe la meglio su i suoi avversari. E’pure vero che, in mancanza di un potente microscopio, non poté portare alla sua tesi che argomenti, e non prove. DELAY Jean. Neuropsichiatria francese (Bayonne 1907…) Dottore in filosofia, professore di ruolo (1939) titolare della cattedra di psichiatria alla facoltà di medicina di Parigi (1946) ha presieduto - a Parigi – il primo congresso internazionale di psichiatria. Ha pubblicato un gran numero di opere di carattere scientifico e letterario, come “La dissoluzione della memoria” “Le malattie della memoria” “Le onde cerebrali e la psicologia” “L’elettricità cerebrale” “La città grigia” “La giovinezza di André Gide” Fu membro della Accademia Francese. Jean Delay si è applicato allo studio e alla descrizione dei fenomeni psicofisiologici, aprendo la strada alle ricerche della psicosomatica, questa parte della medicina che studia i disturbi psichici, specialmente di ordine affettivo e le manifestazioni viscerali, generalmente funzionali, che sono la traduzione fisica o che sembrano dipenderne. Un’esempio: l’anoressia in cui si manifesta la ripercussione fisiologica di una affezione di origine psichica e che solo una “cura dell’anima” arriva a guarire. (La anoressia è il rifiuto

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del cibo, frequente nelle ragazze e nei bambini). “Il sintomo essenziale, scrive Jean Delay, la perdita completa dell’appetito, si accompagna ad un insieme di disturbi endocrini(amenorrea), vegetativi e umorali, che fanno di questa affezione una vera endocrinonevrosi giovanile. Tutti questi disturbi hanno un’ origine psicologica (la narcoanalisi è particolarmente utile in questi casi per scoprire i conflitti affettivi generatori di questa nevrosi) e sono curabili con la psicoterapia. Non v’è alcun campo della patologia, si tratti di malattie digestive, circolatorie, respiratorie, endocrine, ecc. dove non sia dato osservare sintomi psicosomatici. Ha introdotto per primo, in Francia, la terapia della psicoanalisi con medicamenti appropriati. Il paziente è messo nello stato di non resistenza che gli permette una comunicazione costante fra lui e lo psicoterapeuta. La cura permette di risalire molto velocemente ai livelli, più o meno lontani, dove risiede il “segreto” del disordine psichico. Pierre Janet che aveva utilizzato l’ipnosi per immergere il malato in questo “stato secondo” in cui la presa di coscienza del passato dimenticato diventa possibile, si meraviglia, dice, di vedere il pentotal e l’amistal sodico superare per i loro risultati la tecnica dell’ipnotizzatore. Questi metodi restano l’appannaggio dei pratici più esperti e c’è nel pubblico una prevenzione nei loro riguardi che molti specialisti pensano essere giustificata. DENIS Jean-Baptiste . Medico francese (Parigi ? id 1704) Prima professore alla facoltà di medicina di Montpellier, fu nominato medico ordinario di Luigi XIV. Assistito da Emmeret, ha realizzato una delle prime trasfusioni di sangue, dopo qualche esperimento su gli animali, iniettò sangue di agnello a un giovane colpito da febbre delirante e ne seguì la guarigione. Altri esperimenti meno fortunati provocarono, per decisione del Parlamento, l’interdizione di questa pratica, che la Chiesa, del resto condannava. Ricordiamo che prima di Denis la trasfusione del sangue era gia stata tentata, con più o meno successo, nell’ignoranza dei gruppi sanguigni da Giovanni Colle, a Padova (1628) e da Lower, a Oxford (1665) che fece una relazione dei suoi esperimenti in un’opera per qualche tempo celebre: “Tractus de corde”. Nel “Journal” di Pepys, si trova una eco dell’interesse suscitato, in Inghilterra, fra il grande pubblico per la trasfusione del sangue. DESAULT Pierre Joseph. Chirurgo francese (Vouhenans, vicino a de Lure, Franche-Comté 1738 – Parigi 1795) Chirurgo all’Ospedale Maggiore, fondò la prima clinica chirurgica mai esistita in Francia. Fino all’ora ci si era accontentati di corsi teorici. Dessault fece delle sue lezioni delle dimostrazioni cliniche. Grazie a lui, l’Ospedale Maggiore divenne il centro della buona chirurgia. Lavorò non soltanto per il progresso della scienza ma per il benessere e il sollievo dei suoi ammalati. DESGENETTES Nicolas René Dufriche,barone. Medico militare francese (Alancon 1762 – Parigi 1837). Accompagnò Bonaparte nella campagna d’ Egitto. In Siria, dispensò le sue cure agli appestati, e mentre Bonaparte lo rimproverava dicendogli: “Sarebbe meglio spedire questi sfortunati nel cielo di Allah con una buona dose di oppio”, rispondeva con veementi proteste: “Il mio dovere, come medico, è quello di conservarli….” Si dedicò soprattutto alla lotta per la prevenzione igienica contro le epidemie che devastavano l’Esercito. Così per ostacolare l’invasione del tifo che veniva chiamato “febbre dei campi”, ordinò il lavaggio con acqua di calce, la distruzione col fuoco dei pagliericci, degli abiti e dei cadaveri contaminati. Si parlava allora di “miasmi” ignorando che l’agente di trasmissione del tifo altro non era che il pidocchio (V. Nicolle). Lui stesso, per dare l’esempio, si cambiava la biancheria più volte al giorno.

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Napoleone I° lo nominò medico-capo dell’Esercito e barone dell’Impero nel 1809. Caduto nelle mani del nemico durante la ritirata di Russia, fu fatto prigioniero, ma subito liberato dallo zar e con i complimenti: non aveva mai cessato durante la prigionia di curare i feriti russi con la stessa dedizione che lo aveva portato a curare gli appestati di Jaffa. Già si può distinguere in Desgenettes lo spirito della Croce Rossa, per quei malati e feriti che no hanno patria. DIEULAFOY Georges. Medico francese (Tolosa 1839-Parigi 1911).”Arrivava ogni mattina all’Ospedale Maggiore, scrisse uno dei suoi biografi, in un cupé a due cavalli che il cocchiere faceva entrare al galoppo sotto il porticato dell’Ospedale dopo una sapiente virata sul sagrato di Notre-Dame….”Fu uno dei primi medici dal portamento mondano e “dandy”. Era molto distinto ed elegante, la barba curata, gli abiti sempre in ordine. Mentre la maggior parte dei primari abusava del tono autoritario da carabiniere, Dieulafoy non si esprimeva che con voce dolce, con quella gentilezza che aveva imparato, come suo fratello archeologo, nei salotti di Parigi. Era di vasta cultura, tanto letteraria quanto scientifica. Un giorno che il suo maestro (Trousseau) citava Ovidio e non arrivava allo scopo della citazione, in un silenzio alquanto imbarazzante per l’uditorio, Dieulafoy, si fece suggeritore, completando il verso dell’”arte di amare” e Trousseau non dimenticò mai questo aiuto… Dieulafoy è stato un chirurgo e un medico dallo spirito libero, inventivo e pieno di iniziativa. A lui dobbiamo l’apparecchio di “toracentesi” che porta il suo nome e che permette l’apertura del torace per aiutare il travaso del liquido pleurico. I suoi lavori sulla tubercolosi, sul male di Bright nei suoi rapporti con la “clorosi”, sulla appendicite, che secondo lui, deve essere operata appena diagnosticata, hanno fatto epoca. Le sue lezioni erano stupende per chiarezza e finezza. Uno fra i primi, subordinò la terapia alla diagnosi batteriologica: “ Si crede che sia una semplice bronchite, e l’analisi dello sputo mostra che si tratta di una bronchite tubercolare…” Ha costantemente lavorato a unire gli sforzi, prima di lui dispersi, del medico, del chirurgo e del batteriologo.” Egli rappresenta quanto di più equilibrato ci fosse nella medicina del suo tempo” (Bouissou). DIONIS Pierre. Chirurgo francese (Parigi 1650 – 1718). Era protetto da Fagon (v.q.n.) che gli fece ottenere la cattedra di anatomia al”Jardin du Roi”, con lo scopo principale di insegnare la circolazione del sangue e le ultime scoperte di Aselli e di Pecquet. Grazie a lui, la facoltà di Parigi evolve e diventa “circolazionista”. Nella sua prefazione al “Corso di operazioni chirurgiche” Dionis ringrazia il re “di aver voluto che le operazioni chirurgiche venissero dimostrate a porte aperte e gratuitamente. L’autorità dei primi anatomisti ci tengono incatenati e non ci permettono di rendere pubbliche le nuove scoperte, e l’attaccamento che si aveva per le vecchie maniere di fare le operazioni ci impedivano di ricercare i mezzi di renderle più fauste e meno crudeli; ma per le cure paterne di Vostra Maestà, noi siamo ritornati da questa cieca prevenzione per gli antichi…” A lui si deve un’opera considerevole e che segna una svolta nella storia della medicina francese: “Anatomia dell’uomo seguendo la circolazione del sangue e le nuove scoperte.”

DIOSCORIDE Pedacius. Medico greco (Anazarbe, Sicilia, I° sec. d.C.) Ha composto una grande opera dal titolo:” Le materie mediche” che gli è valsa una grande reputazione fino alla fine del XVII° secolo. I suoi rimedi sono tutti estratti da quelle piante che egli aveva riunito in una magnifica collezione nel corso di viaggi attraverso l’Italia, la Gallia e la Grecia. Alle prescrizioni più razionali si mischiano nella sua “Materie mediche”strane

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superstizioni. E’ così che pretende che sette cimici, avvolte nella buccia di una fava, e inghiottita, guarisca dalla febbre intermittente; che il fegato di un asino debitamente arrostito, sia rimedio sovrano contro l’epilessia, che le cicale arrostite guariscano i mali della vescica…. DOMAGK Gerhard. Biochimico tedesco (Lagow, Brandemburgo 1895) Professore all’università di Munster, poi direttore dell’ Istituto di Patologia e Batteriologia di Eberfeld, è conosciuto per i suoi lavori sul cancro sperimentale, ma più ancora per questa scoperta considerevole: quella dei sulfamidici, quei composti (zolfati) che posseggono una azione inibitrice su un gran numero di microbi. I sulfamidici e la penicillina, scoperta pochi anni dopo (v. Fleming) hanno sconvolto la terapeutica delle malattie infettive. E’ nel 1932 che Gerhard Domagk sperimenta sulla figlia, colpita da setticemia da streptococchi, la sulfamido-crisoidina, la cui azione si dimostra notevole. Nel febbraio del 1935, pubblica il risultato delle sue ricerche e dei suoi esperimenti. All’Istituto Pasteur di Parigi, lo stesso anno, M. e Me Tréfouel, Mm. Nitti e Bouvet, dimostrano che l’elemento attivo di questo medicamento non era l’elemento colorante, come Domagk aveva supposto, ma un corpo (solforo) il “Paraminofenil-sulfamide” che impedisce ai microbi di nutrirsi. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, e prima che la penicillina venisse commercializzata, i sulfamidici aprono l’era degli antibiotici. Di anno in anno, numerose decine di sostanze a base di sulfamidici, ma specializzate e presentate sotto nomi diversi, appaiono nel commercio farmaceutico. Mentre “la sintesi dei sulfamidici” si iscrive nel segno dei progressi della biochimica…, la penicillina d’altro canto viene un po’ disprezzata e sembra venir sorpassata dalla batteriologia, quella che studia gli antagonismi microbici, i conflitti che oppongono fra loro gli esseri microscopici. (Jean Bernard, Stato della medicina, Buchet-Chastel Correa ed. 1960)

DUBOIS Antoine barone Medico francese (Gramat, Lot, 1756 - Parigi 1837) Medico dell’esercito, prese parte alla spedizione d’Egitto. La sua salute non gli permise di praticare la chirurgia militare: Si orientò verso l’ostetricia e fu scelto dall’imperatore per mettere al mondo il re di Roma. Era un uomo molto cordiale e un poco rustico che gli derivava dalle sue origini. Aveva l’abitudine ,contratta nell’esercito repubblicano, di dare del tu a tutti, tranne a Napoleone.

DUCHENNE Guillaume Benjamin. Medico francese (Boulogne – sur – Mer 1806 – Parigi 1875) Si esercitò con l’elettroterapia nella sua città natale e, a Parigi, ne fece la sua specialità “E’ un piccolo signore, ha scritto il dottor Bloch, vestito con una redingote nera, porta la cravatta bianca, magro e pallido, porta dei piccoli favoriti bianchi, rispettoso e un poco loquace….” Lo si vedeva, al servizio del celebre Trousseau, all’Ospedale Maggiore, con la sua pila e la sua bobina, praticare la elettropuntura, studiare la fisiologia muscolare e fare la diagnosi di diversi malati di nervi. E’ in quest’ultimo campo che ha fatto le interessanti scoperte: l’atassia locomotoria, la paralsi muscolare progressiva, la paralisi glossolabiolaringea sono delle entità morbose, che per primo, ha descritto. Ebbe l’idea di elettrizzare diverse regioni del cervello per precisarne le localizzazioni . La sua influenza è stata considerevole, in Francia come all’estero. Darwin si è ispirato alla sua teoria delle emozioni.

DUPUYTREN (barone Guillaume). Chirurgo e anatomista francese (Pierre-Buffière Haute-Vienne 1777 – Parigi 1835). Figlio di un modesto avvocato senza fortuna, avrà

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questo strano privilegio di essere sottratto in due riprese, prima da una viaggiatrice sconosciuta, soffrendo senza dubbio di frustrazione materna, che lo fece salire sulla sua vettura e portatocon sé. Il padre, a cavallo, lo raggiungerà dopo qualche lega avanti e si riprenderà il suo bene. Nel 1789, un reggimento di cavalleria si ferma nelle vie strette di Pierre-Buffière. Il piccolo Guglielmo di dodici anni, grazioso come un Murillo, l’occhio vivace, la parola pronta. Un ufficiale inizia la conversazione, affascinato dalla parlantina. - Che farai un giorno?- - Non lo so! Voglio diventare qualcuno, è tutto… - Ma cosa? – -Un magistrato, ufficiale, medico… L’ufficiale M. Keffer, il cui reggimento è diretto a Parigi, dove si parla di sommosse, e che ha potenti relazioni, va a trovare il padre del bambino. “ Andiamo ,Signore, lo porto via, l’occasione per lui è unica!”. Il padre non dice di no, e Guglielmo non domanda che questo. Presto, eccolo nel furgone dell’esercito, un po’ mascotte (portafortuna), viziato dalle vivandiere, cantare coi soldati i canti di truppa. Il frastuono viene loro incontro. La presa della Bastiglia, gli Stati Generali, il re indeciso, la plebaglia, qui e là, l’attacco ai castelli… Un giorno, il bambino si stupisce di queste fabbriche, di queste case strette e alte da un parte e dall’altra del selciato, di questa sfilata di carrette cariche di legumi e di frutta. E’ Parigi! Il giorno stesso, riceverà l’uniforme degli allievi di una scuola di cui il fratello di Keffer è il direttore, sulla montagna Sainte-Genevieve ai piedi del Pantheon. Cinque anni dopo, la sua retorica finita, è il ritiro verso il villaggio che pensava di non rivedere più. Questi 600 km., li farà a piedi, in tre settimane. Per tutto il cammino, nel centro di un gruppo isolato di case, regna un’effervescenza, una sorta di “grande paura”. Si parla di un imminente invasione di tutti i nemici della Repubblica. Arrivato a Pierre-Buffiere, l’adolescente annuncia a suo padre che lui diventerà soldato, ossia subito generale. Ma suo padre, guardandolo negli occhi, è come preso da una subitanea premonizione: “No, tu diventerai chirurgo…” Raccomandato da Vergniaud, il grondino, dopo un apprendistato all’Ospedale Saint-Alexis di Limoges, diventa a Parigi, allievo della nuova Scuola di Sanità; eccolo preparatore, all’età di diciotto anni, dei corsi di anatomia. Deve, al mattino presto, esporre nell’anfiteatro feti conservati nell’alcol, sezioni di intestino, cervelli. Per qualche anno, conoscerà la miseria più nera. La sua camera, vicina alla chiesa di Saint-Etienne-du Mont, non è riscaldata. L’inverno, lavora a letto. Alle quattro del mattino, la lampada si accende. Non un momento di sconforto, di spavento di fronte alla vita. Egli è l’energia stessa. I suoi maestri come i suoi condiscepoli ne sono colpiti. Una sera, bussano alla sua porta. Chi è? Il conte di Saint-Simon, l’economista, l’apostolo del proletariato e del capitale. Gli occorrevano dei discepoli. Per due ore si parlerà di Condorcet, degli Stati Uniti d’Europa, di una pace fondata sulla economia.. Il visitatore se ne và. Non ha chiuso la porta che il giovanotto vede, su un angolo della stufa fredda, duecento franchi. Lui rammenta Saint-Simon: “Signore voi avete dimenticato… “ E’ vero” risponde enigmaticamente il filosofo, che riprende il denaro. Dopo qualche giorno, Dupuytren accetterà qualche soldo da un portatore d’acqua di Cantal. Nel 1801, è nominato capo dei lavori anatomici della facoltà. In questo momento, si specializza in anatomia patologica. Nei suoi lavori si è ispirato ad Haller, a Corvisart. Laennec e Bayle lo aiutano. Cruveilhier gli dà una spintarella. Maestro di una moltitudine di materiali, Dupuytren ne costruisce un edificio. Diventa il Linneo dell’anatomia patologica, classificando le lesioni organiche in specie, genere, ordine e classe. Ne fa un sistema, una specie di museo. Un “Museo Dupuytren”, fino al 1940, offrirà agli studenti in medicina le sue cere straordinarie, riproduzioni fedeli di cancri, di mostruosità. E’per l’installazione di questo museo che è servito il lascito di

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200000 franchi destinati al grande chirurgo per la Facoltà. Le più alte funzioni gli sono ormai assegnate. Sarà di volta in volta professore di medicina operatoria, chirurgo all’Ospedale Maggiore, membro di quella società di emulazione dove hanno dominato Bichat e Corvisart, membro della Accademia reale di medicina, primo chirurgo del re (Luigi XVIII, poi di Carlo X), barone per gratitudine di Luigi XVIII, membro dell’Istituto, ecc. E’ primario nel significato più vero, e di autorità inflessibile. In mezzo a una moltitudine di studenti e di medici, si accosta al letto dei malati ispirando rispetto, in religioso silenzio. Nessuno oserebbe fargli una domanda. Lui solo ha la parola, e l’ammalato dopo di lui. Se sorride per un suo frizzo, si sorride. Se ride, cosa rara, si ride fragorosamente, ma la sua mano alzata ristabilisce il silenzio. “Il più grande trionfo di Dupuytren, ha scritto il professor Mondor, è nell’anfiteatro dei corsi… Si recano da lui, uno ad uno, dieci, quindici malati. I loro esami esatti, la giustificazione delle sue diagnosi, la scelta discussa delle terapie animano le sue belle lezioni…All’ospedale, arriva persino alla virtuosità del prestidigiatore o alle semplificazioni un po’ volgari: enunciando in un secondo una diagnosi difficile, schiacciando istantaneamente una ciste, poi scherzando con il malato a contestarne la autenticità; incidendo con rudezza inattesa o noncuranza teatrale gli ascessi meno accessibili… le sue diagnosi chirurgiche, che sembrano procedere per illuminazione, della memoria o dei pazienti progressi degli esami metodici, sono quasi infallibili. Per l’istruzione degli studenti e per il progresso della scienza, fece scrivere dai cinque interni del suo servizio la storia delle malattie più singolari, quelle che pongono problemi o i cui problemi erano stati risolti. Queste osservazioni Dupuytren le rivedeva tutte: esse formano oggi una raccolta di oltre 100 volumi. Le materie sono disposte in ordine nella tavola alfabetica: e se qualche caso raro vi si offre, il chirurgo può, consultando queste tavole, ritrovare il caso analogo. Questi volumi erano depositati in una delle grandi sale dell’Ospedale Maggiore. Per carattere era di un orgoglio quasi morboso, odiato dalla maggior parte dei suoi colleghi, si imponeva per la sua scienza ed anche per il suo coraggio. Nel 1830, durante i disordini di luglio, ebbe a curare molti feriti repubblicani o monarchici, vittime della sommossa, e si oppose fortemente a che la polizia entrasse in ospedale per riconoscerli. Quando Carlo X dovette partire per l’esilio, gli scrisse questa lettera che lo dipinge: “Sire, grazie, in parte ai vostri favori, io possiedo tre milioni. Io ve ne offro uno. Il secondo lo destino a mia figlia, e riservo il terzo per quando sarò vecchio”. Sotto Luigi Filippo assunse un atteggiamento completamente ostile al nuovo regime e, alle elezioni legislative, pose la sua candidatura a Saint-Yrieix. Il governo lo fece fallire. Dolori domestici minarono la sua esistenza. Sua moglie gli era infedele. Sua figlia si era allontanata da lui. Un primo attacco l’obbligò, nel 1834, ad interrompere i suoi corsi. Piuttosto di chiudersi in sé stesso, e rallegrare così i suoi nemici, partì per l’Italia, dove venne accolto come un grande uomo. Al suo ritorno, riprese per qualche tempo la sua attività, poi gli accidenti si aggravarono. Dovette riconoscersi vinto. Un giorno del febbraio 1835, poco tempo prima della sua morte, fece scrivere al suo peggior nemico, Richerard: “Dupuytren, sta molto male, desidera vedervi… Richerand, dieci anni prima, davanti all’Accademia dei medici, in maniera indiretta e senza nominarlo, aveva pronunciato parole cruente al suo indirizzo, ma che lo aveva riconosciuto “Un uomo di qualche talento, ma superiore soprattutto nell’arte dell’intrigo… che semina la divisione fra i colleghi… impiega incessantemente i giornali per vantare i successi di una pratica fraudolenta, omicida… una reputazione usurpata.” Ogni allievo che lo ebbe come maestro resta per questo irrimediabilmente condannato al ruolo di servitore…” Si indovina i sentimenti di Richerand quando suonarono alla porta del grande rivale abbattuto. Lo trovò in vestaglia da camera, zucchetto in testa, vicino al fuoco, pallido, dimagrito, che parlava con difficoltà. Non si sa quello che i due uomini si sono detto, ma un domestico, chiamato per riaccompagnare il visitatore, poté notare con sorpresa che entrambi piangevano. Per la prima volta e l’ultima della sua vita, Dupuytren

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aveva vinto non con la forza, ma con il perdono e l’amore. Come gli si proponeva un’operazione, la rifiutava:”Che fare della vita, la coppa è stata così amara….” La sua ultima parola fu: “Io darò lassù la notizia di questo mondo…” Le sue esequie furono grandiose. Il corteo,pari di Francia in testa, operai in coda, si estendeva per quasi cinque ore dalla montagna Sainte-Genevieve, dove abitava, a Père-Lachaise. Una stampa di Daumier ha rappresentato nella sua “Nemesi medica” questi fastosi funerali. EHRLICH Paul. Microbiologo e chimico tedesco (Strehlen, Slesia 1854 – Bad Homburg 1915). Insegnò patologia in diverse università, prima di dedicarsi esclusivamente alle ricerche di sierologia e farmacologia. A partire dal 1890, studiò soprattutto i fenomeni dell’immunologia e stabilì la teoria degli anticorpi. Dopo l’inizio dell’era pastoriana, si è tentato di combattere le infezioni o l’ingestione di sostanze chimiche. Questo sogno ha cominciato a realizzarsi con Ehrlich, che ha aperto la via a Domagk, il padre dei sulfamidici. Ha trovato, prima che la penicillina predominasse in questo campo, il rimedio più efficace contro la sifilide: l’arsenobenzene (1910)) che ha, per trentacinque anni, rappresentato l’agente medicamentoso più attivo di cui si disponeva, il più efficace, contro i contagi, e che è rimasto, finchè la penicillina non ebbe il sopravvento, la medicazione profilattica per eccellenza. Durante la sua carriera da assistente Ehrlich affrontò una considerevole quantità di lavoro scientifico, che pose le basi per le sue future e più importanti scoperte. Nonostante ciò, si mostrò sempre scrupoloso e gentile nei confronti dei pazienti ed estremamente abile anche nelle analisi chimiche, grazie all'esperienza nel campo della colorazione. Durante questo periodo Ehrlich si sposò con Hedwing Pinkus di Neustadt, la figlia diciannovenne di una famiglia legata ad un'importante industria della Slesia superiore. Dopo l'annuncio da parte di Robert Koch dell'isolamento del bacillo della tubercolosi, nel 1882, Ehrlich cominciò subito a sperimentare metodi di colorazione sul batterio di forma circolare che aveva trovato nei campioni provenienti da pazienti affetti da tubercolosi e dei quali non aveva saputo dare spiegazione fino ad allora. Ottenuto, fortuitamente, quasi subito un grande progresso nella colorazione dei bacilli, si mise in contatto con Koch per mostrargli la sua scoperta. Questi, in una sua successiva pubblicazione, riconobbe l'importanza della colorazione operata da Ehrlich. Nel 1885, il professor von Frerichs fu succeduto dal professor Carl Gerhardt, il quale non comprese l'importanza delle ricerche di Ehrlich e non gli concesse le libertà di cui prima godeva per dedicarsi ai suoi studi. Ciò rese l'ambiente di lavoro per Ehrlich poco sopportabile. Ammalatosi di tubercolosi, si dimise dalla sua posizione al "Charitè-Hospital" e si trasferì in Egitto a scopi terapeutici. Questo viaggio, a detta dei suoi più intimi amici, fu positivo soprattutto per la salute psicologica di Ehrlich, che mal sopportava di lavorare con Gerhardt. Tornato dall'egitto nel 1889, Ehrlich organizzò un piccolo laboratorio privato a Berlino, continuando con successo le proprie ricerche, ma sempre su piccola scala. Koch offrì quindi a Ehrlich un posto nel recentemente fondato Instituto di Malattie Infettive a Berlino. Accettata l'offerta, Ehrlich si dedicò alle ricerche nel campo della batteriologia; in questo periodo Ehrlich cominciò a lavorare con Emil Adolf von Behring, collaborazione da cui nacque anche un'amicizia. La scoperta, nel 1892, da parte di von Behering della specifica antitossina per il tetano e la difterite nel siero animale fu motivo di grande fermento nel mondo scientifico, ma non portò i risultati sperati in quanto troppo debole. In seguito, con l'aiuto di Ehrlich furono condotte ricerche che consentirono di rendere il siero più efficace ed accettato ovunque.[7] Data la stretta collaborazione tra Ehrlich e von Behring, l'azienda chimica che stava per cominciare la produzione del siero antidifterico strinse un contratto con entrambi i ricercatori. Durante questo periodo von Behring propose ad Ehrlich di diventare direttore di un Istituto di Ricerca statale, che sarebbe stato fondato da lì a breve, grazie alla sua influenza politica;

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questa nomina avrebbe però richiesto la rinuncia al contratto con l'azienda chimica. Pur avendo rinunciato ai lauti profitti della scoperta a cui aveva collaborato, Ehrlich non ottenne mai la posizione da lui desiderata e promessagli dall'amico, la cui influenza sembrò non essere sufficientemente forte. Questo evento raffreddò molto i rapporti tra von Behring ed Ehrlich che, pur limitandosi alla formalità, continuarono, soprattutto quando Ehrlich divenne nel 1896 direttore dell'"Istituto del Siero" a Steglitz ed in seguito responsabile del controllo di stato su tutti i sieri. Nel 1909, il professor Shibasaburō Kitasato, amico e tempo prima collega di Ehrlich, mandò il proprio pupillo, il dottor Sahachiro Hata, a studiare presso l'istituto diretto da Ehrlich. Hata fu impegnato in una lunga serie di sperimentazioni nelle quali, analizzando gli effetti del composto numero 606, ne notò il potere curativo. Dopo una lunga serie di esperimenti, Ehrlich si rivolse a collaboratori esterni per verificare gli effetti sull'uomo, i quali erano sparsi in tutta l'Europa e dovevano attenersi a dosaggio e modalità di applicazione rigidamente stabiliti da Ehrlich stesso; essi diedero, uno dopo l'altro, risultati molto positivi riguardo l'utilizzo del composto per la cura della sifilide; nonostante questi risultati Ehrlich ne ritardò la pubblicazione per continuare la sperimentazione ed essere assolutamente certo degli effetti del 606. Dopo l'annuncio al pubblico del nuovo farmaco, chiamato "Salvarsan" l'attività di Ehrlich riguardò principalmente il perfezionamento dei metodi con cui il Salvarsan veniva somministrato e lo studio degli eventuali effetti collaterali che esso poteva provocare. Sotto la guida del professor Waldeyer, Ehrlich iniziò a fare esperimenti in laboratorio utilizzando sostanze coloranti e acquisendo utili conoscenze sul processo di colorazione. Nel corso delle sue esperienze pratiche scoprì una nuova varietà di cellula, a cui conferì il nome di "mastocita", che in seguito si scoprirà implicata nell'azione immunitaria durante la risposta allergica. Egli mostrò come i numerosi granuli presenti nel citoplasma della cellula si rendano visibili in seguito alla reazione con alcuni coloranti. Durante il periodo in cui avvenne la laurea, si svilupparono le prime riflessioni intorno all'idea della "presenza di sostanze eterogenee fissate chimicamente al citoplasma" (integrata nella sua futura teoria della catena laterale). Presso l'Ospedale La Charitè di Berlino le reazioni di colorazione erano spesso impiegate da Ehrlich per verificare la presenza o il decorso di alcune malattie che affliggevano i pazienti: era il caso della diazoreazione a cui erano sottoposte le urine, che consentiva di prevedere un miglioramento o un peggioramento delle condizioni di un paziente affetto da febbre tifoide. Molti componenti del sangue, inoltre, erano messi in evidenza dalle reazioni di colorazione; e proprio l'uso di tinture acide, alcaline e neutre, consentiva di rilevare le differenze tra i diversi tipi di ganulociti eosinofili, basofili e neutrofili, una varietà di leucociti. Per la preparazione dei vetrini con il sangue in colorazione, vi era un procedimento che secondo Ehrlich andava seguito con zelo assoluto: per questo i suoi studenti avevano coniato il detto: "(DE) Ehrlich fӓrbt am lӓngsten" (Ehrlich prosegue imperterrito con le sue colorazioni), parodia del proverbio: "(DE) Ehrlich wӓhrt am lӓngsten" (L'onestà è ciò che dura più a lungo). Il procedimento prevedeva che una goccia di sangue trattenuta su un vetrino fosse fissata ad esso tramite il calore emanato dalla fiamma di un becco di Bunsen. Dunque si procedeva alla colorazione attraverso varie tinture. Dopo la conferenza in cui Koch annunciò la scoperta del bacillo della tubercolosi, Ehrlich ricordò di aver visto un tempo da campioni di residui di saliva, batteri a forma di bastoncelli. Colorò i vetrini risalenti a quei campioni con i reattivi, lasciandoli su di un fornetto di ferro al cui interno la fiamma era rimasta spenta per ore. L'indomani, l'inserviente che ripuliva il laboratorio accese il forno, senza accorgersi dei vetrini. Ehrlich, giunto presto sul luogo, per osservare i preparati, terrificato dall'accaduto, osservando un vetrino contro luce, notò come fosse perfettamente colorato; all'analisi al microscopio trovò i bacilli della tubercolosi visibili e raccolti in gruppi. Un risultato, come dirà lo stesso Ehrlich, dovuto almeno in gran parte alla fortuna.

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EINTHOVEN Willem. Psicologo e fisico olandese (Samarang, Giava 1860 – Leida 1927). E’ l’inventore dell’elettrocardiogramma, che non solo permette di registrare separatamente le contrazioni auricolari e ventricolari del cuore, ma anche di determinare l’origine di queste contrazioni e di indicarne il modo, ciò che ha portato un giorno a chiarire l’insieme delle cardiopatie. Professore all’Università di Leida (1886), ha ricevuto nel 1924, il Premio Nobel della medicina EMPEDOCLE Filosofo e medico greco (ca. 450 a.C.). Questo personaggio sembra essersi dato molta pena per attirare su di lui l’attenzione e farsi ritenere un essere soprannaturale. E’ così che lo si vide entrare in alcune città della Sicilia adagiato su un carro di trionfo, coronato di rose e avvolto da nastri. La sua morte stessa fu teatrale. La tradizione vuole, infatti, che si sia gettato nel cratere dell’Etna dopo aver avuto cura di depositare ai bordi del baratro i suoi sandali. Fu il promotore della “teoria” dei “quattro elementi” (l’acqua, la terra, l’aria, il fuoco) che verrà ripresa da Ippocrate e dai suoi discepoli. Ritiene che gli dei hanno iniziato a produrre membra e organi separati: braccia, gambe, petto, occhi, che per lungo tempo hanno vagato all’avventura, cercando di unirsi per creare esseri completi. Errori sarebbero stati compiuti, ciò spiega il perché la terra sia stata dapprima abitata da mostri, come il famoso centauro, dal corpo di cavallo e la testa d’uomo. Il Tempo deve, rimediando a queste confusioni, creare l’uomo e le bestie come noi conosciamo. L’anima secondo Empedocle, ha la sua sede nel sangue. L’anima e il sangue esercitano l’una sull’altro una influenza reciproca. La ricchezza del sangue è una misura della ricchezza dello spirito. Un’anima ardente crea sangue caldo e generoso. Non si sa se Empedocle praticò la medicina. Si dimostrò, in ogni caso, se crediamo ai suoi biografi, igienista efficace mettendo fine, per prosciugamento delle paludi, al paludiamo che regnava a Selinunte. Egli avrebbe, inoltre ,con grande beneficio per l’agricoltura, innalzato nei dintorni di Agrigento dei muri per tagliare il vento. EROFILO. Medico e anatomista greco, della famiglia degli Asclepiadi (nato verso il 334 a.C. in Calcedonia). Si stabilì ad Alessandria, e si dedicò a innumerevoli dissezioni. Alcuni suoi esperimenti li fece su dei criminali che gli venivano dati vivi, uomini e donne; Fallopio, nel 16° secolo, a Padova, si renderà colpevole dei medesimi fatti. Celso e Tertulliano valutarono il numero delle sue vittime in 600!. Gli si rimprovera non solo le dissezioni di vivi ma anche di morti, ritenuto anche colpevole da parte degli antichi e ancor di più dai cristiani, compenetrati della fede nella resurrezione della carne e del rispetto dovuto a questo involucro fatto a immagine di Dio. Lo scalpiccio della scienza medica nel corso della storia ha, in parte, e a ragione opposto ostacoli alla dissezione. Si conosce la sua opera grazie a Galeno essendo andati perduti tutti i suoi scritti. Fra le altre scoperte anatomiche, gli si deve quella della confluenza posteriore del sinus cranico, che lui ha comparato a un torchio e al quale si è dato il nome di “torchio di Erofilo. Ha supposto l’esistenza dei vasi chiliferi, supposta la circolazione del sangue e concepito il ruolo semiologico del polso. E’ stato in grado di discernere le quattro forze che agiscono nell’organismo: la “nutrizione”, ritenendo che l’organo principale e regolatore sia il fegato; la “termogenesi” la cui sede si trova nel cuore; la “sensibilità” che dipende dai nervi; il “pensiero” la cui sede è nel cervello. Ostetrico di fama avrebbe presieduto alla nascita dei “quintupli”. Fra i suoi allievi di ostetricia ci fu una ragazza che si era travestita da uomo per sfuggire ai pregiudizi dell’epoca. Si chiamava Agnodice e doveva più tardi, riconosciuto il suo sesso, brillare nella confraternita medica di Alessandria. “Il medico dovrà soprattutto

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conoscere i limiti del suo potere perché è il solo che può distinguere il possibile dall’impossibile: in tal modo sarà un medico perfetto.” Questo è uno degli aforismi attribuiti da Galeno a Erofilo. ESQUIROL Jean Etienne Dominique. Psichiatra francese (Tolosa 1772 – Parigi 1840) Da prima ufficiale di sanità nell’esercito della Repubblica proseguì i suoi studi alla facoltà di Montpellier, poi a Parigi, dove li terminò,vivendo con grandi difficoltà, ma protetto da Me Molé, la madre del futuro ministro, di cui uno dei suoi amici é il precettore. Ogni giorno, lascia Vaugirard dove la sua benefattrice lo ospita, per recarsi all’ospizio della Salpetriére, percorrendo Parigi da ovest ad est. E’ alla Salpetriére che incontra Pinel; segue le sue lezioni e osserva gli ammalati mentali, che saranno la sua specialità. Il regime di severità che faceva trattare i dementi come dei criminali o dei posseduti cedette di fronte all’umanità di Pinel. Sostenuto dal governo rivoluzionario; non più catene, il rigore solo quando si rende assolutamente necessaria la camicia di forza, una terapia a base di trattamento idrico (idroterapia) e soprattutto una igiene appropriata, attività e i primi tentativi di ciò che oggi chiamiamo psicoterapia. La tesi per la quale ottiene il dottorato aveva come oggetto:”Le passioni considerate come cause, sintomi e mezzi curativi dell’alienazione mentale”. Queste “passioni” condannate dalla psichiatria antico-regime, erano viste da Esquirol come dei mezzi curativi e ad un tempo come la causa dello squilibrio mentale. Queste idee parvero cosi giudiziose al governo imperiale che, per due anni, fu inviato in giro d’ispezione attraverso tutte le case per alienati di Francia. Il suo rapporto fu deprimente: “C’è tutto da fare” e lui stesso si incaricò di fondare, a Parigi, uno stabilimento modello. Nel 1810, prese il posto di Pinel a la Salpetriére. I suoi corsi di clinica mentale cominciarono nel 1817. Ne sintetizzò gli argomenti nella sua opera: “Le malattie mentali considerate sotto il profilo medico, igienico e medico-legale”(Parigi 1838) In quest’opera, definisce la “follia” una affezione cerebrale, ordinariamente cronica, senza febbre, caratterizzata dal disordine della sensibilità, dell’intelligenza e della volontà” Riconosce cinque generi o forme generali di follia: 1° La “lipemania” (malinconia, dei vecchi autori): delirio su un oggetto o un piccolo numero di oggetti, con esaltazione e predominio di una passione triste e depressiva. 2° La “monomania” nella quale il delirio è limitato a un solo oggetto o a un piccolo numero di oggetti, con eccitazione e predominio di una passione allegra e espansiva. 3° La “mania” nella quale il delirio si estende a ogni sorta di oggetti accompagnato da eccitazione. 4°La “demenza”, nella quale gli insensati (stolti) sragionano perché gli organi del pensiero hanno perduto la loro energia e la forza necessaria per adempiere alle loro funzioni. 5° L’”imbecillità” o “idiozia”, nella quale gli organi non sono mai stati ben conformati per questo ne sono colpiti. Esquirol, dopo Pinel, ha contribuito a fare dell’asilo per alienati non un “luogo di contenzione” e spesso di punizione, ma un ospedale, dove la conoscenza della follia prende un carattere obiettivo, scientifico, distinto dai valori morali e teologici. Le cure agli alienati sono, per Esquirol, una vera “pedagogia”. Si tratta di trarre dalle tenebre interiori e dal disordine mentale tutto il chiarore, tutto l’ordine possibile”. Questa l’ analogia, diceva Pinel, suo maestro, fra l’arte del dirigere gli alienati e quella di crescere i giovani!”.

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EUSTACHIO Bartolomeo. Medico e anatomista italiano (San Severino, prov. di Ancona, m. 1574) Fu medico del cardinale Carlo Borromeo e Giulio della Rovere, poi professore al Collegio della Sapienza a Roma. Ardente difensore delle dottrine di Galeno contro Vesalio, che lo attaccava, portò nella sua polemica un’asprezza non comune. Fu con Vesalio e Fallopio, uno dei tre fondatori dell’anatomia moderna. Le sue opere sono monumenti di erudizione medica e di arte: le sue incisioni, di rara bellezza, sono spesso notevolmente esatte. Aveva preparato superbe tavole incise, che destinò a un’opera di anatomia generale rimasta incompiuta. Perdute, queste tavole non furono ritrovate che nei primi anni del XVIII secolo e pubblicate nel 1714. Ha legato il suo nome alle “trombe di Eustachio”, condotto che va dalla faringe alla cassa del timpano. FABRE Pierre. Chirurgo francese (Tarascona 1716-1791) ebbe il merito di sostenere in una delle sue pubblicazioni che la “gonorrea” (oggi si dice blennoragia) era una malattia “che non mutava in sifilide quando colava abbondantemente”, ragionamento errato, ma che introdusse questa verità, allora sconosciuta dalla maggior parte dei medici pratici, che la sifilide e blennoragia erano due malattie ben distinte. Il principale contraddittore di Fabre fu l’inglese Hunter, che, essendosi inoculato nella verga del pus proveniente da una blennoragia, fu colpito non solo da questa malattia, ma da un cancro sifilitico. Andò proclamando dottamente che la prova era data: il pus della gonorrea può produrre un cancro sifilitico” senza domandarsi se il suo “donatore” non era affetto delle due malattie. FAGON Guy Crescent. Medico di Luigi XIV dei bambini di Francia (Parigi 1638-1718) e botanico. Nella sua tesi di dottorato, osò sostenere la teoria della circolazione del sangue, ritenuta allora un paradosso. Incaricato da Vallot di arricchire le collezioni botaniche del giardino del re, percorse, a sue spese, l’Auvergne, il Linguadoca, la Provenza, le Alpi, i Pirenei, raccogliendo per via una grande quantità di piante, ciò che gli meritò ogni sorta di incarichi eminenti, oltre a quello di medico del re. E’ rimasto celebre per la famosa operazione della fistola di cui soffriva sua maestà. Con Carlo Francesco Felice di Tassy, primo chirurgo, si rassegnò alla “grande operazione”. Questo intervento chirurgico, dei più delicati, davanti a Me de Maintenon, indusse ai complimenti Louvois, P. Lachaise, cappellano, e ogni sorta di chirurghi. Mentre Fagon non si staccava dal polso del re, Tassy gli toglieva la fistola per mezzo di un bisturi perfezionato, detto “bisturi alla reale”. Tutto andò per il meglio, e la Corte che tratteneva il fiato, riprese a respirare. Fagon e Tassy si divisero 200000 franchi. Fagon curò Luigi XIV nei suoi ultimi giorni, lui stesso molto debilitato, se crediamo a Saint-Simon, che lo considera come “il primo medico d’Europa” ma aggiunge che “la sua salute non gli permetteva più da tempo di conservare la sua esperienza (si direbbe, con il linguaggio di oggi, “riciclarsi”) e la sua indiscussa autorità dove la sua capacità e il favore l’avevano portato, lo aveva alla fine rovinato; continuò a badare alla salute del re anche quando questi era in età meno avanzata, e questo accanimento lo ucciderà… Il re morì come aveva vissuto. Grande mangiatore, non volle privarsi di niente e malgrado Fagon. Poiché il re soffriva di costipazione, Fagon fece aggiungere al pasto consueto (che consisteva di ogni genere di carni, minestre speziate da resuscitare un morto, una quantità incredibile di insalate e di antipasti) molta frutta con gelato, more, meloni fichi. Ecco la spiegazione medica di Saint-Simon sugli effetti di un tale regime:”Tanta acqua e tanta frutta ossia niente che contenga alcol, muteranno il sangue in cancrena, a forza di diminuirne gli spiriti impoverendoli con i sudori inevitabili delle notti, furono la causa della sua morte, come si comprese quando venne aperto il suo corpo”. Ed il cronista aggiunge queste celebri righe:”Le parti si trovano tutte così belle e sane che si giudicò che avrebbe passato il secolo della sua

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vita”. “Il suo stomaco soprattutto stupiva. I suoi intestini per il loro volume e la loro ampiezza doppia del normale, gli permetteva di essere un grande mangiatore senza eguali.” “Non si pensava ai rimedi che quando non si era più in tempo, perché Fagon non voleva mai crederlo ammalato, cosi Fagon non tentava più alcun rimedio (la gamba del re era nera per sopraggiunta cancrena) .Si introdusse fino agli appartamenti di sua maestà “una specie di tanghero (contadino) provenzale” che venendo da Marsiglia, aveva sentito parlare mentre era in cammino della malattia del re. Propose un rimedio che, assicurò, avrebbe guarito la cancrena. L’aneddoto va raccontato dall’inizio, come ce lo riferisce Saint-Simon: Esso ci mostra, nell’incertezza della diagnosi, che i medici “ufficiali” non temevano di ricorrere ai mezzi empirici. Ma che poteva temere Fagon quando non poteva più ricorrere alla sua farmacopea? “Il re stava così male, e le medicine talmente agli inizi, che venne permesso, presente Me de Maintenon e il duca del Maine, di ricorrere a questo contadino, il cui nome era Le Brun, l quale malmenò molto brutalmente Fagon,cosa che invece era solito fare Fagon nei confronti degli altri per essere rispettato. Restò completamente sbalordito. Vennero somministrate dieci gocce dell’elisir del contadino in un bicchiere di vino di Alicante, alle dodici del mattino. Qualche tempo dopo il re riacquistò le forze, ma il polso era ricaduto e molto cattivo. Gli venne dato una nuova quantità di gocce, a distanza di quattro ore, dicendogli che serviva per tenerlo in vita. Il re rispose, prendendo il bicchiere: “Alla vita o alla morte! A Dio piacendo” Due giorni dopo, si tentò con un nuovo rimedio, quello del “fuoco dell’abate di Aignan” che la duchessa del Maine aveva proposto e che era “un eccellente rimedio contro il vaiolo. I medici acconsentirono perché non c’erano più speranze. Verso le undici di sera lo trovarono così mal ridotto da recitare la preghiera degli agonizzanti. L’agonia finì la domenica 1° settembre 1715, alle ore otto e un quarto del mattino. Tre giorni prima che compisse i 72 anni del suo regno… Fagon non sopravvisse che tre anni al suo signore. Se si fa eccezione alla sua posizione favorevole alla teoria di Hunter sulla circolazione del sangue, non si distinse dalla folla di suoi colleghi per alcun talento particolare. Sarà dimenticato se Luigi XIV non lo avesse in affezione e se Saint-Simon non ne avesse delineato un ritratto.

FALLOPIO. Anatomista e chirurgo italiano (Modena 1523 – Padova 1562) Nominato dal Senato di Venezia successore del grande Vesalio all’Università di Padova, incaricato, inoltre, della direzione del giardino botanico della stessa città, ottenne per le sue dissezioni, criminali vivi, pratica poi abolita dal primo dei Tolomei, che gli fornì anche i corpi dei prigionieri al bisturi a scalpello di Erofilo. Poco preoccupato dai libri, ha esplorato con questi mezzi barbari, o leciti, l’anatomia dell’uomo e della donna, e ha scoperto ogni genere di regioni e di organi ancora sconosciuti. Per primo ha descritto il condotto che libera il passaggio, attraverso le rocche dell’occhio, una porzione del facciale (condotto di Fallopio). Ha ugualmente lasciato il suo nome al legamento inserito nella spina iliaca e nella spina del pube, come pure la tromba che conduce gli ovuli, dall’ovaia all’utero. Riservando una particolare attenzione all’encefalo, ha studiato i nervi motori dell’occhio e scoperto il nervo “simpatico” (patetico : vedere) (“capace di dare quindi grandi dolori) che attraversa il seno cavernoso e ricongiunge il muscolo grande obliquo dell’occhio. Passando dalla anatomia alla patologia, ha trattato della sifilide e delle ulcere. La sua opera principale, intitolata “Osservazioni anatomiche” (Vienna 1561) ha fatto epoca nei fasti anatomici: abbonda in ricerche curiose e in scoperte utili.

FERNEL Jean. Astronomo, matematico e medico francese (Clermont-en-Beauvaisis 1497-Parigi 1558). Possiamo vedere in lui il tipo di medico parigino ai tempi di Francesco

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I° e di Enrico II°. Erudito, bonario che passava con la stessa semplicità dalla Corte alla città. Alle cinque, si reca a cavallo al capezzale dei suoi malati, vestito di una corta sottana nera, portando un largo feltro da sembrare un ecclesiastico, colletto di ermellino, cappa svolazzante sulle spalle. E’ un ippocratico, e tutti i consigli di deodontologia che dava questo grande antenato ai suoi contemporanei, lui li eseguiva, a duemila anni di distanza. Aspetto affabile, poco precipitoso negli esami, poche parole di conforto , sempre maestoso. Le sue prescrizioni, redatte in latino, poggiavano su citazioni e si adornavano di queste parole che, per primo, prese in prestito da Aristotele: “fisiologia”. Prescrisse raramente il salasso, preferendo i rimedi naturali ed inventò una piccola stufa da appartamento, dove faceva sudare i suoi malati, e specialmente coloro che avevano avuto la sfortuna di contrarre la malattia vergognosa che egli chiamò “lue venerea” . Il re gli aveva offerto il posto di primo medico di corte, lui rifiutò questo onore preferendo la sua libertà. Si vantava e, non mentiva, di aver guarito dalla una grave malattia Diana di Poitiers, l’amante di Enrico II°. FINLAY Carlos Juan. Medico cubano (Camagueey, Cuba 1833 – Cuba 1915). Parlare di Finlay è parlare della febbre gialla, di cui trovò l’agente vettore, la zanzara del genere “Stegomyia o Aedes”, che si scoprirà più tardi portatrice di un ultravirus coltivabile in “vitro” (vivo) e a partire dal quale un vaccino sarà approntato e utilizzato nel 1942. Questa malattia dei paesi caldi, originaria dell’ America, infieriva, soprattutto,nell’America Centrale, nell’America del Sud e nelle regioni meridionali degli Stati Uniti. E’ stata importata sulle coste dell’Africa (Senegal, Niger) e in Spagna, in Portogallo, in Italia, ma in Europa non ha mai assunto carattere endemico. I sintomi sono drammatici, e gli attacchi non ingannano: intenso mal di testa, febbre dai 39 ai 40 gradi, dolori che si irradiano nelle membra interne, viso con macchie di color del mogano, occhio brillante, pupille dilatate, insonnia, delirio, urine rare, albuminuria. Dal terzo al quinto giorno dopo l’inizio, c’è un periodo di remissione, il viso si decolora, la febbre scende, ma la temperatura risale. Appaiono le emorragie, sopraggiunge un vomito nero che dà a questa malattia, nei paesi spagnoli, il nome di “vomito negro”. Placche livide, petecchie, in certi punti del corpo appare l’antrace (aggregazione di foruncoli). L’uremia si manifesta, la vista si indebolisce, il polso diventa quasi impercettibile, un singhiozzo prolungato, il delirio che precede la morte. Il malato può tuttavia guarire spontaneamente, pure nei casi più gravi. Esistono, inoltre, forme rozze, non mortali, che sopraggiungono nei bambini e negli autoctoni. Nessuno ha pensato, prima di Finlay, che questa temibile malattia poteva, come la “malaria” delle paludi Pontine, avere per agente delle zanzare. Fu Finlay, da poco allievo di Weir Mitchell che fornì la prova, scoperta presto confermata, del pericolo per la vita dagli esperimenti, a Cuba,di Walter Reed, James Caroll e Jesse Lazear nel 1900. Una missione inviata dall’Istituto Pasteur completava, in Brasile, lo studio epidemiologico della febbre gialla. Fu con il proseguimento di lavori analoghi che lo scienziato giapponese Noguchi, in seguito ad una contaminazione di laboratorio, ad Akka, in Nigeria, trovò la morte (1928). FLEMING Sir Alexander. Medico britannico (Darvel, Ayrshire, 1881 – Londra 1955). Fleming a cui dobbiamo gli antibiotici, e specialmente la scoperta della penicillina, era uno scozzese coriaceo e freddo, testardo e taciturno. Andò a Londra all’età di tredici anni. Aveva numerosi fratelli e sorelle. Il padre si era sposato due volte. Dal primo matrimonio ebbe cinque bambini e quattro dal secondo. A venti anni, Alexander decide di intraprendere gli studi studi di medicina. Nel 1901, è in testa a tutti i candidati al primo anno di medicina di tutto il Regno Unito. Fra le dodici scuole di medicina di Londra,

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sceglie quella del Saint Mary’s Hospital. Uno dei suoi condiscepoli ha scritto in proposito:”Io non ricordo di aver sentito parlare di filosofia, di storia, di letteratura. Io sono stato sorpreso più tardi dallo scoprire che egli leggeva i poeti, e naturalmente lo scozzese Burns più di ogni altro. Lui non ne parla. I trattati scientifici stessi non sembravano essere presi seriamente da lui. Aveva l’aria di scorrerli con leggerezza…” Mettendo gli occhi sul Saint Mary’s Hospital, Fleming aveva soprattutto scelto una squadra celebre di “water-polo”. Ignorava che vi avrebbe trovato un maestro che, più ancora di questa squadra, giustificava la sua scelta. Questo maestro era Almoroth Wright, uno dei più famosi batteriologi del tempo, e inoltre uomo di grande cultura, che riceveva nel suo ufficio uomini di lettere, come Bernard Shaw (che gli diceva: “Voi scrivete ben quanto me”. Come Pasteur, alla Scuola normale superiore di Parigi, Wright aveva installato, modestamente, perché il denaro mancava per la “ricerca” tanto a Londra che a Parigi, due piccoli laboratori. E’ là che Wright fece importanti scoperte, come quella dell’achemina per la sierodiagnostica e il vaccino della febbre di Malta. Fu anche il primo ad impiegare sull’uomo il vaccino antifoidico quasi contemporaneamente a Pfeiffer e Kolle, e seguito da poco da Chantemesse e Hyacinthe Vincent in Francia. Wright era convinto che tutte le malattie infettive potevano essere vinte coi metodi pastoriani, ossia dall’azione degli anticorpi del soggetto stesso o da un siero estraneo. Diceva:”La medicina del futuro sarà una medicina di immunizzazione. A meno che i medici non imparino a fare qualche cosa di utile, si troveranno relegati nella posizione di infermieri superiori. Fleming ebbe subito il privilegio di lavorare esclusivamente nella ricerca medica, sotto la direzione di Wright. Costui lo lasciava operare seguendo la sua ispirazione, passando da uno studio batteriologico a un altro, “facendo piccoli lavori manuali” con un materiale rudimentale, e in un disordine che si dice gli servirà. La sera, lasciando le sue provette, andava ad ascoltare per pochi minuti le brillanti conversazioni di Wright e dei suoi visitatori, ma non partecipava molto. “Più eloquentemente silenzioso di qualsiasi uomo che abbia conosciuto. Lui non si lasciava andare mai. In momenti di collera, arrivò a dirmi che era completamente idiota, o altro epiteto insultante. In risposta, Fleming si accontentava di guardarmi con un sorriso alla Gioconda, ed io sapevo che era lui che avrebbe avuto l’ultima parola in questo incontro…” (Freeman). Il dottor Debré racconta che si trovava una sera, con alcuni altri medici, nello studio di Wright, quando vide spuntare Fleming armato di un bisturi. Senza fermarsi di parlare, Wright tese le mani e Fleming prelevò da un dito una goccia di sangue necessaria…” Fra i maestri di Fleming, occorre citare, dopo Wright, Ehrlich (v.q.n.) colui che ha aperto la storia dei sulfamidici. E’ il padre del primo rimedio efficace contro la sifilide, prima dell’invenzione degli antibiotici, l’arsenobenzene (1910). Un giorno (1928), il batteriologo Melvyn Pryce va a vedere a lavorare l’amico Fleming al Saint Mary’s.Lo trova, come al solito, attorniato da innumerevoli provette, scatole di ferro-bianco, flaconi. Sempre silenzioso, ecco Fleming che toglie il coperchio da vecchie colture. Non è per negligenza, ma è con conoscenza di causa che lascia tante cose a marcire, ammuffire “girare” attorno a lui. Custodiva le sue colture talvolta per due o tre settimane e, prima di eliminarle, le guardava con attenzione per vedere se per caso un fenomeno inatteso si era prodotto. Il seguito della storia provò che aveva ragione…(D’Allison, citato da A. Maurois). Fleming si piega su una delle sue colture, quella come tante altre ha ricevuto “cose cadute dall’aria” la piastra è coperta di muffa. Ma lo sguardo di Fleming, questo sguardo celeste chiaro e che poteva essere straordinariamente attento, si attarda: “That’s funny” (è buffo). Su questa, una muffa ha spinto al centro dei stafilococchi, ma dove sono gli stafilococchi? Invano, le lenti del microscopio li cerca. Non ci sono più microbi visibili, ma soltanto qualcosa che assomiglia a gocce di rugiada. La muffa avrebbe divorato i bacilli? Fenomeno che, in sé, non ha niente di sorprendente. Pasteur ha detto e constatato nei suoi esperimenti:”La vita impedisce la vita”, ed aveva concluso per questa

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proprietà:”Questi fatti- osservati nelle sue ricerche sul carbonchio - giustificano forse le sue grandi speranze per la terapeutica… Da tempo, si aveva constatato l’azione antibatterica delle muffe. Nel suo “Theatrum botanicum”, John Parkinson non aveva preconizzato per la cura delle piaghe infette una pomata a base di muffe raccolte negli ossari? Ma soprattutto, nel 1897, un giovane medico di Lione, Ernest Duchesse,aveva potuto sostenere una tesi sull’antagonismo del “Penicillium glaucum” e di diversi germi: “Si può sperare che vengano proseguiti gli studi dei fatti della “concorrenza biologica” tra le muffe e i microbi, studi solo abbozzati da noi, si arriverà forse alla scoperta di altri fatti direttamente utili e applicabili all’igiene profilattica e alla terapeutica…” Questi “altri” fatti, prologo di una nuova terapeutica, sono stati dunque constatati: una muffa messa in presenza di stafilococchi li ha divorati! Fleming rinnova l’esperimento con altri bacilli, quello tifoide non è per niente colpito, ma lo streptococco, il bacillo della difterite, quello del carbonchio subiscono la sorte dello stafilococco. Proseguendo la sua ricerca, Fleming tenta di isolare la muffa, di ottenerla così allo stato puro il più possibile. Nota questo fatto straordinario:molto diluita fino a 1/500, il liquido giallo fornito dalla muffa è virulento, anch’esso. Ma qual è esattamente questa muffa? Un microbiologo irlandese sollecitato rispose, dopo esami: “Penicillium rubrum”. Due anni dopo, un micologo americano darà la vera identità del fungo: “Penicillium notatum”, che già un farmacista svedese è riuscito a isolare su una pianticella marcia di isopo, questa pianta biblica, che ricorderà Fleming di questa parola del salmista, profetiche al suo orecchio:”Voi mi innaffierete di isopo ed io sarò purificato…” Terza e capitale scoperta: la tossicità della penicillina è quasi nulla.Fleming la analizza su ogni genere di cavia, di conigli, di topini che non hanno per nulla sofferto. Un giorno del 1928 Fleming si arrischia -il rischio sembra del resto piccolo - a curare col Penicillium il suo assistente Stuart Craddock sofferente di sinusite. La guarigione sarà spettacolare. In cinque giorni,non più pus, prosciugamento completo, decongestione delle mucose. E’ lo stesso anno in cui Fleming, una sera che era stato ricevuto dal suo collega Mac Coll, prese dalla tasca una lamina di vetro, e lo mostrò a McColl:”Di questa lamina usciranno cose che interesseranno il mondo intero”. Egli rispose ridendo: “Non è che una lamina di vetro sporco…” Occorreranno anni ancora perché Fleming riesca a convincere i migliori scienziati della importanza della scoperta. Questa del resto è rimasta per lungo tempo inutilizzata dalla medicina ufficiale corrente a causa della instabilità stessa dell’antibiotico. Non sarà che nel 1934 che la scuola di Oxford con Florey e i suoi collaboratori, intraprenderà lo studio sistematico della penicillina che, nel 1940, potrà essere utilizzata negli ospedali degli eserciti alleati. Per la prima volta nella storia del mondo, lo si vedrà negli ospedali militari dove non si muore più di infezione e dove le amputazioni sono diventate rarissime. Florey e i suoi collaboratori sono riusciti a concentrare l’estratto di “penicillina notatum” a purificarlo, a conservarlo e a renderlo sempre più resistente alle variazioni di temperatura. A partire dal 1943, il prodotto ha potuto essere fabbricato industrialmente. I successi terapeutici sono stati sbalorditi, tanto in chirurgia che in patologia medica. Si può dire che la scoperta di Fleming è la più notevole della medicina, dopo Pasteur. La penicillina e gli altri antibiotici a cui darà la nascita hanno reso benigni quei mali poco prima temibili, la meningiti cerebro-spinale, pneumococchi, endocardite, sifilide, gonococchi, ecc. Non c’è più un microbo contro il quale non si possiede uno o più antibiotici più o meno parenti prossimi della penicillina. Il Premio Nobel, nel 1945, è stato assegnato a Fleming e contemporaneamente a Florey e a Chain. FLOURENS Pierre Jean-Marie. Fisiologo francese (Maureil-Bas, Herault, 1794 – Montyeron, vicino a Parigi, 1867). Diventa dottore nel 1813 e va a Parigi avendo una raccomandazione di Candolle a Georges Cuvier. Cuvier, allora segretario perpetuo

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dell’Istituto, gli riservò la migliore accoglienza e lo sostenne agli inizi della sua carriera. Continuò sempre a studiare la fisiologia, guadagnandosi la vita collaborando a riviste di divulgazione, come la “Revue encyclopédique”. Lo studio delle funzioni cerebrali divennero presto la sua principale preoccupazione. Per primo, ebbe l’idea delle localizzazioni cerebrali presentite prima di lui da Gall, e indicò il cervelletto come sede delle forze che regolano e coordinano il movimento e la postura. Flourens è del resto uno dei veri scienziati che hanno accordato qualche importanza all’autore stravagante della frenologia. “Bisogna distinguere essenzialmente in Gall, scrive, l’autore del sistema della frenologia e l’osservatore profondo che ci ha aperto con genialità lo studio dell’anatomia e della fisiologia del cervello”. Presentando all’Accademia delle Scienze il primo lavoro del giovane fisiologo sulle localizzazioni cerebrali, Cuvier non cessa di elogiare colui che considera sempre, e a giusto titolo, come il suo figlio spirituale:” Aver immaginato gli esperimenti che servono di base a questo lavoro è un fatto geniale che merita la nostra ammirazione. In effetti, le masse nervose che costituiscono l’encefalo non erano state studiate profondamente per riconoscere a ciascuna di esse una funzione che gli era propria; mai erano state isolate le une dalle altre… Cosa incredibile, dopo Haller, dopo Bichat, non si era ancora considerato il cervello come la radice dei nervi! Nel 1828, Flourens è titolare supplente della cattedra di fisiologia al Collegio di Francia. L’Accademia delle Scienze lo ammette nel suo seno lo stesso anno. Nel 1832 è professore di anatomia umana al “Jardin des Plantes” fino a che si creò espressamente per lui, al Museo, una cattedra di fisiologia comparata. Gli onori non cessarono di piovere sulla sua testa. Eletto deputato di Béziers nel 1838, è favorito, due anni più tardi, in una elezione di altrettanta risonanza: “l’Accademia francese” lo ha preferito a Victor Hugo! Questa ascesa ebbe il suo culmine quando Luigi Filippo lo fece pari di Francia. FOURNIER Jean Alfred. Medico francese (Parigi 1832 – 1914) Si è dedicato soprattutto allo studio delle malattie sifilitiche, sia in qualità di medico ospedaliero, nel servizio dell’Ospedale Maggiore, che egli ha diretto, sia come professore alla facoltà di medicina di Parigi. Per più di 40 anni, ha ricevuto un numero incalcolabile di malati, disponendo per ognuno una cronistoria approfondita dei sistemi delle terapie, del loro effetto, facendo suo il principio di Cartesio”Fare ovunque il censimento completo e la rassegna generale in modo di essere sicuri di non tralasciare niente.” Ha distinto il cancro indurito da quello molle, dimostrando il pericolo - per il contagio - delle placche mucose; ha descritto una sifilide secondaria febbrile che si è chiamata “tifo-sifilitica di Fournier”. Ma la sua grande scoperta è quella del’origine sifilitica della paralisi generale, o tabe che annunciò davanti alla Accademia di medicina, dove incontrò una maggioranza di increduli.. Si dovettero aspettare le ricerche batteriologiche dello scienziato giapponese Noguchi per dargli ragione. “Dava l’impressione - ha scritto Léon Daudet – di essere straordinariamente attento al corso di questi dotti dibattiti, e quando prendeva la parola, dalla sua voce sostenuta, traspariva una calma imperturbabile…” Gli si deve, fra le altre opere:”l’Atassia locomotoria di origine sifilitica (1882); “Il periodo preatassico della tabe” (1885), la “Sifilide del cervello” (1889). FRACASTORO Girolamo. Medico italiano (Verona 1483-Caffi 1553). Si diede allo studio di diverse scienze, in particolare la medicina, e fu nel contempo poeta di grande talento. In versi latini ci descrisse tutti i sintomi di ciò che veniva chiamato allora “il grande vaiolo”, che lui chiamò poi “Sifilide”. In questo celebre poema:”Syphilidis sive morbo gallico libri tres”, apparso nel 1530 e dedicato al Bembo, cardinale e segretario di Leone X, immagina che un giovane e grazioso pastore chiamato Sifilo , avendo

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oltraggiato il dio Apollo, si vede colpito dal temibile male. Con toni virgiliani, l’autore ci intrattiene sui sintomi (cancro, poi periodo secondario, con rosolia, caduta dei capelli, ecc.) e delle terapie che sono tre: esercizi all’aria aperta, mercurio ecc. Fracastoro cita ,senza sostenerla, l’opinione generale che riguarda il “grande vaiolo” come importato dall’America. Considerata la malattia come contagiosa, ammette però nelle donne, la sua nascita spontanea. Negli ultimi anni di vita, Fracastoro scrisse una memoria molto interessante su il “Contagio, le malattie contagiose e il loro trattamento”. Accusa del contagio i corpi invisibili che egli chiama “Seminaria contagiorum” e respingendo i “miasmi” e le “febbri putride”, sostiene, con notevole chiaroveggenza, che sono questi infinitamente piccoli che diffondono il vaiolo, la rosolia, la “suette” inglese e infine la tisi, che si chiamerà “tubercolosi” e che Villemin, tre secoli dopo, riconoscerà, in effetti, per contagiosa. Come Pasteur stesso, Fracastoro predica l’antisepsi ante litteram, meglio prevenire, difendendosi in anticipo dalla “seminaria”, che curare. FREUD Sigmund. Neurologo e psicologo austriaco (Freiberg, oggi Pfibor,Moravia 1856 - Londra 1939). “Quanto ai miei biografi, ha scritto Freud in una lettera alla fidanzata, che si sono tormentati, noi non gli renderemo il lavoro facile. Ognuno potrà avere la sua opinione sull’”evoluzione dell’eroe”, tutti avranno ragione, io mi rallegro già dei loro errori”. Precedendo i suoi biografi, ha tentato lui stesso il racconto della sua vita: “Sono nato il 6 maggio a Freiberg in Moravia, una piccola città della Cecoslovacchia odierna. I miei genitori erano ebrei, io stesso sono rimasto ebreo. Della mia famiglia paterna, credo di sapere che soggiornò per molto tempo nei paesi renani, a Colonia a causa di persecuzioni contro gli ebrei, nel XV secolo. Si rifugiò all’est e, nel corso del XIX secolo, andò in Lituania, venendo dalla Galizia, verso un paese di lingua tedesca, l’Austria… (La mia vita, trad. di Maria Bonaparte). Nato ebreo, sarà all’”opposizione”: “Essendo ebreo, io mi trovo esente da molti pregiudizi che limitano gli altri all’uso delle loro facoltà intellettuali, come ebreo ero anche preparato a riunire l’opposizione e a rinunciare a ogni intesa con la maggioranza compatta…” Non è stato irresistibilmente attirato dalla medicina. Così ha scritto nella sua autobiografia. “Benché i nostri mezzi di sussistenza fossero mediocri, mio padre insistette perché io seguissi la mia inclinazione nella scelta di una professione. Né allora , né più tardi, io provai una predilezione particolare per la posizione e le preoccupazioni del medico. Io non l’ho provata del resto dopo. Ero piuttosto mosso da una specie di sete di sapere, ma che si indirizzava più su ciò che concerneva le relazioni umane che su gli oggetti propri delle scienze naturali” Prolungò otto anni i suoi studi di medicina, poco pressato ad esercitare e rispondendo a chi gli chiedeva dove voleva arrivare, da queste “storie ebraiche”, “Dove vai Itzig?” “Non lo so, domandalo al mio cavallo!” E’ così che batte la macchia della zoologia, della chimica, della mineralogia, della filosofia, iniziandosi a questa ultima disciplina sotto la guida di Franz Brentano, che gli fece avere la traduzione di opere di Stuart Mill. In fisiologia nervosa, subì la forte influenza di Ernst Bruecke, al quale resta “attaccato” per sei anni, riconoscendo in questo vecchio scienziato “la più alta autorità mai incontrata…”. Nel 1881, è dottore in medicina. Nel 1882, lascia il laboratorio per l’ospedale. Passa dal servizio di medicina generale a quello di psichiatria, con il maestro Maynert. Prova su se stesso gli effetti di un prodotto allora poco conosciuto, la cocaina: diventa il propagandista di questo narcotico di cui non suppone i pericoli (1884), e si rende responsabile di un’ondata di cocainomani che si abbatte sull’Austria. Sarà da allora, agli occhi del corpo medico viennese, un uomo sospetto. Libero docente di neuropatologia nel 1885, fornito di una

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modesta borsa di studio, fa un primo soggiorno in Francia, presso Charcot. “Charcot, uno dei più grandi medici che ci siano, uno spirito genialmente assennato, sconvolge semplicemente le mie idee e le mie intenzioni. Io esco spesso dalle sue conferenze come da Notre Dame, con un sentimento nuovo della perfezione, ma mi scuote rudemente…” Mostra il grande neurologo sprofondato nel caos delle malattie mentali della Salpétriere, cercando di comparare, di distinguere, di classificare, di nominare. “Egli non era portato alla speculazione. Non era un pensatore, ma una natura di artista, un visionario, come diceva lui stesso. Questa specie di lavoro intellettuale, dove non aveva simili, Charcot lo chiamava “far della nosografia”. Si poteva sentirlo dire che la più grande soddisfazione che sia riservata a un uomo era di vedere qualche cosa di nuovo, e nelle sue osservazioni non cessava di ritornare alla difficoltà e al merito di questa chiaroveggenza…” “Non si voleva dare alcun credito agli isterici perché, si diceva, nell’isteria, tutto è possibile. Il merito di Charcot è di aver reso a questo oggetto di studio la sua dignità… Così Charcot rinnova nel piccolo atto di liberazione richiamato dal ritratto di Pinel sul muro dell’Anfiteatro anatomico una volta vinta la paura irrazionale di essere mistificato dai poveri malati che aveva fatto fino ad allora ostacolo a uno studio serio delle nevrosi… Nel 1886, sposato, Freud apre a Vienna un gabinetto di consultazione. Cura piccole nevrosi, senza lesioni né intossicazioni,e davanti alle quali la scienza classica si dichiara impotente. Tenta, seguendo l’esempio di Charcot, l’ipnosi.”Il lavoro per mezzo dell’ipnosi era affascinante. Si provava per la prima volta il sentimento di avere superato la propria impotenza. Era lusingato di aver fama di taumaturgo… Io dovevo scoprire più tardi quali erano gli errori del procedimento…” Saputo che a Nancy Ippolito Bernheim, professore di ruolo, trattava malattie analoghe con l’ipnosi, ma anche con la semplice suggestione, si reca da lui e si informa dei procedimenti della Scuola di Nancy. “Io vidi all’opera il vecchio e toccante Liebault, dietro a povere donne e bambini della popolazione proletaria; io fui testimone di stupefacenti esperimenti di Bernheim sui malati dell’Ospedale, ed è lì che io ricevetti le più forti impressioni relative alla possibilità di potenti processi psichici rimasti nascosti alla coscienza degli uomini”. Ritornato a Vienna, è colpito dalle cure di uno dei suoi colleghi, maggiore di lui per età, il dottor Joseph Breuer, che ha guarito Anna O. per mezzo di un metodo detto”cura per mezzo della parola” o “pulitura del camino” termine al quale verrà sostituito quello di “catarsi. “Coricato nella penombra, il paziente deve lasciarsi andare. I suoi sentimenti, desideri, immagini mentali che si succedono, senza imporgli una formulazione logica. Egli ne deduce associazioni di idee che permetteranno di risalire ai ricordi i più lontani, oltre la dimenticanza. Lo psicoterapeuta aiuta il paziente a mettere in luce l’essenziale, ad uscire dal labirinto della scappatoia, dalle resistenze e dalle menzogne. Gli “studi” sono stati male accolti dai medici, che si spaventavano del posto che occupava la sessualità. Freud stesso confessa di essere stato sorpreso da questa onnipresenza dell’Eros constatata nell’inconscio dell’uomo. E’ meno la approvazione presso gli scienziati che filosofi e soprattutto letterati, perché questi, e non i medici, hanno già penetrato la psicologia del profondo, giocato con queste associazioni spontanee e spesso un poco pazze, incontrate,a ogni curva del cammino, questo stesso Eros, grazioso e feroce, fecondo o criminale. Il primo articolo che elogerà il nuovo metodo di analisi psichica è dello scrittore viennese Alfred von Berger: “Noi presagiamo che verrà un giorno in cui sarà possibile accedere al segreto il più profondamente nascosto nella personalità umana..” Questa teoria infatti non è altro che questa specie di psicologia di cui fanno uso i poeti…” Nel 1896, in un testo scritto in francese appare il nome, destinato a così grande fortuna, di “psicoanalisi”che Freud scriverà subito “psico-analisi”: “Per la seconda classe di grandi nevrosi, isteria e nevrosi ossessiva, la soluzione della questione eziologica è di una semplicità e uniformità sorprendente”. Io devo i miei risultati all’impiego di un nuovo metodo di psico-analisi, al procedimento di esplorazione di Joseph Breuer, un sottile ma

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che non si sarebbe sostituito, tanto si è dimostrato fecondo per chiarire le vie oscure dell’ideazione inconscia. Per mezzo di questo procedimento, che non occorre descrivere in questa sede, si perseguono i sintomi isterici fino alla loro origine, che si trova ogni volta in un avvenimento della vita sessuale del soggetto, pronto a produrre un’emozione penosa. Risalendo indietro nel passato del malato, passo dopo passo, e sempre diretto dall’incatenamento organico dei sintomi, dei ricordi e dei pensieri risvegliati, io alla fine sono arrivato al punto di partenza del processo patologico…” Con la parola, Freud ha dato, una prima definizione del sistema. Nel 1900, pubblica la “Scienza dei sogni” che si considera come la sua opera più importante. L’autore stesso, grande sognatore, considera che il sogno non è un fenomeno assurdo né un caso, ma una sorta di linguaggio esoterico esprimente il fondo del nostro essere, coi suoi desideri, i suoi terrori, le sue pulsioni distintive, tutte cose che, nello stato di veglia, sono respinte in disparte dalla nostra coscienza da questo guardiano accigliato del nostro io intellettuale e sociale:la censura. Fra le diverse categorie di sogni che Freud descrive ed interpreta con straordinaria sottigliezza che fa pensare talvolta a Sherlock Holmes, la più interessante è quella dei sogni simbolici, i simboli essendo il travestimento che permette ai desideri e “affetti” di varcare impunemente la frontiera tracciata fra l’inconscio e il conscio, eludendo la vigilanza delle sentinelle. E non ci si stupisce che i sogni censurati, i più “simbolizzati” siano quelli che contravvengono maggiormente alle regole del pudore, della morale. Vediamo comunemente comparire, nell’uomo, la pulsione dell’incesto nello stesso tempo che l’odio per il padre, e per la femmina la stessa tentazione inversa. Ecco ciò che avviene senza scandalizzare il conformismo della “maggioranza compatta”. Ma Freud, imperturbabile: “Noi tutti abbiamo sentito al riguardo di nostra madre il nostro primo impulso sessuale, nei riguardi di nostro padre il nostro primo odio. I nostri sogni lo testimoniano. Edipo, che uccide suo padre e sposa sua madre, non fa che realizzare il desiderio della nostra infanzia…” Perché uno psichiatra come Krafft-Ebing, specialista delle perversioni sessuali, non aveva scandalizzato nessuno? Perché non attribuiva queste pulsioni profonde che a nevrosi, mentre Freud le scopre in ciascuno di noi, latenti, e specialmente attive nella prima infanzia, ciò che svilupperà nei suoi “Tre saggi sulla teoria della sessualità”, opera riguardata come la più aberrante per gli spiriti abituati al mito dell’innocenza infantile, ma come la più importante per gli specialisti della psicoanalisi e la maggioranza degli psichiatri contemporanei. Così si esprime il dottor Jean Delay nella sua : Psychophysiologie humaine” (P.V.F. ed.). :”L’opera di Freud ha gettato le basi di ogni caratterologia psicoanalitica definita da una fissazione o dalle regressioni ai diversi stadi dello sviluppo della “libido” fino all’età di tre anni, distingue tre fasi:la fase orale…caratterizzata da un auto-erotismo diffuso centrato sull’edonicità della suzione di cui lo svezzamento frustra il bambino. La fase anale, che si sviluppa alla fine del primo anno, è inseparabile dall’educazione sfinterica: il bambino scopre il piacere di “trattenersi”, ma vi rinuncia per fare a sua madre il piacere di andare regolarmente di corpo. La fase genitale, verso l’età di tre anni, corrisponde alla localizzazione dell’auto-erotismo nella regione genitale: il bambino attraversa allora una fase narcisistica frequentemente accompagnata da masturbazione fallica o clitoridea, e alla quale rinuncerà poco a poco per arrivare alla scelta di un oggetto d’amore esterno a lui… Un buon numero di nevrosi avranno come causa la fissazione allo stadio della prima infanzia. Così la fissazione allo stadio narcisistico provocherà il rifiuto del sesso opposto a una corrispondente omosessualità. A partire dal 1902, alcuni giovani medici si raggrupparono attorno a Freud col disegno di esercitare la psicoanalisi e di insegnare il metodo. Fra questi neofiti, citiamo Rudolf Reitler, Wilhelm Stekel, che era stato allievo di Freud, ma anche suo paziente, quando era sofferente di gravi disturbi nevrotici; Max Kahane, Alfred Adler (v.q.n.). Il gruppo prese subito il nome di “Società psicologica del mercoledì”, perché si riunivano il mercoledì in casa di Freud. Nel 1908,questa piccola

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cerchia si accrebbe di nuovi membri e divenne la “Società psicoanalitica di Vienna”. Freud appariva, agli occhi dei suoi adepti, come il grande sacerdote di una nuova religione, guardiano geloso, intransigente e pertanto l’autorità divenne insopportabile ad alcuni:”Credete dunque, gli diceva Adler, che sia per me un grande piacere passare la mia vita intera all’ombra di voi?”. Di questi discepoli ve ne furono pochi veramente fedeli. Gli uni, come Adler e Jung, che conservarono la loro ammirazione e amicizia per lui, hanno preso strade diverse; altri come Fernczi, cosa più grave, rimasti sotto il suo vincastro, hanno alterato la dottrina. Nel 1908 si riunisce a Salisburgo il primo Congresso internazionale di psicoanalisi. Questo “Incontro di psicologi freudiani” non dura che un giorno, ciò fu sufficiente per vedere la scuola di Zurigo, nella persona dello Jung, ergersi contro Karl Abraham, psichiatra berlinese, a proposito della schizofrenia, il primo attribuendola a uno stato organico del cervello, il secondo, fedele ai principi freudiani, attribuendola a un blocco dei processi affettivi. Per sette anni ancora, Jung e Freud lavorarono insieme, ma il disaccordo si aggravò fra loro, imputabile senza dubbio, più che a divergenze scientifiche, a una differenza profonda di temperamento, di lingua, di ambiente sociale: di fronte all’ebraico, il cristiano, sovrappiù protestante, incline allo spiritualismo, pronto all’ipotesi avventurosa, curioso di spiritismo, come a quello che conduce, per esempio, alla teoria seducente di un inconscio collettivo… La rottura con Jung sarà consumata nel 1914, dopo quella di Adler (1911) e di Steckel (1912). Si dice che , salendo a bordo di un battello alla rada di New York, Freud disse a Jung che lo accompagnava nel suo viaggio:”Gli portiamo la peste…” Freud, nel 1909, fu invitato dall’Università Clark di Worcester. Le sue conferenze, pronunciate in tedesco e senza note, fecero grande impressione. Per la prima volta, Freud sente su di lui i raggi della gloria. Il grande filosofo William James gli testimonia il suo interesse. All’America che cercava la strada nel campo della morale sessuale, si divideva fra una libertà conforme ai suoi principi democratici e un puritanesimo cristiano che si era peraltro mostrato favorevole alla sua espansione economica, Freud apre una via inattesa quella di una sessualità non più velata di mistero, irta di tabù, ma esposta, malgrado la ripugnanza, alla luce del sole, come il cadavere aperto nell’anfiteatro anatomico, e la cui potenza formidabile era, nello stesso tempo rivelata, e neutralizzata. Si sa la fortuna che la psicoanalisi conoscerà negli Stati Uniti, ma anche quali alterazioni essa ha subito. Dalla sua entrata nel Nuovo Mondo, Freud aveva peraltro supposto uno sviamento, dubbio suggerito dall’apparizione stessa dei grattacieli di primo mattino, sull’isola di Manhattan:”Un errore, un errore gigantesco, imponente, ma un errore…” Nel 1910 compare “Un ricordo di infanzia di Leonardo da Vinci” Freud che si interessa di arte, come di archeologia era stato spesso incuriosito dall’espressione asessuata e “stereotipata dei personaggi maschili di Leonardo” Avendo letto il racconto che il pittore ha lasciato di uno dei suoi sogni, il sogno strano dell’avvoltoio, Freud arrischia una psicoanalisi postuma con una curiosità metodica di giudice istruttore, penetra fino a questi primi incidenti della prima infanzia che fissarono Leonardo a uno stadio omosessuale latente, che si trova peraltro all’origine del suo genio: miracolo di sublimazione. La conclusione di questa prova ci convince del determinismo psichico di ogni uomo: è il (giocattolo) vittima. Bisogna affliggersene? No! Ma riconoscere con il pittore stesso che “la Natura è piena di infinite ragioni che non furono mai nell’esperienza”. Freud non ha pubblicato un corpo di dottrine. Ha guardato alla psicoanalisi come un divenire perpetuo. Gli ha fatto, lui stesso subire dei ritocchi: nel 1914, quando accusa l’importanza del narcisismo nella genesi delle nevrosi, ma a partire dal 1920, soprattutto, quando, con grande smarrimento dei suoi discepoli, modifica la teoria delle pulsioni e quella dell’apparato psichico. La nuova teoria delle pulsioni opposta alle pulsioni della vita (sessualità, libido, eros) alle pulsioni di morte o dell’aggressività (Thanatos). Nell’”Al di là del principio del piacere”, Freud ammette una

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tendenza primitiva - e distinta dalla libido - all’autodistruzione. “Più fondamentali delle pulsioni di vita, le pulsioni di morte tendono, per la riduzione delle tensioni, a livello di uno stato anteriore, lo stato inorganico, alla ripetizione: difficile di identificare in se stesso, esse si esprimono attraverso i divieti, le loro proiezioni all’esterno (paranoia), la loro fusione con le pulsioni libidinose (sadismo, masochismo) il loro rivoltarsi contro l’Io (melanconia = malinconia). Con l’Io e l’Es, Freud traccia un nuovo schema delle strutture psichiche, che consiste soprattutto in una nuova terminologia, più illuminante: l’Es è la sede delle passioni, dei desideri repressi; l’Io è la differenziazione dell’Es al contatto con la realtà, e la cui vigilanza controlla l’accesso alla percezione e all’azione; il Super Io si forma per interiorizzazione delle immagini idealizzate dei genitori, oggetto d’odio o d’amore . Questo Super Io è all’origine della coscienza morale, dell’autostima o dei sentimenti di colpa. L’Io e il Super Io assicurano entrambi la difesa contro l’esercito barbaro dell’Es; altrettante modificazioni che trovano la loro importanza maggiore nel fatto che esse smentiscono il pansesssualismo. Freud compie i suoi sessantotto anni; l’età e i primi danni di un cancro alla bocca, subirà più di trenta operazioni, con il quale vivrà ancora sedici anni di continue sofferenze stoicamente sopportate, hanno fatto di lui il personaggio mirabilmente dipinto da Stefan Zweig: “Da quando i capelli sono ingrigiti, la barba non copre più completamente il mento forte e getta un’ombra meno profonda sulla bocca dai contorni marcati qualcosa di duro, di nettamente offensivo e quasi accanito che caratterizza la sua natura. E lo sguardo che, una volta, non sembrava che contemplativo, prende qualcosa di più profondo e di più penetrante, una piega di amara sfiducia taglia la fronte libera e solcata di rughe come la linea netta di una ferita stretta, duramente tesa, si chiudono come per dire:”No! O “Non è vero!”Si sente per la prima volta la veemenza e il vigore della natura freudiana, e più la si pensa: no, non c’è qui un buon vecchio dai capelli bianchi , diventato dolce e socievole con l’età, ma un esaminatore impietoso che non si lascia ingannare da niente e non consente di ingannare su niente. Un uomo davanti al quale si avrebbe paura a mentire…(Stefan Zweig “La guarigione per lo spirito”). Dal 1925 al 1931, le opere di Freud sono una ricapitolazione delle opere anteriori e un bilancio: “Inibizioni, sintomi, angoscia (1925), “La mia vita e la psicoanalisi”(1925),”Malessere nella civiltà” (1929). Se a questa opera nella maggior parte dei paesi latini la opposizione a Freud non disarma, la Francia, tuttavia, comincia a scoprire nella psicoanalisi, nello stesso tempo una terapeutica di incontestabile successo,e una nuova filosofia dell’uomo conforme a quella di cui aveva conoscenza il profeta di Israele, i teologi, i poeti. Il surrealismo se ne appropria. Gide malgrado la sua definizione paradossale di Freud, “un imbecille di genio”, lo considera come uno delle due o tre personalità più importanti dell’epoca. Maria Bonaparte, principessa di Grecia, sarà la sua traduttrice nei giorni difficili della persecuzione nazista, la fondatrice dell’Istituto francese di psicoanalisi, alla quale lui lascerà in testamento la sua biblioteca e documenti inediti. Nel 1931, quando, dal crollo economico della Germania, sorge il mostro hitleriano, comparvero le “Opere complete” di Freud, in undici volumi. “Undici volumi che scuoteranno il mondo” (Karl von Ossietsky, Vienna). Opere alle quali si dovrà aggiungere “Nuove conferenze sulla psicoanalisi” (1932) e questo strano studio:”Mosè e il monoteismo” “Turbato per i problemi delle sue origini, ossessionato a causa delle persecuzioni del momento che superano in atrocità tutte quelle del passato, Freud domanda a Mosè chi era, e se è vero che in tempi immemorabili egli ha creato non solo il Dio unico, ma il popolo che ancora oggi si dice l’ eletto di Dio” (Marthe Robert, “La rivoluzione psicoanalitica). Questo saggio non sarà pubblicato che sette anni dopo, in esilio. Non è, così strano come sembra, per timore di aggiungere un alimento all’autodafè hitleriana, ma di provocare da parte del Vaticano, così potente ancora a Vienna, un divieto dannoso allo sviluppo della psicoanalisi. Nel 1938, quando i nazisti invadono l’Austria, Freud, che comincia a ricevere le visite della

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Gestapo, decide di emigrare in Inghilterra con i suoi. Maria Bonaparte pagherà i 4824 dollari di cauzione richiesti dalle autorità. Il 4 giugno 1938, lascia la città dove ha passato 79 anni della sua vita. Dopo un breve soggiorno nel sontuoso hotel di Maria Bonaparte, a Parigi, place d’Ièna, va in Inghilterra. Londra gli riserva un’ accoglienza indimenticabile. Lo stesso popolino sfila sotto le sue finestre. “Il sentimento di trionfo, scrive, si mischia troppo intimamente alla tristezza, perché alla prigione da dove si cerca di uscire ci si era molto legati… Dopo la morte di Freud, avvenuta il 23 settembre 1939, la psicoanalisi si è sistemata e fortificata nelle sue posizioni in tutti i paesi del mondo. Il trattamento psicoanalitico, resta quasi esclusivo per le classi agiate, perché la cura è lunga e costosa, talvolta deludente, non di meno è riguardata, salvo qualche oppositore irriducibile, come un prezioso ricorso là dove i medicamenti psicolitici, elettrici, ecc. hanno fallito. La psiconalisi ha soprattutto dato una nuova teoria, una delle più plausibili, dello psichismo umano.

GALENO (Galenus Nicon). Medico greco (Pergamo 131 d.C. – Roma o Pergamo 210 ca.). Figlio di una famiglia patrizia, suo padre Nicon, era senatore di Pergamo. Riceve una educazione accurata ed enciclopedica. All’età di diciassette anni, si consacra agli studi di medicina, e cosciente dell’insufficienza di libri che aveva a sua disposizione comincia a viaggiare a piedi in tutti i paesi dove può trovare scuole e medici che possano meglio istruirlo. Soggiorna un anno a Tiro, raggiunge l’Egitto, dove ci sono i dotti medici e filosofi di Alessandria. Ai piedi del celebre faro, questa torre di marmo bianco che si illumina di fuoco sul far della notte, si trova una scuola di anatomia, dove si possono sezionare i cadaveri di scimmie e seguire l’insegnamento dei più grandi medici del tempo: Erofilo e Erisistrato. Si stabilisce a Roma all’età di 34 anni e abbandona la chirurgia, e pensa subito di specializzarsi in medicina. Tempo dopo studia le opere di Ippocrate: “Fu illuminato da una luce nuova”, scrisse Cabanis… Ippocrate e la natura furono allora i soli maestri da cui volle ricevere le lezioni”. E’ ritenuto come il continuatore di Ippocrate, e non si fa scrupoli affatto di rimproverare il maestro di Cos, di avere un poco proceduto all’avventura, di non essersi fermato nei posti importanti….” Preoccupato di essere conciso, è stato spesso oscuro. Ha trattato assai poco le malattie complicate. In una parola, se lui ha cominciato, tocca a un altro a finire… Sfortunatamente Galeno era un dottrinario, pieno delle idee di Platone e di Aristotele. Si è sforzato di riempire il quadro di un sistema, del resto semplicistico, con osservazioni superficiali. La sua fisiologia stessa riposa su postulati più che su osservazioni. Così riconosce al corpo umano i quattro elementi di Empedocle: l’acqua, l’aria, la terra, il fuoco, e quattro elementi liquidi: il sangue, la pituita, la bile, l’atrabile. E’, come tutti i Greci “vitalista”. L’essenza della vita, è il pneuma (spirito), che si manifesta sotto tre forme: il pneuma psichico (o spirito animale), la cui sede è il cervello; il pneuma zootico, la cui sede è il cuore; lo pseudo fisico o spirito naturale, la cui sede è il fegato. Questi errori sono meno gravi, perché sono errori filosofici, comuni alla sua epoca, dei suoi errori di osservazione. Si vede che Galeno non ha mai esaminato coi suoi occhi, ancor meno sezionato, un fegato umano, un cuore, uno stomaco. Così sostiene che esiste una comunicazione fra i due ventricoli cardiaci. Le sue affermazioni fantasiose sul sistema circolatorio sanguigno hanno rallentato lo sviluppo dell’anatomia fino a che non si decise di non più riverire ciecamente questi grandi antenati. Si è dovuto attendere il XVII secolo perché un uomo di genio e di coraggio, William Harvey, osi proclamare: ”Galeno ha sbagliato.” E si sa delle persecuzioni subite da Vesalio (v.q.n.) il grande anatomista del XVI° secolo, perché non poteva impedirsi, ad ogni sua lezione, di dimostrare gli errori di Galeno, ed osava richiamare che costui “sbaglia coi suoi studi sulla scimmia, e ha ingiustamente accusato di errore quei medici dell’antichità che avevano lavorato, loro, sul

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corpo umano”. Eppure, in Galeno, non tutto è trascurabile, al contrario.Riguardo alla lista dei suoi errori, si mette in luce, poco a poco, la lista delle sue scoperte ed osservazioni esatte, dei suoi consigli assennati e pratici. Le sue attività chirurgiche come semplicemente mediche lo hanno notevolmente illuminato sull’anatomia e la fisiologia dei centri nervosi. Per primo ha distinto il ruolo del cervello, del cervelletto e del mesencefalo. Egli ha dimostrato che l’ansa nervosa ricorrente condiziona il funzionamento della laringe. Alcune delle sue diagnosi farebbero onore ad un neurologo d’oggi, come ‘ ad esmpio, la diagnosi di un male di cui soffriva il sofista Pausania: traumatismo vecchio della ultima vertebra cervicale, dovuto a sviluppo secondario di una “diatesi scirrosa locale”. Nel XIV° secolo, quando ormai Ippocrate era relegato nell’ombra e che gli Antichi, in generale, non erano più ascoltati, Galeno insegnava ancora il suo metodo delle “sezioni e delle eccitazioni elettive” per l’esplorazione sistematica del sistema nervoso. A lui dobbiamo inoltre descrizioni cliniche eccellenti, di alcune malattie come il colera,l’idrofobia (la rabbia), il tenasmo, ed anche del “tumore duro, denso, fisso e doloroso” che lui distingue dal “cancro, tumore maligno, durissimo, ulcerato o no…”Le sue osservazioni sulla tisi, di cui descrive le forme acute e le forme croniche, saranno utilizzate, agli inizi del XX° secolo da Forlanini. GALL Franz Josef. Medico tedesco (Tiefenbrunn, ducato di Baden 1758 – Parigi 1828). Vienna verso il 1798 comincerà ad interessarsi a questo bizzarro personaggio che si occupava meno - benché fosse medico – di curare i malati che di palparne i crani (teschi), rivelandone, con la punta delle dita, le cavità e le gibbosità, e tirando le conclusioni sul carattere; teoria che egli riassunse con queste parole: “Le facoltà dell’uomo sono localizzate nelle diverse parti del suo cervello, e le forme del cranio permettono di distinguere l’importanza rispettiva di queste facoltà.” Un tale sistema sospettato di materialismo scatenò contro Gall i fulmini del governo .Dovette fare i bagagli e partire per Berlino, cercando clienti a Dresda. Lo si vede ad Halle dove gli studenti gli impediscono di parlare per il baccano, ma fra costoro recluta due discepoli fedeli: Reil e Loder, anatomisti famosi. Dopo ogni specie di viaggi, eccolo, nel 1808, a Parigi… Ci troverà l’accoglienza calorosa che, qualche anno prima aveva favorito Mesmer. Se Vienna è la città che “uccide i profeti” Parigi è quella che li incensa, almeno quando hanno novità frizzanti. Questo seducente professore austriaco, dopo palpato l’occipite, la nuca, la fronte, le tempie, annuncia sentenzioso che possedete la gibbosità della matematica, che vostro figlio deve essere sorvegliato da vicino,avendo quello della prodigalità, e questa depressione alla sommità della testa di vostra moglie tradisce una insoddisfazione innata, impossibile da soddisfare… A Parigi, non si giurò più che su Gall e la sua “frenologia”, senza ascoltare gli scienziati che, come Cuvier, non vedevano che stravaganze. Era un nuovo Mesmer, ossia un richiamo per i gonzi? Ma mentre Mesmer non aveva mai tentato di presentare un sistema coerente, Gall, se ne preoccupava. Dal 1822 al 1826 pubblica i quattro volumi (quattro enormi in-quarto) della sua opera dall’interminabile titolo: “Sulle funzioni del cervello e su quelle di ognuna delle sue parti, con osservazioni sulle possibilità di riconoscere gli istinti, le inclinazioni, i talenti e le disposizioni morali e intellettuali degli uomini e degli animali per la configurazione del loro cervello e della loro testa” E’ accaduto alle teorie di Gall come molte altre (mesmerismo, teoria del criminale-nato, di Lombroso, ecc) le si sono subito eccessivamente lodate, per moda, per infatuazione, per abbatterle subito sotto il ridicolo, dimenticarle fino a che, passando gli anni, le passioni essendosi spente, le si esuma come oggetti archeologici, e che comparandoli agli ultimi dati della scienza non si dica che non sono pazze. Così dei cinque assiomi di Gall non se ne possono salvare almeno quattro? Questi cinque assiomi sono: 1° Le qualità morali e le facoltà intellettuali

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sono innate (ciò che è probabile). 2° L’esercizio, o la manifestazione delle facoltà morali dipendono dall’”organizzazione” (parola con la quale Gall designa specialmente l’organizzazione del sistema nervoso, e non si può che dargli ragione…) 3° Il cervello è l’organo di ogni inclinazione (propensione) di ogni sentimento, di tutte le facoltà (ciò che è oggi un turismo (= verità) ma c’era ancora ai tempi di Gall, pretesi scienziati che ponevano la sede dell’ “anima” nel cuore, nelle reni o nel sangue, a meno che questa non fosse nel fegato…) 4° Il cervello è composto intanto da organi particolari preposti ai sentimenti, alle facoltà che differenti essenzialmente fra loro (è questa la grande novità di Gall e sarà confermata, in modo inconfutabile, da Flourens, Broca, ecc.) 5° La forma della testa e del cranio, che ripete, nella maggior parte dei casi, la forma del cervello, suggerisce l’esistenza di questa qualità e di queste facoltà fondamentali (assioma che ha fatto della frenologia un affare commerciale, un divertimento , ma non trova alcun argomento ragionevole, perché il cranio, nelle sue forme, nella sua dimensione, non ci dice nulla sul suo contenuto di quanto possa dirci una scatola senza etichetta, ad eccezione di certe deformazioni che, per esempio, segnalano l’idiozia, o di una certa armonia e ampiezza che suggerisce una bella intelligenza…) Non si leggono senza divertimento questi enormi libri tutti pieni di pettegolezzi e di racconti di esperienze inconsciamente burlesche. Gall ci racconta come,per esempio, ha scelto come primo “soggetto” gli esseri più rozzi, perché le loro protuberanze dovevano essere, secondo il suo sistema, le più marcate. “Io raduno nella mia casa un certo numero di individui presi dalle più basse classi sociali: conducenti di carrozze, fattorini, ecc. Conquistavo la loro fiducia e li disponevo alla franchezza dando loro qualche soldo e facendo dare a loro del vino o della birra. Quando li vedevo in una disposizione di spirito favorevole, li invitavo a dirmi tutto ciò che sapevano gli uni degli altri, sia delle loro qualità sia dei loro difetti….” Così, passando da cranio a cranio, Gall potè constatare che tutti gli intemperanti presentavano la medesima gibbosità, tutti i collerici la medesima cavità, ecc. Fu così che nacque questa carta cranologica, presa con tanta avidità dal pubblico… Gli scienziati, gli artisti se ne sono subito impadroniti….” A proposito della ragione del “cerebellare” ** o del cervelletto Gall sostenne che era la sede della generazione. I casi che lui accumula ci fanno pensare a Freud per il loro realismo e per lo scetticismo dell’autore sulla pretesa “innocenza infantile” Ci parla così di un bambino di cinque anni che aveva già, da qualche anno (sic!) soddisfatto con le donne l’istinto di procreazione. La sua nuca era larga, bombata, robusta.. Come questo bambino era attorniato da ragazze che si prestavano a soddisfare i suoi desideri come a un gioco piccante per la sua singolarità, morì di consunzione prima di aver raggiunto i sei anni… A proposito della zona detta “delle località”, ossia che comanda l’istinto di deambulazione, il piacere di cambiare luogo, egli racconta: “Io incontrai in una via di Vienna una donna molto vecchia che mi colpì per lo sviluppo enorme che aveva acquisito in lei il senso della località o della passione per i viaggi…” Gall la ferma e le domanda notizie dei suoi viaggi. Lei non aveva mai viaggiato. Era fuggita da Monaco ed era stata cuoca a Vienna. Allora che significa l’organo di spostamento? “ Finchè le si è dato di viaggiare, lei cambia padrone ogni mese; le è impossibile restare per lungo tempo nel medesimo posto….Tutto questo sembra molto puerile, arbitrario, ed in effetti lo è, ma non impedisce a Gall di essere stato il primo a parlare di localizzazioni cerebrali. Flourens (v.q.n.) gli ha reso al riguardo un omaggio meritato, e se apriamo la celebre “Enciclopedia francese” pubblicata poco prima della seconda Guerra Mondiale, sotto la direzione di A. de Monzie, si può leggere, nel volume dedicato alla medicina, quest’altro omaggio, firmato da Jean Lhermitte:” Gall e Spurzheim (medico tedesco 1776-1831), un vero rivoluzionario, rovesciano i vecchi idoli e stabiliscono due principi che devono

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dirigere l’evoluzione della neurologia: la sostanza grigia delle circonvoluzioni è la materia e l’origine della sostanza bianca e, d’altra parte, contrariamente agli altri organi, fegato, polmoni, reni ecc. che sono formati da raggruppamenti di elementi della stessa struttura, il cervello è un organo eterogeneo ossia composto da sistemi particolari che comportano delle funzioni. GALVANI Luigi. Fisico e medico italiano (Bologna 1737 – 1798). Per ottenere il suo dottorato, presenta una tesi, che fa epoca nella storia della medicina, sulla “Formazione dell’osso”, e ottiene subito una grande fama per la sua abilità di chirurgo e per il suo talento come ostetrico. Il caso lo mise, nel 1786, sulla via di una delle più belle scoperte della fisica moderna. Avendo posato su un tavolo, vicino a una macchina elettrica, più rane scorticate,uno degli aiuti avendo avvicinato, senza pensarci, la punta di un bisturi dei nervi crurali di uno di questi batraci, tutti i muscoli si agitarono convulsamente. Galvani aveva tratto dal fenomeno conclusioni errate. Avrà come contraddittore un altro fisico italiano: Alessandro Volta. GIGOT de la Peyronie Francois. Chirurgo francese (Montpellier 1678 – Versailles 1747). E’ grazie a lui e alla stima di cui godeva presso Luigi XV° che la chirurgia ottiene il suo titolo di nobiltà e non più riguardata come “arte secondaria”. E’ sotto la sua influenza che Luigi XV° riorganizza il collegio chirurgico di Saint-Come, dando ai suoi maestri l’autorizzazione d’insegnare, ciò che fece andare in collera i dottori della facoltà. Preside di facoltà in testa, si recarono davanti al Collegio sotto gli occhi dei curiosi motteggiatori, tutti in toga rossa e berretta, ma tremanti di freddo perché gelava. Solennemente, un usciere, dopo aver battuto un colpo di mazza alla porta, pronunciò:”Ecco i Vostri signori e maestri della facoltà. Vengono a impadronirsi dell’anfiteatro che Voi non avete potuto costruire per loro: Vi portano tutto il sapere che è rinchiuso nei loro libri…. aprite!” A questa ingiunzione non risposero che degli schiamazzi. Nel 1731, il re fonda l’Accademia reale di chirurgia. Nel 1736, La Peyronie è nominato primo chirurgo del re. Nel 1743 disposizioni reali danno ai chirurghi di Parigi gli stessi privilegi riservati ai reggenti e ai dottori dell’Università parigina. Così la chirurgia è definitivamente nobilitata. Filantropo, Gigot de la Peyronie consacrerà tutta la sua fortuna al sostentamento di istituzioni utili e fece del suo castello di Marigny un ospizio aperto agli indigenti.

GOLGI Camillo Nasce il 7 luglio 1843 a Corteno Golgi, in alta Val Camonica, dove il padre Alessandro, appena laureato, si è trasferito come medico condotto. Qui frequenta le scuole primarie e rimane per circa quindici anni. Nello stesso periodo studia anche a Edolo e poi a Lovere (BG). Terminati nel 1865 gli studi a Pavia e laureatosi in Medicina con la tesi "Sull'eziologia delle malattie mentali", discussa con Cesare Lombroso, entra nel laboratorio istologico fondato da Paolo Mantegazza e diretto da Giulio Bizzozero, che sarà suo maestro di ricerca. Per l'urgenza di trovare un lavoro sicuro e pressato dal padre, Golgi decide di partecipare al concorso per un posto di primario chirurgo presso le Pie Case degli Incurabili di Abbiategrasso (fondato nel 1785 nell'ex monastero femminile di Santa Chiara). Golgi vince il concorso e, grazie all'articolo 86 del regolamento interno, gli viene riconosciuto come merito speciale dei sanitari il potersi occupare degli studi anatomo-psicologici. Come laboratorio di ricerca usa una piccola cucina rudimentale, con un microscopio e pochi strumenti. Proprio durante il periodo di Abbiategrasso si contraddistingue per la grande attività di ricerca e in questo senso è essenziale la sua amicizia con Bizzozero,

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che lo aiuta a mantenere vivo l'interesse per l'istologia e la vicinanza all'università. In quella cucina allestisce un laboratorio di istologia in cui, nel 1873, mette a punto la rivoluzionaria "reazione nera" (metodo di Golgi). Questo metodo permette di colorare selettivamente le cellule nervose e la loro struttura organizzata. La sua scoperta viene conosciuta e apprezzata nella dovuta misura solo molti anni più tardi, soprattutto per merito del suo principale mentore, il patriarca della biologia ottocentesca Rudolf Albert von Kölliker. Trasferitosi a Pavia, ottiene le cattedre ordinarie di Istologia e Patologia generale, indi è nominato rettore dell'Università, incarico che ricoprirà a più riprese (1893-1896 e 1901-1909). Nella sua lunga e indefessa vita di ricercatore compie anche altre importanti scoperte. Ad esempio nel campo della malariologia, dove studia e chiarisce le fasi di sviluppo e riproduzione del Plasmodium malariae, formulando la "legge di Golgi", che consente di trattare e guarire gli infetti al momento giusto con il chinino. Studia e descrive poi la precisa anatomia e la funzione delle terminazione nervose dei tendini, dette corpuscoli del Golgi, e compie importanti studi sui reni, la corea di Huntington, i bulbi olfattivi, ecc. Si dedica anche alla politica, o meglio all'amministrazione pubblica, ricoprendo tra le altre la carica di assessore all'igiene nel Comune di Pavia. È anche, per lungo tempo, membro e poi presidente del Consiglio Superiore di Sanità. Propone la costruzione del nuovo Policlinico San Matteo e lotta strenuamente perché l'ateneo pavese mantenga e accresca il suo già secolare prestigio. Più precisamente, il 4 novembre 1893 Golgi tiene la relazione ufficiale per la solenne inaugurazione dell'anno accademico 1893-1894, essendo divenuto poco prima rettore dell'università. Aderisce alla lista dell'Unione Liberale Monarchica, ovvero la lista clerico-moderata sostenuta dal giornale «Il Ticino». Così Roberto Rampoldi, esponente politico di spicco della sinistra radicale, diviene suo diretto antagonista nella lista democratica. Le elezioni sono vinte dallo schieramento di Golgi, che diviene così consigliere comunale. Ciò rappresenta un importante risultato, in quanto da quella posizione lo scienziato potrà far valere meglio la sua influenza nell'indirizzare l'attenzione dell'amministrazione municipale verso i progetti di rinnovamento dell'università di Pavia. Il febbrile impegno di Golgi per l'accrescimento del prestigio accademico pavese si manifesta in modo evidente quando la centralità lombarda dell'ateneo pavese viene minacciata dalla nascita di un nuovo polo universitario a Milano. Il 2 marzo del 1893 era scomparso l'ingegnere Siro Valerio, che aveva lasciato il suo patrimonio al comune di Milano affinché costituisse un fondo per l'università per lo studio delle Scienze. Questo progetto è immediatamente avviato dal ginecologo dell'Ospedale Maggiore di Milano, Luigi Mangiagalli, fatto che suscita la reazione negativa dell'ambiente universitario pavese per timore di un suo progressivo indebolimento. Golgi potrebbe accontentarsi di dirigere gli studi degli allievi, ma in lui è troppo forte la passione per l'attività di laboratorio fatta in prima persona. Così nel 1898 riprende l'attività di ricerca. Più precisamente riprende, sempre con il metodo elaborato 25 anni prima, gli studi sulla cellula. Questi lo portano alla scoperta dell’apparato reticolare interno, poi e per sempre chiamato apparato o complesso di Golgi, uno dei componenti fondamentali della cellula, cinquanta anni prima dell'invenzione del microscopio elettronico, che la confermerà in pieno. Secondo alcuni tale scoperta, da sola, sarebbe stata degna di un Premio Nobel. Il Premio Nobel per la Medicina (precisamente "Medicina o Fisiologia") arriva nel 1906 ex aequo con Santiago Ramón y Cajal, per gli studi sulla istologia del sistema nervoso: Golgi per la messa a punto della reazione nera, Cajal per le scoperte compiute grazie alla colorazione di Golgi (Cajal aveva scoperto che i neuroni sono separati fisicamente l'uno dall'altro, ossia che interagiscono tra di loro non per continuità, bensì per contiguità attraverso la sinapsi e che non sono uniti a formare un'unica rete sinciziale come sosteneva Golgi; formulava quindi la cosiddetta legge della

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polarizzazione dinamica). Con il Nobel, Golgi raggiunge il massimo della fama internazionale e la sua attività di ricerca non cessa. Inoltre, durante la Prima Guerra Mondiale dirige l'ospedale militare, allestito nell'antico Almo Collegio Borromeo di Pavia e promuove il trattamento riabilitativo dei feriti di guerra, creando un centro per la riabilitazione delle lesioni al sistema nervoso periferico. Dopo il conflitto continua a lavorare nel laboratorio, pubblicando lavori scientifici fino al 1923. Anche nell'ultimo periodo della sua vita Golgi cerca di arginare gli eventuali danni che sarebbero derivati dall'imposizione dell'ateneo milanese. Non si dà per vinto e ignorando il declino delle sue condizioni fisiche decide all'inizio di dicembre del 1924 di recarsi a Roma per sostenere la nascita del nuovo ospedale San Matteo. Infine, il 21 gennaio del 1926 le sue condizioni fisiche divengono critiche e la morte lo coglie a Pavia, città in cui è sepolto insieme con la moglie, accanto alle tombe di Bartolomeo Panizza, suo professore, e Adelchi Negri, suo brillante allievo. GREVIN Jacques. Medico e poeta francese (Clermont-en Beauvaisis 1538-Torino 1570) “Così nella nostra Francia un solo Grevin assomma la dotta medicina ed i bei versi, insieme” Per questi versi, Rèmy Belleau, il capo della Pleiade, rende omaggio a colui che, ancora studente in medicina alla facoltà di Parigi, scriveva numerose commedie in versi:”Le Maubertin”, così chiamato perché il luogo della scena era molto vicino a piazza Maubert; “les Ebahis”, pastorale con tre personaggi, ed alcune poesie amorose dedicate a una certa Nicole, di cui si crede che fosse la nipote del celebre stampatore Robert Estienne. Amico di Ronsard, rompe l’amicizia con lui a causa di motivi religiosi, perché Grevin era calvinista. In qualità di medico, seguì Margherita di Francia, figlia di Francesco I°, in Italia, e fu, per il suo spirito, uno degli ornamenti della Corte di Torino. Quando morì improvvisamente, Margherita gli fece un magnifico funerale e testimoniò apertamente il suo dolore dicendo:”che lei perdeva nello stesso tempo il suo medico per le malattie del corpo e il suo consolatore per quelle dello spirito”. Si deve a Grevin il primo Trattato dei veleni. Due libri nei quali è ampiamente trattato di animali velenosi, triache, veleni e contro veleni”, una traduzione in versi delle opere di Nicandro, medico e poeta greco, una traduzione della “Anatomia” di Andrea Vesalio; “Dell’impostura e dell’inganno del diavolo, incantamento e stregoneria” e infine la “Guerra contro l’antimonio” (medicinale pericoloso), rimasto celebre nella storia della medicina, episodio famoso della disputa dell’antimonio contro il quale si era levata la facoltà di Parigi, Grevin in testa. L’antimonio non è più utilizzato ai giorni nostri, se non con precauzione, contro malattie parassitarie (V. Renaudot). GUGLIELMO da Saliceto, (Saliceto 1210 – Piacenza 1277) abile chirurgo e acerrimo nemico di "artigiani" e "cerusici". Studiò a Bologna (forse allievo di Ugo de' Borgognoni) e vi divenne Magister in physica. Era l'epoca in cui il corso di studi medici si identificava con quello della filosofia, in particolare quella naturale, ed il medico, physicus (da cui è derivato il termine inglese physician per medico) si distingueva nettamente dal chirurgo che era invece empiricus. Dopo un lungo girovagare dovuto anche alla instabilità politica dell'epoca si fermò definitivamente a Bologna, come Magister chirurgiae. Fu anche maestro a Pavia, dove tra il 1245 e il 1248 incontrò Federico II di Svevia con cui discusse di filosofia e medicina. Egli introdusse l'uso del bisturi in molti interventi chirurgici. Viene riferito che egli operasse con buoni successi ernie, fistole, calcoli della vescica (per secoli prima e anche successivamente monopolio dei cerusici) e che praticasse paracentesi, toracocentesi e mastectomie. Descrisse gli ascessi e le pustole peniene, incluse quelle di

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origine venerea, suggerendo come misura di profilassi il lavaggio dei genitali dopo il coito. GUILLOTIN Joseph Ignace. Medico e uomo politico francese (Saintes 1738-Parigi 1814) Professore di anatomia alla facoltà di Parigi, si segnalò subito alla attenzione del pubblico come igienista: avendo riconosciuto gli influssi nefasti delle paludi di Poitou e di Saintonge, raccomandandone il prosciugamento. Fu, inoltre, uno dei membri della commissione incaricata dal re di esaminare la terapeutica, così sospetta, del magnetismo di Mesmer. Spirito chiaro, aperto alle nuove idee, membro della celebre loggia massonica delle “Nove Sorelle”, dove incontra Cabanis, Lacépède, Montgolfier, è , inoltre, uno stimato medico pratico. Il suo studio di rue Croix-des-Petits-Champs, si apre agli indigenti come ai ricchi. Questi pagano per quelli. “Io non so, gli dice un cliente, in un linguaggio già rivoluzionario, che voi avete l’anima di Catone sotto il mantello di Ippocrate”. E’ il Catone più che l’Ippocrate che viene eletto deputato di Parigi agli Stati Generali. Quando il Terzo Stato ebbe deciso di riunirsi a dispetto dell’interdizione reale, e cercava una sala disponibile a Versailles, Guillotin propose la Pallacorda. Nel 1789, preconizzò il “Supplizio unico per tutti”, il “supplizio democratico” e di mettere fine alla distinzione disumana seguendo la quale i nobili erano decapitati e gli zotici impiccati. Perché non decapitare tutti, e senza dolore, con l’aiuto di una macchina allora utilizzata nel “midi” della Francia e in Italia che andava sotto il nome di “mannaja”?. Non si parla ormai più che di “ghigliottina”, ciò che affliggerà molto il medico, preveggente, e non si sbagliava, che se la posterità conserva la sua memoria, questo non sarà più che come l’inventore di uno strumento di supplizio: triste prospettiva per un medico filantropo! Quando si tratta di fabbricare e di sperimentare la macchina, si fece appello a uno dei suoi colleghi, il dottor Louis, chirurgo della Salpétriere. La ghigliottina costruita, la si provò prima sui cadaveri, infine su un condannato a morte per reati comuni Jacques Pelletier (1792). Dopo il 10 agosto 1792, la si trasportò da Place du Carrousel, allora place de la Réunion. Il 21 agosto, la Rivoluzione decapitò il suo primo aristocratico , Collenot d’Angremont, segretario di amministrazione della Guardia Nazionale: tre giorni più tardi , fu la volta del plebeo La porte, intendente della lista civile. Ormai, secondo l’espressione sinistra di Fouquier-Tinville, “le teste cadranno come ardesia” Così il dottor Guillotin non è più ai nostri occhi Catone né Ippocrate, ma l’ispiratore di questi tristi “legni di giustizia”, sempre in uso in Francia, benché le sue vittime siano sempre più rare: uno o due amanti, tutto al più, consegnati ogni anno alla “vedova” come la chiamano chi si esprime in argot. HAHNEMANN Christian Friedrich Samuel. Nato a Meissen nel 1755, morto a Parigi nel 1843. Fece gli studi a Lipsia e a Vienna, dove fu allievo, molto povero, del professor Quarin. Sposò a Dessau la figlia di un farmacista: Enrichetta, che gli diede molti figli. Refrattario alle teorie nebulose della medicina del suo tempo (vitalismo, ecc.) non trovava che rari clienti. In dieci anni, si spostò in dieci località. Conduceva una vita ritirata con sua moglie sempre incinta, una tribù di bambini, senza vedere mai nessuno. Ma la notte, al lume di candela, come il dottor Faust, scrutava le sorgenti della vita. Viveva soprattutto di traduzioni. Fu in occasione di una traduzione di Cullen:”Materia medica” che questa formula si impose al suo spirito. “Delle sostanze che provocano certe specie di febbri calmano le febbri intermittenti”. E aggiunse: “Febbre contro febbre, ecco il segreto!” Ecco l’aurora di un insegnamento medico nuovo! Quando il medicamento agisce, quello che provoca una malattia medicamentosa scaccia la malattia che le assomiglia: i simili guariscono i simili. “Ogni prodotto farmaceutico attivo provoca nel corpo umano una specie di malattia particolare tanto più caratteristica, marcata e violenta tanto il prodotto è

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più attivo. Che si imiti la natura, che guarisce spesso una malattia cronica con un’altra sopraggiunta più tardi, e che si impieghi di conseguenza contro la malattia da guarire il rimedio capace di provocare una malattia artificiale così simile il più possibile. Così la prima sarà guarita: “Similia similibus (i simili per i simili)”. Ippocrate stesso aveva considerato questa forma di terpia:”Certe malattie, si legge nel:”Delle malattie”, titolo 51, sono trattate con delle terapie contrarie, altre saranno condotte a una conclusione favorevole per mezzo dei simili. La teoria di Hahnemann riposa su un altro articolo di fede: gli effetti di una sostanza medicamentosa sono tanto più potenti quanto più piccole sono le dosi che si somministrano : da qui il principio di una terapia a diluizione infima. E’ così che, contro la scarlattina, propose della belladonna in dosi di 1/24000000 di grammo! Perché la belladonna? Perché la belladonna provoca dei sintomi analoghi a quelli della scarlattina: rossore della pelle, accelerazione del polso, secchezza della gola. All’età di cinquanta anni, era sempre sconosciuto, errante senza fine, carico di figli . Si stabilisce a Torgau. E’ là che in sette anni redigerà le sue opere magistrali. Nelle sue opere, scompose il concetto di malattia, lo sostituisce per un gruppo di sintomi. Ogni sintomo è trattato in particolare, secondo il principio di analogia. Su se stesso provò gli effetti di un gran numero di rimedi diluiti. Così dopo aver preso una piccola dose di licopodi, osserverà 891 reazioni isolate, e in particolare: 1° Prova vertigini in un locale caldo (dopo 23 giorni) 2° Vertigini al mattino, prima e dopo essersi alzato (dopo 23 giorni) 3° Può parlare correttamente di argomenti elevati e nello stesso tempo astratti, ma si ingarbuglia in quelli più quotidiani. Così dice prugna quando pensa pera, ecc. Da qui le conseguenze: “Se qualcuno ha delle vertigini in locale caldo, che prenda del licopodi…” Ogni sintomo, o gruppo di sintomi, ha il suo rimedio. Il medico deve subito ascoltare il malato che espone minutamente i suoi mali, li iscrive tutti. Non è che dopo aver conquistato i suoi titoli di medico difendendo una tesi sull’elleboro nell’antichità, davanti a una commissione di Lipsia, che entra apertamente in lizza contro medici allopati e apre un corso di omeopatia. Con le due opere fondamentali: “L’Organon e l’insegnamento dei prodotti medicamentosi puri” la costruzione dell’omeopatia era completamente compiuto. Fra i suoi discepoli Hahnemann ebbe l’italiano Sebastiano De’Guidi, che introdusse il nuovo metodo a Lione verso il 1830 e contribuì alla sua diffusione in Francia. Hahnemann, col cuore indurito, subì con flemma ogni genere di sfortune famigliari. Perse sua moglie nel 1830. Il suo unico figlio, Guglielmo, che aveva abbandonato moglie e figli nel corso di un viaggio gli scrisse lettere incoerenti, poi sparite. Due suoi figli furono assassinati in circostanze mai chiarite. Tre dei sopravvissuti divorziarono. Si avvicinava all’età di ottanta anni quando una parigina si presenta nella sua casa di Koethen: giovane (trent’anni), graziosa, ricca, indossa pantaloni, molto curata. Si crede tisica e forse lo era. In capo a tre mesi, si dice guarita e sposa il suo salvatore. Possiamo leggere negli “Archivi di omeopatia” in data 14 giugno 1835. “Il signor consulente Hahnemann è partito per Parigi con la sua sposa”. La sua sposa Melania d’Hervilly-Gohier, ottiene per lui l’autorizzazione di esercitare. Già la reputazione di Hahnemann aveva guadagnato a Parigi. In poco tempo diventa famoso, coperto di titoli e di decorazioni. Si fondò per lui la Lega francese degli omeopati di cui divenne presidente. Guadagnava circa 200000 franchi all’anno ed era diventato una figura parigina. Nel suo giornale, Melania scrive:”Hahnemann è felice per la prima volta nella sua vita… io l’amavo e lo ammiravo al punto che lo avrei servito in ginocchio. Mai tenerezza è stata tanto reciproca. Mai unione è stata così forte come la nostra.”. E qualche giorno prima della morte di Hahnemann:”Dopo tutto, noi vivremo insieme, contenti e felici come grandi bambini, adorandoci sorprendentemente di ogni nostra relazione…” Hahnemann morì dopo otto anni di matrimonio, di polmonite. Melania fece imbalsamare il corpo. Il suo dispiacere fu immenso. Venne inumato al cimitero Montmartre, otto giorni dopo il decesso, e senza

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cerimonia. Quarant’anni più tardi, i suoi resti furono trasferiti a Père Lachaise. Che valore ha l’opera scientifica di Hahnemann? Dobbiamo sottoscrivere quanto ha scritto Augusto Bier: “Si può leggere tutto seguendo la sua inclinazione e il suo punto di vista personale, la più alta saggezza e la più profonda sciocchezza…! La scienza positiva tiene in dubbio i diversi postulati sui quali riposa l’omeopatia, come il principio di analogia, la elevazione di potenza dell’effetto medicamentoso per forte diluizione… E’ la diluizione illimitata dei medicamenti che ha suscitato le più forti critiche, perché la medicina aveva abituato a prescrivere forti dosi. Oggi, la piccolezza del dosaggio non è più paradossale, dopo che è stato scoperto il mondo delle tossine, degli ormoni, delle vitamine. Coloro che credono nell’efficacia dell’omeopatia giudicano che essa è stata un beneficio, opponendosi alle medicazioni pazze del XVIII° secolo e del tempo di Broussais: salassi, purghe, ecc. La prima, l’unica vocazione della medicina è di rendere la salute alle persone malate, è ciò che si chiama guarire” “Mayer Abramson tormentava da molto tempo un maniaco geloso con dei rimedi che non producevano alcun effetto su di lui, quando alla fine gli fece prendere, a titolo di soporifero del giusquiamo, che procurava una guarigione rapida. Se avesse saputo che questa pianta eccita la gelosia e manie in soggetti che stanno bene, e se avesse conosciuto la legge omeopatica, sola base naturale della terapia, egli avrebbe potuto, dal principio, somministrare del giusquiamo in tutta sicurezza ed evitare così di affaticare il malato con dei rimedi che, non essendo omeopatici, non dovevano servigli a niente. “Il medico è, nel contempo, conservatore della salute quando conosce le cose che la disturbano, che producono e conservano le malattie, e che sa scartarle dall’uomo che sta bene”. “E’ riconosciuto che il miglior modo di sperimentare una sostanza considerata debole consiste nel prendere per più giorni di seguito quattro o sei globuli imbevuti della sua trentesima diluizione che si inumidiscono con un po’ d’acqua e che si inghiotte a digiuno” (Citazioni da “L’Organon” di Hahnemann) HALLER Albert de . Fisiologo svizzero (Berna 1708 – 1777). Figlio di una famiglia patrizia era nato delicato. Fu da subito un appassionato lettore. Era innata in lui la curiosità enciclopedica. Bambino, redigeva grammatiche, lessico e lavorava a una raccolta che doveva contenere duemila biografia. A sedici anni, quando suo padre lo spinse verso la teologia, lui scelse la medicina, e prese la strada per Tubinga. Gli studi non gli pesavano, conduceva una vita felice e nel contempo dissipata. Certi giorni partiva alla ricerca di piante rare, ritornava col cesto vuoto, ma al braccio di graziose fanciulle. Haller non resiste all’attrazione dell’Olanda,dove, a Leida, insegnava il grande Boerhaave. Là c’era una atmosfera di lavoro e di gravità quasi religiosa. Al mattino presto, il maestro conduceva gli allievi nel giardino botanico. Era del parere che prima di arrivare all’anatomia dell’uomo si cominciasse da queste creature inferiori, ma vive anch’esse, e dove le grandi funzioni della vita si mostrano nella loro semplicità: la circolazione, la respirazione, la crescita, la riproduzione. Si passava poi nelle sale dell’ospedale, che erano di una pulizia esemplare, dal pavimento lucido, dalle lenzuola e tende cambiate ogni giorno. Seduto vicino ai malati, Boerhaave parlava di questa e quell’altra malattia con una semplicità ammirevole, dove non venivano escluse certe soluzioni* tecniche: il maestro di Leida divideva con Descartes la dottrina “iatromeccanica” che si opponeva decisamente tanto alla “chimiatria” di Paracelo quanto al “vitalismo” della scuola di Montpellier. Laureatosi nel 1727, completa gli studi a Parigi, poi a Londra, a Basilea, e ritorna alla fine nella sua città natale. Vegeterà sette anni,nel deserto intellettuale che Berna offriva allora. Ma al pari di Rousseau, quasi nella stessa epoca, fugge presto e per sempre, dalla noiosa Ginevra verso le vicine montagne. Haller andava verso le Alpi e sentiva, mentre procedeva a fatica, passati i torrenti, levarsi dal fondo del cuore un mondo di immagini e di ritmi. In questo medico

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c’era una poeta, uno dei più grandi della Svizzera. Il suo “Saggio di poesie svizzere” di cui si possono tralasciare i versi moralistici e di circostanza, possiedono nelle parti migliori, accenti che fanno pensare a Goethe. Fu all’Università di Gottinga che riprese contatti con la scienza medica. Lì, non era più studente ma professore, insegnante, come Boerhaave a Leida. Col suo bel volto distinto, dallo sguardo romantico appariva ai suoi allievi come un modello , pochi i maestri che hanno saputo suscitare come lui la devozione e l’entusiasmo. In Anatomia Haller si dedica in modo particolare allo studio dei vasi sanguigni. Le sue “Icone anatomiche” sono un atlante straordinario, di una esattezza senza paragoni, all’epoca, dell’insieme del nostro sistema circolatorio. Si trovano infine chiarite le relazioni, estremamente complesse, delle vene che conducono al fegato e dei capillari, le cui reti finissime penetrano i polmoni. Era nata una disputa a proposito del meccanismo della respirazione. Lo spazio compreso fra i due foglietti* della pleura, erano vuoti o pieni d’aria? Haller risolse il problema con un mezzo di ingegnosa semplicità. Aprì sotto l’acqua il torace di un animale. Alcune bolle d’aria non salivano alla superficie. Si doveva quindi concludere che lo spazio era vuoto. Nel caso presente si trattava di un problema psicologico che poteva facilmente essere risolto con la fisica. Ma altri problemi comportano maggiori difficoltà. Come proviamo l’eccitazione del mondo esterno? Come si contraggono i muscoli? Si possono risolvere questi problemi con la meccanica? Haller, dopo numerosi esperimenti e riflessioni, fece entrare in gioco due nozioni che, molto fecero discutere fino ai primi anni del XIX° secolo, trovando grande favore in Inghilterra e in Francia: le nozioni di contrattilità che appartiene al solo tessuto muscolare e di sensibilità che appartiene al sistema nervoso. Riuniva in tal modo ciò che aveva già formulato l’inglese Francis Glisson nel 1654, autore del concetto di irritabilità. L’opera principale di Haller è la sua monumentale “Elementa physiologiae corporis humani” vera enciclopedia in otto grossi volumi (apparsa fra il 1757 e 1766), dove l’autore non si limita a esporre le sue scoperte, ma esamina le idee dei suoi predecessori e dei suoi contemporanei. Quando apparvero gli “Elementa”, Haller era già in patria. Non sapeva degli onori che la Germania gli aveva riservato. Nessuna cattedra gli era stata offerta. Non gli si trovò altro impiego che la direzione delle saline di Bex. Haller moltiplicava le opere scientifiche; aveva contatti con tutte le celebrità d’Europa,la cui corrispondenza riempì diversi faldoni della Biblioteca municipale bernese. Contrariamente alla maggior parte degli scienziati della sua epoca, aveva conservato la fede della sua infanzia, inclinando, nella vecchiaia, verso un pietismo rigoroso. Ebbe come pazienti e ammiratori Voltaire e Federico II. HALSTED Wiliam, medico e chirurgo americano, (New York 1852 – Baltimora 1922) Dopo essersi diplomato, frequentò la Università di Yale ove mostrò scarso interesse per le materie accademiche eccellendo invece nelle discipline sportive. Attratto dalle scienze mediche, si iscrisse alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di New York. Nel 1878, conseguita la laurea, si trasferì in Europa: prima a Vienna, ove ebbe la fortuna di seguire gli insegnamenti di Theodor Billroth il padre della chirurgia gastrica, e quindi in Germania. Ritornato negli Stati Uniti dopo due anni, prestò servizio presso il Bellevue Hospital di New York. Nel 1881 salvò sua sorella da una grave anemia conseguente ad una emorragia post partum trasfondendole direttamente il proprio sangue con una siringa. Era una pratica molto controversa e rischiosa (Karl Landsteiner avrebbe definito i gruppi sanguigni soltanto dopo due decenni) ma in questa circostanza diede buon esito. Halsted ebbe modo di studiare la patologia biliare e fu tra i primi chirurghi statunitensi a praticare interventi di asportazione della colecisti per calcolosi biliare. Mise a punto una nuova tecnica di riparazione dell'ernia inguinale, che a quell'epoca veniva trattata in

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modo inadeguato così che erano numerose le recidive. Pubblicò alcuni studi sulla necessità delle trasfusioni di sangue e di soluzioni saline ed inventò numerosi ferri chirurgici. Ma il suo contributo più importante alla chirurgia lo diede affrontando il problema rappresentato all'epoca dalla terapia chirurgica del cancro della mammella. Mise a punto una tecnica di asportazione della mammella cancerosa conosciuta come mastectomia radicale secondo Halsted. Halsted fu un personaggio particolare. Dava molta importanza alla preparazione dei pazienti all'intervento e poneva una attenzione quasi maniacale nella antisepsi ed asepsi preoperatoria, riuscendo così ad ottenere risultati eccellenti. Nel 1889 commissionò alla fabbrica Goodyear dei guanti di gomma per proteggere le mani di una sua ferrista (infermiera incaricata di porgergli i ferri chirurgici durante gli interventi) e che aveva sviluppato una dermatite da contatto causata dai disinfettanti adoperati in sala operatoria. Questi guanti sarebbero stati successivamente utilizzati dai chirurghi che fino ad allora avevano operato a mani nude. Nel 1880 era piuttosto diffuso l'uso della cocaina e l'austriaco Karl Koller la adoperò per primo come anestetico locale. Halsted cominciò ad usarla infiltrando i tronchi nervosi periferici così da ottenere una anestesia nel territorio da essi innervato: nasceva la anestesia tronculare oggetto di una sua pubblicazione nel 1885. Halsted per motivi etici aveva la consuetudine di sperimentare i farmaci prima su sé stesso. In questo caso, come era accaduto anche a Horace Wells e a tanti altri, divenne farmacodipendente. HAMON Jean. Medico francese (Cherbourg 1617- Parigi 1687) Avendo studiato medicina in anni giovanili, non la praticò che tardi, dopo la sua conversione e il suo ritiro a Port-Royal des Champs, dove passava quasi tutto l’anno. La madre Angelica lo ha dipinto “austero come un penitente, solitario come un anacoreta, chiuso come un prigioniero”. Soffre per la carità ciò che non soffriamo per la giustizia. Assiste i corpi, consola le anime, si occupa tutti i giorni di Dio e non tralascia di servire il prossimo…. Quando faceva visita ai poveri malati, portava sempre con sé la Bibbia che leggeva camminando; e verso la fine della sua vita, dato che non poteva più fare i suoi percorsi a piedi aveva un asino per cavalcatura; aveva fatto praticare una specie di leggio elevato su un bastone che fissava in un buco davanti alla sella al fine di posarvi il libro aperto…. In tal modo pregava, e riguardo ai rimedi della medicina diceva: “Fino a qui dobbiamo tutti essere medici, in là, io stesso, non lo so più…. E Saint-Beuve, terminando il suo ritratto nel “Port-Royal” scrive: “M. Hamon citando con piacere il suo Ippocrate ai piedi di Gesù Cristo, è come Pascal in questo magnifico brano dove pone Archimede col titolo di principe dell’intelligenza, di principe del suo ordine. Il segno della vocazione naturale persiste anche sotto la croce… HANSEN Gerhard Henrick Armauer. Medico e botanico norvegese (Bergen 1841- 1912) A lui dobbiamo la scoperta del “Bacillus leprae”, il bacillo della lebbra, chiamato “bacillo di Hansen”. HARVEY William. Medico inglese (Folkestone 1578 - Lambeth 1658). Subito avviato al commercio crebbe in mezzo a casse di spezie e balle di cotone. Si orientò verso la medicina, studiando a Canterbury e a Cambridge prima di andare a Padova. A Padova ebbe l’opportunità di avere per maestro il celebre Fabrizio di Acquapendente (v.q.n.), che gli insegnò ciò che ancora non aveva imparato in Inghilterra e in Francia: le valvole venose. Queste valvole,minuscole membrane che, opponendosi al riflusso del sangue,

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attestano una “circolazione” in un dato senso. Fu grazie ad Acquapendente che conobbe il nome di colui che, a dispetto di Galeno e di Ippocrate, aveva parlato di una “circolazione polmonare”,ossia di Michel Servet, la vittima di Calvino e che fu messo al corrente dei lavori di Colombo e di Aranzi i quali avevano constatato l’arrivo al cuore di sangue delle vene polmonari e della vena cava inferiore. Fu incaricato nel 1615 di una cattedra di anatomia e di chirurgia al Collegio reale. Giacomo I° e Carlo I° lo vollero con loro. Seguì Carlo I° in esilio e , dopo la morte del re, si ritirò a Lambeth, dove finì i suoi giorni. Ad Harvey spetta la gloria di aver, facendo la sintesi delle scoperte precedenti, dimostrato in maniera inconfutabile la grande e piccola circolazione del sangue. Lo ha fatto appoggiandosi all’esperienza e non solo con le parole. Fu uno dei rari spiriti “scientifici” del suo tempo. Egli ha costantemente sezionato cadaveri sia di animali che di uomini, e con una predilezione per gli animali meno evoluti perché diceva “è nelle piccole cose che il Creatore è il più grande e negli esseri inferiori che si fa talvolta meglio conoscere.” E’ dunque a forza di osservazioni dirette, ma anche appoggiandosi ai lavori dei predecessori che ha potuto, per primo, descrivere nella sua immortale opera “Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus”(1628) il meccanismo del cuore e della circolazione sanguigna. Questa opera di 72 pagine, redatta in un eccellente latino, è dedicata a Carlo I° d’Inghilterra. E’ divisa in tre parti: 1. Confutazione degli errori degli antichi. 2. Racconto degli esperimenti condotti dall’autore. 3. Descrizione della circolazione del sangue. Questo libretto ha scosso tutto il mondo scientifico e non c’è antologia della letteratura medica che non debba riproporre queste semplici frasi dove la verità tutta nuda si libera del pozzo profondo che la teneva prigioniera: “Così per tutti questi esperimenti è sufficientemente provato che il sangue scorre in tutte le vene verso la base del cuore e che, se trova il passaggio al di là di questo, rifluisce nelle vie precedenti o che il cuore stesso ne sarebbe oppresso. Lo stesso,d’altra parte, se non scorresse nelle arterie ma rigurgitasse verso il cuore questo ne verrebbe fortemente oppresso.” “Il movimento del cuore è, insomma, una contrazione muscolare” “Si deve necessariamente concludere che il sangue degli animali è animato da un certo movimento circolare e che questo movimento è continuo: è qui precisamente il ruolo,ossia la funzione del cuore che agisce per le sue pulsazioni. E ovunque, la causa unica (di questo circuito) risiede nei movimenti e nelle pulsazioni del cuore. “Il sangue tutto, in qualunque posto del corpo vivente si trovi… scorre continuamente dal cuore per ritornare al cuore, e non può senza inconvenienti restare sul posto sebbene io ne convenga che questo movimento si faccia tanto più rapido e tanto più lento in qualche punto.” E’ ragionevole pensare che il sangue, nel suo circuito, passa più lentamente attraverso le reni che attraverso la sostanza del cuore, più veloce per il fegato che per le reni, più veloce per la milza che per il fegato, per i polmoni e altre viscere di poca densità che per la carne.” In conclusione tutte è riassunto:”Tali sono gli organi e il tracciato del transito del sangue e del suo circuito. Per prima cosa dall’orecchietta destra al ventricolo, dal ventricolo attraverso i polmoni fino all’orecchietta sinistra e, da lì, nel ventricolo sinistro, nell’aorta e in tutte le arterie allontanandosi dal cuore, poi nella porosità degli organi, nelle vene e, attraverso le vene verso la base del cuore dove il sangue ritorna rapidamente. Spetterà a Power nel 1649 a colmare la sola importante lacuna del sistema di Harvey, scoprendo, sotto la lente del microscopio questi minuti vasi” simili a dei capelli che legano le arterie alla “vene”, i capillari. Disturbati, nella loro scolastica medica, la maggior parte dei pretesi scienziati dell’epoca, a questa lettura, fecero fuoco e fiamme. Primerose a

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Montpellier, Riolan a Parigi, seguito da Guy Patin – che si abbandonerà – col nome stesso di “circolatore”, che significa ugualmente “medico da fiera” a vergognose facezie… Nel suo stesso paese, a Londra, dove la maggioranza del corpo medico aveva adottato la sua dottrina, Harvey, incontrò nel pubblico una forte opposizione,e si lamenta, in una delle sue lettere di aver perduto una grande parte della sua clientela. Ebbe fortunatamente come sostegno alcuni grandi spiriti: in Francia, Descartes e Pierre Dionis, che non esitò a insegnare pubblicamente il sistema al Jardin du Roi; Nathanael Highmore e Richard Lower in Inghilterra; Silvio in Olanda, Conrig in Germania. Prima di morire, molto vecchio, e completamente cieco, ebbe la consolazione di sapere che la sua teoria era quasi universalmente accettata. Le sue opere complete sono state pubblicate a Londra nel 1766. Esse contengono, oltre il celebre “Exercitatio” numerose memorie sulla respirazione, le funzioni generatrici degli animali e un piccolo scritto sulla dissezione di Thomas Parr, il quale sarebbe morto alla rispettabile età di 153 anni! HOFFMANN Friedrich. Medico tedesco (Halle 1660 – 1742) Professore all’università di Halle, è il fondatore della teoria organicistica, che si oppose al vitalismo, all’animismo e a tutti i sistemi ispirati dall’idea di indipendenza dell’anima e del corpo. Il corpo vivo è, ai suoi occhi, una macchina i cui movimenti sono in dipendenza di tali proprietà, il “tonus”, che è la capacità delle fibre di contrarsi o di dilatarsi. La vita dipende dalla meccanica delle fibre, dal loro movimento e non dall’anima. Il medico interviene per regolare il “tonus” con l’aiuto di stimoli chimici, di cui raccomanda soprattutto le acque minerali. Malgrado i suoi lati oscuri, il sistema di Hoffmann è vicino al positivismo scientifico che prevarrà nel XIX secolo. HUNTER John. Chirurgo scozzese (Long Calderwood, East Kilbride, Lanarshire 1728-Londra 1793). Orfano in tenera età, ricevette scarsa istruzione. Fu da prima apprendista tornitore. Nel 1748 andò a Londra e lavorò per il fratello William, medico già celebre, che lo iniziò all’anatomia, dove il giovane fece rapidi progressi. Intraprese i suoi studi di medicina all’ospedale di Clesea, poi in quello di Saint-Barthelemy e infine al Saint- Georg. Laureatosi in medicina si impiegò come chirurgo di marina, pensando così - e non si ingannava- di guarire da un principio di tisi. Al suo ritorno, guarito, esercitò la sua arte di medico ed aprì un corso privato. Era uno scozzese di piccola statura, tarchiato, dalle maniere brusche e talvolta grossolane, ma colpiva ed eccitava l’ammirazione per la sua infaticabile curiosità scientifica. Di tutti i sistemi non gliene importava niente, e quando uno dei suoi allievi gli chiedeva cosa pensava del vitalismo o di altre filosofie mediche, rispondeva: “perché pensare, fate piuttosto esperimenti…” Per meglio comprendere il corpo umano, interrogava la natura intera, e, per il regno animale, non si contentava di sezionare i vertebrati. Nelle 500 specie che anatomizzò, si conta un gran numero di molluschi e di rettili. Segnalò per primo il fatto che negli uccelli l’aria che penetra nei polmoni si spande non solo nelle cellule aeree ma fino all’interno delle ossa. Morendo lasciò un museo che gli era costato più di 70.000 sterline e che fu acquistato dallo Stato per sole 15.000. Preoccupato dal problema della dualità e dell’unità delle malattie veneree si i inoculò il pus della blenorragia ignorando che il malato soffriva anche di sifilide, di cui si ammalò; ciò lo indusse a credere che le due malattie ne generassero una. Ebbe per allievo il figlio di un ecclesiastico il cui nome resterà famoso: Eduard Jenner. INGRASSIA Giovanni Filippo (Regalbuto 1510 – Palermo 1580). Si laurea a Padova, è medico di vasta cultura (conosce tra l'altro la filosofia platonica ed aristotelica) e di

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padronanza dei mezzi tecnici, Giovanni Filippo Ingrassia è accolto giovanissimo tra gli Accademici Accesi di Palermo. Le sue scoperte più numerose ed importanti sono senza dubbio quelle anatomiche. Ed è proprio l'importanza da lui data all'osservazione dettagliata e personale dell'anatomia umana e il suo eccezionale spirito d'osservazione che lo portano alla scoperta dell'ossicino dell'orecchio interno che egli stesso battezza "staffa o deltoide" anche se questa scoperta gli è contrastata da altri studiosi contemporanei, quali Luigi Collado, Realdo Colombo, Gabriele Fallopio e soprattutto Bartolomeo Eustachio. Con la carica di protomedico del regno di Sicilia, prosegue la sua attività scientifica, divenendo il fondatore della medicina legale, della medicina pubblica e della medicina sanitaria, con risultati teorico-pratici d'importanza fondamentale: basterebbe indicare la grande mole di precisazioni e aggiunte fatte al corpus della medicina greco-araba, le molte correzioni apportate alle opere di Galeno e dello stesso Vesalio, l'attenta diagnosi di malattie esantematiche, quali il morbillo, la scarlattina, il vaiolo, descritte con un'esattezza che ne attestano la sua sicura e diretta conoscenza. Quando fra il 1575 e il 1576 la Sicilia sarà sconvolta dal flagello della peste, il viceré don Carlo, duca di Terranova, lo chiamerà, vecchio e malandato in salute, e lo nominerà Consultore Sanitario e deputato per il tempo della peste. In quel frangente Ingrassia darà prova di notevole generosità e di inconsueta competenza nel prestare soccorso e cure ai cittadini colpiti dalla malattia. Dalle osservazioni e dalle riflessioni ricavate da questa terribile esperienza trarrà il materiale per il suo prezioso "Informatione del Pestifero et Contagioso Morbo".

IPPOCRATE. Nato nell’isola di Cos nel 460 a.C., morto a Larissa, in Tessalia, verso il 377, considerato come il più grande medico dell’antichità. Era nipote di un Ippocrate contemporaneo di Temistocle. Si segnalò per gli studi di anatomia e patologia traumatica dell’apparato osteo-articolare. Suo padre Eraclito era un medico specialista in dietetica, sua madre fu Prassitele. Lui stesso ha vissuto la più bella epoca della Grecia, quella di Sofocle, di Fidia, di Senofonte. La sua discendenza doveva fornire numerosi medici di cui almeno cinque hanno acquistato qualche notorietà. L’atmosfera nella quale crebbe fu quella molto particolare della medicina greca di fede scientifica, filosofica e religiosa. A tren’anni era già celebre, al punto che Platone, in uno dei suoi dialoghi, lo paragona a Fidia. Il grande merito di Ippocrate fu quello di aver liberato la medicina dalle concezioni filosofiche e soprattutto magiche che la avviluppavano. Non procedendo dalla teoria all’esperienza, come la maggior parte dei suoi predecessori, segue il cammino inverso; del resto è il primo ad aver formulato i principi della deodontologia medica, cioè l’”insieme delle regole che reggono la condotta del medico di fronte ai malati, ai confratelli (colleghi) e alla società. La medicina con Ippocrate si oppose alla tendenza greca che ne faceva una scienza esoterica: “Colui che vuole discorrere sull’arte medica deve soprattutto saper dire cose accessibili al volgo”. “Occorre certamente, per entrare nella professione medica, una iniziazione, ma “questa non è il privilegio di una casta semireligiosa.” Ciò si ottiene con lunghi studi e disposizione morale appropriata. Questo Ippocrate lo ha espresso in numerose opere. “Colui che vuole acquisire realmente buone conoscenze mediche e diventare un buon medico deve possedere i seguenti requisiti: essere dotato per natura, istruirsi in una buona scuola, studiare fin da bambino, provare amore per il lavoro e dedicare il tempo necessario” (La legge). “Quanto alla morale,l’uomo saggio non solo sarà discreto ma osserverà anche una grande regolarità nella vita; ciò fa il massimo bene alla reputazione; i suoi costumi

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saranno onesti e, con questo, sarà per tutti serio e umano, perché mettersi in mostra e prodigarsi provoca il disprezzo” (Della medicina). Ippocrate è dell’avviso che lo sviluppo della medicina del suo tempo escluda i tentennamenti e il ricorso al caso: “Si farà bene, a mio avviso, escludere completamente il caso dalla medicina, come da ogni altra attività; la riuscita o lo smacco dipendono semplicemente da come si è operato, in maniera giudiziosa o inopportuna….” (Dei posti nell’uomo). Nella sua opera: “Del regime delle malattie acute”, deplora la ciarlataneria, molto diffusa nella sua epoca presso i medici. Se questi possono imbrogliare nelle malattie benigne, non è la stessa cosa in quelle gravi. Così il mediocre pilota non rivela pienamente la sua incompetenza che nella tempesta: “La maggior parte dei medici sembrano, ai suoi occhi, dei cattivi piloti. Quando il mare è calmo, nessuno sa discernere i loro errori, ma quando hanno a che fare con un vento violento, o una tempesta, la loro ignoranza diventa allora manifesta, ed ognuno capisce che il naviglio si perderà causa i loro errori. Lo stesso succede con i cattivi medici (Dell’antica medicina). La medicina greca, e Ippocrate lo deplora, era screditata per il numero di ciarlatani che la ingombravano. “Sono come dei figuranti di teatro, hanno il portamento, l’abito e l’aspetto degli attori, ma non lo sono affatto; si vedono anche molti medici di nome, ma ben pochi lo sono di fatto.” “Il morale del malato conta molto per la sua guarigione. Il medico si deve intrattenere quanto più può, quando vi è buona disposizione (del malato). Quanti malati si lasciano morire sotto il peso del loro male! E’ necessario che il medico non riveli al suo paziente tutta la gravità del male.” Ippocrate torna spesso sul comportamento del medico (egli deve avere un abbigliamento decente, essere molto pulito, perfino adoperare dei profumi gradevoli il cui odore non abbia niente di sospetto, perché, in generale, tutto questo piace al malato)” Insiste anche sul fatto di non mostrare troppa gaiezza al capezzale del malato; tenere un comportamento calmo, posato, e un fisico piacente. Le qualità che reclama sono quelle che, ai giorni nostri, lo si pretende da un sacerdote: “Si deve trovare nella medicina il disprezzo del denaro, il pudore, la decenza, la riservatezza nella tenuta, la modestia nel vestire. Entrando, non deve trascurare né il modo di sedersi né di posare il mantello o l’abito; deve avere un contegno…. Occorre saper mescolare la dolcezza con la severità e con l’autorità.” (Della decenza). Occorre anche che il medico si esprima con il malato in termini intelligibili. “Dato che la gente è ignorante non saprebbe conoscere la malattia di cui soffre, né il modo in cui si è prodotta, né come finirà, né ciò che l’aggrava o la calma. Ma ogni cosa gli diventerà facile quando lo apprenderà dalla bocca di coloro che praticano la medicina, tanto più che non c’è niente che si ricordi meglio delle sofferenze patite… “Un medico non deve esitare a fare appello ai suoi confratelli nei casi difficili; quanto agli onorari, è per il medico un dovere assoluto. Deve accordarsi in anticipo con i pazienti circa l’onorario, ma se non viene pagato deve accontentarsi di disprezzare colui che non ha mantenuto la parola e non pensare ad alcuna vendetta. Per regola generale l’arte della medicina non deve essere completamente disinteressata: “pretendete che il salario sia per lo meno sufficiente per perfezionarvi nella vostra arte. Vi scongiuro di non comportarvi in modo disumano a questo riguardo, di disprezzare il superfluo dei beni e delle ricchezze, e dare talvolta le vostre cure gratuitamente preferendo lasciare all’ammalato un ricordo riconoscente che vi assicuri un sovrappiù di reddito…Il buon medico lavora con tutte le sue forze per non commettere alcun errore ed è perciò che merita il nome di artefice… per arrivare a trattare i malati in modo irreprensibile non tralasciate assolutamente niente, anche in presenza dei più spregevoli indigenti, perché è nel contempo cosa giusta e lodevole.”. Ippocrate non soltanto ha fatto nascere la semiologia clinica e la biologia umorale, non ha solo eretto (edificato) per primo il principio fondamentale dell’osservazione razionale, egli ha modellato per l’eternità il vero volto della medicina; quello di una professione che

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è a un tempo arte e scienza, l’una e l’altra essenzialmente umane poiché “non c’è amore per la medicina senza l’amore per gli uomini” (Cour e Bariéty). Gli esami ai quali ricorreva Ippocrate erano di una notevole precisione e varietà: facies (aspetto del volto), tegumenti, temperatura esterna, modo di fare, morfologia, espettorazione, feci, vomito…Ippocrate ignora l’esame del polso, contrariamente ai medici cinesi, ma sa palpare e percuotere. “Portando l’orecchio contro il torace ed auscultando attentamente, si percepisce un rumore come d’aceto.” Laennec, al quale dobbiamo l’uso veramente scientifico della auscultazione, è debitore di Ippocrate e dei suoi discepoli. Quando i pareri erano divisi sulla sede del pensiero, della volontà (cuore, fegato, milza) Ippocrate riconosce al cervello “il più grande imperio sull’uomo. “E’ nel cervello la sede dell’intelligenza. Gli uomini non hanno gioia, piacere, gaiezza se non grazie al cervello. Grazie a lui sentiamo anche dolore e pene, tristezza, malinconia. Noi dobbiamo anche a quest’organo il sapere, la saggezza, il giudizio, il senso morale, la percezione di ciò che è piacevole o penoso…(Del male sacro). I rimedi ippocratici: chirurgici in taluni casi, come l’oftalmologia, la ginecologia, l’ostetricia, le affezioni esterne della regione anale, i traumi cranici che lui sa trattare con la trapanazione. Conosceva il cancro del viso, della bocca, del seno, dell’utero, e ricollegava certe emorragie digestive al cancro. Seguendo il suo principio: “primum non nocere”(prima di tutto non nuocere) egli non imputava ai cancri superficiali,che consentono possibilità di sopravvivere, la causa di un decesso ma a quelli profondi una fine fatale. Pertanto un intervento non avrebbe fatto altro che accelerare fatalmente la fine. I suoi rimedi erano talvolta inefficaci ma non pericolosi: erano prodotti naturali, di origine vegetale, incorporati in diversi eccipienti: il melone, l’elleboro nero, l’olio di ricino servivano da purganti. Per favorire il vomito usava l’elleboro bianco e l’acqua calda. Conosceva le virtù sedative dell’oppio, della mandragora, della belladonna. Conosceva le coppette semplici o scarificate, gli effetti delle fumigazioni, delle inalazioni, delle iniezioni vaginali, delle lavande, ed era un eccellente dietologo. Gli omeopati si raccomandavano ai suoi aforismi: “Similia similibus” (guarire i simili coi simili)… ma sempre empirico, ha preconizzato così “Contraria contrarix”, ma fu sempre diffidente delle teorie rigide e rigorose. Infine il famoso”Giuramento di Ippocrate” modificato più o meno attraverso i tempi e i paesi, resta più o meno il fondamento della deontologia medica. JACKSON John Hughlings. Neurologo inglese (Green Hammerton, Yorkshire,1834- Londra 1911). Quando Jackson intraprese lo studio delle malattie nervose si ignoravano quasi le localizzazioni cerebrali., il suo grande merito fu di fare ciò che altri non avevano tentato prima di lui: osservare con cura il comportamento dei malati e, da queste osservazioni, fare generalizzazioni non filosofiche, alla maniera di Gall, ma fisiologiche. Fu così che, esperimento dopo esperimento, Jackson stabilì la gerarchia del sistema nervoso formulando questa verità valida ancora oggi, ossia che l’evoluzione del sistema parte dal centro: “Centri inferiori ben organizzati” verso “centri superiori meno bene organizzati” dal più semplice al più complesso, dal più automatico verso il più volontario.Questo che lui chiama la “dissoluzione”, osservata nelle malattie nervose, segue il processo inverso: dal più complesso e dal più volontario verso il più semplice e il più automatico. Nel disturbo nervoso, due elementi sono da considerare: un elemento negativo, che è il non funzionamento di un centro superiore, e un elemento positivo, costituito dalla liberazione e la funzione disordinata dei centri sottogiacenti. La malattia, nello stesso tempo che distrugge l’alto, libera il basso: è il domatore addormentato vicino alle belve che si agitano, ruggiscono e si divorano tra loro. Jackson, fra le altre malattie

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nervose il cui studio ha reso famoso il suo nome, si è particolarmente soffermato su una varietà di epilessia che si è chiamata “Jacksoniana”, effetto di una lesione scatenata, sopravvenuta nei centri i più elevati. Jackson ha avuto come continuatore in Francia Ribot, ma un neo-Jacksoniano è intervenuto più recentemente,quando si è tentato di integrare al sistema il fattore “inconscio” ossia amalgamarlo alle scoperte di Freud: “è l’organodinamismo di H. Ey e di J. Rouart. “Noi comprendiamo, hanno scritto questi autori, come Jackson, così geniale e così profondo, non abbia potuto portare a maturazione la sua opera. Gli è mancata la nozione di una gerarchia degli strati profondi della personalità fondata senza dubbio sulla gerarchia delle funzioni nervose, ma la supera, sia che si tratti degli strati dell’inconscio istintivo-affettivo tale come lo descrisse Freud, sia che si tratti della gerarchia delle funzioni del reale, come ha stabilito P. Janet. JENNER Edward. Medico inglese (Berkeley, contea di Gloucester 1749-1823). Medico di campagna, era stato a Londra l’allievo e il pensionante del famoso John Hunter, che gli aveva trasmesso il gusto dell’osservazione e il disprezzo per le teorie nebulose allora così fortemente dimoda. Il servizio di John Hunter all’Ospedale Saint-George, era anche un poco museo di storia naturale. Si diceva che ogni sorta di uccelli si fossero abbattuti fra i vasi e i cesti di filaccia, ma erano impagliati. Un giorno vennero depositate molte casse nel cortile dell’ospedale: era una collezione di serpenti essiccati, di uccelli, di pesci e di stelle di mare portate da Cook dai suoi viaggi nel Pacifico del sud. Nel 1772, ossia l’anno seguente, Jenner ritorna al suo villaggio. Quando i suoi malati gli lasciano qualche momento libero, eccolo bighellonare col suo cane attraverso i campi e i boschi, seguendo con gli occhi il volo dei pipistrelli di sera, calpestando un , nido di civetta, interessarsi alla migrazione degli uccelli. Appena installato a Cheltenham, Jenner pensò, allorché il vaiolo infieriva tutto intorno, a ciò che gli aveva detto un giorno una fattora: “Il vaiolo? Io non rischio nulla” “Come potete affermarlo?” “Il fatto è che io ho avuto il cow-pox” Non era la prima volta che Jenner sentiva parlare del cow-pox, o “vaccino di vacca” I contadini inglesi lo conoscevano, come quelli francesi e tedeschi. Era sufficiente aver preso la malattia dalla mammella della vacca- chiamata in Francia – la “scheggia” – perché non vi fosse più il rischio di prendere il vaiolo. Questo medico di campagna diceva di avere senza alcun dubbio qualcosa di importante da chiarire. In una delle sue lettere Hunter, affronta il problema e gli risponde, come era sua abitudine, con “Non generalizzate! Non tirate conclusioni affrettate. Osservate!” Jenner, per venti anni, osservò, rifletté e si documentò. Apprese che in Francia il dottor Pew, medico inglese in viaggio, aveva ricevuto dal pastore protestante Rahaut-Pommier l’interessante suggestione di inoculare la “scheggia” allo scopo di evitare di contrarre il vaiolo. Non si sa se ebbe sentore delle osservazioni analoghe del dottor Platt, nello Holstein, ma non poté ignorare che nel 1774 un fattore inglese di nome Benjamin Jesty aveva inoculato il cow-pox a tutta la famiglia, con grande spavento e con indignazione dei suoi concittadini. Benjamin Jesty ,più tardi, quando Jenner era già famoso, rivendicherà la priorità della scoperta. E’ raro che una scoperta non abbia degli antecedenti; così quando Charles Nicolle “ scoprì” che la pulce era il vettore del tifo esantematico, un italiano del XVI secolo sarebbe potuto uscire dalla sua tomba per gridare: “l’ho detto io!” Il 14 maggio 1796, dopo mature riflessioni, Jenner prelevò il contenuto di una pustola di una serva, di nome Sarah Nelmes, dalla mano e la inoculò nel braccio di un ragazzino di nome James Phipps. Costui presentò presto una vescica simile a quella del virus. L’esperimento, fino a quel momento, non era per niente pericoloso, poiché il cow-pox non aveva mai ucciso nessuno. Ma si trattava ora di ben altra cosa: inoculare il vaiolo a un bambino. Jenner

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arrischiò: “Poi il vaiolo venne inoculato a questo ragazzo, tanto che io avevo osato predire che esso non avrebbe prodotto alcun effetto”. Questo aveva scritto due anni dopo l’esperimento.E Jenner aggiunse: “Io ora proseguo i miei esperimenti con ardore rinnovato” 1798… anno in cui qualcosa sta cambiando nella storia dell’umanità, anno in cui compare un opuscolo di sessanta pagine, “Ricerche sulle cause e gli effetti del vaccino (vaioloso), malattia scoperta in certe contee occidentali dell’Inghilterra, specialmente nel Gloucester, e conosciuta col nome di cow-pox” Per questa prima opera le critiche furono assai più numerose degli elogi. Contro Jenner si levarono il filosofo Kant, sebbene completamente incompetente, Modeley, Rowley, Woodville, e soprattutto il medico olandese Ingenhousz, che si era stabilito a Londra. E’ per rispondere a questi contradditori e fornire ancora qualche spiegazione tecnica sul vaccino che Jenner, l’anno dopo,(1799) pubblicò le sue “Osservazioni ulteriori sul vaiolo. Questa volta tutti gli avversari furono spazzati via. Nello stesso anno, Carro introdusse il vaccino a Vienna, Hufelcand e Heim in Germania, Odier a Ginevra. In Francia, il movimento in favore della vaccinazione antivaiolosa non si affermerà che nel 1801. Nel 1811 Napoleone ebbe a cuore che suo figlio, re di Roma, ricevesse la vaccinazione antivaiolosa da Jenner. Fortuna e denaro piovvero su Jenner. Una dotazione di 10.000 sterline gli venne votata dal Parlamento. Venne nominato chirurgo e medico della Marina reale, ciò che permetterà di far vaccinare tutti i marinai di S.M.. Una medaglia venne coniata in suo onore: rappresenta un giovane marinaio che Apollo presenta all’Inghilterra, con la massima: “Alba nautis stella refulsit” JUNG Carl Gustav. Medico e psicologo svizzero (Keeswill, Turgovia, 1875 – Kuessnacht, nei pressi di Zurigo 1961) Figlio di un pastore, ( ciò ebbe molta importanza nella sua evoluzione intellettuale) studiò medicina all’Università di Basilea, poi a Parigi, nel 1902, alla Salpétrière con P.Janet. “E’ a Pierre Janet ,scriverà, che dobbiamo una conoscenza precisa e approfondita dei fenomeni isterici”. A Zurigo fu assistente di Eugenio Bleuler, specialista eminente della schizofrenia, poi medico capo della clinica psichiatrica dell’università. Nel 1907 diventa l’amico e il discepolo di Freud. Come Adler (v.q.n.) anche Jung non sopportò a lungo l’autorità di Freud, anche se fu molto affettuoso nei suoi confronti, e la rigidità della dottrina freudiana. Rottura inevitabile… C’era da un lato, Freud, lui stesso neuropatico, e che aveva ricavato dalla sua esperienza piuttosto che dalla speculazione e dalla clinica un sistema, benché singolarmente profondo; dall’altro, Jung, pieno di salute sia fisica che morale, di spirito sempre curioso, senza dogmatismo, e che considerava ogni malato come un caso nuovo, che richiedeva una terapia nuova; c’era l’ebreo razionalista di fronte al protestante credente nella realtà di Dio, dell’anima e “anche degli spiriti” poiché lui non rifiutava, lungi da lui!, le ipotesi della metafisica. Di fronte alla psicoanalisi, è uno dei fondatori della psicoterapia. Nell’opera, fatta di brani scelti dal dr. R. Cohen: “La guarigione psicologica” (Libreria dell’Università.Georg e C. Ginevra) Jung espose il suo metodo, infinitamente più elastico di quello di Freud. Freud rimproverò al suo vecchio discepolo il carattere sfuggente, mutevole del suo sistema: è infatti vero che la psicoanalisi freudiana può riassumersi in 10 pagine, tanto è chiara, relativamente semplice e strutturata, mentre la psicoterapia di Jung non si può esporre se non con molte parole, lu stesso i ebbe bisogno di perdersi nei campi sconfinati della filosofia, della religione e dello spiritualismo. Il nome di Jung è ugualmente legato alla teoria - e in certa misura mutuata da Freud - di un “inconscio collettivo”. Molto spesso , nel corso delle sue cure psichiatriche, Jung lo aveva intravisto, attraverso certe fantasticherie dei suoi malati, o certi sogni, o in certe situazioni che si ritrovano in tutti i popoli e in tutte le religioni. Per esempio il tipo del “Salvatore”, della “muraglia rovesciata”, ecc. Per verificare questo concetto fondamentale, visitò il

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Nuovo Messico, gli Stati Uniti, il Kenia, l’Africa del Nord, l’Asia Minore, ecc. Questa vastissima indagine confermò Jung nella sua credenza nella esistenza di fonti comuni universali produttrici di archetipi, immagini e simboli indipendenti dal tempo e dallo spazio. KENDALL Edward Calvin. Chimico americano (South Norwalk Connecticut, 1886) Professore di biochimica alla Mayo Clinic dal 1914. Ha isolato la tirossina, il primo degli ormoni tiroidei, il cui tasso, nella ghiandola, è il più importante. Si utilizza la tirossina come stimolante del metabolismo sotto forma di gocce o di compresse. E’ all’origine della scoperta e della sintesi degli ormoni corticosurrenali, del cortisone e della corticotropina ipofisaria (1949) Nel 1950, ha condiviso il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia con P.S. Hench e T. Reichstein. KOCH Robert. Medico tedesco (Clausthal 1843 – Baden Baden 1910) Dopo gli studi fatti a Goettingen, diventa medico aggiunto all’Ospedale di Amburgo, esercita poi la medicina a Langenhagen (1866), a Rackwitz e a Wollstein (1872-1880). Le sue ricerche batteriologiche gli valsero la nomina di membro dell’Ufficio di Sanità di Berlino nel 1880. Due anni più tardi, pubblica i suoi notevoli studi sulla tubercolosi e la scoperta del bacillo al quale il suo nome è legato. Oggi, la malattia è debellata, e non si muore più di “petto”, per lo meno nei paesi evoluti. Ben difficilmente possiamo immaginare l’importanza e lo scalpore che fece questa scoperta, che confermava per altro quella di Villemin (v.q.n.). Fino al 1882 la tubercolosi - si diceva “tisi”- è rimasta quella di cui Charles Dickens ha scritto “La strana malattia”La sua evoluzione è lenta e solenne, il suo esito incerto. Giorno dopo giorno, particella dopo particella, ciò che è mortale scompare, l’anima diventa sempre più leggera, a misura che il fardello terrestre si assottiglia…” La tisi è stata la malattia romantica per eccellenza. E’ lei che ha dato ai giovani un “interessante pallore” e consumava le ragazze languidamente. Malattia non solo delle classi agiate – al contrario – ma soprattutto degli agglomerati operai. Questa “mortalità” nei sobborghi nebbiosi”, come dice Baudelaire, è per l’80% fatta dalla tubercolosi, compagna della miseria e della promiscuità. Già Ippocrate (v.q.n.) si era interessato a questo male che riteneva esclusivamente polmonare e, secondo lui, l’effetto di una predisposizione innata. Egli ha disegnato il ritratto del tisico: figura slanciata, petto stretto, pallore della pelle, capelli biondi. Per il medico ippocratico solo la predisposizione è ereditaria, assioma che si manterrà per più di duemila anni: errore le cui conseguenze si possono presagire. La natura contagiosa della tisi sarà però affermata nel XVI° secolo dal Fracastoro(v.q.n.) che esige contro questa misure preventive tanto severe come per la peste e la sifilide. E’ assolutamente necessario, secondo lui, che gli abiti e gli oggetti appartenuti al tisico siano bruciati. Due secoli più tardi, in Italia, chirurghi come Valsalva e Morgagni si rifiutarono di sezionare i morti di tisi. In Spagna regna la stessa prudenza. Sbarcando a Palma de Majorca nel 1838, Chopin che accompagnava Gorge Sand, si stabilì in un albergo e fu presto preso, essendo tubercolotico, da forti accessi di febbre, accessi di tosse e da sbocchi di sangue. L’albergatore, allarmato, mise alla porta gli indesiderati. Il malato dovette rifugiarsi in un eremo abbandonato di Valdemosa, e lì, si rimise lentamente. Per raggiungere Barcellona trovò grandi difficoltà. Alcuni navigli non volevano imbarcarlo. Dovette accontentarsi di un piccolo cabotaggio che lo prese a bordo con un centinaio di maialini. A Barcellona, prima di lasciare la camera da dove aveva atteso il suo rimpatrio, dovette pagare non solo il prezzo della pensione ma anche dei mobili, perché la legge spagnola obbligava a bruciare tutto. Non fu che a Marsiglia che

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l’artista fu finalmente libero perché non esisteva in Francia una simile regolamentazione. I tubercolotici erano liberi, ossia liberi di infettare chi stava loro intorno, il contagio era negato. “Le vedute sulle caratteristiche e il potere contagioso della tubercolosi erano così disastrose per le frontiere geografiche che qui si portava pregiudizio ai malati con una severità barbara mentre là si mettevano quelli che stavano bene in pericolo con totale noncuranza.” (Dr. H.S. Glasscheib, “Alla ricerca del grande segreto”, ed. La Table ronde.) In Francia come in Granbretagna, si accusava, oltre che di predisposizione ereditaria, l’insalubrità delle abitazioni, nozione in parte giusta, e per negare il contagio, i medici citavano famiglie che non sembravano per niente contagiate da un loro membro, malato accertato. Non si sapeva riconoscere i casi larvati, senza sintomi drammatici – tosse debole, leggero accesso di febbre – dai casi patenti. I trattamenti erano a immagine di questa ignoranza. Ai ricchi, si raccomandava l’aria calda e secca del Mezzogiorno, molto riposo, ma senza speranza reale di guarigione. Così Chopin racconta: “Tre medici, più reputati di tutta l’isola (di Majorca) vennero a consulto; uno annusò i miei sputi, il secondo esplorò mediante percussione il punto da dove provenivano gli sputi, il terzo auscultò e tastò il mio petto mentre io espettoravo.” “Il primo disse che ero “bucato”, il secondo che ero sul punto di crepare, il terzo che ero crepato.” Facciamo osservare che la percussione (v. Auenbrugger) era praticata in Spagna, come lo era in Francia da Corvisart e che l’auscultazione, partendo da Laennec si faceva strada… Nel 1874 Dostoevskij andando a Parigi si fermò a Berlino per consultare una delle massime autorità della medicina tedesca, il dottor Friedrich, perché anche lui risentirà a riguardo dei suoi polmoni qualche inquietudine. “Questo luminare della scienza, scrive, risiedeva in un palazzo… Nella sala d’atttesa domandai a un paziente quale onorario si dovesse pagare. Mi disse che la tariffa non era fissata ma che personalmente aveva risolto di versare cinque talleri. Io decisi di darne tre. Lui si occupava di ogni malato solo per tre minuti, cinque al massimo. Con me finì in due minuti,orologio alla mano. Si contentò di toccare il mio petto con lo stetoscopio e di pronunciare poi un solo nome: “Ems!” Poi si sedette in silenzio e scrisse due righe all’inizio del foglio. “Ecco l’indirizzo di un medico di Ems. Ditegli che voi venite da parte di Friedrich” Io posai i miei tre talleri sulla tavola e me ne andai…” Che si tratti di acqua minerale, di cataplasmi o di salassi, si indovina che il male, ignorando l’origine microbica, e quando ben lo si ebbe scoperta, che si poteva fare per soggetti già contagiati?, questo male non poteva che evolvere , con lentezza e rimissioni verso il suo termine ineluttabile. Prima della scoperta di Koch, un medico eveva sperimentato il carattere contagioso della malattia: era Villemin (v.q.n.). Per primo, questo medico militare ne dimostrò la natura infettiva, dunque trasmissibile. “La causa della malattia – affermò – risiede in un agente inoculabile”(1865) Riteniamo il 1865, anno fausto negli annali della medicina, in cui Pasteur, a proposito della malattia del baco da seta, conferma la sua convinzione(convincimento) che esistono, all’origine di queste malattie, dei “germi viventi”; dove Claude Bernard pubblica il suo “Introduzione allo studio della medicina sperimentale” dove Traube introduce una nozione anatomo-funzionale fondamentale identificando la membrana cellulare. Quando Koch incominciò i suoi lavori sulla tubercolosi, nel 1880, fu un po’, nei confronti di Pasteur, come un Admunsen che si abbandonava, con un Shakleton, alla corsa al polo. Quando Pasteur aveva avanzato l’ipotesi, davanti all’Accademia di medicina, che le epidemie -probabilmente anche la tubercolosi- erano provocate da microrganismi, Koch che lui pure non aveva dubbi, forte degli esperimenti di Villemin, di Pasteur e delle proprie ricerche sulla malattia del carbonchio, cercò di evidenziare,col suo microscopio, il bacillo del tifo. Forse non ci fu niente di meglio per raggiungere il risultato che l’aiuto determinante da parte delle autorità del suo paese, la qualità del suo materiale, l’impiego di obbiettivi a immersione, l’uso di procedimenti di colorazione perfezionati, e infine una preparazione assai curata

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dei brodi di cultura. Questo fu un rischio che tuttavia permise a Koch “ di scorgere” alla fine quei bacilli per lungo tempo imprendibili. Su una lastra di vetro lo scienziato aveva depositato delle velature di noduli tubercolotici e li aveva colorati di blu di metilene. Dimenticò questa lastra in una lozione colorata. Il giorno dopo, la lozione era alterata, scorse gruppi di bacilli a forma di bastoncini. Per ottenere una visibilità ancora migliore ricominciò l’esperimento con una soluzione fresca di blu di metilene. Non comparve nulla. Era la soluzione alterata che colorava di blu i bastoncini, e li colorava ancor meglio se le si aggiungeva una traccia di ammoniaca. Su numerosi cadaveri di tubercolotici gli stessi bastoncini ricomparvero. Il 24 marzo comparve un opuscolo destinato al mondo scientifico: “ A proposito della tubercolosi” dove si poteva leggere che: “i microbi della tubercolosi sono l’agente effettivo di questa malattia e che perciò devono essere considerati come un “affezione parassitaria” Al tempo stesso fu un sollievo lo scoprire una verità nascosta ma anche la paura della temibile probabilità che tale verità generava. La minima tosse faceva scappare. Dappertutto si disponevano sputacchiere. Si esigeva dai tubercolotici misure draconiane come rigorosamente prescritte ai colerici e agli appestati. Koch tuttavia lavorava per trovare un vaccino appropriato. Ciò che Pasteur aveva realizzato per la rabbia (1885) non si potrebbe ottenere in Germania per la tubercolosi? Al X° Congresso internazionale di Medicina(1890) egli annunciò che aveva trovato una sostanza che arrestava la proliferazione dei microbi, tanto in provetta che in una serie di esperimenti sugli animali. Egli trattò un estratto glicerinico di colture pure di bacilli che il suo inventore chiamò “tubercolina”. Le prove furono deludenti. Toccherà a Calmette e Guérin di mettere a punto il vaccino appropriato, universalmente conosciuto sotto il nome di B.C.G. (Bacillo Calmette-Guérin). B.C.G., ma bacillo di Koch! Le ricerche e scoperte di Koch hanno aperto un periodo fecondo nella ricerca microbiologica nei paesi di lingua tedesca. Ebberth, nel 1880, identifica il bacillo della febbre tifoide, Klebs, nel 1883, quello della difterite, mentre Felheisen prosegue lo studio dello streptococco, intrapreso da Pasteur. KOCHER Theodor Emil. Chirurgo svizzero (Berna 1841 – 1917). Professore di clinica chirurgica all’Università di Berna. Fu precursore nello studio della fisiologia e delle funzioni della ghiandola tiroide. Dimostrò il ruolo esercitato dallo jodio, la cui mancanza, in certe regioni della Svizzera, particolarmente nel Vallese, provocava questa ipertrofia, chiamata “gozzo”. Praticò, non senza danni per lo stato generale, l’ablazione totale. Questo metodo ha preso il posto delle ablazioni subtotali della ghiandola tiroide. A lui dobbiamo le pinze emostatiche a graffa, dette “pinze di Kocher” e un metodo di riduzione delle lussazioni della spalla. Ha ricevuto nel 1909 il Premio Nobel per la medicina. KROGH August. Fisiologo danese (Grena, Jylland, 1874 – Copenhagen 1949) I suoi lavori sugli scambi respiratori e sul ruolo dei capillari nella circolazione gli hanno valso il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1920. LAENNEC René Théophile Hyacinthe. Medico francese (Quimper 1781 – Kerlouancc, Finistère, 1826). A Quimper, un po’ fuori le mura della città, in una casa di granito, alla confluenza dello Steir e dell’Odet, vicinissimo alla bella “torre dell’angolo”, coperta di edera, di lillà, di valeriane, nasceva, il 17 febbraio 1781, colui che molti medici, un secolo più tardi, considereranno come il più grande. (Henri Mondor, “I grandi medici”, Correa,

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ed.). Il padre, rimasto vedovo, “affida, come dirà lui stesso, suo figlio, il più dotato dei suoi bambini” a uno zio, medico a Nantes che si incaricherà della sua educazione. “Per voi, gli scrive, che siete diventato l’allievo del mio eccellente fratello, voi non sapete trovare altrove un maestro più capace e, cosa non meno importante, un maestro più affezionato. Io lessi nel suo cuore che per lui sarà un piacere mettere l’ultima mano alla sua opera e che voi uscirete dalle sue mani come le vostre felici disposizioni vi faranno diventare…” Questo zio medico ha studiato lui stesso dal celebre scozzese Hunter. Ha imparato la medicina ad Edimburgo, poi a Montpellier. Fa pratica a Nantes, presto eletto rettore della Facoltà. Si sa quali scene orrende si svolgono in città durante il Terrore. Carrier sarà ospite, una sera, dello zio, e Laennec non dimenticherà la benedizione repubblicana che diede – con le sue mani disonorate – alla tavola famigliare. E’ possibile che tutti gli orrori di cui lo stesso Carrier si renderà colpevole, e specialmente gli affogamenti, l’abbiano fortificato nelle sue idee monarchiche e religiose. Coi suoi colleghi, ardenti repubblicani in massima parte, e atei, farà la figura del bigotto. Lo si chiamerà “il Gesuita”. All’età di venti anni va a Parigi per completare i suoi studi di medicina, iniziati a Nantes. Si stabilirà presso il fratello, in rue Saint-Dominique.d’Enfer, nel quartiere latino. Per maestro sceglie Corvisart, dopo essere stato tentato da Pinel, ma tutta la sua ammirazione sarà per Bichat, la cui carriera volgeva al termine. Si ha di lui un quaderno dove annoterà “135 aforismi raccolti alle lezioni del cittadino Corvisart” Al concorso ottiene i due primi premi per la chirurgia e la medicina. La lettera con la quale annuncia allo zio il suo successo è curiosa per i dettagli che ci fornisce sul modo di concorrere ai tempi di Napoleone: “Il primo giorno è stato dedicato alla medicina e alla chimica. Siamo stati chiusi nella sala delle assemblee della scuola per sei ore. Io ho trattato questioni di medicina con molta fortuna. Quando ho finito non avevo che un’ora per dedicarmi alla chimica, vidi, perciò, che non c’era molto da sperare per me in quanto non ero, neppur lontanamente, ferrato in chimica come Savaray, nipote del signor Jussieu… L’indomani fui egualmente fortunato in materia chirurgica e forse ancor di più nell’operazione… Dovevo fare l’amputazione dell’omero. Dopo qualche risposta in anatomia sulle parti da incidere, il professor Dubois, giudice del manuale operatorio, mi disse, con un tono brusco ma amichevole che lui era particolare: “Eccone più di quanto occorra, fate” Io mi feci servire dagli aiuti e tagliai, con una sicurezza e una prontezza ,che io forse non avrei mai avuto ripetendo tutto solo il procedimento. Uscendo dalla sala, mentre veniva chiamato un altro concorrente, sentì il professor Dubois dire a Dupuytren, che mi aveva servito d’aiuto: “questo colpo di bisturi è incantevole…” Parlava di colui al quale io avevo tagliato i tendini e i muscoli subspinali, anellino e bicipiti della capsula dell’articolazione, nello stesso tempo che io facevo girare in basso e di dietro, in modo che la testa dell’omero rotolasse sotto la lama dello strumento ed uscisse nel momento in cui l’incisione finiva”. Studente, Laennec, si mette a frequentare le chiese, spinto alla conversione da un gesuita: padre Delpuits. Scrive a suo padre lettere edificanti:”La fortuna, la gloria, ipiù brillanti successi, io ho sentito più volte che tutto questo non può saziare il cuore dell’uomo. Gloria mundi peribit, veritas Dei manet aeternum” Io mi sono rivolto a Colui che solo può dare la vera felicità, e vostro figlio è interamente rientrato in seno alla religione. Io devo questa felicità ai consigli e agli esempi di due uomini i cui talenti eguagliano le virtù. Uno è l’allievo più istruito che sia uscito dalla Scuola di Parigi (si tratta del suo amico Bayle); l’altro è uno degli ultimi figli di questa Compagnia di Gesù che, forse, non fu distrutta perché era uno degli ostacoli più temibili alla istituzione della filosofia…” (Si noterà come il tono di queste lettere assomiglino, per la loro maestà e il loro romanticismo, a quello di Chateaubriand). A vent’anni diventa dottore. Laennec presenta un viso magro, febbrile, in cui su può presagire il male che lo avrebbe portato via all’età di quarantacinque anni. Tossiva molto. La sua tesi aveva per

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titolo:”Proposizioni sulla dottrina d’Ippocrate, relativamente alla medicina pratica.”. Egli in quest’opera si mostra degno allievo di Corvisart che gli aveva insegnato a non sacrificare la verità a un ordine artificiale, di risolversi ad accumulare i fatti e a non spaventarsi di apparenti contraddizioni che altro non sono che prospettive differenti di una stessa realtà. Laennec, diventato praticante, sperimentatore passò da studente a maestro. Scrisse molto. Il tono delle sue memorie, dei suoi rapporti è sempre un poco solenne e l’effetto è curioso in questi lunghi periodi in cui si applica ad esperimenti, a descrizioni estremamente precise di casi clinici. Si era fino allora abituati a trovare questo modo di scrivere se non nei medici filosofi, alla maniera di un Brown, di un Gall, di un Haller, sue bestie nere. Ma ascoltiamolo: “La tisi manifesta comincia spesso con una piccola tosse secca che la si prende facilmente per l’effetto di un semplice catarro secco, e senza dubbio è da questa osservazione che gli antichi hanno pensato che la tisi, venendo dopo questo catarro, ne sia l’effetto. Questa opinione doveva sembrare probabile prima che i progressi dell’anatomia patologica avessero fatto conoscere l’esistenza dei tubercoli miliari(?),ordinariamente anteriori a ogni sintomo locale o generale della malattia. Questa tosse può durare più mesi e talvolta anche parecchi anni, senza che nessun’altro sintomo si aggiunga; allora se il malato muore di una malattia estranea ai polmoni, troviamo questi organi infarciti di tubercoli piccolissimi e quasi tutti interamente grigi e semitrasparenti ancora…. Ecco ora il ritratto del tisico arrivato all’ultimo stadio della malattia: “Il naso è affilato, gli zigomi sporgenti e di un colore rosso vivo che spicca sul pallore generale; le congiuntive lucide e di un leggero blu, le guance incavate, le labbra retratte sembrano esprimere un sorriso amaro; il collo sembra obliquo e impedito nei suoi movimenti; le omoplata sono sporgenti (alate), mentre gli spazi intercostali sprofondano, soprattutto nelle parti anteriori-superiori del petto. Talvolta, questa cavità sembra completamente ristretta, così come l’ha osservata Bayle; e nelle tisi a decorso lento può esserlo effettivamente, a seguito del restringimento e alla tendenza alla cicatrizzazione delle grandi escavazioni tubercolotiche….” Nel 1816, eccolo medico-capo all’Ospedale Necker. Non si era abituato a questa sorte di grande capo, né militare né esibizionista, sembrava preoccuparsi poco di rendersi popolare presso i suoi allievi, preso dai malati, correndo, come una fiamma da una sala all’altra, non parlando se non con voce spenta, così bassa che bisognava stargli attorno per sentirlo, e lo si sentiva meno di affermazioni che di domande, di “forse”, di ipotesi. Estremamente pudico, il palpare il basso ventre gli sembrava come il peggior obbligo, per il quale chiedeva perdono al Cielo. Dobbiamo a questo pudore una delle sue più brillanti invenzioni: lo stetoscopio. Ma lasciamo che sia lui stesso a raccontare questa esperienza, diventata storica: “Io venni consultato nel 1816 da una persona giovane che presentava i segni generali della malattia di cuore e che l’applicazione della mano e la percussione davano pochi risultati a causa della pinguedine. L’età e il sesso del malato mi impedivano la specie di esame di cui parlerò (auscultazione immediata). Rammentai un fenomeno di acustica molto conosciuto: se si applica l’orecchio all’estremità di una trave si sente molto distintamente un colpo di spillo (punzecchiatura) dall’altra parte dell’estremità. Immaginai che forse si poteva sfruttare nel caso di specie, questa proprietà dei corpi. Presi un quaderno di carta formai un rotolo molto chiuso al quale applicai una estremità sulla regione precordiale e, posendo l’orecchio all’altra estremità, fui così sorpreso dal sentire i battiti del cuore in maniera molto più netta e distinta che non con applicando l’orecchio. Io presumensi perciò che questo mezzo potesse diventare un metodo utile ed applicabile non solo allo studio dei battiti del cuore ma anche a quello di

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tutti i movimenti che possono produrre del rumore nella cavità del petto e di conseguenza all’esplorazione della respirazione, della voce, del rantolo e forse anche della fluttazione di un liquido travasato nella pleura o nel pericardio… Comunicai all’Ospedale Necker una serie di osservazioni, mai interrotte. Ottenni come risultato nuove indicazioni, sicure, rilevanti, per la maggior parte facili da cogliere ed idonee a rendere la diagnosi di quasi tutte le malattie del polmone, della pleura e del cuore, più sicure e forse più circostanziate che non le diagnosi chirurgiche fatte con l’aiuto della sonda o con l’introduzione del dito… “ Rammentiamo qui che la “percussione” del torace è stata scoperta da Auenbrugger (v.q.n.), ripresa da Corvisart, ma che l’auscultazione è di Laennec come ne testimonia Littré, il grande grammatico che fu anche medico di talento: “La scoperta dell’auscultazione è uno dei gioielli della medicina contemporanea, che ha messo al primo posto uno dei i geni inventivi e uno fra gli uomini più eminenti della scienza. Laennec ne ha sviluppato tutti i risultati nella sua magnifica opera:”L’Auscultazione medica.” In realtà l’auscultazione immediata, ossia quella che non utilizza alcun strumento è stata fatta ben prima di Laennec, che del resto non ne ha mai rivendicato la paternità. Così si legge in Ippocrate: “Se applicando il vostro orecchio contro il petto del malato, voi ascoltate…. Harvey, a proposito delle malattie di cuore, ha ascoltato, evidentemente per auscultazione diretta, i rumori del cuore, e con sufficiente minuzia per compararli alla “deglutizione del cavallo” (Si dice che Parisiani, medico di Venezia, nel suo tentativo di confutazione della scoperta di Harvey, negò il rumore del cuore e disse ironicamente che questo rumore non lo si sentiva che a Londra). Corvisart praticava la auscultazione immediata. Nel suo “Saggio sulle malattie del cuore” disse di aver inteso dei battiti avvicinando l’orecchio al petto. Infine Bayle, il condiscepolo di Laennec fu, si crede, il primo ad avere sistematicamente impiegato l’auscultazione come mezzo di diagnosi. Ciò che appartiene propriamente a Laennec, è dunque la scoperta della “auscultazione mediata”, per mezzo di uno strumento. E’ grazie allo stetoscopio che si sono potuti sentire questi rumori, estremamente sfumati e che hanno permesso di stabilire delle diagnosi fino allora impossibili. L’auscultazione mediata non è applicata solo in ambito toracico (cuore e polmoni); si sono auscultati i grandi vasi, si è applicata l’auscultazione all’ostetricia. E’ nata tutta una terminologia, quasi interamente dovuta all’opera di Laennec che si dimostra maestro in analogie e metafore: broncofonia, respirazione puerile, ragli sibilanti, roboanti, crepitanti, tintinnio metallico, anforici(?), rumori di mantice, di pelle, di sfregamento, di raspa, grattugia… Grazie alla auscultazione mediata di Laennec la nosologia delle malattie pleuro-polmonari ha potuta essere fatta. Si è distinta la dilatazione dei bronchi, l’infarto emotoico, la cancrena polmonare, mai nominata prima di lui. La pleurasia, l’edema del polmone, l’enfisema, l’asma, la pneumonia non sono riconoscibili che dai segni che egli ha dato. Ma il suo apporto principale concerne la tubercolosi polmonare. Grazie a lui, si è potuto precisare il senso, così vago fino allora, della parola “tisi”. Per mezzo della auscultazione mediata nei viventi, con l’autopsia dei cadaveri, Laennec ha effermato l’unicità del processo tubercolare attraverso la diversità dei sintomi e delle lesioni. Per ottant’anni, fino alla scoperta della radiologia, la medicina vivrà, per la semiologia della tubercolosi, delle acquisizioni di Laennec. Uno dei più begli elogi che gli sono stati rivolti proviene da suo zio di Nantes.”Da cento e più anni, i nostri autori non fanno libri se non con i libri; lui solo ne ha fatto uno “de proprio sensu” e ci ha mostrato cose nuove, inaudite, sconosciute, buone da studiare, feconde in risultati utili ai cinque sesti dei malati…” I “Saggi” di Auenbrugger e gli studi sterili di Corvisart non si avvicinano” E Laennec stesso, a dispetto della sua modestia:”Se avessi la metà del savoir-faire di molte persone, quest’opera mi varrebbe qualche grazie e favore. Niente di più nuovo e di più appropriato a far rumore, oserei dire di più utile, non è parsa da lungo tempo nella scienza”. Fra i

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medici del suo tempo, che si danno volentieri arie da tribuni, repubblicani più o meno camuffati e “spiriti forti”, Laennec spicca da parte sua legittimista, cristiano alla maniera romantica, ossia un poco ostentato. “E’ un grande spirito nel corpo gracile, ha scritto il duca di Broglie, che fu uno dei suoi pazienti, ed aveva bisogno di darsi a se stesso le prime cure. La sua porta era custodita da un Cerbero femmina che non l’apriva che all’ora fissata. “Noi attendevamo, il dottore Esparon ed io, per molto tempo in un piccolo oratorio che non aveva per mobili che un inginocchiatoio e un crocefisso” Laennec, in una della lettere all’amico Bourbon-Pérusel, dipinge una delle sue giornate: mi alzo alle sette e mezza o anche alle otto, perché ho bisogno di molto sonno. Mi vesto spesso dando dei consulti. Vado a fare la mia visita all’ospedale ed in seguito faccio lezioni di clinica agli allievi che la seguono. Ciò mi occupa fino alle dieci e mezza e già il tempo mi passa molto velocemente, molto spesso, non posso rientrare a casa per il pranzo. Comincio dunque una giornata che non finisce che verso le cinque e mezza. Dopo cena, ossia verso le sei e mezza, ne incomincia un’altra fino alle dieci. Me ne rimane un’ora, fino alle undici, più qualche minuto di tanto in tanto prima del pranzo e della cena per aggiornare le mie corrispondenze di ogni genere e mettere in ordine le osservazioni raccolte dagli allievi del mio ospedale. Laennec è l’antitesi vibrante di Broussais e, nella prefazione della sua opera sulla auscultazione (1826) l’allievo non si dà pena per distinguersi da colui che fu suo maestro: “M°. Broussais è l’allievo alla ricerca delle cause prossime, disprezza i dettagli minuziosi dell’osservazione, la distinzione dei casi,e implicitamente della sicurezza della diagnosi: perché ragiona sempre nell’ipotesi che è inutile distinguere gli uni dagli altri tutti i casi ai quali egli attribuisce una causa simile: l’irritazione. Laennec non poteva soffrire il tono di superiorità che era quello di Broussais, e non glielo manda a dire: ”Io vi consiglio piuttosto di abbandonare questo tono di superiorità che stona un poco quando si parla ai propi pari. Queste espressioni figurate o polemiche poco consone a convincere gli spiriti raffreddati della cultura seria delle scienze fisiche. Di dare meno importanza a parole che non hanno valore e senso a quelle che si dà loro con una buona definizione; ricercare un giusto mezzo fra le mie lunghe descrizioni anatomo-cliniche e le sue brevi osservazioni; non prendere troppo obiezioni per concessioni, sostituire disconoscimento dai fatti che non conoscono il silenzio o il semplice dubbio filosofico.. “ Ma lasciamo concludere Henry Mondor:”L’uno ha fatto tutto il rumore che il coraggio e una convinzione possono fare, l’altro ha descritto delle malattie come non si seppe fare in seguito. Le opere del tribuno diverranno velocemente un pathos illeggibile. Il “Trattato” del secondo è per sempre un capolavoro, arricchito in ogni pagina. Ma per anni ancora, l’agitazione stridente del primo, aiutato forse dalle sue preoccupazioni politiche, avrà ragione, agli occhi del pubblico, della calma superiore di Laennec. E’ rimarchevole che il primo ospedale che, a Parigi, abbia ricevuto il nome di un medico, porti quello di Laennec. Ma non è meno rimarchevole che il secondo abbia ricevuto quello di Broussais.”Così la posterità, dirà Edourd Rist in occasione di una cerimonia in memoria di Laennec, nel centenario della sua nascita, la posterità stessa, alla quale si accorda ingenuamente fiducia, si completa talvolta in una imparzialità ipocrita, offrendo il medesimo alloro al vero e al falso grande uomo, confondendo nella medesima gratitudine il forte e il presuntuoso, il sublime e il mediocre,e compensando ipocritamente la più giusta consacrazione con la più immeritata. LANDSTEINER Karl. Medico di origine austriaca naturalizzato americano (Vienna 1868-New York 1943) Dal 1909 al 1919 insegna all’università di Vienna, poi si trasferisce negli Stati Uniti e si mette al servizio dell’Istituto Rockefeller. La sua più grande scoperta è quella dei quattro gruppi sanguigni, la cui determinazione si fonda sull’”Iso-

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agglutinazione” (agglutinazione delle emezie dell’uomo per mezzo del siero di un altro uomo), fenomeno che gioca un ruolo essenziale nella pratica della trasfusione del sangue. Landsteiner, che aveva scoperto i gruppi sanguigni nel 1901 ha messo, trenta anni dopo, l’ultimo sigillo alla sua scoperta attraverso quello del fattore Rhésus, che non è altro che un agglutinogeno sanguigno sconosciuto fino allora.Così si spiegano certi incidenti nel corso delle trasfusioni sanguigne (rari in verità 1 a 2 per 1000): stato di shock, ipertermia, talvolta anche la morte in pochi secondi. Il fattore Rhésus interviene ancora in una serie di malattie rare del feto e del neonato (2 a 4 per 1000 nati). Alcune malattie possono essere l’ittero grave del neonato, l’anemia, le affezioni famigliari che sopraggiungono nei bambini di una stessa famiglia (v. Larousse médicale:”Rhésus”) Ha ricevuto nel 1930 il Nobel per la medicina. LARREY Dominique Jean barone. Chirurgo militare francese (Baudéan, vicino a Bagnères-de-Bigorre, 1766 – Lione 1842). E’ uno dei medici più “statufiés” di Francia. Una delle sue statue, scolpite da David, adorna la Val-de-Grace, un’altra “l’Academie de medicine”, la terza la si vede a Baudéan, suo paese natale: tre effigi di un uomo atletico, sicuro di sé, dominatore. Capo-chirurgo della“Grande Armée”, che ha seguito in Egitto, in Russia, fino a Waterloo, era di una attività infaticabile e non c’è uomo che abbia tagliato più gambe e braccia di lui. Praticava le amputazioni con straordinaria rapidità. I suoi pazienti non avevano quasi il tempo di soffrire. Lui stesso dice di aver osservato che una amputazione praticata in quindici secondi era sopportata quasi senza dolore e che il fatto di essere separati dal membro ferito e che provocava la cancrena, produceva nel soldato una specie di euforia. Davanti a Smolensk, avrebbe proceduto a 200 amputazioni in ventiquattro ore, ossia una ogni otto minuti. Al passaggio della Beresina ne avrebbe eseguite 300. I “grognards” persuasi che queste operazioni-lampo fossero la loro salvezza, lo adoravano. Era la “Provvidenza del soldato” e Napoleone, che gli lasciò in testamento 100.000 franchi, confidò a Las Cases: “Larrey è l’uomo più virtuoso che io abbia conosciuto. Larrey ha istituito le “ambulanze volanti” che seguivano le truppe nei primi combattimenti, contrariamente all’abitudine di raccogliere i feriti solo dopo la battaglia. Egli non poté realizzare questa riforma che dopo lunghe discussioni con gli ufficiali di stato maggiore e i rappresentanti della Convenzione, che temevano che la vista di queste ambulanze volanti raffreddasse l’ardore dei combattenti. Dopo le guerre dell’impero la figura dell’amputato che marcia con l’aiuto di una gamba di legno o una delle maniche rialzate e mantenute alla spalla per mezzo di una spilla ha per lungo tempo ricordato la chirurgia sbrigativa di Larrey. Questa chirurgia ha infierito per oltre la prima metà del XIX secolo. Col pretesto di evitare le infezioni, si tagliava, senza curarsi di conservare il membro colpito, di ridurre tale frattura, e fino all’apparire della anestesia, questa fu una frenesia. L’operatore non era più disturbato dalle urla del paziente. Braccia e gambe cadevano come foglie morte in autunno. Nel 1848, all’Ospedale di Berlino, uno studente racconta anche la prima lezione del suo maestro Bernhard von Langenbeck: “Un uomo distinto, dallo sguardo simpatico, fece il suo ingresso in costume da cavaliere, polsini bianchi e stivali laccati. Fece un discorso all’auditorio sulla importanza della sua posizione come successore di Graefe e di Dieffenbach e annunciò, come prima lezione di chirurgia l’amputazione della coscia. E quando il letto girevole sul quale dormiva il malato cloroformizzato fu condotto, tutto l’auditorio tirò con un gesto solo gli orologi dal taschino.Poi si sentì un “ah!” di meraviglia. L’operazione, fino alla legatura delle arterie,ossia, la sezione della pelle e dei muscoli e la segatura dell’osso era durata in tutto 37 secondi. Tale fu l’entrata in funzione del mio venerato maestro e

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indimenticabile Bernhard von Langenbeck!” (A la recherche du grand secret. D.H.S. Glasscheib, Table rond). LAVERAN Alphonse Medico e batteriologo francese (Parigi 1845-1922) Medico militare, fece una scoperta sensazionale: quella della ematozoaria del paludismo. “Le mie prime ricerche, ha scritto, risalgono al 1878; a quel tempo ero incaricato di un servizio all’Ospedale di Bone (Algeria) e un gran numero di miei malati era colpito da febbre palustre. Io ebbi l’occasione di fare l’autopsia a numerosi soggetti morti di febbre perniciosa e di studiare la melanemia, che era già stata osservata ma che non era considerata come un’alterazione costante del paludiamo, né come un’alterazione speciale di questa malattia. Io fui colpito dai caratteri singolari delle (granulazioni) del pigmento nero, soprattutto nel fegato e nei vasi cerebrali, e tentai di cercare nel sangue dei malati colpiti da febbre palustre lo studio della formazione del pigmento. Trovai nel sangue dei leucociti carichi di pigmento, già visto da altri osservatori ma a fianco dei leucociti(melaniferi), portatori di questi pigmenti, dotati di movimenti (amiboidi) e di corpi in crescendo (?) pigmentati che attirararono la mia attenzione; io supposi allora che si trattava di parassiti. “Nel 1880, all’Ospedale militare di Costantina, scoprì sui bordi dei corpi sferici pigmentati nel sangue di un malato colpito da paludiamo, degli elementi filiformi assomiglianti a dei flagelli che si agitava con grande velocità, spostando le emazie vicine; da allora non ebbi più dubbi sulla natura parassitaria di ciò che io avevo trovato nel sangue palustre…” Partendo nel 1882 per l’Italia, dove regnava allora il paludiamo allo stato endemico, poté osservare questi medesimi protozoi. Ed i medici, allertati dalla sua scoperta, li ritrovarono nei sofferenti di paludiamo di tutto il mondo. Dove si trova dunque il microbo prima che attacchi l’uomo? Nessun dubbio che abbia come supporto le zanzare che abbondano nelle regioni acquitrinose, dove infierisce il paludiamo. Laveran, che difendeva la sua tesi del 1894 (data del suo rapporto al Congresso internazionale di igiene di Budapest) trovò presto un appoggio nella persona di Patrick Manson, già conosciuto per i suoi lavori sul ruolo della zanzara nella trasmissione di un’altra malattia endemica dei paesi caldi: la filariosa (v.Calmette, che, giovane medico di marina, fu iniziato da Manson alla microbiologia. E’ merito di R.Ross, interessato ai lavori di Laveran, poi a quelli di Koch ed altri ricercatori, l’aver osservato che l’ematozoaria del paludiamo compiva una parte della sua evoluzione nel corpo delle zanzare del genere anofele, che inoculavano all’uomo il germe della malattia. Laveran è dunque all’origine della nozione nuova di protozoi parassitari dell’uomo e di quella della loro trasmissione per mezzo di “insetti vettori”. Si poteva credere questa scoperta limitata all’agente specifico del paludiamo. Essa ha portato, in realtà, ad altre scoperte analoghe concernenti malattie delle regioni tropicali e subtropicali: la febbre gialla, le febbri ricorrenti; la triponosomiasi (o malattia del sonno),il tifo esantematico.Tutte queste malattie hanno per agente di propagazione le zanzare portatrici di germi. Si comprende che Laveran è da considerarsi come uno dei fondatori della “patologia esotica” quanto alla profilassi del paludiamo, è Laveran che l’ha indicata: preservazione dei soggetti sani per mezzo del chinino e distruzione della zanzara trasmettitrice, principalmente sotto la sua forma larvale. “I medici, ha scritto Laveran, studieranno la ripartizione esatta del paludismo e quella delle tane delle anofele, gli ingegneri si occuperanno della distruzione delle loro tane con la bonifica delle acque stagnanti o per mezzo del petrolio. L’uso del petrolio preconizzato da Laveran è stato impiegato dopo lo spargimento di prodotti insetticidi per mezzo di aerei. Ha ricevuto il Premio Nobel per la Medicina nel 1907. Fino al 1922, anno della sua morte, si è occupato nel suo “Laboratorio di Malattie Tropicali”, rue Falguiére, di altri parassiti

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altrettanto pericolosi; fra questi i responsabili della malattia del sonno, della leishmaniosi, la cui forma più frequente porta il nome di Kala-azar LEMERY Nicolas. Medico e chimico francese (Rouen 1645-Parigi 1715). Figlio di un procuratore al Parlamento di Normandia, di religione riformata, viene iniziato alla farmacia da uno dei suoi zii di Rouen. Si reca a Parigi dove seguirà i corsi di chimica di Glaser al Jardin du Roi (Giardino delle piante). Il personaggio ha l’accento tedesco, essendo svizzero di Basilea: lo sorprende per le sue teorie che sono più di un alchimista che quelle di un chimico. C’è in lui del Paracelso. (Si sa che Glaser fu implicato nel processo della celebre marchesa di Brinuilliers, alla quale avrebbe fornito del veleno, e che dopo aver passato qualche anno alla Bastiglia dovette lasciare la Francia. Si devono, peraltro, a questo basilese diverse scoperte interessanti, fra le altre quella del “magistero del bismuto” ancora impiegato sotto il nome di “sottonitratto di bismuto”, in alcune affezioni intestinali). Presto ritroveremo Lémery a Montpellier, diventato aiuto del farmacista Verchout, che dava lezioni molto seguite e che si acquistò una certa notorietà che gli permise di esercitare la medicina senza possedere il titolo di dottore, che conseguirà se non tardi. Ritorna a Parigi nel 1672. Grazie a Bourdelot, medico del principe di Condè, è ricevuto da quest’ultimo. Avrà dei colleghi e si abbandonerà ad esperimenti di chimica. Le lunghe parrucche si chinavano attorno ad emulsioni che si osservavano agire non senza una certa inquietudine. In ogni chimico si supponeva un Glaser. Apre un laboratorio in rue Galande, si fa promuovere farmacista, tiene dei corsi pubblici dove accorreranno i migliori. No, questo chimico non è più Glaser né Paracelo. C’è in lui una franchezza, una semplicità che dà fiducia e senza questi modi misteriosi che sanno di magia. A leggere le sue opere si constata che Lémery non si è completamente liberato delle vecchie superstizioni. Così nel suo “Dizionario universale delle droghe”, i pretesi poteri delle pietre preziose, scrive, a proposito degli smeraldi: “Si pretende che siano buoni contro l’epillessia e che accelerino la gravidanza se portati come amuleti, ma queste ultime qualità non sono che immaginarie”. Aggiunge inoltre che, per profittare dell’effetto benefico delle pietre preziose, conviene mescolare la materia”con i sali dello stomaco, agli umori del sangue, agli spiriti dei nervi. I loro effetti saranno allora”certi e la loro virtù naturale”. Al pari, “per scacciare gli umori trppo acri si assorbirà uno smeraldo frantumato e preso per via orale,prescrizione così costosa e del resto così poco praticabile che si dubita che qualcuno l’abbia mai osservata. Lémery credeva con altri, e qui troviamo un retaggio di magia, che molti elementi del corpo umano, come le unghie, i capelli, le lacrime, il sudore,l’urina ed altre secrezioni guarissero un certo numero di mali. “Si può dire che non c’è alcuna parte né escremento o superfluidità nell’uomo né nella donna che la chimica non possa preparare per la guarigione o il sollievo della maggior parte dei mali ai quali l’uno e l’altra sono soggetti.” Fra i metodi preconizzati da Lémery, il veleno dei serpenti è citato molte volte. Più il veleno è potente più sarà efficace contro i vapori e le malattie delle donne. “E’ alle vipere che io devo la piena salute di cui godo, scrive Mme de Sévigné…”esse temperano il sangue, lo purificano, lo rinfrescano…” Occorrevano alla marchesa non vipere in barattoli di vetro ma vere vipere dei campi. “Occorre che questo sia di vere vipere in carne ed ossa e non della polvere; la polvere riscaldata eccita, a meno che non la si prenda dalla bottiglia o dalla crema cotta con qualche altra cosa di rinfrescante. Pregate M. de Boissy di farvi arrivare una dozzina di vipere di Poitou, in una cassa separata in tre o quattro affichè siano a loro agio, con della crusca e del muschio. Prendetene due tutte le mattine, tagliate loro la testa, fatele scorticare e tagliate a pezzi e farcitene il corpo di un pollo. Osservate per un mese.” Lèmery nella sua farmacopea dà questa ricetta di un*

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di castità. “Prendete della canfora, della liquirizia, dei semi di vite e di giusquiamo, della conserva di fiori di nunefaro e dello sciroppo di nunefaro…. Se ne prenda al mattino due o tre once, bevendoci sopra un po’ di latte nel quale si sarà messo un pezzo di ferro arroventato” Commentando la ricetta Michel Foucault scrive, nella sua “Storia della pazzia” (ed:Plon) “Il desiderio e i suoi fantasmi si capiranno nella calma di un cuore come una barra di metallo ardente si ispessisce nel più innocente, nella più infantile bevuta. Ostinatamente questi schemi simbolici sopravvivono nei metodi di guarigione dell’età classica…” Al tempo delle persecuzioni contro i protestanti andò in Inghilterra. Ritornò in Francia verso il 1683, diventò dottore alla facoltà di medicina di Caen. Ma per poter liberamente esercitare la professione dovette abiurare il protestantesimo. Nel 1699 entrò nell’Accademia delle scienze come chimico associato.* le manipolazioni chimiche allo studio di qualche fenomeno geologico. E’ così che per mezzo di un apparecchio ingegnoso, detto “vulcano di Lémery” introdusse la teoria delle eruzioni. Con questo apparecchio riusciva a far zampillare con grande rumore un vulcano in miniatura, fumante e che sprigionava fumarole e lava. LEONARDO da Vinci. Pittore, scultore, ingegnere, architetto e scienziato italiano (Vinci, Firenze 1452- castello di Cloux, vicino a Amboise 1519). Leonardo non fu medico ma si interessò molto all’anatomia umana lasciandoci, di questa, meravigliosi disegni in cui l’arte e la precisione non sono che un tutt’uno. Lui stesso ha scritto: “Io per avere piena e vera conoscenza ho sezionato più di dieci corpi umani separando ogni membro, staccando in piccolissime parti tutta la carne che si trovava intorno alle vene capillari.Un solo corpo non dura il tempo necessario. Bisogna procedere di volta in volta su più corpi per arrivare all’intera conoscenza e spesso ricominciare per trovare delle differenze. Se si ha amore per questa scienza si potrà essere imbarazzati per il disgusto del tuo stomaco, e se non si disgusta, avrai paura di passare le ore notturne in compagnia di morti tagliuzzati e aperti, che sono spaventosi a vedersi. Se superi anche questo avrai bisogno di saper disegnare per rendere queste figure. Se hai dei disegni avrai la prospettiva? Avrai anche l’ordine della dimostrazione geometrica e il calcolo delle forze e il comportamento dei muscoli? Se io ho tutte queste cose o no i centoventi libri che ho composto lo diranno, perché per farli io non mi sono lasciato fermare né dall’avarizia né dalla negligenza ma soltanto dai tempi…” Di Leonardo da Vinci ci restano 200 quaderni, contenenti 1500 disegni anatomici: opera incompiuta ma che non meno si colloca fra i tesori dell’intelligenza umana. Ignorata per tre secoli non è per ciò servita al progresso delle scienze. Vasari, il biografo dei pittori italiani del Rinascimento, assegna una grande importanza ai disegni anatomici di Leonardo, e ci fornisce il nome dell’anatomista che lo iniziò a questa specialità: Marco Antonio della Torre. “Il libro, scrive il Vasari, con l’ardore per l’anatomia umana, lavorando di concerto con Messer Marcantonio della Torre, che professava allora a Pavia… Io ho detto che costui si segnalò per il suo attaccamento alla dottrina di Galeno, che era allora pochissimo conosciuto, e a illuminare questa dottrina con la luce che dispensa l’anatomia, che fino allora era avviluppata nelle profonde tenebre dell’ignoranza. In questi lavori, si servì molto del genio, della scienza e della mano di Leonardo. Costui fece un libro le cui figure sono disegnate con dei tratteggi a penna; scorticò i corpi di sua mano e li rappresentò con grande cura. Ognuna di queste figure è accompagnata da note succinte scritte al contrario, e con la mano sinistra in modo che chi non ha l’abitudine non può per niente decifrarla senza l’aiuto di uno specchio. Di questi disegni una gran parte sono nelle mani di Francesco da Melzo, gentiluomo milanese che, al tempo di Leonardo, era un bel adolescente, molto amato da lui…

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Leonardo col suo metodo così sottilmente analizzato da Paul Valéry, ha dato l’esempio della probità scientifica. Questo pensiero, scelto fra molti, non poteva essere che di Claude Bernard “Sperimentare è riprodurre un fenomeno naturale con lo scopo di scoprire le leggi e le relazioni che legano i fatti tra di loro… Un esperimento non è mai ingannevole. Solo l’interpretazione che noi ne diamo può essere errata…” LERICHE René. Chirurgo francese (Roane 1879-Cassis 1955). Professore alla facoltà di Lione (1902), consacra la sua tesi, nel 1906, al trattamento chirurgico del cancro dello stomaco. Dopo aver insegnato alla facoltà di Strasburgo, è nominato, nel 1934, titolare al Collegio di Francia, alla cattedra di medicina sperimentale, alla quale succede a Charles Nicolle. Nel 1941 diventa chirurgo-capo all’ospedale americano di Neuilly. Si fa osservare che non fu mai “primario” di un ospedale parigino, benché godesse di una notorietà internazionale e considerato come il maestro della chirurgia francese del suo tempo. La sua opera scritta è considerevole. I non specialisti lessero con profitto la sua “Filosofia della chirurgia” (1951), la cui parte deodontologica colpisce per il sentimento che ispira e che non è di tutti i grandi medici, una profonda carità. “Il malato non è solo una meccanica fisiologica, egli pensa, ha paura, la sua carcassa trema se non ha il conforto di una visione di simpatia. Niente può sostituire il benefico contatto col suo chirurgo, lo scambio di sguardi, il sentimento di un incarico la cui certezza, almeno apparente, è quella di vincere…” Ogni malato è un perseguitato, gli dobbiamo la carità del nostro tempo. La chirurgia ha molto da perdere allontanandosi dai malati perché la nostra legge è questa: dall’uomo all’uomo” Io dubito molto che il sentimento dell’eccellenza di una organizzazione impersonale porti con sé la serenità che dà l’applicare su di una pelle calda una mano fresca, quella che sarà del guaritore.” E’ a Strasburgo, nel 1925, nella sua prima lezione di clinica chirurgica che affermerà il ruolo malconosciuto del vago-simpatico: “I disturbi vago-motori si ripetono a livello di una ghiandola e possono produrre degenerazioni istologiche e trofiche causando un disturbo funzionale irreversibile.” Leriche potè esporre* di osservazioni personali: l’irritazione del reticolo nervoso che circonda una vena può causare la congestione del sangue; l’irritazione del ganglio arto-renale genera la nefrite; un infarto del miocardio può nascere da una eccitazione dei territori periaortici. La psicosomatica, questa scienza dei rapporti reciproci dello spirito e del corpo, rapporti che si riallacciano necessariamente nel reticolo nervoso, e, da lì, suscitano i pensieri, le passioni come pure crisi d’asma, ulcere dello stomaco, eczemi, ecc., trova in Leriche uno dei suoi iniziatori, non il solo, certo, perché ci sono medici che pensano, come Ippocrate, che la psicosomatica esiste… Prima che la parola figuri nei dizionari, verso il 1940, il dottor Pierre Mauriac, il fratello del romanziere, e come questi,ma su un piano diverso, preoccupato delle interazioni della “psyché” e del “soma”, scriveva, proprio a proposito di Leriche:”L’associazione neuro-endocrina, considerata nel suo insieme, comanda la personalità biologica che è ben al di sopra dei nostri mezzi di scoperta. Il “temperamento”, al quale i nostri padri hanno consacrato tante discussioni, trova qui la sua espressione scientifica. Il comportamento di ciascuno di fronte alle emozioni, alle preoccupazioni e alle gioie dipende in gran parte dalla disposizione innata del simpatico e delle surrenali; e chi potrebbe decifrare questo complesso individuale potrebbe averci iscritto le malattie del futuro. Claude Bernard aveva disegnato l’estrema punta del mistero quando scriveva:”Imparando a maneggiare questi organi nervosi che servono da regolatori alle funzioni, la fisiologia ci darà i mezzi di azione nelle manifestazioni vitali le più elevate degli esseri viventi. Solo allora l’influenza reciproca riconosciuta in ogni

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tempo del morale sul fisico e del fisico sul morale sarà svelata, ossia potrà essere spiegata scientificamente…” LEVADITI Costantino. Medico francese di origine rumena (Galatei 1874-Parigi 1953) Figlio di un commissario di polizia del porto di Galatei sul Danubio, orfano a otto anni, cresciuto dalla zia guardarobiera, in un ospedale di Bucarest, è, nel 1896, interno dell’ospedale della stessa città e si dedica alla ricerca sperimentale. Dopo essere stato preparatore del professor Charrin al Collegio di Francia. Prima di entrare all’Istituto Pasteur, dove si svolgerà tutta la sua carriera, un soggiorno a Francoforte sul Meno gli permette di partecipare ai lavori del Professor Ehrlich e di dare inizio ai nuovi metodi di indagine nel campo dell’immunità e della chemioterapia. All’Istituto Pasteur, allievo di Metchnikov e di Roux, contribuisce al progresso della dottrina pasteuriana. Il suo contributo nel campo della sifilide è stato di primaria importanza.Quando Schhaudin scopre nel 1905 il treponoma della sifilide, Levaditi mette a punto una tecnica di impregnazione argentina(*) per la ricerca del parassita nelle coppre (*) istologiche: li situa nei differenti punti dell’organismo, fino nei centri nervosi, poi lo studia nella sifilide congenita e mostra la presenza treponema nella placenta e nell’ovulo femminile. Inaugura i suoi lavori di virologia dimostrando con Landsteiner che l’agente trasmettitore della poliomielite è un viruso filtrante e, con Arnold Netter, che gli anticorpi che neutralizzano gli effetti del virus appaiono nel siero dei malati e dei convalescenti. Chiamato alla facoltà di medicina di Clut nel 1920 dal governo rumeno, tenne trenta lezioni, poi richiamato da Roux, riprende il suo posto all’Istituto Pasteur. Ormai si dedica a tre temi di esperimenti e ricerche: i virus, la sifilide, la chemioterapia. L’epidemia di poliomielite in Svezia, poi quella in Alsazia nel 1930 gli fornisce l’occasione di precisare i modi di trasmissione del virus e gli permette di confermare l’origine idrica di questa trasmissione. Oltre la poliomielite, le sue ricerche si concentrano su gli altri virus neurotropi: herpes, rabbia, ecc. Quando Wassermann applicò alla diagnostica della sifilide la tecnica della deviazione di complemento di Bordet e Gengou, egli studia la reazione, semplifica il metodo e mostra la non-specificità del suo meccanismo, malgrado il suo valore per la diagnosi della malattia. Nella chemioterapia della sifilide lo studio degli effetti del stovarsol, derivato dall’arsenico, e soprattutto dal “sale di Sauton”, bismuto di sodio preparato da Saerac, gli hanno permesso di preconizzare l’uso a titolo curativo e nel contempo preventivo. Queste sono, alla fine, le ricerche sull’azione antisifilitica dei diversi antibiotici, in seguito alla scoperta di Mahoney dell’azione curativa rapida della penicillina. Venne eletto membro dell’Accademia di Medicina nel 1928. LISTER (Lord Joseph.) Chirurgo inglese (Upton, Essex 1827 – Walzer, Kent, 1912). Figlio di un ricco negoziante, crescerà in mezzo a balle di cotone, ma anche a lenti di ingrandimento e microscopi, perché suo padre era esperto di ottica e si farà un nome in questa specialità. Studente di medicina, assiste a Londra, il 21 dicembre 1846, alla prima operazione sotto anestesia, praticata da Liston. La sua tesi, che gli farà ottenere nel 1852 il titolo di dottore, verte sulla cancrena da ospedale che attribuisce, per ipotesi, a dei micro-organismi. Tale sarà, d’ora innanzi, la sua preoccupazione maggiore:l’antisepsi, la lotta contro questi esseri invisibili che uccidono alcune centinaia di migliaia di uomini al mondo ogni anno e, più che altrove, negli ospedali. La cancrena non è comunemente chiamata “la malattia degli ospedali”? Nel 1865, uno dei suoi colleghi dell’Università di Glasgow, dove si era stabilito, gli fece conoscere i lavori di Pasteur sulla fermentazione e la putrefazione, lavori che confermano la sua ipotesi sul ruolo dei microbi in questa putrefazione umana: la cancrena. Senza posa trova le sostanze chimiche che uccidono i

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germi. Ben presto sceglierà l’”acido fenico”, impiegato con successo nel trattamento delle acque fognarie di Carlisle. Questa sostanza si dimostrerà molto efficace nell’antisepsi. Su un ferito, con frattura aperta della gamba, egli utilizzerà un cerotto di filaccia imbevuto di acido fenico; non ci sarà cancrena. Quando nel 1867 Lister leggerà davanti alla “British Medical Association” una memoria su i “Principi dell’antisepsi”, riceverà più critiche che elogi. L’ipotesi pasteuriana incontra tanti oppositori in Inghilterra quanti quelli sul continente. Come credere a queste “piccole bestie invisibili”? Per Sir James Simpson, il padre dell’anestesia al cloroformio, questo non era che un mito. I più favorevoli ammettevano l’acido fenico come una nuova droga, fra le altre, per la pratica chirurgica. E, tuttavia, meglio che gli argomenti teorici, i “fatti”, gli daranno ragione. Il miracolo è questo: nelle sale dell’ospedale dove Lister ha l’incarico si è assaliti dall’odore dell’acido fenico che punge le narici. Questo ha cancellato l’insopportabile fetore delle carni necrotiche, dei cerotti ammolliti dal pus, il cui puzzo si mischia a quello della traspirazione dei febbricitanti. La sala operatoria non rappresenta più l’aspetto di alcune “camere del crimine”, piene di sangue, di crisi e di miasmi nauseanti. L’atmosfera è impregnata di vapori di fenolo. Tutto è candido, non ci sono più chirurghi che operano in redingote e con cilindro in testa. Mai più questa filaccia malsana, spesso ricavata da vecchie lenzuola mal lavate, ma garza. Altra innovazione: * di caucciù, permette agli umori di smaltirsi. Rapidamente, Lister diventerà il grande maestro della antisepsi e il suo servizio il modello di organizzazione sanitaria. E’ così che Lucas Championnière lo vedrà nel 1868, poi nel 1876 e pubblicherà in Francia il primo trattato di chirurgia antisettica. Lister non dimenticherà ciò che egli deve a Pasteur e gli scriverà, nel 1874, una lettera commovente:”Permettetemi, signore, di cogliere questa occasione per indirizzarvi i miei più cordiali ringraziamenti. Voi mi avete, con le vostre brillanti ricerche, dimostrato la verità della teoria dei germi della putrefazione e mi avete dato anche il solo principio che può portare a buon fine il sistema antisettico.” Egli è costantemente contrario alla distinzione di pura forma, secondo lui, che si faceva fra l’antisepsi e l’asepsi. In una e nell’altra di queste tecniche, non si tratta sempre di lotta contro i microbi, sia che gli sbarri il cammino (antisepsi) sia che li si distrugga nelle loro tane (asepsi)? Lister, nella vecchiaia, è stato coperto di onori e di titoli. Nel 1883, è fatto baronetto, e Lord nel 1897. La regina Vittoria non vorrà altro chirurgo. Sarà il primo medico a ricevere la dignità di Pari, la più alta distinzione che possa toccare a un suddito di Sua Maestà. LITTRE’ Emile Filosofo, lessicografo, medico e uomo politico francese (Parigi 1801-1881). Il celebre autore del”Dizionario delle lingua francese”Fu dapprima destinato a studi di medicina. Giovanissimo, fu un brillantissimo interno di ospedale. Rinunciò al dottorato per darsi alla erudizione. La sua prima opera stampata fu una traduzione di Ippocrate,il cui primo dei nove volumi apparve nel 1839 e l’ultimo nel 1861 La sua filosofia risente del misticismo e del positivismo di Comte. Senatore integerrimo e difensore della laicità dello Stato . Seguace del trasformismo diceva spassosamente: ”Guardandomi , come si può dubitare che l’uomo discenda dalla scimmia?” LOMBROSO Cesare. Medico e criminologo italiano (Verona 1835-Torino 1909). Incaricato nel 1862 di un corso per le malattie mentali all’Università di Pavia, diventa, nel 1871, professore di psichiatria all’Università di Pesaro, poi professore di psichiatria all’Università di Torino (1896).Fu allora che le sue vedute, tutte nuove, sulla psicologia e la fisiologia criminali attirano l’attenzione del mondo scientifico. Lombroso divide l’insieme dei criminali in: per passione, quelli occasionali (o per accidente) e i criminali-nati.E’ su

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questi ultimi che pone la sua attenzione. Riunendo in tre grandi numeri di casi di uomini e donne condannate dalle Corti di Assise italiane per assassinio o tentato assassinio, grave oltraggio ai costumi, ecc. trovò in costoro, e quasi senza alcuna eccezione, anomalie antropologiche, che si trattasse della forma del cranio, della prominenza delle arcate sopraciliari, della lunghezza delle braccia, della forma delle mani, del colore degli occhi, della dimensione degli organi sessuali. Si tratta dunque di esseri tarati, votati al crimine dalla nascita e che più che sopprimere e punire, impedire di nuocere. E’ certo che a leggere “L’uomo criminale” (1876), a considerare i numerosi ritratti fotografici che lo illustrano, si è inclini a dare ragione all’autore. Tuttavia, fino a epoca recente, si sono considerate le affermazioni di Lombroso come avventate, e opposto ai suoi esempi altri esempi che li contraddicono. Sono occorsi i recenti studi sulla ereditarietà perché si possano prendere in considerazione le tesi del criminologo italiano, aggiungendo alle anomalie di ordine anatomico che egli invoca quelle di un “terreno” fisiologico, nozione allora poco conosciuta, e l’influenza possibile delle anomalie cromosomiche (i cromosomi essendo i supporti degli elementi ereditari rappresentati dai geni). Forse il discredito di cui per lungo tempo ha sofferto l’autore dell’ “Uomo criminale” non è estraneo per la sua attività in ambienti dello spiritismo e metapsichiatria. Si occupò di occultismo e assistette a sorprendenti fenomeni di spiritismo e fu testimone di manifestazioni ossessive. Nello stesso modo, un altro medico e uomo di scienza riconosciuto, Charles Richet, è stato considerato poco attendibile perchè accordava fede ai medesimi fenomeni.

MAGENDIE Francois. Medico francese (Bordeaux 1783-Parigi 1855) Figlio di un chirurgo che si era stabilito a Parigi nel 1792, seguì la carriera medica. Diventato dottore nel 1808, si diede completamente alla fisiologia sperimentale, fu membro dell’Accademia di medicina, dalla sua fondazione (1819), e, due anni più tardi, membro della Accademia delle Scienze. Nel 1830, viene nominato medico all’Ospedale Maggiore e nel 1831 professore al Collegio di Francia. E’ soprattutto un ricercatore, uno sperimentatore e uno dei precursori della medicina moderna.Non aveva una vera cultura. Il suo spirito mancava di ampiezza, ma possedeva la divorante curiosità che ritroveremo nel suo allievo Claude Bernard. Il suo occhio sapeva vedere e il suo spirito stabilire delle associazioni inaspettate fra fenomeni: “Al posto della semplice e sterile annotazione dei segni delle malattie, creiamo la “Medicina sperimentale”, che rivelerà il meccanismo delle alterazioni morbose, e allora sarà possibile attaccare con vigore le cause di queste alterazioni, modificarle ed anche prevenirle. Tale è il punto di vista sul quale esaminiamo i nostri studi, e io penso che nessuna epoca abbia formulato in modo così razionale e con conseguenze così fertili”. Non voleva conoscere che il fatto nudo. “Quando faccio esperimenti, diceva, io non ho che gli occhi, io non ho il cervello.”Gli capitava, nei suoi esperimenti all’anfiteatro, di pervenire a un risultato che smentiva la sua lezione. Si rideva. Lui stesso si univa all’ilarità dei suoi allievi. In questo scacco, il suo scetticismo aveva il suo tornaconto. Claude Bernard , dopo di lui, pareva quasi un filosofo. “Se si prende la pena di leggere le opere di Magendie”, ha scritto il dottor Pierre Mauriac, “diverse pagine di Claude perderebbero del loro sapore.Tanto e più di questi, cercò di ricondurre i fenomeni vitali a reazioni fisico-chimiche. “Il numero dei fenomeni vitali è stato singolarmente limitato ai nostri giorni; ogni volta che si perviene a far passare una di essi nella classe dei fenomeni fisici, è una nuova conquista della scienza, il cui campo s’accresce”. Sentendo parlare del vitalismo o di altre frivolezze, brontolava: “Io, considero queste idee come un velo ricevuto in prestito alla pigrizia, alla ignoranza e principalmente a un certo zelo ipocrita che si trincera sempre dietro a pretese considerazioni di moralità e di ordine sociale… “ Ateo per educazione, fu sempre nemico

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di un regime che si basava sull’etica e l’ordine sociale. Come tutti gli sperimentatori, unicamente attirati dal “piccolo fatto vero” è stato artefice di scoperte, talvolta minime, talaltra importanti . I suoi primi lavori lo hanno portato verso la tossicologia. Avendo sperimentato su degli animali la stricnina, isolata da Pelletier e Caventou nel 1818, può dimostrare che le convulsioni provocate da questo alcaloide erano dovute alla sua fissazione sul midollo spinale, ciò che Milne-Edwards confermerà presto. La patologia nervosa l’andava in seguito assorbendo. Fra i suoi lavori più importanti, in questo campo allora poco esplorato, occorre citare la sua scoperta della circolazione del liquido cefalo-rachidiano e la spiegazione del ruolo delle radici anteriori e posteriori del midollo. Sezionando le radici di giovani *, dimostrò che le radici anteriori provocano la motricità e le radici posteriori la sensibilità. Così distinse i nervi del dolore e i nervi del movimento: ciò che del resto Galeno aveva fatto – ma allora era sottovalutato. Le sue intuizioni, nello stesso tempo delle sue scoperte, sono grani di cui gli altri raccoglieranno le spighe, Magendie non chiedeva altro. C’era in questo spirito difficile la modestia del vero scienziato. Egli ha così posto le basi della fisiologia cellulare. Egli ha concepito, senza spiegarlo, la nozione di carenza alimentare. Egli ha aperto la strada a Richet e Portier segnalando che il bianco d’uovo è suscettibile di provocare dei disturbi gravi in un animale sensibilizzato a questa sostanza: la parola “anafilassi”, non è dovuta a lui, ma la scoperta della cosa significata. Si possono enumerare i suoi errori, i suoi tentennamenti, le sue antipatie irragionevoli. Ha negato il contagio di colera, e fu il solo… Ha passato a fianco della eterizzazione, cioè della anestesia. Si è fatto nemico di Bichet, o piuttosto della sua opera, ciò che era ancora più grave. Disarmava i suoi contradditori con delle puerilità e perfino con sottintesi, davanti ai quali costoro restavano senza parola. E’ Magendie che ha aperto la porta a Claude Bernard,esploratore di tutti i grandi medici francesi venuti dopo di lui, e come suona “moderna” questa frase pronunciata in un’epoca dove Broussais credeva ancora nella malattia unica, che la si curava con il salasso: “Un medico che non ha chiamato in suo aiuto la chimica, la fisica, che non si è consegnato all’arte difficile dell’esperimento sugli animali – e molti ce ne sono – non può vedere nei suoi malati che persone più o meno sofferenti, dei moribondi, dei convalescenti, dei clienti….” MALPIGHI Marcello. Anatomista italiano (Crevalcuore, vicino a Bologna, 1628 – Roma 1694). Professore a Bologna, a Pisa, a Messina, ancora a Bologna, dove proseguì i suoi studi anatomici. Fu chiamato nel 1691 dal papa Innocente XII, di cui fu medico ordinario. Morì a Quirinale tre anni dopo. Malpigli impiegò per primo il microscopio allo studio dei tessuti e si rivelò così il fondatore della “Istologia”. E’ così che a Bologna, osservando alla lente un polmone di rana, notò dei vasi finissimi, i capillari, che legano le arterie alle vene, e che erano sfuggiti all’occhio di *Harvey. Parimenti, per primo, ha fatto l’istologia ghiandolare e affermato l’importanza delle “cellule” nella costituzione dei tessuti viventi. MANDEVILLE Bernard di… Medico e scrittore inglese (Dordrecht, Olanda 1670- Hackney, vicino a Londra 1733.) Di origine francese fece i suoi studi di medicina all’Aja prima di trasferirsi definitivamente in Inghilterra e di diventare inglese. Questo spirito paradossale, di una specie assai frequente in Inghilterra- l’Inghilterra di Pepys e di Oscar Wilde – è rimasto celebre per la sua “Racconto delle api” (1723) che è una difesa della lussuria e degli eccessi che solo ci danno la felicità e assicurano la prosperità al genere umano. Il vizio, più della virtù, è fatto per trasformare il mondo in una felice arnia. Medico e apostolo del “laisser-faire” predicava che vale di più una vita corta e voluttuosa che lunga ma soggetta a costrizione.

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MARAT Jean-Paul. Uomo politico di origine svizzera per luogo di nascita e sardo per parte di madre (Boudry Svizzera 1743- Parigi 1793). Studiò medicina in Francia e in Inghilterra .Stabilitosi a Parigi, fu per qualche tempo medico delle guardie del conte di Artois e pubblicò alcune memorie in cui troviamo più passione che rigore scientifico. Durante la Rivoluzione, abbandonerà la medicina per l’azione politica e diventerà uno dei grandi fornitori della ghigliottina, fino al giorno in cui cadrà lui stesso sotto il pugnale di Charlotte Corday. Marat, molto infatuato, si considerava un grande medico. Tuttavia i suoi rimedi ci appaiono inconsistenti. Così crede di guarire la tisi con l’acqua “antipulmonica” che altro non era che acqua di calce(*); praticava l’elettroterapia alla maniera del suo tempo,ossia per puro danno. Tuttavia, alcuni hanno visto nella sua opera:”Dell’uomo o dei principi e delle leggi dell’influenza dell’anima sul corpo e del corpo sull’anima”, uno dei primi vagiti della psicosomatica. MAURICEAU Francois.Ostetrico francese (Parigi 1637-1709). E’ diventato uno degli ostetrici più celebri del suo tempo. Con lui, nel XVII° secolo, la Francia è al primo posto nel campo dell’ostetricia, che è la scienza del parto. La prima opera che tratta di questa specialità è il suo trattato “Le malattie delle donne gravide e delle partorienti”. Non si può rimproverare al testo che lo stile, troppo pittoresco e lirico: “La gravidanza è un mare burrascoso nel quale la donna incinta e il suo bambino vogano per nove mesi….” Ciò non impedisce le giuste note ed i buoni consigli abbondano. Si chiama ancora oggi “manovra di Mauriceau” uno dei modi di estrarre il neo-nato. MESMER Franz Anton.Medico tedesco (Iznag Svevia 1734-Meersburg 1815). Si laureò a Vienna con una tesi “De planetorum inflexu”, dove l’antica astrologia e le idee di Paracelo si mescolano a un tentativo di spiegazione scientifica e a una nuova terminologia: “fluido universale, magnetismo, ecc.”. Mesmer, del resto, seguiva la moda. Si era allora- la sua tesi era apparsa nel 1768- in piena effervescenza relativamente alla natura del “fluido elettrico” e quello del “fluido magnetico” che gli sembrava imparentato. Qual è questo fluido sconosciuto, scrive Voltaire nell’”Ingenuo” (1767), la cui esistenza è certo, che, più pronto, più attivo della luce, vola in meno di un batter d’occhio in tutti i canali della vita?”E’ prima e con Mesmer, un nuovo spiritualismo ateo, quello che Charles Richet – che ne sarà, nel XX° secolo, il grande sacerdote – chiamerà “metapsichica” e chi, contrariamente alla metafisica, sarà giustificabile dall’esame degli scienziati. Diventato medico, sotto l’influenza del suo amico, il padre gesuita Hell, diventa specialista del trattamento dei malati nervosi per mezzo della calamita (*). Poi annuncia la sua scoperta, quella del “magnetismo animale” quello che si credeva essere il fatto unico della calamita può essere rivendicato da ogni essere animato. La vita, è il fluido, questo fluido di cui l’universo intero è bagnato, ma che trova il suo maximum di energia nel sistema nervoso umano. E’ certamente privilegiato – e lui stesso è nel numero – chi rigurgitanto il fluido può riprenderselo. “Questa influenza è sottoposta a delle leggi meccaniche. Il suo agente è un fluido universalmente sparso che si insinua nella sostanza dei nervi, dà al corpo umano delle proprietà analoghe a quelle della calamita. Dirigendo questo fluido secondo un certo metodo, si può guarire immediatamente le malattie dei nervi… . E Mesmer assicura “Io ho reso magnetica della carta, della lana, del cuoio, del vetro, dell’acqua, differenti metalli, del legno, delle persone, tutto ciò vhe io toccavo, al punto che questi oggetti e questi esseri producevano sui malati i medesimi effetti della calamita..” Vienna ha questo comune con Parigi, che si infatua presto delle

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novità, ma li rigetta anche (frivolamente). Mesmer diventa, in pochi mesi, celebre. Aveva sposato la vedova vecchia ma ricca del consigliere della corte imperiale Van Bosch, che possedeva un castello in bellissimo stile XVIII° secolo nei dintorni della città. Questo castello e il suo parco stavano diventando il decoro della vita e delle attività di Mesmer. Al riparo dal bisogno di denaro, non aveva aperto studi, ma cercava una clientela. Questi andavano da lui. Lui li guariva con la calamita. In una “Lettera a un medico straniero”, riferisce la guarigione quasi miracolosa del consigliere Osterwald, della Accademia bavarese, che, con una cura di magnetismo, era stato guarito da una paralisi e da una cecità totale. Un altro caso fece molto per la sua reputazione. Il barone ungherese Hareczky di Horka, di 31 anni; aveva cercato invano, a Vienna, un medico capace di liberarlo dall’asma. Infine, un pratico, dopo aver sentito dalla sua bocca il racconto di tutte le cure che aveva seguito, comprese le acque di Ems, senza il minimo risultato, persuaso che si trattava di un affare di psichismo, consigliò ,in modo semiserio e semironico, al barone:”Perché non vi consultate con il dottor Mesmer?...” Carico di calamite, al fine di aggiungere al suo magnetismo naturale, Mesmer si reca al castello di Richow, dove lo attende il conte. Lo trova in piena crisi. Bastano pochi passaggi. La respirazione torna normale. Il malato, preso dalla gioia e dalla riconoscenza, copre d’oro il suo salvatore. La notizia si diffonde. Tutto ciò, Vienna contava molti neuropatici ,si diffonde presto nel parco alla francese dove Mesmer officia. E la folla fu tale che Mesmer dovette ricorrere al trattamento collettivo. Magnetizzò gli alberi, i prati, le statue. Estrapolando dai fenomeni elettrici, rivelati dalla bottiglia di Leida, domandava ai malati di immergere le gambe in una catinella d’acqua magnetizzata e, ciò facendo, di tenersi per mano al fine che il fluido passasse da uno all’altro, e succede che un malato, come il paralitico del Vangelo giacente ai bordi della piscina di Siloe, si levi in uno stato di grande esaltazione e si metta a gridare:”Sono guarito!” Mesmer inventò presto una batteria magnetica fatta di bottiglie magnetizzate unite da un nastro di acciaio e immersa in una tinozza. Dei fusti di acciaio permettevano ai malati di ricevere in essi il fluido della batteria. Si osservavano attorno alla tinozza scene fantastiche: crisi di nervi, atteggiamenti congelati, sonni improvvisi, ed occorreva allora portare il paziente addormentato in una sala dove riprendeva conoscenza, infine guarito. Le donne erano le più numerose a risentire gli effetti del fluido, ma alcuni uomini – soprattutto giovani - si rotolavano anch’essi nelle convulsioni, lacerandosi gli abiti e Mesmer con la solennità di un sacerdote esorcista, godeva del suo potere, che sapeva conservare non per effetto divino, ma in virtù di qualità naturali. Mesmer, ha scritto, Louis Blans, si rappresentava le sfere celesti, la terra e tutti gli esseri come immersi in un immenso oceano liquido, e per mezzo di un intermediario esercitavano gli uni su gli altri una influenza permanente. Questa influenza, analoga alla proprietà della calamita, Mesmer la chiamava il “magnetismo animale”. Riuniva una porzione di fluido universale, concentrandola, per dirigerne il movimento o la corrente,e comunicarlo al suo simile, sia per contatto immediato, sia, a una certa distanza, con la semplice direzione del dito o di un conduttore qualunque. Era magnetizzare; e possedere un tal potere, era, secondo Mesmer, possedere il potere di guarire…. Quanto ai processi magnetici di cui la tinozza non era che una messa in scena fastosa e presto giudicata superflua, offrivano l’immagine della comunicazione più attraente, più straordinaria che fosse mai stata immaginata. Era la vita che passava da uno all’altro. Il corpo umano era considerato come avesse un polo nord e un polo sud. Gli uomini diventavano piccole sbarre calamitate… Mesmer ospedalizzava nel suo castello certi malati che avevano bisogno di una cura prolungata. La sua scelta si dirigeva abitualmente verso le ragazze. Così, una di queste privilegiate, Marie Thérèse Paradies, una cieca di 18 anni. Non era cieca dalla nascita, ella aveva visto fino all’età di quattro anni, poi era stata vittima di un scollamento della retina. Mesmer pretendeva guarirla. I passi succedevano ai passi, ai tastamenti. La ragazza vi si

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abbandonava, nell’attesa di un miracolo. Qualche volta riceveva la visita di suo padre, fiducioso come lei nel genio del terapeuta. Arrivava, dopo una seduta dove le mani di Mesmer l’avevano percorsa dalla testa ai piedi, d’intravedere qualche cosa, come delle ombre.. Mesmer aveva reso la vista a sua figlia. “Io vorrei accertarmene!”, borbottava il dottor Barth oftalmologo, che sapeva bene, per averla esaminata a più riprese, che il caso di M.Thérèse era senza speranza. Si recava al castello di Mesmer, si faceva condurre fino alla camera della ragazza, constatava che era sempre perfettamente cieca. Intraprese subito una campagna implacabile, presentandolo come un ciarlatano, un corrotto, che attirava le ragazze per sedurle. Il padre andò, spada in pugno, a riprendere la figlia da quella casa scellerata. Il professor Stoerck, presidente dell’ordine dei medici di Vienna, ne riferirà all’arcivescovo, che pregò l’imperatrice di metter fine “alla attività indecente e ingannatrice di Mesmer”. Costui non ebbe altra risorsa che lasciare la città, poi l’Austria e di stabilirsi poi a Parigi. Parigi, che festeggerà Cagliostro e Gall, non ha mercanteggiato il suo favore a Mesmer. La sua preferenza è da prima ignorata. Si è stabilito fuori le mura, a Créteil, ha fatto stampare dei prospetti. Qualche malato va a consultarlo. Costoro sono malati di nervi, non si aspettano niente dalla “piccola casa” e per i quali la medicina di allora è impotente: neurastenici, depressi, isterici, insonni, ecc.. Una leggenda comincia a nascere. Grandi dame, tormentate da “vapori” si fanno condurre a Créteil. Presto Mesmer va da loro a Parigi, prima all’albergo di Bouillon, rue Montmartre, poi più sontuosamente, place Vendome, Louis XVI, che tiene fede alla sua idea di un esame scientifico del sistema, pertanto ordinò che, a tale scopo, si costituissero due commissioni d’inchiesta. La prima si componeva di membri della facoltà di medicina e dell’Accademia delle scienze, fra i quali Franklin e Lavoisier. (Ricordiamo che già Mesmer aveva avuto corrispondenza con Franklin.) … L’altra commissione riunisce i medici più illustri. I rapporti degli uni e degli altri colpiscono per il loro tono di prudenza scientifica. Questi scienziati e questi medici hanno assistito agli effetti apparenti del magnetismo. “Alcuni malati sono calmi, silenziosi, in estasi…, altri scossi da convulsioni. Queste convulsioni sono straordinarie per il loro numero, la loro durata e la loro violenza. Quelle che cominciano in un soggetto, continuano subito negli altri… Certi reagiscono con uno sguardo vago e fisso, crisi acute, crisi di lacrime o di pazzo riso. Seguiti da lunghi periodi di esaurimento e di prostrazione. Ecco la conclusione del rapporto: “Non si può negare che una certa forza, che agisce sugli esseri posseduti, emana dal magnetizzatore. Quanto alla natura del fluido, “se esiste in noi e attorno questo fluido non è identificabile…” Non ci fu che un membro della commissione scientifica, e non degli inferiori, Jussieu, per testimoniare in favore d’una realtà fisica del magnetismo. Aveva, in effetti, constatato che una donna cieca reagiva all’azione di una bacchetta diretta verso il suo stomaco nelle sedi della tinozza, e ne aveva dedotto l’esistenza di un agente “che va dell’uomo al suo simile producendone una azione sensibile…” Così, agli inizi del magnetismo animale appare il conflitto fra i “fluidisti”, o partigiani del fluido, e gli animasti, o partigiani dell’immaginazione. Come ha scritto René Sudre nella “Introduzione alla metafisica umana (Payot, editore) “Questo conflitto si è perpetuato per tutto il XIX° secolo, e dura ancora. E’ in effetti, la medicina di immaginazione che resuscita nella “fede che guarisce” di Charcot, nella “mind cure” americana, nella suggestione di Bernstein, nella psicoterapia moderna. A questa tesi si oppose nettamente la tesi mesmeriana dell’esistenza di un fluido materiale e comunicabile a dei corpi animati o inanimati o, i due non si elidono. Egli apparteneva alla metapsichica che riabilitava Mesmer e Laurent de Jussieu senza dare torto ai giudici del 1784”. La stella di Mesmer cominciò a calare a Vienna si assistette a una lenta disaffezione. Tuttavia mentre l’iniziatore del “magnetismo” animale” scivolava nell’ombra, uno dei suoi discepoli,il marchese di Puységur, cominciò ad interessare (in modo scientifico) gli

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ambienti scientifici e gli spiriti illuminati. Questo gentiluomo, che si esercitava al magnetismo sulle sue terre di Champagne, a Busancy, ebbe l’intelligenza di distinguere nell’esperienza mesmeriana, sotto il mucchio delle false-sembianze, un fenomeno particolare che, dopo Charcot, ha un suo posto nella terapeutica medica:l’ipnosi. Il marchese si occupava di magnetizzare i contadini. Egli ebbe un giorno la sorpresa, appena gettato il suo fluido su un pastore di una ventina d’anni, di vederlo cadere in un sonno strano, poi risvegliarsi e riprendere il suo lavoro come si farebbe in sogno. Inoltre, la suggestione era tale che un ordine appena mormorato era subito eseguito. Questo stato produsse fenomeni ancora più straordinari, come quello che si chiamerà “autoscopia”: il pastore “vedeva” i suoi organi interni, descriveva l’origine dei suoi mali, che era un fegato colpito da cirrosi da alcolismo. Così il marchese di Puységur, trascinato nel solco di Mesmer, aveva scoperto uno degli effetti più curiosi e più incontestati dell’ipnotismo: il sonnambulismo sperimentale, spesso ottenuto da Charcot nelle isteriche della Salpétrière. La Rivoluzione scoppiata con la presa della Bastglia, diede il colpo di grazia alla moda mesmeriana. Gli aristocratici avevano altre preoccupazioni che quelle delle loro vertigini, dei loro vapori o delle loro tossi nervose. La Rivoluzione costituiva per loro, come l’insieme del popolo francese, una “catarsi” che rendeva caduco e quasi derisori la tinozza magnetizzata e le farandole isteriche che avevano riempito con le loro grida i saloni di Mesmer. Costui nel 1792, passò in Svizzera, poi in Austria, da dove fu espulso. Ripassò in Svizzera, si stabilì a Frauenfeld, dove condusse per qualche tempo l’esistenza appartata propria dei medici di campagna. I suoi clienti, buoni contadini svizzeri, sofffrivano meno di neurastenia che di volgari bronchiti, fratture e altri mali ,ignoravano che questo dottore austriaco era stato milionario, adulato dalla Ville Lumière, più “alla moda” di qualsiasi personaggio del suo tempo. Morì oscuramente a Meersburg, città della Prussia, dimenticato.. E’ in Germania che il “magnetismo animale” rinascerà e che i fenomeni più straordinari del sonnambulismo – conseguenza imprevista del mesmerismo- saranno esaminati con più benevolenza., Nel 1815, il dottor Kluge e il dottor Wollfahrt pubblicano casi di lettura per l’epigastro e di azione a distanza su dei soggetti ipotizzati. Nel 1818, Eschenmayer fonda gli Archivi del magnetismo animale, e il dottor Diesel, alienista, professore all’Università di Jena, abbozza una teoria di questi fenomeni di cui riconosce la validità terapeutica. Abbozza una teoria di questi fenomeni di cui riconosce la validità terapeutica. Nel 1820, l’Accademia di Berlino mette in concorso “un’esposizione dei fatti paranormali citati da Mesmer e dai suoi adepti, e li mostra sottoposti, come tutti gli altri fenomeni, a leggi certe e non isolate e fuori di ogni legame con gli altri fenomeni degli esseri organizzati”. Questa fu l’occasione per il generale Noizet – un francese, occorre dirlo? – di scrivere una memoria sul magnetismo animale e il suo corollario il sonnambulismo, che non sarà pubblicato che trentaquattro anni più tardi e diventerà uno dei fondamenti della metapsichica. METCHNIKOV Elia. Microbiologo russo (Ivanovka, vicino a Kharkov 1845-Parigi 1916). Ha studiato, particolarmente, l’azione cinetica di alcune cellule mobili, come i globuli bianchi, gli istiociti e i macrofagi. Egli ha osservato che i globuli bianchi hanno la proprietà di portarsi davanti ai corpi estranei dell’organismo, particolarmente dei microbi, per assorbirli: è il fenomeno della “fagocitosi”. Il corpo estraneo si disgrega e può scomparire interamente .Questa scoperta della fagocitosi ha infine conferito un carattere scientifico alla dottrina secolare della flegmasia, che presenta i fenomeni di infiammazione infettiva come gli effetti di una difesa. Metchnikof ha lavorato con Pasteur dal 1878 al 1884. MONDINO de’ LIUZZI (o de Luzzi, Bologna 1270-1326), lettore pubblico dello Studio di Bologna è il primo anatomista italiano che descrive l'anatomia umana dopo aver

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sezionato sistematicamente cadaveri umani. Grazie al permesso di sezionare i cadaveri, egli scrive quest'anno il primo libro di anatomia.Il suo lavoro rappresenta molto bene la transizione dalla medicina pratica alto-medievale a quella dotta tardo-medievale. A quei tempi è molto difficile procurarsi cadaveri senza incappare in gravi sanzioni penali. A Bologna viene stabilito per legge che all'Università fossero forniti ogni anno due cadaveri per gli studi anatomici, esempio successivamente seguito da Padova, Ferrara e Pisa, mentre negli altri Atenei europei, come a Parigi, Vienna, Praga, le lezioni anatomiche basate sulla dissezione avranno inizio solo a partire dall'XIV secolo. Il lavoro di Mondino de' Liuzzi non è da ricordare tanto per la propria originalità quanto per la sua sistematicità e per l'ampiezza descrittiva basata sulle osservazioni autoptiche. MONDOR Henri Chirurgo e scrittore francese (Saint-Cernin, Cantal 1885- Neuilly-sur-Seine 1962). Professore di clinica chirurgica alla facoltà di medicina di Parigi, chirurgo dei centri nervosi alla Salpétrière, è l’autore di numerosi trattati scientifici, ma anche di opere sulla storia della medicina (Grands médecins, presque tous: Paul Lecène) e sulla storia della letteratura:”l’amicizia di Verlaine e Mallarmé, vita di Mallarmé, Paul Valéry, l’uomo e la conchiglia, ecc. I suoi “Grandi medici” a dispetto di qualche ampollosità di stile e un certo accademismo, offrono dei ritratti vividi e veri, e un’interessante resurrezione del mondo medico del passato. Dal 1946 è membro dell’Accademia di Francia. MORGAGNI Giambattista. Anatomista e patologo italiano (Forlì 1682-Padova 1771). Questo professore dell’Università di Padova la cui precocità fu ammirata dagli eruditi. A quattordici anni pubblica dei poemi filosofici di alta ispirazione e, a ventiquattro, il primo tomo di un’opera rivoluzionaria “Adversaria anatomica prima”, appartenente alla cerchia, limitata a quei tempi, degli spiriti scientifici liberati dal culto degli antichi. L’anatomia non è per lui la semplice curiosità dei nostri organi, ma la ricerca delle cause interne delle nostre malattie. Se si impadronisce di un cadavere, è con la preoccupazione di scoprire le lesioni che hanno provocato l’affezione di cui il malato è morto, cosa che a noi oggi ci appare naturale ma che lo era meno in quel secolo dove grandi medici come Haller attribuivano disturbi più diversi a certi processi irritativi e non credevano dunque nella specificità morbosa, nella individualità della malattia. Morgagni ci credeva, e questo fu un arricchimento per la scienza medica. Ha toccato tutti i campi della patologia, ha accumulato le scoperte nello studio delle malattie cardiache (egli ha perfettamente circondato il sostrato anatomico dell’angina del petto, descritto le lesioni del miocardio) e, in generale, del sistema arterioso: ha per primo trovato in certe lesioni delle arterie l’effetto della sifilide. Sezionando il corpo di uno dei suoi pazienti, senatore veneziano conosciuto per la sua intemperanza, ha scoperto la causa della sua morte: un fegato di colore rossastro (da qui il nome di cirrosi, dal greco Kirrhos, rossastro), atrofizzato, sclerotico e coperto di granuli. Egli avrebbe messo così in luce una delle conseguenze, la più frequente, ma sconosciuta fino allora, dell’alcolismo. MORTON William Thomas Green. Dentista americano (Hartford 1819-Boston 1868) Fu il primo nel corso di una operazione dentaria, su indicazione del dottor Jackson (v.q.n.) ad utilizzare il potere anestetico dell’etere. Aveva dapprima sperimentato l’effetto dell’etere sugli animali, poi su se stesso. Il primo paziente anestetizzato è un cliente di Morton, Eben Frost che, per non soffrire per l’estrazione di un dente guasto, aveva domandato di essere “mesmerizzato”, ossia ipnotizzato. Morton gli propose l’anestesia, che egli accettò con sollecitudine. L’estrazione fu indolore. Il giorno dopo (1° ottobre

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1846) la notizia fu annunciata dal “Daily Journal. Il dottor Warren, del Massachussets General Hospital, che doveva operare un malato di un enorme tumore al collo,pregò Morton di provare, in quell’occasione, la sua anestesia. L’operazione ebbe luogo, e Gilbert Abbot, l’operato, mantenuto in un profondo sonno, non sentì alcun dolore.Il dialogo è rimasto famoso: * Warren: Avete sentito qualche dolore? * Gilbert: No, dottore, assolutamente niente. * Warren: Veramente niente? * Gilbert: No, ve lo giuro. All’inizio, io sentivo una forte pressione al collo, e poi mi sono addormentato, ed ho fatto dei sogni molto confusi. Warren, girato verso l’assistenza, molto numerosa, che spingeva nell’anfiteatro: “Signori, non è una millanteria, siatene certi, non è una millanteria…. Lo stesso anno, Liston operava sotto anestesia a Londra, Heyfeld in Germania, Pirogov a San Pietroburgo. In Francia, il primo che lo imitò fu Jobert de Lamballe, a dispetto della opposizione ostinata di Magendie e di Orfica. Velpeau, fin qui scettico fu convinto, il suo assenso incontrerà quello di Larrey e di Malgaigne. Così si era espresso un collega di Jackson, il celebre chirurgo Bigelow: “ Noi viviamo un avvenimento capitale negli annali della chirurgia.Il l nostro mestiere è liberato per sempre dal suo orrore… (v. Priestley, Davy). NELATON Auguste. Chirurgo francese (Parigi 1807-1873).La sua popolarità data dal 1862, quando fu chiamato accanto a Garibaldi che ferito da un colpo di arma da fuoco in Aspromonte, due mesi dopo, era stato esaminato da numerosi chirurghi senza che nessuno di loro avesse trovato dove si era conficcata la pallottola. Esplorando la ferita, più volte cicatrizzata e riaperta, Nélaton, con l’aiuto di uno stiletto munito alla sua estremità di una punta di porcellana, fu più fortunato dei suoi colleghi Patridge e Perigoff. La pallottola fu estratta. Tutti i giornali parlarono del talento di Nelaton ed anche del suo disinteresse, perché aveva rifiutato l’onorario “troppo felice per aver salvato, disse, la vita all’illustre generale, all’uomo di cuore che lo aveva esposta di sovente per una nobile causa, quella dell’emancipazione e dell’indipendenza del suo paese”. Fu chirurgo di Napoleone III e della famiglia imperiale. Poco preoccupato della teoria, esercitò la chirurgia in “bricoleur” (uomo che sa fare un po’ di tutto) e con l’aria di improvvisare sempre. Gli oggetti più usuali (un ago, una lancetta, un paio di forbici, del filo, un turacciolo) li trasformava in altrettanti apparecchi che gli erano sufficienti per realizzare le sue operazioni. I grandi chirurghi contemporanei, come Leriche, si levano il cappello, perché sanno che, a dispetto della tecnica operatoria di oggi e dei suoi strumenti di lusso, di asepsi e del personale, la chirurgia, per sua natura, conserverà sempre il suo lato artigianale, e a questo riguardo Nélaton è rimasto un maestro. NICOLLE Charles. Batteriologo francese (Rouen 1866-Tunisi 1936) Figlio di Eugene Nicolle, medico ospedaliero,si dedica alla medicina, ma una sordità precoce lo costringe ai lavori di laboratorio. Fino alla morte, e dall’età di trentasette anni, sarà direttore dell’Istituto Pasteur di Tunisi. Là fece le sue scoperte, come quella dell’agente vettore del tifo esantematico, malattia dei paesi poveri e che infieriva nei villaggi indigeni, ma che cessa come per incanto di propagarsi nell’atmosfera degli ospedali. Alla vista di un malato venuto a sedersi sui gradini dell’Istituto, tremante di febbre, visibilmente colpito dal tifo, e la cui nuca è nera di pus, Charles Nicolle “capisce”: non bisogna cercare altrove che in questi parassiti l’agente propagatore.

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“Nicolle mi ha detto spesso, ha scritto Georges Duhamel, che intravista la sua scoperta, era perfettamente sicuro del fatto che non c’era più fretta per provarlo, e che il suo spirito correva già verso altre avventure…”Scoperta – lo precisiamo – che era una riscoperta. Nel 1536, l’Italiano Cardano non aveva designato il tifo, fu il primo a identificare e a distinguere dalla rosolia (morbillo?), per esempio, con la quale alcuni la confondevano, sotto il nome di “morbus pulicaris”, ossia malattia delle pulci? Ciò non impedì – secondo l’avviso di Cardano, che non si sbagliava –alla pulce di giocare ella stessa il ruolo di diffusore dell’epidemia. Nicolle troverà nel pidocchio l’origine della febbre ricorrente, altra malattia epidemica dei paesi poveri dove le preoccupazioni di igiene sono sconosciute. Là si chiama ricorrente perché è caratterizzata da due o tre attacchi di febbre intensa, separati da periodi di remissione. Essa ha fatto la sua ricomparsa in Francia durante la guerra del 1914-1918, probabilmente introdotta dai contingenti venuti dall’Europa orientale. Fra le altre scoperte di Nicolle, va citata quella che interessa l’origine canina del Kala-azar (malattia endemica di certi paesi tropicali, caratterizzata dalla febbre, dall’ipertrofia della milza e da problemi dissenterici) la siero-prevenzione della rosolia, ecc. E’ l’autore di notevoli opere di filosofia scientifica, come “Nascita, vita e morte delle malattie infettive, biologia dell’invenzione, il destino umano”. La prima di queste opere è di particolare importanza, in quanto aggiunge a ciò che mancava all’opera di Pasteur, tutta statica: la nozione di una dinamica delle malattie. Oltre alla sua esistenza individuale, presso tale o tal’altro soggetto, l’infezione possiede una esistenza storica.Essa conosce, esattamente come una civiltà, i suoi inizi, il suo apogeo e una sua fine. “Come si dice la civiltà egiziana o la civiltà maia, si può parlare anche della civiltà del pneumococco o dello streptococco…” (Georges Duhamel). La differenza è che le malattie non muoiono mai del tutto. Così, tutte quelle che hanno lasciato l’Europa occidentale, come la lebra, il colera, la peste, resuscitano in qualche angolo del mondo, pronte a riprendere la loro migrazione: così che le barriere dell’igiene che esse incontrano si abbassano. Nicolle ha anche scritto romanzi in uno stile vivo e leggero che richiamano quelli del XVIII° sec.: “La maliziosa” ” Il pasticciere di Bellone” “ Le foglie del sagittario” Ha ricevuto nel 1928 il premio Nobel per la medicina. NICOMACHEO di Stagira. In greco Nikomakhos, padre del filosofo Aristotele, medico di Filippo di Macedonia (IV° se. a.C.). Fu medico apprezzato nella sua città natale. Suo figlio ha ereditato da lui la passione per la medicina e un certo numero di errori che, per il prestigio del nome di Aristotele, si protraggono per quasi duemila anni. NOSTRADAMUS (Michel de Notre Dame). Medico ed astrologo francese (Saint-Rémy, in Provenza, 1503 - Salon 1566). Apparteneva ad una famiglia ebrea, che si era convertita al cattolicesimo e i cui numerosi membri avevano praticato la medicina. Si laureò in medicina alla facoltà di Montpellier e vi insegnò, prima di esercitare a Aix, poi a Lione. Nelle numerose epidemie di peste che devastarono la valle del Rodano, si mostrò di una dedizione esemplare. Verso il 1544, si stabilì a Salon, vicino ad Aix, e là scrisse, sotto il titolo “Centurie” il seguito di strane profezie che gli valsero grande reputazione. Caterina de Medici lo chiamò alla Corte e gli fece fare l’oroscopo dei membri della famiglia reale. Non si dubitò più delle sue profezie, dopo aver previsto la morte del re EnricoII , ucciso in duello da un colpo di lancia che gli fece scoppiare un occhio, disgrazia che Nostradamus aveva presagito. “Le lyon jeune le vieux surmontera en champ bellique par singulier duelle dans caige d’or les yeux lui crevera

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deux classes une; puis morir , mort cruelle” Nel 1564, Charles IX, visitando la Provenza, andrà a far visita all’autore delle “Centurie”, lo nominerà suo medico ordinario e gli darà 200 scudi d’oro. A Salon, era riguardato come un impostore e un ciarlatano. Pubblicò, dal 1550 al 1567, un Almanacco contenente delle predizioni sulle stagioni ed i momenti più favorevoli per l’agricoltura. Innumerevoli opere hanno tentato di dimostrare l’avverarsi delle profezie di Nostradamus. Data l’oscurità delle sue quartine, ci si può trovare tutto ciò che si cerca. ORFILA (Mattieu Joseph Bonaventure). Medico e tossicologo francese (Mahon, ile Minorque 1789-Parigi 1853). Verso il 1808, in certe strade di Parigi, la voce di un giovane mendicante si elevava, calda e pura. Dei soldi risuonavano attorno a lui sul selciato. Sapeva di cantare bene, con un lieve accento spagnolo, e di essere un ragazzo grazioso e pulito. Questo adolescente si chiamava Orfila. Era studente in medicina. Era nato in Spagna; la sua famiglia vivendo in Spagna non riceveva più sussidi dopo la guerra – quella triste guerra illustrata da Goya, che rendeva invalicabili i Pirenei. Dottore in medicina nel 1811, apre, in rue Croix-des-Petits-Champs, un corso di chimica, e riceve numerosi allievi. C’è in Orfila un pedagogo nato, lo ammetteva lui stesso con un sorriso. Lui sorrideva sempre, per il gusto di piacere. La sua voce era dolce, lo si sentiva cantare nei viali prima di salire in cattedra;come professore aveva dello charme. Era prossimo a specializzarsi nel campo più tragico della medicina: la tossicologia, applicata alla medicina legale. Dal 1818, dopo essere stato naturalizzato francese, diventa professore di medicina legale alla facoltà di medicina e accumula titoli e gradi: commendatore della Legion d’Onore, medico “per quartiere” di S.M. Luigi XVIII°, fuzioni onorifiche che conserverà sotto il regno di Luigi Filippo. Fu il principale esperto impiegato nel celebre affare Lafarge, contestato a Brive nel 1840. Questo avvenne nella notte precedente l’ultima udienza del processo nel quale depose. Secondo lui, c’era dell’arsenico nel corpo di Lafarge, sotto forma di un veleno chiamato “morte ai ratti”, si trattava dunque di avvelenamento provocato in maniera criminale. Raspail, commis per la difesa, replicava al suo avversario che l’arsenico si trovava in ogni dove, perfino sulla poltrona del del presidente, ma non riuscì a convincere i giurati. L’accusato fu condannato ai lavori forzati a vita. Ciò non sarebbe avvenuto senza la deposizione di Orfila, grande maestro in questa materia, e autore di un opera che farà testo (per autorevolezza) durante la prima metà del XIX° secolo:”Trattato dei veleni ricavati dal regno minerale, vegetale e animale o tossicologia generale”, portata a termine nel 1815. Orfila fu decano della facoltà di medicina, molto soffrì per le intemperanze degli studenti, cosa che si manifestò nei primi anni dell regno di Luigi Filippo. “Il numero degli studenti che frequentavano la Scuola era grandissimo, scrisse, molti di loro maleducati, parassiti, turbolenti, non trovavano cosa migliore che fare causa comune coi cattivi allievi di diritto e di farmacia e con i ribelli stranieri nelle nostre scuole. Il turbamento portato dalla rivoluzione del 1830 in queste giovani teste era all’apice. Gli uni erano indecentemente vestiti, un berretto rosso sulla testa e ai piedi dei sandali; gli altri, ornati da lunghe barbe, avevano l’impudenza di fumare perfino negli anfiteatri dove si tenevano le lezioni. C’era chi passava tutto il tempo nei piccoli caffè, accompagnati spesso da donne di malavita. Un buon numero di questi cattivi allievi era affiliato a società segrete, e potevano far arrivare facilmente nei nostri anfiteatri centinaia di operai o di altre persone di egual ceto per disturbarvi l’ordine”. E Orfila aggiunge che se il professore godeva della fiducia dei suoi allievi per le sue opinioni liberali, lo si salutava al canto della “Marsigliese”, mentre se passava per favorevole al potere si gridava “Abbasso il poliziotto, il guizotin”

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ORIBASE. Medico greco (Pergamo 325 ca.- Bisanzio 403) Fu medico di Giuliano l’Apostata, imperatore ritornato al culto degli antichi dei. Lo accompagnò nei suoi continui viaggi. Fu così che soggiornò a Parigi, che Giuliano chiamava la sua “cara Lutezio”. Oribase doveva essere stato un uomo di buon senso, sebbene fortemente ingombro di ricette e dottrine mediche del passato, da lui riunte in una vasta compilazione di settanta libri. Gli si attribuisce un “Commentario sugli aforismi di Ippocrate” scritto in latino e pubblicato a Parigi nel 1533. Portò nel suo “Sinossi” nozioni nuove sulla anatomia delle ghiandole salivari e della loro azione sui cancri, che riteneva incurabili; sugli esercizi ginnici per conservare la salute raccomandati particolarmente ai bambini, sulla scelta delle nutrici, ecc. Descrisse un certo “delirio malinconico”, al quale diede il nome di “licantropia”. Dopo la caduta di Giuliano, trovò asilo in mezzo al popolo barbaro della Germania. Poi andò a Roma, si sposò, divenne padre di quattro bambini. Oltre alle opere già citate fu l’autore di un piccolo manuale di medicina d’urgenza che intitolò “Gli europoristi” e che fino al XVIII° secolo fu il programma dell’Università di Parigi. OSLER (sir William). Medico inglese (Bond Head, Canada 1849-Oxford 1919). Emigrò negli Stati Uniti e divenne uno dei più celebri professori dell’Università John Hopkins di Baltimora. Chiamato in Inghilterra nel 1905 e nominato professore ad Oxford vi resterà fino alla morte, tanto che gli Inglesi lo rivendicheranno come uno dei loro. Di lui si è detto che era “un grande signore della medicina”. Osler possiede, in effetti, il rigore scientifico proprio della medicina moderna, la cultura e la curiosità universale e le caratteristiche dei grandi medici del passato come Boerhaave, per esempio, o Haller. Il suo insegnamento dà largo spazio alla deodontologia, e non cessa di ripetere ai suoi allievi “Siate calmi, siate pazienti, siate caritatevoli…” Le sue indagini sono state particolarmente fruttuose nel campo della radiologia. Grande clinico, guardava non senza ironia il moltiplicarsi , giorno dopo giorno, di medicamenti e delle terapeutica. Diceva con humor:”Il giovane medico parte nella vita con venti droghe per ogni malato, e il vecchio medico finisce la vita con una droga per venti malati…” PARACELSO (Aureolus Philippus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto). Medico, chimico e filosofo svizzero (Einsiedeln, cantone di Schwyz, 1493-Salzburg 1541). Originario della Svevia da parte di padre, aveva, come sua madre nativa di Einsiedeln, una capigliatura biondo-rosso che gli valse il nome di Aureolus. Crebbe sulle montagne, nei pressi di un vecchio monastero, ancora oggi occupato dai monaci benedettini. Ora gli alberghi di lusso hanno preso il posto degli ostelli dei pellegrini. Costoro vengono ancora ogni anno a venerare la Vergine nera che si offre al loro culto. “Per dieci anni, ha scritto, io non ho letto che un solo libro, quello della natura” Suo padre, medico, lo iniziò alla sua arte, quale la si praticava allora sulle montagne, fatta di ricette immemorabili dove le superstizioni si mescolavano ai rimedi naturali. La tradizione libresca non saliva fino a quelle altitudini, forse presso i monaci ma non nel popolo. Un fatto drammatico, misterioso, conta nella sua vita. Ancora giovane, sarebbe stato evirato da un soldato ubriaco. Si attribuiva a questa infermità le singolarità del suo carattere:incostanza, irritabilità malsana, inclinazione inveterata al nomadismo. La sua vita non è fatta che di partenze, di dimissioni, di amicizie rotte. Cominciò, adolescente, un viaggio che non doveva finire che con la sua vita. Eccolo in Tirolo poi nella regione mineraria della Carinzia, presso i Fugger, famiglia tedesca celebre per la loro ricchezza e liberalità. Lì, visita le miniere sotterranee, alla ricerca di metalli benefici. Le piante lo interessano meno delle pietre, e le pietre meno dei metalli. L’originalità della sua

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farmacopea sarà in questi elementi, che fino allora pochi medici osavano prescrivere: il ferro, l’oro, l’antimonio. A Villach, si dà all’occultismo, edotto dalle lezioni ricevute da un priore benedettino di Wuerzburg. E’ studente all’Università di Vienna, poi a quella di Ferrara, dove metterà in testa il berretto di dottore”Un medico, scrive, deve viaggiare. Impara più sulle strade che sui libri.”Lo si vedrà a Salerno, a Lisbona, a Montpellier. Segue volentieri gli eserciti in marcia, si fa nutrire da questi in cambio di cure. La sera, vicino al fuoco dell’accampamento, parla, libero dagli orpelli della sua scienza, che travalica la medicina, per abbracciare tutto l’universo, fino alle stelle, di cui ognuna comanda il nostro destino. Non cura un malato senza essersi prima informato del giorno della sua nascita e aver fatto il suo oroscopo, e appronta la sua terapia. Le sue teorie puzzano d’eresia, ed anche la sua vanagloria e l’orgoglio (non ha osato scegliere questo pseudonimo di Paracelo, ossia, “l’eguale di Celso?) indispongono i suoi pari. Viene scacciato da Salisburgo. Trova migliore accoglienza a Strasburgo, e ci sarebbe forse restato se non fosse stato chiamato a Basilea, grazie alla protezione di Erasmo, che allora vi risiedeva. Preso possesso della cattedra di fisiologia e di medicina, offende il suo auditorio. Lo si trova sporco, ingrassato, un vero svizzero di montagna, mal tenuto, mal lavato, troppo spesso ubriaco. Il suo insegnamento sembra stravagante, avventato. Peccato più grave, non sa il latino, e non si esprime che in tedesco. E i dotti, a motivo di questa mancanza agli usi, trascurano il tesoro delle sue osservazioni:”Le polveri sono causa della suppurazione delle ferite; tenetele pulite e preservatele dai nemici esterni, guariranno tutte…” E’, quasi nei medesimi termini, ciò che ripeterà Pasteur ai chirurghi dell’ospedale! Col gusto delle cose sotterranee, si fabbrica un laboratorio in una cantina, e lì, come il dottor Faust, fa bollire, distilla, provoca strani incontri chimici. Dopo un soggiorno di undici mesi, lascia Basilea, in seguito a un processo perso. Ciò che lo spinge nuovamente sulla strada, è il rancore dell’incomprensione, l’insaziabile bisogno, anche, di cambiare posto. Dove andrà? A Colmar, a Strasburgo? Che importa! Sotto la pioggia e il vento, cammina, piegato sotto il peso del suo zaino pieno di libri. La sera, e a tarda notte, al chiarore di una lampada di albergo, medita, scrive. Un sistema si elabora in questa testa caotica. Al centro dell’universo, ecco l’uomo, che ne è il macrocosmo, legato agli altri, sottomesso ai quattro elementi fondamentali, che non sono quelli, tutti arbitrari, di Galeno, ma il “liquido”,il “gassoso”, il “solido”, il “fuoco radiante”. Una forza guida tutte le cose, che è l’ “arche”. Ciò che la scuola di Montpellier chiamerà la “forza vitale”. L’ “arche” simile a una influenza magnetica, conserva la vita, soddisfa tutto. E’ lei che “separa le parti dannose degli elementi assimilabili, che cambia il pane in sangue. E, subordinata a questa “arche” maggiore. Ecco l’ “arche” secondario, impegnato a riparare i danni causati all’organismo delle ferite, dalle malattie, dai veleni. “Non nuocere!” comandava Ippocrate ai medici, certo, ma aggiunge Paracelso, soprattutto non impedire agli “arche”di agire.e, al contrario, di aiutarli. Perché, nella stessa natura, sta la guarigione… Ci sono errori sterili come ce ne sono di fecondi. In questi tempi di spaventose epidemie di peste e di sifilide, ottiene delle cure eccellenti, come la cura della sifilide per mezzo del mercurio. Un medico moderno nell’opera di Paracelo, e specialmente nel“Paramirum”, sintesi della sua patologia, vi troverà ogni genere di osservazioni e di terapeutica a cui la scienza ha confermato il valore: acqua di calce raccomandata ai chirurghi per la disinfezione; conoscenza dell’anestesia attraverso un miscuglio di acido solforico e di alcol, ossia etere. Paracelo ha notato che questo “prodotto possiede un gusto gradevole” che “i polli che lo bevono cadono in un sonno profondo e che si svegliano dopo un certo tempo senza subire alcun danno”. Che il suo impiego sia raccomandato nel trattamento delle malattie dolorose non impedisce che tutti i dizionari la scoperta dell’etere sia attribuita in modo esclusivo al chimico americano Jackson, datata 1846…. Egli ha elaborato le basi scientifiche delle cure termali, riconosciuto per primo, la causa dei reumatismi e della gotta: “il deposito di tartaro”.

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Affermando che “l’uomo è un composto chimico”, che le malattie hanno per causa uno squilibrio di questi composti, che occorrono perciò dei prodotti chimici per combattere le malattie, egli ha controbilanciato le malefatte del salasso, della purga ad ogni istante, ha inventato la “chemioterapia”, che potrebbe portare sul frontone questa parola dell’illuminato di Einsiedeln: “Fuori dalla chimica, voi brancolereste nelle tenebre”. L’idea che si fa della medicina contrasta con quella del suo tempo, erudita e pedante. “Parlatemi della medicina spagirica, diceva (spagirica, ossia dedicata all’alchimia, la quale si distingueva allora molto poco dalla semplice chimica) i cui seguaci non vestono in bel velluto, in seta e in taffettà; non portano anelli d’oro né guanti bianchi. I medici spagiristi attendono con pazienza, giorno e notte, i risultati dei loro lavori, non frequentano i luoghi pubblici, passano il loro tempo nei loro laboratori. Portano brache di pelle, con un grembiule di pelle per asciugarsi le mani; mettono le loro dita nel carbone e nella spazzatura; sono neri e affumicati come dei fabbri e dei carbonai; parlano poco e non vantano i loro medicamenti, sapendo che è dall’opera che si riconosce l’operaio… “ Malgrado il sospetto della Chiesa, proclama l’alchimia come la più elevata delle conoscenze mediche: “Io dichiaro l’alchimia indispensabile, senza di lei non c’è sapere medico. La natura è misteriosa nelle sue operazioni e bisogna sapere strapparle il suo segreto. L’alchimista è simile al panettiere che converte la farina in pane sostanzioso, al vignaiolo che estrae dall’uva il vino generoso; egli estrae da ogni cosa la quintessenza e ricava dalla natura ciò che può essere utile all’uomo.” E’ contro tutti questi falsi discepoli che pretendono che questa scienza divina non ha che uno scopo, quello di fare dell’oro e dell’argento. L’alchimia, che loro disonorano e prostituiscono, non ha che un oggetto, quello di estrarre la quintessenza delle cose e di preparare gli arcani, le tinture e gli elisir che possono rendere all’uomo la salute perduta. Paracelo è stato definito il “Lutero della medicina”, ed è vero perché sotto certi aspetti assomiglia al riformatore. Di Lutero ha il linguaggio diretto, popolare, fatto meno per gli accademici che per le osterie di villaggio, il cuore generoso e umano, il coraggio di sfidare le istituzioni, la libertà di uno spirito che pensa prima di credere: tendenze nobili ma pericolose che lo hanno fatto talvolta sbagliare: che pensare della sua astrologia applicata alla medicina, della sua fede in queste “corrispondenze, in queste associazioni che si amano nei poeti ma non nei medici? Così sostiene che ogni medicamento è designato in anticipo , per suo nome, la sua struttura, la sua rassomiglianza con una parte dell’organismo, al ruolo che è chiamato a svolgere. La “testa” del papavero guarirà i malati di testa. La “sanguinaria”(bot.) è chiamata ad arricchire il sangue. L’ “eufrasia”, la cui corolla ha una macchia gialla simile ad un occhio, guarirà le oftalmie, ecc. Paracelo, dopo il suo soggiorno a Basilea, si stabilisce per qualche tempo a Colmar, poi riprende la sua vita errante, percorre una seconda volta la Germania, la Moravia, la Carinzia, di nuovo l’Alsazia. Lui accusa tutti i medici essere “il pappagallo di Galeno e asini col basto”, mentre costoro lo rappresentano come un ateo che aveva fatto un patto col diavolo… Professò a Norimberga (1529), a San Gallo (1531), a Pfeffer (1529), a Villach (1538), infine, dopo aver soggiornato qualche mese a Mindelheim (1540), muore a Salisburgo in povertà quasi completa. Due uomini si sono accaniti contro la sua memoria: Th. Eraste, suo nemico giurato, che lo rappresenta come un saltimbanco, spiega i suoi viaggi dicendo che “lui seguiva una compagnia di bohémien e di vagabondi” e il suo segretario Oporinus, che, dopo averlo servito, lo ha diffamato, presentandolo come un “disgustoso ubriacone, coperto di pidocchi, che stordiva il pubblico illetterato con un dialetto incomprensibile di tedesco e di cattivo latino”. I libri di Paracelo sono tuttavia lì per confutare i calunniatori, particolarmente il “Paramirum” e il “Paragranum”che contengono questa dichiarazione degna degli spiriti più illuminati dell’epoca: “Ben pochi medici hanno una conoscenza esatta delle malattie e delle loro cause, i miei libri non sono scritti come quelli degli altri medici, che si sono limitati a copiare Ippocrate e Galeno, io li ho scritti

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basandomi sull’esperienza che è la più grande maestra di tutte le cose…” E’ a Jung, suo compatriota, che Paracelo deve i più giusti elogi per il suo talento: “Paracelso, che era in primo luogo un medico geniale, sottolinea che nessun è medico se pratica l’arte di “teoricizzare”.Il medico non solo deve acquisire lui stesso ma deve anche insegnare al suo malato una concezione, avere una visione della sua malattia che permetta al medico di curare e al malato di guarire, o almeno gli permetta di sopportare la malattia…” Quando noi perseguimo con perseveranza la via dello sviluppo naturale, noi sperimentiamo. Il motto di Paracelo, è: “Alterius non sit, qui suus esse potest” (Che non sia un altro, colui che può essere sé). L’era scientifica, del XVII° secolo ha sotterrato senza discernimento anche delle perle preziose. Non è che due secoli dopo che le sue idee ritorneranno parzialmente, grazie a un nuovo empirismo.” Io voglio ringraziare Messmer per la sua dottrina del magnetismo vitale” PARE’ Ambrosie. Chirurgo francese (Bourg-Hersent, vicino a Laval 1509-Parigi 1590) Il padre è un uomo di modeste origini. E’ istruito da un cappellano di Laval: impara la chirurgia dal maestro Viallot, il primo barbiere della città; prosegue il suo apprendistato a Angers e si impiega all’ospedale e non cade come zimbello di un “mendicante briccone che, per farsi ricoverare all’ospedale, aveva attaccato al giubbetto il braccio di un impiccato puzzolente e infetto…. A Parigi si dedica alla dissezione ed entra, nel 1533, all’Ospedale Maggiore come aiuto chirurgo. Lui si preoccupa meno dei libri che degli esperimenti. “L’aratore avrà un bel parlare di stagioni, parlare del mondo di coltivare la terra, dedurre quali sementi sono adatte a ciascun terreno, tutto ciò non sarà niente se non si mette mano agli attrezzi,se non si accoppia il bue e non lo si lega all’aratro.” Del resto non c’è niente da sfogliare nei libri, di cinguettare e di civettare in cattedra di chirurgia, se la mano non mette in pratica ciò che la ragione comanda” Fuori dall’ospedale, qual è il più bel campo di esperimenti di quello della guerra? Diventato mastro-barbiere-chirurgo all’età di diciannove anni, è al seguito dell’esercito del maresciallo Montejan, colonnello generale di fanteria. Nel corso di una delle sue prime campagne - quella che si svolge sotto il regno di Francesco I°- immagina un nuovo mezzo per disinfettare le ferite, mezzo che gli è suggerito dalla ragione, ma anche dalla carità. Così, rifiutando l’olio di sambuco bollente che si getta sulle ferite per cauterizzarle, impiega un “digestivo”, ottenuto dal giallo dell’uovo, di olio rosato (farm.) e di terebentina. Apprendiamo da lui, in questa occasione, che un praticante della città aveva un’altra ricetta, delle più strane, e che consisteva nel “far bollire nell’olio di giglio cagnolini appena nati, mischiati a vermi di terra preparati con della tirebentina di Venezia. Per le cure prestate a dei signori, e sempre con successo, si fece una reputazione. Nel 1542, la guerra si è riaccesa. E’ chiamato dal maresciallo di Brissac, che, sotto le mura di Perpignan, ha ricevuto una pallottola nell’omoplato destro. I chirurghi non sono riusciti a trovare l’entrata della pallottola e dove si è conficcata. Paré ha l’idea di chiedere al ferito di mettersi nell’esatta posizione in cui si trovava al momento di ricevere il colpo. La pallottola, dopo un ragionamento di balistica, si rivela “dall’altra parte della spalla, per un leggero rigonfiamento della pelle…” Non doveva che estrarla. Nel 1545 pubblica il suo primo libro, il “Metodo di trattare le ferite fatte dagli archibugi e da altri bastoni da fuoco” E’ un libro di barbiere-chirurgo, scritto in buon francese, pratico, senza teorie, con delle incisioni esplicative. Questo libro nasconde una novità che conta nella storia della chirurgia. Questa novità consiste ricorrere nelle amputazioni, per mettere fine alle emorragie, non alla cauterizzazione, ma alla legatura delle arterie, per mezzo di uno strumento di cui Paré è l’inventore: le bec-de-corbin. Presto, il chirurgo dell’esercito diventa il chirurgo del re. Servirà successivamente Enrico II, Francesco II, Carlo IX,

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Enrico III. Tuttavia, questi re lo rinviano spesso agli eserciti, dove si ha bisogno di lui. E’ così che Enrico II lo spedisce a Metz, assediata e difesa dal duca de Guise contro gli imperiali. I feriti erano numerosi e molti perivano. Riuscì ad entrare nella città pagando il suo passaggio a un capitano italiano. Ricevuto nella guarnigione come un gran signore, si mette subito al lavoro. Hanno successo molte operazioni difficili e installa camere di ospedale. I difensori di Metz ritrovano il coraggio e gli uomini di Carlo V° saranno sconfitti. Diventato, dopo la morte di Francesco II, primo chirurgo di Carlo IX, scambia con lui questo dialogo famoso: “Io spero, gli dice Carlo, che tu curi meglio il re che i poveri!” “No, sire, è impossibile” “E perché?” “Perché io li curo come dei re” Ambroise Paré volge ormai verso la quarantina. E’ stanco dei combattimenti e delle cavalcate e sogna di entrare nella confraternita di San Como, che si è trasformata in collegio dal 1515 e raggruppa i migliori chirurghi del reame, talvolta disprezzati dai medici, che si ostinano a non vedere in loro che dei barbieri. Per entrare in questa compagnia, deve apprendere il latino. Non importa. Prende un maestro che gli insegna i rudimenti. Il suo discorso di entrata è giudicato debole, il suo stile barbaro.Nessuno sa meglio il francese di lui, la sua lingua e i sapori di quella di Montagne. Possiede una casa a Parigi, rue de l’Hirondelle, un’altra a Meudon, sotto il corso della Senna, e si dice che avrebbe invitato Rabelais, il “curato di Meudon”. La sua attività non ha limiti. Pratica ogni giorno qualche “taglio” della vescica, per cavarne pietre, “abbatte” le cataratte, riduce le fratture, distribuisce il mercurio ai sifilitici, l’antimonio ad altri. Un giorno mentre stava navigando la Senna in barca, per andare al villaggio di Bons-Hommes, ossia ai piedi della collina di Chaillot, un cavallo, dà una sgroppata, lo getta a terra, e la gamba viene fratturata in due punti. Lo si porta all’Ospedale Maggiore,e poi a casa sua. Da questo riposo forzato, trarrà un’opera importante: “Dieci libri di chirurgia e il negozio degli strumenti a questa necessari” E’ una delle opere più razionali di medicina che siano apparse, e delle più pratiche, con le sue mille ricette, i suoi schemi, il suo francese semplice e diretto, che esclude parole difficili. Non occorreva nient’altro perché i dottori si indignassero. Uno di questi scrive:”Un uomo ignorante e presuntuoso, ha avuto recentemente l’audacia, nella sua incompetenza, di rigettare la cauterizzazione al ferro rovente dopo l’amputazione delle membra e di sostituirla, a disprezzo del buon senso, con la destrezza delle mani per la legatura dei vasi. Ma non ha visto che la legatura è molto più pericolosa che la cauterizzazione. In verità, colui che sopporta questa operazione crudele, degna di un macellaio, ha tutte le ragioni di ringraziare Dio se resta in vita.” I medici col berretto erano ben felici quando Parè si trovava in difficoltà. Un giorno il re lo manda dal duca di Auret, la cui coscia è stata fratturata da una palla di cannone. “Io lo trovai, ci racconta Paré, con una gran febbre, gli occhi molto infossati in un viso emaciato e magro, la parola bassa come quella di un uomo vicino alla morte. Poi trovai la coscia molto gonfia, apostemata ed ulcerata, che faceva pus verdastro e molto fetido… “ Nascondendo le sue impressioni ai medici e chirurghi costernati, se ne va a “passeggiare in giardino” pregando Dio di accordargli la grazia che il malato guarisca “poi cerca nel suo spirito i mezzi che gli occorrono. Ritornato dal moribondo, medici e chirurghi erano in riunione,tien loro questo discorso: “Prima, lasciate che vi dica che io mi meraviglio moltissimo che voi non abbiate fatto l’apertura della coscia del signor marchese. Quello che esce è fetido e puzzolente, ciò dimostra di essere imputridita per lungo tempo” Prescrive incisioni, lavaggi, unguenti e per rendere le forze al ferito gli raccomanda uova bazzotte, uva di Damasco messa in salamoia con vino e zucchero, panata fatta con brodo di ali di pernice e bianco di cappone. Per combattere l’insonnia, quattro o cinque

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grani di oppio. Il marchese guarirà. Ambroise Paré, che era protestante,deve comunque servire un re cattolico. Si prodiga affinché la sorte dei suoi correligionari sia meno difficile. Così nel giorno di San Bartolomeo fa tutto quanto è in suo potere per salvare l’ammiraglio Coligny dalla morte. Carlo IX spinse il suo chirurgo a convertirsi, ma Parè tenne duro. Un giorno, siccome il re lo pressava in modo particolare, rispose:”Per l’amor di Dio, sire, io credo che bisognerebbe che vi ricordaste di avermi promesso di non comandarmi mai quattro cose: “di rientrare nel ventre di mia madre, di trovarmi un giorno in battaglia, di lasciare il vostro servizio e di andare alla messa”. Nel 1575, all’età di 58 anni, appare dal libraio Bucon il libro in-folio delle sue “Opere complete” Si risposerà settantenne e avrà cinque bambini. Le sue ultime opere non sono più, come le precedenti, nutrite di scienza e di esperimenti. Sembra accogliere tutte le superstizioni dell’epoca e ne aggiunge di nuove. Si legge più per divertimento il suo “Libro dei mostri”, il suo trattato sul licorno, quello sulla peste. Ci intrattiene molto seriamente con ogni sorta di prodigi che egli attribuisce agli influssi diabolici o, meglio di quei “demoni famigliari, che muovono panche, tavoli, cavalletti, cullano i bambini….” E’ vero che in pieno XIX° sec. scienziati come Lombroso e Charles Richet riportavano anche loro la testimonianza di tali fenomeni ai quali attribuivano però altre cause, e che designarono col nome tedesco di “Poltergeist” (Fenomeni da ossessione). Paré attraverso i suoi scritti si mostra un uomo gioioso, dal risolino, spesso irriverente. Parlando della morte dei re, ci confida che “in pochi giorni si corrompono ed emanano un vapore puzzolente e cadaverico che offende coloro che lo sentono”. Pierre de l’Estoile, nel suo “Giornale di un borghese di Parigi”, non tralascia, il 20 ottobre 1590, di notare la morte di A.Paré “uomo dotto e primo nella sua arte che, nonostante i tempi, aveva sempre parlato e parlava liberamente per la pace e per il bene del popolo, ciò che lo faceva anche amare dai buoni e dal malvolere e odiare dai cattivi. PASTEUR Louis. Scienziato francese (Dole, Giura 1822- Villeneuve-l’Etang, vicino a Garches,1895) Pasteur non era medico ma chimico. Grazie alla chimica ha rivoluzionato la medicina. C’è una medicina prima di Pasteur e una dopo di lui. La sua scoperta è quella di un mondo invisibile -almeno ad occhio nudo- come qualcuno aveva vagamente intuito. Qualcuno aveva pensato all’America,ma ci fu bisogno di Colombo. Mondo dei microbi: germi di morte come di vita. Richiamiamo le date di questa esistenza esemplare: 1822. Nasce a Dole. Il padre è un conciatore, la madre contadina. “Miei cari genitori è a voi che devo tutto…” Questa lettera di riconoscenza di un bravo figlio è il dettato che, per 50 anni, ha fatto curvare i bambini delle scuole sui loro quaderni, anche se oggi Pasteur è un poco dimenticato. 1846. Supera, con successo, il concorso di aggregazione a fisica e chimica. Il suo maestro è J.B.Dumas, che resterà, per probità scientifica e dignità morale, il suo modello. 1847. La sua tesi di dottorato (Studio dei fenomeni relativi alla polarizzazione rotatoria dei liquidi) frutto di analisi incredibilmente sottili e di ragionamenti che provano il genio: colpo di gong che annuncia l’inizio. 1854. Decano della facoltà di Lilla inizia in una fabbrica di barbabietole da zucchero lo studio del problema relativo alla fermentazione. Intuisce l’azione dei germi, manifestazioni di un mondo (invisibile). “Io credo d’averti già detto, scrive al suo amico Chappuis, che sono vicino a svelare dei misteri e che il velo che li copre va diminuendo sempre di più. Così le notti mi parevano troppo lunghe..” 1857. E’ nominato amministratore della Scuola Normale a Parigi, e direttore degli studi scientifici.

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Sotto il soffitto si è fatto due piccole stanze allo scopo di ricavarne un laboratorio, il suo. Arriva verso le due, le tre del mattino, con passo tremolante per il poco sonno. Pasteur sospira e geme, l’occhio è affaticato dall’uso del microscopio 1858. Contro le tesi di Félix Archiméde Fouchet, direttore del Museo di Rouen, nega la generazione spontanea. Niente lo irrita di più della sicumera di questo avversario che afferma, senza esperienza degna di questo nome, e contro ogni evidenza , il contrario. “ 1862. E’ eletto membro dell’Accademia delle Scienze. “Io potrei un giorno scrivere un bel memoriale e felice di dire a certi cretini, che cretini lo sono: fate altrettanto” 1865. A Alais, richiesto dal ministro dell’Agricoltura, ricerca le cause della malattia del baco da seta e le trova: sempre i germi…in seguito chiamati microbi. Prima di prendere il treno per Alais chiede a Fahre una lezione di Storia naturale. Costui gli mette in mano una cosa bianca e pelosa, un bozzolo. “Cos’è questo?”, domanda Pasteur… E Fahre: “Io vedo che voi andate là senza idee preconcette.” 1867. Lister, il grande inglese, iniziatore dell’asepsi, rende omaggio a Pasteur con un articolo che compare in “The Lancet”. “Il chimico francese ha dimostrato con chiarezza che l’aria non ha questa proprietà (quella, cioè, di provocare la decomposizione delle sostanze organiche) né l’ossigeno né da alcuno dei suoi elementi gassosi, ma sono le particelle assai minute e fluttuanti (i germi) scoperti da qualche tempo per mezzo della microscopia, la causa della putrefazione.” Così nacque la speranza in una chirurgia al riparo di questi germi, grazie all’antisepsi.” 1872. A Chamalières, studia il processo della fermentazione della birra e vi ritrova l’azione degli organismi microscopici, i germi… 1873. Si dedica allo studio del carbonchio, malattia estremamente grave che può essere trasmessa all’uomo dagli animali erbivori, specialmente dai montoni. Conferma che il batterio carbonchioso trovato da Davaine e Rayer è l’agente della malattia e mette a punto un procedimento di attenuazione della virulenza del germe che permetterà di realizzare la vaccinazione degli animali inoculati. La vaccinazione pasteuriana preventiva farà scomparire quasi del tutto questa affezione. 1874. “Se un giorno verrete ad Edimburgo, una vera ricompensa sarebbe per voi vedere quale largo uso si fa nel nostro ospedale dei vostri lavori, a favore degli esseri umani. Quale grande soddisfazione proverei a mostrarvi quanto la chirurgia è a Voi debitrice”(Lister) 1878. Il 19 marzo, si vede entrare all’Accademia di medicina un uomo che trascina la sua gamba inerte, dal 1868, in seguito ad una emorragia cerebrale. E’ semi paralizzato e porta con sé una gabbia che contiene tre galline, di tre colori differenti. Pasteur dimostrerà ai suoi colleghi l’influenza del freddo sulla virulenza del batterio carbonchioso, nelle galline inoculate. Il 30 aprile, è la celebre comunicazione sulla teoria dei germi e le sue applicazioni in medicina e in chirurgia: “Se avessi l’onore di essere chirurgo, conscio come sono dei pericoli ai quali si espongono a causa dei microbi diffusi sulla superficie di ogni oggetto, particolarmente negli ospedali, non solo mi servirei di strumenti perfettamente puliti, ma dopo aver pulito le mie mani con la più grande cura ed averle sottoposte ad un bruciacchiamento rapido… mi occuperei della filaccia, delle bende, delle spugne . 1880. Pasteur inietta a delle galline una vecchia cultura di bacilli del colera, ma gli animali non muoiono. In seguito inietta loro una dose mortale di cultura fresca: non muoiono. Pasteur ha gettato le basi della vaccinazione, introdotta da Jenner. 1881. Forte di questa esperienza clamorosa, Pasteur mette a punto il vaccino contro il carbonchio. Nel mese di maggio, si fanno degli esperimenti a Pouilly-le-Fort. I montoni vaccinati resistono all’infezione carbonchiosa. Fino a che il fatto non fu verificato,la sua fede vacillò come se il metodo sperimentale potesse tradirlo” (E.Roux)

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Lo stesso anno si mette alla ricerca del trattamento della rabbia. Il microbo gli sfugge ma la vaccinazione operata sui cani riesce. A Londra, nella immensa sala di Saint James, la sua entrata è salutata da una formidabile acclamazione. Dice al suo vicino:”E’ senza dubbio il principe del Galles che arriva…Ma è voi che tutti acclamano” gli risponde Sir James Paget. 1882. Il 27 aprile è ricevuto all’Accademia francese che lo elegge successore di Littré. Il discorso di ricevimento di Ernest Renan, è un misto di elogi e ironia, come vuole la tradizione accademica. ” Visto le tante buone cose che insegnano le lettere, in apparenza frivole, voi arrivate a pensare che il dubbio discreto, il sorriso, lo spirito di finezza di cui parla Pascal valgono il loro prezzo.Comunicateci le vostre esitazioni, noi vi comunicheremo le nostre, voi ci comunicherete le vostre assicurazioni….” E per gli elogi: “C’è qualche cosa che sappiamo conoscere nelle applicazioni più diverse; qualche cosa come la sublimità del poeta, la profondità del filosofo, il fascino dell’oratore, la divinazione dello scienziato.Questa base comune di tutte le opere belle e vere,questa fiamma divina, questo soffio indefinibile che ispira la scienza e la letteratura e l’arte, noi l’abbiamo trovato in voi, signore, è il genio.”La spiritualità di questa cerimonia prende a prestito la voce dello scienziato. Pasteur è cristiano e non lo nasconde. Termina il suo discorso inchinandosi davanti alla nozione dell’infinito che, “quando vi invade, vi getta in ginocchio:”In questo momento di straziante angoscia, bisogna chiedere grazie alla ragione.” 1885. Pasteur mette a punto il suo vaccino contro la rabbia. “Io ero arrivato ad avere cinquanta cani di tutte le età e di tutte le razze assolutamente refrattarie quando inopinatamente si presentarono nel mio laboratorio, il 6 giugno, tre persone che venivano dall’Alsazia,fra le quali Joseph Meister, un bambino di 9 anni, morso crudelmente il 4 luglio da un canne rabbioso… La morte di questo bambino sembrava inevitabile. Con il consiglio di Vulpian e Grancher mi decisi non senza viva e crudele inquietudine di tentare su Meister il metodo che mi era sempre riuscito sui cani, in quanto avevo già ottenuto lo stato refrattario alla rabbia su un grande numero di questi“dopo il morso”. Si inocula quindi al bambino il midollo rabico riseccato da 14 giorni, poi da 13,12,11,10,9,8,7,6,5,4,3,2, 1 giorno. Le iniezioni avvenivano ogni mattina…. Avevo quindi inoculato a Meister il virus rabico fresco, ossia il più virulento e Meister non solo risultò refrattario alla rabbia che le ferite gli avevano procurato…. 1886. Folle di malati morsicati da cani rabbiosi accorrono da ogni parte del mondo per farsi curare da Pasteur. 1888. L’Istituto antirabbico di Parigi, o Istituto Pasteur, è inagurato nel quartiere di Vaugirard. E’ stato costruito grazie alle sottoscrizioni che sono arrivate da ogni parte. Comprende sei servizi, di cui il più importante è quello per il trattamento della rabbia. Si inocula tutti i giorni da 80 a 100 persone.Il direttore di questo servizio è Grancher, professore di clinica infantile alla facoltà di medicina. Il Servizio di Microbiologia generale è diretto da E. Roux. Alla testa della sezione delle ricerche si trova uno scienziato russo, il dottor Gamaleia, diventato celebre per la sua scoperta del vaccino contro il colera asiatico. Poliglotta, è incaricato di ricevere i medici stranieri che vengono ad istruirsi a Parigi dai medici pasteuriani. Un altro russo, Metchnikov, ha preso in mano il servizio di microbiologia morfologica che si occupa della “storia naturale “dei microbi. Pasteur, in piena gloria, ispira fiducia a tutti i suoi collaboratori, e in particolare a quelli che hanno partecipato alle sue prime ricerche, come Grancher, Chantmesse, Charrin, Duclas, Roux, Chamberland, Yersin, che continueranno il suo lavoro. 1892. Il 27 dicembre, nel grande anfiteatro della Sorbona, Pasteur, che si appresta a festeggiare il 70° anniversario, appare al braccio del presidente della Repubblica, Félix Faure. Fra gli altri oratori, Lister, venuto da Londra, prende la parola: “Voi avete levato il velo che aveva coperto, per secoli, le malattie infettive… Il figlio di Pasteur,

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invecchiato e indebolito, risponde per lui : “Attraverso questo bagliore, il mio pensiero si riporta con malinconia verso il ricordo di tanti uomini di scienza che non hanno conosciuto che delle prove…. 1895. Muore il 28 settembre, nella sua casa di Villeneuve-l’Etang. PATIN Gui. Medico francese (Hodonc-en-Bray, Oise, 1602-Paris 1672) “Ciò che mi piace in lui, è che attacca ciecamente le opinioni dei nostri Antichi, che mai ha voluto comprendere ne ascoltare le ragioni e gli esperimenti dei pretesi scopritori del nostro secolo, riguardanti la circolazione del sangue e altre simili opinioni … Mettendo in bocca questi complimenti al dottor Diafoirus, Moliere ha pensato a Gui Patin; questo Gui Patin adoratore di Galeno come nessun’altro uno spirito assai poco scientifico. Non seguiva che tre strade:il clistere, la purga, il salasso. Queste erano del resto le pratiche abituali dei medici di Parigi, di cui Patin era il prototipo. Era contrario a ogni rimedio chimico. Le acque minerali stesse, perché chimiche per natura, non trovavano grazia ai suoi occhi. Nella famosa disputa sull’antimonio, cavallo di battaglia della facoltà di Montmartre, che ne faceva un uso esagerato, si distinse particolarmente. “Mentre i medici si contrattadicono gli ammalati muoiono. A dire il vero loro muoiono tanto bene a Parigi quanto il placarsi delle querelles dei medici. Per guarire, meglio Montpellier, o, meglio ancora Londra…” Patin aveva anche la penna facile. Le sue “lettere”, apparse postume , e spesso riedite, con il loro stile barocco, i loro mille dettagli sulla vita quotidiana ai tempi della Fronda e sotto il regno di Luigi XIV, restano un documento prezioso. Suo figlio Charles, anche lui medico, ha scritto il primo trattato di sessuologia dal titolo “Quadro dell’amore coniugale”. Morì a Padova, volontariamente in esilio per evitare le conseguenze di un ordine di arresto di cui non si conosce la motivazione PAVLOV Ivan. Medico e neurologo russo (Riazan 1849-Mosca 1949) I suoi lavori hanno investigato in modo particolare sui riflessi cosidetti “condizionati”, ossia che si producono automaticamente. L’esempio più noto è quello di quel cane portatore di una fistola salivare, al quale si mostra un pezzo di carne. La saliva cola abbondantemente. Non è che un riflesso innato di secrezione salivare, determinata dalla eccitazione gustativa. Ma se si sottopone il cane all’azione di una corrente elettrica, la salivazione si ferma, il riflesso innato essendo stato inibito da un dolore.Partendo da questa osservazione, Pavlov ha cercato di creare dei riflessi condizionati al dolore: se si sottopone il cane a scosse elettriche e queste scosse sono seguite dalla presentazione di un pasto il dolore provoca la salivazione. Il condizionamento ha agito sull’istinto; si è insegnato al cane a sopportare il dolore immediato facendo scontare il piacere futuro: il cane è stato ammaestrato. (J.Delay, Psicofisiologia umana). Il riflesso condizionato può essere comandato per ogni sensazione, dolorosa o meno, visiva, uditiva, olfattiva ecc. Basta che preceda, nel corso di numerose esperienze, un atto associato. Pavlov non si è accontentato di esperimenti, ha voluto risalire fino a quelle zone della corteccia cerebrale che comandano la nostra vita psichica nonché quella motoria. Ha descritto gli “analisti sensoriali” la cui distruzione fa scomparire tali o tal’altri ordini di sensazioni. Ha potuto realizzare sull’animale il sonno normale ed il sonno ipnotico. Nel fenomeno di riflesso condizionato, il sonno può giocare il ruolo di un inibitore cerebrale non più localizzato, ma comanda l’insieme della corteccia cerebrale. Ha constatato che tutto ciò che nel corso dello svolgimento dei riflessi condizionati favorisce lo sviluppo dell’inibizione, conduce al sonno. La medicina psicosomatica deriva in gran parte dall’opera di Pavlov e dei suoi allievi Petrova e Bykov. Ha ricevuto il Premio Nobel per la medicina nel 1904.

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PEAN Jules Emile. Chirurgo francese (Chateaudun 1830-Parigi 1898) Un quadro di Gerveax lo rappresenta nell’atto di operare una bella paziente fra signori barbuti e religiose in veste di infermiere. E’ in abito piastrone* bianco, senza grembiule. E’ paradossalmente lontano dal campo operatorio e opera a braccia tese perché teme di macchiarsi e tiene i suoi strumenti in punta di dita. Malgrado ciò i suoi interventi all’addome, la sua specialità, riuscivano sempre bene. Praticava a suo modo l’antisepsi. L’ospedale, che porta il suo nome, venne edificato a proprie spese e, prima dell’istituzione della Sicurezza sociale, gli indigenti venivano curati gratuitamente. PECQUET Jean. Medico e anatomista francese (Dieppe 1622-Parigi1674) E’ a Montpellier, ancora studente, che scopre (1674) nel cane il canale toracico che conduceva fino alla vena sotto-clavicolare sinistra, e stabilì così la corrispondenza fra i vasi chiliferi e i vasi sanguigni, senza passare per il fegato, correggendo in tal modo l’errore di Harvey sulla circolazione linfatica. Stabilitosi a Parigi, reso celebre per la sua scoperta, è aiuto di Riolan, il “dottissimo, l’espertissimo, e illustrissimo principe degli anatomisti” nonchè del partigiano della tradizione, Gui Patin. Malgrado certe opposizioni, nel 1666 entra nell’Accademia delle Scienze e di diventa il protetto del sovrintendente Fourquet che lo nomina suo “medico di piacere”, ciò significa che lo considerava meno come medico curante e più come un dotto interlocutore, in particolar modo su questioni di medicina. Me. De Sévigne lo chiama nelle sue lettere “il mio piccolo Pecquet”. L’abuso di liquori forti ne accorcia la vita. Gli anatomisti chiamano “cisterne” o “serbatoio di Pecquet” la tasca situata a livello delle prime vertebre lombari, dove iniziano i canali chiliferi e dove nasce il canale toracico che conduce il chilo nella vena sotto-clavicolare-sinistra. . PERCY Pierre Francois barone. Chirurgo militare francese (Montagney, Alta Savoia, 1754-Parigi 1825). Durante la Rivoluzione è chirurgo capo dell’esercito del nord sotto Kellermann (1792), della Mosella sotto Jourdan, del Reno sotto Pichegru e Moreau. Organizza un nuovo sistema di ambulanze mobili, comprendendo che occorreva intervenire sul campo di battaglia stesso. Lo si vede, lui e i suoi chirurghi, operare in pieno combattimento.Tentò, 70 anni prima di Henri Dunant, fondatore della Croce Rossa, di far proclamare la neutralità degli ospedali militari e delle ambulanze. Ha creato, nell’anno XI, i corpi regolari di soldati infermieri destinati a prelevare i feriti sui campi di battaglia. La sua umanità ha sempre sofferto dello spettacolo della guerra e della sua barbarie, contrariamente a Lavrey, che si trovava completamente a suo agio. “Niente, dice Eylau, di eguale, uno dei peggiori massacri della storia, il furore rapace, la disumanità dei soldati: si cammina sui cadaveri, si calpesta coi piedi le membra tagliate, si sentono le urla dei feriti a chi si taglia dolorosamente un membro, incuranti, ognuno pensando a sé….” Quanto alla riconoscenza dei feriti, salvati da morte certa, , non si contano...Nel 1815, durante i cento giorni, membro della Camera dei rappresentanti, assiste alla battaglia di Waterloo. Con la Restaurazione, che lo priva di tutte le sue funzioni, va a vivere a Lagny, dedicandosi alla coltivazione della terra. PIEN-TSIO. Primo in ordine fra i grandi medici cinesi (III°sec. a.C.). Praticò la polsologia* e l’agopuntura con l’aiuto di pietre acuminate. L’agopuntura si basa sulla corrispondenza di certi organi con dei punti cutanei riuniti per assi, detti “meridiani” che sono nel numero

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di quattordici, e che vanno dalla testa alle estremità delle membra. Una energia vitale, controllabile alla palpazione del polso, percorre questi diversi meridiani. L’equilibrio di questa energia sarebbe ottenuto pungendo dei punti lungo i meridiani, punti distinti, seguendo la terminologia cinese, in punti di “tonificazione”, di “dispersione”, di “fonti” (o “regolatori”), di “passaggio”, di “allarme”, di “consenso” e,al di fuori dei meridiani, in punti detti “i meravigliosi vasi”. Inizialmente in numero di 658, i punti di agopuntura sono stati ridotti a 365, quanti sono i giorni di un anno. L’agopuntura è stata rivelata in Europa dal console Dabry, nel 1853, ma fu, all’epoca, una moda passeggera. Nel 1927, il sinologo e romanziere G. Soulié de Morant l’ha reintrodotta in occidente con il sostegno del dottor P. Ferreyroles, che pubblicò la traduzione del “Nei Tsing”, dove il metodo è chiaramente esposto. Sperimentato a Parigi dal dottor Ch. Flandin all’ospedale Saint-Louis dai dottori M. e Th. Martiny all’ospedale Leopold-Bellan, il suo uso si è diffuso attraverso l’Europa. Numerose teorie hanno tentato di spiegare scientificamente gli effetti non contestabili dell’agopuntura su una larga varietà di affezioni, come certe asme, emicranie, nevralgie, reumatismi, sinusiti ribelli, ecc. Le tecniche attuali di elettrofisiologia, quali Brunet e Grenier (1955) le hanno applicate, tendono a confermare la realtà di queste linee di energia e dei punti che ne sono i collegamenti. Si tratta, in breve, di una riflessologia mettendo in gioco delle microcorrenti cutanee. PIETRO D’ABANO. Medico italiano (Abano 1250-Padova 1316). Laureatosi medico all’Università di Bologna, si imbarca per Costantinopoli. Mentre l’Occidente rappresentava sempre ai suoi occhi - e una medicina stessa- la scolastica sterile, l’Oriente sarà l’empirismo, ricco non di formule, ma di rimedi come pure di pratiche condannate “a priori”” dalla chiesa o meglio dall’Inquisizione, sotto il nome di “magia”. Sulle sponde del Bosforo, dove lo sguardo può portare di volta in volta verso l’Europa e l’Asia, scrive il “Conciliator controversum quae inter philosophos et medicos versatur”(Il conciliatore delle dispute fra filosofi e medici). Dopo un soggiorno a Parigi, diventa, nel 1306, professore di medicina a Padova. I suoi maestri sono arabi,Avicenna e Averroè. E’ uno dei maestri di Papa Onorio IV e della marchesa d’Este. I suoi corsi sono i più seguiti di Padova. All’ingresso dell’anfiteatro dove isegna, Gentile da Foligno, l’autore dei “Consigli medici” sarebbe caduto in ginocchi, esclamando:”O tempio sacro!” Pietro d’Abano non si curò di attaccare pubblicamente la scolastica, di far presa su San Tomaso. Gli vengono attribuiti qualità di mago, poteri sovrannaturali. Non c’era bisogno di altro per allertare l’Inquisizione. Una inchiesta viene aperta; si trovarono nella sua opera 55 proposizioni eretiche. Per due volte fu tradotto davanti al Sant’Uffizio e, la seconda volta, condannato ai lavori forzati. Morì di malattia prima di subire il supplizio che non potè essergli inflitto che in effige. Dante Alighieri fu uno dei suoi amici. PINEL Philippe. Medico francese (Castello di Rascas, Saint-Andrè, Tarn 1745-Parigi 1826) Studente a Tolosa, nominato dottore a Montpellier. Poi si stabisce a Parigi dove si specializza in psichiatria. Nel 1793 ottiene la direzione dell’Ospedale di Bicetre. A Bicetre era stata creata una “casa dei poveri” Vi si trovano degli indigenti, dei vecchi, dei condannati per reati comuni e dei pazzi. Dopo la rivoluzione si erano aggiunti a questa popolazione i detenuti,e dopo giudizio del tribunale rivoluzionario, anche dei sospettati. Qui, come alla Salpetriere, come nell’asilo di Nantes, di Strasburgo, si perpetua una vecchia tradizione, ereditata dal Medio Evo: mostrare i pazzi come uno spettacolo da circo. “Tutti, ha scritto un testimone, P. Richard, erano ammessi a visitare Bicetre. Venivano almeno 2000 persone per giorno. Pagavano e venivano condotti da una guida a visitare gli insensati… Certi furiosi erano rinchiusi nelle gabbie. Si gettava loro dei pezzi di pane, li si eccitava, si

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deridevano come al Giardino zoologico le scimmie. Sembrava che il Vecchio Regime, e questo in pieno “Secolo dei lumi” avesse fatto di questi asili, e volontariamente, luoghi di spavento e di orrore: un inferno alle porte della città, o nella città stessa. Luoghi di infezioni fisiche come morali. Nel 1780, un’epidemia si era sparsa per Parigi, se ne attribuisce l’origine ai miasmi liberati da Bicetre. Si parlò pure di bruciarne gli edifici. Una commissione di inchiesta si recò sui luoghi e riconosciuto che effettivamente regnava , a Bicetre una “febbre putrida” che, per la complicità di un cattivo tempo, freddo e nebbioso, si diffondeva per Parigi. Nella leggenda dorata della medicina, la “liberazione dei pazzi di Bicetre da parte di Pinel “occupa un posto di elezione. E’ davanti a un dipinto riproducente queste scene memorabili che, per 20 anni, Charcot ha tenuto i corsi alla Salpetriere. Pinel era persuaso che i suoi predecessori si erano sbagliati nel credere che la follia arrivata all’apice negli eccessi di furore, fosse incurabile, e che non restava che legare il pazzo, per impedirgli di nuocere ai suoi vicini e a sé stesso. Sapeva che il pazzo furioso era trattenuto da legacci, catene ecc. E’ così che si decise di togliere dodici alienati che da anni erano ai ferri. Uno di questi incatenati era un capitano inglese, rinchiuso da 40 anni. “Era guardato come il più terribile di tutti gli alienati…..; in un eccesso di furore, aveva colpito con una delle sue manette uno dei suoi schiavi e lo aveva ucciso sul colpo…. Pinel si avvicinò all’Inglese, lo esortò (in quanto il parlare occupa un posto importante in questa terapeutica) : “Credete alle mie parole, siate dolce e fiducioso, io vi rendo la libertà…” Gli vennero tolte le manette.L’inglese rimase interdetto, allontana le sue braccia liberate, fugge dal carcere, passa in una sala vicina, corre alla finestra, esclamando “What a beauty!” Tutte queste prime giornate di libertà le passa per andare e venire attraversagli immensi cortili. Alcuni si allontavanoda lui per timore, ma non c’era più niente di aggressivo nel suo atteggiamento. Tutto lo sorprende, lo meraviglia. La sera rientra nel suo alloggio tranquillamente. “ Durante i due anni che passa ancora a Bicetre, non ha più eccessi di furore, si rende utile nella casa esercitando una certa autorità sui pazzi, che guida a suo modo ponendosi come sorvegliante. Fu in seguito la volta del soldato Chevingé, un delirante che si credeva generale. Pinel, descrivendo la scena, scrive che “mai, in una intelligenza umana, rivoluzione fu più improvvisa né più completa… Appena liberato eccolo premuroso, diligente. “ Pinel ha utilizzato nei pazzi di Bicetre una psicoterapia che consisteva nel collocarli nel loro contesto sociale, in cui chiedevano di ritornare. A quelli che erano trattati come bestie, diceva: “signore, il capitano, ritornava “capitano” e il sacerdote “padre”. Bandiva le bestemmie e la blasfemia. Voleva un asilo che non fosse più una gabbia di uomini abbandonati alla barbarie, ma una sorta di repubblica del sogno dove i rapporti non si stabiliscono più che in una trasparenza virtuosa…” Altra innovazione: sull’asilo, dove non regnava, fino all’ora, che il capo supremo della polizia, nella persona di guardiano (stessa cosa nel *Medioevo, dove comandava il clero) si stabilì l’autorità del medico. Amministrativamente, sarà solo qualificato per ammettere i pensionati, per restituirli alla società. Il medico ha sotto di lui tutto il personale. Ma soprattutto, diventa agli occhi del malato un taumaturgo. Si è creata una sorte di coppia “medico-malato” nella quale si riassumono, si annodano e si snodano tutte le alienazioni.. Freud e la sua psicoanalisi saranno il risultato di tale del processo. Egli ha liberato il malato da questa esistenza in asilo nella quale l’avevano alienato i suoi “liberatori”; ma non l’ha liberato da ciò che vi era di essenziale in questa esistenza. Ne ha raggruppato i poteri, li ha tesi al massimo avvolgendoli nelle mani del medico; ha creato la situazione psicoanalitica dove l’alienazione diventa disalienante, perché, nella medicina, essa diventa soggetto “ (Michel Foucault). Il trattamento di Pinel assomiglia meno alla psichiatria moderna che alla psicoterapia. Si tratta di guarire con la persuasione, la conversazione, ma anche per un modo di vivere il più normale possibile. In quasi tutti gli alienati, secondo Pinel, c’è

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nascosto l’essere sociale, ma anche l’essere “morale” trasposizione positivista di questo “Dio in noi” che la Chiesa non ammette. Sovente l’immoralità è la causa della follia. La virtù ne sarà la guarigione come risultato naturale. “In genere non posso che rendere una testimonianza eclatante alle virtù pure e ai principi severi che manifesta spesso la guarigione. Se non nei romanzi, io non ho visto sposi più degni di essere cari, dei padri o madri più teneri, amanti più passionali, persone più dedite ai loro doveri che la maggior parte degli alienati se non nel periodo della loro convalescenza…. “(Pinel) Il numero delle ragazze cadute nell’idiotismo è sette volte più grande del numero delle donne sposate negli anni XI e XIII; per la demenza, la proporzione è di 2 a 4 volte; si può dunque presumere il matrimonio per le donne è una specie di preservativo contro le due specie di alienazioni., le più inveterate e le più sovente incurabili “(id) Per la nosologia delle malattie mentali, Pinel non ha portato innovazioni; resta alle classificazioni in uso verso la fine del XVIII secolo, e che egli riassume nell’ “Enciclopedia”: frenesia, delirio febbrile; “mania” delirio senza febbre, “tutte quelle malattie lunghe, nelle quali i malati non solo sragionano, non si accorgono di fare azioni che sono o appaiono senza motivo. Straordinarie o ridicole “malinconie”, delirio unito a una tristezza infinita, un umore cupo, una misantropia, una inclinazione alla solitudine”; “demenza”, una rigorosa “paralisi dello spirito”, vera “abolizione della facoltà di ragionare”. Pinel, dopo essere stato medico capo di Bicetre fu nominato alla Salpetriere (1795) dove compì le stesse riforme. Diventa, inoltre, professore di fisiologia alla Scuola di medicina di Parigi,e subito dopo professore di patologia interna. POTAIN Pierre.Medico francese (Parigi 1825-1901) Professore aggregato alla facoltà di Parigi è stato un pratico di grande valore, consultato soprattutto per le malattie di cuore e dei polmoni, di cui ha perfezionato la diagnosi. Fu anche inventore di strumenti medici, come un apparecchio aspiratore per problemi pleurici (pratica già nota e usata da Trousseau sotto il nome di “toracentesi”)., un miscelatore per contare i globuli del sangue e un “sfigmomanometro”, il primo apparecchio di misurazione della pressione arteriosa che si conosca. PRIESTLEY Joseph. Chimico, filosofo e teologo inglese (Fieldhead, vicino a Leeds 1733 – Northumberland, Pensilvenia, Stati Uniti 1804). “Chimico, a tempo perso, per rilassarsi dalle sue discussioni teologiche. Ha lasciato 7 o 8 volumi di scienze imperiture e cento grossi in-folio di teologia che nessuno leggerà. La chimica, che sdegnava, fu la sua gloria. Le sue opinioni radicali, le discussioni aspre contro la Chiesa anglicana provocheranno la sua rovina e la sua morte lontano dalla patria… (Dehèrain “Annuario scientifico”1863). Fu il primo a produrre ossigeno puro, ciò fu una grande scoperta. Un’altra riguarda l’arte del guarire, e soprattutto la chirurgia: l’uso dell’anidride azotica, il primo anestetico ottenuto in laboratorio. Sottolineò come questo gas, ottenuto mescolando limatura di ferro con acido nitrico e riscaldando il tutto faceva cadere in un sonno profondo i topi. Con questo esperimento inizia la storia dell’anestesia (v. Davy, Long, Morton) QUESNAY Francois. Medico ed economista francese (Méré, vicino a Monfort-l’Amaury 1694-Versailles 1774) Diventa chirurgo a Parigi, poi si stabilisce a Nantes, diventa chirurgo del duca di Villeroi, poi del re, che lo chiama “il Pensatore”. Questo piccolo uomo dai tratti scimmieschi, pieno di spirito, fu chiamato da Luigi XV per proteggere la Pompadour. Non ha mai raccomandato ai suoi malati che rimedi naturali. Al re, che si

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era abbandonato agli eccessi della tavola e sofferente per una forte indigestione, Quasnay prescrive del vino di Borgogna, e sua maestà avrà sollievo. Ad altri, raccomanda cure di uva, ai sofferenti di reumatismo bagni di fango. Le cure termali non avranno miglior estimatore. In realtà, la sua medicina è la conseguenza della sua filosofia economica, che lui chiama “fisiocrazia” perché non vuole conoscere altre leggi se non quelle della natura. Si addottorerà alla facoltà di Pont-à-Mousson.”Dall’inizio del mondo, disse, in sua lode il marchese di Mirabeau, ci sono tre scoperte che hanno dato alla società politica la sua solidità: la prima è la invenzione della scrittura; la seconda è l’invenzione della moneta; la terza, che è la risultanza delle altre due, è il “quadro economico” di Quesnay…. RABELAIS Francois. Scrittore e medico francese (La Devinière, vicino a Chinon v. 1494-Parigi 1553) Inizia a 35 anni i suoi studi di medicina a Montpellier Per ottemperare all’obbligo imposto ai baccellieri di insegnare per tre mesi, espone gli “Aforismi” di Ippocrate e “L’ars parva” di Galeno traendo partito dai suoi precedenti studi filosofici per rettificare il testo greco, da un manoscritto che possedeva. Non divenne dottore che il 22 maggio 1537 ma dal 1531 esercitò con talento e successo. Da Montpellier si reca a Lione, dopo la pubblicazione della sua prima opera “pantagruelica”: “ Grandi e inestimabili cronache del grande e enorme gigante Gargantua (1530-1535). A Lione aiuta Etienne Dolet e Sebastien Gryphe nella pubblicazione delle loro edizioni greche e latine. Il tomo secondo delle “Epistole mediche” di J. Menardi*, edito da Gryphe (Lione 1532) è preceduto da una epistola dedicatoria firmata da Rabelais. Dopo molte peregrinazioni attraverso l’Italia e un soggiorno a Parigi, praticherà la medicina all’ospedale maggiore di Lione, dove si dedica particolarmente al trattamento della sifilide, seguendo il metodo dell’italiano G. Torella. Questo metodo consisteva nel far sudare gli ammalati nei forni, sottoponendoli per 15 giorni a una dieta assoluta. La biblioteca di Lione possiede un esemplare unico, metà serio e metà spiritoso, di un trattato composto da Rabelais su il “mal napoletano”. Si chiama “Il trionfo” Che specie di medico fu Rabelais? Senza dubbio quello che ha proposto come modello : “ha la faccia giocosa, serena, graziosa, aperta al divertente”, ossia l’opposto del medico: dolore, tetro, burbero, poco divertente, scontroso, severo e dal volto arcigno”. Fu l’apostolo della medicina naturale e ha suggerito la cura dell’uva, che diventa di moda. La sua prescrizione è quella di mandiare a digiuno uva con focaccia fresca. Nel capitolo XXX° del quarto libro “, Queresme Prenant parla di anfiteatro anatomico.Come chirurgo, Rabelais avrebbe inventato un bisturi che permetteva lo sbrigliamento (chir.) delle ferite e che Ambroise Paré avrebbe copiato (il siringotomo). RAMAZZINI Bernardino.Medico italiano (Capri 1633 - Padova 1714) Lo si può considerare come l’iniziatore della medicina del lavoro. Fu nel vedere un operaio, che lavorava in un pozzo nero, che si sentì “disturbato dallo stesso acido volatile che anneriva le monete di bronzo e di argento” ossia dall’idrogeno solforato e avrebbe deciso di specializzarsi nello studio delle malattie professionali. Nel 1700, pubblicò la sintesi delle sue osservazioni sotto il titolo “De morbis artificum diatriba” nel quale si trovano descritte le malattie legate a una cinquantina di mestieri: coliche dei lavoratori del piombo (idraulici), malattia degli smaltatori, dei pittori di vetri, vittime dell’antimonio e dello stagno, idrargismo cutaneo degli indoratori, intossicazioni dei medici che hanno maneggiato il mercurio. Per ognuna di queste malattie professionali, indica le misure di protezione necessarie. La sua opera è stata tradotta in tutte le lingue europee. Ramazzini ha fatto parte della celebre società dei “Curiosi della natura” sotto il nome di Ippocrate III°.

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RAMON Gaston. Microbiologo francese (Bellechaume,Yonne 1886 – Garches 1963). Dopo i suoi studi alla Scuola veterinaria di Alfort, fu direttore dell’annesso Istituto Pasteur a Garches (fino al 1944), nello stesso tempo vicedirettore (giugno 1940) dell’Istituto Pasteur di Parigi. Si deve a Roux (v.q.n.) come anche a Emil von Behring (v.q.n.) e al giapponese Kitasato, la sieroterapia antidifterica, a Ramon si deve l’immunizzazione contro la terribile malattia. Nel 1924, nel corso dei suoi esperimenti sul bacillo della difterite, scoprì l’ “Anatoxina”: il risultato di una preparazione della tossina miscelata con formol ( e sottoposta per più giorni a una temperatura di 40° C.). L’anatoxina costituisce un eccellente vaccino, che potè essere utilizzato contro il tetano, la stafilocossia, ecc. E’ anche l’autore di un metodo, detto della locazione, per titolare le tossine e le anatossine.I suoi lavori hanno permesso la pratica della vaccinazione associata (antidifterica, antitetanica, antiifoparatifoida, ecc.) Ha diffuso in modo considerevole l’opera di Pasteur e di Roux. E’ grazie alle sue scoperte se la difterite e il tetano sono malattie in via di estinzione. RENAUDOT Théophraste. Medico e giornalista francese (Londra 1584 – Parigi 1653) Andò, ancora giovane, a Parigi dove studiò nella bottega di un chirurgo-barbiere. Si impegnò negli studi di medicina e ricevette a Montpellier, nel 1606, il berretto di dottore. Di ritorno a Parigi, ottiene , grazie alla protezione di P. Joseph, la famosa “eminenza grigia”, il titolo, puramente onorifico, di medico del re. Quest’uomo pieno di idee, immagina ogni sorta di modi per arricchirsi, trascurando la medicina. Crea, in rue la Calandre, un ufficio dove tiene tutti gli indirizzi di persone abbastanza in vista a Parigi: il primo Bottin! A questo se ne aggiunge un altro che si occupa di investimenti; poi seguendo lo moda italiana, un monte di pietà che presta al tasso del 3% su un qualsiasi oggetto “impegnato”. Altra idea più importante , seguendo l’esempio di Londra: la fondazione di un giornale; prima manoscritto e in seguito stampato, con periodicità settimanale. L’ultima delle quattro pagine era riservata alla pubblicità. Lì, Renaudot, rammentandosi di essere medico, forniva l’elenco dei medicamenti preparati per le cure da lui suggerite. Insisteva sui benefici dell’antimonio, fortemente sospetto alla Facoltà di Parigi, e principalmente da Gui Patin. Aveva inventato, inoltre, delle consultazioni gratuite, e non potendo far fronte da solo, aveva fatto venire quindici medici da Montpellier e da altre facoltà francesi. Ciò era un grave colpo inferto alle prerogative della Facoltà di Parigi. Questa dotta compagnia intentò un processo a Renaudot e lo perse perché i giudici sapevano che Renaudot era il protetto del cardinale di Richelieu. Morto questi, tutto cambiò per lui e venne perseguitato per esercizio illegale della medicina. La Facoltà di Montpellier inviò un rappresentante per perorare la sua caus. Fu questa, davanti ai giudici, la battaglia delle Facoltà: Parigi l’ebbe vinta. Il 1° maggio 1664, Renaudot venne condannato. Ebbe, durante i suoi ultimi anni, il sostegno di suo figlio Eusebio che lo aveva costantemente aiutato nelle sue imprese e che, anche lui medico, fu il protetto della delfina Maria Anna Cristina di Baviera (morta a Parigi nel 1679). La “battaglia dell’antimonio” ha divertito i Parigini, e Moliére per primo, per il suo lato comico. Renaudot era favorevole all’antimonio mentre Gui Patin (contrario) non trovò sufficienti parole, in francese e in latino, per avere la meglio sul suo avversario e sostenitori: questa “turba stibiale” (dal latino “stibium”, antimonio). Possiamo vedere Renaudot, sul Pont-Neuf, che a mo’ di saltimbanco, vantare le proprietà di questo prodotto chimico, sovrano per ogni tipo di affezione intestinale. Per ventidue anni, partigiani e detrattori dell’antimonio hanno continuato ad affrontarsi. Francois Guénaud, succeduto al medico interdetto, seppe , come medico alla moda, eccitare il brio (la verve) di Boileau. Guénaud,con clamore, andava a dimostrare le virtù del rimedio descritto per guarire

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Luigi XIV°, ammalatosi nel corso della campagna delle Fiandre. Vino emetico ( a base di tartaro di antimonio). Qualche anno dopo, il 6 agosto 1666, un decreto autorizzava l’uso di questo emetico. Gui Patin fu obbligato ad inchinarsi. La guerra dell’antimonio era finita ma Renaudot non c’era più per poter gioire della sua vittoria. RICHET Charles. Fisiologo francese (Parigi, 1850-1935).Membro di una grande famiglia di medici parigini, fu allievo di Marey, di Claude Bernard, di Mareelin Berthelot. Condusse, all’inizio della sua carriera, ricerche sui succhi gastrici, la polipnea termica*, gli effetti ipnotici del cloraloso*, interessandsi anche ai fenomeni sopranaturali. Il termine di “metapsichica”, designa la scienza di questi fenomeni (ipnosi, sonnambulismo, trasmissione del pensiero, divinazione, apparizioni, ecc.) è stato creato da lui. Nel 1888, stabilisce il transfert (trasferimento) della immunità passiva, che egli annuncia in questi termini: “Per iniezione di sangue di un animale immunizzato, si trasmette al secondo animale l’immunità del primo”. Nel 1901, in compagnia di Portier, a bordo dello yacht del principe di Monaco - uno dei più bei panfili del mondo - e equipaggiato per scopi scientifici, studia alcuni elementi biologici marini. Nota , per esempio, che la “fisalia”* (o ortica di mare) getta un cane in uno stato ipnotico, mentre l’anemone di mare produce, per un umore uscito dai suoi tentacoli, effetti congestizi. La prima scoperta veramente importante di Richet è l’”anafilaxia”. Ritornato in Francia, Richet e Portier iniettano, a più riprese, a un cane questo prodotto tossico. Prevedono l’immunizzazione, come quella che si produce con la vaccinazione batterica. Ma il cane, lontano dal mostrarsi vaccinato contro nuove iniezioni , appare di volta in volta sempre più sensibile, e tanto più sensibile quando l’intervallo che separa le due iniezioni è più lungo. Nel 1902, Richet e Portier pubblicano una memoria sulla “anafilassi” che descrivono in questi termini. “Le sostanze colloidali iniettate per la seconda volta a un animale hanno una azione mortale a una dose ben più debole di quella della prima dose mortale” Il fenomeno della anafilassi (dal greco: “ana” contrario e “philasis” protezione) può dunque essere definito come l’esaltazione della sensibilità a riguardo di una sostanza determinata con la introduzione preliminare di questa stessa sostanza. Questa scoperta spiegherà un gran numero di accidenti mortali (asma, emicrania,eczema), la “malattia del siero” e certe intossicazioni alimentari. Lo stato anafilattico è dovuto agli anticorpi sviluppati dall’organismo in seguito alla introduzione dell’antigene. Lo shock anafilattico che segue l’iniezione scatenante si spiega con la reazione fra gli anticorpi e gli antigeni. L’uomo come l’animale può presentare un shock anafilattico dopo l’introduzione di una sostanza se è stato sensibilizzato da numerose iniezioni anteriori della medesima sostanza. E’ a partire da questa scoperta che incomincia la storia delle malattie da sensibilizzazione, e principalmente l’ “allergia”. L’anafilassi , l’allergia e l’immunità sono le tre manifestazioni di ciò che si è chiamato il “ricordo allergico” dando luogo a una reazione forte (anafilassi da opposizione), a una reazione differente dalla prima reazione (allergia) dove ciò che si potrebbe chiamare l’ “oblio”, è l’immunità (vaccino). Qualche titolo dell’opera di Richet mostra la molteplicità delle sue indagini: “Ricerche sperimentali e cliniche sulla sensibilità”(1877), “Struttura delle circonvoluzioni cerebrali” (1878), “Del succo gastrico nell’uomo e negli animali”(1878), “Fisiologia dei muscoli e dei nervi” (1882), “L’uomo stupido” (1919), “Trattato di metapsichica”(1923), “L’uomo impotente” (1927), opere alle quali bisogna aggiungere drammi, poesie, romanzi sociali, articoli di stampa…. Charles Richet ha passato molto del suo tempo nello studio dei fatti metapsichici. Nel 1905, viene eletto presidente della Società per le ricerche psichiche, la cui sede è a Londra, il cui scopo è quello di riunire e di esaminare le testimonianze relative ai fantasmi, alle premonizioni, ecc. Il suo “Trattato di metapsichica” è un insieme consideravole di osservazioni più o meno

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scientifiche e probanti episodi paranormali, fatti dall’autore stesso e da altri. Richet, avversario determinato dell’ipotesi spiritica, tenta di dare di questi fenomeni una spiegazione che non contraddice le leggi fisiche comunemente accettate. L’ “ectoplasma”, questa sostanza ipotetica per gli uni, e per lui ben reale, spiega in modo più soddisfacente le meraviglie della “telechinesi” che la “forza vitale” degli spiritualisti. La sua collezione di fotografie abbonda in immagini sorprendenti, dove si vede, per esempio, Eusapia Paladino, la famosa medium italiana, in stato di trans mentre fugge da sotto il suo vestito una specie di leva ectoplasmica che solleva un tavolo di 20 chili. A villa Carmen di Algeri, sembra che lo scienziato sia stato vittima dell’amabile mistificatrice Marthe Béraud. Costei avrebbe allora evocato nella sua cerchia di persone algerine la sua frode e il piacere provocato ad abusare di un grande scienziato, davanti al quale aveva fatto apparire un “fantasma” con casco e baffi. Quando si tratta di fenomeni soggettivi, come la premonizione, la telepatia, Richet è ancora più conciso nelle sue ipotesi di quando medita sui fenomeni oggettivi. Lì il suo materialismo non può che porre domande senza risposta e si deve accontentare di “tutto passa come se…” “Il mondo reale, ha scritto, emette attorno a noi delle vibrazioni. Alcune sono percepite dai nostri sensi. Altre non percepibili dai nostri sensi, sono svelate da apparecchi fisici. Ma ce ne sono altre ancora non percepite dai nostri sensi o dai nostri apparecchi di fisica che agiscono su certe intelligenze umane (veggenti, medium, per esempio) che rivelano loro frammenti della realtà….” Richet sembra che abbia creduto per qualche tempo a un “sesto senso” (tale è il titolo dato a uno dei suoi libri) per il quale certi individui attraverserebbero i muri, abolirebbero il tempo, ammaestrerebbero le forze magiche. Al termine della sua vita, non ci crede più, avendo invano cercato in ciascuno di noi un rudimentale, “coltivabile”, sesto senso. Ancora meno alla realtà del paranormale. Rinunciò solo a formulare un’ipotesi. “Io credo all’ipotesi sconosciuta che sarà quella di domani, ipotesi che io non posso formulare perché non la conosco…Attualmente tutto è tenebra.” I metapsichici non nascosero che con Richet, a causa del suo materialismo, la metapsichica subì un certo discredito. Ci ha dato l’immagine di uno scienziato probo, abile e anche geniale per certi versi, che non ha mai potuto apportare all’esistenza del paranormale una sola prova convincente. Come San Tommaso che non poteva credere che in ciò che vedeva e toccava, così Richet rimaste deluso ed incredulo. Coloro che credono non hanno bisogno di Charles Richet per credere ne attendere ipotesi future. RICORD Philippe. Chirurgo e dermosifilografo. (Baltimora USA, 1800 – Parigi 1889). Ricco ozioso americano, naturalizzato francese, si reca a Parigi per divertirsi col pretesto degli studi giuridici. Un giorno, non avendo nulla da fare, si reca all’Ospedale Maggiore. Ascolta una lezione di Dupuytren e decide di diventare medico. Studente, poi interno, è destinato proprio al servizio di Dupuytren, che non può sopportare a lungo il suo humor alla Marc Twain. Diventa chirurgo ed esercita per qualche tempo a Orleans. Suo padre, armatore, è in rovina; per qualche tempo smette di fare la bella vita. Il buon esito di un concorso lo rimanda a Parigi. Ci arriverà a cavallo, elegantissimo, in redingote, in alta uniforme grigia, coi guanti.. Eserciterà ( ha più di trentanni) all’Ospedale del Midi. E’ specializzato nello studio e nel trattamento delle malattie veneree. La sua discrezione come pure il suo talento gli porteranno una ricca clientela di ambo i sessi, che premono nel suo appartamento di rue de Tournon. “Il primo salotto, si legge nel ‘ Grande Dizionario Universale del XIX° secolo” è letteralmente ingombro di uomini, muniti ciascuno di un cartoncino con un numero d’ordine, stando al quale vengono chiamati. Nel secondo aspettano le signore, che vi accedono da uno scalone particolare e nascosto. Nel terzo sono introdotte le persone che si fanno annunciare o che hanno lettere di raccomandazione…” E il dizionario ci descrive in dettaglio il “salotto di

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ricevimento”, splendido, coi muri ricoperti di tele d’autore e il cui caminetto presenta due busti in marmo: quello di Cesare e quello di Ricord!. Quest’uomo sempre affabile, sorridente, gran mangiatore, allegrone, era anche un uomo coraggioso. Durante l’assedio di Parigi, si dedicherà completamente al servizio di ambulanza, dirigendo il trasporto dei feriti sotto il fuoco nemico, consumandosi per prestare le cure a tutti. La sifilografia, questa scienza più di ogni altra piena di errori, è grazie a lui, resa chiara. Egli stabilì che la blennoragia semplice deve essere completamente separata dalla sifilide (se ne dubitava ancora!), che la lesione ulcerosa non recidiva; che i bambini nati da genitori sifilitici, ma che sono nel periodo terziario, non ereditano la malattia ecc. Curò Napoleone III° per dei calcoli alla vescica di cui non riusciva a liberarsi. Il decadimento fisico che ne seguì, così evidente nell’ultimo ritratto dell’imperatore, è considerato come una delle cause dei nostri disastri. ROENTGEN Wilhelm Conrad. Fisico tedesco, inventore dei raggi X (Lennep, Renania 1845 – Monaco 1923). E’ il 6 gennaio 1896 quando un cablogramma spedito da Londra, annunciava al mondo la novità. “I rumori della guerra, si tratta della guerra del Transvaal, non devono stornare l’attenzione di un trionfo meraviglioso della scienza, la cui notizia ci arriva da Vienna. Si riferisce che il Prof. Roentgen, dell’Università di Wuerzburg, ha scoperto una irradiazione che permette la fotografia attraverso il legno, la carne e la maggior parte dei tessuti organici. Il professore è riuscito a fotografare dei pesi metallici in una scatola in legno e una mano umana di cui non si vede che l’osso, la carne resterà invisibile Qualche mese prima, il professor Roentgen, nel suo laboratorio personale, era occupato in divesi lavori di fisica. Si preoccupava specialmente, a quell’epoca, dei fenomeni prodotti dal passaggio dell’elettricità attraverso il vuoto. Aveva già notato che, in un tubo dove si è fatto il vuoto, la corrente passa sprigionando colori straordinari. Impiegava per i suoi esperimenti un tubo di Cookes Hittorf chiuso in una zona opaca, di cui si conserva l’originale al museo scientifico di Monaco. Con sua grande sorpresa, Roentgen si accorge che quando la corrente passa nel vuoto, strani chiarori apparivano, benché il tubo fosse opaco, su uno schermo.Non poteva trattarsi di raggi catodici, doveva essere raggi di natura sconosciuta. Il giorno dopo questo esperimento, incarica Marstaller, il suo giovane di laboratorio, di passargli una pila di carta fotografica, e constata , con suo grande stupore che tutta questa carta è stata impressionata e che porta stampata la marca di una scatola di ferro che si trovava “sulla” tavola nonché un anello matrimoniale in oro che aveva sistemato in questa scatola. La notte seguente, facendo di nuovo passare la corrente, ma a più alta tensione, nel suo tubo, si rinchiude nella stanza vicina, e spegne la lampada.. Attraverso la porta, questa lampada la rischiara sempre. Distinguerà subito ciò che nessuno aveva ancora visto: è una mano, la sua, dall’osso visibile…. Quando si recò, il 28 dicembre 1895, dal prof. Lehman, presidente della Accademia delle Scienze di Wuerzburg, proferisce parole, all’indirizzo di sua moglie: “Ecco, il diavolo sguinzagliato!” Questo diavolo si è rivelato essere un buon genio. Oggi, la maggior parte della diagnostica si appoggia, più o meno direttamente, su una constatazione o una conferma radiologica. Di più, ciò che Roentgen aveva previsto si era avverato. Si è fatto dei raggi X non soltanto un mezzo di investigazione, ma un potente mezzo terapeutico, uno dei rimedi meno deludenti per i cancri profondi o superficiali, certe affezioni cutanee, nevralgie ribelli, i gozzi esoftalmici, i fibromi uterini, le leucemie. Diavolo tuttavia per i danni che può provocare. Il suo uso non è stato senza disastri. La radiologia ha il suo martirologio, dove si iscrivono i nomi di Albers-Schoenberg, Holzknecht, Freud, Grabbe in Germania, Bergonié Radiguet in Francia, Blackhall in Inghilterra, Caldwell in America e tanti altri….

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ROUX Emile. Medico e batteriologo francese (Confolens 1853- Parigi 1933). Nel 1878, presentato dal suo maestro Duclaux, è accolto da Pasteur in rue d’Ulm. Il grande scienziato, che andava separandosi da Joubert, l’associato ai suoi lavori. Il tempo è d’altronde venuto a mettere al servizio dell’uomo le scoperte di Pasteur; Emile Roux ottiene il dottorato in medicina, mentre Joubet è fisico. “ Emile Roux, ha scritto R. Legroux, che lo conosceva bene, aveva un carattere totalmente opposto a quello di Pasteur. Non era né ordinato né molto ardente nel lavoro, ma aveva una intelligenza viva e serena, si adattava con rapidità, era istruito e abile; era impetuoso, il solo tratto che lo riavvicinava al suo maestro.” Lentamente, discretamente, va ad occupare una notevole posizione nel laboratorio di Pasteur. Ne diventerà il perno, poi continuerà le scoperte e, dopo dieci anni, sarà giudicato degno di dirigere quel laboratorio… E’ con Emile Roux e Chamberland, suo contemporaneo (1851-1908), che Pasteur scoprirà il responsabile della setticemia puerperale: lo “streptococco”, microbo in “grano di rosario” Questa vittoria sarà annunciata alla Accademia di Medicina in una comunicazione letta da Pasteur, ma redatta da Roux. Emile Roux ha raccontato come, dopo le sedute spesso tumultuose dell’Accademia, Pasteur arrivava in rue d’Ulm furioso al punto di ingiuriare da lontano i suoi contradditori (“gli imbecilli, i cretini”), colpendo il tavolo con il suo bastone, un bastone con la punta di caucciù, perché, dopo un attacco di apoplessia, camminava con difficoltà. Appena calmato si informava dei lavori del giorno, poi scendeva nel sottoscala per esaminare le galline e i conigli inoculati, strappava le etichette fissate da Roux e le redigeva di suo pugno, con lo scopo di meglio paragonare lo stato delle ricerche. Un giorno, appena arrivato nel suo laboratorio, dopo una lunga assenza, Roux gli segnalò che una gallina aveva resistato all’inoculazione ripetuta di cultura di microbi del colera dei polli. Fece alcune domande e apprendendo che la prima inoculazione era stata fatta per mezzo di una cultura vecchia, ossia attenuata, concluse semplicemente: “ Questa gallina è vaccinata…” Dopo tentativi analoghi, Pasteur può dimostrare che per ottenere l’immunità bisogna che l’invecchiamento della cultura sia tale che provochi ancora una leggera reazione, in modo che l’organismo si metta in uno stato di resistenza all’azione patogena del microbo: “Noi dobbiamo provocare una malattia benigna che metta l’animale- quanto l’uomo- al riparo degli attacchi mortali del microbo”. Il vaccino contro la malaria del carbonchio manifesta la sua efficacia nel corso di memorabili esperimenti praticati sui montoni, a Pouilly-le-Fort. Sottomettendo il liquido di cultura a una temperatura di 55°C., Pasteur ha potuto attenuare la batteride* carbonchiosa. I montoni inocultati hanno goduto di una notevole immunità (1881). Lo stesso anno, poiché aveva al laboratorio di rue d’Ulm sempre molti soggetti di studio in corso, Pasteur, con Emile Roux, definitamene associato a tutte le sue scoperte, comunica alla Accademia delle Scienze i risultati di esperimenti condotti per sei mesi sulla rabbia.* Il virus gli sfugge sempre, ha potuto determinare il suo luogo di elezione, a livello del bulbo, nella parte frontale degli emisferi cerebrali e nel midollo; fino allora non si aveva trovato virulenza se non nella saliva. 1885: è l’episodio famoso del giovane alsaziano morsicato da un cane con la rabbia. L’evoluzione della rabbia è sempre lenta. Il bambino non mostra alcun segno della terribile malattia. Il fuoco cova, tuttavia, prima che si sviluppi occorre attendere. Emile Roux ha vissuto, giorno dopo giorno, gli affanni dello scienziato che, per la prima volta, andava inoculando un virus nell’uomo e non più negli animali. Pasteur si decide infine ad intervenire. I midolli virulenti del coniglio inoculato sono iniettati nel sangue del bambino, che non contrae la rabbia. Il trattamento dura 10 giorni. Questo successo si aggiungerà alla gloria di Pasteur. Sollecitato da ogni parte, si vedrà di mese in mese spesso in rue d’Ulm, e il suo laboratorio passa sotto la direzione effettiva di Roux. Questi, proseguendo senza posa le sue ricerche, si dedica ai problemi ancora

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misteriosi delle sostanze chimiche elaborate dai microbi ai quali darà il nome di “tossine”. Un nuovo collaboratore, nella persona di un medico coloniale, Yersin, gli si aggiunge. Con lui si dedica allo studio della difterite, descritto da Klebs, poi coltivato e sperimentato da Loeffler. Roux e Yersin arrivano a dimostrare che questo microbo è l’agente eziologico della difterite, l’elaborazione di una tossina particolarmente nociva per il sistema nervoso. Il microbo è isolato e, nel 1894, al congresso di Budapest Emile Roux potrà far conoscere la notizia: la vaccinazione della difterite è possibile. Si tratta non più di una vaccinazione, ma di un trattamento con la sieroterapia. Allorché la vaccinazione conferisce all’organismo una immunità “attiva”, la sieroterapia gli conferisce una immunità “passiva”. La vaccinazione obbliga l’organismo a fabbricare degli anticorpi, che fanno sbarramento ai microbi della malattia contratta; la sieroterapia libera gli anticorpi già formati che provengono da un altro organismo. Nel primo caso, si tratta di una mobilitazione sul posto del territorio minacciato, nel secondo caso di una sorta di sbarco di soldati tutti equipaggiati, venuti da un paese amico. La sieroterapia, la cui nozione primaria è venuta dal laboratorio di Pasteur , nello studio del colera dei polli, è stata utilizzata, prima che Roux ne mettesse a punto la sua tecnica, da Maurice Raynaud, Charles Richet e Héricourt, Behring e Kitasato. Roux, nella sua comunicazione di Budapest, ha insistito sul fatto che il siero antidifterico agisce come l’acqua in un incendio: impedisce l’estendersi del male, ma non ripara i danni. L’azione rapida si impose da che la difterite è stata diagnosticata. La sieroterapia antidifterica è stata perfezionata da Ramon (v.q.n.) per mezzo dell’anatossina. Fra le altre scoperte si deve ancora ad Emile Roux quella della peripneumia dei bovini (1898). Ha dimostrato con Metchnikov che si poteva fare lo studio sperimentale della sifilide utilizzando scimmie antropoidi. RUFUS D’Efeso Medico e anatomista greco (III° se.d.C.) sotto il regno di Traiano. Si è acquistato una grande reputazione, specialmente nel mondo arabo, per un certo numero di opere, giunteci incomplete,fra le quali: “I nomi” che hanno ricevuto le diverse parti del corpo: curiosi riassunti di conoscenze anatomiche degli Egizi. Ha lasciato uno scritto sui disturbi mentali. Gli vengono attribuiti dei compendi sul ruolo degli impulsi e sessuali (v. Freud) e sull’importanza dei sogni nell’analisi di certe casi patologici. Per primo, così sembra, ritenne la febbre un mezzo di difesa contro alcune malattie infettive, compresa l’efficacia delle febbri artificiali, procedimento che sarà riscoperto nel XX° secolo e utilizzato sotto il nome di “pyroterapia”

SCULTET Jean. Il cui vero nome era Joann Schultes; chirurgo tedesco (Ulm 1595-Stuttgart 1645). Dopo aver esercitato a Padova e a Venezia, ritorna nella sua città natale, dove acquistò grande reputazione. Il suo nome è legato a una sorta di bendaggio ancora oggi impiegato. La sua opera “Armamentarium chirurgicum”(Ulm, 1643), illustrata da curiose incisioni, è stata più volte reedita. SEMMELWEIS Ignàc Fueloep. Chirurgo e ostetrico austriaco (Buda 1818-Wien 1865). Nel 1847, nominato assistente alla “Maternità” di Vienna, constatata con spavento il numero di donne mortalmente colpite da febbre puerperale. Nota, ben presto, che uno dei servizi dell’ospedale, dove gli studenti non hanno accesso, la proporzione dei casi mortali diminuisce e scende al tre per cento. Quello stesso anno, la morte del suo compagno Kolletchka, in seguito a una puntura nel corso di una autopsia, è per lui un raggio di luce. La pioemia che lo ha portato via presenta esattamente gli stessi sintomi

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della febbre puerperale. L’inflazione ha dunque per origine i cadaveri della sala dove si eseguono le autopsie, dove le levatrici non vanno mai: sono perciò le mani degli studenti che trasportano i germi. Invano, Semmelweis, tenta di convincere i suoi colleghi che non ci sarebbe più, all’ospedale, queste acatombe di donne gravide, se gli studenti non vi avessero accesso e se si accettasse l’idea che i germi patogeni sono portati dall’esterno e non nati, per generazione spontanea, nella cavità uterina. Le misure igieniche che impose ai suoi studenti fecero scendere la mortalità dal 6 all’1%. Riprende violentemente il “capo” della maternità, che rifiuta di piegarsi alla disposizione. Lo si è descritto in questo modo: “Estremamente nervoso, si faceva pochi amici, uno sguardo di ghiaccio”. Revocato, va in Ungheria. A Budapest, gli viene affidata la direzione della maternità. Trova la stessa incomprensione di Vienna, e i suoi colleghi devono ammettere che la diminuizione dei casi di mortalità è dovuto alle misure di igiene imposte. L’idea che dei germi invisibili possano essere trasportati dall’esterno all’interno dell’organismo, e che questi germi possano essere specifici della malattia che essi provocano, sono argomenti respinti dai pseudo-scienziati. Il microscopio è ancora impotente a mostrare questi microrganismi ai quali si darà il nome di “microbi”. Solo nel 1880, sotto l’occhio di Davaine e di Rayer, apparvero dei bastoncini nel sangue di un montone malato di carbonchio. La cortina si era alzata sul mondo immenso e onnipresente dell’infinitamente piccolo. SENAC Jean Baptiste. Medico francese (vicino a Lombez 1693-Parigi 1770). Dopo aver abiurato il protestantesimo per farsi gesuita, entra nella carriera medica. Diventa medico del maresciallo di Saxe, medico da consulto, poi primo medico di Luigi XV (1752), consigliere di Stato e sovrintendente delle acque minerali del regno. Gli si deve la sintesi della medicina del cuore per il suo “Trattato della struttura del cuore, della sua azione e delle sue malattie”(1749). Ha condotto buoni studi sulle “aritmie”, ossia, le irregolarità nella contrazione cardiaca, percettibili per auscultazione (che ha praticato) e per la palpazione del polso. SERVET Michel. Medico e filosofo spagnolo (Tudela 1511, bruciato a Ginevra nel 1533). A Ginevra, lungo il rettilineo che dalla stazione porta al lago, un monumento di Servet lo rappresenta nell’atto - liberato dalle fiamme- di proclamare la sua fede. E’ un monumento riparatore voluto da Ginevra, la Roma calvinista alla vittima della Riforma*. Figura strana quella di questo teologo che unisce contro di lui Roma e Ginevra, tutte le università d’Europa, e di cui, a dire il vero, la dottrina non poteva trovare posto in alcuna teologia del suo tempo, alla fede evangelica e panteista. Dottrina che aveva fatto dire a Zwingli, il discepolo di Lutero: “Fate bene attenzione! Il sistema falso e pernicioso di questo temibile spagnolo rovescerà tutte le basi della religione cristiana…” All’età di diciotto anni, Servet lascia la Spagna e comincia una vita itinerante, inquieta, combattiva. A Tolosa, dove è andato per studiare diritto (1528), scopre la Bibbia e si dedica allo studio delle Scritture, lettura che lo rende “angosciato a riguardo della verità” Febbricitante, scrive:” Errori della Trinità” che non osa mostrare a nessuno. Sarà presto meno prudente. Un viaggio in Italia (1529) come segretario dell’aragonese Juan de Quintana, capellano dell’Imperatore Carlo V°, gli permette di visitare Roma, la “Babilonia” di Lutero, dove non vuole vedere, pure lui, la “bestia più scellerata delle bestie, la più impudica delle prostitute….” Nel 1530, eccolo in Germania: mette a confronto le sue idee con quelle dei riformati. Avvicina Melanchthon, che, a sentirlo, impallidisce, come impallidirà Zwingli. Questo Dio di Servet spaventa perché è un Dio senza limiti, presente in tutte le sue creazioni, completamente differente dell’ “Essere biblico”, questo

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interlocutore, questo giudice, questo padre. “Dio, ha scritto Servet, è aria nell’aria, fuoco nel fuoco, nembo nel nembo, legno nel legno, pietra nella pietra….” Il suo cristianesimo è un pancristianesimo: “Il figlio di Dio è tutto per noi e contiene tutto… E’ a volte sacrificatore, tempio e vittima….” Rifiutato dappertutto, come lui stesso si disgusta di tutto, trova rifugio e si guadagna il pane a Lione, città accogliente alle singolarità dello spirito. I fratelli Trechsel (1534), stampatori, lo ospitano e impiegano il suo talento. Lo incaricano di stabilire una nuova edizione della “Geografia” di Tolomeo. A distanza di qualche mese, correggendo le bozze di un’opera di medicina, prende gusto a quest’arte. Si mette a frequentare gli ospedali, prende lezioni di anatomia e può, nel 1537, sotto il nome di Villanova, pubblicare un trattato di terapeutica che verrà riedito cinque volte. Proseguirà i suoi studi a Parigi, riceve il berretto di dottore, si ritaglia una piccola celebrità alla facoltà di medicina per il posto riservato, nelle sue lezioni, all’astrologia. Indagato, il decano Jean Tagault lo richiama all’ordine, invano. Il Parlamento di Parigi ne è investito. Servet rischia l’intimidazione: abbandoni questa scienza diabolica e si mostri più sottomesso alle autorità. Le idee di Servet, in medicina, richiamano quelle di Paracelso (v.q.n.). Ce ne sono di pazze come di assennate. Per non parlare che di quelle assennate, richiamiamo l’attenzione sul fatto che fu uno dei vari anatomisti del suo tempo ad avere constatato che non c’è comunicazione fra i due ventricoli del cuore (è sufficiente guardare. Ma a quei tempi chi sapeva guardare?), nozione che sarà ripresa da Vesalio, due anni dopo, e, nel secolo seguente, da Harvey, che non potrà che applaudire alle intuizioni di Servet: “ A partire dal ventricolo destro, il sangue si dirige in un lungo condotto verso i polmoni, dove si depura: diventa più chiaro e passa dalla vena arteriosa all’arteria venosa. E’ così che lo spirito vitale (tradurre: l’ “ossigeno”) si spande dal ventricolo sinistro del cuore nelle arterie di tutto il corpo”. Servet lascia Parigi e va ad esercitare la medicina vicino a Lione, a Charlieu. Ci resterà tre anni prima di entrare al servizio di Pierre Paulmier,arcivescovo di Lione, che farà di lui il suo medico personale. Per Servét sono gli anni più belli della sua vita. In un recesso dell’Arcivescovado, installa una biblioteca e un laboratorio. Ha tutte le possibilità di dissezionare cani e gatti, scrive i suoi commenti biblici. L’arcivescovo, uno spirito liberale, non ci trova niente da ridire. La sera, vicino al fuoco, il prelato ama intrattenersi con il suo medico sulle funzioni della milza, per passare poi alle più astruse questioni teologiche. Tuttavia, già da qualche anno, un’ombra aleggia, quella di Calvino, sulla vita di Servet. Lui è il Papa della nuova religione. Furono sul punto di incontrarsi a Parigi, nel 1534. Si erano dati appuntamento per una disputa teologica, nel sobborgo Saint-Antoine. Servet, non si sa perché, non si presenta. Si mostra subito assillato dal desiderio di guadagnare alle sue idee il maestro di Ginevra e lo subissa di lettere. Nel mese di aprile 1546, questa corrispondenza cessa bruscamente. Questo silenzio fu in seguito all’invio da parte du Servet di un manoscritto intitolato “La Restituzione” e del quale chiede il parere al riformatore. Calvino si astiene prudentemente. Nulla gli sembra più pericoloso per la sua riforma di questa teologia di un illuminato che osa apertamente farsi suo censore e denunciare, nella “Istituzione cristiana, mille vestigia dello spirito romano…”. Nel 1553, Servet pubblica la sua “Restituzione” firmata con le sue iniziali M.S.V. (Michel Servet de Villeneuve) e senza il nome dello stampatore. Alla lettura di quest’opera, Calvino si mette in relazione grazie alla intermediazione di un rifugiato francese, Guillaume de Trye, con l’inquisitore Ory, di Lione, pregandolo di “inquisire” il colpevole. Costui, presto raggiunto, viene gettato in prigione (4 aprile 1553), da dove fuggirà all’inizio del quarto giorno di detenzione. Animale braccato, erra sulle montagne, con l’intenzione di andare in Italia., dove ha degli amici e dei sostenitori. Il demonio lo fa passare per Ginevra, si attarda, va alla predica della domenica …?” C’era in lui, si dice, un’aspirazione al martirio. I fatti sembrano dimostrarlo. Appena entrato nel tempio calvinista, Calvino, avvertito, lo fa arrestare. Dopo due mesi e mezzo di detenzione – e di torture morali e fisiche – è condannato a

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essere bruciato vivo per i suoi “errori”e “blasfemia”. Mentre le fiamme lo avviluppano, “prega, ha ammesso lo stesso Calvino, come in mezzo alla Chiesa di Dio”. SKODA Joseph. Medico austriaco (Pilsen, Boemia, 1805 – Vienna 1881). Come il suo compatriota Auenbrugger (v.q.n.) pratica la percussione e si rivela un emulo di Laennec dando grandissima importanza all’auscultazione. Il suo “Trattato di percussione e di auscultazione” apparso nel 1839, riprenderà questo mezzo di diagnosi attraverso i paesi di lingua tedesca. Fra tutti i rumori stetoscopici che ha notato nell’auscultazione della pleurite, uno ottenuto per percussione sotto la clavicola, ha ricevuto il nome di “rumore scoolico”. E’ singolare che Skoda, sebbene medico, si sia assolutamente disinteressato della terapeutica. Alcuni dei suoi colleghi e dei suoi allievi furono da lui suggestionati in materia di trattamento del malato auscultato. Rispondeva, con un gesto vago: “ Ach! Das ist ja alles eins” (Ah, questo se non è zuppa è panbagnato!”). spingendo lo scetticismo fino all’assurdo. STAHL Gorge Ernst. Medico tedesco (Anspach 1660 – Berlino 1734). Addetto alla corte di Weimar, professore all’Università di Halle, nominato da Federico II suo medico particolare e nello stesso tempo consigliere aulico, passava per un grande spirito, e nella società scientifica dei “Curiosi della natura”, alla quale Federico Guglielmo aveva offerto la sua protezione, portava il nome di “Olimpiodoro”. Aveva una parlata franca, non masticava le parole a riguardo dei suoi colleghi. Forte di un gran numero di cure riuscite, impose soprattutto la sua dottrina dell’ “animismo”. Per Stahl, il corpo è interamente inerte e passivo; tutti i fenomeni della economia vivente nascono da un solo principio: l’anima che presiede alla generazione, che costruisce il corpo dove essa abiterà, che ripara e rigenera costantemente le parti. In accordo con Cartesio e Melabranche, il corpo non trova in sé stesso, perché è passivo per natura, la forza di muoversi. Deve domandare questa forza a questo principio vitale che chiama “anima” Ogni movimento è un atto immateriale e spirituale. Quanto agli ammalati, nasce dalla lotta fra gli sforzi delle cause morbifiche e quelle opposte dalla resistenza dell’anima. I suoi principi terapeutici si accordano con il suo sistema fisiologico. “Ars curandi expectatione”(l’arte di curare con l’aspettativa)… Si trattava di “aiutare l’anima con i mezzi naturali: cordiali, energetici, calore, esercizio, pensieri elevati, ecc. Il salasso era lontano dall’essere escluso da Stahl, che, come molti suoi contemporanei, attribuiva molti dei mali alla sovrabbondanza, allo spessore del sangue. Il malato dopo un buon salasso, si sentiva più “spirituale” e ciò senza dubbio per spiritualizzare di più il fondatore dell’animismo si salassò più di cento volte nella sua vita, cifra modesta per l’epoca. L’anima di Stahl ci sembra pertanto assai nera, gelosa, vendicativa. Il suo astio fu particolarmente tenace, durò quaranta anni, contro Hoffmann (v.q.n.) che non voleva vedere nel corpo umano che una bella macchina, dove l’anima era esclusa, essendo sufficiente il proprio “tenus” SUE Marie-Joseph, detto Eugène. Romanziere e medico (Parigi 1804 – Annecy 1857). L’autore dei “Misteri di Parigi” è un transfuga della medicina, che del resto non ha esercitato che per poco tempo, sul campo di battaglia del Trocadero, nella guerra condotta da Luigi XVIII contro la Spagna liberale. Molto presto, preferirà l’atmosfera dei salottini per signora a quella delle ambulanze e degli ospedali. Poi si dedicherà completamente alla letteratura, dove riscuoterà immenso successo. Era nipote e figlio di medici. Suo nonno, Jean-Joseph Sue, fu anatomista di fama, membro dell’Accademia reale di chirurgia, autore di opere molte volte ripubblicate: “L’Antropometria o l’arte di

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iniettare, disezzionare, di imbalsamare e di conservare tutte le parti del corpo umano” (1749). Suo padre, Jenan-Baptiste, fu chirurgo-capo della guardia imperiale. Lasciò a suo figlio una considerevole fortuna. SYDENHAM Thomas. Medico inglese (Winford-Eagle, contea di Dorset, 1624-Londra 1689). Gli si devono alcune scoperte importanti. Ha costantemente esercitato la sua arte con coscienza, attenzione ai particolari, avversione per tutte le teorie sterili: qualità che lo distinguevano dalla maggior parte del medici del tempo. I suoi aforismi gli hanno valso, a giusto titolo, il nome di “Ippocrate di Inghilterra”. “L’arte della medicina non si apprende che con la pratica”. “Non costruite la casa prima di aver consolidato le fondamenta”. “Occorre che colui che descrive la storia di una malattia osservi con attenzione i fenomeni osservati, anche se gli appaiono poco interessanti. In questo si devono imitare i pittori quando fanno un ritratto; hanno cura di marcare i segni e le cose più minute che si osservano sul volto che si ritrae.”. Disapprovava i suoi colleghi che si lasciavano assorbire da occupazioni che non avevano a che fare con la medicina. Al suo studente Hans Slogane che lo interrogava a tale proposito, rispondeva: “L’anatomia? La botanica? Sciocchezze…. No, giovanotto, recatevi al capezzale del malato, è lì che imparerete a conoscere la malattia…” Nutriva una profonda avversione per la pedanteria, il bizantinismo dei medici suoi colleghi. Ad un altro studente che gli chiedeva quale libro dovesse leggere: Galeno, Ippocrate, Avicenna?, consiglia il “Don Chisciotte”. “E’ un libro molto buono. Io lo lessi….”Questa semplicità non gli impedisce di farsi amico di scrittori illustri, come Locke, che lo inizia alla medicina. Praticò assai poco il salasso, al quale preferisce la dieta e i purganti. Ricorre volentieri ai rimedi naturali, come le acque termali, l’aria calda e secca del mezzogiorno della Francia. Raccomanda ai tisici l’equitazione, l’uso di china contro il paludiamo. Guarda alla febbre come reazione salutare e nota che quella molto alta che accompagna il paludiamo ha per effetto quello di eliminare altre malattie: verità che sarà confermata nel XIX° secolo, con la “piroterapia”. Era di quelli che avevano la franchezza della propria ignoranza. “Quanto a me, confesserò francamente che avendo da trattare delle febbri nelle quali io non vedevo chiaro e non conoscendo ancora la strada che dovevo seguire, ho sopperito più di una volta alla sicurezza del malato e alla mia stessa reputazione facendo assolutamente niente…Ma una cosa deplorevole è che la maggior parte dei malati non sa che è anche un dovere di un abile medico il non fare niente in simili circostanze, e di impiegare rimedi ancora più forti. Attribuiscono a questa negligenza o alla sua ignoranza ciò che essi dovrebbero considerare come un effetto della sua probità e della sua buona fede” Preferiva alle teorie l’osservazione e l’esperimento. Si riconosce in lui la vera medicina ippocratica.

TARNIER Stèphane. Medico, ginecologo francese (Aisery, Cote-d’or, 1828- Parigi 1897). Capo chirurgo e professore alla Maternità, diede l’esempio nell’applicazione delle teorie pasteuriane nella profilassi della febbre puerperale con la antisepsi, l’asepsi, l’isolamento, esempio, che fu seguito e che produsse una riforma generale della maternità. E’ l’inventore della “incubatrice” che permette ai bambini nati prima del termine, o molto deboli, di vivere in un’atmosfera a temperatura costante. TENON Jacque René. Chirurgo e medico francese (Siépeaux, vicino a de Joigny 1724 – Parigi 1816). Questo chirurgo, di modeste origini, si è particolarmente distinto per l’importanza che egli attribuiva all’organizzazione materiale degli ospedali. Avendo passato sei anni alla Salpetrière, non ignorava nulla delle miserie dell’Ospedale Maggiore e di tutti gli ospedali di Parigi, focolai di pestilenze. Sottopone al re, con l’intermediazione

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di La Martinière, primo chirurgo, il piano di una riforma ospedaliera come l’aveva meditata in gioventù. Una nuova istituzione fu fondata, seguendo i principi di Tenon. Il confronto indusse Luigi XVI° a ordinare un’inchiesta approfondita sullo stato degli ospedali di Parigi(1785). Tenon ne fu incaricato. Il suo “Memoriale sugli ospedali di Parigi”(1788) cambia profondamente l’opinione pubblica.Una sottoscrizione per edificare quattro nuovi ospedali procurò in pochi giorni tre milioni di franchi, che furono però stornati dalla loro destinazione. Gli ospedali di Parigi rimasero ciò che erano: anticamere della morte. Le grandi riforme ospedaliere non furono iniziate che sotto Napoleone I°, che nominò Tenon uno dei primi membri dell’Istituto di Francia. THEILER Max. Medico sud-africano (Pretoria 1899). Professore di medicina tropicale a Harvard (1923), entra nel 1930 alla fondazione Rockefeller e riceve il premio Nobel in fisiologia e medicina nel 1951, per la sua messa a punto di un vaccino contro la febbre gialla. Ricordiamo che nel 1919 il batteriologo Hideyo aveva scoperto la spirocheta portatrice di germi, e che proseguendo in questa direzione le ricerche gli costarono la vita. THOUVENEL Pierre. Medico francese (in Lorena 1747-Parigi 1815). Una istituzione che installò a Contrexèville gli valse il titolo di ispettore delle acque minerali. Partigiano del magnetismo animale, impetuoso discepolo di Mesmer, applicò quelle teorie sia alla ricerca delle sorgenti nascoste che dei filoni metalliferi. Le sue esperienze, portate a compimento, e questo va a suo onore, si svolsero con un altro rabdomante, un contadino del delfinato di nome Biéton, ebbero come testimoni i più grandi scienziati dell’epoca: Franklin, Berthollet, Parmentier, Malesherbes e il barone di Holbach. Difese fino alla morte le virtù delle acque, che nessuno nega, e dei metalli, più contestate. Louis XVIII° lo ebbe come medico personale. TIBERIO Vincenzo. Medico militare della Regia Marina, originario del Molise. Secondo i suoi discendenti: “Esiste un documento che prova le sue ricerche. E’ ora che il mondo ne riconosca i meriti”. Vera rivoluzione per la medicina mondiale fu la creazione della Penicillina. Praticamente tutti sanno che questa si deve al medico inglese Alexander Fleming che, nel 1929, scoprì casualmente il potere battericida del fungo Penicillium. Va però sottolineato che, fuori da ogni dubbio, la scoperta degli antibiotici spetta a un molisano, medico militare nella Regia Marina. Il maggiore medico Vincenzo Tiberio, 35 anni prima di Fleming aveva già acutamente osservato il potere antibiotico delle muffe, l’aveva studiato e sperimentato pubblicando i risultati su un’importante rivista scientifica. Come spesso accaduto per i geni italiani, la sua scoperta rimase all’epoca del tutto ignorata. Ancor oggi, il nome di Vincenzo Tiberio non dice nulla ai più, ma vale davvero la pena di conoscere la sua vicenda umana e scientifica. Il dottore era nato nel 1869 a Sepino, in provincia di Campobasso, da una agiata famiglia notabilare. Iscrittosi alla facoltà di Medicina presso l’Università di Napoli, il giovane Vincenzo andò ospite dallo zio, ad Arzano, nei pressi del capoluogo campano. Nel cortile di questa casa vi era un pozzo dove veniva raccolta l’acqua piovana che era utilizzata, per bere, dai contadini. A causa delle particolari condizioni di umidità, la cisterna veniva spesso invasa da muffe verdastre - poco gradevoli a vedersi - e doveva essere periodicamente ripulita.

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Tiberio notò che, per qualche strano motivo, non appena avveniva la ripulitura del pozzo, le persone che ne bevevano l’acqua si ammalavano di gastroenteriti. Le stesse persone, invece, guarivano non appena la cisterna veniva nuovamente invasa dalle muffe. (Oggi il pozzo è ancora visibile, per quanto sia stato chiuso da un tappo di cemento. Sarebbe interessante capire se, una volta riaperto, le formazioni fungine possano riprodursi come allora). In uno di quei passaggi mentali intuitivi chiamati in gergo «lampi di genio» il giovane assistente di medicina capì che ci doveva essere una connessione tra i due fenomeni. Prelevò alcuni campioni di muffa e scoprì che alcuni Ifomiceti (muffe) liberavano sostanze capaci d’inibire lo sviluppo dei batteri, nonché di attivare la risposta chemiotattica (lo spostamento dei patogeni) nell’organismo infetto. Tiberio non si limitò a registrare il dato biologico, ma passò decisamente alla sperimentazione. Prima ottenne dei risultati in vitro e, successivamente, dopo aver individuato il terreno di coltura adatto, estrasse un siero concentrato e lo iniettò in alcuni topi da laboratorio, che erano stati da lui precedentemente infettati. I roditori guarirono. Mancava, a questo punto, solo la sperimentazione sull’uomo e la messa in produzione dell’antibiotico. Entusiasta, Tiberio comunicò la relazione sulle sue ricerche in facoltà, ma riscosse scarso interesse. Solo nel 1895, dopo la laurea, poté finalmente pubblicare negli «Annali di Igiene sperimentale» (una delle più importanti riviste scientifiche dell’epoca) la sua ricerca in un saggio dal titolo «Sugli estratti di alcune muffe». Ecco quanto scriveva: «Ho voluto osservare quale azione hanno sugli Schizomiceti i prodotti cellulari, solubili in acqua, di alcuni Ifomiceti comunissimi: Penicillium glaucum, Mucor mucedo ed Aspergillus flavescens. [...] Per le loro proprietà le muffe sarebbero di forte ostacolo alla vita e alla propagazione dei batteri patogeni». Anche dopo la pubblicazione, nessuno degnò di attenzione questa sensazionale scoperta, nemmeno il suo nuovo professore che, con tipico atteggiamento da «barone» universitario, non amava le persone che lo potessero mettere in ombra. Vincenzo Tiberio, amareggiato e deluso, abbandonò l’Università: partecipò al concorso per medico nel Corpo sanitario marittimo e lo vinse. Si arruolò, così, nella Marina militare allontanandosi definitivamente dalla carriera accademica. La Marina gli avrebbe consentito di portare avanti le sue ricerche con maggiore dinamismo e possibilità. Indossando l’uniforme, infatti, l’ufficiale medico compì altri studi importantissimi sull’importanza dell’alimentazione dei marinai e della ventilazione nelle navi. Tiberio fu in prima linea per portare soccorso alle popolazioni nell’eruzione del Vesuvio e del terremoto di Messina dei primi del secolo, eventi di cui lasciò toccanti testimonianze nei suoi diari. Con la conquista della Libia, il medico svolse il suo ultimo incarico a Tobruk dove compì le prime vaccinazioni contro il tifo. In questa occasione dimostrò grande acume come igienista, salvando le vite di tanti nostri soldati. Solo nel secondo dopoguerra ci si accorse che Tiberio aveva anticipato Fleming di trent’anni, ma data la posizione dell’Italia di nazione sconfitta, comprensibilmente, i tentativi di rendere giustizia internazionalmente allo scienziato molisano furono vani. Alcuni studiosi affermano che i collaboratori di Fleming, l’australiano Howard Florey, e il tedesco Ernst Boris Chain, fossero a conoscenza degli studi di Tiberio. Questo sarebbe stato possibile perché all’epoca Napoli era uno dei centri culturali di maggior rilievo a livello europeo. Niente esclude che il suo lavoro sia stato preso come spunto per nuove ricerche. Alcuni hanno contestato a Tiberio il fatto che non avesse pubblicato lo studio in inglese. «All’epoca, dopotutto, non si usava, spiega il patologo Salvatore Maria Aloj, professore emerito dell’Università di Napoli– e lo dimostra il fatto che Koch pubblicava i suoi studi in tedesco, e altrettanto faceva Pasteur in francese. Per Tiberio non sarebbe stato difficile dato che conosceva perfettamente inglese, francese e tedesco e questo è dimostrato dalle molte traduzioni che pubblicò. Personalmente è plausibile che Chain avesse letto gli

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studi di Tiberio, ma non sappiamo se questo avvenne prima o dopo la messa a punto della Penicillina». Aveva appena 46 anni quando un infarto troncò la sua vita operosa (e le sue promettenti ricerche) il 7 gennaio del 1915. TRONCHIN Théodore. Medico svizzero (Ginevra1709-1781). Questo ginevrino, imparentato a una nobile famiglia inglese sposa una nipote del De Witt*. Dopo un lungo soggiorno ad Amsterdam va ad esercitare a Ginevra. Aveva due frecce al suo arco: la variolizzazione, della quale fu uno dei primi adepti, e il naturismo. Questo discepolo di Jenner lo era anche di Jean-Jacques Rousseau. La sua filosofia di vita:camminare di buon mattino, con scarpe basse e gonna corta, pasti leggeri, carni bianche, legumi senza baccello, frutta cruda, acqua pura. Amico di Jean-Jacques lo fu anche di Voltaire, allora signore di Fernet, che vedeva in lui il “successore del grande Boerhaave” e lo chiama “suo caro Esculapio”. Rispose all’appello, nel 1756, del duca di Orleans ed andò a stabilirsi al Palais-Royal, dove inoculò i due figli del duca, ciò gli valse 50000 franchi in onorari e una ulteriore notorietà. “Le carrozze facevano la coda alla sua porta come fosse l’entrata della “ Comédie”, scrive Luynes nelle sue “Memorie”. Occorreva distribuire dei numeri d’ordine. TROTULA de Ruggero. Nacque a Salerno, nell’XI secolo dalla nobile famiglia normanna De Ruggiero, famosa al suo tempo per aver donato a Roberto il Guiscardo parte dei propri averi per la costruzione del Duomo di Salerno. Grazie alle sue origini, Trotula ebbe l'opportunità di intraprendere studi superiori e di medicina. Visse e operò al tempo dell'ultimo principe longobardo di Salerno, di Gisulfo II, probabilmente prima dell'arrivo in città del medico Constantino l'Africano. Sposò il medico Giovanni Plateario, da cui ebbe due figli, Giovanni Plateario il Giovane e Matteo, che proseguirono l'attività dei genitori e i quali, insieme al genitore, sono ricordati come Magistri Platearii. Trotula è la più nota tra le mulieres Salernitanae ovvero le appartenenti a quella cerchia di studiose che insegnavano o erano attive intorno alla Scuola medica di Salerno. La sua figura fu celebre nel Medioevo in tutta Europa, in particolar modo per gli studi legati alla sfera femminile. L'idealizzazione della sua figura, divenuta quasi leggendaria, ha portato alcuni studiosi a metterne in dubbio la storicità. La ricostruzione della sua opera è tuttavia legata a una complessa querelle storiografica che ha visto nel tempo il sorgere di una controversia sull'attribuzione di alcune sue opere. In particolare storici come Hieserman o i coniugi Singer hanno ritenuto una forzatura di Salvatore De Renzi l'attribuzione a Trotula del “De mulierum passionibus” il trattato che segna la nascita dell'ostetricia e della ginecologia come scienze mediche. La presenza di Trotula nella Scuola Medica Salernitana, secondo i suoi sostenitori, è suffragata anche dalla sua coerenza sia con la cultura medievale longobarda, in cui la donna condivideva con l'uomo le responsabilità politiche e religiose e spesso anche militari, sia con l'organizzazione stessa della scuola medica, che non precludeva l'accesso alle donne all'arte medica né al divenire Magistra. A sostegno di quest'ultima affermazione, va ricordata la circostanza secondo cui la salute delle donne nel medioevo era affidata esclusivamente a mani femminili. TROUSSEAU Armand. Medico francese (Tours 1801-Parigi 1867) Ha perfettamente incarnato il tipo stesso del clinico francese della metà del XIX° sec., calmo, misurato,

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uomo di mondo, un po’ volteriano, alla maniera dei borghesi di allora, e libero da ogni sistema. Titolare, dal 1852 alla sua morte, della cattedra di clinica medica all’Ospedale Maggiore, attirò alla sua corte una folla di studenti entusiasti, e di medici. Sapeva attirare l’attenzione, rianimarla, se era necessario, con anedotti: richiamare, per esempio, il tempo, quando , a Tours, studiava sui cadaveri “rubati” nei cimiteri gli effetti della difterite, in questo guidato da Bretonneau, suo maestro.Si leggono ancora con interesse i suoi corsi sul crup, la tracheotomia, che fu praticata, seguendo il suo sistema, fino alla scoperta del sierovaccino di Roux, la malattia di Basedow, il tetano. Tutto, nel suo insegnamento, ci sembra sensato. Precedette Laennec, annuncia Pasteur, di cui fu uno dei primi a riconoscere il genio. Per venti anni, fu il consulente chiamato nei casi disperati. Non chiedeva niente ai poveri ma molto ai ricchi. Per costoro i suoi onorari erano esorbitanti. Si racconta che aveva chiesto 25000 franchi d’oro per un consulto a Napoli. Quando vi arrivò, il malato era morto. Ciò non gli impedì di reclamare i suoi onorari che gli eredi gli pagarono senza batter ciglio… I Goncourt riferiscono che, arrivando al termine della sua vita e della sua carriera, vide aumentare ancora la sua clientela. La gente si affrettava a farsi visitare temendo nel decesso di Trousseau. Una madre gli disse: “Si dice che voi siate molto malato, che ne sarà del mio bambino?” VAN HELMONT Jean-Baptiste. Medico e chimico olandese (Bruxelles 1577-1644). Avversario di Galeno, ha per dio Paracelso, del quale tenterà di riprendere, sebbene senza successo, la medicina esoterica. Personaggio strano. In seguito ad allucinazioni si fece medico: si vedeva nei panni di un angelo benefattore che spargeva salute e felicità sulla terra. Fece interessanti esperimenti sulla intossicazione del sangue da gas carbonico (anidride carbonica): gli si deve la parola gas, derivata dal latino chaos, col significato di corpo sottile. Per quanto concerne la circolazione del sangue, fu uno degli avversari di Harvey. Sosteneva, con Ippocrate, le “sei digestioni differenti”, assicurate da sei fermenti opposti. Fu in disaccordo con Francois de la Boe, detto Sylvius, insegnante a Leida, il quale sosteneva l’azione esclusiva di tre fermenti: la saliva, il succo pancreatico e la bile. Credendo alla generazione spontanea, scrisse, nel 1640, che “ i pidocchi, le pulci, le cimici, e i vermi possono nascere dal nostro organismo e dai nostri escrementi”.

VAN LEEHUWENOEK Antoni (Delf 1632 – 1923) I primi microscopi nacquero in Olanda intorno alla fine del 16° secolo anche se tuttavia non si sa con esattezza a quando far risalire la nascita di questo interessante strumento. La maggior parte attribuiscono la nascita del microscopio a Galileo Galilei che regalò un prototipo al fondatore della nota Accademia dei Lincei, Federico Nesi. Comunque tra i primi scienziati a produrre qualcosa che si avvicinava di molto al microscopio furono Robert Hooke e Antoni van Leeuwenhoek. Quest’ultimo fin da piccolo aveva la passione per le cose microscopiche come i pungiglioni delle api, le muffe, gli occhi degli insetti. Questo scienziato dal nome difficilissimo, nacque in una famiglia di artigiani e prima di applicarsi alla scienza, senza aver fatto particolari studi divenne contabile e, in seguito, aprì un negozio di stoffe dove con gli anni si impratichì con l'uso di lenti speciali, utilizzate dai mercanti per osservare i tessuti. Migliorando queste lenti di ingrandimento, riuscì a costruire microscopi molto più potenti e precisi di quelli utilizzati fino ad allora. La curiosità e la passione per la scienza e la natura però rimangono il suo chiodo fisso. Grazie alla sua eccezionale abilità di ottico, nel corso degli anni riuscì a perfezionare le lenti allora in uso, raggiungendo ingrandimenti fino a 270 volte. Infatti proprio dall'osservazione del mondo che lo

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circondava, attraverso una lente, van Leewenhoek scoprì che anche in una gocciolina d'acqua c'erano esseri viventi e li chiamò animalcula “piccoli animali”. Il suo contributo allo studio della microbiologia fu quindi fondamentale: fu il primo a descrivere gli organismi unicellulari, a osservare le fibre muscolari, i capillari e gli spermatozoi. Iniziò poi una fitta corrispondenza con la Royal Society di Londra e anche la sua figura diventò nota in tutta Europa, tanto che personaggi illustri iniziarono a fargli visita: dalla Regina d'Inghilterra allo Zar di Russia Pietro il Grande, ma anche altri scienziati noti. Antoni Van Leehuwenoek se era impegnato in qualche esperimento importante, non interrompeva quello che stava facendo e faceva aspettare anche molte ore i suoi ospiti. Nel corso della sua vita costruì circa 500 lenti di ingrandimento e circa 10 microscopi di cui era molto geloso: non li mostrava a nessuno. Lo scienziato morì alla veneranda età di 91 anni.

VELPEAU Alfred. Chirurgo francese (La Breche, Indre-et-Loire, 1795 – Parigi 1867). Figlio di un maniscalco, aveva conservato della sua infanzia bisognosa il gusto del lavoro manuale e si diede all’arte del fabbro. Un giorno che si trovava da un ricco cliente, domandò al dottor Magne, suo accompagnatore, : “ Come fareste ad uscire di qui? Questa anticamera ha cinque porte simili. Sapete quale di queste conduce fuori?” Magne restò silenzioso. “E’ questa, disse Velpeau, indicandone una, perché è la sola che abbia una serratura dentro”. Il dottor Magne ci dice che il chirurgo uscì più fiero da questa lezione di arte di fabbro ferraio che dell’operazione riuscitagli brillantemente. Partito dal nulla (fu grazie alla protezione di un ricco contadino che potè compiere gli studi di medicina), raggiunse i fasti della fortuna e dell’onore: membro dell’Accademia di Medicina, membro dell’Istituto, resterà però sempre fedele alle sue origini. Frugale e un po’ “popolare”, più incline a curare le persone modeste che i grandi. Amava fare dello spirito, che si riduceva a giochi di parole (calembours) instancabilmente ripetuti come l’immancabile: “Che pensate del sistema di Epicuro?” domanda che faceva al paziente al quale faceva l’iniezione” Fu uno dei primi, in Francia, ad utilizzare l’anestesia. Ma non si sarebbe mai abituato alla soffrenza degli operati, soprattutto se si trattava di bambini. “L’uomo che io opero, diceva, sa che l’operazione è per lui la sola via di salvezza, lo spera, lo sostiene e questo pensiero mi domina, ma un povero bambino non sa nulla, nulla che la sofferenza; così tutte le volte che porto su di lui lo strumento, il mio cuore si dilania”. Ha preconizzato l’impiego di una certa benda in tessuto speciale elastico, che si chiama comunemente “fascia Velpeau”. VERONESI Umberto (Milano, 28 novembre 1925 – Milano, 8 novembre 2016) è stato un oncologo e politico italiano. Fondatore e Presidente della Fondazione Umberto Veronesi, ha fondato e ricoperto il ruolo di direttore scientifico e di direttore scientifico emerito dell'Istituto europeo di oncologia È stato direttore scientifico dell'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dal 1976 al 1994. Ha ricoperto l'incarico di Ministro della sanità dal 25 aprile 2000 all'11 giugno 2001 nel Governo Amato II. La sua attività clinica e di ricerca è stata incentrata per decenni sulla prevenzione e sulla cura del cancro. In particolare si è occupato del carcinoma mammario, prima causa di morte per tumore nella donna in tale ambito è stato il primo teorizzatore e strenuo propositore della quadrantectomia, dimostrando come nella maggioranza dei casi le curve di sopravvivenza di questa tecnica, purché abbinata alla radioterapia, sono le medesime di quelle della mastectomia, ma a impatto estetico e soprattutto psicosessuale migliore. Si è inoltre distinto per la sua lotta in difesa dei diritti degli animali.

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VESALE André. (Andrea Vesalio). Anatomista vallone (Bruxelles 1514-Ile de Zante 1564).Discendeva da una famiglia di medici originaria di Wesel, città della Prussia, da cui deriva il suo nome, che verrà italianizzato in Vesalio. Un pittore che volesse rappresentarlo dovrebbe mostrarlo attorniato da cadaveri, che furono i compagni abituali della sua vita. Non ha smesso di dissezionare all’Università di Lovanio prima, a Parigi poi, dove frequentava gli accessi del patibolo di Montfaucon, cercando di ottenere, per qualche scudo, un impiccato ancora fresco. A 18 anni, è nominato professore di anatomia a Lovanio. Nel 1535, raggiunge l’esercito dell’Imperatore di Germania, al tempo in guerra contro la Francia. I campi di battaglia gli offrono le loro messi di morti che lui disseziona sul posto, sempre alla ricerca di quel groviglio di nervi, di quei vasi capillari, raccogliendo nelle sue mani il cervello di un soldato dal cranio scoppiato,e di cui, alla luce di una candela, riprodusse, esattamente a matita, le circonvoluzioni. Nel 1538, è a Bologna, e l’anno seguente a Pavia, dove ottiene una cattedra di anatomia. Qui pubblica la sua celebre “Epistola docens venam auxillarem destri cubiti in dolore laterali secondam”(1539) Nel 1543, ottiene una cattedra a Bologna, da dove passa presto a Pisa. E’ dello stesso anno il suo trattato generale di anatomia, uno dei più belli, una delle opere più importanti dell’epoca: “De corporis humani fabrica” A Pisa, è protetto da Cosimo I° de’ Medici, che gli promette “i cadaveri che vorrà”. E’ di notte che gli fa pervenire in barca, sull’Arno, il corpo di una giovane monaca recentemente deceduta nel suo convento di Firenze. Eccolo sul lungofiume mentre attende che la navicella si avvicini. Due facchini sbarcano una cassa di legno e seguono Vesalio fino alla facoltà. Dopo due o tre giorni, la religiosa non sarà più che uno scheletro di ossa, ben lavato e ricomposto per istruire gli studenti di Pisa, uno scheletro analogo a quello che conserva, preparato da lui stesso, da queste mani illustri, il Museo di Basilea. Vesalio era un “anti-Galeno”, gli odii appassionati che suscitava nei dotti, che sopportavano a fatica il sentir ripetere che in anatomia Galeno ne sapeva meno di uno scolaro d’oggi, e che mai avrebbe sezionato corpo d’uomo, ma quello di scimmia… Era vero! Ma tutto l’edificio di Galeno sarebbe crollato se questa verità fosse stata riconosciuta. Nel 1544, è nominato medico di Carlo V. Quando, sedici anni dopo, scriverà il suo “Anatomicarum Gabrielis Fallopi observatiorum examen”, si trovava a Madrid, guardato con invidia dai suoi colleghi che non aspettavano che una occasione per colpirlo. Questa occasione gli fu presto data. Si sosteneva che, mentre dissezionava il cadavere di un gentiluomo con lo scopo di scoprire le cause della sua morte, si era visto il cuore trasalire sotto il bisturi a scalpello. Perseguitato, fu consegnato alla inquisizione, che lo condannò stupidamente a morte per aver operato la dissezione di un uomo vivo. Filippo II, di cui Vaselio era il protetto dopo esserlo stato di Carlo V, ottenne che questa condanna fosse commutata in un pellegrinaggio espiatorio a Gerusalemmo. Mentre si trovava a Gerusalemme nel 1564, Fallopio (v.q.n.) moriva,e il Senato di Venezia offriva a Vesalio la cattedra di anatomia vacante. Si imbarcò velocemente per l’Italia, rendendo grazie a Dio della sua riabilitazione, ma il suo vascello, preso dalla tempesta, fu gettato sull’isola di Zante, dove soccombette alla fame, alla fatica e all’isolamento. Le sue opere sono state pubblicate da Boerhaave e Albinus (1725). Si è chiamato “foro di Vesalio” l’orifizio che presenta la grande ala dello sfenoide (ossa alla base del cranio). Si è sempre opposto agli eccessi della specializzazione, così diffusa ai suoi tempi come ai nostri: “Un serio pregiudizio è causato dalla specializzazione eccessiva delle discipline ausiliarie di ciascun’arte, e ben più ancora dalla ripartizione incresciosa delle attività fra diversi medici”. VICQ d’AZYR Felix. Medico e anatomista francese (Valognes 1748-Parigi 1794). C’è nella sua vita ogni sorta di errori di calcolo e di incredibili possibilità. Supplente di Antoine Petit alla cattedra di anatomia dell’Orto botanico, si apprestava a succedergli

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quando Buffon impose il suo protetto Portal. Vicq d’Azyr dovette, per vivere, tenere dei corsi privati. Qualche tempo più tardi (ecco le possibilità…), lo si va a cercare nel suo appartamento, dicendogli che una giovane si sente male in strada. Lui accorre, fa portare da lui la giovane sventurata, prodigandole le cure. La giovane torna in sé, si attarda, é la nipote del grande Daubenton: “Dottore, parlerò di voi a mio zio…”Parlerà così bene di Vicq d’Azyr allo zio che costui lo inviterà a cena, in compagnia della nipote. La cosa si concluderà con un matrimonio e il recupero dell’anatomista, che sarà eletto membro dell’Accademia delle Scienze nel 1774. Durante la vita, Buffon gli manifestò ostilità. Ma quando morì il celebre naturalista, ed era necessario rimpiazzarlo all’Accademia francese, chi si scelse? Vicq d’Azyr, che dovette così pronunciare l’elogio del suo antico nemico! Lo fece col cuore, senza la minima facezie, salutando il genio del suo predecessore, di cui, del resto, ha costantemente imitato lo stile e le attitudini nobili, un po’ pompose. Ciò conferma una legge sovente osservata: si odia chi ci assomiglia, e sforzandosi di assimilarsi al nemico si cerca di sopprimerlo. Se Vicq d’Azyr non fosse precocemente morto, sarebbe stato forse l’eguale di Buffon. VILLMIN Jean Antoine. Medico militare francese (Prey, Vosgi, 1827 – Parigi 1892) Prina di lui si pensava che la tubercolosi fosse una malattia spontanea, e spesso ereditaria. Nel 1865, medico all’ospedale militare di Val-de-Grace, Villemin riuscì con degli esperimenti sugli animali a provocare in questi, per mezzo della introduzione di una nodosità, una tubercolosi generalizzata. Dimostrò, pertanto, che la tubercolosi è una malattia contagiosa, che “non nasce spontaneamente. Non c’è fatica miseria freddo o caldo che possano farla sbocciare nell’organismo, per nascere, occorre un germe che non può che venire dal di fuori. La teoria di Villmin incontra una lunga resistenza, che si spiega con l’attaccamento alla tradizione, ma anche con la complessità del problema della tubercolosi, che Villmin aveva eccessivamente semplificato. Il contagio, in effetti, non avviene in maniera così semplice come aveva immaginato. Non è sufficiente che un inoculato sia esposto a un contatto fortuito con un tubercolotico; non è sufficiente che qualche bacillo della tubercolosi penetrando nell’organismo provochi la malattia: occorre che questi bacilli trovino un terreno adatto, dove le resistenze ai loro assalti siano deboli, come nel caso delle popolazioni povere che vivono in climi insalubri, e soprattutto nei bambini, mentre Villemin non aveva considerato che la tubercolosi degli adulti. Occorreranno i lavori di Landouzy (1886), di Ribadeau-Dumas, di Leon Bernard, di Debré poi di Graneber (1900) perché si arrivi a questa constatazione: la tubercolosi dell’adulto non è , nella maggior parte dei casi, che il secondo stadio di una tubercolosi risalente all’infanzia, i cui accidenti sono dovuti a tutta una serie di cause secondarie: fatica, strapazzo, preoccupazioni, ecc. Il merito di Villemin è di avere, prima della scoperta di Koch, provato, senza nessuna contestazione, che la tubercolosi è una malattia contagiosa. Le scoperte di Pasteur gli davano pienamente ragione, ma quando il fondatore geniale della microbiologia affermò davanti all’Accademia delle Scienze che le epidemie, e “probabilmente anche la tubercolosi” erano provocate dai “germi venuti da fuori” si sorrise, un po’ irritati da questa osservazione delle “bestioline” come diceva Claude Bernard, senza pensare agli esperimenti dimostrativi di Villemin. VON BERGMAN Ernst, medico russo(Riga 1836 – Wiesbaden 1907), introduce l’asepsi in chirurgia, costruendo la prima autoclave per la sterilizzazione dei ferri chirurgici. Per arrivare alla asepsi, e quindi al concetto di sterilizzazione, si dovrà però attendere la sua introduzione nella pratica ospedaliera, che avviene nel 1886. La fine dell’ottocento vede il chirurgo (abituato fino a qualche decennio prima ad operare in condizioni igieniche

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deplorevoli) che inizia ad utilizzare strutture dedicate esclusivamente alla pratica operatoria e ad indossare indumenti più consoni al suo delicato lavoro. In pochi anni si diffonde l'uso dei camici, quindi dei cappelli (con Gustave Neuber), poi dei guanti (con William Halsted) ed infine delle mascherine (con Johann von Mikulicz): formando una sorta di barriera tra chirurgo e paziente costituiscono un elemento di protezione in entrambi i sensi. WALLER Augustus medico scozzese (Parigi 1856, Londra 1922) è l’inventore del primo elettrocardiografo con il quale è possibile tracciare il primo elettrocardiogramma (ECG). Questa invenzione verrà successivamente perfezionata dal fisiologo olandese William Einthoven il quale creerà una macchina capace di registrare l’attività del cuore tramite 12 elettrodi applicati su torace, polsi e caviglie: per questa invenzione gli verrà assegnato nel 1924 il premio Nobel. Figlio del fisiologo Augustus Volney Waller, nacque in Francia, dove il padre si era trasferito per lavoro. Frequentò le scuole primarie a Parigi e a Ginevra. La morte del padre 1870, avvenuta quando Augustus Desiré aveva 14 anni, determinò il ritorno dei suoi familiari in Scozia, la terra di origine materna. Nel 1878 si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Aberdeen e conseguì la laurea nel 1881 all'Università di Edimburgo. Sulle orme paterne si dedicò alla ricerca in Fisiologia; nel 1883 fu lettore di Fisiologia alla School of Medicine for Women di Londra, nel 1884 passò al St Mary's Hospital di Paddington (Londra). Nel 1887, al St Mary's Hospital, studiò la possibilità di registrare l'attività elettrica del cuore in modo incruento negli animali e nell'uomo. Tali registrazioni erano già avvenute nel 1876, ad opera di Étienne-Jules Marey, per mezzo di elettrodi posti sulla superficie del cuore esposto di cavallo. Nel 1887 Waller poté registrare il primo elettrocardiogramma per mezzo di elettrodi posti sul torace e sugli arti di esseri umani. Waller dimostrò inoltre che la contrazione del cuore non è un processo che si svolge simultaneamente in tutto il muscolo cardiaco, ma inizia all'apice e termina alla base. Grazie a questi studi, nel 1891, a soli 35 anni di età, fu accolto nella Royal Society. Nel 1903 ottenne la direzione del neonato Laboratorio di Fisiologia all'Università di Londra. Un altro importante filone di ricerca di Waller riguardò gli anestetici. Waller fu il primo a misurare i gas anestetici utilizzati negli interventi chirurgici. WANG T’AO. Medico cinese (VIII° sec.) Ha lasciato un’importante opera “I segreti medicali di un funzionario”nella quale dà la descrizione clinica, degna di Ippocrate, di numerose malattie. Si cita spesso il suo quadro della tubercolosi che lui chiama ku-cheng “febbre ossea”: “I sintomi del ku-cheng sono i brividi, la febbre ed il rossore delle guancie che si presenta nel pomeriggio. L’anoressia e il dimagrimento arrivano progressivamente…. Il malato si emacia di giorno in giorno. I sudori notturni appaiono precocemente, seguiti da una febbre ettica*. La tosse aumenta poco a poco; la carnagione diventa pallida; il rossore delle guance assomiglia al colore delle monete di rame.. Il colore carminio delle labbra e della bocca sono di cattivo auspicio; in questo caso, la morte sopravviene sette volte su dieci.” Un altro merito di Wang T’ao è di avere, per primo, stando alle nostre conoscenze, tentato di integrare i suoi studi clinici con dati statistici. In occidente, occorre attendere il XIX° sec., perché il metodo numerico sia applicato alla medicina, grazie all’iniziativa del dottore francese Pierre Louis che dimostra anche l’inutilità del salasso (1835).

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WASSERMANN August von. Medico tedesco (Bamberg 1866 – Berlino 1925). E’ l’inventore di una reazione per scoprire l’esistenza della sifilide. Questa reazione ha per origine il metodo di Bordet e Gengou, detto della” fissazione del complemento”. Dato che era molto difficile ottenere della culture di treponema sifilitico, Wassermann ebbe l’idea di utilizzare come antigene il fegato di un neonato sifilitico, il cui tessuto è particolarmente atto ad ospitare questo genere di microbi. L’ “ambocettore” o “sensibilatrice”, che è lo sconosciuto della reazione, sarà il siero del malato sospetto. La reazione di Bordet-Wassermann consiste nel mettere in evidenza l’anticorpo sifilitico per mezzo di un antigene appropriato, in presenza di un “complemento” (o “alessina”)*, sostanza complessa, non specifica, la cui presenza è indispensabile alla reazione di un anticorpo su un antigene e alla lisi (o distruzione) di quest’ultimo. In caso di positività, il complemento si trova fissato, e non potrà più intervenire nella seconda parte della reazione che consiste nell’ “emolisare” i globuli rossi, generalmente dei montoni. WELLS Horace. Dentista americano (Hartford, Vermont 1815- N.Y. 1848) Applicò, per primo, l’anestesia per l’estrazione dei denti grazie al protossido di azoto, già sperimentato da Davy (v.q.n.) WIDAL Fernand. Clinico e biologo francese (Dellys, Algeria 1862 – Parigi 1929) E’ stato una delle più grandi figure della scuola pasteuriana. Come ha notato A. Lemierre (“Gli iniziatori francesi nella patologia infettiva” Flammarion ed.), Widal “è stato l’uomo della sierodiagnostica, delle grandi sindromi di Bright, della cura della “decloruzione”, degli itteri emolitici acquisiti, della crisi emoclasica, ecc. Si dà alla medicina nel periodo in cui la batteriologia, che vedeva la sua nascita sotto l’egida di Pasteur e della sua scuola, si rivela ricca di realizzazioni e piena di promesse per l’avvenire. Si orienta verso lo studio delle malattie infettive non trascurando altri campi di attività scientifica. Nel 1885, ammesso in qualità di interno al laboratorio del Prof. Cornil è però già in relazioni con Emile Roux e altri grandi pasteuriani. Pasteur è all’apice della fama. E’ l’età d’oro della medicina. Gli agenti patogeni di tutta una serie di malattie infettive sono stati isolati: quelli della febbre puerperale, quelli della cancrena gassosa, del foruncolo, del colera dei polli, del mal rossino dei maiali (microbi investigati tutti da Pasteur e dalla sua scuola); quelli della febbre tifoide (da Erbert de Gaffky), della difterite (da Klebs), del paludismo (da Laveran), ecc. Widal ha resistito alla tentazione di mettersi subito alla ricerca di nuovi microbi. Ha ritenuto più necessario e più urgente integrare le scoperte precedenti. Un caso specifico gli si presenta. Pasteur aveva confermato in modo irrefutabile le intuizioni di Semmelweis (1847) e di Trousseau (1858): la febbre puerperale, per la quale morivano tante donne incinte,e l’infezione purulenta che aveva la meglio su tanti feriti e operati non erano che le differenti forme di una stessa malattia causata dal medesimo microbo: “germe in grani di rosario”, rivelato dai microscopi di rue d’Ulm, al quale venne dato il nome di “streptococco”. La questione era quella di sapere come uno stesso microbo potesse provocare sintomi diversi. Come questo agente infettivo potesse produrre a un tempo la setticemia traumatica, l’erisipola, il flemmone. Ciò non infirmava la dottrina della specificità microbica sostenuta da Pasteur nei suoi studi sulla fermentazione? Una campagna “pluralista” si contrapponeva alla scuola di Pasteur, e Michel Peter parlò, compiacendosi, dello streptococco come del “microbo tutto fare”. Widal, per rispondere a questi dubbi, studia sedici casi di febbre puerperale. Quattordici volte su sedici casi vi trova lo streptococco. Negli altri due, l’agente patogeno è il colibacillo. Constata che nella cavità uterina, focolaio di elezione di molti microbi, solo lo streptococco è capace di andare più avanti e di produrre, riversandosi nel sangue,

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le lesioni e i disturbi più diversi. In seguito Widal si dedica a un altro problema, per chiarirlo. Il bacillo della febbre tifoide, isolato da Eberth nel 1880, è sufficiente a spiegare la morte di tanti colpiti da tifo? L’autopsia non aveva evidenziato più colibacilli che non i bacilli di Eberth? Per Gabriel Roux e Robert i colibacilli e i bacilli di Eberth sono le forme differenti di un germe unico, e l’uno e l’altro assicurano che non hanno potuto realizzare la trasformazione del colibacillo in bacillo tifico. Chantemesse, scoprirà, a seguito di numerosi esperimenti, la base di una diagnostica batteriologica. Mentre il colibacillo fa fermentare il lattosio, il bacillo di Eberth resta inattivo contro di lui: niente dunque di più semplice che distinguere questi due germi patogeni. Nel 1898, davanti alla “Società medica degli ospedali di Parigi”, Widal annuncia che un nuovo mezzo di diagnosi è stato scoperto, al quale dà il nome di “sierodiagnostica”. Questa sierodiagnostica è fondata sulla azione degli “anticorpi”, queste difese naturali dell’organismo contro gli antigeni (o elementi infettivi). Si scopre la presenza nel sangue di un individuo di un anticorpo specifico contro il tifo, e poiché gli anticorpi sono specifici al pari degli antigeni, non si hanno dubbi che questo individuo sia colpito da febbre tifoide. La difficoltà è di accerchiare l’anticorpo, che non è visibile al microscopio, come un microbo. Per scoprire l’anticorpo, Widal si servì di un fenomeno molto curioso, quello dell’agglutinazione. Il siero di un malato, colpito da febbre tifoide, ha, infatti, la proprietà di agglutinare i bacilli del tifo, fenomeno già messo in evidenza da Charrin e Roger nei loro esperimenti sul bacillo piogeno(piocinico)* Niente di più semplice e rapido di questa diagnosi: è sufficiente aggiungere qualche goccia di siero di un malato di tifo a un tubo di qualche centimetro cubico di cultura di brodo di bacilli di Eberth. Dopo due o tre ore si formano dei grumi visibili ad occhio nudo. Dopo un’ora o due, il microscopio rivela già che la maggior parte dei bacilli sono agglutinati in masse caratteristiche. Widal, che aveva allora 35 anni divenne celebre in tutto il mondo scientifico. La sierodiagnosi, che si pensò utilizzabile unicamente nei casi di febbre tifoide, si è mostrata efficace per la diagnosi di altre affezioni , come la febbre di Malta, la dissenteria bacillare, la sporotricosi*, il colera, la peste, il tifo esantematico, la micosi, la pneumonia. Il nome di Widal resta anche legato a quello di vaccinazione antitifoica, almeno in Francia. Poi Wright, nel 1896, provvederà a vaccinare contro la febbre tifoide i contingenti britannici designati per il cambio delle truppe in Egitto e in India, ma Widal sembra essere il primo ad avere sperimentato il vaccino contro il tifo sugli animali (1889). In Francia, la vaccinazione non fu obbligatoria, nell’esercito, che nel 1914 e fece scomparire l’epidemia di febbre tifoide che era scoppiata all’inizio delle ostilità in forma massiccia. WILLIS Francis. Medico psichiatra inglese (1717-1807). Studente all’Università di Oxford, è dottore nel 1740 e si dedica alla cura dei malati di mente. Fonda a Gretford, nella contea di Lincoln, una casa di cura nella quale riceve persone di rango elevato. Nel suo modo di trattare gli alienati c’è un misto di umanità e di brutalità. Il suo scopo principale è quello di imporre ai suoi malati un ordine sociale rigido: solo mezzo per far rinsavire gli uomini. Pinel (v.q.n.) anche lui considerava che il grande rimedio, per la maggior parte degli insensati, sia il ricostruire, nell’ambito dell’asilo, un microcosmo della società, senza mai diventarne, a differenza di Willis, il gendarme. Willis ebbe il merito di aver identificato il ciclo maniaco-depressivo e di aver liberato l’isteria dai vecchi miti dello spostamento uterino. Attribuisce questa affezione al cervello e al sistema nervoso, da cui dipendono tutti i disturbi e le irregolarità che capitano al movimento del sangue in questa malattia

YERSIN Alexandre. Batteriologo francese di origine svizzera (Moges 1863 – Nha Trang, Annam 1943). Discendente di una vecchia famiglia ugonotta, fece i suoi studi di medicina

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a Parigi. Nel 1886, è interno all’Ospedale Maggiore. Tutta la sua ammirazione è per Pasteur, che, l’anno prima, ha salvato dalla morte un bambino morso da un cane rabbioso. Sogna di diventare anche lui specialista in microbiologia. Un giorno arrivano dalla Russia dei musgichi (contadini) e il loro Pope con orrende ferite. Un branco di lupi li aveva assaliti nel loro villaggio. Dall’esame della saliva si constatò che era infetta dal virus rabico.Avendo fatto il viaggio fino a Parigi non aspettavano altro che essere salvati da Pasteur. Cinque furono ospedalizzati, gli altri dovettero presentarsi ogni giorno al laboratorio di rue d’Ulm. Pasteur vi andrà quotidianamente, per dieci giorni, per iniettare lui stesso il suo vaccino ai feriti gravi. Yersin vede l’uomo,indubbiamente, più popolare di Francia, la cui nomea era quella di “benefattore dell’umanità”. Quando Yersin si recò al laboratorio di rue d’Ulm, non era in veste di medico, ma di paziente. Dissezionando il cadavere di un uomo morto di rabbia si era ferito, e il suo superiore gli aveva ordinato di farsi immediatamente vaccinare. Pasteur riceve gli ammalati alle 11 del mattino. Bisogna presentarsi per le 10, dare il nome ad un impiegato e il motivo della visita. Pasteur chiama lui stesso, da una porta socchiusa, i visitatori iscritti. E’ così che Yersin ,viene chiamato dalla celebre voce. Mentre Pasteur gli inietta la cultura attenuata, fatta di midollo di coniglio, nota, tenendosi un poco in disparte, un personaggio in camice bianco, con barba a punta, dallo sguardo di un azzurro infantile bizzarramente incavato sotto le arcate sopracciliari eccessive. Si trattava di Emile Roux (v.q.n.), di lui più vecchio di dieci anni. Fra loro nascerà una forte amicizia, più fedele senza dubbio quella di Roux di quella di Yersin, al quale si è rimproverato, a riguardo dei suoi amici, una attitudine talvolta fuggevole, conseguenza forse della sua estrema timidezza e di un gusto innato per la solitudine. Yersin è presto reclutato nella squadra di Pasteur. E’ una opportunità, poiché fino allora Pasteur aveva trovato senza fatica, alla Scuola Normale stessa, tutto ciò che gli occorreva in fatto di giovani collaboratori. Roux, che lo aveva scelto, è sedotto subito dalla “serietà” del nuovo venuto, serietà di tipo calvinista. Viene ospitato in rue Vauquelin , dove i malati vengono ricevuti e curati. Tre anni più tardi , viene inaugurato il primo Istituto Pasteur: Roux ne è il capo. Pasteur ormai vecchio, non apparirà che raramente. Yersin, col titolo di preparatore di microbiologia, sarà il braccio destro di Roux, come costui lo fu per lunghi anni di Pasteur. I due scienziati scopriranno la tossina della difterite,come le proprietà del microbo di questa temibile malattia. 1890…. Con stupore di tutti, Yersin, la cui carriera, così pensavano tutti, si sarebbe svolta esclusivamente all’Istituto Pasteur, annuncia la sua prossima partenza per l’Indocina. Passa al servizio delle Messaggerie Marittime, come medico di bordo,a sostituire il microbiologo russo Hafkine, nativo di Odessa. Due mesi dopo Yersin è a bordo dell’Eridania, vapore che assicura la linea da Saigon a Manila; poi di un corriere che fa la spola da Saigon a Haiphong. Ben presto stanco di questo mestiere di “medico” (toubib=medico, termine popolare) col casco di cuoio bollente, assetato di avventure vere, chiede un permesso e diventa esploratore. L’Indocina è ancora un paese pieno di mistero. Le macchie bianche enigmatiche non sono state cancellate del tutto dalle carte redatte, anno dopo anno, dalla missione Pavia. Sbarcato a Nha Trang, baia magnifica che ripara una piccola città simile a tutte quelle che l’amministrazione francese ha lasciato (una combinazione di Castelnaudary e di villaggio indigeno), si addentra all’interno, attraversa le montagne dell’Annam in compagnia di tre coolies (portatori). Presto dovrà ritornare sui suoi passi e non perseguire lo scopo che si era prefissato: Saigon. Vi andrà per via mare, dopo l’insuccesso, per farsi curare da Calmette di paludismo. Due anni più tardi compie una seconda esplorazione che gli riesce perfettamente. Partendo da Nha Trang si dirige verso il Mekong e scopre alcuni affluenti sconosciuti. L’anno 1894 è quello in cui Yersin ritorna alla microbiologia. Glielo ha imposto una calamità: la peste, questo flagello secolare. Scoppiata in Cina colpisce soprattutto la parte meridionale del paese, facendo molte vittime sia a Canton che a Hongkong.

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Nominato medico coloniale riceve l’incarico di recarsi a Hong-Kong per ricercare sul posto il virus della peste (ancora sconosciuto) ed il modo in cui si propaga,minacciando l’Indocina. La città dove Yersin sbarca, nell’opprimente calore dell’estate è spopolata. Le vie sono deserte. La popolazione cinese è fuggita. Su alcune porte c’è un grande cerchio rosso, sinistro, ad indicare che la peste ha colpito quella casa. Dappertutto ratti morti, sulle banchine del porto sono a centinaia e galleggiano attorno ai rari navigli. Sono stati innalzati dei muri per isolare alcuni quartieri infetti. Sul terreno in abbandono bruciano mobili, giacigli contaminati. Le autorità inglesi hanno riservato a Yersin una accoglienza piuttosto fredda. Non c’è un inglese che gli faccia da guida. Un religioso italiano, padre Vigano, che si è battuto a Solforino nelle file dei francesi ospita Yersin in un laboratorio dell’ospedale, dove qualche ricercatore giapponese aveva lavorato. Fra costoro anche il celebre Kitasato. Fra questi ricercatori giapponesi e Yersin i contatti erano rari, distaccati; si disputavano i cadaveri. Questi cadaveri venivano, dai marinai inglesi, recuperati e poi gettati in fosse che poi venivano ricoperte con della calce. Venuto a sapere che esisteva, nel sottosuolo dell’ospedale, una sorta di obitorio dove i morti venivano portati e immediatamente ricoperti di calce nel loro feretro, Yersin corrompe i marinai inglesi incaricati di questo compito. Per pochi yen gli verrà consentito di incidere qualche bubbone pieno di pus. E’ questo pus che, secondo lui, andrebbe esaminato e non il sangue come facevano i giapponesi. “ Salgo nel mio laboratorio - scriverà nel suo primo rapporto - faccio rapidamente una preparazione e la metto sotto il microscopio.Al primo sguardo riconosco una vera purea di microbi, tutti simili. Sono dei piccolissimi bastoncini tozzi, arrotondati alle estremità, molto mal colorati dal blu di Loeffler…” Presto, ventun tubi di vetro, rappresentanti ventun casi di peste, sono spediti a Parigi e formano oggetto di una comunicazione alla Accademia di Medicina. Tuttavia, i giapponesi hanno preteso di aver trovato, nel medesimo tempo di Yersin, il microbo della peste, al quale hanno dato il nome di bacillo di Kitasato-Yersin. Kitasato sarà il primo a riconoscere il suo errore. Ciò che aveva preso come microbo della peste non era che una sorta di pneumococco, agente della setticemia, compagno inseparabile del primo. Nel 1897, c’è un nuovo episodio di peste, ma il cui teatro è Bombay. Scienziati di diverse nazionalità si ritrovano: Kitasato per il Giappone, Georg Stieker per la Germania, Yersin per la Francia. E’ venuto da Nha Trang con il suo bagaglio di vaccino preparato da Calmette, da Borel e da lui stesso. Gli effetti saranno deludenti per gli indigeni, meglio per i Cinesi, meglio ancora per gli Europei, che saranno vittime della peste solo accidentalmente. Georg Sticker è stato lui stesso colpito: “Ho compreso il meccanismo dell’infezione quando, entrando in una casa la cui porta era segnata dal terribile segno di avvertimento, siamo stati assaliti, nel vestibolo, da un sciame di pulci. Io sentì una puntura sul dorso del pollice destro e non diedi alcuna importanza. Ventiquattro ore dopo, mi ritrovai una pustola bruciante. La notte seguente tremavo dalla febbre, e i gangli delle ascelle si ingrossarono… La pustola conteneva i bacilli della peste…” Georg Sticker guarì, ma non due medici portoghesi e una infermiera tedesca che era stata, nello stesso tempo, punta da pulci infette. Questi accidenti avevano fatto saltare agli occhi di tutti gli scienziati presenti a Bombay il modo di propagazione dei bacilli. Dal ratto passava alla pulce e dalla pulce all’uomo.Gli indiani lo sapevano bene che, dai primi assalti del male, lavoravano per sterminare i ratti e, se la loro lotta sembrava impotente, si allontanavano verso le montagne, dove non c’erano ratti, e vivevano indenni; quando i musulmani, si fermavano nelle loro case, perivano a migliaia. Yersin, fino al 1943 rimase a Nha Trang, dove aveva un laboratorio. Aveva eletto domicilio nel blockhaus adibito ad altro, che appena una cinquantina di metri di dune separavano dal mare. Vedeva pochi europei, riservando il suo interesse agli indigeni meno fortunati e specialmente ai pescatori dei dintorni e ai bambini annamiti. Mostrando loro film, portando loro libri con figure, di cui possedeva un’intera biblioteca, facendoli salire alla “sua cupola astronomica”, come

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diceva, per ispezionare, con l’occhio del telescopio, gli astri, e contemplare soprattutto la luna, questa luna cara a tutti gli orientali. Vedendolo passare solo, sulla sua bicicletta, barba al vento,casco coloniale in testa, completamente vestito di tela kaki, chiamato da un malato della cittadina o del sobborgo, si esclamava: “Non si direbbe Hao Ti (il dio della medicina) in persona? “Ha voluto essere inumano nella solitudine della piantagione del Suoi Giao. Dalla sua tomba, si scopre tutta la baia di Nha Trang, uno dei dei più bei paesaggi del mondo.

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