Dispense Di Istituzioni Di Diritto Pubblico

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PARTE I – DIRITTO, ORDINAMENTO GIURIDICO E STATO Capitolo 1 - Il Diritto (Norma e Ordinamento giuridico) Capitolo 2 - Le Fonti del diritto Capitolo 3 – Lo Stato e i suoi elementi costitutivi PARTE III - LA COSTITUZIONE E LE VICENDE COSTITUZIONALI ITALIANE Capitolo 1 - La Costituzione : teorie generali Capitolo 2 - Cenni di storia costituzionale italiana PARTE IV - L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA Capitolo 1 - Teorie generali : Le forme di Governo Capitolo 2 - Il Parlamento Capitolo 3 - Il Presidente della Repubblica Capitolo 4 - Il Governo Capitolo 5 - La pubblica amministrazione Capitolo 6 - Gli Organi ausiliari Capitolo 7 - La Magistratura PARTE V - LE AUTONOMIE LOCALI, LE REGIONI Capitolo 1 - Le autonomie locali nella Costituzione Capitolo 2 - La Regione Capitolo 3 - Gli enti locali infraregionali PARTE VI - DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI Capitolo 1 - Le posizioni giuridiche soggettive e dichiarazioni dei redditi Capitolo 2 - Il principio di uguaglianza Capitolo 3 - I diritti di libertà civile Capitolo 4 - I diritti civili. I rapporti etico sociali Capitolo 5 - I rapporti economici PARTE VII - LE GARANZIE COSTITUZIONALI Capitolo 1 - La Corte Costituzionale

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PARTE I – DIRITTO, ORDINAMENTO GIURIDICO E STATO Capitolo 1 - Il Diritto (Norma e Ordinamento giuridico) Capitolo 2 - Le Fonti del diritto Capitolo 3 – Lo Stato e i suoi elementi costitutivi PARTE III - LA COSTITUZIONE E LE VICENDE COSTITUZIONALI ITALIANE Capitolo 1 - La Costituzione : teorie generali Capitolo 2 - Cenni di storia costituzionale italiana PARTE IV - L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA Capitolo 1 - Teorie generali : Le forme di Governo Capitolo 2 - Il Parlamento Capitolo 3 - Il Presidente della Repubblica Capitolo 4 - Il Governo Capitolo 5 - La pubblica amministrazione Capitolo 6 - Gli Organi ausiliari Capitolo 7 - La Magistratura PARTE V - LE AUTONOMIE LOCALI, LE REGIONI Capitolo 1 - Le autonomie locali nella Costituzione Capitolo 2 - La Regione Capitolo 3 - Gli enti locali infraregionali PARTE VI - DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI Capitolo 1 - Le posizioni giuridiche soggettive e dichiarazioni dei redditi Capitolo 2 - Il principio di uguaglianza Capitolo 3 - I diritti di libertà civile Capitolo 4 - I diritti civili. I rapporti etico sociali Capitolo 5 - I rapporti economici PARTE VII - LE GARANZIE COSTITUZIONALI Capitolo 1 - La Corte Costituzionale

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PPAARRTTEE PPRRIIMMAA

DDIIRRIITTTTOO,, OORRDDIINNAAMMEENNTTOO GGIIUURRIIDDIICCOO EE SSTTAATTOO

CCAAPPIITTOOLLOO 11 IILL DDIIRRIITTTTOO ((NNOORRMMAA EE OORRDDIINNAAMMEENNTTOO GGIIUURRIIDDIICCOO))

• Il diritto si presenta come un insieme di regole dirette a disciplinare il comportamento dell’uomo

nella società . • Le norme sociali sono regole del dover essere, le leggi naturali sono regole dell’essere (descrivono

quello che è). • Il diritto dello Stato, proprio per la sua maggior forza dovuta all’autorità preminente dell’ente

sociale che lo esprime, è il fenomeno giuridico più rilevante e prevalente. • Le funzioni del diritto sono:

− repressione dei comportamenti socialmente dannosi � diritto penale − allocazione di beni e servizi a favore degli individui e della società � diritto civile − disciplina delle istituzioni e delle distribuzione dei poteri (allocazione dei poteri pubblici) �

diritto processuale. • Caratteri della norma giuridica:

− generalità: applicabile a tutti coloro che si trovino nella situazione disciplinata dalla norma; − astrattezza: esprime una volontà preliminare � disciplina situazioni che potranno verificarsi; − novità: deve innovare l’ordinamento, o disciplinando situazioni prima non considerate o

modificando una precedente disciplina; − esteriorità: oggetto della sua disciplina è l’azione esterna del soggetto (il suo agire); − interdipendenza: crea un’interdipendenza tra posizioni di vantaggio e di svantaggio; − imperatività: contiene un precetto la cui attuazione è garantita da un meccanismo sanzionatorio.

• Teoria “normativa”: nell’ordinamento giuridico dalla norma fondamentale si giunge al comando concreto in una disposizione gradualistica di rigorosa correlazione tra norme sopra e sottoordinate (Scuola viennese).

• Teoria “istituzionale”: un ordinamento non si risolve solo di norme: il diritto è innanzitutto assetto della collettività e la norma è solo la manifestazione di tale assetto.

• Alle due teorie si preferisce la tesi secondo cui l’organizzazione sociale traduce nelle norme e nell’ordinamento le proprie finalità e le scelte che compie di fronte a problemi storici.

• Esistono una pluralità di ordinamenti giuridici, dati dalla pluralità degli Stati. Ma per accertare la reale esistenza di un ordinamento si deve verificare l’effettività, ovvero la vigenza delle norme da esso poste.

• Il diritto privato è il diritto degli interessi particolari, che sono trattati come interessi disponibili � bisogni, esigenze, finalità, valori dei quali gli stessi interessati possono decidere, in certi limiti, se e come cercare la soddisfazione o accettare il sacrificio.

• Il diritto pubblico è il diritto degli interessi generali, e quindi sono diritti indisponibili sia da un singolo interessato che da un gruppo di interessati � essi riguardano infatti tutta la collettività e perciò la loro concreta realizzazione sono affidati alla pubblica autorità.

• Il diritto pubblico si divide in diritto interno e internazionale. • Il diritto pubblico interno si distingue in diritto costituzionale, amministrativo, penale, processuale

(civile, penale e amministrativo), ecclesiastico, tributario, dell’economia, etc.

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LLEE FFOONNTTII DDEELL DDIIRRIITTTTOO SEZIONE I : LE FONTI DEL DIRITTO IN GENERALE La norma giuridica è prodotta da atti o fatti considerati idonei a porre regole di comportamento, costitutive del diritto oggettivo: tali fatti o atti sono definiti fonti del diritto. Le fonti-fatto sono collegate alla ripetitività di comportamenti o all’assunzione di determinati accadimenti o situazioni quali fatti idonei a determinare regole di comportamento obbligatori e per tutti i consociati, dando vita a un diritto non volontario appunto perché derivante da fatti e non da atti. Le fonti-atto, invece, sono manifestazioni volontarie dei soggetti cui è riconosciuta la competenza a dettare regole di comportamento e in quanto tali si traducono in documenti, produttivi di norme giuridiche che, adottati secondo le procedure prescritte, hanno la forza ad essi attribuita dall’ordinamento. Ogni ordinamento riconosce le proprie fonti legali. Le fonti-fatto: - la consuetudine : perché una consuetudine si formi si richiede un comportamento ripetuto nel

tempo tali da indicare una relativa stabilità e uniformità (condizione oggettiva), e che tali comportamenti siano tenuti dai soggetti con il convincimento di conformarsi a una regola giuridica(condizione soggettiva). Solitamente la consuetudine regole materia non disciplinata dal diritto scritto, oppure funge da “conferma” del diritto scritto esistente.

- la necessità : si richiede una necessità straordinaria da non poter essere soddisfatta con le procedure formali, di situazioni non prevedibili e non disciplinabili a priori, che trovano nella necessità straordinaria la loro giustificazione e la loro fonte (stato d’assedio, eventi bellici..).

- il rinvio a fonti di altri ordinamenti : perché l’efficacia delle norme internazionale si dispieghi anche nell’ordinamento interno, è necessario un atto di esecuzione da parte dello Stato oppure un rinvio alla fonte internazionale, che può essere rinvio mobile (efficacia anche alle disposizioni che nel tempo la norma produrrà) oppure rinvio recettizio (efficacia alla sola legge)

Le fonti-atto nell’ordinamento italiano, secondo la disposizione gerarchica: - Costituzione e leggi equiparate (leggi di revisione cost. e leggi costituzionali).Fonte costituente - Legge ordinaria e atti equiparati (decreti legislativi, decreti legge, referendum abrogativo) - Regolamenti interni degli organi costituzionali (due Camere, presidenza Repub.,Corte costituz.) - Regolamenti statali (decreti del presidente della Repubblica o decreti ministeriali) - Fonti di ordinamenti territoriali minori: leggi regionali, regolamenti regionali, statuti - Disposizioni normative della Comunità Europea abilitate ad operare nel nostro ordinamento I problemi di antinomia tra le fonti possono essere risolti attraverso due criteri : • Criterio gerarchico : non tutte le norme hanno la stessa forza giuridica, essendovene alcune

sovraordinate. In certi casi va combinato con il criterio di competenza. • Criterio cronologico : si fonda sul principio che tra più fonti o norme pariordinate prevale, in

caso di contrasto, quella più recente. → Riserva di legge : stabilita dalla Costituzione. Una certa materia può essere regolata solo dalla

legge o da atto di grado pari o sovraordinato : può essere assoluta (l’intera materia regolata dalla legge) o relativa (la disciplina ulteriore può essere posta da fonti subordinate)

→ Preferenza di legge : se la legge disciplina anche materie non coperte dalla legge, essa prevale su qualsiasi disciplina subordinata già eventualmente esistente e preclude l’adozione di disposizioni secondarie in contrasto con la disciplina legislativa.

→ Principio di legalità : l’esercizio di autorità amministrativa deve trovare sia il proprio limite negativo sia il proprio fondamento positivo in una previa norma di legge. Le fonti di produzione pongono le norme di comportamento costitutive del diritto oggettivo. Le fonti sulla produzione disciplinano i procedimenti delle fonti di produzione, indicando chi è competente ad adottarle e i modi della loro adozione. SEZIONE II : FORMAZIONE ED EFFICACIA DELLE FONTI

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Le fonti entrano in vigore dopo la promulgazione o emanazione seguita dalla pubblicazione nelle forme previste dall’ordinamento e dal decorso di un periodo di tempo definito vacatio legis, alla cui scadenza l’atto normativo diverrà obbligatorio. Le leggi e gli ordinamenti divengono infatti obbligatori nel quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto. Con l’entrata in vigore → la legge acquista efficacia. Efficacia in relazione al tempo : la legge non dispone che per l’avvenire e dunque non può avere di regola efficacia retroattiva. Efficacia in relazione allo spazio : può variare in relazione all’ente al quale le fonti appartengono. Efficacia in relazione ai soggetti : la legge è applicabile a tutti coloro che sono soggetti alla sovranità dello stato, o che sono residenti sul territorio o cittadini dello Stato. Leggi eccezionali . disposizioni dettate per disciplinare situazioni che derogano alla generalità della disciplina e in termini che non ammettono ripetitività, come invece avviene per le leggi speciali. SEZIONE III : L’INTERPRETAZIONE DELLE FONTI – ATTO : Per interpretare le norme giuridiche si ricorre a : • Interpretazione letterale : deve risultare dalla rilevanza testuale dei vocaboli e dalla loro

connessione che può modificarne la dinamica. • Interpretazione sistematica: si mira a ricostruire non tanto la volontà del legislatore, quanto la

“volontà della legge”, che si è oggettivata nel testo normativo e va interpretata per quello che è, ma partendo dal presupposto che sia conforme al sistema giuridico. Spesso, collegandole alla presumibile volontà della legge, si effettuano interpretazioni estensive o restrittive.

• Analogia legis : si basa sul principio logico che se il legislatore avesse dovuto regolare una data fattispecie nata successivamente all’adozione di una certa disposizione normativa, lo avrebbe fatto basandosi sulle stesse idee che lo avevano spinto a disciplinare casi analoghi o simili.

• Analogia iuris : quando non si può ricorrere ai casi analoghi, è possibile far riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico.

SEZIONE IV: L’ABROGAZIONE DELLA LEGGE : La legge è destinata a produrre norme giuridiche fino a che resti efficace. L’efficacia può cessare per scadenza del termine (legge ad tempus), per dichiarazione di illegittimità costituzionale, o per abrogazione → finalità di far cessare l’efficacia della legge precedente. Secondo l’ art. 15 delle “Preleggi” può esserci : - abrogazione esplicita, cioè espressamente dichiarata dalla dichiarazione posteriore che fa venir

meno la vigenza e l’efficacia della legge anteriore. E’ indispensabile per leggi speciali; - abrogazione implicita, per l’incompatibilità tra le disposizioni nuove e le precedenti o perché la

nuova legge disciplina interamente la materia regolata da legge anteriore

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LLOO SSTTAATTOO EE UU SSUUOOII EELLEEMMEENNTTII CCOOSSTTIITTUUTTIIVVII SEZIONE I: CONCETTI GENERALI Lo Stato, ordinamento giuridico più rilevante, può essere costituito da una collettività stabilmente stanziata su un territorio e fornito di una sovranità (difesa all’esterno e ordine interno). È il solo ente ad essere contemporaneamente ente politico, territoriale, sovrano. Stato come ente politico: può assumere a contenuto della propria azione tutte le finalità che storicamente ritenga opportuno assumere (politicità = libertà dei fini). Tutti gli Stati hanno in generale il fine comune di sopravvivere, e ogni Stato ha poi finalità particolari: il punto che differenzia la politicità degli enti territoriali infrastatali dalla Stato è che quest’ultimo è sovrano dunque originario, mentre gli altri enti sono derivati dunque solo autonomi. SEZIONE II: GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLO STATO Elementi costitutivi dello Stato: popolo, territorio, sovranità. POPOLO: del popolo fanno parte soltanto coloro che hanno con lo Stato un rapporto di cittadinanza, che conferisce alla persona diritti e doveri. La cittadinanza si può acquistare: • al momento della nascita:

− jus sanguinis � per discendenza da genitore/i cittadini (usato in Italia) − jus soli � per nascita sul territorio dello Stato da genitori ignoti o apolidi (utilizzato in Italia

in via sussidiaria) • successivamente alla nascita: per il verificarsi di situazioni previste dalla legge

− juris communicatio � per l’esistenza di particolari condizioni: come in caso di matrimonio,straniero adottato da italiano, etc.

− naturalizzazione � per concessione da parte dello Stato: come in caso di straniero da 10 anni in Italia, apolide da 5 anni in Italia, cittadino della CE da 4 anni in Italia , etc.

Il riacquisto della cittadinanza è precluso per chi la abbia perduta per indegnità e cioè per chi abbia servito senza esservi obbligato uno Stato estero in guerra con l’Italia. La cittadinanza italiana può essere perduta: • per volontà del cittadino � ad es. quando egli si sia stabilito all’estero • per statuizione di legge � ad es. per indegnità È escluso che la perdita di cittadinanza possa essere determinata da motivi politici. Cittadinanza europea � secondo il trattato di Maastricht chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro possiede anche la cittadinanza dell’Unione europea. Popolazione (≠ da popolo): complesso delle persone che si trovano stabilmente sul territorio dello Stato, indipendentemente dal possesso della cittadinanza. Sono compresi stranieri e apolidi residenti, sono esclusi i cittadini residenti all’estero. Nazione (≠ da popolo): collettività che si caratterizza per la comunanza di lingua, tradizioni, religione, cultura e simili, indipendentemente dall’appartenenza a uno Stato. Le minoranze nazionali sono ampiamente tutelate. Non sempre nazione e popolo coincidono: esistono casi di Stati plurinazionali (come lo Stato elvetico, i cui cittadini hanno almeno 3 nazionalità, italiana, francese e tedesca) e nazioni divise fra più Stati (come la Jugoslavia, dove i cittadini hanno nazionalità serba, croata, slovena, macedone e albanese). Il possesso della cittadinanza non è legato alla residenza sul territorio � dal 1989 esiste una anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero (A.I.R.E).

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TERRITORIO: è quella parte della superficie terrestre che entra a costituire un certo Stato storico e gli è coessenziale costituendone sia lo spazio indispensabile sia la sfera di validità e di efficacia del proprio ordinamento e del proprio imperio. Elementi costitutivi del territorio: • Terraferma: porzione di superficie terrestre che è delimitata dai confini, siano naturali (fiumi,

mari, catene montuose,…), siano stabiliti mediante accori internazionali. • Mare territoriale: è costituito dalla fascia di mare lungo le coste che corrisponde alle esigenza di

vita e di difesa della comunità statale e sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità (tra le 3 e le 12 miglia marine). Al di là dei limiti del mare territoriale il mare è considerato libero (principio della libertà dei mari) sul quale ogni Stato ha lo stesso diritto a trarne tutte le utilità che il mare può offrire.

• Piattaforma continentale: è il sottosuolo marino attiguo alla terraferma, ma fuori del mare territoriale, sul quale gli Stati costieri rivendicano la propria sovranità ai fini di sfruttamento.

• Zona economica esclusiva: zona nella quale tutte le risorse economiche della zona, fino al limite di 200 miglia marine dalla costa, sono di pertinenza dello Stato costiero, rimanendo salvo il diritto degli altri Stati di navigazione, di sorvolo, di posa di cavi sottomarini e di oleodotti e di quant’altro consentito dai legittimi usi internazionali.

• Soprasuolo: lo spazio aereo soprastante il territorio statale, comprendendo sia la terraferma sia il mare territoriale. La sovranità sul soprasuolo so estende fino al limite max di utilizzazione.

• Sottosuolo: anche per le profondità, la sovranità si estende fino al limite max di utilizzazione nei confini terrestri e del mare territoriale.

Extraterritorialità: vengono sottratte alla potestà di impero delle Stato una o più porzioni, per lo più di limitatissima estensione, della terraferma costituente il territorio statale (ad esempio la Santa Sede, le sedi diplomatiche, veicoli situati nello Stato che battono bandiera). Ultraterritorialità: lo Stato può esercitare potere di imperio su porzioni di terraferma siti al di fuori del proprio territorio (reciproco della extraterritorialità). SOVRANITÀ: è la supremazia nei confronti di ogni altro ente esterno, che si concreta nell’affermazione dell’originarietà dell’ordinamento giuridico e della sua indipendenza. L’originarietà è una caratteristica giuridica, nel senso che ogni ordinamento statale, in quanto sovrano, si autolegittima, cioè trova in sé medesimo la giustificazione giuridica della sua esistenza e del suo potere. L’indipendenza significa che ogni Stato, in quanto sovrano, non può essere subordinato ad altri ordinamenti e, nel suo ambito, gode del diritto di esclusione degli altri. La sovranità dello Stato può tuttavia spettare allo Stato inteso come Stato–governo e in Italia, Stato repubblicano, secondo l’art. 1 della Cost., “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione” (non solo nel titolo, ma anche nell’esercizio) � esercizio delle scelte politiche del corpo elettorale attraverso la forma rappresentativa. Le scelte del corpo elettorale sono la forma di gran lunga oggi prevalente nell’esercizio della sovranità popolare. SEZIONE III: LE FORME DI STATO La forma di Stato si riferisce alla reciproca posizione degli elementi costitutivi dello Stato (popolo, territorio e potere sovrano), ponendo quindi l’attenzione sulle finalità. La forma di governo indica la distribuzione del potere tra gli organo costituzionali dello Stato e la loro reciproca posizione, concentrandosi sui mezzi per raggiungere le finalità. Le forme di Stato attraverso l’evoluzione storica: • Stato o regime patrimoniale (ordinamento feudale): l’organizzazione del potere è di natura

privatistica, il titolare del potere rivendica come facenti parte del proprio patrimonio le terre assoggettate al suo potere e gli uomini che le coltivano, manca cioè il carattere della politicità �

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non si prefigge il raggiungimento di interessi generali, ma solo la difesa di interessi di carattere patrimoniale e privatistico.

• Stato assoluto (Principati, Comuni, Signorie): l’ordine sociale è fondato sul principio della potestà assoluta sovrana e della gerarchia � il sovrano si eleva sulla collettività, escludendo qualsiasi frazionamento dei poteri.

• Stato di polizia (monarchie illuminate, tardo Settecento): il sovrano è sempre più funzionario dello Stato, è il “primo suddito”. Finalità dello Stato è curare i fini di benessere collettivo, considerato un dovere del sovrano, concedendo libertà terriera e facendo giustizia amministrativa.

• Stato liberale (‘800): emerge il ceto borghese, la legittimazione del potere statale si basa sulla derivatività dei cittadini, ora liberi � si va verso la democrazia contemporanea (supremazia della legge).

Tra il 1789 e il 1848 si va affermando una nuova forma di Stato, incentrata soprattutto sulle teorie che avevano generato la rivoluzione francese � Stato moderno. Caratteristiche dello Stato moderno: • Costituzionalità (dalla “dichiarazione dei diritti e dell’uomo e del cittadino” del 1789): la garanzia

dei diritti e la separazione dei poteri sono il contenuto minimo di questa forma di Stato. • Giuridicità: lo Stato si sottopone al diritto e di questo ne assicura l’osservanza in riguardo a se

medesimo, per mezzo di apposite istituzioni � debbono esistere libertà individuali e meccanismi per la loro protezione.

• Rappresentatività: esprime la partecipazione dei cittadini alla formazione della volontà dello Stato � la legge è espressione della volontà generale. Almeno uno degli organi costituzionali dello Stato deve essere rappresentativo della volontà popolare, cioè deve essere liberamente eletto. Si presuppone dunque la libera scelta da parte dei rappresentati (cittadini) dei loro rappresentanti.

• Democraticità: assicura regole indispensabili quali il principio di maggioranza (chi ha il diritto di scegliere e far prevalere la propria scelta) e il rispetto dei diritti delle minoranze (protezione del diritto delle minoranze di divenire maggioranza). La democraticità dello Stato può attuarsi nella democrazia diretta, in cui i cittadini partecipano alle scelte dello Stato mediante votazione diretta (referendum o plebiscito) non molto utilizzata, o nella democrazia rappresentativa, in cui i cittadini eleggono i loro rappresentanti e sono questi ad adottare le necessarie decisioni nell’ambito delle assemblee rappresentative (è di regola utilizzata).

Lo Stato moderno non può garantirsi a garantire le libertà e ad assicurare il metodo democratico, dovendo invece, operare incisivamente sui rapporti sociali. Forme di Stato: • Monarchia: il potere del capo dello Stato deriva immediatamente dalla Costituzione. • Repubblica: il potere è rimesso alla scelta o alla decisione di un organo incaricato �

rappresentatività del capo dello Stato. • Stato unitario: esiste un solo ordinamento giuridico sovrano (derivato) � un solo popolo, un solo

territorio, un solo potere sovrano. • Stato composto o federale: incontro fra ordinamenti sovrani dal quale nasce un nuovo ordinamento

giuridico sovrano � somma dei popoli e dei territori degli Stati membri, mentre il potere sovrano si esercita nell’ambito delle competenze che sono conferite alla Stato dalla costituzione federale. Ogni Stato membro conserva i proprio elementi costitutivi ed esercita la propria sovranità nei limiti delle competenze attribuitegli.

PPAARRTTEE TTEERRZZAA

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LA COSTITUZIONE

LE VICENDE COSTITUZIONALI ITALIANE

CCAAPPIITTOOLLOO 11 LLAA CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNEE:: TTEEOORRIIEE GGEENNEERRAALLII

Al vertice delle fonti, la Costituzione si trova in posizione primaria, per quanto riguarda i contenuti, e in essa si riassumono i principi fondamentali, organizzativi e finalistici della comunità statale (art. 134,138 e 139 della Cost.). La Costituzione è il complesso di norme, anche non scritte, per le quali uno Stato è quello che è in un determinato contesto storico. La Costituzione è coessenziale allo Stato � la Costituzione si pone con lo stesso porsi dello Stato e lo Stato non può non averla. La Costituzione è una legge fondamentale che presenta un contenuto legato a scelte politiche e finalità precise da perseguire; la Costituzione nasce con la rivoluzione francese del 1789 con un contenuto minimo corrispondente alle ideologie liberali del momento fondate sulla protezione dei diritti individuali e sulla separazione dei poteri. La Costituzione è un documento di grande rilevanza sul piano giuridico – formale (cioè l’organizzazione dello Stato) e su quello politico ( traduce in norma giuridica le idealità politiche che ispirano i suoi estensori). • Costituzioni bilancio: traduco in norma positiva un movimento politico già realizzato che trova in

tale documento disposizioni sanzione e forza giuridica. Costituzioni programma: pur fissando gli obiettivi da raggiungere sono da completare mediante successivi interventi normativi.

• Costituzioni consuetudinarie: complesso di regole consuetudinarie. Costituzioni scritte: le più sicure in quanto documenti scritti (le più diffuse). Anche in queste è presente la consuetudine che colma le lacune o modifica il tenore delle disposizioni scritte.

• Costituzioni flessibili: quando,nella scala gerarchica delle fonti normative,le leggi fondamentali si trovano in una posizione pariordinata alla legge ordinaria statale � qualsiasi legge ordinaria può modificare la Costituzione (Inghilterra, Statuto Albertino). Costituzione rigida: quando si pone al vertice delle fonti normative (forza formale superiore) � per derogarla o abrogarla sono necessarie speciali procedure previste dalla stessa Costituzione. Tale tipologia è maggiormente garantita contro eventuali mutamenti volute da maggioranze contingenti o casuali � maggiore stabilità (art. 138 della Cost.).

• Costituzioni concesse: documenti che il sovrano adottava autolimitando il suo potere assoluto, senza l’intervento, almeno formale, della volontà popolare (nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale). Costituzioni votate: deliberate da assemblee rappresentative, per lo più appositamente elette, definite assemblee costituenti (sono le più diffuse oggi).

• Costituzione formale: complesso delle fonti normative di grado costituzionale (si presuppone una gerarchia fra fonti ordinarie e fonti costituzionali e si tiene conto soltanto della diversa forza delle singole fonti prescindendo da ogni considerazione contenutistica). Costituzione materiale: fanno parte tutte quelle norme che attengono a materia avente natura costituzionale, o che in un determinato contesto storico-politico si ritengano così essenziali alla definizione dello Stato da considerarsi parte della Costituzione.

Materia costituzionale: da comprendersi tutto quanto attiene all’organizzazione essenziale degli organi costituzionali dello Stato (necessari alla sua esistenza), nonché i rapporti fra tali organi, i quali concorrono a definire sia la forma dello Stato sia la forma del Governo e le disposizioni sulla produzione

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normativa almeno di grado primario; comprende anche tutto quanto attiene alla posizione dei cittadini nell’ambito dello Stato, con particolare riferimento ai diritti e ai doveri dei cittadini.

CCAAPPIITTOOLLOO 22 CCEENNNNII DDII SSTTOORRIIAA CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNAALLEE IITTAALLIIAANNAA

SEZIONE I: LO STATUTO Dal punto di vista giuridico formale, lo Stato italiano sorge con la legge n.4671 del 17 marzo 1861, che attribuisce al sovrano il titolo di Re d’Italia: si è trattata di una graduale incorporazione dei vari Stati con province annesse al Regno di Sardegna, che mantenne la sua continuità assumendo la denominazione di Regno d’Italia. Lo Statuto Albertino è la Costituzione che Carlo Alberto concesse nel 1848, nel contesto della ventata rivoluzionaria che sconvolse i residui assolutismi europei in quegli anni, ispirata ai principi di separazione dei poteri e dell’uguaglianza dei sudditi: “legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della monarchia”, “concessa” dal sovrano. Il principio monarchico si associava a quello rappresentativo, anche se la rappresentatività, espressa dalla Camera dei Deputati, era inizialmente assai circoscritta. Lo Statuto era la Costituzione flessibile, e dimostrò una notevole capacità di adattamento adeguandosi con relativa facilità ai mutamenti politici del periodo 1848 – 1922: − sorto come Costituzione del Regno di Sardegna, divenne senza difficoltà Cost. del Regno d’Italia; − da regime politico a partecipazione popolare ristretta sopportò il progressivo allargamento al

suffragio di sempre più ampie masse popolari; − legato a un principio di discriminazione dei culti acattolici nei confronti della religione cattolica,

consentì l’affermarsi dell’eguaglianza fra i culti e la separazione fra Stato e Chiesa. L’evoluzione storica venne bruscamente interrotta dall’avvento al potere del fascismo. Sotto un profilo formale, il passaggio al fascismo è avvenuto nella legalità statuaria, anche se a partire dal 1925 iniziò una azione di demolizione degli istituti costituzionali qualificanti del regime che si era realizzato � limitazione e abolizione delle principali libertà, soppressione del carattere rappresentativo dello Stato, eliminazione dell’eguaglianza fra i cittadini attraverso discriminazioni razziali. Il fascismo cadde fra il 25 luglio 1943 quando Mussolini perse il posto di Capo del Governo. SEZIONE II: VERSO LA NUOVA COSTITUZIONE Con la caduta del fascismo iniziò un processo di rinnovamento istituzionale che si incentrò nella scelta repubblicana e nella approvazione di una nuova Costituzione. È il cosiddetto periodo transitorio (25 luglio 1943 – 1° gennaio 1948), in cui si distinguono quattro fasi: − dalla caduta del fascismo (25 luglio 1943) all’annuncio dell’armistizio con gli alleati (8 settembre

1943) � sono detti i 45 giorni del Governo Badoglio durante i quali, mentre sul piano internazionale si continuano le trattative per fa cessare la guerra del nostro Paese, sul piano interno il Re cerca di addossare al fascismo ogni responsabilità del regime autoritario, permettendo alla monarchia di non essere coinvolta nel crollo del regime;

− dall’armistizio fino alla presa di Roma da parte degli alleati (4 giugno 1944) e che è caratterizzata soprattutto dal duro contrasto fra il Re Vittorio Emanuele III e i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale che, ritenendo il Re responsabile del periodo autoritario, chiedevano l’elezione di un’Assemblea costituente per decidere delle nuove istituzioni del Paese � tali rivendicazioni portarono al Patto di Salerno, in cui i partiti del C.N.L. accettavano di collaborare con la monarchia fino alla fine della guerra a patto poi di eleggere la desiderata Assemblea costituente;

− dalla presa di Roma al referendum istituzionale con l’elezione dell’Assemblea costituente (2 giugno 1946). Vittorio Emanuele, in accordo con il C.N.L., nomina il figlio principe Umberto luogotenente generale del Regno, con il compito di provvedere a tutti gli affari dell’amministrazione e

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all’esercizio di tutte le prerogative regie, firmando i reali decreti � nomina irrevocabile che trasferisce tutti i poteri al principe. La tregua istituzionale fu violata in due casi dalla monarchia fino al referendum istituzionale in cui il popolo scelse la repubblica (invece della monarchia), 2 giugno 1946 (data di nascita della repubblica) � 16 giugno 1946 la Corte di cassazione, riunita a Montecitorio nella sala della Lupa, proclamò ufficialmente la Repubblica con conseguente espulsione dei Savoia dal Paese;

− dalla prima riunione dell’Assemblea costituente (25 giugno 1946) fino al 1° gennaio 1948 con l’entrata in vigore della nuova Costituzione � compito dell’Assemblea costituente fu quello di redigere e di deliberare la nuova costituzione. La redazione del progetto di costituzione fu affidata a una commissione di 75 deputati detta Commissione dei 75 o Commissione Ruini.

SEZIONE III: LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA La Costituzione si compone di 139 articoli e XVIII disposizioni finali e transitorie. Comprende un nucleo di principi fondamentali (art. 1 – 12) e due parti: − diritti e doveri dei cittadini (art. 13 – 54): si divide in 4 titoli, rapporti civili, rapporti etico-sociali,

rapporti economici, rapporti politici; − all’ordinamento della Repubblica ( art. 55 – 139): si divide in 6 titoli, il parlamento, il presidente

della Repubblica, il governo, la magistratura, le regioni, le province, i comuni, le garanzie costituzionali.

Le disposizioni finali e transitorie comprendono norme destinate a completare il testo costituzionale o di efficacia limitata nel tempo. Si può affermare che le caratteristiche della Costituzione italiana sono: − rigidità: non assoluta, bensì attenuata, nel senso che è possibile modificarla, ma solo con un

progetto aggravato, e solo per alcuni aspetti; − lunghezza: si occupa cioè di argomenti di cui non tutte le costituzioni si occupano; − programmaticità: vengono stabiliti obiettivi e scelte di fondo da seguire. Esistono norme, da molti

criticate, che impegnano il legislatore futuro, e che impongono una tavola di principi e valori anche per l’avvenire;

− apertura: molte norme hanno infatti un carattere generico, che riflettono il carattere compromissorio.

Per quanto attiene al disegno generale e alle scelte principali operate dai costituenti la Costituzione fu frutto di un compromesso tra i partiti popolari antifascisti (D.C., P.C.I., P.S.I.) costitutivi dell’Assemblea costituente, e riflette così un’ispirazione di tipo cattolico – marxista, ma anche di tipo liberale. Sebbene la Costituzione scaturì da un compromesso e un accordo, essi furono realizzati nel segno dell’equilibrio senza creare fratture. La Costituzione ha costituito un punto di incontro fra le maggiori forze popolari (che influenzarono la sua redazione soprattutto nella parte dedicata ai diritti e ai principi fondamentali), ponendo le premesse per una forte spinta innovativa della società nazionale e il fatto che fu approvata da una larga maggioranza testimonia il fatto che tale compromesso fu un frutto scaturito dal pensiero di tutti gli italiani in quel momento. Si verificò comunque una costante lentezza nell’attuazione delle disposizioni. La Costituzione traduceva in norme positive le aspirazioni di libertà che avevano animato la lotta contro il fascismo e il totalitarismo, facendo spazio al pluralismo politico e sociale e all’apertura sul piano internazionale per favorire la pace e la giustizia fra le Nazioni. La Costituzione fissa obiettivi il cui raggiungimento deve essere realizzato mediante legislazione ordinaria. A seguito dei dibattiti sulla revisione costituzionale venne presentata una proposta di legge costituzionale che venne definitivamente approvata il 22 gennaio 1997 e promulgata come legge costituzionale il 24 gennaio 1997. Tale legge ha isituito una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali composta di 70 parlamentari (35 deputati e 35 senatori) nominati dai presedenti delle

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Camere su designazione dei presidenti dei gruppi, rispettando la proporzione esistente fra i gruppi medesimi. Tale Commissione aveva il compito di esaminare in sede referente i progetti di legge costituzionale ad essa assegnati e soprattutto di redigere un progetto di legge di riforma della parte II della Costituzione in particolare in materia di forma di Stato, forma di governo e bicameralismo, sistema delle garanzie. Questo progetto di revisione provocò però opposizioni politiche, restando di fatto bloccato.

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PPAARRTTEE QQUUAARRTTAA

L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA

CCAAPPIITTOOLLOO 11 TTEEOORRIIEE GGEENNEERRAALLII.. LLEE FFOORRMMEE DDII GGOOVVEERRNNOO

Le forme di governo indicano il diverso assetto che si instaura tra gli organi titolari della potestà suprema e segnatamente tra capo dello Stato, Governo, Parlamento e ordine giudiziario. Per lo studio delle forme di governo realizzate nello Stato moderno è importante la teoria della separazione dei poteri elaborata nella metà del ‘700 da Montesquieu (uno degli ispiratori della rivoluzione francese e del costituzionalismo postrivoluzionario) nel libro “Esprit des lois”: egli mirava a fondare una formula di buon governo, ma soprattutto a garantire la libertà � “Perché non si abusi del potere bisogna che, per la stessa disposizione delle cose, il potere limiti il potere”, cioè attribuire i poteri a organi portatori di principi politici diversi e potenzialmente contrastanti. La novità introdotta da Montesquieu è che egli non si arresta alla constatazione dell’esistenza di tre funzioni (come era già successo spesso in passato, come nel Medioevo), ma che le tre funzioni vengano attribuite a organi distinti, in potenziale contrapposizione dialettica fra loro � le funzioni fondamentali dello Stato, fare leggi, darvi esecuzione, giudicare i crimini e le controversie, devono essere attribuite a organi distinti. La concentrazione dei poteri in un solo organo, come nei regimi assoluti, era la causa degli abusi dell’antico regime. Le forme di governo che si realizzano nello Stato moderno e contemporaneo di democrazia classica possono ridursi a quattro tipi principali: • forma di governo costituzionale puro: caratterizzata da una rigida distinzione fra potere

legislativo (parlamento), cui compete esclusivamente la formazione delle leggi, ed esecutivo (governo), cui compete solo, o quasi, l’attività amministrativa. Si presenta così la separazione dei potere e anche la rigorosa indipendenza fra loro, sicchè il governo non ha bisogno del consenso del parlamento per formarsi e sopravvivere, e il parlamento non può essere condizionato o influenzato dall’indirizzo politico del governo. Il monarca tuttavia può scegliere i ministri e sovrintende al loro operato (l’esecutivo risponde al sovrano), il parlamento introduce una cornice di leggi che il sovrano deve rispettare (governo dualista di re e parlamento). Nella variante detta cancellariato, verso il monarca è responsabile solo il capo del governo (cancelliere), mentre i ministri sono responsabili verso quest’ultimo � forma peculiare realizzatasi in Germania (1850 – 1918), resa possibile dalla forte personalità del cancelliere Bismark che domina la scena prussiana per quasi trent’anni (1861 – 1890).

• forma di governo convenzionale o assembleare: concentrazione di tutto il potere politico nell’assemblea elettiva, per un criterio astratto di maggior democrazia. Realizza di fatto una confusione dei poteri che la rende irrealizzabile al di là di situazioni particolari o limitate nel tempo.

• forma di governo presidenziale: la sua attuazione più riuscita si è avuta negli Stati Uniti d’America. La Costituzione americana (risale al 1787) separa nettamente, almeno in teoria, legislativo (Congresso = Camera dei rappresentanti + Senato) ed esecutivo (preseidente federale e segretari di Stato) eletti entrambi dal popolo, evitando al massimo ogni forma di collegamento. L’esecutivo non ha neanche il potere di iniziativa legislativa in senso proprio. Il potere esecutivo non dipende dal Congresso né nel momento della nomina, né nel corso della sua attività, non essendo prevista alcuna interferenza formalmente rilevante del Congresso nell’esercizio del potere di governo.

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Al presidente è dato il potere di influire sulla legislazione con il veto delle leggi e con la possibilità di segnalare i provvedimenti che ritiene necessari e convenienti, ma anche il Congresso ha importanti strumenti di pressione sull’esecutivo, sia mediante l’approvazione degli stanziamenti di bilancio, sia mediante il consenso del Senato alla nomina degli alti funzionari e alla ratifica dei trattati internazionali, sia infine mediante la procedura dell’”impeachment”, cioè della sottoposizione del presidente a giudizio penale.

• semi-presidenzialismo: sistema di governo nel quale i presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e dispone di importanti prerogative, riconosciutegli dalla Costituzione a titolo personale (a metà tra presidenzialismo puro e parlamentarismo): Francia della V Repubblica, Austria, Finlandia, Islanda, Portogallo, Repubblica tedesca di Weimar (1925-1933). Si evidenziano ambiguità nel caso di conflitto (disaccordi) fra presidente e parlamento, caso che può portare alla paralisi del primo o alla espropriazione dei poteri parlamentari � in Francia il sistema funziona solo per il fair play dei contendenti (Jospin e Chirac).

• forma di governo parlamentare: si fonda più sulla collaborazione che non sulla contrapposizione dei poteri. Legislativo ed esecutivo sono affidati a corpi diversi, espressione di principi politici diversi, ma si condizionano reciprocamente attraverso la fiducia di cui l’esecutivo deve godere da parte del legislativo (con l’obbligo di dimettersi in caso di sfiducia), e attraverso il potere attribuito all’esecutivo (e per esso il capo dello Stato) di sciogliere il parlamento.

Forma di governo in Italia: lo Statuto albertino non precisava la forma di governo adottata, ma fin da subito il governo si evolse in senso parlamentare, fino al periodo autoritario. Con la caduta del fascismo, dopo aver valutato di introdurre il sistema presidenziale, si adottò un nuovo sistema parlamentare, razionalizzato. I capisaldi del sistema adottato nella Costituzione del 1948 sono: • la separazione dei poteri, intesa però non in termini rigoristici, come è confermato dalla possibilità

che il Governo eserciti, come eccezione e con molte cautele, attività normativa di grado legislativo (decreti legge e decreti legislativi);

• la responsabilità del governo di fronte alle Camere e la possibilità che queste costringano il governo alle dimissioni mediante apposita mozione di sfiducia (art. 94 della Cost.);

• la facoltà di sciogliere le camere attribuita al Capo dello Stato in ipotesi non testualmente previste ma derivanti dalla logica del sistema;

• posizione di imparzialità assegnata al Capo dello Stato che esercita i suoi poteri non come capo dell’esecutivo ma in attuazione di un indirizzo costituzionale che non coincide, almeno necessariamente, con l’indirizzo di maggioranza;

• l’indipendenza funzionale e organizzativa del potere giudiziario, garantita da un organo apposito, il Consiglio superiore della magistratura;

• il controllo di costituzionalità delle leggi, conseguente alla rigidità della Costituzione, attribuito a un nuovo giudice speciale, la Corte costituzionale.

CCAAPPIITTOOLLOO 22

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IILL PPAARRLLAAMMEENNTTOO SEZIONE I: LA STRUTTURA Il Parlamento – espressione diretta della volontà e della sovranità popolare – si presenta in posizione di primato fra gli organi costituzionali dello Stato. Nella scelta dell’organizzazione del Parlamento si è preferito il bicameralismo (scartando il monocameralismo). Una volta scelto il bicameralismo doveva precisarsi il ruolo delle due Camere potendo ipotizzarsi parità di posizione (bicameralismo perfetto) o disparità, cioè preminenza di una delle due Camere (bicameralismo imperfetto). Nel nostro ordinamento si assiste al cosiddetto bicameralismo perfetto, in cui le due Camere hanno assoluta identità di funzioni e di poteri, seppure con qualche correttivo � si è assistito a numerose critiche per le inutili duplicazioni delle Camere, che d’altra parte garantisce una maggiore ponderazione delle scelte legislative. Nel nostro sistema vigente il Parlamento si compone della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Entrambe le Camere sono elette, oggi, per 5 anni e tale periodo, intercorrente tra l’elezione di una Camera e il suo scioglimento (anche se anticipato) viene detto legislatura (art. 60 Cost.). La durata della legislatura può essere prorogata solo in caso di guerra e mediante legge formale, mentre la fine anticipata della legislatura può essere disposta dal Presidente della Repubblica mediante scioglimento delle Camere o di una sola di esse (art. 88 della Cost.). La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale e diretto. È composta da 630 deputati. Sono eleggibili a deputati tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25°anno di età nel giorno delle elezioni; sono elettori della Camera coloro che hanno il diritto di voto (cioè tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età) ai sensi dell’art. 48 della Costituzione. Per le elezioni della Camera, il territorio nazionale è attualmente diviso in 26 circoscrizioni. A ciascuna di esse è attribuito un numero di deputati determinato dividendo il numero degli abitanti della Repubblica (dato dall’ultimo censimento) per 630 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ciascuna circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Il Senato della Repubblica è eletto, secondo la Costituzione, a base regionale. Il numero dei senatori elettivi è 315. Ogni Regione ha almeno 7 senatori, salvo il Molise che ne ha 2 e la Valle d’Aosta che ne ha 1. La ripartizione fra i seggi si effettua in proporzione alla popolazione delle singole Regioni (data dall’ultimo censimento) sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Sono eleggibili a senatori tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto nel giorno delle elezioni il 40°anno di età. Sono elettori del Senato tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25°anno di età. Accanto ai senatori elettivi si hanno senatori di diritto e a vita, e senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica. Sono senatori di diritto a vita coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della Repubblica. Il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita 5 cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario. Ineleggibilità: quando il candidato, attuale o potenziale, si trovi in una situazione, prevista dalla legge, per la quale non può essere eletto; qualora vi sia egualmente la candidatura, e il candidato venga eletto, l’elezione è invalida e priva di efficacia (art. 65 Cost.). Cause di ineleggibilità nell’ordinamento vigente: − coloro che ricoprano determinate cariche o uffici di natura burocratica, per non influenzare

eventualmente l’elettorato; − tutti i magistrati (tranne quelli presso le giurisdizioni superiori) delle circoscrizioni sottoposte, in

tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati nei sei mesi precedenti la candidatura, per non impedire l’imparzialità nell’esercizio della funzione giurisdizionale;

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− coloro che ricoprano uffici presso governi esteri tanto in Italia quanto all’estero, questa causa è operante solo quando il candidato ricopra l’ufficio all’atto dell’accettazione della candidatura; mira ad evitare possibili interessi tra lo Stato italiano e quelli degli altri stati;

− coloro che per la posizione ricoperta in società o imprese private che abbiano rapporti di affari con lo Stato si presume non potrebbero, se eletti parlamentari, esercitare il loro mandato con sufficienti garanzie per l’interesse pubblico.

Incompatibilità: quando il deputato o senatore si trovi in una situazione per la quale, se vuole conservare la carica che è stata validamente assunta, deve rinunziare ad altra carica, incompatibile, con quella parlamentare (art. 65 Cost.). Sono cause di incompatibilità (previste dalla Costituzione): − quando si ha la carica di deputato e ci si candida per la carica di senatore (e viceversa), art. 65; − la carica di deputato o senatore con quella di Presidente della Repubblica, art. 84; − la carica di deputato o senatore con quella di componente del Consiglio superiore della Magistratura

o della Corte costituzionale (art. 104 e 135); − la carica di deputato o senatore con quella di consigliere regionale, art. 122. La ratio di tali disposizioni risiede nella presunzione che il parlamentare non possa svolgere con il dovuto impegno due o più incarichi, oppure che la contemporanea posizione di membro del Parlamento e di dirigente, amministratore o consulente di aziende, società o enti che abbiano rapporti con lo Stato, possa compromettere la necessaria obiettività del parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni. I membri del Parlamento non possono neppure ricoprire cariche o uffici in enti pubblici o privati per designazione del Governo o di organi dell’amministrazione dello Stato. In questo caso la ratio risiede nell’opportunità sia di evitare che il parlamentare possa ottenere gli incarichi in forza dell’autorità che gli deriva dalla sua posizione, sia di evitare che il Governo o l’amministrazione statale possano limitare l’obiettività e la libertà della funzione del parlamentare con tali incarichi. L’incompatibilità può essere originaria o sopravvenuta qualora la situazione che la determina non esista al momento dell’elezione, o si verifichi successivamente. La presenza di una causa di incompatibilità pone il deputato o senatore nella necessità di optare per il mandato parlamentare o per la carica di quello incompatibile. La formazione e il funzionamento delle Camere sono ovviamente condizionati dal sistema elettorale adottato, che può essere uninominale o plurinominale, maggioritario o proporzionale: − sistemi uninominali: il territorio è diviso in collegi e in ogni collegio si presenta un solo candidato

per simbolo o per gruppo politico, e l’elettore può scegliere uno solo dei candidati; − sistemi plurinominali: i candidati si presentano candidati in liste, nelle quali è spesso prescritto un

minimo e talora un massimo di candidature, e l’elettore sceglie non la persona ma la lista, pur potendo esprimere una o più preferenze tra i candidati della lista;

− sistemi maggioritari: possono essere plurinominali o uninominali; i seggi sono attribuiti al candidato, o alla lista, che abbia riportato il maggior numero di voti;

− sistemi proporzionali: sono necessariamente plurinominali; i seggi sono ripartiti fra le diverse liste in competizione in proporzione ai voti ottenuti.

Nella realtà esistono numerose varianti a seconda delle combinazioni dei vari sistemi. La differenza fra i diversi sistemi è che: − quello maggioritario corrisponde alla finalità di assicurare, in società omogenee, il più efficiente

funzionamento del sistema, che conduce a un sostanziale bipartitismo con l’eliminazione a livello parlamentare, di qualsiasi altro raggruppamento che non partecipi con i due più forti, con un conseguente affievolimento della capacità rappresentativa dell’Assemblea eletta;

− quello proporzionale consente, soprattutto in società divise in una pluralità di forze politiche, una più articolata rappresentanza e dunque un maggior livello di democrazia.

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In Italia si sono affermati nel corso del tempo sistemi maggioritari e sistemi proporzionali. Ripristinata la democrazia dopo il regime fascista ritornò il sistema proporzionale. In questo caso l’Assemblea costituente preferì non inserire nella Costituzione disposizioni in materia di sistemi elettorali, limitandosi a prescrivere il suffragio universale e diretto. La decisione era volta ad evitare di impegnare le future Camere costringendole a una revisione della Costituzione nel caso che volessero in avvenire adottare un altro sistema. Infatti con la crescente instabilità politica, si sentì l’esigenza di una revisione del sistema elettorale: con la riforma del 1993 decisa dagli italiani con un referendum popolare si introdusse tanto per la Camera quanto per il Senato un meccanismo di votazione a turno unico con attribuzione di 3/4 dei seggi con sistema maggioritario e del restante quarto con sistema proporzionale. L’elezione del Senato della Repubblica, sulla base della riforma del 1993, avviene mediante un sistema elettorale di tipo maggioritario uninominale con parziale recupero proporzionale dei voti non utilizzati, a livello regionale: − ad ogni regione viene assegnato un numero di seggi in ragione della popolazione residente quale

risulta dall’ultimo censimento, tenendo conto che nessuna regione può avere meno di 7 seggi, con l’eccezione della Valle d’Aosta che ne ha 1 e del Molise che ne ha 2 (art. 57 Cost.);

− i seggi attribuiti ad ogni regione vengono assegnati per i 3/4 ad altrettanti collegi uninominali, con l’eccezione della Valle d’Aosta costituita da un solo collegio uninominale e del Molise ripartito in 2 collegi uninominali;

− il restante quarto dei seggi viene ripartito proporzionalmente nell’ambito di ogni circoscrizione regionale fra i gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali.

Ai fini dell’elezione uninominale, vengono costituiti in ogni Regione tanti collegi quanti sono i seggi uninominali assegnati. In ogni collegio si presentano singoli candidati quali, se intendono partecipare al riparto proporzionale dei seggi residui, debbono collegarsi per gruppi che comprendono un numero di candidati non inferiore a 3 e non superiore al numero dei collegi della Regione. All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il 25° anno di età. Chiuse le votazioni ed effettuato lo spoglio delle schede, viene proclamato eletto per ciascun collegio il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi. Per l’assegnazione dei seggi residui (1/4) da attribuirsi con sistema proporzionale, l’ufficio regionale procede: − alla determinazione della cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati nei collegi uninominali,

detratti i voti dei candidati già proclamati eletti (c.d. scorporo); − alla determinazione della cifra individuale dei singoli candidati data dalla percentuale dei voti validi

ottenuti in rapporto ai voti validi espressi nel collegio; − all’assegnazione dei seggi spettanti ad ogni gruppo dividendo la cifra elettorale di ogni gruppo

successivamente per uno, due, tre, ecc… sino alla concorrenza dei senatori da eleggere e scegliendo quindi tra i quozienti così ottenuti i più alti in numero uguale ai senatori da eleggere, con conseguente assegnazione dei seggi ai gruppi in corrispondenza dei quozienti (metodo d’Hondt e delle divisioni successive);

− a proclamare eletti i candidati di ogni gruppo che abbiano conseguito la più alta cifra individuale. L’elezione della Camera dei Deputati è stata profondamente modificata dalla 1.4 agosto 1993, introducendo un sistema molto simile a quello adottato per l’elezione del Senato e quindi con una combinazione del metodo uninominale maggioritario con quello proporzionale per l’assegnazione dei seggi residui. Il territorio del paese viene ripartito in 26 circoscrizioni elettorali più la Valle d’Aosta, e ad ognuna di esse viene assegnato un numero di seggi in ragione della popolazione residente quale risulta dall’ultimo censimento.

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Nell’ambito delle singole circoscrizioni si procede alla ripartizione dei 3/4 dei seggi in altrettanti collegi uninominali, mentre il restante quarto è attribuito in ragione proporzionale mediante riparto fra liste concorrenti. A tal fine: − vengono costituiti in ogni circoscrizione tanti collegi quanti sono i seggi da assegnarsi con metodo

uninominale; − in ogni collegio si presentano singoli candidati i quali si collegano a liste concorrenti per

l’assegnazione dei seggi da attribuirsi con metodo proporzionale; ogni candidato può collegarsi con più liste fino a un massimo di 5;

− in ogni circoscrizione, si presentano liste formate da un numero di candidati non superiore a 1/3 dei seggi assegnati in ragione proporzionale. Tendendo conto di tali seggi, le liste proporzionali non potranno essere composte da più di 4 candidati.

All’elezione dei deputati partecipano tutti gli elettori iscritti nelle liste elettorali. Sono eleggibili , salvo le cause di ineleggibilità, gli elettori che abbiano compiuto il 25° anno entro il giorno delle elezioni. Le votazioni si effettuano in un solo giorno. Ogni elettore utilizza due schede, una per la votazione del candidato nel collegio uninominale, l’altra per la votazione della lista per l’assegnazione dei seggi a livello circoscrizionale. Esaurite le votazioni si procede alla spoglio delle schede e viene proclamato eletto a livello circoscrizionale, in ciascun collegio uninominale, il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi. Si passa quindi a livello nazionale e l’Ufficio centrale nazionale: − determina la cifra nazionale di ogni lista, risultante dalla somma delle cifre elettorali

circoscrizionali; − esclude le liste che non abbiano riportato sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi

(clausola di sbarramento); − procede al riparto delle restanti liste dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale con un sistema

proporzionale puro; eventuali seggi residui sono assegnati alle liste con maggiori resti; − distribuisce nelle singole circoscrizioni i seggi assegnati alle varie liste attribuendo a ciascuna lista

tanti seggi quanti quozienti circoscrizionali interi essa ha conseguito in quella circoscrizione. Gli Uffici circoscrizionali o quelli regionali procedono, sulla base dei conteggi effettuati, a proclamare l’elezione dei deputati e dei senatori. Tale proclamazione, che determina subito uno status giuridico peculiare comportando l’assunzione delle funzioni, non ha però efficacia definitiva essendo subordinata al risultato della cosiddetta verifica dei poteri, o come chiamata nella Costituzione (art. 66): giudizio dei titoli di ammissione attribuita alle stesse Assemblee. La durata delle Camere nel nostro ordinamento è di 5 anni, ai sensi dell’art. 60 Cost. Il periodo di durata in carica di una Camera è correntemente definito legislatura. La durata della legislatura può essere prorogata solo in caso di guerra e mediante legge formale, mentre la fine anticipata della legislatura può essere disposta dal presidente della Repubblica mediante scioglimento delle Camere o di una sola di esse (art.88 Cost.). Si osserva che mentre le prime quattro legislature repubblicane hanno avuto la prevista durata di 5 anni, a partire dalla V legislatura si sono succeduti ben 8 scioglimenti anticipati delle Camere, sintomo e conseguenza dell’instabilità politica del nostro Paese. Divieto di mandato operativo: la libertà delle scelte del parlamentare non può essere limitata in alcun modo, né da parte degli elettori che lo hanno votato né da parte del partito di appartenenza, che potrebbero aspettarsi dal proprio rappresentante determinati comportamenti. Ad ogni modo il parlamentare è responsabile, non solo nei confronti dei propri elettori, ma di tutto il corpo elettorale, e il partito, se tradito dal parlamentare, può emettere sanzioni punitive o censure verso di lui, che tuttavia non lo privano dello status di parlamentare. Prerogative e immunità dei parlamentari: con la legge costituzionale 29 ottobre 1993 è stato sostituito l’art.68 Cost. e sono stati modificati i diritti dei parlamentari � i parlamentari sono

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insindacabili per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni, ed è necessaria l’autorizzazione della Camera di appartenenza per le perquisizioni personali o domiciliari, per gli arresti o altre privazioni della libertà personale, per mantenere in detenzione un parlamentare, per sottoporlo ad intercettazioni, qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza (non è più richiesta per la sottoposizione a procedimento penale). Indennità parlamentari: secondo l’art.69 Cost. i membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge, diretta a garantire il libero svolgimento del mandato, che comprende il rimborso delle spese di segreteria e di rappresentanza. Essa è determinata dagli uffici di presidenza delle Assemblee in misura tale che non superi il trattamento complessivo dei presidenti della Sezione della Corte di Cassazione. SEZIONE II: L’ORGANIZZAZIONE L’organizzazione interna delle Camere (e del Parlamento in seduta comune) nonché le procedure per il loro funzionamento sono in parte disciplinate dalla stessa Costituzione (art.64 e 72) ed in parte dai regolamenti parlamentari cui la Costituzione rinvia. La Costituzione repubblicana stabilisce (art. 64) che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento interno a maggioranza assoluta dei suoi componenti, mentre l’art. 72 Cost. riserva ai regolamenti delle Camere la disciplina del procedimento legislativo, fatte salve, le sole disposizioni direttamente dettate dalla Costituzione � i regolamenti parlamentari si pongono quindi in posizione subordinata alla sola Costituzione e a loro favore è fissata una riserva che non potrebbe essere violata con disposizioni di legge ordinaria. Gli attuali regolamenti delle Camere sono stati adottati nel febbraio del 1971 e sono entrati in vigore, entrambi, il 1°maggio di tale anno. Con tali regolamenti, successivamente modificati in vari punti, sono state introdotte importanti innovazioni nella procedura parlamentare, il cui significato investe la complessiva posizione delle Camere nel nostro ordinamento e spiega una rilevante influenza sulla stessa concreta articolazione del sistema di governo, confermando l’importanza di questa fonte normativa. I regolamenti delle Camere prescrivono la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, facendo tra l’altro decorrere da tale pubblicazione la vacatio per la loro entrata in vigore. ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE CAMERE: gli organi

La Costituzione si limita (art. 63) a stabilire che ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’ufficio di Presidenza. Maggiori dettagli sono forniti necessariamente dai regolamenti parlamentari i quali indicano gli organi delle Assemblee e ne stabiliscono modalità di costituzione. In sintesi, ogni Camera ha: − un presidente eletto dagli appartenenti alla singola Assemblea con modalità diverse fra Camera e

Senato. La rilevanza del presidente si evidenzia sia nei momenti dell’organizzazione del lavoro dell’Assemblea, sia nella garanzia del corretto funzionamento delle assemblee, dei loro organi e nella tutela della posizione di ciascuno dei componenti. Il presidente non ha più solo funzioni di direzione dei lavori, ma anche funzioni di direzione politica � il suo ruolo è quindi di natura super partes e proprio per questo non può votare.

− 4 vice presidenti, 3 questori e 8 segretari. − Un ufficio di presidenza (definito Consiglio di presidenza al Senato) del quale fanno parte il

presidente dell’Assemblea, che lo presiede, i vice presidenti, i questori e i segretari. − Gruppi di parlamentari costituiti in base alle dichiarazioni rese dai singoli senatori o deputati. Per

la costituzione di un gruppo parlamentare al Senato sono necessari almeno 10 senatori, mentre alla Camera almeno 20 deputati. I deputati o i senatori che non aderiscono ad alcun gruppo sono iscritti automaticamente al cosiddetto gruppo misto.

− Le giunte (per il regolamento, per le elezioni e per le immunità parlamentari e per la biblioteca al Senato; per il regolamento, per le elezioni, per le autorizzazioni di cui all’art. 68 Cost., alla Camera).

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Si tratta di organi a carattere permanente le cui funzioni principali risultano dalla loro stessa denominazione. Le giunte sono nominate dal Presidente dell’Assemblea il quale è formalmente libero di seguire i criteri che ritiene preferibili salvo qualche eccezione.

− Le commissioni permanenti. Costituite in ogni Camera con competenze legislative, di controllo politico e conoscitive (13 sia alla Camera che al Senato). La ripartizione di senatori e deputati nelle diverse commissioni deve ispirasi all’esigenza di rispettare, in proporzione, la composizione delle Assemblee. I regolamenti di entrambe le Camere ammettono la possibilità di costituire le commissioni speciali ove ne occorra la necessità. Esistono commissioni permanenti bicamerali, composte da deputati e senatori, come la commissione per le questioni regionali, la commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, il Comitato bicamerale per la messa in stato di accusa del presidente della Repubblica.

IL FUNZIONAMENTO DELLE CAMERE

Sul funzionamento numerose disposizioni si ritrovano nella stessa Costituzione, tuttavia è molto ampia l’autonomia delle Camere stesse ovviamente espressa attraverso i regolamenti parlamentari. In quanto organi collegiali, alle Camere, si applicano i principi generali che disciplinano il funzionamento dei collegi. Il periodo che intercorre fra l’insediamento delle Camere e la loro scadenza (per fine del mandato o per scioglimento anticipato) si denomina legislatura, e la sua durata, per Costituzione, è di 5 anni. L’ultima legislatura è iniziata con le legislazioni del 1996 (attualmente in corso) ed è identificata come XIII legislatura repubblicana. Nell’ambito della legislatura non si parla più di sessioni, periodi di effettivo lavoro delle Assemblee, con eccezione della sessione parlamentare di bilancio, ma esistono solo periodi di seduta delle Camere, peraltro di notevole durata, cosicché può dirsi che le Camere sono di fatto in attività per tutto il corso della legislatura. Convocazione delle Camere La convocazione delle sedute delle Camere spetta sempre al presidente, che vi procede mediante apposito avviso e con la diramazione dell’ordine del giorno. Le sedute delle Camere possono essere ordinarie o straordinarie. In via ordinaria (art. 62 Cost.) le Camere riuniscono il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre. In via straordinaria, ogni Camera si riunisce per iniziativa del suo presidente o del presidente della Repubblica o di 1/3 dei suoi componenti (non ha potere di convocazione il Governo) � la convocazione in via straordinaria di una Camera provoca l’automatica convocazione anche dell’altra. Deliberazioni Secondo l’art. 64 della Cost. le deliberazioni (e non le sedute!) di ciascuna Camera “non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti”. Tanto alla Camera che al Senato, le votazioni possono avvenire a scrutinio palese o a scrutinio segreto e la maggioranza normale prescritta dalla Costituzione per le deliberazioni parlamentari è la maggioranza semplice (50% più uno dei presenti). Per quanto riguarda la Camera sono considerati validi e presenti solo favorevoli e contrari, e non gli astenuti; mentre il regolamento del Senato afferma che tutti i senatori, siano favorevoli, contrari o astenuti, siano da ritenersi validi e presenti. Programmazione dei lavori delle Camere I lavori delle Camere sono organizzati secondo programmi che si articolano su alcuni momenti essenziali tra i quali i contatti fra i presidenti delle Camere con il Governo e la formazione del programma cui provvede la conferenza dei capigruppo. Se tale programma è adottato all’unanimità dalla conferenza dei presidenti dei gruppi diviene impegnativo dopo la comunicazione all’assemblea e alle commissioni

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permanenti: l’Assemblea può comunque, al termine di ogni seduta, apportare le necessarie modificazioni all’ordine dei lavori già stabilito. Seduta comune delle Camere L’art 65 della Costituzione stabilisce che il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ma aggiunge che il Parlamento può riunirsi anche “in seduta comune dei membri delle due Camere” e deliberare autonomamente. Tale ipotesi è prevista solo nei casi tassativamente previsti dalla Costituzione ed un suo ampliamento sarebbe possibile solo mediante legge costituzionale. Il presidente, l’ufficio di presidenza, il regolamento e la sede del Parlamento in seduta comune sono quelli della Camera dei deputati. SEZIONE III: LE FUNZIONI 1) LA FUNZIONE LEGISLATIVA

La funzione dello Stato costituzionale che si considera prevalente nell’attività del Parlamento è la funzione legislativa, cioè la deliberazione delle leggi. Nei tempi passati, ma anche fino ai secoli XIII e XIV, la legge era la volontà stessa del sovrano, mentre l’assemblea rappresentativa non aveva ingerenza sul punto e la sua funzione principale consisteva nel consentire la tassazione. Successivamente il potere legislativo è ancora del re, ma condizionato dalla assemblee: con il tempo la vera volontà legislativa si concentra nel Parlamento, e al sovrano spetta ancora un potere formale sanzionatorio. Il movimento rivoluzionario francese rivendica, attraverso il principio della separazione dei poteri, la competenza legislativa del Parlamento, diretta espressione della volontà generale e quindi abilitato a esprimere con la legge tale volontà generale. La nostra Costituzione stabilisce che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, statuendo che la legge in senso formale è risultato della concorde approvazione delle due assemblee parlamentari, caratterizzata da un particolare procedimento formale e da una apposita forma differenziata. Accanto alla funzione legislativa le Camere hanno anche poteri di controllo e di indirizzo. Caratteristiche delle leggi: le leggi sono fonti a competenza residuale, destinate a disciplinare le materie che la Costituzione non ha riservato a se stessa o ad altre fonti, e destinate a rispettare i regolamenti regionali e quelli parlamentari. Altri limiti incontrati dalla legge sono la riserva di legge, che le impone di regolare una data materia, e l’irretrottività, secondo il principio che le leggi ordinarie non sono efficaci nei casi avvenuti nel periodo a loro precedenti. Solitamente le leggi presentano caratteri di generalità e astrattezza, tuttavia possono anche essere l’esatto contrario, ovvero puntuali e concrete: prendono così il nome di provvedimento. La legge è inoltre caratterizzata dalla cosiddetta forza legge, che si traduce in: − idoneità ad abrogare leggi precedenti; − capacità di resistere all’abrogazione di fonti successive sottoordinate. Leggi speciali: esprimono un rapporto con un’altra fonte, quando un rapporto generale/speciale, e ammettono ripetitività. Leggi eccezionali: disposizioni dettate per disciplinare situazioni che derogano alla generalità e che quindi non ammettono ripetitività. Leggi temporanee: leggi la cui efficacia nel tempo è circoscritta dalla legge stessa, o indicando un termine, o un evento al cui verificarsi perderanno efficacia. Derogano al principio secondo cui l’efficacia dovrebbe cessare solo in seguito ad abrogazione o dichiarazione di illegittimità. FASE DI INIZIATIVA LEGISLATIVA

La legge formale ordinaria si pone come la fattispecie conclusiva di un complesso procedimento giuridico articolato nelle fasi instaurativa, preparatoria, costitutiva, integrativa dell’efficacia del provvedimento legislativo.

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La fase instaurativa: quella che attiva il procedimento, dando l’avvio alle ulteriori procedure necessarie a giungere alla emanazione della legge. Iniziativa legislativa: la prima fase è la formulazione della legge. Secondo l’art. 71 della Cost. il potere di iniziativa spetta al Governo, al popolo, al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, a ogni consiglio regionale e ai Comuni. Le proposte (o testi) presentati dal Governo sono detti disegni di legge, mentre tutti gli altri vengono chiamate proposte di legge. Quando ci si riferisce alla ipotesi generale di iniziativa legislativa si parla di progetti di legge. La presentazione dei disegni di legge da parte del Governo da luogo a un subprocedimento che si articola in 4 momenti: − presentazione di uno schema di disegno di legge da parte di uno o più ministri; − deliberazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei ministri; − autorizzazione da parte del presidente della Repubblica alla presentazione del disegno; − presentazione a una delle Camere del disegno di legge accompagnato dal decreto presidenziale di

autorizzazione. Nel caso di proposte di legge di iniziativa parlamentare ogni deputato e senatore può presentarne � seguono procedure molto più rapide. Le proposte di legge di iniziativa popolare devono essere sottoscritte da almeno 50 mila elettori per la Camera dei deputati, accompagnate da accompagnate da una relazione che ne illustri le finalità e le norme. L’iniziativa di proposte di legge del C.N.E.L. (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) devono riferirsi a questioni di economia e lavoro. L’iniziativa regionale è prevista dall’art. 121 della Cost. che ne attribuisce l’esercizio ai Consigli regionali � circoscritta a materie di diretto interesse regionale. L’iniziativa legislativa spetta ai Comuni nel caso di mutamento di circoscrizioni provinciali o istituzione di nuove province nell’ambito della stessa Regione. La Costituzione stabilisce che l’iniziativa legislativa può essere attribuita anche ad altri organi o enti, purchè ciò avvenga con legge costituzionale. N.B: i progetti di legge possono essere presentati indifferentemente a una delle due Camere, ad eccezione di senatori e deputati che sono vincolati alla camera di appartenenza. FASE ISTRUTTORIA (O D’ESAME)

Dopo la presentazione del progetto di legge, si inizia la fase di esame e di eventuale approvazione di esso, che può svolgersi, secondo la Costituzione, con 3 diverse procedure: − Procedura normale (art.72 Cost.): composta da 2 fasi � 1) esame da parte di una delle Commissioni

permanenti in sede referente (fase preparatoria), 2) esame e deliberazione da parte della Camera (fase costitutiva). Secondo questo schema, una delle Commissioni permanenti, ricevuto il progetto da una delle Camere, lo discute, formula nel caso un testo modificato e riferisce alla Camera. Successivamente, la Camera procede alla discussione del progetto e a votazione a scrutinio palese che avviene prima articolo per articolo e poi sul testo complessivo. In caso di approvazione, la proposta di legge viene trasmessa all’altra Camera mediante messaggio del Presidente e dopo, eventualmente, dalla seconda Camera al Governo, sempre con messaggio, per la promulgazione da parte del Capo dello Stato.

− Procedure semplificate: • Commissioni in sede deliberante ( o in sede legislativa): la Commissione è investita dell’esame

del progetto in sede legislativa, procede a votazione prima articolo per articolo e poi con votazione sul testo finale, e si limita a riferire alla Camera. Fino all’approvazione definitiva da parte della Commissione, la Camera ha il potere di “riappropriarsi” del procedimento. Per alcune materie è escluso il procedimento in esame, ma è ammesso solo il procedimento ordinario: si tratta di disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di

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delegazione legislativa, di autorizzazione di ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi (art. 72 Cost.).

• Commissioni in sede dirigente: il potere della Commissione è più marcato rispetto al procedimento ordinario, ma meno marcato rispetto alla prima procedura semplificata. Alla Commissione competente è assegnato il potere di formulare gli articoli in un disegno di legge e di approvare gli articoli, riservando alla Camera l’approvazione finale del progetto, o al Senato la votazione finale con sole dichiarazioni di voto. Anche questo procedimento non è ammesso per tutti i disegni di legge.

FASE DI DELIBERAZIONE

Ogni progetto di legge, per divenire legge perfetta, deve essere approvato nell’identico testo da entrambe le Camere (bicameralismo perfetto). In alcuni casi può accadere che il testo di un progetto approvato da una Camera non trovi il consenso dell’altra Camera. Può accadere : a)che la seconda Camera non passi all’esame del progetto, cioè che lo “insabbi”; b) che la seconda Camera respinga il progetto votando il non passaggio agli articoli o bocciandolo nella votazione finale; c) che lo modifichi, introducendo “emendamenti” al testo approvato dalla prima Camera. In quest’ultima ipotesi il testo emendato deve tornare alla prima Camera perché questa valuti le modificazioni apportate e le accolga (nel qual caso si è realizzato il consenso sul medesimo testo e il progetto diventa legge), le respinga (e il progetto cade) o introduca ulteriori modificazioni (nei limiti consentiti dai regolamenti, cioè attinenti agli emendamenti adottati) e in questo caso il progetto torna alla Camera precedente. Questi passaggi, chiamati navette, si concludono con l’accordo delle due Camere sullo stesso testo o con l’abbandono del progetto. Alla fine della legislatura tutti i progetti di legge giacenti dinanzi alle Camere decadono. Per fare in modo che non decadano anche i progetti prossimi all’approvazione si ricorre al principio della continuità legislativa: la decadenza dei progetti pendenti alla fine della legislatura non è assoluta. FASE DI PROMULGAZIONE Approvata dalle due Camere nello stesso testo, la legge esiste ed è perfetta. Non è però ancora in grado di spiegare gli effetti che le sono propri. Il procedimento legislativo si conclude, infatti, con la promulgazione del testo deliberato cui segue la pubblicazione e la vacatio legis. Solo dopo il compimento di tali atti e il trascorrere della vacatio legis la legge entra in vigore. La promulgazione è l’atto con il quale il capo dello Stato attesta solennemente che un certo testo è stato approvato quale legge e ne ordina la pubblicazione e l’osservanza, in qualità di supremo garante della costituzionalità dell’ordinamento. La promulgazione è atto dovuto, ma il presidente della Repubblica, qualora non ritenga di procedere alla promulgazione, può rinviare la legge alle Camere, con messaggio motivato, per chiedere una nuova deliberazione: rinvio presidenziale � unico strumento che ha il capo dello Stato per intervenire nel procedimento legislativo. Tale atto si inquadra nelle procedure di controllo mediante richiesta di riesame. Il rinvio presidenziale riapre il procedimento legislativo; la legge rinviata deve essere riesaminata dalle Camere secondo le procedure consuete, e quindi sottoposta a votazione articolo per articolo. Le Camere non sono tenute a riesaminare la legge rinviata, e questo è quello che accade spesso per non creare contrasti fra Parlamento e capo dello Stato. Qualora la legge sia riapprovata, con o senza le modifiche proposte dal presidente, essa deve essere promulgata; cioè il presidente non può opporre ulteriori remore all’esercizio di un atto che diviene obbligatorio. Può discutersi sulla possibilità di rinvio, qualora le Camere abbiano riapprovato la legge, ma in un testo diverso da quello originario e senza adeguarsi alle richieste del presidente. FASE DI PUBBLICAZIONE E DI VACATIO LEGIS

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La legge promulgata non entra ancora in vigore, essa infatti deve essere conosciuta dai soggetti cui è destinata e a tal fine ne è prescritta la pubblicazione. Con l’approvazione delle due Camere la legge è esistente nell’ordinamento parlamentare, con la promulgazione viene ad esistere nell’ambito dell’organizzazione costituzionale, mentre solo con la pubblicazione diventa efficace per l’ordinamento generale dello Stato. La pubblicazione si effettua subito dopo la promulgazione, ed il testo è inserito nella “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana” e l’annuncio della pubblicazione (e pure il testo) nella “Gazzetta ufficiale della Repubblica”. L’entrata in vigore è prevista per il 15° giorno (in genere) dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Per questioni di urgenza o di conoscibilità il periodo di vacatio legis può essere ridotto o prolungato. Dopo essere entrata in vigore, la legge è destinata ad essere vigente fino a che non si verifichi una situazione che ne faccia venire meno la vigenza. Quando la vigenza di una legge sia esplicitamente subordinata alla durata di una particolare situazione, alla scadenza di una data o al verificarsi di un determinato avvenimento si parla di leggi ad tempus. La legge può perdere efficacia anche in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale. La legge può anche perdere vigenza a seguito di abrogazione esplicita o implicita. La Costituzione prevede un meccanismo di abrogazione della legge attraverso la partecipazione popolare (principio della sovranità del popolo): referendum abrogativo, cioè un’apposita consultazione popolare per conoscere se una legge, o una sua parte, deve essere abrogata o no. La Costituzione (art. 75) ammette il referendum abrogativo per tutte quelle leggi e quegli atti aventi valore di legge, ad eccezione per le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia, di indulto e di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. La richiesta per indire il referendum deve provenire da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali. Per fare in modo che il referendum produca l’abrogazione è necessario: a) che abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e b) che la proposta abrogativa abbia ottenuto la maggioranza dei voti validamente espressi. Le richieste per il referendum vanno depositate tra il 1° gennaio e il 30 settembre di ciascun anno presso la Cancelleria della Corte di Cassazione; sull’ammissibilità del referendum decide poi la Corte Costituzionale entro il 20 gennaio con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio. Se il giudizio della Corte è nel senso dell’ammissibilità, il presidente della Repubblica indice con proprio decreto il referendum, fissandone la data in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Se i risultati del referendum sono favorevoli all’abrogazione, il presidente della Repubblica dichiara, con proprio decreto, l’avvenuta abrogazione del testo legislativo sottoposto a referendum, avviando la pubblicazione sulla “Gazzetta ufficiale” e l’abrogazione decorre dal giorno successivo alla pubblicazione. Qualora, invece, il referendum dia risultato contrario all’abrogazione, ne è data notizia e non può proporsi nuova domanda per sottoporre a referendum lo stesso testo prima di 5 anni. Egualmente è data notizia sulla “Gazzetta Ufficiale” dell’eventuale invalidità della consultazione per mancata partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto. Possibili riforme del referendum: nel corso degli anni la Corte Costituzionale ha sempre più richiesto la necessità che la formulazione dei quesiti da sottoporre a referendum sia semplice e chiara. Il ricorso ai referendum non deve comunque rivelarsi eccessivo, e in futuro si può ipotizzare l’aumento del numero minimo di firme necessario per la richiesta, e una più precisa definizione delle condizioni di ammissibilità dei referendum. Bisognerebbe inoltre tutelare maggiormente i sostenitori del “no”, evitando che le posizioni di chi è contrario all’abrogazione non siano conosciute apertamente dagli elettori, e introdurre una diminuzione del numero minimo dei votanti oggi richiesto per la validità della consultazione referendaria. Si è anche teorizzata una revisione più ampia, con l’introduzione di referendum consultivi e deliberativi, con i quali gli elettori non sarebbero chiamati a dire cosa non vogliono, ma cosa vogliono, dando dunque al referendum un valore positivo, che potrebbe così coinvolgere maggiormente i cittadini.

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Posizione gerarchica del referendum: l’opinione prevalente è che la disposizione contenuta nel risultato del referendum è un “frammento di norma”, destinato a saldarsi con quella abrogata. Così resta il problema della peculiare forza giuridica del referendum, cioè se è tale da impedire alle Camere di adottare con legge ordinaria un testo identico o almeno analogo a quello abrogato, frustando così la decisione popolare. Da un punto di vista formale la decisione popolare dovrebbe ritenersi fornita della forza di legge (ordinaria) con la conseguenza che non potrebbe attribuirsi ad essa la capacità di resistenza nei confronti degli atti equiordinati e così, in particolare, nei confronti della legge formale. La caratteristica del referendum è di essere fonte del tutto atipica e unica: la volontà popolare deve prevalere per un principio organizzativo essenziale del sistema, giuridicamente rilevante e vincolante, e pregiudica le eventuali deliberazioni che le Camere volessero adottare sulla stessa materia. Si può dire che l’espressione popolare diretta priva, almeno temporaneamente, le Camere dello stesso potere di decidere sull’argomento già deciso dal popolo. “Referendum di indirizzo”: nel 1989 si è deciso di sottoporre a voto consultivo popolare l’idea di trasformare le Comunità europee in vera Unione, con Governo, Parlamento e Costituzione propri e a tal fine si è indetto un apposito referendum. Il referendum può definirsi consultivo perché si richiede un consiglio, o meglio un “indirizzo”, con un contenuto doveroso assai più vincolante di un semplice parere, destinato certamente ad assumere un notevole valore politico (rafforzato dall’88,1% a favore del “si”), ma privo della forza tipica delle direttive. 2) LA FUNZIONE DI CONTROLLO

Le funzioni di controllo e di indirizzo hanno acquistato, e stanno progressivamente acquistando, un rilievo crescente � accentuazione della specializzazione. Il controllo di maggior rilevanza è quello che le Camere esercitano nei rapporti con il Governo attraverso i vari aspetti in cui si concreta la constatazione della presenza, o della mancanza, del rapporto fiduciario. Negli atti e nelle procedure attraverso le quali le Camere concedono o negano la fiducia si riscontra una procedura di controllo il cui momento valutativo si incentra sul dibattito parlamentare e il cui momento sanzionatorio si manifesta nella concessione o nel rifiuto della fiducia, in conformità allo schema generale dei procedimenti organizzatori dei controlli giuridici. L’attività di controllo delle Camere sul Governo e sulla Pubblica Amministrazione in generale si attua attraverso i seguenti strumenti ispettivi: − Interrogazione: consiste nella semplice domanda, rivolta per iscritto, per sapere se un fatto sia

vero, se alcuna informazione sia giunta al Governo o sia esatta, se il Governo intenda comunicare alla Camere (o al Senato) documenti o notizie, o abbia preso o stia per prendere alcun provvedimento su un oggetto determinato. L’interrogazione può essere: • a risposta orale, quindi il Governo risponde durante la seduta stabilita a termini di regolamento

e l’interrogante può replicare per dichiarare se sia stato o no soddisfatto; • a risposta scritta, quindi il Governo fornisce la risposta entro 20 giorni ed essa è inserita nel

resoconto stenografico della seduta in cui è annunziata; L’interrogazione è più uno strumento conoscitivo che non ispettivo in senso proprio. Secondo la procedura question time, introdotta nel 1983, ogni mercoledì di norma la seduta è dedicata alla discussione di “interrogazioni a risposta immediata”, cioè domande al Governo, con limiti di tempo estremamente limitati (1 minuto per l’interrogante, 3 minuti per la risposta del Governo e 2 minuti per la replica dell’interrogante). Va aggiunto che interrogazioni a risposta immediata possono oggi rivolgersi anche in commissione.

− Interpellanza: consiste nella domanda, risposta per iscritto, per conoscere i motivi o gli intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati aspetti della sua politica. L’interpellante, nel giorno fissato a termini di regolamento, ha il diritto di svolgere l’interpellanza e, dopo le dichiarazioni del Governo, può esporre le ragioni per le quali sia rimasto o no soddisfatto.

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Qualora l’interpellante si dichiari insoddisfatto e intenda promuovere una discussione sulle spiegazioni date dal Governo, può presentare una mozione. L’interpellanza è uno strumento di carattere più intensamente ispettivo e sindacatorio nei confronti della politica del Governo o dell’attività della Pubblica Amministrazione � spesso l’interpellanza è infatti usata dall’opposizione.

− Risoluzione: può essere presentata sia in Aula che in Commissione, e con essa vengono manifestati orientamenti o definiti indirizzi su specifici argomenti.

− Mozione: è un testo che può essere presentato da un presidente di un gruppo o da almeno 10 deputati alla Camera, o almeno 8 senatori al Senato. Essa mira a promuovere una deliberazione dell’Assemblea su un determinato argomento. Come tale la mozione rientra più fra gli atti di indirizzo che non fra quelli di controllo o di informazione e il suo carattere ispettivo e sindacatorio nei confronti dell’esecutivo è variabile nelle singole situazioni. I regolamenti parlamentari non definiscono la mozione ma risulta evidente che deve esprimere una volontà che l’Assemblea potrà adottare o respingere. La mozione si distingue da interrogazioni e interpellanze per tre aspetti: • sulla mozione si apre una discussione generale; • sulla mozione possono essere presentati emendamenti; • sugli emendamenti eventualmente presentati e poi sul testo complessivo della mozione

l’Assemblea si esprime mediante votazione. L’attività di controllo si manifesta anche nelle inchieste parlamentari: la stessa Costituzione (art. 82) disciplina la materia, stabilendo che ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione fra i vari gruppi, che procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’attività giudiziaria. Si possono distinguere fra inchieste conoscitive (o legislative) come per esempio l’inchiesta sulla miseria, sulle condizioni di vita nelle fabbriche, sulla condizione sociale dell’anziano; e inchieste ispettive (o politiche) come per esempio: inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, sulla criminalità in Sardegna. Entrambe possono essere disposte dalle Camere. Le commissioni di inchiesta possono essere istituite separatamente da ognuna delle Camere (atto monocamerale) o da entrambe le Camere congiuntamente (detti anche atti bicamerali non legislativi), oppure l’inchiesta può essere deliberata con apposita legge. A conclusione dei lavori, le Commissioni devono riferire alla Camera da cui sono state nominate, mediante una o più relazioni, a seconda che i risultati dell’inchiesta siano adottati all’unanimità o a maggioranza � sarà poi la Camera ad assumere le decisioni conseguenti. 3) LA FUNZIONE DI INDIRIZZO

Tale funzione corrisponde alla natura delle Camere in quanto espressive in via diretta della volontà popolare. Appartengono all’attività di indirizzo le mozioni e le risoluzioni, ma possono essere comprese anche le leggi di autorizzazione e di approvazione, che esercitano un’efficacia condizionante non solo per l’attività successiva del Governo, ma anche per quella dello stesso Parlamento che rimane perciò vincolato alla loro osservanza, a meno di non derogarvi in modo espresso. Sono collegati alle leggi di autorizzazione e di approvazione la legge di bilancio, il principio secondo il quale ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farne fronte e l’obbligo delle Camere di approvare annualmente, oltre al bilancio dello Stato, anche il rendiconto consuntivo presentato dal Governo. Oltre a questi atti ve ne è un altro che concreta la funzione di indirizzo politico delle Camere: gli ordini del giorno, che possono essere presentati nel corso della discussione di un progetto di legge; tali ordini del giorno contengono indicazioni su problemi specifici e vincolano, sul piano politico, il Governo a comportarsi di conseguenza. 4) ALTRE FUNZIONI DELLE CAMERE

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Alle Camere spetta di delegare al Governo l’esercizio della funzione legislativa, deliberare lo stato di guerra (conferendo al Governo i poteri necessari), autorizzare con la legge la ratifica dei principali trattati internazionali. Le Camere hanno anche il dovere di esaminare le petizioni che i cittadini hanno ad esse rivolte, per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità, e il potere di svolgere, attraverso le commissioni, indagini conoscitive che possono concretarsi in udienze conoscitive. 5) FUNZIONI DEL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE

Le sedute “tassativamente previste” dalla Costituzione per il Parlamento in seduta comune sono: − di natura elettorale. Spetta infatti al Parlamento eleggere: il presidente della Repubblica (in questo

caso il collegio è integrato da rappresentanti regionali), 1/3 dei componenti del Consiglio superiore della Magistratura, 1/3 dei componenti della Corte Costituzionale, i 45 cittadini che formano l’elenco dal quale verranno estratti a sorte, quando necessario, i 16 giudici aggregati della Corte Costituzionale per i giudici di accusa. In tutti questi casi si vota soltanto, senza che vi sia consentita discussione � (collegio elettorale imperfetto).

− di natura processuale-penale. Il presidente della Repubblica può essere posto, con deliberazione del Parlamento in seduta comune, in stato di accusa dinanzi alla Corte Costituzionale per i reati previsti dalla Costituzione (art. 90 Cost.).

− di accertamento. Il presidente della Repubblica prima di assumere le sue funzioni, deve prestare giuramento dinanzi al Parlamento in seduta comune.

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SEZIONE I: LA STRUTTURA Il Capo dello Stato è rappresentante dell’unità nazionale, il Presidente della Repubblica si colloca, nel nostro ordinamento, al vertice formale della organizzazione statale, fornito di limitati ma significativi poteri anche sul piano sostantivo. Durante i lavori della Costituente si discusse a lungo sulla concretezza dei poteri del presidente, indubbiamente ridotti quantitativamente rispetto a quelli che lo Statuto Albertino concedeva al re, ma non per questo meno incisivi e rilevanti nel funzionamento del Senato. Al di sopra delle parti, il presidente della Repubblica è garante della costituzionalità dell’ordinamento e la Costituzione gli conferisce efficienti poteri per assolvere questa delicata funzione: egli è un organo tendenzialmente al di sopra delle parti, capace di intervenire in forza di tali poteri costituzionalmente assegnatigli, per consentire al sistema di funzionare nei momenti di crisi o di pericolo. L’indirizzo politico per il quale agisce è distinto da quello di maggioranza e può definirsi “indirizzo costituzionale” proprio in considerazione della posizione che gli spetta di “custode della Costituzione”. ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

La formazione del Consiglio regionale: il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri, al quale partecipano 3 delegati per ogni Regione, con l’eccezione della Valle d’Aosta che ne ha 1, eletti dal Consiglio regionale. La Costituzione consente l’elezione di delegati regionali estranei ai Consigli regionali anche se preferibilmente non lo sono. Le procedure per l’elezione: la convocazione di tale Parlamento spetta al Presidente della Camera dei deputati, che deve provvedervi 30 giorni prima che scada il termine di durata del mandato del presidente in carica. Se però le Camere sono sciolte o manca meno di 3 mesi alla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro 15 giorni dalla riunione delle nuove Camere (procedura che ha lo scopo di evitare l’elezione del Capo dello

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Stato da parte di Camere ormai alla fine del loro mandato e quindi meno rappresentative). Nel frattempo vengono prorogati i poteri del presidente in carica. In caso di impedimento permanente, di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, la convocazione del Parlamento integrato dai delegati regionali ha luogo entro 15 giorni dal verificarsi dell’evento, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manchi meno di 3 mesi alla loro cessazione. In questi casi non potranno essere prorogati i poteri del presidente cessato anticipatamente dal mandato e quindi le funzioni presidenziali vengono svolte, in qualità di supplente, dal Presidente del Senato (art. 86 Cost.). L’organo cui spetta l’elezione del presidente della Repubblica funziona come un collegio elettorale, è esclusa quindi qualsiasi forma di discussione di merito, ed è per questo ricompresso nella categoria dei collegi imperfetti. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo a scrutinio segreto. È dichiarato eletto chi consegua il voto dei 2/3 dei componenti dell’Assemblea. Qualora nessuno ottenga un tale risultato, si procede ad una seconda ed eventualmente a una terza elezione; solo a partire dal quarto scrutinio è dichiarato eletto chi consegua la maggioranza assoluta (cioè la maggioranza dei voti computata sui componenti del collegio). Proclamato l’esito positivo il Presidente della Camera, accompagnato dal Segretario Generale, si reca dall’eletto per consegnargli il verbale dell’avvenuta elezione. Non è prevista però l’accettazione formale da parte dell’eletto. Requisiti di eleggibilità e incompatibilità: secondo la Costituzione può essere eletto presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni di età e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio di presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica, ufficio pubblico o privato e con l’esercizio di qualsiasi professione. L’assunzione di tale carica da parte dell’eletto provoca la decadenza immediata da tutte le altre cariche pubbliche e private e da tutti gli uffici ricoperti. Al presidente sono attribuiti una dotazione e un assegno rivalutati automaticamente annualmente, in base all’indice ISTAT dei prezzi di consumo. L’assunzione della carica: il presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, deve prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune (art. 91 Cost.). Il giuramento è l’atto con il quale il Capo dello Stato manifesta la volontà di accettare la carica e viene immesso nell’esercizio delle sue funzioni. È ormai prassi consolidata che all’atto del giuramento il presidente rivolga alle Camere riunite un messaggio orale. Il presidente della Repubblica dura in carica 7 anni da giorno del giuramento: il termine presidenziale è stato fissato più lungo rispetto alla durata delle Camere (5 anni), per garantire maggior indipendenza al presidente nei confronti delle Assemblee, entrambe rinnovate nel corso del mandato presidenziale. In astratto, il capo dello Stato è rieleggibile senza limiti, tuttavia si sono manifestate prevalenti opinioni contrarie alla rielezione dei presidenti scaduti. Cessazione della carica: può essere determinata da diverse cause: − scadenza del mandato: è la situazione normale; il presidente della Camera procederà agli

adempimenti di cui all’art. 85 Cost.; − dimissioni: atto personale del presidente che non va controfirmato, per essere valido, dai ministri; − perdita dei requisiti per ricoprire la carica: ipotesi piuttosto astratta � perdita dei diritti civili e

politici a seguito di condanna penale, per atti non riferiti all’esercizio delle funzioni presidenziali; − morte: il presidente del Senato eserciterà le funzioni di Capo dello Stato e il presidente della

Camera indirà entro 15 giorni dall’evento luttuoso l’elezione del nuovo presidente della Repubblica; − impedimento permanente all’esercizio delle funzioni: questa ipotesi solleva problemi e procedure

complesse rispetto alla morte.

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Alla cessazione della carica il presidente della Repubblica diviene automaticamente senatore di diritto e a vita (art. 59 Cost.), senza bisogno di accettazione, anche se rinunciabile per espressa disposizione costituzionale. Se il presidente ha perduto la cittadinanza o i diritti civili e politici non può diventare senatore. Sostituzione temporanea del presidente: se il presidente della Repubblica non può adempiere le sue funzioni è sostituito dal presidente del Senato � tenuto conto che al presidente della Camera è attribuita la presidenza del Parlamento in seduta comune, e la disposizione in materia di supplenza riequilibra così il rapporto tra le due Assemblee ispirato appunto al bicameralismo perfetto. L’istituto di supplenza del presidente del Senato è lasciato dalla Costituzione a regole di correttezza: è presupposto un impedimento temporaneo o permanente del presidente della Repubblica. Per l’impedimento permanente devono sussistere ragioni di salute, e il presidente del Senato eserciterà le funzioni del Capo dello Stato fino all’entrata in carica del nuovo presidente della Repubblica. Se l’inadempimento è temporaneo, dovrà risultare da una situazione obiettiva (ad esempio viaggi all’estero) e non da decisione personale del capo dello Stato, la cui valutazione è peraltro rilevante e può risultare determinante. È escluso l’istituto della delega delle funzioni. Accertato l’impedimento, il presidente del Senato acquista immediatamente l’esercizio delle funzioni presidenziali, con tutte le prerogative della carica, senza necessità di alcuna particolare procedura e senza l’obbligo di prestare giuramento. In astratto, il supplente può esercitare tutte le funzioni del presidente impedito; tuttavia si è ritenuto che la correttezza costituzionale gli impedisca di adottare decisioni di particolare rilievo politico, quale lo scioglimento delle Camere, o non particolarmente urgenti, come la nomina di senatori a vita. SEZIONE II: LE FUNZIONI Le funzioni del Capo dello Stato nell’ordinamento internazionale: nello svolgimento dell’attività internazionale del nostro Stato, il presidente della Repubblica: − rappresenta lo Stato nei rapporti internazionali avendo una capacità rappresentativa generale; − accredita e riceve i rappresentanti diplomatici secondo l’art. 87 Cost.; − ratifica i trattati previa, quando occorra, autorizzazione delle Camere. Tale autorizzazione è

richiesta per i trattati di natura politica, per i regolamenti giudiziari, per le variazioni del territorio, per gli oneri alle finanze o modificazioni delle leggi;

− dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Nella prassi soltanto con legge potrebbero essere conferiti al Governo i poteri necessari e solo successivamente il presidente della Repubblica potrebbe procedere alla formale dichiarazione di guerra (che tuttavia nel nostro ordinamento può essere solo difensiva � art. 11 Cost.).

Le funzioni del Capo dello Stato nell’ordinamento interno: − Atti di indirizzo governativo: gli atti che rendono concreta la politica del Governo vengono imputati

al Presidente della Repubblica per ragioni formali, ma non indicano una competenza sostanziale dell’organo alla loro adozione, e vengono definiti atti di indirizzo governativo. La legge 12 gennaio 1991, n.13, ha indicato 30 gruppi di atti che vanno, appunto, adottati con decreto presidenziale con elencazione esplicitamente dichiarata tassativa e tale da non poter essere “modificata, integrata, sostituita o abrogata se non in modo espresso”. Al presidente, in campo militare in qualità di comandante delle Forze Armate sono attribuiti anche poteri di nomina degli ufficiali delle Forze Armate, del Capo di Stato maggiore della difesa, del segretario generale della difesa, del capo della Polizia, del comandante generale dell’Arma dei carabinieri, il comandante generale della Guardia di Finanza, ecc… (vedi pag. 322) Infine vanno adottati con decreto del Presidente della Repubblica tutti gli atti per i quali è intervenuta la deliberazione del Consiglio dei ministri.

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− Gli atti esecutivi di prescrizioni costituzionali: altri atti devono essere compiuti dal presidente della Repubblica per lo stesso funzionamento dell’ordinamento costituzionale. Si tratta di atti dovuti anche se spesso la loro concreta adozione è preceduta da una proposta ministeriale. Sono atti assolutamente necessari per la continuità legale e il regolare funzionamento del sistema, sicchè la loro omissione o anche un semplice ritardo sarebbero una forma di gravissima violazione costituzionale da parte del Capo dello Stato. Tali atti sono: la promulgazione delle leggi alla quale il presidente deve procedere entro 1 mese, salvo che non intenda rinviare la legge alle Camere per una nuova deliberazione; l’indizione del referendum popolare, costituzionale o abrogativo; l’indizione delle elezioni delle nuove Camere e la fissazione della loro prima riunione.

− La presidenza di organi collegiali: spetta al presidente della Repubblica la presidenza di organi collegiali di rilevanza costituzionali, il Consiglio supremo di difesa e il Consiglio superiore della Magistratura (secondo la Costituzione, unico contatto che gli spetta con il potere giudiziario ordinario). La presidenza del Consiglio supremo della difesa spetta al Capo dello Stato come logica conseguenza della posizione attribuitagli dalla Costituzione di comandante delle Forze armate. Il Consiglio supremo della difesa è composto da 8 membri permanenti: il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio dei ministri, 5 ministri (esteri, interno, tesoro, difesa, industria) e il capo dello stato maggiore della difesa. Alle sedute possono essere invitati altri ministri, autorità militari o esperti. Spetta al Consiglio esaminare i problemi generali, politici e tecnici, attinenti alla difesa nazionale e determinare i criteri e fissare le direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che comunque lo riguardano. Con gli atti del Consiglio supremo della difesa si concreta l’indirizzo politico in materia di difesa, con efficacia vincolante anche nei confronti del Governo � quando il Capo dello Stato agisce come presidente del Consiglio superiore della difesa è coperto dalla responsabilità ministeriale. La presidenza del Consiglio superiore della Magistratura ha soprattutto carattere simbolico.

− Gli atti di prerogativa: si tratta di concessioni di onorificenze di ordini cavallereschi (non può crearne nuovi ma concedere onorificenze a quelli esistenti), alla grazia e alla commutazione delle pene (art. 87 della Cost.), mentre la potestà di concedere amnistia e indulto rimane alle Camere.

− Gli atti di indirizzo presidenziale: complesso di atti che sono attribuiti al presidente in vista della sua posizione imparziale di supremo garante della costituzionalità del sistema soprattutto in momenti di crisi politica o istituzionale, e con i quali in Capo dello Stato non dichiara decisioni altrui, ma decisioni proprie � sono attribuiti non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, al capo dello Stato. In forza di tali poteri, il nostro presidente non è solo l’organo neutro di intermediazione, bensì l’organo attivo abilitato ad intervenire con atti rilevanti, nell’interesse del rispetto della Costituzione e di quell’unità nazionale che spetta al presidente rappresentare. In particolare: • La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: con questa nomina si conclude la fase

preparatoria nel procedimento formativo del Governo e si fa luogo alla fase costitutiva che consta della nomina del presidente del Consiglio e, su sua proposta, dei ministri. I margini di scelta del capo dello Stato possono in realtà risultare molto ridotti, poiché non può non tenere conto degli orientamenti delle forze capaci di dar vita a una maggioranza parlamentare.

• L’accettazione delle dimissioni del Governo: spetta al presidente accettare le dimissioni presentate dal Governo. Quando il Governo non ha ottenuto fiducia delle Camere o è stato colpito da sfiducia l’atto è dovuto, così come ne caso di morte, impedimento permanente o decadimento della carica di Presidente del Consiglio. Quando invece il Governo presenta le sue dimissioni per valutazioni politiche il Capo dello Stato può giocare un ruolo importante e la sua decisione di accettare o di respingere le dimissioni del Governo, rientra un una valutazione autonoma e fondata sugli interessi generali del Paese.

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• L’autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge di iniziativa governativa: l’atto di autorizzazione della presentazione alle Camere di disegni di legge di iniziativa del Governo ha per lo più valore formale.

• La convocazione straordinaria delle Camere: tale potere, previsto dall’art. 62 Cost., spetta al Capo dello Stato ma non è mai stato esercitato fino ad oggi.

• L’invio di messaggi alle Camere: i messaggi del Capo dello Stato alle Camere hanno un senso solo se si considerano come atti di indirizzo presidenziale (indipendenti dai ministri), come la possibilità data al presidente, in momenti gravi del Paese, di prendere l’iniziativa di inviare alle Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere esaminate e discusse.

• Potere di esternazione: il presidente della Repubblica deve avere la possibilità di esprimere le proprie valutazioni, rispettando l’ordine costituzionale a lui rimesso, rivolgendole alle Camere, al Governo, ai singoli ministri o anche ad altre istituzioni pubbliche attraverso note verbali o documenti scritti. Sarebbe una violazione costituzionale per il presidente fare dichiarazione su questioni che rientrano nella competenza del Governo e del Parlamento e che sono dipendenti dall’indirizzo politico della maggioranza.

• Il rinvio delle leggi alle Camere per una seconda deliberazione: il presidente può rinviare alle Camere per una seconda deliberazione le leggi che gli sono state trasmesse per la promulgazione; il rinvio deve essere operato con un messaggio nel quale il Capo dello stato chiarisce i motivi della sua decisione. Il Capo dello Stato deve infatti avere il potere di richiamare le Camere a una più attenta valutazione delle leggi approvate, quando tali leggi appaiano in contrasto con prescrizioni costituzionali o con quegli interessi generali della comunità nazionale di cui il Capo dello Stato è tutore.

• Lo scioglimento delle Camere: è il potere più rilevante attribuito al Capo dello Stato. È un contrappeso al potere delle Assemblee di condizionare, con il voto di fiducia, l’esistenza del Governo nominato dal presidente della Repubblica. In Italia dopo il 1948 si sono avuti 10 scioglimenti anticipati, determinati da motivazioni tecniche (1953, ‘58, ‘63, ‘68), situazioni di instabilità politica del Parlamento (1972, ’76, ’79, ’83, ’87), contrasti istituzionali (1992), bufere giudiziarie e mutamento delle leggi elettorali (1994), rotture politiche (1996). Il potere di scioglimento risponde, anzitutto, alla necessità di garantire il funzionamento delle istituzioni in caso di incapacità delle Camere di dare un Governo almeno relativamente stabile al Paese. Lo scioglimento è stato definito successivo quando viene disposto a seguito della sfiducia votata nei confronti del Governo; anticipato quando viene disposto senza una formale votazione di sfiducia, ma in una situazione di contrasti politici che dimostri l’impossibilità di avere un governo stabile ed efficiente. Altre ipotesi di scioglimento si hanno nel caso di radicale contrasto tra le due Camere (con conseguente blocco della legislatura), o in caso di conflitto fra parlamento e corpo elettorale. L’art 88 Cost., che non parla sui casi nei quali può farsi ricorso allo scioglimento anticipato, contiene due indicazioni procedurali. Infatti il Capo dello Stato: a) prima di disporre lo scioglimento deve consultare i presidenti delle due Camere e b) non può procedere a scioglimento negli ultimi 6 mesi del suo mandato (“semestre bianco”).

• La nomina di 5 giudici costituzionali: spetta al presidente nominare 1/3 dei giudici della Corte Costituzionale (cioè 5), dopo l’elezione degli altri 10 giudici, per consentire al presidente della Repubblica di integrare la composizione della Corte con quelle delle competenze che fossero state eventualmente trascurate dal Parlamento o dalle supreme magistrature. Il presidente deve anche provvedere alla sostituzione del giudice scaduto o cessato dalla carica entro 1 mese.

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• La nomina di 5 senatori a vita: la scelta rimessa al presidente garantisce una valutazione obiettiva e non condizionata da considerazioni politiche particolari e, come tale, rientra nelle esigenze politiche del sistema.

• La nomina di 8 componenti del CNEL e del Segretario Generale della presidenza della Repubblica: dei 12 membri scelti fra qualificati esponenti della cultura economica, sociale, e giuridica, 8 sono nominati dal presidente della Repubblica, senza bisogno della proposta del presidente del Consiglio dei ministri. Per la nomina del Segretario Generale della presidenza della Repubblica è invece obbligatorio il parere del consiglio dei ministri, ma non vincolante, mentre è esclusa la proposta governativa.

SEZIONE III: LA RESPONSABILITÀ La tutela del Capo dello Stato è disciplinata dal Codice Penale, che protegge il presidente della Repubblica contro particolari reati quali l’attentato contro la sua vita, la sua incolumità e la sua libertà personale (art. 276); l’offesa alla sua libertà (art. 277); l’offesa al suo onore e prestigio (art. 278). Secondo l’art. 279 il presidente non ha responsabilità e non può essere biasimato per gli atti del Governo da lui emanati, per lo stesso criterio si ritiene che sia responsabile per gli atti di indirizzo presidenziale. Responsabilità politica: secondo l’art. 89 Cost., nessun atto di indirizzo governativo è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità. Per quanto riguarda gli atti di indirizzo presidenziale, il Governo non si assume invece nessuna responsabilità politica. Responsabilità penale: secondo l’art. 90 della Cost., il presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, con l’eccezione nel caso di alto tradimento o di attentato alla Costituzione. A mettere il presidente in stato di accusa è il Parlamento in seduta comune, a giudicarlo la Corte Costituzionale in composizione integrata.

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SEZIONE I: LA STRUTTURA Secondo l’art. 92 Cost. il Governo della Repubblica è composto dal presidente del Consiglio, i ministri (in numero indeterminato ma regolato dall’art. 95 Cost.), che costituiscono insieme, il Consiglio dei ministri. Il Governo è un organo che agisce in forza di una propria autonoma posizione costituzionale, con proprie competenze, raccordate, nel loro esercizio, con la volontà popolare espressa dalle Camere e riassunta nella concessione della fiducia e nello svolgersi del rapporto fiduciario. Al Governo spetta tutto il potere esecutivo, escludendone l’attività esecutiva per via giurisdizionale. È disciplinata dalla Costituzione la creazione, nell’ambito del Governo, di un organo collegiale ristretto con competenze politiche generali detto Consiglio del Gabinetto. Procedimento formativo del presidente del Governo: il presidente della Repubblica a) nomina il presidente del Consiglio, b) nomina, su proposta del presidente del Consiglio, i ministri. Secondo la pratica attuale, il presidente della Repubblica, quando riceve le dimissioni del Governo uscente, si riserva di accettarle. Quindi, conferisce verbalmente l’incarico di formare il Governo e solo dopo l’accettazione dell’incarica provvede, con 3 distinti ma contestuali, a: − accettare le dimissioni del precedente Gabinetto: i decreti di accettazione delle dimissioni sono

controfirmati dal presidente del Consiglio entrante; − nominare il nuovo presidente del Consiglio; − nominare, su proposta del presidente del Consiglio, i ministri del nuovo Gabinetto. Fase preparatoria alla nomina del presidente del Consiglio: l’atto di nomina del presidente del Consiglio è preceduto da una fase preparatoria che si compone di 3 momenti:

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− Consultazioni: il capo dello Stato, secondo una consuetudine tradizionale, acquisisce le necessarie notizie ufficiali per la situazione più conveniente della crisi, rivolgendosi ad alcune personalità secondo le sue presenze. Solitamente si tratta di personalità che per la posizione ricoperta in passato possano dare al presidente una visione che prescinda dalle considerazioni di parte (ex presidenti della Repubblica, della Camera, del Consiglio,…) o personalità che esprimano, le posizioni delle diverse forze politiche rappresentate in Parlamento.

− Missioni esplorative, affidate a personalità che possano fornire ulteriori indicazioni, ma che non si propongono di costituire il Governo, o pre-incarichi, affidati al pre-incaricato di formare il Governo, per ulteriori chiarimenti. Il Capo dello Stato può far ricorso alle missioni esplorative o ai pre-incarichi qualora ritenga che esistano margini di dubbio o zone di incertezza.

− Conferimento dell’incarico: l’incarico in oggi è conferito verbalmente e di tale conferimento viene data notizia nel decreto di nomina del presidente del Consiglio. L’incaricato, che accetta con riserva, compie a sua volta, secondo la prassi affermatisi, ulteriori consultazioni, valutando per proprio conto la situazione politica, e qualora si convinca della possibilità di ottenere un risultato positivo, si reca dal presidente della Repubblica per sciogliere la riserva e accettare di formare il Governo. L’attività del capo dello Stato si esaurisce nella scelta del capo dello Stato: conclusa tale attività egli non può ingerirsi nelle valutazioni politiche e nelle conseguenti determinazioni operative che spettano, ormai, all’incaricato e ad esso soltanto. Di conseguenza il capo dello Stato potrà revocare l’incaricato, ma solo per motivi che non attengano alle scelte politiche compiute dall’incaricato.

La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: se la persona prescelta accetta l’incarico, il presidente della Repubblica la nomina, con proprio decreto, presidente del Consiglio dei ministri. Tale decreto deve essere controfirmato dallo stesso presidente del Consiglio entrante, che attesa che la scelta del capo dello Stato è conforme a Costituzione, cioè tende effettivamente alla formazione di un Governo nel rispetto delle regola del sistema. Né la Costituzione né le leggi prevedono particolari requisiti per la carica di presidente del Consiglio: come per tutte le cariche pubbliche è sufficiente l maggiore età e il godimento dei diritti civili e politici. La nomina dei ministri: come detto, da un punto di vista formale, il presidente incaricato conserva la libertà, che la Costituzione gli riconosce, di scegliere i ministri che più rispondono al suo disegno politico. Sul presidente incaricato, però, sono esercitate pressioni dai partiti e dai loro gruppi parlamentari, tanto che, in pratica, sono più gli organi dei partiti che non l’incaricato a formare la lista dei ministri, particolarmente quando il Governo è in coalizione. Completata la lista dei ministri il presidente del Consiglio la propone al presidente della Repubblica (il quale non ha il potere di cambiarla ma solo di consigliare l’incaricato della scelta), che procede alla firma dei decreti di nomina. Nella lista dei ministri spesso compaiono: − Vice presidenti del Consiglio: l’attribuzione di tale funzione a un ministro, che resta possibile ma

non necessaria, spetta al Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio; − Ministri senza portafoglio: secondo la l. 400/1988 il presidente della Repubblica, all’atto della

costituzione del Governo, può su proposta del presidente del Consiglio, nominare, presso la presidenza del consiglio, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale. Sono sorte numerose critiche perché la l. 400/1988 sembra aggirare la Costituzione, per la quale il numero dei ministri è determinato per legge.

Il giuramento dei membri del governo: prima di poter assumere le proprie funzioni, presidente del Consiglio e ministri devono prestare giuramento, che avviene in due tempi: prima giura da solo il presidente del Consiglio, e poi, a turno, tutti i ministri, alla presenza del presidente del Consiglio che funge da testimone del giuramento dei suoi colleghi di Gabinetto. La l. 400/1988 fissa il

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contenuto di tale giuramento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”. L’interpretazione formalmente più corretta della Costituzione richiederebbe dapprima la nomina e il giuramento del presidente del Consiglio e quindi la nomina e il giuramento dei ministri. Altri organi del Governo, secondo la l. 400/ 1988, possono essere considerati: � Sottosegretari di Stato: ovvero segretari parlamentari che collaborano con un ministro del

Governo. Per la nomina, è previsto il decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri. Ma la proposta del presidente del Consiglio va fatta “di concerto con il ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare. L’ufficio dei sottosegretari, che prestano giuramento nelle mani del presidente con la stessa formula stabilita per i ministri, va disciplinato con legge. I sottosegretari seguono inoltre la sorte del Governo che ne ha deciso la nomina e il limite massimo del loro numero è scomparso. � Commissari straordinari del Governo: ferma restando le attribuzioni dei ministeri fissate per

legge, possono essere nominati Commissari straordinari del governo, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali. La nomina dei Commissari straordinari è disposta con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. � Comitati interministeriali: ovvero organi collegiali ristretti con compiti settorialmente limitati e

rientranti nella sfera di più ministeri, con finalità di coordinamento di attività che interessano più dicasteri (dicastero = ministero). Dei comitati interministeriali possono farne parte solo ministri, o ministri e sottosegretari. I Comitati non hanno comunque responsabilità nei confronti delle Camere, mentre restano responsabile il Governo e i ministri individualmente. I Comitati dovranno inoltre attenersi all’indirizzo politico- amministrativo deliberato dal Consiglio dei ministri e dinanzi a questo saranno responsabili per gli atti eventualmente difformi da tale indirizzo.

SEZIONE ② : LE FUNZIONI: 1. FUNZIONE POLITICA O DI GOVERNO: Posto al vertice dell’esecutivo, il Governo esercita innanzitutto funzioni di indirizzo politico: la politica generale del Governo è il momento della scelta, fra i vari indirizzi possibili, dell’indirizzo politico cui intende conformarsi l’attività dell’esecutivo e della pubblica amministrazione e si distingue dalla politica nazionale, momento di analisi delle possibili scelte in ordine alle esigenze nazionali. Alcuni punti essenziali riguardo alla funzione di governo: a) l’attività di governo è attività politica, ovvero libera nel fine; b) l’attività di governo è condizionata al rispetto della Costituzione e delle leggi. Si pone però

come attività legislativa anche sul piano legislativo e come tale può tendere al mutamento della situazione legislativa esistente, mediante proposta di disegni di legge;

c) l’attività del Governo è attività di scelta e di comando, dove si esprime l’autorità dello Stato; d) l’attività di governo spetta istituzionalmente all’organo Governo, ma trova la sua verifica, in

relazione alla volontà popolare, nel raccordo con le Camere che si esprime con la concessione e con la revoca della fiducia. Spetta inoltre alle Camere, approvando o respingendo le proposte di legge del Governo,consentire davvero all’attuazione dell’indirizzo politico adottato e perseguito

Indirizzo politico: non può aversi indirizzo politico senza azione di governo ma anche viceversa. L’indirizzo politico si concreta nella predeterminazione della linea politica lungo la quale si svolgerà l’attività del Governo e nella mozione motivata della Camera con la quale le Camere concedono la fiducia al Governo sulla base del programma (cioè dell’indirizzo) esposto dal presidente del Consiglio. Si ritiene che il Governo potrà discostarsi dall’indirizzo politico illustrato

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alle Camere e posto a base della fiducia, tuttavia portando la responsabilità politica del cambiamento dell’indirizzo politico originario ➪ le Camere potranno far valere tale responsabilità revocando la fiducia. L’indirizzo amministrativo: l’indirizzo amministrativo si manifesta soprattutto nella cosiddetta attività di “alta amministrazione”. Secondo l’art. 95 Cost. anche l’attività amministrativa, per la parte che non è pura esecuzione, va rimessa alle scelte generali del Governo ➪ l’alta amministrazione è il punto di raccordo tra l’indirizzo politico del Governo e l’attività amministr. 2. FUNZIONI NORMATIVE: a) la delegazione legislativa b) i decreti legge vedi pagg. 14 - 15 c) i regolamenti 3. FUNZIONI SPECIFICHE DEI SINGOLI ORGANI DI GOVERNO: In base alle disposizioni della l. 23 agosto 198, n.400, e della Costituzione: a) Il Consiglio dei ministri è competente a decidere la politica generale del Governo, tanto interna

quanto internazionale e spettano alla sua competenza tutte le decisioni che la Costituzione attribuisce al Governo. Spetta inoltre al Consiglio dei ministri deliberare l’indirizzo generale dell’azione amministrativa, dirimere i conflitti di attribuzione tra i ministri, decidere sulle decisioni del Governo nei confronti delle Regioni, deliberare sugli atti concernenti i rapporti con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose, nonché decidere sugli atti da emanare con decreto del presidente della Repubblica previo parere del Consiglio di Stato, qualora il ministro competente non intenda conformarsi a tale parere, e sulla richiesta di registrazione con riserva alla Corte dei conti.

b) Il presidente del Consiglio dei ministri è l’organo individuale di maggior rilevanza nell’ambito del Governo e rappresenta il Governo. Propone al capo dello Stato la lista dei ministri e dei sottosegretari da nominare; dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. Spettano a lui importanti funzioni di impulso e di direzione nei confronti dei ministri (circolari, direttive, e simili, oppure richiami, richieste di spiegazioni o di chiarimenti e simili). Ove lo ritenga opportuno e necessario, può proporre al capo dello Stato la revoca di uno o più ministri.

c) I vice presidenti del Consiglio suppliscono il presidente in caso di assenza o impedimento temporaneo. In mancanza del vice presidente tale supplenza spetta al ministro più anziano d’età.

d) I ministri, in quanto organi individuali del Governo, contribuiscono a decidere la politica generale del Governo e hanno compiti amministrativi, tanto da costituire il necessario raccordo tra attività di Governo e attività amministrativa. I ministri senza portafoglio hanno competenza politica ma non amministrativa ( non sono cioè preposti a un ministero).

e) I comitati interministeriali hanno competenze prevalentemente preparatorie nell’ambito dei settori materiali loro assegnati, contribuendo a coordinare l’attività e le decisioni dei diversi ministeri in settori di competenza mista o comunque collegata.

f) I commissari straordinari del Governo hanno la funzione di realizzare specifici obiettivi in relazione a programmi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri ed anche la funzione temporanea di coordinamento operativo fra amministrazioni statali.

g) I sottosegretari di Stato hanno il compito istituzionale di coadiuvare il ministro preposto al ministero cui sono assegnati. Trattandosi di delegazione in senso proprio, l’attività compiuta dal sottosegretario è imputata al ministero, così come se fosse stata compiuta dal ministro.

SEZIONE ③ : LA RESPONSABILITA’ GOVERNATIVA. LE CRISI DI GOVERNO: Dopo la nomina da parte del capo dello Stato, il Governo deve ancora affrontare la verifica parlamentare, deve cioè ottenere il consenso delle due Camere mediante concessione di fiducia. Questo corrisponde al principio dei regimi parlamentari secondo il quale il Governo è politicamente responsabile nei confronti delle assemblee rappresentative. Oltre che in sede politica, i ministri possono essere responsabili in sede penale (reati ministeriali), in sede civile (per atti in violazione di diritti), in sede contabile per danni cagionati con dolo o colpa grave nelle loro funzioni.

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Rapporto fiduciario: secondo l’art. 94 Cost. “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”. ➪ senza la fiducia il Governo non può sopravvivere e il rapporto fiduciario deve permanere. In Italia: nel nostro ordinamento, secondo Costituzione, il Governo deve presentarsi alle Camere entro dieci giorni dalla nomina per ottenere la fiducia, esponendo, mediante una dichiarazione del presidente del Consiglio, la propria linea programmatica, sulla quale si apre un dibattito che si conclude con un voto sulla mozione di fiducia. L’instaurazione della fiducia deve obbligatoriamente avvenire mediante una votazione delle Camere su una apposita mozione motivata e votata per appello nominale. ➪ Il discorso programmatico del Governo è letto solo in una Camera mentre all’altra è consegnato il testo scritto che viene pubblicato subito negli Atti. ➪ Il dibattito sulle dichiarazioni del Governo avviene, alternativamente, prima alla Camera e poi al Senato. ➪ Il Governo, dopo aver prestato il giuramento e prima di aver ottenuto la fiducia, può esercitare tutte le funzioni che gli competono ma si ritiene che per correttezza, debba astenersi dal compiere atti o dall’adottare iniziative in attuazione di un indirizzo politico che deve essere ancora confortato dalla fiducia parlamentare. La permanenza della fiducia si presume, e la sua messa in causa può ottenersi mediante voto di una Camera su una mozione di sfiducia o sulla questione di fiducia posta dallo stesso Governo: � La mozione di sfiducia: secondo l’art. 94 Cost., “il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa l’obbligo di dimissioni”. La revoca della fiducia va operata mediante strumenti formali e con le procedure apposite, richieste dall’art. 94. La mozione di sfiducia deve essere motivata, deve essere sottoscritta da almeno un decimo dei componenti della camera dinanzi alla quale viene presentata, deve essere votata per appello nominale. Qualora la mozione sia approvata, il Governo deve dimettersi senza indugio e si apre così la crisi di Governo (crisi parlamentare). Nella pratica tutte le crisi, fino ad ora, sono state determinate da avvenimenti accaduti fuori del Parlamento, caratterizzandosi così come crisi extraparlamentari. Sfiducia individuale: la dottrina ammette la possibilità astratta di un voto di sfiducia individuale, che tuttavia in concreto porrebbe in posizione critica l’intero Governo per il principio dell’unità e della solidarietà ministeriale. � La questione di fiducia: la permanenza del rapporto fiduciario tra Governo e Camere può essere verificata anche per iniziativa del Governo mediante la posizione della questione di fiducia su un testo che una Camera si appresti a votare ➪ l’adozione o la reiezione del testo contro o a favore del quale il Governo ha posto la questione, comporta la revoca delle fiducia e le dimissioni obbligatorie del Gabinetto. La posizione della questione di fiducia deve essere preceduta da una deliberazione del Consiglio dei ministri e la votazione sulla questione di fiducia deve avvenire per appello nominale. Il “rimpasto” del Governo: talvolta sono necessarie modifiche nella struttura del Governo, successive alla sua formazione, a causa di situazioni politiche non rilevanti (dimissioni di un ministro per motivi personali; morte di un ministro e simili), o a causa di contrasti di carattere politico (dimissioni di uno o più ministri per dissensi sulla linea politica del Governo). Sembra comunque necessario, salvo casi marginali, che il Governo rimaneggiato si presenti alle Camere per constatare la permanenza del rapporto fiduciario. Il Governo dimissionario: quando un Governo presenta le dimissioni il presidente della Repubblica a)si riserva di accettarle; b) invita il Governo a restare in carica per il disbrigo degli affari correnti. Non sembra accoglibile né la teoria di un organo straordinario che sostituirebbe il Governo nella normalità delle sue funzioni, né quella del governo che diventerebbe organo amministrativo e non più politico. La responsabilità penale dei ministri: i ministri hanno piena responsabilità in sede penale e non godono di alcuna immunità. Per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni (cioè per i cosiddetti reati ministeriali), secondo la l. cost. 16 gennaio 1989, i ministri, anche se cessati dalla

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carica, sono sottoposti, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera della quale facciano parte o, se non parlamentari, del Senato della Repubblica. I reati ministeriali sono quelli compiuti a causa o in occasione delle attività ministeriali o in connessione con esse. Il giudizio su detti reati è demandato al Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’appello competente per territorio. Un collegio composto di tre membri effettivi e di tre membri supplenti provvede all’istruttoria preliminare, potendo disporre l’archiviazione del procedimento o la trasmissione degli atti alla presidenza della Camera competente per l’autorizzazione a procedere. ① ②③

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CAPITOLO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: SEZIONE ¬: PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: La Costituzione dedica numerosi articoli alla Pubblica Amministrazione ma i più importanti sono il 97 e il 98 nel titolo riservato al Governo, con l’intenzione di comprendere l’amministrazione nell’attività esecutiva in senso lato: essa non può essere intesa come un corpo separato nell’ambito dell’organizzazione statale, poiché, attraverso di essa, si concretano le finalità dello Stato. Definizione: in senso oggettivo, la pubblica amministrazione è l’attività svolta dagli organi della p.a. per provvedere alla cura degli interessi concreti ad essi affidati attraverso gli strumenti del diritto pubblico. In senso soggettivo invece, la pubblica Amministrazione è costituita dal complesso di organi ed enti che esercitano l’attività amministrativa appena definita. Art.97 Cost.: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge (a), in modo che siano assicurati il buon andamento (b) e l’imparzialità dell’amministrazione (c). Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

a) riserva di legge nell’organizzazione dei pubblici uffici: si tratta di riserva relativa, ammettendo l’esigenza di consentire a fonti di grado secondario di disciplinare l’organizzazione di dettaglio dei pubblici uffici. Subordinando l’organizzazione amministrativa al Parlamento, si riconduce la p.a. alla volontà popolare.

b) principio del buona andamento della p.a.: il concetto di buona amministrazione mira ad assicurare l’efficienza, la rapidità, la correttezza, la congruità dell’azione amministrativa in riferimento ai fini di interesse pubblico che con essa devono essere perseguiti.

c) imparzialità della p.a.: l’intendimento del costituente era non nel senso di non essere parte (la sua posizione parziale nei rapporti giuridici dovrebbe essere la regola), quanto nel significato di garantire l’indipendenza della p.a. da influenze politiche, nel duplice senso, attivo e passivo. L’imparzialità si concreta nel dovere di usare parità di trattamento per tutte le situazioni.

Art.98 Cost.: i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero. SEZIONE − : L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA: Funzione amministrativa: la funzione amministrativa, che consiste nel perseguimento degli scopi di pubblico interesse che l’ordinamento assegna all’apparato amministrativo, è caratterizzata dalla concretezza e dalla variabilità nel corso del tempo. L’attività amministrativa si presenta complementare all’attività normativa, trasformando il precetto astratto in imperativo concreto. Soggetti amministrativi pubblici: la p.a. comprende tutti i soggetti pubblici, competenti a porre in essere attività ammin.; il più importante di essi è lo Stato, per gli altri c’è incertezza classificatoria. La p.a. può compiere attività di diritto privato ed attività di diritto pubblico. La prima deriva dal fatto che le persone giuridiche godono della stessa capacità giuridica delle persone fisiche, sicché esse possono compiere tutte le attività che rientrino nella capacità di queste ultime e che siano compatibili con la peculiare natura delle persone giuridiche. L’attività di diritto pubblico della p.a. si realizza nella generalità dei casi mediante atti amministrativi, che vengono considerati nel complesso degli atti dei pubblici poteri, per sottolineare il carattere di espressione della amministrazione autoritativa che ad esso compete quando assume la veste di provvedimento, conseguendo il massimo di forza giuridica.

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Elementi essenziali dell’atto amministrativo: gli elementi di cui si compone un atto amministrativo possono essere essenziali o eventuali. Elementi essenziali di ogni atto amministrativo sono: - il soggetto: deve essere, di regola, un organo della p.a., competente ad adottare l’atto; - l’oggetto: è il termine passivo nei cui confronti opera la vicenda giuridica cui l’atto rivolge i

propri effetti (ad esempio il terreno espropriato, il pubblico impiegato promosso..); - il contenuto: è quanto l’atto dispone. Il contenuto necessario corrisponde alla finalità concreta

perseguita, ma accanto a questo può ammettersi un contenuto eventuale (ad esempio clausole); - la causa: consiste nella funzione istituzionale che con l’atto si persegue o anche nello scopo

tipico dell’atto. Accanto ad essa si collocano i motivi; - la forma (talora): non con finalità probatorie o di validità, bensì elemento essenziale in quanto

esternazione dell’amministrazione. Solitamente è la forma scritta. Elementi eventuali dell’atto amministrativo: essi vengono considerati clausole accessorie: - la condizione: è l’avvenimento futuro e incerto al cui verificarsi è subordinato l’inizio

(condizione sospensiva) o la cessazione dell’efficacia dell’atto (condizione risolutiva); - il termine: è il momento a partire dal quale, o fino al quale, l’atto ha efficacia; - il modo: è l’onere cui può essere assoggettato il destinatario (beneficiario) dell’atto. Il silenzio della p.a.: in diritto amministrativo il silenzio viene considerato, più spesso, come silenzio-rifiuto, e, più raramente, come silenzio-accoglimento. Procedimento amministrativo: esso si compone di tre fasi che godono di relativa autonomia e spesso sono attribuite ad organi diversi. La prima fase è la fase preparatoria, nella quale si avvia il procedimento, si compiono le eventuali operazioni necessarie, si acquisiscono pareri, ecc..; la seconda è la fase costitutiva (talora definita essenziale), nella quale sulla base dell’accertamento e della valutazione dei presupposti viene emanato l’atto che esprime la statuizione dell’autorità amministrativa. Segue, infine, la fase integrativa dell’efficacia, nella quale si acquisiscono quegli ulteriori elementi che sono necessari perché l’atto possa produrre l’effetto giuridico che gli è proprio. L’atto è perfetto a conclusione della fase costitutiva, per essere efficace deve completarsi la fase integrativa dell’efficacia. L’amministrazione ha inoltre il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso,entro un termine certo, che se non è altrimenti fissato è di 30 giorni. Invalidità dell’atto: l’invalidità dell’atto può consistere nella sua difformità da una norma (vizio di legittimità), oppure da un regola di buona amministrazione o di opportunità amministrativa (vizio di merito). I vizi di legittimità possono comportare la nullità o l’annullabilità dell’atto, i vizi di merito soltanto la annullabilità e nei soli casi previsti dalla legge. Nullità dell’atto amministrativo: un atto amm. È nullo quando in esso manca un elemento essenziale; se contrario a norme imperative di legge, non è nullo ma soltanto annullabile per violazione di legge. Cause di nullità dell’atto amministrativo: a) mancanza del soggetto: quando un atto non è stato posto in essere da un organo della p.a.

oppure è stato emanato sì da una pubblica autorità, ma assolutamente incompetente; b) mancanza dell’oggetto: quando non esiste il bene o il rapporto che l’atto contempla, tanto

materialmente quanto giuridicamente; c) mancanza della forma: quanto manca del tutto qualsiasi tipo di esternazione. Annullabilità dell’atto amministrativo: l’atto amm. è invalido e annullabile quando viziato da: - incompetenza: quando l’autorità che ha emanato l’atto non ne aveva la legittima potestà o per

ragioni di materia, o di territorio, o di grado; - violazione di legge: quando si registra una violazione di una disposizione normativa cui

l’amministrazione doveva invece attenersi; - eccesso di potere: le più rilevanti figure sintomatiche di eccesso di potere possono indicarsi

nella insufficiente o incongrua motivazione, nell’ingiustizia grave e manifesta, nella disparità di trattamento, nella contraddittorietà fra provvedimenti dell’amministrazione, nel travisamento o nell’erronea rappresentazione dei fatti, nella illogicità dei criteri di valutazione.

Annullabilità dell’atto viziato nel merito: l’atto viziato nel merito può essere annullato e revocato, ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge.

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Sanatoria degli atti amministrativi invalidi: l’atto amministrativo nullo non produce effetti validi e la nullità tanto dell’atto quanto dei suoi effetti può essere fatta valere in qualunque tempo. L’atto viziato, invece, deve essere impugnato entro termini perentori, a pena di divenire inoppugnabile, consolidandosi dunque, nonostante i suoi vizi e salva sempre la facoltà di autotutela della amministrazione. La sanatoria può riguardare solo i vizi di legittimità, posto la difficoltà logica di sanare vizi di merito. Può avvenire mediante convalida, cioè rimozione da parte della stessa autorità che ha adottato l’atto, di quei difetti di legittimità che viziavano l’atto, mediante ratifica dell’organo competente, oppure mediante conversione in forza della quale si attribuiscono all’atto invalido gli effetti di altro atto del quale possiede i requisiti. SEZIONE ® : I RICORSI AMMINISTRATIVI: Se l’atto viziato viola situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela, può essere impugnato, per farne valere la nullità o l’annullabilità, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale. Quanto ai ricorsi in via giurisdizionali, la relativa cognizione è rimessa a giudici speciali (vedi pag. 37). I procedimenti in via amministrativa sono caratterizzati dall’essere rimessi alla stessa amministrazione che, appunto, attraverso un riesame del provvedimento oggetto del ricorso, ne decide il mantenimento (respingendo il ricorso)o l’annullamento (accogliendo il ricorso). - ricorso in opposizione: è diretto alla stessa autorità che ha emanato l’atto, solo nei casi

espressamente previsti dalla legge. E’ sempre facoltativo ed è considerato strumento di collaborazione del privato per ottenere la rettifica del provvedimento verso cui è preposto.

- ricorso gerarchico: è rimedio a carattere generale avverso gli atti emanati da un’autorità amministrativa, che non siano definitivi e si pretendano lesivi di un diritto o di un interesse, per motivi di legittimità o di merito. Deve esistere un rapporto di sovra e sotto ordinazione tra l’organo al quale viene presentato il ricorso e l’organo che ha emanato l’atto. Il ricorso gerarchico può essere inoltre proposto “in un'unica istanza”, cioè una sola volta. L’organo decidente sovraordinato, esaurita l’istruttoria, può: a) dichiarare il ricorso inammissibile se non poteva essere proposto; b) respingere il ricorso se lo riconosce infondato; c) accogliere il ricorso per motivi di legittimità o di merito, annullando o riformando l’atto, salvo il rinvio dell’affare all’organo che lo ha emanato. La decisione deve essere motivata e comunicata all’organo che ha emanato l’atto, al ricorrente e agli altri interessati. In talune ipotesi, previste tassativamente dalla legge, è ammesso ricorso contro atti di autorità che non hanno un superiore gerarchico (secondo il d.p.r. 1199/71, verso gli atti amministrativi di ministri, di enti pubblici, di organi collegiali).

- ricorso straordinario al presidente della Repubblica: il ricorso al capo dello Stato è ammesso soltanto contro gli atti amministrativi definitivi. Può essere proposto per la tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi ma soltanto per motivi di legittimità, con l’esclusione di censure di merito. Il ricorso straordinario è alternativo al ricorso giurisdizionale, sicché chi lo abbia proposto non può, anche se ancora in termini, proporre ricorso al TAR avverso lo stesso provvedimento. Il ricorso straordinario deve essere presentato presso il Ministero competente per materia o presso l’autorità amministrativa che ha emanato l’atto impugnato. Il ministero competente deve poi trasmettere il ricorso al Consiglio di Stato per il previsto parere, che nei confronti del capo dello Stato è “relativamente vincolante”: è vincolante cioè fino a che non intervenga una dichiarazione difforme del Consiglio dei Ministri. La decisione è assunta con decreto del presidente della Repubblica, controfirmato dal Ministero proponente e, se vi è stata deliberazione del Consiglio dei Ministri, anche del presidente del Consiglio.

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c CAPITOLO 6: GLI ORGANI AUSILIARI: Sotto il titolo dedicato al Governo, la Costituzione (artt.99 e 100) tratta degli organi ausiliari, cioè del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Secondo la definizione più corrente, gli organi ausiliari sono quegli organi che svolgono un’azione funzionalmente correlata a quella di organi primari e quindi un’azione consultiva o di controllo. Tali organi non si ritengono costituzionali, ovvero talmente coessenziali al sistema da alterare, ove mancanti, lo stesso ordinamento, ma costituzionalmente rilevanti e garantiti e quindi una loro abolizione non potrebbe operarsi che mediante legge di revisione costituzionale. ① Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL): doveva costituire un momento per comporre preventivamente, rispetto al procedimento di emanazione delle leggi, gli interessi delle categorie produttive ed economiche, ma viene spesso considerato un “ramo secco”. Ai sensi dell’art.99 e della legge, il CNEL è composto di esperti (in numero di 11) e rappresentanti (in numero 99) delle categorie produttive ed economiche, integrati dal presidente: tutti i componenti durano in carica 5 anni e possono essere riconfermati. Le funzioni del CNEL sono di due ordini (art.99): a) è organo di consulenza delle Camere e del Governo, e può agire per propria iniziativa o su proposta del Governo, b) è organo dotato di iniziativa legislativa: può proporre progetti di legge nelle materie dell’economia e del lavoro. ② Il Consiglio di Stato: anch’esso ha due importanti funzioni, secondo l’art.100: a) funzioni consultive in materia giuridico-amministrativa (il parere del C.di S. richiesto dai ministri può essere facoltativo o obbligatorio, ma non è mai vincolante), o attraverso formulazione di progetti di legge e di regolamenti affidati dal Governo, b) funzioni giurisdizionali su atti o provvedimenti amministrativi emessi in violazione di interessi legittimi ed, eccezionalmente, di diritti soggettivi. Il C.di S. si divide in sei sezioni, le prime tre consultive, mentre le altre tre costituiscono il C.di S. in sede giurisdizionale. Ogni sezione si compone di due presidenti e almeno dodici consiglieri. ③ La Corte dei Conti: ha anche funzioni consultive ma, soprattutto, di controllo: il suo controllo sull’amministrazione dello stato non è solo contabile ma di legittimità (e non di merito), nei limiti stabiliti dalla legge, e ad essa sono attribuite funzioni giurisdizionali in materia di contabilità pubblica. Gli atti sottoposti a controllo preventivo divengono efficaci se la Corte non ne dichiara l’illegittimità nel termine di trenta giorni.

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CCAAPPIITTOOLLOO 77 LLAA MMAAGGIISSTTRRAATTUURRAA

SSEEZZIIOONNEE II:: PPRRIINNCCIIPPII GGEENNEERRAALLII.. LL’’IINNDDIIPPEENNDDEENNZZAA DDEEII GGIIUUDDIICCII EE DDEELLLL’’OORRDDIINNEE GGIIUUDDIIZZIIAARRIIOO La magistratura è un insieme di organi che esercitano la funzione giurisdizionale (potere giudiziario) in modo autonomo e indipendente dagli altri poteri delle Stato (potere legislativo ed esecutivo) � per adempiere il mandato che esercita in nome del popolo In passato si è sempre cercato di riconoscere alla magistratura la garanzia della corretta applicazione del diritto oggettivo alle situazioni concrete. Funzione giurisdizionale: consiste nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto oggettivo (cioè delle regole generali) al caso concreto, da parte di un organo terzo rispetto al conflitto e di solito in seguito a impulso di parte � applicazione del potere giurisdizionale. La funzione giurisdizionale è la funzione esercitata di regola dai magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, ai sensi dell’art.102 Cost. La funzione giurisdizionale, propria del giudice, è una delle funzioni fondamentali dello Stato (le altre sono la funzione legislativa, svolta dal Parlamento, e quella amministrativa, svolta dalla Pubblica amministrazione). Con il termine funzione giurisdizionale ci si riferisce a tutte le attività dei giudici. L’insieme dei giudici togati (cioè i magistrati di carriera) costituiscono la magistratura e il loro potere si chiama potere giudiziario. Indipendenza dei giudici: l’indipendenza dei giudici è un principio disciplinato ampiamente dalla Costituzione: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” art.101, 2°comma; “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” art.104, 1°comma; “spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati” art.105. Appare evidente l’intendimento del costituente di tutelare sia l’indipendenza funzionale sia quella organizzativa (intesa come autogoverno) dell’ordine giudiziario. − L’indipendenza funzionale dei giudici consiste nella possibilità di giudicare senza altra soggezione

che non sia la soggezione alla legge ( “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”). È escluso che il magistrato possa subire pressioni o influenze dirette ad incidere sul suo giudizio, alterando la volontà della legge. Egli infatti nell’applicare la legge deve attribuire il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dato dall’intenzione del legislatore. La dipendenza del giudice dalla legge, che deve applicare per quello che è e per quello che vuol dire, è senza riserve, ma è anche l’unica; per legge si intende il diritto oggettivo, quale che ne sia la fonte di produzione.

− L’indipendenza organizzativa della magistratura è la tutela del giudice fuori dal giudizio. A ciò mira l’autonomia e l’autogoverno del potere giudiziario art.104 Cost.: “la magistratura costituisce un organo autonomo e indipendente da ogni altro potere”. L’art. 107 Cost. afferma che i giudici sono inamovibili, se non con il proprio consenso o con decisione del CSM adottata per gravi motivi o per iniziativa dello stesso giudice. I giudici tra loro non si differenziano per posizione (non esistono gerarchie) ma unicamente per funzioni.

Il Consiglio superiore della magistratura: assicura il collegamento tra potere giudiziario e altri poteri dello Stato. Il CSM si compone di tre membri di diritto (il presidente della Repubblica che presiede il CSM, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione) e da 30 membri elettivi (20 sono eletti dai magistrati ordinari e 10 dal Parlamento in seduta comune), dall’art. 104 Cost. La Costituzione inoltre detta altre norme in materia di composizione e funzionamento del CSM: − il presidente del CSM è il presidente della Repubblica; − il vicepresidente è eletto fra 10 componenti di nomina parlamentare (designati dal Parlamento);

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− i membri elettivi del Consiglio durano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili; − tali membri, durante la carica, non possono essere iscritti negli albi professionali né far parte del

Parlamento o di un Consiglio regionale. Tuttavia la Costituzione nulla dice riguardo al numero dei componenti elettivi il CSM rinviando, implicitamente, alle leggi ordinarie. Spettano al CSM le assunzioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (art.105 Cost.). Sempre al CSM spetta designare professori universitari in materie giuridiche e gli avvocati con almeno 15 anni di esercizio (art.106 Cost.). La legge n°195 del 1958 dice inoltre che: il CSM può fare proposte al ministro per la grazia e giustizia sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia; il CSM può dare pareri al ministro sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto attinente alle predette materie. Appare dunque chiara la competenza del CSM in tutte le materie attinenti allo stato giuridico dei magistrati e al governo dell’ordine giudiziario, in modo da essere considerato organo di autogoverno della magistratura, capace di realizzare l’indipendenza organizzativa di cui essa necessita. È previsto un Comitato di presidenza, con il compito di promuovere l’attività e l’attuazione delle deliberazioni del Consiglio e di provvedere alla gestione dei fondi; è composto dal vice presidente, dal primo presidente della Corte di cassazione e dal procuratore generale presso la Corte medesima. Nell’ambito del CSM sono costituite, all’inizio di ogni anno, commissioni aventi il compito di riferire al Consiglio, nonché la Commissione speciale competente a formulare le proposte per il conferimento degli uffici direttivi. Di grande importanza è la sezione disciplinare del CSM, competente a conoscere dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati; composta da 15 membri. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei voti (in parità prevale il voto del presidente) e si traducono in DPR o decreti del ministro per la grazia e la giustizia; i componenti del CSM “non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della discussione”. Contro i provvedimenti del CSM la legge ammette il ricorso al giudice amministrativo per motivi di legittimità, mentre contro i provvedimenti in materia disciplinare è ammesso ricorso, che ha effetto sospensivo, alle sezioni unite della Corte di Cassazione. Posizione costituzionale del CSM Sono considerati costituzionali quegli organi che sono elementi essenziali della struttura del regime politico di uno Stato e la loro mancanza modifica la struttura o il regime dello stesso Stato. Di conseguenza il CSM non è un organo costituzionale ma un organo a rilevanza costituzionale (poiché pare troppo riduttivo classificarlo soltanto come organo di alta amministrazione). Posizione del CSM nell’organizzazione complessiva del potere giudiziario Il potere giudiziario è munito di due organi: la Corte di cassazione e il CSM. Nell’ambito del potere giudiziario ogni organo è nello stesso tempo potere essendo competente ad esprimere la volontà del potere giudiziario in modo potenzialmente definitivo. Giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale

La Costituzione detta altri importanti principi in materia di ordinamento giurisdizionale e di esercizio della funzione giurisdizionale. La giurisdizione può essere ordinaria o speciale. Anzitutto, è regola generale che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario � criterio dell’unicità di giurisdizione, ispirata alla necessaria garanzia di obiettività del giudizio impedendo, di norma, la costituzione di giudici speciali o

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di giudici straordinari (principio che può subire eccezioni in riferimento a situazione particolari: come l’istituzione di sezioni agrarie e i tribunali per minorenni), art.102, 2°comma. Ancora, la Costituzione prevede espressamente la permanenza del Consiglio di Stato e di altri organi di giustizia amministrativa della Corte dei conti e dei tribunali militari. Giurisdizione ordinaria: si suddivide a sua volta in civile e penale. La giurisdizione civile agisce nelle controversie tra privati, o tra privati e la P.a., per difendere i diritti soggettivi. La giurisdizione penale ha il compito di reprimere i reati e a difendere la collettività, assegnando pene a coloro che i giudici ritengano colpevoli di non aver rispettato le leggi. Giurisdizione speciale: esercitano la loro funzione in settori particolari e anche i giudici che la compongono sono sottoposti a regole diverse da quelle dei giudici ordinari. La giurisdizione amministrativa si occupa delle controversie fra privati e la P.a. per la tutela degli interessi legittimi. La giurisdizione contabile viene esercitata dalla Corte dei conti, che si occupa di controllare in quale modo viene speso il denaro pubblico e di chiedere il risarcimento da quegli amministratori che ne hanno fatto cattivo uso. La giurisdizione militare ha competenza per i reati commessi da militari sia in tempo di pace sia in guerra, e per quelli dei civili commessi in tempo di guerra. Infine sulle controversie tra fisco e contribuenti sono chiamate a giudicare le Commissioni tributarie, mentre in merito al demanio idrico sono competenti i tribunali della acque. Responsabilità civile dei giudici: con l’adozione della legge 13 aprile 1988, n.117, si è attuata una revisione normativa che ha modificato tutto il sistema: può agire in giudizio chiunque abbia “subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni,o per diniego di giustizia”. L’azione si propone contro lo Stato e mira ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non che derivino da privazione della libertà personale. Solo successivamente, entro 1 anno dall’effettuato risarcimento, lo Stato esercita l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato per una somma che, ad eccezione per i casi di dolo, non può superare 1/3 di un annualità dello stipendio percepito da un magistrato. Al fine di evitare richieste infondate o eccessive la legge prevede un preventivo esame di ammissibilità della domanda assegnato allo stesso tribunale che dovrà pronunciarsi sul merito. SSEEZZIIOONNEE IIII :: LLAA MMAAGGIISSTTRRAATTUURRAA OORRDDIINNAARRIIAA

La giurisdizione ordinaria

La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Per converso, ai giudici ordinari spetta il potere giurisdizionale nella sua generalità, con la sola esclusione delle materie e delle situazioni attribuite per legge a giudici speciali o a sezioni specializzate. La magistratura ordinaria è disciplinata dall’ordinamento giudiziario che va adottato con legge (art.108 Cost.) � riserva assoluta di legge statale. In base al vigente ordinamento giudiziario, la giustizia, nelle materie civile e penale, è amministrata dal giudice di pace, dal pretore, dal tribunale ordinario, dalla Corte di appello, dalla Corte d’assise e dalla Corte di cassazione. I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni (art.107 Cost.). La l. 24 maggio 1951, n°329 ha provveduto a distinguere i magistrati ordinari, secondo le funzioni, in magistrati di tribunale, di Corte d’appello e di Corte di Cassazione.

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Ogni processo può svolgersi al massimo in 3 gradi, quindi una controversia può essere decisa non da un solo giudice, ma da più giudici in tempi diversi. Infatti, se una o più parti non sono soddisfatte dekka decisione di primo grado possono rivolgersi a un altro giudice. Nel giudizio di primo grado la questione viene esaminata per la prima volta e viene emessa una sentenza o un altro provvedimento da parte del giudice competente. Nel giudizio di secondo grado, detto di appello, la questione viene riesaminata da un giudice diverso, che emetterà a sua volta una sentenza o un altro provvedimento; questo secondo giudizio può annullare gli effetti del primo, modificandoli, oppure può confermarli. Naturalmente, se le parti sono soddisfatte del giudizio di primo grado, si asterranno dal fare domanda di giudizio di secondo grado. Il giudizio di terzo grado, detto di cassazione, ha lo scopo, in qualche caso, di riesaminare la sentenza d’appello. Il giudizio di cassazione è il più elevato e l’ultimo dei gradi del processo. L’organo competente è la Corte di cassazione, unico giudice sia per i processi di giurisdizione ordinaria sia per quelli di giurisdizione speciale (a differenza del giudizio d’appello, pronunciato da giudici diversi a seconda della materia della controversia). La Corte di cassazione ha sede a Roma e i magistrati che la compongono sono quelli di grado più elevato nella carriera di giudice. La Corte giudica in terzo grado sono quando una delle parti sostiene che ne giudizio precedente vi è stata una violazione di legge. Il giudizio della cassazione è quindi un giudizio sulla legittimità: essa infatti non tiene conto di come si sono svolti i fatti (o il reato) che hanno dato occasione al processo, ma controlla che nel giudicare sia stato riespettato il diritto: non è quindi un giudizio sul fatto (che sarebbe un giudizio di merito), ma sulla forma, cioè appunto un giudizio di legittimità. Solo la Corte di cassazione può dare questo tipo di giudizio, quelli di primo e di secondo sono invece giudizi di merito. In sede civile i magistrati giudicanti sono il giudice di pace, il pretore, il tribunale, la Corte d’appello e la Corte di Cassazione. Giudice di pace e pretore sono giudici individuali (o monocratici), gli altri sono collegiali. Il giudice di pace, il pretore e il tribunale sono giudici di primo grado, in base ai criteri di competenza fissati dal codice di procedura civile. Le sentenze dei giudici di primo grado possono essere impugnate con appello (principio del doppio grado di giurisdizione). Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (salvo quelle del giudice di pace) possono essere impugnate con ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione per ottenere che vengano cassate (cioè annullate con o senza rinvio). La Corte di Cassazione è giudice di legittimità e non di merito, quindi può essere investita solo per questioni di diritto. In sede penale i magistrati giudicanti sono il giudice di pace, il pretore, il tribunale, il tribunale per i minorenni, la Corte d’assise, d’appello e la Corte di Cassazione, secondo le norme del nuovo codice di procedura penale. Il giudice di pace, il pretore, il tribunale, il tribunale per i minorenni, la Corte d’assise sono giudici di primo grado in base ai criteri di competenza fissati dal codice di procedura penale. Anche in sede penale vige il principio del doppio grado di giurisdizione, cioè è prevista la possibilità di impugnazione della sentenza di primo grado. L’appello contro le sentenze del giudice di pace, del pretore, del tribunale, del tribunale per i minorenni, della Corte d’assise si propone rispettivamente dinanzi al tribunale, alla Corte d’appello, alle sezione di Corte d’appello per i minorenni, alla Corte d’assise d’appello. Possono essere impugnati dinanzi alla Corte di cassazione i provvedimenti penali non soggetti di per se stessi ad appello o pronunciati in grado d’appello per motivi di diritto. Sia in sede civile sia in sede penale il processo si articola in 3 fasi: la fase dell’istruzione (o istruttoria), la fase del giudizio e la fase di esecuzione. Le prime due fasi danno luogo al processo di cognizione e l’ultima a quello di esecuzione. Il pubblico ministero

Esso è un altro organo previsto dall’ordinamento giudiziario che si affianca al giudice: alle dipendenze del procuratore capo si trovano i sostituti procuratori.

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Il p.m. assume diverse denominazioni a seconda del giudice presso il quale esercita le sue funzioni, come ad es.: pubblico ministero, procuratore della Repubblica, procuratore generale presso la Corte d’appello o presso la Corte di cassazione. L’ordinamento giudiziario conferisce al p.m. una serie di attribuzioni dirette, fra l’altro, ad assicurare l’osservanza delle leggi, la pronta e regolare amministrazione della giustizia, la repressione dei reati, l’esecuzione dei giudicati. In materia civile, il p.m. esercita l’azione civile e interviene nei processi, nei casi stabiliti dalla legge (in particolare nei processi riguardanti lo stato delle persone, nei processi di cassazione, ecc…); in materia penale, il p.m. è obbligato, secondo l’art.112 Cost., ad esercitare l’azione penale ed interviene a tutte le udienze penali delle corti, dei tribunali e delle preture. Il p.m. ha carattere del tutto “neutrale” ed è estraneo all’apparato amministrativo: la sua funzione non può essere considerata giurisdizionale (non spetta al p.m. giudicare) ma non può essere nemmeno considerata di parte, essendo finalizzata all’interesse generale e al rispetto della legge. Il giudice naturale precostituito per legge

Nessuno, secondo Costituzione, può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge; la precostituzione del giudice, non in quanto persona fisica, ma in quanto organo, comporta la previa determinazione di competenze realizzabili in futuro e non già, a posteriori, in relazione a una controversia già insorta. Non un giudice qualsiasi è competente a giudicare la fattispecie ma solo il “giudice naturale”. Garanzie costituzionali del processo

La Costituzione fissa alcuni principi in materia processuale: ognuno può agire in giudizio per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi; art.113: “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa.Tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.” Art.24, 2°comma: “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La Costituzione prevede che siano assicurati, ai non abbienti,mezzi per agire e difendersi davanti ogni giurisdizione”. 4°comma: “è affidato alla legge il compito di determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.”.

Garanzie del processo penale

Alcuni principi fissati dalla Costituzione: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (irretroattività della legge penale e riserva assoluta di legge, art.25); art.27: personalità della responsabilità penale, presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva, principi relativi alle finalità e all’entità delle pene. L’art.111 Cost. contiene 2 disposizioni relative all’obbligo dei provvedimenti giurisdizionali e alla possibilità di ricorso in Cassazione contro tutte le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale. − Tanto nel processo civile quanto in quello penale i provvedimenti dei giudici possono assumere la

forma del decreto (da non motivare), dell’ordinanza o della sentenza (entrambe da motivare). − Il ricorso in Cassazione per violazione di legge è sempre ammesso contro le sentenze e i

provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali e mira ad evitare la possibilità di escludere il ricorso in Cassazione per particolari materie o limitandolo a particolari vizi di legittimità. Unica eccezione a questo principio si ha per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

SSEEZZIIOONNEE IIIIII:: II GGIIUUDDIICCII SSPPEECCIIAALLII I principi fondamentali che risultano dalla Costituzione in ambito di giudici speciali sono:

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a) la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, secondo l’art.102, ed è vietata l’istituzione di giudici straordinari (creati appositamente per una controversia) o speciali (che si occupano solo di alcune materie), consentendosi soltanto l’istituzione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari; b) revisione, e quindi sopravvivenza, dei giudici speciali di giurisdizione esistenti (ed è dunque un’eccezione al principio a)); c) mantenimento delle funzioni giurisdizionali di alcuni giudici speciali quali il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e i tribunali militari; d) istituzione, nelle Regioni, con legge statale, di organi di giustizia amministrativa di primo grado; e) la garanzia, da stabilirsi con legge, dell’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali. 1. La giustizia amministrativa I giudici speciali che assumono maggior importanza nel nostro ordinamento, sia per l’ampiezza della competenza, sia per l’entità delle pronunce, sono i giudici amministrativi. Nel diritto pubblico, e in particolare nei rapporti tra privato e p.a., le posizioni giuridicamente tutelate non assumono soltanto la configurazione di diritti soggettivi, come nel diritto privato. Accanto a questi si pongono nel nostro vigente ordinamento anche gli interessi legittimi, nella doppia configurazione di interessi occasionalmente protetti e di diritti affievoliti, mentre gli stessi interessi semplici possono acquistare qualche rilievo nella misura in cui investono il merito dell’attività amministrativa. Le posizioni giuridiche soggettive tutelate: a) diritto soggettivo: sorge quando la legge attribuisce ad un soggetto un potere per la tutela primaria e diretta del proprio interesse. b) interesso legittimo (o interesse occasionalmente protetto): si ha quando il comportamento della pubblica Amministrazione incide su una posizione giuridica che si trovi in una particolare relazione con la situazione di interesse generale, sicché ne scaturisce una protezione per l’interesse particolare altrimenti impossibile. (ad es. in caso di concorso pubblico l’interesse legittimo sarà di colui che è stato escluso a partecipare e che si trova perciò in una posizione soggettiva attiva qualificata). c) diritto affievolito: si ha quando un diritto soggettivo si estingue a causa dell’esercizio dei poteri dell’autorità amministrativa. Il diritto soggettivo è dunque subordinato alla sua compatibilità con l’interesse pubblico. In caso di incompatibilità, il diritto perde la sua rilevanza e appunto si affievolisce, riducendosi a mero interesse legittimo. L’esempio più comune è l’espropriazione per pubblica utilità: lo stesso diritto di proprietà si affievolisce, e la proprietà del bene espropriato viene trasferita ad altro soggetto. L’art.113 Cost., raccordato con l’art.24, costituisce la disposizione fondamentale in riferimento al sistema di giustizia amministrativa vigente. Questo articolo fissa 3 principi: a) la possibilità di ricorrere ai giudici ordinari o speciali, contro gli atti della Pubblica Amministrazione

per la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi; b) l’impossibilità di escludere o limitare tale tutela giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione

o per determinate categorie di atti; c) la possibilità di indicare con la legge gli organi giurisdizionali competenti ad annullare atti della

Pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

I Tribunali amministrativi regionali

I TAR sono stati istituiti con la l.6 dicembre 1971, previsti dall’art.125 Cost., e sono stati riordinati con la l.27 aprile 1982. I TAR sono “organi di giustizia amministrativa di primo grado”, composti da un presidente e da almeno 5 magistrati amministrativi regionali: le loro circoscrizioni sono regionali ma possono essere istituite sezioni staccate. Il TAR decide su vari tipi di ricorso e sulla violazione di interessi; la sua giurisdizione è di regola di legittimità. Il termine per presentare ricorso al TAR è di 60 giorni dalla conoscenza dell’atto da parte dell’interessato e le sentenze, con le quali si conclude il procedimento dinanzi al TAR, sono impugnabili mediante ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, da proporre entro 60 giorni dalla sentenza.

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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

L’art.100 Cost. precisa che il Consiglio di Stato è organo oltre che di consulenza giuridico-amministrativa anche di tutela della giustizia nell’amministrazione. Anche il Consiglio di Stato ha una competenza generale di legittimità e una competenza particolare di merito. Nella grande maggioranza dei casi, il C.di S. decide sulla controversia annullando la decisione impugnata o respingendo il ricorso contro di essa. Contro le decisioni pronunziate dal C.di S. sono ammessi soltanto il ricorso per revocazione in alcuni casi e il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. Il Consiglio di Presidenza della giurisdizione amministrativa

Il Consiglio di Presidenza è un organismo che si configura organo di autogoverno della magistratura amministrativa. Esso è composto da 13 membri effettivi: il Presidente del Consiglio di Stato, dai 2 presidenti di Sezione del Consiglio di Stato più anziani nella qualifica, in servizio presso il Consiglio di Stato, da 4 magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato e da 6 magistrati in servizio presso i TAR. Le sue attribuzioni sono dirette all’organizzazione dell’attività dei giudici amministrativi e a garantire l’indipendenza organizzativa della magistratura amministrativa. Il consiglio delibera sulle assunzioni, assegnazioni di sedi e funzioni, trasferimenti, promozioni, conferimento di uffici direttivi e su ogni altro provvedimento riguardante lo stato giuridico dei magistrati del consiglio di stato e dei TAR. Esso inoltre delibera sui provvedimenti disciplinari riguardanti tali magistrati. La competenza giurisdizionale della Corte dei conti

La Corte dei conti è un giudice speciale amministrativo con competenza particolare; è un organo a competenza mista. La Corte dei conti si compone come organo giurisdizionale di sezioni centrali e sezioni regionali. Le sezioni centrali (o giurisdizionali) hanno competenza in materia di responsabilità contabile e in materia pensionistica. Le sezioni regionali giudicano in materia di contabilità pubblica e contro le loro sentenze è ammesso ricorso, entro 60 giorni, alle sezioni giurisdizionali centrali. La Corte dei conti può decidere a Sezioni riunite sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima rimesse al giudizio delle Sezioni giurisdizionali centrali o regionali o a richiesta del procuratore regionale.

Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti

Il Consiglio di presidenza della Corte dei conti è composto da 17 membri: dal presidente della Corte dei conti che lo presiede; dal procuratore generale della Corte; dal presidente di sezione più anziano; da 4 cittadini scelti di intesa fra i Presidenti delle due Camere, tra i professori ordinari di materie giuridiche o gli avvocati con 15 anni di esercizio professionale; da 10 magistrati ripartiti fra le varie qualifiche eletti da tutti i magistrati della Corte in un’unica tornata, con voto personale e segreto. Le Commissioni tributarie

Le Commissioni tributarie possono essere annoverate tra i giudici speciali amministrativi oggi esistenti. Con il d.lgs.n.545/1992 si sono costituite commissioni provinciali e commissioni regionali. Contro la sentenza della commissione regionale può essere proposto ricorso per cassazione. Le Commissioni tributarie sono nominate con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro delle finanze, previa deliberazione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. I presidenti delle Commissioni sono nominati fra magistrati anche a riposo mentre i componenti (almeno5 per sezione, compreso il vicepresidente) vengono tratti da elenchi formati da persone che per gli uffici ricoperti o per le attività professionali svolte presentino una adeguata preparazione. I componenti delle Commissione tributarie durano in carica nella stessa Commissione non oltre 9 anni e, prima di assumere le funzioni, debbono prestare giuramento.

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Il Consiglio di presidenza è composto da 6 membri effettivi e da 6 supplenti e dura in carica 4 anni. Le Commissioni tributarie sono competenti a giudicare sulle controversie concernenti le imposte sui redditi, l’IVA, l’INVIM, l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, le imposte ipotecaria e catastale,l’imposta sulle assicurazioni,i tributi comunali nonché negli altri casi previsti dalla legge. Tribunali delle acque pubbliche

I Tribunali delle acque pubbliche rientrano nella giustizia amministrativa come organi giurisdizionali aventi competenza sulle controversie in materia di acque pubbliche e precisamente di acque del demanio idrico statale. Nonostante la definizione tali tribunali sono Sezioni specializzate della Corte di appello presso la quale sono istituiti. Giudice speciale è invece il Tribunale superiore delle acque pubbliche istituito a Roma, e composto di 12 componenti: 9 magistrati della Cassazione o del Consiglio di Stato e 3 membri effettivi del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Contro le decisioni pronunciate in grado di appello dal Tribunale superiore è ammesso ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Altre giurisdizioni amministrative speciali sono previste nel nostro ordinamento: − i Commissionari regionali per la liquidazione degli usi civici; − la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie; − la Commissione per le controversie in tema di brevetti per invenzioni industriali; − il Ministro per i lavori pubblici in materia di revisione di prezzi dei contratti per pubbliche

forniture; − i Consigli nazionali di alcuni ordini professionali; − la Commissione centrale di vigilanza per l’edilizia economica e popolare quando decide le

controversie in materia di condominio fra i soci di cooperative edilizie. 2. La giustizia penale militare I giudici speciali istituiti nell’ambito della giurisdizione penale militare sono i tribunali militari, che in tempo di pace, come afferma l’art.103 Cost., hanno giurisdizione per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate, mentre in tempo di guerra la competenza, ovviamente più vasta, viene rimessa alla legge. Per reato militare si intende qualunque violazione della legge penale militare o quella fattispecie criminosa nella quale si realizzi concorso di lesione della legge penale comune e della legge penale militare. I Tribunali militari, in numero di 8, sono giudici di primo grado; quando vi sia concorso nel reato di militari e civili, è competente per tutti i procedimenti l’autorità giudiziaria ordinaria. La Corte militare d’appello: giudica sull’appello proposto avverso (cioè contro) tutti i provvedimenti emessi dai Tribunali militari. Contro i provvedimenti dei giudici militari è ammesso ricorso per cassazione secondo le norme del codice di procedura penale. Il Consiglio della magistratura militare: con la l.30 dicembre 1988, n.561, è stato istituito il consiglio della magistratura militare con compiti nei confronti dei magistrati militari analoghi a quelli del Consiglio superiore della magistratura nei confronti dei magistrati ordinari.

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PPAARRTTEE QQUUIINNTTAA

LLEE AAUUTTOONNOOMMIIEE LLOOCCAALLII –– LLEE RREEGGIIOONNII

CCAAPPIITTOOLLOO 11 LLEE AAUUTTOONNOOMMIIEE LLOOCCAALLII NNEELLLLAA CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNEE

La prospettiva regionale Dopo le tendenze federaliste postunitarie e i provvedimenti fascisti contro le autonomie infrastatali, coloro che prepararono il nuovo ordinamento democratico e poi la nuova Costituzione guardarono alle autonomie locali, alla loro rinascita e al loro potenziamento, come uno dei punti fermi del nuovo Stato, libero e fondato sulla partecipazione popolare. Senza dubbio il rilievo concesso a tali autonomie era anche legato alle aspirazioni di una civiltà contadina che stava per subire,in quegli anni,il più forte ridimensionamento degli ultimi secoli e che concepiva la contrapposizione, e non la necessaria collaborazione,tra potere centrale e potere locale. Tuttavia alla fine della guerra e nel periodo di preparazione della nuova Costituzione, era ben chiara agli osservatori più attenti la necessità di ridare vigore alle pubbliche istituzioni con una ripresa di efficienza e di velocità della pubblica Amministrazione. Era necessario cercare di trovare un corretto punto di equilibrio tra le esigenze dello Stato e dell’Amministrazione centrale e quelle delle autonomie locali, spesso eccessivamente frammentate, anche in prospettiva di programmazione economica: la dimensione regionale divenne così la dimensione ottimale della nuova organizzazione amministrativa. La “Commissione Forti” condusse tra il 1945 e il 1946 una serie di studi importanti sulla riorganizzazione dello Stato. Motivazioni importanti, che prevalsero, favorevoli alle autonomie locali, furono il valore dell’auto governo (“Non si tratta solo di portare il governo alla porta degli amministrati, con un decentramento burocratico e amminisrtativo…si tratta di porre gli amministrati nel governo di sé medesimi”), e il tema della crescita delle libertà (“Senza istituzioni locali una nazione può darsi un governo libero, ma non lo spirito della libertà”). In conclusione, l’Assemblea costituente adottò una disposizione a carattere generale, inserita tra i principi fondamentali (art.5) con l’esplicito riconoscimento delle autonomie locali, e dedicò il titolo V della parte II agli enti locali territoriali, introducendo nel nostro ordinamento, accanto ai Comuni e alle Province, le Regioni, quali enti autonomi dotati di propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione. La norma chiave è: Art.5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; si attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.” Il pluralismo giuridico non deve comunque trasformarsi in separazione politica. Qualunque iniziativa assunta nel campo delle autonomie locali dovrà essere valutata alla stregua di questo limite e sarà conforme a Costituzione solo se non comprometterà l’unità e indivisibilità della Repubblica. Altri principi importanti sono dettati dagli art.115 (che proclama le regioni enti autonomi), art.116 (che prevede forme e condizioni particolari di autonomia per le 5 regioni a statuto speciale), art.128 (che dichiara enti autonomi anche le Province e i Comuni, rispettando i principi fissati da leggi generali della Repubblica, art.119 (prevede l’autonomia finanziaria). Ordinamenti degli enti locali: un aspetto rilevante delle autonomie locali è nella possibilità di creare diritto non solo nell’ambito dell’ordinamento statale, ma dando vita ad ordinamenti particolari

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ricompresi nell’ordinamento generale. Sicuramente la Regione ha comunque un’autonomia più ampia, perché nella creazione del suo ordinamento incontra solo i limiti direttamente o indirettamente derivanti dalla Costituzione, mentre i Comuni e le Province devono contenersi, in più, nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica. Tanto le Regioni quanto i Comuni e le Province hanno però titolo a creare un proprio ordinamento giuridico, derivato da quello statale, e nel quale entrano, in un incontro talora non semplice, norme statali e norme poste dall’ente locale in una articolazione di competenze che trova nella Costituzione il suo punto di riferimento, la sua giustificazione e anche i criteri per il superamento delle possibili antinomie. Autonomia politica degli enti locali: tale autonomia consiste nel potere di darsi un indirizzo politico. A livello di comunità più ristrette dello Stato, quali Regioni, Province, Comuni, costituzionalmente disciplinate e garantite, può ammettersi l’esistenza di un indirizzo variamente circoscritto, ma pur sempre suscettibile di uniformarsi a valutazioni politiche e che potrà essere definito secondario o minore, o politico-amministrativo, ma che comunque non può essere negato o contestato, quando resti nei limiti indicati da Costituzione. Si rileva anzi posizione di reciprocità tra Stato e Regione, poiché non solo lo Stato può contrastare le scelte regionali che superino i limiti costituzionali, ma anche la Regione può opporsi a quegli atti statali che invadano la sua sfera di competenza. Tale attività politica della Regione con cui essa può darsi un indirizzo politico non è originaria come quella statale, ma derivata ed appunto per ciò la si definisce autonoma. Analogamente può parlarsi di autonomia politico-amministrativa per gli enti locali subregionali. Né questo, di per sé, compromette l’unità statale o incrina il principio dell’indivisibilità della Repubblica, perché l’autonomia politico-organizzativa tanto delle Regioni quanto degli enti locali infraregionali deve contenersi nei limiti stabiliti dall’ordinamento e vi sono strumenti idonei per garantire il rispetto di tali limiti.

CCAAPPIITTOOLLOO 22 LLAA RREEGGIIOONNEE

SSEEZZIIOONNEE II :: PPRROOBBLLEEMMII GGEENNEERRAALLII,, LL’’IISSTTIITTUUZZIIOONNEE DDEELLLLEE RREEGGIIOONNII Art.115 Cost.: le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione. Distinzioni tra Regioni: la Costituzione differenzia dalle Regioni ad autonomia ordinaria cinque Regioni alle quali, secondo l’art.116, sono attribuite “forme e condizioni particolari di autonomia” (ovvero dove più forte è il problema delle minoranze etniche e linguistiche: Sicilia, Sardegna, Trentino – Alto Adige, , Valle d’Aosta, istituite nel 1948, e Friuli – Venezia Giulia, istituita nel 1963). Gli statuti speciali sono considerati atti dello Stato e non della Regione, e tali Regioni non godono quindi di potestà statutaria, ma d’altra parte esse godono di più ampi poteri proprio in forza degli statuti che, essendo leggi costituzionali dello Stato, ben possono derogare alle prescrizioni generali in materia di regioni fissate dalla Costituzione. Evoluzione storica: dopo numerose peripezie i consigli regionali furono effettivamente eletti solo il 7-8 giugno 1970, i decreti delegati, per il trasferimento da parte del Governo delle funzioni amministrativi, furono emanati nel gennaio 1972 e il concreto esercizio di tali funzioni iniziò il 1° aprile 1972. Più volte, e in ultimo nel 1998, sono stati innovati i trasferimenti delle materie e la loro distribuzione tra regioni ed enti locali infraregionali. I blocchi di materie trasferite sono stati identificati nello sviluppo economico e attività produttive; nel territorio, ambiente e infrastrutture; nei servizi alla persona e alla comunità e nella polizia amministrativa e regime autorizzatorio. Più di recente è stata istituito un organismo denominato Conferenza Stato-Regioni.

SSEEZZIIOONNEE IIII :: GGLLII SSTTAATTUUTTII RREEGGIIOONNAALLII

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L’organizzazione regionale è delineata nei suoi aspetti essenziali dalla Costituzione ma la stessa Costituzione attribuisce alle sole Regioni ad autonomia ordinaria la potestà statutaria, nell’art.123, affidando la competenza a regolare l’organizzazione interna delle Regioni ad appositi statuti. Secondo l’art. 123 Cost., ogni statuto ordinario è deliberato dal Consiglio regionale (entro 120 giorni dalla prima convocazione) a maggioranza assoluta dei suoi componenti ed è approvato con legge della Repubblica. Il Consiglio regionale trasmette lo statuto deliberato al presidente del Consiglio dei ministri, il quale provvede a presentarlo entro 15 giorni al Parlamento. Imputazione dello statuto: lo statuto, nonostante la successiva approvazione statale, è e resta atto della Regione e va attribuito alla sola volontà regionale. Lo statuto nel sistema delle fonti: si è spesso sostenuto che lo statuto vada considerato in posizione sovraordinato alla legge regionale; tuttavia deve comunque escludersi che il legislatore regionale debba sottostare, per obbligo giuridico, alle indicazioni programmatiche degli statuti. Contenuto degli statuti regionali: ai sensi del solito art. 123 Cost. lo statuto, “in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione”. Inoltre “lo Statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali”. Apparentemente lo spazio che concretamente residua agli statuti è piuttosto modesto, si è così pensato di interpretare in modo più ampio il riferimento all’organizzazione interna regionale. L’ “armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica” non deve essere considerata limite degli statuti, o semplice e piatta conformità. Essa esprime infatti l’esigenza di un collegamento logico con il sistema generale che, proprio per essere unitario, non potrebbe tollerare contrapposizioni organizzative così rilevanti da compromettere il quadro logico dell’ordinamento. Revisione degli statuti: tutte le regioni hanno uno Statuto. Tali statuti possono essere modificati. La revisione degli statuti si opera mediante legge costituzionale per le Regioni ad autonomia speciale e mediante procedimento identico all’adozione di testi statutari per le Regioni ordinarie. La deliberazione di revisione statutaria dovrà essere adottata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta e sottoposta ad approvazione da fare con legge della Repubblica. SSEEZZIIOONNEE IIIIII :: GGLLII OORRGGAANNII DDEELLLLEE RREEGGIIOONNII La stessa Costituzione, all’art.121, indica quali organi della Regione il Consiglio regionale, la giunta e il suo presidente, definibili organi necessari alla Regione e organi istituzionali, cioè organi che corrispondono alla struttura organizzativa fondamentale dell’ente. Per la maggior parte la materia dell’organizzazione dei massimi organi regionali è comunque da ritenersi rimessa all’autonomia statuaria di ogni Regione, ovvero a statuti regionali e a regolamenti interni. 1. IL CONSIGLIO REGIONALE Il Consiglio regionale è rappresentante in via diretta della volontà popolare ed ha importanti poteri di decisione nella Regione. Alcuni principi riguardo alla sua organizzazione sono dettati dalla Cost., ma la maggior parte dalla legge statale: il numero di consiglieri regionali è compreso tra 30 e 80; sono eleggibili e elettori sostanzialmente tutti i maggiorenni; il sistema elettorale regionale combina sistema maggioritario e proporzionale; i Consigli regionali durano in carica 5 anni. Come per i parlamentari, esistono diverse cause di ineleggibilità (coloro che ricoprono cariche di alti funzionari dello Stato) e incompatibilità (coloro che si trovino in rapporti economici con la Regione, anche in via indiretta) per i consiglieri regionali, che non sono tenuti a giurare, godono di insindacabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, rappresentano l’intera Regione e godono di un’indennità di carica. I consiglieri regionali sono proclamati eletti dal presidente dell’ufficio centrale circoscrizionale: tale elezione deve però essere convalidata dallo stesso Consiglio regionale che incarica un’apposita Commissione di scovare eventuali cause di ineleggibilità. Organizzazione interna del Consiglio regionale

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Secondo l’art. 122 Cost., il Consiglio regionale “elegge in suo seno un presidente e un ufficio di presidenza per i propri lavori”. Il presidente viene eletto a scrutinio segreto, talora con particolari maggioranze. L’ufficio di presidenza, eletto dal Consiglio, si compone del presidente, dei vice presidenti, dei segretari. Altri organi spesso specificati dagli statuti sono i gruppi consiliari, la conferenza dei capigruppo, le commissioni consiliari (con il compito di esaminare preliminarmente i progetti di legge e le altre deliberazioni consiliari, non dotate di competenza deliberante). Attribuzioni del Consiglio regionale: secondo Costituzione, il Consiglio regionale “esercita le potestà legislative e regolamentari attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi”. Inoltre “può fare proposte di legge alle Camere”. Appare dunque evidente che il Consiglio è il massimo organo deliberativo della Regione. Le norme sul funzionamento dei Consigli regionali sono contenute negli statuti che rinviano a loro volta ai regolamenti consiliari. Spesso i lavori consiliari vengono divisi in sessioni e programmati. 2. LA GIUNTA REGIONALE E IL SUO PRESIDENTE Composizione: La Giunta regionale, organo esecutivo della Regione, viene eletta dal consiglio regionale tra i suoi componenti, solitamente a scrutinio palese per appello nominale. Tra Consiglio regionale e Giunta si instaura un rapporto fiduciario simile a quello Parlamento - Governo. La Giunta compone del presidente, che “rappresenta la Regione”, e dei membri della Giunta, spesso definiti “assessori”. Il numero di assessori è fissato dagli statuti; quando essi agiscono come componenti della Giunta, non godono dell’immunità di cui godono i consiglieri regionali. Compiti: compiti principali attribuiti alla Giunta sono quelli di attuare i programmi approvati dal Consiglio regionale, conformarsi agli indirizzi politici e amministrativi deliberati dal Consiglio, proporre al Consiglio regionale i provvedimenti da valutare ed eventualmente deliberare. La Giunta regionale ha l’iniziativa delle leggi regionali e degli altri atti normativi la cui adozione spetta al Consiglio. Spetta anche alla Giunta deliberare di ricorrere alla Corte Costituzionale. Bisogna escludere invece che la Giunta regionale possa adottare in via d’urgenza, in mancanza di disposizioni statutarie che lo consentano, deliberazioni o atti di competenza del Consiglio. Posizione del presidente: per espressa disposizione costituzionale spetta al presidente rappresentare la Regione; promulgare le leggi e i regolamenti; dirigere le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale. La sua posizione è simile a quella del presidente del Consiglio dei ministri per il compito di dirigere e coordinare l’attività della Giunta e di mantenere l’unità di indirizzo della Giunta medesima. Il presidente può essere coadiuvato da un vice presidente che lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento. Principio della collegialità: si ritiene che sia necessario privilegiare ed evidenziare l’attività della Giunta con limitazione dell’attività individuale dei suoi componenti. In pratica, il principio risulta spesso disatteso con notevole incremento delle attività individuali degli assessori. SSEEZZIIOONNEE IIVV :: LLEE FFUUNNZZIIOONNII DDEELLLLEE RREEGGIIOONNII 1. LA FUNZIONE LEGISLATIVA La funzione legislativa è la competenza di porre norme costitutive di diritto obiettivo e poste in posizione equiordinata con la legge statale ordinaria (non così per gli altri enti locali). Esistono diversi tipi di legislazione regionale: a)legislazione esclusiva, compete alle sole Regioni ad autonomia speciale ed “esclude” la competenza statale; b) legislazione concorrente, compete a tutte le Regioni e comporta concorso di norme statali e regionali, su una data materia; c) legislazione integrativa o di attuazione, compete a tutte le Regioni. I tipi di potestà legislativa che contribuiscono a delineare l’autonomia regionale sono i primi due, mentre il terzo ha valore limitato e parziale. Le leggi regionali possono sottostare a limiti di legittimità o di merito. Limiti di legittimità:

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- limite costituzionale: le Regioni non possono porre disposizioni contrastanti con la Costituzione; - limite territoriale: le Regioni non possono adottare disposizioni legislative destinate a valere oltre il

proprio territorio; - limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato: sono da considerarsi come

“principi dell’ordinamento giuridico quegli orientamenti e quelle direttive di carattere generale e fondamentale che si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dalla intima razionalità delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto dell’ordinamento giuridico vigente”.

- limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica: per la necessità di omogeneità dell’indirizzo generale economico-sociale dello Stato;

- limite degli obblighi internazionali dello Stato: è un’esigenza derivante direttamente dal carattere unitario del nostro Stato. Le Regioni non hanno competenza in politica estera;

- limite delle materie: le regioni possono legiferare attenendosi alle enumerazioni (tassative) delle materie di competenza legislativa regionale;

- limite dei principi fondamentali della legislazione statale: tale limite vale solo per la legislazione regionale concorrente. La soluzione migliore sarebbe stata richiedere leggi-cornice.

Limiti di merito: le norme legislative regionali non devono essere in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni. In caso di controversie, se il limite è di legittimità, la competenza è attribuita alla Corte Costituzionale, se il limite è di merito la competenza è invece attribuita alle Camere. Procedimento di formazione delle leggi regionali: le leggi regionali sono deliberate dal Consiglio regionale. Le procedure sono disciplinate da statuti e regolamenti interni, e sono ispirate alle procedure di approvazione delle leggi del Parlamento. E’ previsto l’esame da parte di commissioni permanenti del Consiglio con competenza referente e al controllo, di legittimità e di merito, del Governo nazionale, attraverso il visto del Commissario del Governo. Se il Governo ritiene che la legge ecceda la competenza o incontri dei limiti, può “rinviare” la legge al Consiglio regionale. Il Consiglio regionale può modificare la legge o riapprovarla nello stesso testo: il Governo potrà in questo caso promuovere la questione di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale o alle Camere. Posizione della legge regionale: la legge regionale è dunque equiparata alla legge statale, nel senso che anche la legge statale deve cedere alla legge regionale, quando quest’ultima disciplini una materia attribuita alla legislazione regionale. Nell’incontro sulla stessa materia, la prevalenza dovrà essere riconosciuta alla fonte competente, statale o regionale che sia. 2. LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA

Criterio del parallelismo delle funzioni: la Regione ha competenza amministrativa negli stessi settori nei quali le è attribuita competenza legislativa, ma non viceversa (art.118 Cost.). Le leggi della Repubblica possono anche attribuire, in tali settori, le competenze amministrative di interesse esclusivamente locale alle province, ai comuni o ad altri enti locali. Lo Stato può anche, con legge, delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative. Trasferimento delle funzioni: l’art.17 della l.1970,n.271, ha delegato il Governo ad emanare 11 decreti legislativi per regolare il passaggio delle funzioni amministrative attribuite alla Regione dall’art.117 Cost. e del relativo personale dipendente dallo Stato. Con la l.22 luglio 1975, n.382 è stata conferita al Governo una nuova delega e con il d.p.r. 24 luglio 1977 si è completato il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni. Dopo la l.15/3/97, n.59 e il decreto lgs.31/3/98,n.112, il conferimento delle funzioni, comprendente le funzioni di organizzazione e le attività connesse, è operato in blocco alle Regioni le quali poi debbono provvedere entro sei mesi a conferire agli enti locali subregionali le funzioni amministrative che non richiedono il loro unitario esercizio a livello regionale. Ai sensi dell’art.118 Cost., le Regioni dovrebbero delegare agli enti subregionali l’amministrazione, mantenendo prevalenti compiti legislativi, di programmazione e di indirizzo dell’attività amministrativa.

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In realtà il quadro dell’amministrazione è molto accentrato e nelle stesse materie resta riservata allo Stato la funzione di indirizzo e di coordinamento per esigenze di unitarietà, così come le leggi cornice statali delimitano la legislazione regionale. Controllo sugli atti amministrativi regionali: il controllo di legittimità e talora anche di merito dei regolamenti di competenza del Consiglio regionale viene esercitato da una Commissione statale sedente nel capoluogo regionale, che può annullare l’atto, prevista dall’art.125 Cost. 3. I RAPPORTI DELLA REGIONE CON GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI Principio di sussidiarietà: il trasferimento di funzioni sia da Stato a Regioni sia da Regioni a altri enti locali si è ispirato al principio di sussidiarietà, attribuendo cioè le funzioni in discorso all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini, con esclusione delle sole funzioni che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale. Il conferimento di compiti e funzioni agli enti locali è stato effettuato con legge regionale, antecedente il 30 settembre 1998, con la quale la Regione ha attribuito agli enti locali le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti. Controllo sugli atti degli enti locali. Ai sensi dell’art.130 Cost., spetta alla regione esercitare il controllo di legittimità e di merito sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali, attraverso un Comitato regionale di controllo.

SSEEZZIIOONNEE VV :: LL’’AAUUTTOONNOOMMIIAA FFIINNAANNZZIIAARRIIAA RREEGGIIOONNAALLEE La limitatezza di adeguati mezzi finanziari a disposizione delle Regioni è stata una delle cause del ritardato decollo dell’ordinamento regionale. Autonomia finanziaria delle regioni: secondo l’art.119 Cost., alla Regione sono assegnati: a) tributi propri e quote di tributi erariali in relazione ai bisogni regionali per le spese necessarie ad

adempiere le loro funzioni normali, comunque troppo bassi per le esigenze regionali. Alle Regioni viene in pratica impedita la potestà impositiva regionale, potendo soltanto determinare aliquote di tributi già disciplinati dal legislatore italiano.

b) contributi speciali per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Sud. c) un demanio (che comprende i beni indicati dall’art.822 c.c., e che godono di inalienabilità,

incommerciabilità, imprescrittibilità) e un patrimonio regionale (che comprende gli altri beni appartenenti alla regione).

Secondo la l.158/1990 i tributi erariali del punto a) vengono accorpati in un fondo comune distribuito proporzionalmente alle regioni, e in un altro fondo sono raggruppati trasferimenti dallo Stato per gli investimenti. L’autonomia finanziaria è garantita anche dalla possibilità di ricorrere all’indebitamento. La l..281/1970 prevede inoltre l’istituzione di un fondo diretto al finanziamento dei programmi regionali di sviluppo, composto di una quota variabile e di una fissa, e di un fondo sanitario nazionale, con la finalità di garantire i livelli sanitari in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ogni Regione adotta con legge, ogni anno, un bilancio annuale e un bilancio pluriennale, seguendo i principi fondamentali e le norme in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni fissati dalla l.19 maggio 1976, n.335. SSEEZZIIOONNEE VVII :: II CCOONNTTRROOLLLLII SSUULLLLEE RREEGGIIOONNII Organi di controllo: il controllo dello Stato sugli organi e sulle attività regionali costituisce lo strumento per garantire il rispetto delle esigenze unitarie e del quadro costituzionale complessivo. Gli organi statali cui compete esercitare il controllo sull’attività e sugli organi delle regioni sono: - il Governo della repubblica: ad esso compete il controllo di legittimità e di merito sulle leggi

regionali, nonché il controllo sugli organi regionali. - il Commissario del Governo nella Regione: soprintende alle funzioni amministrative esercitate dallo

stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione. Raccorda lo Stato e le Regioni, vistando le leggi regionali o rifiutando il visto, rinviando le leggi al Consiglio.

- la Commissione statale di controllo: vedi pag.51

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- la Commissione interparlamentare per le questioni regionali : interviene nel procedimento di controllo per l’eventuale scioglimento del Consiglio, formula proposte al Governo per la concessione di contributi speciali alle Regioni e fornisce pareri di merito.

Controllo sugli organi regionali: il controllo su presidente della Giunta, Giunta e Consiglio è esercitato dal Governo nei seguenti casi: A) sulla Giunta e/o sul suo presidente quando compiano atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, invitando il Consiglio a sostituire la Giunta o il presidente; B) sul Consiglio regionale qualora questo organo: a) compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge; b) non corrisponda all’invito del Governo di sostituire la Giunta o il presidente; c) non sia in grado di funzionare, per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza; d) per ragioni di sicurezza nazionale. La sanzione è lo scioglimento del Consiglio stesso. Scioglimento automatico: la durata del Consiglio regionale è ridotta a un biennio se nel corso di ventiquattro mesi il rapporto fiduciario tra Consiglio e Giunta è comunque posto in crisi. Non sarà comunque difficile al Consiglio dissenziente porre in difficoltà la Giunta senza porre formalmente in crisi il rapporto fiduciario, evitando così la sanzione dello scioglimento anticipato.

CCAAPPIITTOOLLOO 33 GGLLII EENNTTII LLOOCCAALLII IINNFFRRAARREEGGIIOONNAALLII

l’Art.5 Cost. afferma che la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali”, riferendosi a Province e Comuni. La legge fissa poi i principi all’interno dei quali si esplica l’autonomia comunale e provinciale, impedendo così anche interferenze delle Regioni. Organi del Comune: gli organi di governo del Comune sono il sindaco, la giunta municipale e il Consiglio comunale. Il Consiglio dura in carica quattro anni ed è composto dal sindaco e dai consiglieri; la Giunta comunale è composto dagli assessori nominati dal sindaco. Le cariche di consigliere e assessore sono incompatibili. Tra il sindaco e il Consiglio si instaura una sorte di rapporto fiduciario Competenze degli organi del Comune: il sindaco, “ufficiale del Governo”, ha importanti compiti di responsabilità e di supervisione, di sicurezza e ordina pubblico, di polizia e di sanità. La giunta collabora con il sindaco nell’amministrazione del Comune. Il Consiglio, organo di indirizzo e di controllo politico- amministrativo, decide riguardo gli “atti fondamentali del comune”. Funzioni del Comune: spettano al Comune tutte le funzioni amministrative ce riguardino la popolazione e il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico. Gestisce inoltre i servizi elettorali, di anagrafe, di stato civile, di statistica e di leva militare. Sono previste diverse forme di gestione da parte del Comune. La Provincia: la Provincia è l’ente locale intermedio tra Comuni e Regione. Essa comprende il territorio di più comuni, ma la sua rilevanza operativa è assai inferiore a quella dei Comuni. Gli organi istituzionali della provincia sono il presidente, la Giunta, il Consiglio provinciale. Competono alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale in settori determinati e rilevanti. Le spettano inoltre importanti compiti di programmazione e la predisposizione e l’adozione del piano territoriale di coordinamento. Nelle nove “aree metropolitane” la Provincia si configura come autorità metropolitana ed assume la denominazione di “città metropolitana”. Le funzioni di questa città metropolitana sono anche più ampie di quelle attribuite alla Provincia. Controlli sui comuni e sulle Province: il controllo di legittimità e di merito sugli atti degli enti locali è esercitato, come detto a pag.51, dal Comitato di controllo. Riguardo il controllo sugli organi degli enti locali, i Consigli comunali e provinciali possono essere sciolti con decreto del presidente della repubblica, su proposta del ministro dell’interno; i controlli “atipici” (autorizzazioni, approvazioni, visti e simili) sono invece a competenza prevalentemente regionale, senza escludere quella statale. Altri enti locali infraregionali: tra i numerosi enti locali infraregionali possono essere ricordati i consorzi e le comunità montane, che hanno personalità giuridica, e le esperienze comprensoriali.

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PARTE SESTA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

CAPITOLO 1: LE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE E DICHIARAZIONI DEI DIRITTI: Il tema delle libertà si collega a una lunga lotta per la loro conquista e per l’affermazione di un’importante posizione del singolo e delle formazioni sociali nell’ambito dell’ordinamento giuridico generale, durata centinaia di anni. Bisogna considerare le libertà come diritti, con tutto ciò di positivo che questo implica, ma anche e soprattutto come elementi di partecipazione e non di contrapposizione, proprio per superare una concezione dello Stato costituzionale valida agli inizi dell’Ottocento, ma ormai logorata. Classificazione dei diritti pubblici soggettivi: secondo lo Jellinek, i diritti pubblici soggettivi sono le pretese giuridiche che derivano dai rapporti tra cittadini e Stato. � Status subiectionis: indica la mancanza di diritti pubblici soggettivi, e la soggezione totale degli

individui (qualificati appunto “sudditi”) al potere sovrano. � Status libertatis (status negativo): al sorgere del regime costituzionale, si afferma la garanzia di

sfere di libertà, sottratte all’influenza del potere pubblico. Si afferma la pretesa giuridica, ma non i diritti di libertà. � Status civitatis (status positivo): vengono a coincidere interesse pubblico e individuale. Lo Stato

riconosce all’individuo pretese giuridiche verso l’attività statale, attribuendogli strumenti giuridici per realizzarle. � Status activae civitatis (status attivo): viene attribuita non una pretesa giuridica, ma la

possibilità di agire come titolare di un organo dello Stato, cioè come membro dell’ordinamento. Dichiarazioni dei diritti: le prime dichiarazioni di diritti, rilevanti e significative, si hanno in Inghilterra (Magna Charta 1215, Petition of Rights 1628, Bill of Rights 1689).Larga risonanza ebbe la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, deliberata dall’Assemblea francese il 26 agosto 1789, con la quale si affermarono i diritti dell’uomo in quanto tale, come preesistenti allo Stato e quindi da garantirsi e non da concedersi da parte dello Stato medesimo. Da quel momento seguirono numerose dichiarazioni dei diritti, anche molto diverse tra loro, tra le quali si ricorda la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Assemblea generale delle nazioni Unite, 1948).

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Esclusione di una dichiarazione programmatica dei diritti nella Cost.italiana: il Costituente italiano ha preferito escludere un preambolo contenente una dichiarazione astratta di diritti, disciplinandoli ampiamente nella parte prima della Costituzione (Diritti e doveri dei cittadini). Non si volle infatti creare una graduatoria tra le norme del preambolo e quelle del testo costituzionale, e soprattutto si volle sottrarre le disposizioni più rilevanti per la vita del Paese ad improvvise modificazioni, collocandole nella “rocca” della Costituzione e sottoponendo la loro eventuale revisione a più caute procedure. Art.2 Cost.: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia coma singolo, sia nella formazione sociale, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. ➪ viene così introdotto il principio personalistico, ovvero l’affermazione della supremazia della persona umana sullo Stato medesimo. La Repubblica “riconosce” i diritti inviolabili: riconoscere non vuol dire attribuire, quindi tali diritti appartengono all’uomo in quanto tale, prima e indipendentemente da ogni intervento statale, che ha solo significato ricognitivo e di garanzia. ➪ si introduce il pluralismo sociale: contrapponendosi all’esperienza fascista, il pluralismo sociale, sostanzialmente ineliminabile, viene ad assumere il ruolo di pluralismo istituzionale, strumento essenziale dell’organizzazione democratica della Repubblica e condizione essenziale per il pieno esplicarsi della persona umana. ➪ viene posta l’attenzione sui doveri e sul principio di solidarietà: non la contrapposizione ma la composizione degli interessi deve divenire la regola e le posizioni soggettive vanno coordinate in un quadro di solidarietà non solo politica, ma economica e sociale, che conferisca alla Repubblica la capacità di essere realmente il punto di incontro di tutti i componenti della comunità nazionale. Condizione giuridica dello straniero e dell’apolide: in teoria, la parte della Costituzione dedicata ai diritti e doveri, è riservata ai cittadini. Per quanto riguarda gli stranieri, l’art.10 Cost. afferma che: a) la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali; b) lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge (non occorre dunque essere perseguitato politico). Secondo la l.40/1998 sono riconosciuti allo straniero i diritti fondamentali della persona umana e i diritti in materia civile se regolarmente soggiornante, compresa la parità di trattamento con il cittadino. L’estradizione dello straniero per reati politici non è ammessa. Per quanto riguarda l’apolide, il principio ispiratore è che, per quanto riguarda i diritti civili, l’apolide è assimilato al cittadino mentre, per quanto riguarda i diritti politici, è assimilato allo straniero. CAPITOLO 2: IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA: La nostra Costituzione afferma il principio dell’eguaglianza, che si affermò con lo Stato costituzionale, non solo in termini di eguaglianza formale, ma anche di eguaglianza sostanziale. Art.3 Cost.: (1° comma) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (2° comma). E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese. ➪ l’eguaglianza formale si esprime, per lunga tradizione, nell’uguaglianza dinanzi alla legge. La parità di trattamento va naturalmente garantita per situazioni eguali, mentre situazioni differenziate devono essere trattate in modo differenziato. L’eguaglianza dinanzi alla legge richiede l’eguaglianza di forza giuridica della legge per tutti i cittadini. Le specificazioni rispetto a situazioni differenziate (sesso, razza,..) sono dovute agli ingiustificati trattamenti differenziati del passato. Alcune deroghe sono previste e giustificate da ostacoli

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biologici o naturali, o di ordine morale, per le quali in non pochi casi la diversità di sesso può determinare una disparità di trattamento senza violare il principio di eguaglianza (agente di custodia in un carcere maschile, vigilatrice di scuola materna,..) ➪ l’eguaglianza sostanziale implica la possibilità di conseguire il pieno sviluppo della propria personalità e di partecipare, con pari opportunità, alla vita politica, civile ed economica del Paese. E’ una linea di sviluppo che dovrà essere ancora in gran parte essere realizzata concretamente dal legislatore ordinario. Molto deve essere fatto dallo Stato e dagli altri enti pubblici per attuare il precetto costituzionale. Attraverso una decisa programmazione economica; attraverso la rivendicazione prioritaria della funzione sociale della proprietà che va resa accessibile a tutti; attraverso interventi che, restituita serietà alla scuola, garantiscano concretamente ai capaci e meritevoli la possibilità di raggiungere i più alti gradi degli studi; e così via. CAPITOLO 3: I DIRITTI DI LIBERTA’ CIVILE: La Costituzione tratta dei diritti e doveri nella parte prima (artt. 13-54), distinguendo in rapporti civili, etico-sociali, economici e politici. La libertà personale: l’art.13 Cost. garantisce e disciplina la libertà personale, dichiarata “inviolabile”. Senza la garanzia della libertà personale tutte le altre libertà potrebbero vanificarsi e divenire semplici espressioni verbali. La libertà personale indica la libera disponibilità della propria persona fisica (garantita dagli habeas corpus), ma sono ricompresi nella libertà personale anche gli aspetti psichici e morali. In senso attivo, la libertà personale è la disponibilità nel poter fare, e in senso passivo nello escludere interferenze nella sfera della personalità, verso il pubblico e verso il privato. Sempre secondo l’art.13, non è ammessa “forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale”. Tutela delle persone e trattamento dei dati personali: la protezione della privacy da intrusioni e utilizzazioni è volta a impedire quella violazione che potrebbe recar danno o limitare comunque il libero dispiegamento della libertà personale, nei limiti consentiti dalla legge. Non tutti, naturalmente, possono richiedere la stessa protezione. L’aumento vertiginoso di questo problema ha portato a nuove leggi: la legge 31 dicembre 196, n. 675 definisce i dati personali protetti come ogni informazione relativa a persona fisica, giuridico, ente od associazione, identificati o identificabili anche indirettamente. Particolare tutela è riservata ai “dati sensibili”. Il trattamento dei dati personali deve svolgersi nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale. Per garantire la corretta applicazione della legge e per rilasciare le prescritte autorizzazioni è istituito un “Garante” avente carattere collegiale, composto da quattro membri eletti dalle Camere, tra i quali viene eletto un presidente, il cui voto prevale in caso di parità. Limitazioni della libertà personale: la Costituzione, all’art.13, prevede ed ammette la possibilità di limitazioni o restrizioni della libertà personale, subordinatamente al verificarsi si due condizioni: a) che la limitazione o restrizione sia disposta con “atto motivato dell’autorità giudiziaria” (➪ riserva di giurisdizione) e b) che ciò avvenga “nei soli modi e casi previsti dalla legge” (➪ riserva assoluta di legge). In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti, se pur provvisori, limitativi della libertà personale.

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L’attuazione della libertà personale non è così facili: la legge stabilisce casi in cui possono essere adottate misure di prevenzione, adottate per prevenire la commissione di reati anche contro incensurati, e misure di sicurezza, disposte a carico di abbia commesso un delitto. Posizione dell’imputato: lo stesso art.13 punisce ogni violenza fisica sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, e demanda alla legge la fissazione dei limiti massimi della carcerazione preventiva (secondo il C.p.p. varia da tre mesi a un anno). Altre disposizioni in materia penale sono stabilite dagli artt. 25 e 26 Cost.: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Sul punto il C.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella più favorevole al reo. L’art. 27 Cost. statuisce che la responsabilità penale è personale, e che l’imputato non è da considerarsi colpevole fino alla sentenza definitiva (“presunzione di non colpevolezza”). Regime delle pene:l’art.27 Cost., che riguarda le pene limitative della libertà personale, afferma che esse non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbono tendere alla rieducazione del condannato. Non è inoltre ammessa la pena di morte. E’ stata invece dichiarata costituzionale dalla Corte, la pena dell’ergastolo: gli ergastolani possono essere posti in libertà condizionale dopo aver scontato 25 anni di reclusione e purché abbiano tenuto buona condotta. Secondo la legge 354/1975 “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”, ma nella pratica il problema è consistente. Amnistia e indulto (l.cost. 6 marzo 1992, n.1): il potere di esercitare clemenza nei confronti dei responsabili di reati o dei condannati a pene detentive, spetta alle Camere che vi provvedono con legge, che deve essere approvata a maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera. La clemenza non può applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge. Le modalità di concessione e di applicazione di tale potere sono stabilite dalla legge. Estradizione: l’estradizione è l’istituto di collaborazione penale internazionale per il quale uno Stato consegna ad un altro Stato un individuo accusato o condannato, al fine della sottoposizione del processo o all’espiazione della pena. L’estradizione dello straniero non è ammessa per reati politici (art.10 Cost.); e non può essere concessa quando vi è ragione di ritenere che l’imputata verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene e trattamenti crudeli (art.698 C.p.p.). L’estradizione del cittadino invece non solo non può essere in alcun caso ammessa per reati politici ma anche per i reati comuni può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Prestazioni personali: nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge (art.23 Cost., riserva di legge relativa). In base all’art.32 Cost., premesso il dovere della Repubblica di tutelare la salute,si aggiunge che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale non può comunque in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. L’art.22 Cost. afferma che nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome. Libertà di domicilio: l’art.14 Cost. disciplina la libertà di domicilio. Nel domicilio è ricompreso l’abitazione altrui o altro luogo di privata dimora. Anche il domicilio è dichiarato “inviolabile” e le eventuali limitazioni o restrizioni di tale libertà (quali ispezioni, perquisizioni o sequestri) sono consentite soltanto con le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, e cioè nei casi e modi stabiliti dalla legge e mediante atto motivato dell’autorità giudiziaria. In casi eccezionali di necessità e urgenza (ad esempio flagranza di reato), l’autorità di pubblica sicurezza può procedere a ispezioni, perquisizioni o sequestri, ma deve comunicarlo entro 48 ore all’autorità giudiziaria. Libertà di corrispondenza: fra le libertà “inviolabili”, la Costituzione comprende anche la libertà di corrispondenza e di comunicazione. L’art.15 afferma che la limitazione dell’inviolabilità e della segretezza della corrispondenza può avvenire solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge (tale divieto viene esteso anche alla pubblica autorità con l’art.15). Non sono previste limitazioni da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Eccezioni all’inviolabilità

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e alla segretezza sono ammesse a favore degli ufficiali di polizia giudiziaria e nei confronti di soggetti che si trovino in particolari situazioni previste dalla legge. Libertà di circolazione e di soggiorno: ogni cittadino, come dispone l’art.16 Cost., può soggiornare e circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza (e quindi senza intervento dell’autorità giudiziaria). Nessuna restrizione può essere determinata per ragioni politiche. ➪ stranieri e apolidi potranno dunque essere assoggettati a limitazioni senza poter invocare le garanzie dell’art.16. Unica eccezione alla libertà di soggiorno è prevista per Casa Savoia. Libertà di espatrio: allo stesso art.16, la Costituzione garantisce anche la libertà di espatrio, intesa come libertà dei cittadini di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi. Sono fatti salvi gli “obblighi di legge” ➪ oneri o condizioni cui è subordinato il documento autorizzativo. Diritto di emigrazione: secondo l’art.35 la libertà di emigrazione è subordinata al rispetto degli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale. Libertà di riunione: accanto ai diritti di libertà che sono riconosciuti all’uomo, o al cittadino in quanto tale, la Costituzione disciplina i diritti di libertà che spettano all’uomo in quanto appartenente a formazioni sociali, secondo il principio affermato dall’art.2. La distinzione tra riunioni ed associazioni si fonda sul carattere temporaneo delle prime e sul vincolo più saldo delle seconde; mentre la distinzione tra riunioni e assembramenti sta nella casualità degli assembramenti, mentre la riunione è il preordinato convenire di più persone in un medesimo luogo per uno scopo prefissato. La libertà di riunione è disciplinata dall’art.12 che la riconosce ai soli cittadini (degli assembramenti la Costituzione non parla, e per essi non può invocarsi garanzia costituzionale). Le riunioni possono svolgersi in luogo privato, in luogo aperto al pubblico o in luogo pubblico. Tutte le riunioni debbono svolgersi pacificamente e senza armi (vietate “armi improprie” e mascheramenti). Solo per le riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle solo per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, oppure per ragioni di ordina pubblico, di moralità o di sanità pubblica. I cortei sono stati definiti “riunioni in movimento” , e serve quindi preavviso alle pubbliche autorità. L’art.19 garantisce invece a tutti il diritto di esercitare il culto religioso “in pubblico”, senza prescrivere obblighi di preavviso. Libertà di associazione: la disposizione dell’art.18 Cost. garantisce il diritto di associazione in termini assai ampi, escludendo ogni forma di autorizzazione, e ponendo come unico limite il perseguimento di fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale. Sono inoltre proibite, per esigenza di lealtà da parte dei cittadini, le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Le associazioni segrete sono state disciplinate con la legge 25 gennaio 1982, n.17. La libertà di associazione implica, in certi casi,anche la libertà di non associarsi (libertà “negativa”). Libertà religiosa: la libertà religiosa, conquista fondamentale dello Stato moderno, è la libertà per ognuno di poter pensare e dire ciò che vuole anche in materia religiosa. Art.19 Cost.: “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Viene così garantita la libertà di coscienza, intesa come libertà di avere una fede o di non averne, e appunto la libertà religiosa, che si concreta non solo nell’adesione a una religione ma anche nella possibilità di esercitare liberamente la propria fede. Per quanto riguarda la religione cattolica, essa non è in oggi la sola religione di Stato, ma dato che la stragrande maggioranza degli italiani sono cattolici, non è possibile escludere, in taluni casi, disposizioni differenziate in suo favore (ad esempio in materia di vilipendio della religione). Più problematica è la questione della compatibilità tra le formule del giuramento con la libertà religiosa. Per l’art.20 Cost., il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività.

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Libertà di manifestazione del pensiero: la libertà di manifestazione del pensiero acquista crescente importanza con lo sviluppo dei mass media, per la necessità di impedire degenerazioni attraverso la creazione di situazioni monopolistiche che potrebbero impedire di fatto la circolazione delle idee. L’art.21 Cost. garantisce a tutti (e quindi non ai soli cittadini) il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Lo strumento di diffusione che il legislatore ha più ampiamente disciplinato è la stampa. → Libertà di stampa: l’art.21 Cost. è integrato dalla legge sulla stampa (l. 2 febbraio 1948, n.47). La regola fondamentale è che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si esclude, cioè, ogni possibilità del potere pubblico di intervenire sull’esercizio della libertà o di limitare libertà mediante controlli sul contenuto l’esercizio di tale degli stampati. Seguono poi disposizioni che prevedono il “sequestro preventivo” degli stampati nel caso di delitti per i quali la legge espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive per l’indicazione dei responsabili (nome e domicilio stampatore, luogo e anno di pubblicazione, ecc..). La stampa periodica deve avere un direttore responsabile il quale può essere perseguito, qualora non eserciti il controllo necessario per evitare la commissione di reati con la pubblicazione. Secondo l’art.21 sono inoltre vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge può anche stabilire che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica ➪ la l.5 agosto 1988, n.338, detta disposizioni dirette ad impedire la concentrazione della stampa quotidiana in poche mani, prevede l’istituzione di un registro nazionale della stampa, una miglior trasparenza della pubblicità sui giornali e sui periodici, nonché la pubblicità dei bilanci delle imprese editoriali. Teatro e cinematografo: per gli spettacoli teatrali,, la vigente legislazione si limita a prescrivere la licenza del questore. Quanto alle rappresentazioni cinematografiche, la legge 161 dispone che la proiezione in pubblico dei film è soggetta a nulla osta che va rilasciato dal ministro del turismo e spettacolo su parere conforma di speciali commissioni di primo grado e di appello. Disciplina della radio e della televisione: il d.lgs. 3 aprile 1947, n.428, concedeva in via esclusiva alla RAI il servizio delle radio audizioni circolari e il servizio di televisione circolare; affermando che la maggioranza assoluta delle azioni RAI doveva passare in titolarità all’IRI. Successivamente, di fronte alle continue critiche del monopolio statale, fu approvata la l.14 aprile 1975, n.103, contenente “nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva”, e infine la l.6 agosto 1990, n.223, più volte integrata. Secondo tale legge l’esercizio della radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi è subordinato a una concessione a una società per azioni a totale partecipazione pubblica o a soggetti privati. La RAI è una società per azioni “di interesse nazionale” e il suo C.d.A. è nominato d’intesa fra i presidenti di Camera e Senato. E’ istituita una Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che assorbe le funzioni già attribuite al Garante per la radio diffusione e l’editoria, le cui competenze sono elencate dalla legge 249/97. Tale legge vieta sostanzialmente posizioni dominanti nei settori delle comunicazioni sonore e televisive, anche nelle forme evolutive. Disciplina delle pubblicità: la l.223/90, dopo aver premesso che la pubblicità radiofonica e televisiva non deve offendere la dignità della persona, non deve evocare discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non deve offendere condizioni religiose e ideali, non deve indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l’ambiente, non deve arrecare pregiudizio morale e fisico ai minorenni, stabilisce i limiti temporali massimi della durata dei messaggi pubblicitari. E’ inoltre disciplinata la sponsorizzazione e l’inserimento di spots all’interno de programmi radiofonici o televisivi. Disciplina dell’informazione e disposizioni rilevanti: i concessionari privati hanno l’obbligo di trasmettere programmi per un numero di ore giornaliere e settimanali fissate dalla legge, e programmi di informazione, statale o locale. Il Governo, le Amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono chiedere ai concessionari privati o alla concessionaria pubblica la trasmissione di brevi comunicati, da trasmettere immediatamente.

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E’ vietata la trasmissione di messaggi cifrati o di carattere subliminale; è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità. I film vietati ai minori di anni 18 non possono essere trasmessi, i film vietati ai minori di anni 14 possono invece essere trasmessi tra le 22.30 e le 7. La pianificazione delle radiofrequenze deve constare di un piano nazionale di ripartizione, aggiornato di regola ogni cinque anni, e di un piano nazionale di assegnazione. CAPITOLO 4: I DIRITTI CIVICI. RAPPORTI ETICO- SOCIALI: Concetto di diritti civici: i “diritti civici” o “di prestazione”, che sorgono superata la prima fase dello Stato costituzionale, sono quei diritti per i quali il soggetto ha diritto non già ad un’astensione della pubblica autorità (come nei diritti di libertà), ma ad un suo intervento attivo per assicurare il conseguimento di quei fini di interesse generale che corrispondono alla progressiva evoluzione dello Stato moderno. La famiglia nella Costituzione: l’art.29, riferendosi alla famiglia come all’insieme di coniugi e figli, afferma che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. E’ la positiva affermazione che la famiglia ha diritti che preesistono allo Stato e che da esso non possono essere menomati né mutati. Unioni di fatto non hanno dunque riconoscimento costituzionale, ma questo non significa che esse non siano situazioni giuridicamente rilevanti. Il matrimonio: secondo il 2° comma dell’art.29 “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità famigliare”. La famiglia legittima dunque si fonda sul matrimonio, ed anzi sorge con esso. Nel nostro vigente ordinamento sono possibili tre tipi di matrimonio: a) matrimonio civile, celebrato di fronte ad un ufficiale di Stato; b) matrimonio concordatario, che si concreta nel riconoscere effetti civili al matrimonio canonico; c) matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro di culto ammesso nello Stato, che acquista effetti civili qualora siano osservate le formalità e le prescrizioni dettate dalla l.24/6/1929. Il principio dell’incostituzionalità del matrimonio non è costituzionalizzato, e anzi la legge 1°dicembre 1970, n.898, ha introdotto il divorzio, pur con molte tesi contrarie. I rapporti tra i coniugi e nei confronti dei figli: le disposizioni degli art.29 e 30 Cost. riguardo all’ordinamento interno della famiglia hanno avuto ampia e importante attuazione grazie alla l.19 maggio 1975,n. 151, intitolata alla “Riforma del diritto di famiglia”: tale legge ad esempio detta norme riguardo all’eguaglianza dei coniugi (proclamata dalla Costituzione), che raccoglie le legittime aspirazioni della donna e ne garantiscono la posizione nella famiglia. Anche nei confronti dei figli la legge del 1975 stabilisce una posizione di eguaglianza da parte dei coniugi, non più di patria potestà, ma di potestà dei genitori. Alla parità di diritti nei confronti dei figli corrisponde parità di doveri: ad entrambi i genitori spetta infatti l’obbligo di mantenere, istruire

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ed educare la prole, anche se nata fuori del matrimonio, come secondo Costituzione, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Nuovo orientamento della legge del 1975 anche verso il regime patrimoniale del matrimonio: mentre prima la regola era la separazione dei beni, ora la regola è la comunione dei beni, dando quindi maggior considerazione all’apporto del lavoro casalingo. E’ stata inoltre abolita la dote. L’art.30 Cost., aggiunge che, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti (si richiede dunque riserva di legge e accertamento oggettivo e certo). Tutela dei figli illegittimi: come detto, la Costituzione afferma il diritto- dovere, per i genitori, di uguale trattamento sia verso i figli legittimi sia verso i figli nati fuori del matrimonio. Essi godono infatti di ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La Costituzione prevede inoltre che disposizioni di legge fissino i criteri e i limiti per la ricerca della paternità. Doveri della Repubblica nei confronti della famiglia: l’art.31 Cost. indica i compiti attivi, di prestazione, dello Stato nei confronti della famiglia, affermando che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Inoltre, protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. E’ dunque un “favor familiae, intesa come più importante formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’uomo. Rilevanti in questo contesto sono i provvedimenti nei confronti delle lavoratrici e specialmente verso le lavoratici madri o per l’attribuzione di assegni famigliari. Disciplina dell’aborto: fino al 1978 l’aborto (o “interruzione volontaria della gravidanza”) era considerato un delitto, e dunque perseguibile in sede penale. Con la legge 22 maggio 1978, n.194 viene invece consentito alla donna, anche se minorenne, nei primi novanta giorni della gestazione, piena e assoluta libertà di decisione sull’interruzione della gravidanza, subito o al più tardi dopo sette giorni dalla richiesta. Tale legge riconosce inoltre al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, di poter compiere “obiezione di coscienza”, potendo quindi decidere di non prendere parte agli interventi abortivi e alle relative procedure. Tutela della salute: l’art.32 Cost. afferma la tutela della salute da parte della Repubblica “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, garantendo cure gratuite agli indigenti. Questo articolo e l’art.38, relativo a lavoratori inabili, infortunati, minorati, ecc.., postulano l’introduzione delle necessarie riforme con la relativa provvista di mezzi finanziari, senza precisarne le modalità. Va segnalato che la maggior parte delle funzioni relative alla “assistenza sanitaria e ospedaliera” sono state trasferite alle Regioni e che con la l.23 dicembre 1978, n.833, è stato istituito il“Servizio sanitario nazionale”,la cui attuazione ha comunque registrato molte lacune. Trattamenti sanitari obbligatori: ai sensi dell’art.32 Cost. “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In forza di tale norma, viene quindi istituita riserva di legge assoluta ed è stato possibile dichiarare incostituzionale il test del DNA, se non effettuato con il consenso dell’interessato. Unica ipotesi nella quale può ammettersi un intervento medico senza il previo consenso del malato, si ha qualora si versi in una condizione di pericolo o di urgenza. Non sembrano ammissibili trattamenti obbligatori a fini eugenetici, quali la visita prematrimoniale e l’eventuale sterilizzazione, con il fine di prevenire o evitare la nascita di soggetti malati. Diritto all’ambiente: è un diritto dei singoli determinato da una progressiva presa di coscienza dei problemi ambientali, caratterizzato dall’istituzione nel 1986 del Ministero dell’ambiente. Libertà dell’arte e della scienza: tale libertà, affermata dall’art.33 Cost., è determinata e resa indispensabile dalle finalità di progresso che l’arte, ma soprattutto la scienza, perseguono, e si afferma quindi nell’interesse non solo del singolo artista o ricercatore, ma dell’intera società, come condizione vitale per il suo sviluppo e per il suo avanzamento. Libertà di insegnamento: la libertà di insegnamento discende dalla libertà dell’arte e della scienza.

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In quanto libertà nell’insegnamento, pur non significando anarchia, garantisce ad ogni docente la possibilità di esercitare le sue funzioni di insegnante in conformità alle proprie convinzioni in ordine alla disciplina che insegna, senza essere condizionato o costretto da una verità ufficiale alla quale adeguarsi. Ma la libertà di insegnamento si concreta anche nella possibilità di istituire scuole. Il primo punto fermo che risulta dalla Costituzione (art.33) è la preminenza della posizione statale nell’organizzazione scolastica: spetta infatti alla Repubblica non solo istituire proprie scuole per tutti gli ordini e gradi, ma anche dettare le norme generali sull’istruzione, secondo un diritto civico (di prestazione) dei cittadini nei confronti dello Stato. Gli enti e i privati hanno comunque il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione, senza oneri per lo Stato. Le scuole paritarie si distinguono per l’intervento pubblico che ha legittimato la loro apertura. Tale intervento, trattasi di concessione o autorizzazione, è diretto a garantire la serietà dell’iniziativa e ad evitare che si carpisca la buona fede di coloro che si propongono di seguire l’insegnamento impartito in una scuola privata. Gli esami di maturità e di abilitazione, come prescritto dalla Costituzione, sono comunque riservati allo Stato. Sempre l’art.33 dispone che “le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato”. Il principio di libertà di insegnamento è naturalmente valido anche per l’insegnamento universitario, e non si esclude comunque la possibilità di università non statali. Libertà di istruzione: ai sensi dell’art.34 Cost. “la scuola è aperta a tutti” e non sono quindi ammissibili selezioni fondate su valutazioni non rispondenti al principio generale di uguaglianza. “L’istruzione inferiore, della durata di otto anni è obbligatoria e gratuita”: la gratuità rende concreto il diritto allo studio.. Per quanto riguarda la scuola non obbligatoria, la Costituzione limita il diritto (che non comporta gratuità) a raggiungere i più alti gradi degli studi ai “capaci e meritevoli”. CAPITOLO 5. I RAPPORTI ECONOMICI: La nostra Costituzione sottolinea in misura rilevante il carattere sociale di un nuovo tipo di Stato che ha tra i suoi fini fondamentali quello di intervenire nei rapporti sociali per modificarne gli effetti a favore di determinati gruppi e categorie, e segnatamente a favore dei gruppi e delle categorie economicamente più deboli.

Il lavoro nella Costituzione: la posizione del lavoro, non solo manuale ma in

ogni sua forma di espressione umana, è fondamentale nel nostro

ordinamento, e la stessa Costituzione si apre con il riconoscimento di tale

posizione centrale, affermando che la Repubblica democratica è “fondata”

sul lavoro. Quale che sia la forma della sua manifestazione e purché miri a

contribuire al progresso materiale o spirituale della società, il lavoro è

dunque fondamento della Repubblica e conferma la pari dignità sociale di

tutti i cittadini, senza possibilità di introdurre differenziazioni

discendenti dalla diversa attività lavorativa esercitata. Questo non

esclude tuttavia che il lavoro subordinato sia destinatario delle

disposizioni costituzionali che mirano a tutelare il prestatore d’opera. Il diritto al lavoro: la Costituzione, all’art.4 introduce il diritto (considerato anche un dovere) al lavoro, ponendolo tra i principi fondamentali dell’ordinamento. Esso si pone come diritto di libertà, nel senso che ogni cittadino deve essere libero di scegliere l’attività più congeniale alle proprie possibilità e alle proprie preferenze, e come diritto civico, in quanto attribuisce al cittadino la pretesa a un “facere” da parte della Repubblica per promuovere, come precisa l’art.4, le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Nella realtà, preoccupanti

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problemi di disoccupazione e sottoccupazione frustrano non solo il diritto al lavoro come diritto civico, ma anche come diritto di libertà posto che le possibilità di scelta dei singoli lavoratori ne sono gravemente limitate o addirittura escluse. La tutela del lavoro nella Costituzione: il principio fondamentale in materia di tutela del lavoro è proclamato dal 1° comma dell’art.35, per il quale la Repubblica assume a suo compito la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Si prevedono inoltre accordi internazionali per affermare e regolare i diritti del lavoratore e si riconosce la libertà di emigrazione con conseguente tutela del lavoro italiano all’estero. L’art.36 stabilisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro (principio della giusta retribuzione) e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (principio della retribuzione familiare). La retribuzione non è la sola corrisposta durante il rapporto di lavoro, ma anche quella differita. Quanto all’orario di lavoro, l’articolo riserva alla legge la competenza a stabilire la durata massima della giornata lavorativa, e infine, stabilisce il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, cui il lavoratore non può rinunciare. L’art.37 tutela in particolare la posizione della donna, il cui trattamento nel rapporto di lavoro deve essere equiparato a quello dell’uomo, e privilegia, giustamente, la lavoratrice in relazione alla sua essenziale funzione familiare, più rilevante in presenza di figli piccoli. Per quanto riguarda il lavoro minorile, la Costituzione rimanda alla legge per stabilire il limite minimo d’età per il lavoro salariato (fissato in 15 anni), e tutela la posizione del minore nell’attività lavorativa. Lo Statuto dei lavoratori: ampia tutela, tanto sul piano sostanziale tanto su quello processuale, alla libertà e dignità del lavoratore e della libertà sindacale, viene attuata dalla l.20 maggio 1970, n.300, il cosiddetto Statuto dei lavoratori. Tralasciando il piano sostanziale, per il quale vengono enunciati numerosi diritti dei lavoratori, sotto il profilo processuale viene prevista una speciale procedura dinanzi al pretore per la repressione della condotta antisindacale nonché la legittimazione delle organizzazioni sindacali a promuovere il procedimento giudiziario di che trattasi. Giudice del lavoro di primo grado è in ogni caso il pretore e contro le sue sentenze è ammesso ricorso al tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro. La sentenza del tribunale è ricorribile alla Corte di Cassazione, secondo il rito ordinario. Collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende: in forza dell’art.46 Cost., la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La disposizione mira a elevare il lavoratore da strumento a collaboratore della produzione, ma in quanto norma programmatica e diretta quindi al legislatore non ha potuto essere applicata non essendo intervenute le necessarie disposizioni legislative (tranne Olivetti e Ilva). Il sindacato: lo strumento più efficace per la tutela del lavoratore, e particolarmente del lavoratore subordinato, è il sindacato. L’art.39 Cost. sancisce anzitutto il principio fondamentale della libertà dell’organizzazione sindacale. Questo significa libertà di costituzione di uno o più sindacati e libertà per ogni lavoratore di aderire o meno al sindacato. L’unico obbligo che può essere imposto ai sindacati, a norma dell’art.39, è la loro registrazione presso uffici centrali e locali, alla sola condizione che gli statuti dei sindacati che chiedono la registrazione sanciscano un ordinamento interno a base democratica. Con la registrazione, i sindacati acquistano personalità giuridica. Tale registrazione, ai sensi di Costituzione, deve avvenire però in base a norme da stabilirsi con legge ordinaria (legge sindacale) e poiché tale legge non è intervenuta, fino ad oggi, anche a causa della netta opposizione dei sindacati all’adozione delle necessarie disposizioni legislative, le norme costituzionali non possono trovare attuazione. La mancanza di registrazione rende dunque impossibile la stipulazione di contratti collettivi di lavoro di diritto pubblico (previsti dall’art.39), sicché accanto ai contratti individuali di lavoro sono possibili solo i contratti collettivi di lavoro di diritto privato o di diritto comune. Il diritto di sciopero e i suoi limiti: lo sciopero è un’astensione dalla prestazione del lavoro effettuata da una pluralità di lavoratori e che non dà luogo a una violazione del contratto di lavoro, sicché il datore di lavoro può solo non corrispondere la retribuzione.

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Lo sciopero, fondamentale strumento di autotutela dei lavoratori, vietato dal codice penale fascista, è stato dichiarato dall’art.40 Cost. un diritto, anche se viene operato un rinvio alla legge ordinaria per la determinazione delle modalità (e quindi anche dei limiti) per l’esercizio di tale diritto. Più di recente, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità non solo dello sciopero rivolto a conseguire fini di carattere economico, ma anche di scioperi politici, di solidarietà, di pressione. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali: la l.12 giugno 1990, n.146, contiene norme importanti riguardo allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, quelli cioè volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati. Nei servizi pubblici essenziali stabiliti dalla legge, il diritto di sciopero non può esercitarsi se non : a) con un preavviso di almeno 10 giorni; b) con la predisposizione di prestazioni indispensabili; c)con l’indicazione della durata della astensione dal lavoro; d) con comunicazioni adeguate agli utenti. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il prefetto,in caso di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, possono adottare un’ordinanza diretta a garantire le prestazioni indispensabili. E’ stata inoltre istituita una Commissione di garanzia per l’attuazione della legge 146. La serrata: la Costituzione non disciplina la serrata, ovvero la sospensione totale o parziale della attività da parte del datore di lavoro per finalità collegate o meno al contratto di lavoro. Si ritiene che essa non possa più essere considerata un delitto, mentre può concretare un illecito civile.

Libertà di iniziativa economica privata: l’art.41 Cost.: a) afferma il

principio della libertà dell’iniziativa economica privata; b) indica i limiti cui

deve attenersi tale iniziativa (non può svolgersi in contrasto con l’utilità

sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità

umana); c) rinvia alla legge per la determinazione di programmi ed i

controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa

essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

La programmazione economica: essa è dunque prevista dall’art.41, e

avrebbe dovuto concretarsi in interventi dello Stato in settori

determinati dalla legge, non solo mediante disposizioni di stimolo o di

incentivo, ma anche mediante disposizioni imperative, giustificate da quei

fini di utilità sociale che vanno perseguiti, tenendo comunque conto del

principio della libertà di iniziativa economica privata. Tale

programmazione non ha comunque ottenuto risultati positivi, se non con

interventi programmatori di estensione settoriale. Nazionalizzazione delle imprese: strumento rilevante di intervento pubblico nell’economia è la nazionalizzazione delle imprese, che oggi ha perduto buona parte della sua efficacia. L’art.43 ha introdotto il principio della possibile nazionalizzazione delle imprese, circondandolo di cautele. Innanzitutto l’atto a disporre la nazionalizzazione è la legge. Poi deve esistere un fine di utilità generale, deve trattarsi di imprese, aventi carattere di preminente interesse generale, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio. Qualora ricorrano queste condizioni, tali imprese possono essere riservate originariamente o trasferite, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o i utenti. Il caso più rilevante di nazionalizzazione si è avuto con l’ENEL (1962). Il diritto di proprietà e i suoi limiti: nel Codice del 1942 e nella Costituzione il diritto di proprietà viene riconosciuto, ma rispetto al passato viene circondato da limiti. L’art.42 Cost., riconoscendo il diritto di proprietà, ne sottolinea la funzione sociale, affidando alla legge il compito di renderla

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accessibile a tutti. Come afferma l’art.42, la proprietà è pubblica e privata e i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. Espropriazione per pubblico interesse: ai sensi dello stesso art.42, la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge (➪ riserva di legge assoluta) e salvo indennizzo che, secondo il parere della Corte Costituzionale, deve consistere in un “serio ristoro del pregiudizio economico risultante dall’espropriazione”. Disciplina della proprietà terriera privata: disposizioni particolari, legate ad un antica battaglia contro il latifondo, sono dettate dall’art.44 Cost. in materia di proprietà terriera privata, al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali. La Costituzione rinvia alla legge per stabilire le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità. Altre disposizioni costituzionali in materia economica: altre disposizioni costituzionali sono dettate in materia di cooperazione, a favore dell’artigianato, di incoraggiamento al risparmio, e in materia di credito. Assistenza e sicurezza sociale: l’art.38 Cost. introduce il principio della sicurezza sociale, affermando che ogni cittadino inabile e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Viene inoltre affermato il diritto di lavoratori infortunati, malati, invalidi, anziani, ecc.…di godere un sistema di assistenza e di previdenza, che si concreta attraverso le assicurazioni sociali. Il relativo finanziamento è oggi in larga misura a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori con la necessità, però, di massicci interventi pubblici. Un serio sistema di sicurezza sociale non potrà non accompagnarsi a profonde revisioni dell’attuale struttura previdenziale e assistenziale pubblica per evitare che finalità giuste e doverose siano compromesse da oneri economici ingiustificati ed eccessivi, capaci di determinare il dissesto della finanza pubblica e dell’economia del Paese.

PPAARRTTEE SSEETTTTIIMMAA

LLEE GGAARRAANNZZIIEE CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNAALLII

CCAAPPIITTOOLLOO 22 LLAA CCOORRTTEE CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNAALLEE

SSEEZZIIOONNEE II:: LLAA GGIIUUSSTTIIZZIIAA CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNAALLEE IINN GGEENNEERRAALLEE Il problema della giustizia costituzionale, intesa come possibilità di sindacare le leggi ordinarie per preteso contrasto con la Costituzione, sorge, prevalentemente, in presenza di Costituzioni rigide e si pone come garanzia di tale rigidità. “Sindacato diffuso” di costituzionalità: si parla di sindacato diffuso quando ogni giudice, all’atto di applicare una legge, può, e deve, accettarne la conformità a Costituzione, disapplicandola in caso di difformità. Il giudice non annulla, non potendo, la norma ritenuta incostituzionale, ma si limita a non applicarla: è il caso degli U.S.A. La norma disapplicata però resta in vigore potendo essere annullata solo dall’organo legislativo. I vantaggi sono legati a una più diretta e immediata possibilità di controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie, tuttavia questo sistema può consentire ai giudici ordinari un’ingerenza nel merito delle scelte legislative delle Assemblee (“governo dei giudici”). Sindacato accentrato di costituzionalità: sistema opposto al precedente, si realizza quando la competenza a valutare la conformità a Costituzione delle leggi è attribuita a un solo organo. Può distinguersi a seconda che l’organo sia di natura prevalentemente politica (Francia), o di natura prevalentemente giurisdizionale (Stati tedeschi, Austria). La soluzione adottata dalla Costituzione italiana per una magistratura speciale denominata Corte Costituzionale si avvicina maggiormente a quest’ultimo modello.

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SSEEZZIIOONNEE IIII:: PPOOSSIIZZIIOONNEE EE SSTTRRUUTTTTUURRAA DDEELLLLAA CCOORRTTEE CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNAALLEE

Nel nostro ordinamento non fu mai contestata la scelta di istituire una magistratura costituzionale, al fine di assicurare il rispetto dell’ordine costituzionale delle competenze, mentre si discusse se assegnare o meno alla Corte una composizione influenzata dal dato politico, propendendo per il no. L’art.137 Cost. riserva alla legge costituzionale (legge cost.1953,n.1) di stabilire le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, nonché le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte, mentre le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte sono stabilite con legge ordinaria (legge 1953,n.87). La composizione della Corte Costituzionale: la composizione della Corte Costituzionale è disciplinata anzitutto dall’art.135 Cost., modificato dalla l.cost. 1967,n.2. I giudici della Corte sono quindici e sono nominati, in ordina successivo: dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa (1/5), dal Parlamento in seduta comune (1/5), dal presidente della Repubblica (1/5). Tali giudici sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo 20 anni di esercizio, e durano in carica 9 anni. Viene esclusa l’ipotesi della proroga dei poteri con l’eccezione del caso di scadenza di un giudice durante un processo penale costituzionale: il giudice resta in carica limitatamente allo svolgimento di quel processo e fino alla sua conclusione. I giudici non possono essere nuovamente nominati, scaduti i 9 anni. Per i soli giudizi di accusa contro il presidente della Repubblica è prevista una composizione allargata della Corte Costituzionale: accanto ai quindici giudici ordinari intervengono altri sedici giudici “aggregati”, di origine più accentuatamente politica, tratti a sorte da un elenco, compilato dal Parlamento, di 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore (aventi 40 anni). “Status” dei giudici costituzionali: ogni giudice, prima di assumere le funzioni, presta giuramento nelle mani del presidente della repubblica di osservare la Costituzione e le leggi, e da tale momento decorrono i 9 anni di durata della carica. La l.cost. 1953,n.1 e la l. 1953,n.87 disciplinano lo status di giudice costituzionale: sostanzialmente i giudici non possono assumere o conservare altri impieghi lavorativi, possono iscriversi a partiti politici ma non esercitare l’attività di partito e godono dell’immunità accordata ai membri della Camera (senza autorizzazione della C.Cost., non possono essere arrestati, perquisiti, ecc.. e godono di una cospicua retribuzione). I giudici costituzionali inoltre non sono sindacabili né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni; non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non con decisione della Corte, per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni. Infine va ricordato che un giudice che per 6 mesi non eserciti le sue funzioni decade dalla carica. Organizzazione interna della Corte Costituzionale: il presidente della Corte Costituzionale, che dura in carica 3 anni, è eletto dai giudici ordinari a maggioranza dei componenti; nel caso nessuno riporti la maggioranza si procede a una seconda votazione, ed eventualmente a ballottaggio. Subito dopo l’elezione, il presidente designa un giudice che assume il ruolo di vice presidente, destinato a sostituirlo per il tempo necessario in caso di impedimento. E’ prevista inoltre la costituzione di un ufficio di presidenza composto del presidente, del vice presidente e di 4 giudici, eletti per 2 anni dalla Corte a scrutinio segreto. Ancora, la Corte procede all’elezione di due commissioni di tra giudici ciascuna, una per gli studi e i regolamenti, l’altra per la biblioteca. La Corte Costituzionale ha sede a Roma nel Palazzo della consulta. La destinazione di tale Palazzo, compresi gli accessori, le pertinenze e gli arredi, a sede permanente della Corte, costituisce un’ulteriore garanzia in favore dell’indipendenza e dell’autonomia della Corte.

SSEEZZIIOONNEE IIIIII:: LLEE FFUUNNZZIIOONNII DDEELLLLAA CCOORRTTEE CCOOSSTTIITTUUZZIIOONNAALLEE Nel nostro ordinamento la Corte Costituzionale è organo di garanzia e, in quanto tale, esercita un’importante funzione di controllo. Secondo l’art.134 Cost. modificato dalla l.cost. 16 gennaio 1989, la Corte ha la competenza a giudicare:

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1) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;

2) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;

3) sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica a norma della Costituzione; 4) sull’ammissibilità rispetto all’art.75 Cost. delle richieste di referendum abrogativi (secondo la

l.cost. 11 marzo 1953). 1. IL GIUDIZIO SULLA LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELLE LEGGI E DEGLI ATTI AVENTI

FORZA DI LEGGE DELLO STATO E DELLE REGIONI Atti assoggettabili al giudizio della Corte: la competenza di maggior rilievo della Corte Costituzionale è quella di giudicare la costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge. Gli atti che possono essere sottoposti al giudizio della Corte sono, anzitutto, le leggi dello Stato e quelle delle Regioni; in secondo luogo gli atti aventi forza di legge dello Stato (ma non delle Regioni); in terzo luogo le leggi delle Province autonome di Trento e Bolzano. In quanto “atti”, può escludersi l’impugnabilità di norme consuetudinarie, in quanto “aventi forza di legge”, può escludersi la competenza della Corte su atti normativi di grado secondario, che spetta invece al giudice ordinario o al giudice amministrativo. Tra gli atti dello Stato aventi forza di legge, possono essere compresi i decreti presidenziali di attuazione degli statuti regionali speciali, che rientrano nei decreti legislativi, gli atti adottati dal Governo dotato dal Parlamento di potestà legislativa, gli atti normativi e il risultato del referendum abrogativo. Per quanto riguarda gli atti legislativi regionali, possono sicuramente essere impugnate le leggi regionali, mentre qualche dubbio rimane per gli statuti regionali. Sono da escludere invece gli atti regionali con forza di legge analoghi ai decreti legge o ai decreti legislativi statali, per il fatto che al Consiglio regionale spetta la potestà legislativa, senza possibilità di deleghe o di eccezioni. Forza legge: secondo una diffusa dottrina la forza legge comporta per l’atto che la possiede due qualità: − capacità innovativa: capacità di abrogare o modificare qualsiasi atto legislativo (aspetto attivo); − capacità di resistenza: capacità di non essere abrogato o derogato da parte di qualsiasi atto di

grado non legislativo (aspetto passivo). Possibili vizi delle leggi: i possibili vizi degli atti impugnati possono inquadrarsi nella tripartizione: • violazione di legge: può essere stata violata la Costituzione negli aspetti formali (procedimento di formazione) o negli aspetti materiali (contrasto del contenuto); • incompetenza: in ipotesi di concorso vincolato di fonti a competenza reciprocamente definita (ad

es. decreti legislativi che superino il contenuto della legge di delegazione, o legge statale che disciplina una materia riservata ad altra fonte;

• eccesso di potere legislativo: anche il legislatore deve infatti perseguire le finalità stabilite dalla Costituzione, sicché la sua attività non può più dirsi del tutto libera nel fine, può essere impugnata per eventuali deviazioni dalla finalità prescritta. Deve invece escludersi l’ammissibilità che il controllo di legittimità della Corte comporti una valutazione di natura politica o un sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento.

Il processo costituzionale può iniziarsi o mediante ricorso proposto da chi vi sia legittimato (procedimento in via d’azione o principale), oppure mediante eccezione di incostituzionalità sollevata nel corso di un giudizio (procedimento in via di eccezione o incidentale). a) Procedimento in via d’azione: può essere iniziato solo dallo Stato nei confronti di leggi regionali e dalle Regioni nei confronti di leggi o atti con forza di legge dello Stato o di altre Regioni. L’impugnazione dello Stato può essere esercitata quando la Regione abbia riapprovato la legge che il Governo aveva già rinviato per motivi di illegittimità, e ha natura preventiva, nel senso che interviene dopo l’approvazione della legge (che dunque è perfetta) ma prima della sua promulgazione. Per quanto

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riguarda l’impugnazione da parte delle Regioni di leggi o atti con forza di legge statali e di leggi di altre Regioni, questa è sempre successiva alla pubblicazione. I motivi di ricorso: le leggi statali possono essere impugnate dalle Regioni solo per “invasione di competenza”, la legge regionale, invece, può essere impugnata dal Governo quando esso ritenga che la legge “ecceda la competenza della Regione”, ma comprendendo anche qualsiasi vizio di incostituzionalità. Se però l’impugnazione della legge regionale è proposta da un’altra regione, il vizio deve riguardare la violazione della Regione corrente (di nuovo incompetenza in senso stretto). b) Procedimenti in via di eccezione: i soggetti diversi dallo Stato e dalle Regioni possono chiamare in causa la C. Costituzionale per far valere l’illegittimità di una legge soltanto in via di eccezione. Tale procedura presuppone: - l’esistenza di un giudizio principale dinanzi ad un’autorità giurisdizionale; - la necessità di applicare, nel corso di tale giudizio, una disposizione legislativa che una parte, o il

pubblico ministero, o lo stesso giudice sospetta di incostituzionalità; - la questione di costituzionalità sollevata mediante istanza da una delle parti o d’ufficio, che si

configura come incidente processuale; - un preliminare esame del giudice per accertare che la disposizione enunciata sia rilevante (nel senso

che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della proposta questione) e che la questione non sia manifestamente infondata;

- l’emissione di un’ordinanza con la quale il giudice del procedimento principale dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.

La rilevanza della questione e la non manifesta infondatezza trovano giustificazione nell’esigenza non solo che esista un filtro selettore delle questioni di costituzionalità ma anche che esso funzioni correttamente per evitare che la legge venga aggirata e siano portate al giudizio della Corte questioni la cui decisione non ha influenza sulla definizione del processo principale. Con l’ordinanza di rimessione, che deve indicare le disposizioni dell’atto che si ritengono viziate da illegittimità costituzionale e quelle della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate, la questione di costituzionalità è sottoposta al suo giudice naturale, cioè la Corte Costituzionale. Si instaura così il processo di costituzionalità. La decisione della Corte: l’art. 18 della legge 1953,n.87, pur subendo eccezioni, stabilisce che la Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza. Le sentenze della Corte, secondo lo schema più semplice, possono essere di accoglimento (e quindi incostituzionalità) o di rigetto. Principio generale nella decisione della controversia da parte della Corte è la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma possono esserci due eccezioni: a) la Corte stessa, nel corso di un processo in svolgimento dinanzi ad essa sollevi eccezione di incostituzionalità nei confronti di una disposizione da applicarsi nel processo di che trattasi; b) la Corte dichiari l’illegittimità di altre disposizioni legislative, in conseguenza dell’illegittimità delle disposizioni impugnate. Le sentenze di accoglimento: le sentenze di accoglimento sono pubblicate due volte: mediante deposito in cancelleria, come le sentenze delle altre magistrature, ed entro dieci giorni “nella medesima forma stabilita per la pubblicazione dell’atto dichiarato costituzionalmente illegittimo” , e cioè sulla Gazzetta Ufficiale e, in caso di legge regionale, sul Bollettino Ufficiale della Regione. E’ stata inoltre disposta la pubblicazione del testo integrale di tutte le sentenze della Corte nella prima parte della Gazzetta Ufficiale. Secondo l’art. 136 Cost. “la norma dichiarata incostituzionale dalla Corte cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Con la legge 57/1983 viene però dichiarata la retroattività della pronuncia della Corte: dal giorno successivo alla pronuncia della Corte la legge dichiarata incostituzionale non può più avere applicazione, con l’eccezione dei rapporti già esauriti (sentenza passata in giudicato, prescrizione maturata, decadenza). Tale eccezione non vale comunque in materia penale, dove la sentenza ha efficacia totalmente retroattiva. Le sentenze di rigetto: come tutte le sentenze della Corte Costituzionale, sono pubblicate per esteso nella Gazzetta Ufficiale; a differenza delle sentenze di accoglimento, le decisioni di rigetto non hanno

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efficacia generale, e i loro effetti sono limitati al processo nel corso del quale è stata sollevata l’eccezione. Nulla esclude che sotto altri profili, o in riferimento a disposizioni costituzionali diverse da quelle enunciate nell’eccezione che ha dato luogo al giudizio,la legge sia incostituzionale e tale possa venir giudicata dalla Corte in un successivo processo. Altre sentenze: accanto alle sentenze di accoglimento e di rigetto, espressamente previste dalla legge, la pratica ha evidenziato un altro tipo di sentenze, definite volta a volta interpretative, condizionali, parziali, correttive, addittive, manipolative e talora “monitorie” (verso il legislatore), che hanno accentuato il ruolo politico della Corte e hanno solo forza di legge ordinaria. 2. IL GIUDIZIO SUI CONFLITTI DI ATTRIBUZIONI Compete dunque alla Corte decidere sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni. Sorge un conflitto quando due autorità si dichiarino entrambe competenti(conflitto positivo)o entrambe incompetenti rispetto allo stesso affare(conflitto negativo). Conflitti reali: se vi è stata emanazione di provvedimenti che importino assunzione di competenza o implicita affermazione di competenza ≠ Conflitti virtuali: presuppongono un’affermazione potenziale di competenza, non però tradottasi nell’emanazione di un atto. Conflitti diretti: è il titolare della attribuzione a sollevare la questione ≠ Conflitti indiretti: tale potere spetta a soggetti esterni, a ciò espressamente preposti. I poteri nel vigente ordinamento non possono ridursi ai tre tradizionali, dovendosi riconoscere posizione distinta ad altri organi e così, almeno, al presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale la cui posizione al di fuori dei tre poteri tradizionali è da tutti ormai riconosciuta. Il problema di chi sia abilitato a sollevare il conflitto nell’ambito del potere è meno rilevante per i poteri organizzati gerarchicamente, ma non così per organi come la magistratura (i giudici sono sullo stesso piano) o il Parlamento (le Camere hanno gli stessi poteri). Per il Governo è competente il Consiglio dei ministri. Procedimento: la Corte decide con ordinanza in camera di consiglio sulla ammissibilità del ricorso, se la decisione è nel senso dell’ammissibilità, la Corte dispone la notifica del ricorso a tutti gli organi interessati. Successivamente la Corte risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando con sentenza il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione. Ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla. Per i conflitti di attribuzioni tra Stato e regioni e tra Regioni, i conflitti si caratterizzano per essere reali e positivi; si richiede un’invasione di competenza (che è soprattutto con atti amministrativi, ma anche con atti giurisdizionali) già realizzata e non meramente eventuale. Successivamente al ricorso, presentato per lo Stato dal presidente del Consiglio dei ministri o da un ministro da lui delegato e per la Regione dal presidente della Giunta regionale dopo deliberazione della Giunta stessa, la decisione della Corte è pronunciata dalla Corte con sentenza ed eventuale annullamento dell’atto, anche in questa ipotesi. 3. IL GIUDIZIO SULLA AMMISSIBILITA’ DELLE RICHIESTE DI REFERENDUM ABROGATIVO La Corte dovrà accertare, anzitutto, che le leggi delle quali si chiede l’abrogazione mediante referendum non siano leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. Il giudizio di ammissibilità richiede inoltre che si stabilisca in via preliminare se non si impongano altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile impedire il referendum abrogativo, ad integrazione delle ipotesi previste dalla Costituzione. Nella sentenza 16/1978 sono state dichiarate inammissibili le richieste di referendum: a) per l’abrogazione del Concordato tra Stato e Chiesa Cattolica, e di parte del Trattato lateranense; b) per l’abrogazione di 97 articoli del Codice penale; c) per l’abrogazione del Codice penale militare di pace; d)per l’abrogazione dell’ordinamento giudiziario militare. La C.Costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità delle richieste di referendum mediante sentenza che va pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale entro il 10 febbraio.

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4. IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE CONTRO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Procedimento per la messa in stato d’accusa: l’art.90 Cost. dispone che il presidente della Repubblica responsabile di alto tradimento o di attentato alla Costituzione è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri. I successivi atti e rapporti vengono trasmessi ad un apposito Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa, che compie le indagini del caso e, se non si dichiara incompetente e non dispone l’archiviazione, dopo richiesta di un quarto dei componenti del Parlamento in seduta comune presenta la propria relazione al Parlamento, che nel caso di messa in stato di accusa deve riportare le indicazioni degli addebiti con le relative ipotesi di reato e degli elementi su cui la proposta è basata,. Entro 30 giorni dalla presentazione della relazione del Comitato viene convocato il Parlamento in seduta comune: in caso di proposta di messa in stato d’accusa, si vota a scrutinio segreto e la deliberazione deve essere adottata a maggioranza assoluta. Qualora il Parlamento abbia deliberato la messa in stato d’accusa, il presidente della Camera trasmette entro due giorni l’atto di accusa della Corte Costituzionale unitamente alla relazione del Comitato per i giudizi di accusa, alle eventuali relazioni di minoranza e agli atti e ai documenti del procedimento. Procedimento di fronte alla Corte Costituzionale: la composizione della Corte sale in questo caso a trentun membri per la ”aggregazione” di altri sedici giudici. Alle udienze devono partecipare tutti i giudici che non siano legittimamente impediti e il giudice assente ad un’udienza non può partecipare alle udienze successive. Dopo aver nominato un giudice per l’interrogatorio, gli atti istruttori necessari e la relazione, si passa al dibattimento e poi alla riunione in Camera di consiglio. Ogni giudice esprime oralmente la propria votazione, senza possibilità di astensione, e distintamente per ogni capo d’imputazione. Il dispositivo della sentenza è letto dal Presidente in pubblica udienza. La sentenza è depositata in cancelleria e trasmessa al Ministro di Grazia e Giustizia per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale; essa è inappellabile e può solo essere sottoposta a revisione ove, dopo la condanna, sopravvengano o si scoprano fatti nuovi importanti. La pena irrogabile al presidente della Repubblica può raggiungere l’ergastolo, mentre per le altre sanzioni è da ritenersi certa la pronuncia della decadenza della carica, nonché l’interdizione dai pubblici uffici e gli eventuali risarcimenti di danni, in conformità alle norme generalmente vigenti.