Dispensa Organizzazione Aziendale

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DISPENSA DI ORGANIZZAZIONE

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Principi e gestione dell'organizzazione aziendale, teoria

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DISPENSA DI ORGANIZZAZIONE

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INTRODUZIONE ALL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE Per capire il problema di base dell’analisi e studio dell’organizzazione si può analizzare un breve articolo tratto dalla rivista americana Fortune; il brano, adattato e tradotto, descrive il caso di una società di assicurazioni americana (Progressive Corporation) che, avuto un momento di forte crisi negli anni ’80, si è risollevata a seguito di un cambiamento del top-management, subendo in tal modo un profondo mutamento a livello di struttura organizzativa. Proprio grazie a questa riorganizzazione l’impresa è diventata un modello di riferimento, essendo fra le più profittevoli del suo settore (per questo ha attirato l’attenzione degli studiosi, in particolare di questa rivista divulgativa). Sono passati solo pochi minuti da un incidente d'auto a Tampa in Florida, e Lance Edgy è già sulla scena: provvede a calmare gli infortunati, a consigliare le opportune cure mediche, a organizzare la riparazione delle vetrine dei negozi. E’ lui che dà supporto alla preparazione dei rapporti per la polizia e che avvia le procedure legali. Prima che i carro-attrezzi abbiano sgombrato la carreggiata, Edgy, ventiseienne, rappresentante senior della Progressive Corp., ha già offerto al suo cliente un risarcimento per il valore di mercato della sua automobile. Il suo "ufficio" è un furgone dotato di aria condizionata con una piccola scrivania, telefoni cellulari e poltrone molto comode, dove i clienti possono rilassarsi affidando ad Edgy la responsabilità di provvedere a tutte le incombenze. Progressive Corp. presenta oggi molte delle caratteristiche che una persona che subisce un incidente chiede alla propria assicurazione, e ... forse anche qualcuna in più! Non solo un risarcimento veloce e adeguato al valore del sinistro, ma anche un contatto amichevole, un sostegno psicologico, un supporto qualificato per gestire ogni difficoltà. Ma Progressive Corp. non è solo un’azienda che serve bene i propri clienti, è anche un azienda che, con i suoi utili al Top del settore e un tasso di crescita assai elevato, fa anche un ottimo servizio ai propri azionisti. Ma non è sempre stato così. Verso la fine degli anni ‘80, Progressive, specializzata in automobilisti ad alto rischio, si trovò in seri problemi: nonostante i costi interni elevati, le lamentele da parte dei clienti erano continue. Il personale qualificato restava molto poco all’interno dell’azienda e questo turnover non consentiva di sviluppare competenze nè di instaurare rapporti personali con i clienti. Non c’era d’altra parte alcuna capacità di sfruttare sinergie o coordinare l’offerta assieme alle altre organizzazioni che forniscono servizi complementari, come ad esempio soccorso stradale, assistenza medica, ... pompe funebri. L'amministratore delegato Peter Lewis vide in questa crisi la necessità e l'opportunità di creare una nuova tipologia di azienda. "La gente viene continuamente strizzata in mille modi dalle compagnie di assicurazione per auto. Le persone vengono trattate bruscamente e in tempi molto lunghi. Io dico, "Perché non cambiamo? Perché non iniziamo a trattare i clienti come amici e non come avversari? Sarebbe una rivoluzione nel business". Oggi, attraverso il programma Risposta Immediata di Progressive, i rappresentanti dell'azienda prendono contatto con l'80% degli infortuni per incidenti entro 9 ore, i meccanici controllano il 70% dei veicoli danneggiati in una giornata e gran parte dei reclami per i danni viene sbrigata in una settimana. I meccanici lavorano in team composti da 6 persone e vengono sottoposti a formazione non solo riguardante le norme assicurative e legali, ma anche sull'arte della negoziazione e sul sostegno psicologico, in quanto il loro lavoro richiede di trattare con i congiunti delle vittime di incidenti. I team hanno la responsabilità di occuparsi di ogni problema si presenti nella gestione del sinistro. I salari sono alti, e un programma di condivisione dei guadagni offre ai lavoratori l'opportunità di aumentarlo ancora di migliaia di dollari. Progressive garantisce ai dipendenti remunerazioni ai vertici del mercato in quanto vuole le persone migliori ad ogni livello dell'azienda. Per Progressive, formare e mantenere buoni dipendenti è fondamentale per mantenere buoni clienti. Oggi Progressive è un’organizzazione dove gli individui amano lavorare perché si sentono valorizzati e trattati come persone. I rapporti umani sono intensi e il lavoro di gruppo offre continue opportunità di socializzazione e crescita sia professionale che umana. Lewis, dal canto suo, ha avuto conferma della sua convinzione che investire nelle persone ripaghi: l'utile di Progressive è aumentato ad un tasso medio di crescita annuale del 20% a partire dal 1989 e la società è oggi considerata come una delle più interessanti e innovative del suo settore.

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Adattato da: Ronald Henkoff, "Service Is Everybody's Business," Fortune, 27 June 1994, 48-60. ¶ La descrizione risulta un po’ enfatica, ma tra le righe offre la possibilità di cogliere diversi spunti: consente infatti di capire in base a quali variabili misurabili – le prestazioni - si può dire che Progressive sia un’organizzazione di successo, caratterizzarne il modo di operare, capire i possibili ostacoli incontrati nella attuazione di questi cambiamenti e perché, nonostante essa abbia un effettivo vantaggio competitivo, le altre società assicurative non la imitino. Le prestazioni sono le seguenti:

velocità di risposta; capacità di offrire ai propri clienti non solo uno specifico servizio, ma anche l’accesso ad una serie di servizi complementari (ampiezza della gamma); basso numero di lamentele; permanenza dei clienti; salari alti (nel mercato del lavoro americano, dove la mobilità è elevata, una società che paga i propri dipendenti meglio della concorrenza probabilmente riesce ad attrarre le persone migliori); basso turn-over; coerenza fra la strategia adottata (rivolgersi ad una nicchia di clienti ad alto rischio, in genere disposti a pagare molto) ed il complesso di scelte organizzative realizzate; formazione del personale ampia e a vasto raggio; utile in crescita; prezzo delle azioni della società probabilmente alto ed in crescita.

Ci sono poi altri elementi legati ai costi: si capisce che questa azienda ha costi di contenzioso molto bassi, perché la sua politica di intervento sollecito attraverso i propri dipendenti) e di rapida chiusura del sinistro, stronca sul nascere ogni tentazione di opportunismo da parte del cliente (che in genere è motivo di forti costi che le assicurazioni lamentano sempre). Le prestazioni suddette possono essere distinte in tre gruppi:

prestazioni di economicità: utile, redditività, quota di mercato, prezzo delle azioni e sua crescita, dividendi, costi, produttività per addetto, tali elementi, questi, che motivano la bontà di un’azienda agli occhi dei propri azionisti e ne; prestazioni della legate alla soddisfazione del cliente: rappresentano la customer satisfaction; prestazioni legate alla soddisfazione dei dipendenti.

Questo è un risultato di natura generale visto che qualunque organizzazione può essere misurata in termini di prestazioni nei confronti di questi tre gruppi di individui: azionisti, clienti, dipendenti. Da notare come Progressive Corporation riesca ad essere di successo rispetto a tutti e tre questi gruppi.

PRESTAZIONI ORGANIZZATIVE ECONOMICITA’ : questa è la misura della congruenza tra ciò che si impiega come risorse e ciò che si ottiene come risultati ; tradotta in questi termini, è una definizione che si adatta sia ad un’impresa che ha finalità di produrre ricchezza, sia ad una pubblica amministrazione, sia ad una organizzazione no profit. I possibili indicatori variano al variare del momento storico e della strategia adottata. Ad esempio, in certi momenti reddito e redditività risultano gli indicatori fondamentali; in altri potrebbero essere la crescita nei confronti dei concorrenti (quest’ultima a sua volta si può misurare in tanti modi), la capacità di attrarre capitali in termini di prezzo delle azioni (un prezzo elevato vuol dire possibilità di reperire capitale a costi bassissimi, finanziamenti a tassi ragionevoli), l’innovazione (volume di fatturato fatto solo dai prodotti degli ultimi anni). SODDISFAZIONE DEI PRESTATORI D’OPERA : rappresenta il grado di soddisfacimento dei bisogni delle persone che operano nell’organizzazione. Poiché le persone hanno un comportamento positivo in termini di coinvolgimento, di produttività e di impegno nella misura in cui

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traggono, dalla propria relazione con l’organizzazione, risposta ai propri bisogni, il problema diventa capire quali siano questi bisogni e come soddisfarli al meglio. A questo proposito esiste un modello famoso, la piramide dei bisogni di Maslow, che si basa sul seguente principio: i bisogni che le persone sentono non sono tutti uguali e soprattutto non vengono percepiti nello stesso modo e nello stesso momento. In altri termini,esiste una gerarchia, a ciascun livello della quale un individuo sente fortemente alcuni bisogni, dà per acquisito il raggiungimento di altri (quindi questi non sono più motivanti) e non ne percepisce ancora di superiori.

Scala di Maslow

La scala proposta da Maslow, in ordine crescente, è la seguente: bisogni elementari (di sopravvivenza), bisogni di sicurezza, di appartenenza (al gruppo), di status (desiderio di emergere dal gruppo) e di auto-realizzazione (riuscire a realizzarsi come persona in modo completo nei contenuti del lavoro che si fa, cioè fare un lavoro che piace). I bisogni acquisiti vengono anche chiamati fattori igienici: nel momento in cui la risposta a questi bisogni è assicurata, questi ultimi non hanno più un effetto motivante, ma se venisse posta in discussione la risposta, l’effetto sarebbe gravemente demotivante. La scala è stata contestata nella sua sequenza: può, infatti, essere diversa a seconda dell’individuo; essa inoltre rappresenta un contesto dinamico, ossia non è detto che si debba sempre salirla. La scala di Maslow mette dunque in luce aspetti fondamentali rispetto alla progettazione di un’organizzazione: conoscere le persone, individuarne i veri fattori motivanti, significa condizionarne i comportamenti ed avere la possibilità di ottenere reazioni positive (i sistemi di incentivazione tradizionali, che dovrebbero servire proprio a questo, sembrano invece ideati per tipologie di persone e società abbastanza diverse da quelle che operano nelle organizzazioni a cui ci riferiamo). Gran parte dei bisogni motivanti (quelli in alto nella scala di Maslow) è legata ai contenuti intrinseci del lavoro, all’equilibrio percepito dall’individuo tra le proprie capacità (che ritiene di avere) e quelle richieste dal lavoro: questo vuol dire che un’organizzazione nel progettare le modalità di assegnazione del lavoro deve curare questo equilibrio. Se indichiamo con C le capacità e con R le richieste, i casi possibili sono tre:

C > R , C = R , C < R C = R non ha senso, in quanto sarebbe come dire che una persona sa fare solo quello che viene chiesto! C > R è la situazione che si trova nel 95 % dei casi; il sovradimensionamento delle capacità non fa riferimento alla media di ciò che serve, ma alle eccezioni (esempio: il pilota di un aereo riceve un training molto superiore rispetto alla difficoltà di guida di un aereo, che normalmente “si guida da solo”; il pilota deve però saper fare fronte alle situazioni di emergenza!). a C < R rimane il restante 5 % : si verifica sempre nel caso del management, in quanto le richieste che di solito vengono fatte sono irrealistiche.

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Ciò che sicuramente si può dire è che situazioni di palese discrepanza tra C ed R sono negative dal punto di vista della motivazione; è invece auspicabile richiedere poco più rispetto alle capacità effettive, poiché questo può rappresentare una spinta per la persona a dare il meglio di se stessa. Possibili indicatori della soddisfazione dei prestatori d’opera sono ad esempio l’assenteismo (segnale di insoddisfazione rispetto a bisogni legati a fattori igienici) e il boicottaggio (che si può verificare a livello di una fabbrica con molti operai). SODDISFAZIONE DEI CLIENTI :

Modello di Kano

Il modello di Kano, che presenta forti analogie con quello di Ma slow, pone l’attenzione sui bisogni del cliente, che presentano natura differente. In particolare, oltre ai requisiti monodimensionali (ovvi, espliciti) quali prezzo e funzionalità, tramite i quali è possibile confrontarsi con la concorrenza, esistono altri tipi di requisiti che condizionano fortemente il livello di soddisfazione del cliente: si tratta dei requisiti attrattivi e requisiti dovuti. I primi – i requisiti attrattivi - sono bisogni che il cliente non ha esplicitato, magari perché non pensava neanche di averli; sono quindi domande che non attendono una risposta, ma nel momento in cui essa viene data questa diventa un fattore sorpresa fortemente positivo . Se questi requisiti non vengono riconosciuti, non si ha alcun impatto sul grado di soddisfazione del cliente. Si nota subito un fatto: il problema dei requisiti attrattivi è che sono dinamici; ciò che oggi rappresenta una sorpresa, con l’abitudine diventa scontato, alla fine implicito; quindi dinamicamente bisogna cercare nuovi bisogni per competere in questo ambito. I secondi – i requisiti dovuti – rispondono a bisogni che il cliente non esplicita perché considera scontati: nel momento in cui gli vengano negati l’effetto è drastico, negativo. Dal modello di Kano, molto conosciuto dai manager, è possibile trarre due insegnamenti. In primo luogo, la competizione sulla soddisfazione dei clienti si deve basare sui requisiti attrattivi, perché la differenziazione sulla base dei requisiti monodimensionali risulta estremamente difficile e costosa. In secondo luogo è la necessità di porre forte attenzione alle richieste implicite: ogni sforzo è inutile se poi non vengono presidiati alcuni elementi di base. Ci chiediamo a questo punto se sia possibile perseguire congiuntamente più prestazioni: l’argomento è controverso, non esiste una risposta banale. Prendiamone due, ad esempio economicità e soddisfazione dei prestatori d’opera; si possono avere tutte queste possibilità:

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Molti pensano che ci sia una necessaria compensazione tra queste prestazioni (in questo caso le organizzazioni si collocano lungo la diagonale 2-1 , 1-2 segnata in rosso); ;in realtà queste situazioni sono instabili: in un caso l’insoddisfazione dei dipendenti porterà i migliori ad abbandonare l’impresa, nell’altro (bassa economicità) si tratta di un’impresa che brucia ricchezza, che prima o poi dovrà tagliare i costi e che quindi subirà una deriva verso la bassa soddisfazione dei propri lavoratori. Le imprese piuttosto si trovano nelle altre due situazioni poste (è un approccio semplificato). In generale le organizzazioni eccellenti di oggi riescono a distinguersi dalle altre contemporaneamente su tutte e tre le prestazioni prima analizzate, con un modello simile a Progressive Corporation (per soddisfare gli azionisti con buoni risultati economici, puntare prima di tutto sui dipendenti, in modo che abbiano relazioni positive con i clienti).

IL SISTEMA ORGANIZZATIVO

Il problema dell’organizzazione è ottenere una competitività sostenibile non transeunte, cioè prestazioni organizzative buone nel tempo. Ciò è possibile solo perseguendo, contemporaneamente ed in modo positivo, l’economicità, la soddisfazione dei clienti e dei prestatori d’opera; tali prestazioni dipendono da come i gruppi all’interno dell’azienda agiscono ed interagiscono, dai comportamenti organizzativi e da quanto siano positivi rispetto alle finalità dell’organizzazione. La chiave di tutta la questione sta nel saper stimolare, a livello di progettazione organizzativa, comportamenti adeguati (in linea con gli obiettivi dell’azienda). Secondo uno dei modelli più famosi, quello sociotecnico, buoni comportamenti si ottengono per effetto dell’equilibrio, della coerenza tra una serie di scelte, a livello interno ed esterno. Questo è ciò che viene definito sistema organizzativo: un insieme di scelte che riguardano la struttura organizzativa (ad esempio l’attribuzione dei ruoli, lo sviluppo delle risorse umane ed i sistemi di management), che, se coerenti con il contesto e l’ambiente in cui vengono prese, producono comportamenti adeguati da parte dei prestatori d’opera e, quindi, competitività sostenibile. Il contesto è dato da variabili di contesto organizzativo: ad esempio il tipo di persone con le quali si interagisce, il tipo di processi da eseguire che pongono dei vincoli. Ambiente vuol dire tecnologie, società e cultura delle persone, democrazia, strategie richieste dal mercato. Esistono cinque gruppi di variabili che condizionano il comportamento dei singoli individui e di gruppi di individui e che sono collegati alle variabili organizzative, cioè alle scelte relative alla divisione ed al coordinamento del lavoro. Quindi le variabili sono legate: 1) agli individui; 2) ai bisogni d’ogni individuo; 3) alle tecnologie con le quali si ha a che fare; 4) alle strutture d’impresa; 5) alle istanze sociali presenti.

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Il cambiamento organizzativo spesso può essere interpretato come il riallineamento delle scelte organizzative rispetto ad un dato contesto interno. Questo contesto evidentemente cambia anche per effetto dell’ambiente esterno, che può intervenire tramite variazioni demografiche e tecnologiche,. Tre sono i gruppi di scelte organizzative;: 1) struttura organizzativa; 2) sistemi operativi (o di management); 3) distribuzione del potere decisionale all’interno dell’impresa; Il primo gruppo definisce le condizioni relativamente stabili attraverso le quali l’impresa definisce le modalità di divisione del lavoro (le partizioni delle attività tra i suoi membri) e i meccanismi per coordinarlo. La struttura organizzativa può essere suddivisa in due livelli logici: un livello chiamato macrostruttura, che riguarda la definizione delle unità organizzative, delle relazioni tra i gruppi definiti istituzionalmente nell’impresa, ed un livello chiamato microstruttura, che determina i ruoli all’interno delle imprese da assegnare ai singoli individui. Relativamente al secondo gruppo – i sistemi operativi - l’analisi si concentrerà sulla progettazione della struttura organizzativa, quindi sulle condizioni relativamente stabili che possono essere suscettibili di un certo livello di progettazione. Esiste una serie di stimoli che il management può progettare per condizionare e stimolare comportamenti positivi da parte di individui o gruppi. Ad esempio, tramite sistemi d’incentivazione il management può cercare di porre in essere stimoli al fine di ottenere dei comportamenti desiderati; oppure tramite sistemi di pianificazione e controllo si cerca di programmare le decisioni aziendali attraverso lo sviluppo di piani; lo stesso processo di pianificazione strategica può essere visto come variabile organizzativa in quanto condiziona immediatamente il comportamento delle persone all’interno delle imprese (così come il sistema di base); anche i sistemi informativi e di comunicazione , nel modo in cui sono strutturati, rappresentano un importante stimolo per i comportamenti degli individui. Infine il terzo gruppo relativo alla distribuzione del potere decisionale all’interno dell’impresa è legato alle necessità di definizione delle responsabilità decisionali e alle modalità di assegnazione di tali responsabilità rispetto ai principali problemi incontrati: evidentemente la diversa collocazione all’interno dell’azienda condiziona il suo funzionamento, nonché il comportamento delle persone. Da questo punto di vista si parla di accentramento e decentramento, in cui le decisioni sono portate rispettivamente verso il vertice aziendale e verso i nuclei operativi dell’azienda.

PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA Trattando il sistema organizzativo, è necessario passare da una prospettiva puramente interpretativa (finalizzata a capire il motivo di certi fenomeni) ad una prospettiva progettuale di supporto alle decisioni. Ciò che interessa non è tanto interpretare le ragioni per cui le organizzazioni fanno certe scelte, ma come, dato un certo obiettivo, si riesca a riprogettare, cambiare l’organizzazione dell’azienda in modo da renderla più efficace. Per introdurre i principali problemi della progettazione organizzativa, è possibile fare riferimento ad un caso: è una sorta di metafora dell’organizzazione aziendale che parla dell’evoluzione di un laboratorio di ceramica attraverso una serie di stadi successivi. Risulta quindi necessario identificare gli stadi dell’evoluzione dell’organizzazione, descriverli in termini di meccanismi di divisione del lavoro e di coordinamento, identificare le cause del cambiamento (che segnano il passaggio da uno stadio a quello successivo), e, infine, osservare quali sono i compiti, come vengono suddivisi e come si evolvono di volta in volta. Fino ad allora la Signora Raku era stata una tranquilla casalinga con l’hobby della ceramica. Tutto cominciò quando una conoscente che aveva un piccolo negozio di artigianato vedendo tre suoi vasi ne rimase colpita e chiese alla signora Raku di lasciarglieli mettere in vendita nel negozio. In capo ad una settimana erano stati venduti. La Signora Raku decise così di aprire un piccolo laboratorio di ceramica nello scantinato della sua abitazione. Ciò richiedeva lo svolgimento di

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alcuni compiti diversi: impastare l’argilla, modellare i vasi, decorarli quando erano semi-asciutti, prepararli e applicare le vernici e infine cuocerli in forno. Il coordinamento di questi compiti era semplicissimo: la signora Raku li svolgeva tutti da sola. I problemi sorsero a seguito di due fatti: la sua ambizione sfrenata e l’oggettiva bellezza dei suoi vasi. Gli ordini fioccarono e superarono presto la sua capacità di produzione. La signora Raku assunse allora un’assistente, la signorina Bisque, desiderosa di apprendere l’arte della ceramica. La signora Raku fu costretta a dividere il lavoro. Infatti, i negozi artigianali chiedevano che i vasi fossero creati effettivamente dalla signora Raku e si decise dunque che la Bisque avrebbe pesato e impastato l’argilla e preparato le vernici, mentre la signora Raku avrebbe effettivamente modellato e dipinto i vasi. Ciò richiedeva però un coordinamento, problema invero limitato, visto che riguardava solo due persone, che potevano comunicare tra loro in modo diretto e informale. La soluzione funzionò così bene che presto gli ordini sommersero nuovamente la signora Raku, la quale decise di trasferire la sede dell’attività in uno spazio più grande. Inoltre, ella si rese conto che occorrevano più assistenti. Questa volta, tuttavia, prevedendo che in futuro questi assistenti avrebbero dovuto modellare i vasi, la signora Raku decise di assumerli operando una selezione tra i diplomati di una nota scuola di ceramica. Di conseguenza, mentre per addestrare la signorina Bisque era stata necessario del tempo, i tre nuovi assistenti erano già a conoscenza di ciò che dovevano fare e si inserirono rapidamente. Anche con cinque persone il coordinamento risultò semplice. Quando però furono introdotti altri due assistenti i problemi di coordinamento cominciarono a porsi: un giorno la Bisque inciampò su un barattolo di vernice e ruppe diversi vasi. Un altro giorno la Raku aprendo il forno si accorse che per errore tutti i vasi erano stati verniciati di rosso e non di verde come richiesto da un cliente. A questo punto la Signora Raku si rese conto che sette persone in un laboratorio non potevano essere coordinate in modo semplicemente informale. A peggiorare le cose, concorreva il fatto che la Signora Raku spendeva sempre più tempo nei contatti con i clienti. In realtà in quel periodo era più facile trovarla con un vestito di sartoria nello studio o nel negozio di un cliente piuttosto che con un paio di jeans in laboratorio. Nominò dunque la signorina Bisque capo del laboratorio: ella doveva a tempo pieno attribuire compiti specifici agli assistenti e coordinarne il lavoro. Il laboratorio continuò ad ampliarsi e assunse il nome di Ceramics Inc. Fu assunto un esperto di problemi del lavoro che suggerì cambiamenti secondo i quali ogni persona doveva essere specializzata e svolgere un solo compito per una sola delle ormai numerose linee di prodotto (vasi, posacenere, portavasi, animali in ceramica). Una persona pesava l’argilla, un’altra la impastava, una terza modellava gli oggetti, una quarta li decorava, un’altra ancora li introduceva nei forni e seguiva la cottura. Ogni persona seguiva un insieme di istruzioni standard, elaborate in precedenza per garantire il coordinamento automatico tra le attività. In effetti il bisogno di comunicazione continua tra le persone addette al processo era ora notevolmente diminuito. Naturalmente la Ceramics Inc non vendeva più ai negozi artigianali, bensì alle grandi catene di distribuzione e la signora Raku accettava ordini solo per quantitativi non inferiori ai cento pezzi. L’ambizione della signora Raku era però senza limiti e quando si presentò l’occasione di diversificare ulteriormente la produzione, la colse inserendo dapprima le mattonelle in ceramica e successivamente gli arredi da bagno. La Ceramics Inc. fu poi articolata in tre divisioni: prodotti di consumo, prodotti per l’edilizia e prodotti industriali. Dal suo ufficio al cinquantesimo piano della Pottery Tower, la signora Raku coordinava le attività delle divisioni, controllando budget e consuntivi delle tre divisioni, definendo obiettivi di crescita con i suoi collaboratori, trattando con le banche e gli investitori i finanziamenti per le nuove operazioni di sviluppo della sua azienda. Fu proprio quando un giorno sedeva alla sua scrivania di cristallo, contemplando la stupefacente skyline di San Francisco e il tramonto sul Pacifico che la signora Raku decise di cambiare il nome della propria azienda in quello di Ceramico.

La metafora è tratta da “La progettazione dell’organizzazione aziendale”: Mintzberg la introduce per spiegare come, al crescere della complessità di un’organizzazione, questa vada ad adottare diversi meccanismi per realizzare il coordinamento.

Possono essere identificati vari stadi:

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-il primo stadio è quello in cui la signora Raku impasta da sola i suoi vasi in casa (facendolo come hobby). Questo stadio non è ancora un’organizzazione ma ciò nonostante si possono individuare e classificare una serie d’attività elementari definite in modo rigoroso; si chiamano compiti e sono: � impastare l’argilla � modellare i vasi � decorarli una volta semi-asciutti � preparare e applicare le vernici (verniciatura) � cuocerli in forno In questo stadio non c’è divisione del lavoro tra persone diverse in quanto la signora Raku esegue tutto da sola, di conseguenza non esiste alcun problema di coordinamento (a meno di casi di schizofrenia). Ma ciò che fa entrare in crisi questo sistema è proprio il successo e l’intrinseca limitazione della capacità del singolo. Quindi l’organizzazione si crea nel momento in cui l’individuo da solo risulta incapace di gestire la complessità delle attività che vuole fare; rifacendosi al caso studiato, la signora Raku non sarebbe riuscita a seguire gli obiettivi che la propria ambizione le poneva; - con la crisi del sistema si entra nel secondo stadio, nel corso del quale viene assuntala signorina Bisque (contratto tra un artigiano ed il proprio assistente). L’equità che caratterizza una tale relazione di scambio dipende dal fatto che la sig.na Bisque, pur essendo motivata ad imparare il mestiere, non è in grado di operare direttamente nelle attività artistiche e deve quindi limitare il proprio operato ad operazioni - pesare, impastare l’argilla e preparare le vernici - che, se pur necessarie, hanno un minore impatto sul risultato. In realtà, quella che era la definizione della prima fase dell’organizzazione è diversa da quella che è la suddivisione dei compiti in questa nuova organizzazione: se in precedenza la sig.ra Raku non si poneva il problema di preparare le vernici o di pesare l’argilla, adesso si presenta il problema della divisione del lavoro, che si concretizza nell’enucleazione delle attività semplici, di minore impatto sul prodotto. Viene quindi ridefinito l’elenco dei compiti in base all’impatto sul risultato, vengono cioè assegnate alla sig.na Bisque quelle mansioni che non hanno un diretto impatto sul risultato artistico. Il coordinamento, peraltro necessario quando il lavoro viene diviso, avviene in maniera diretta e informale per mezzo del meccanismo d’adattamento reciproco: le persone che lavorano assieme comunicano, coordinandosi in tal modo sull’uso degli spazi e degli strumenti, sulla sequenza delle attività, ecc… A questo livello non viene definito alcun compito direttivo, anche se è ovvio che c’è una differenza di status. Questo accade in qualunque organizzazione di tipo artigianale: a fronte di differenze di status anche notevoli tra gli operatori, non esiste una gerarchia legata alla natura esecutiva o decisionale dei compiti svolti; -anche questo modello entra in crisi (terzo stadio) a seguito dell’ulteriore sviluppo dell’azienda , il quale impone il trasferimento in una sede più grande e il coinvolgimento di tre assistenti, selezionati tra diplomati di una scuola di ceramica in vista del futuro impiego nella modellazione dei vasi. Ne deriva una suddivisione del lavoro legata all’impatto sul risultato: i tre assistenti, per i quali l’inserimento è molto più veloce che non nel caso precedente, potranno essere destinati a nuove occupazioni, legata all’introduzione di nuovi prodotti. Questo è un vero laboratorio artigianale. Il meccanismo funziona perché le cinque persone conoscono già quello che devono fare, hanno cioè una serie di competenze a priori che facilitano il coordinamento informale del processo durante l’operatività. Questo meccanismo viene detto standardizzazione delle capacità (o degli input). Altri esempi di applicazione di questo meccanismo, possono essere ritrovati nelle equipe chirurgiche, nelle organizzazioni professionali, nelle università o nelle squadre sportive. Per esempio, nel canottaggio, il selezionatore sceglie dei bravi vogatori e li allena tutti insieme per pochi giorni prima dell’impegno sportivo: se questi sono dei bravi professionisti, questo meccanismo permetterà loro di integrarsi facilmente con gli altri. In una equipe chirurgica, l’esistenza a priori della standardizzazione delle capacità, cioè, ancora, l’esistenza a priori di persone con ben definite capacità e conoscenze permette un più rapido e

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semplice adattamento reciproco ; dopodiché ,per tutti i problemi residui, si può utilizzare l’adattamento reciproco. Ne deriva i meccanismi di standardizzazione non servono a coordinare, quando si pone un problema, ma servono a priori ad eliminare la necessità stessa del coordinamento; -nel corso del quarto stadio la sig.ra Raku assume altre due persone, ma questo cambiamento, da lei stessa interpretato come incrementale , inizia a peggiorare le cose. Questo è l’unico stadio in cui è necessaria una transizione per motivi legati all’inefficacia organizzativa,a differenza degli altri modelli, andati in crisi per le esigenze di crescita e di aumento della capacità produttiva da parte dell’organizzazione . Il quarto stadio, si caratterizza, inoltre,per la creazione di nuovi compiti che vedono l’azienda costruire relazioni con il cliente e con i distributori. Adesso la sig.ra Raku adempie sostanzialmente a questi compiti e non ha tempo per coordinare le attività all’interno del laboratorio; quindi nomina la sig.na Bisque capo del laboratorio in modo che attribuisca compiti specifici agli assistenti e coordini il lavoro. Il meccanismo di coordinamento non è più l’adattamento reciproco, ma quello che si definisce supervisione diretta. Esiste un supervisore che non svolge compiti esecutivi ma si dedica a tempo pieno al coordinamento; - Nel quinto stadio la signora Raku, in maniera più o meno diretta , organizza le attività di vendita, mentre responsabile della produzione è la signorina Bisque. Viene inoltre introdotto un esperto del lavoro che, estraneo alle attività di trasformazione e di coordinamento diretto, definisce le regole e gli standard, senza avere una responsabilità diretta. Ad un livello inferiore ci sonogli operatori . Vengono inoltre definite le seguenti linee di prodotto: vasi, portacenere, portavasi e animali in ceramica. Di fatto c’è una divisione di compiti. Per ognuna delle linee di prodotto ci sono cinque persone ed ogni persona segue un insieme d’istruzioni standard, elaborate in precedenza, per garantire il coordinamento automatico tra le attività. In questo stadio, anche a fronte di un passaggio da sette a venti persone, non è richiesta la presenza di altri supervisori perché ognuno nell’organizzazione sa esattamente cosa deve fare. In realtà ciò che diminuisce fortemente l’esigenza stessa di supervisione diretta è la presenza di un nuovo meccanismo di coordinamento che, funzionando in maniera simile alla standardizzazione delle capacità, si traduce nella standardizzazione delle attività del processo -l’ambizione della signora Raku porta l’organizzazione al sesto stadio, in cui la diversità dei prodotti realizzati spinge a favore dell’introduzione di tre divisioni: prodotti di consumo, prodotti per l’edilizia e prodotti industriali. Adesso la sig.ra Raku coordina l’attività controllando budget e consuntivi delle tre divisioni (non definisce più le tipologie dei prodotti). Quindi ha due tipi di relazioni: una verso l’interno, di coordinamento generico delle attività delle divisioni attraverso la definizione degli obiettivi realizzati, el’altra verso l’esterno, con il mondo delle banche e investitori. In questo stadio il meccanismo di coordinamento utilizzato è la standardizzazione degli obiettivi (degli output).

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I meccanismi di coordinamento

Al crescere della complessità vengono introdotti nuovi meccanismi, che non sostituiscono ma anzi affiancano i precedenti (l’adattamento reciproco c’è sempre, semplicemente al crescere della complessità il lavoro viene diviso in modo più complesso), ma vanno ad affiancare. All’adattamento reciproco iniziale si affiancano prima la supervisione diretta e in seguito i meccanismi di standardizzazione:la standardizzazione delle capacità, seguita dalla standardizzazione dei processi di lavoro e, infine, dalla standardizzazione degli output (gli obiettivi). Questi cinque sono, secondo Mintzberg, i principali meccanismi di coordinamento che operano all’interno dell’organizzazione. Il problema delle organizzazioni è quello di trovare dei meccanismi per i quali si possa ricorrere all’adattamento reciproco non soltanto all’interno di una unità organizzativa, ma anche tra le stesse unità organizzative. Quando le organizzazioni diventano molto complesse è necessario fare ricorso ai meccanismi elementari di coordinamento informale tra le persone. Riprendendo la progettazione della struttura organizzativa, essa è un insieme di elementi di base relativamente stabili del sistema dei ruoli, che esprimono i criteri di fondo con cui vengono attuati, fra gli operatori, divisione del lavoro e coordinamento. Risulta possibile distinguere due livelli: �PROGETTAZIONE DELLA STRUTTURA A LIVELLO MICRO:

divisione del lavoro e coordinamento tra individui all’interno di gruppi/unità. Problemi tipici affrontati: specializzazione, qualificazione, motivazione, empowerment

�PROGETTAZIONE DELLA STRUTTURA A LIVELLO MACRO: divisione del lavoro e coordinamento tra gruppi/unità nell’organizzazione. Problemi tipici affrontati: livelli gerarchici e “span of control”, criteri di aggregazione di posizioni, sistemi di coordinamento tra unità.

I concetti fondamentali riguardo alla struttura a livello micro sono il compito, la mansione e il ruolo. Il compito è l’insieme d’attività od operazioni fondamentali necessariamente collegate in funzione della proprietà/capacità del lavoro umano e in rapporto alla tecnologia impiegata. Nell’esempio della signora Raku (quando era da sola) pesare l’argilla e impastarla erano due attività collegate, erano in qualche modo un unico compito. In un secondo momento, a seguito dell’ingresso della signorinana Bisque, cambia l’organizzazione, che vede la scomposizione di vecchio modello necessariamente collegato. Per fare un altro esempio, in un’officina meccanica il compito degli assistenti si limita allo svolgimento fisico dell’operazione (tornitura, fresatura), mentre il compito di movimentazione è assolto della tecnologia stessa. In un’officina meccanica di tipo tradizionale (Job

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Shop), la stessa attività sarebbe fatta diversamente: un addetto prenderebbe un pezzo, lo posizionerebbe sulla macchina, sceglierebbe gli strumenti adatti e, infine, svolgerebbe l’operazione. Il compito in realtà dipende anche dalle proprietà, dalle capacità delle azioni umane e della tecnica impiegata. Altro concetto fondamentale è quello di mansione (traduzione dell’inglese Job). La mansione è l’insieme di compiti, tra loro intercalati, assegnabili ad una posizione (casella all’interno di un’organizzazione che può essere ricoperta dall’individuo). Ultimo concetto fondamentale è quello di ruolo, di difficile definizione perché, a differenza degli altri termini, non fa riferimento al linguaggio tipico militare, ma al gergo teatrale. Un ruolo descrive l’insieme delle aspettative di comportamento nei confronti di un individuo, in riferimento agli obiettivi dell’organizzazione che devono informare il suo agire e il suo interagire. Facendo riferimento ad una squadra di calcio, le aspettative della squadra sul giocatore non possono essere espresse in una serie di compiti, perché verrebbe a mancare il riferimento all’obiettivo dell’organizzazione (il buon attaccante è quello che contribuisce alla vittoria della squadra nei modi e nelle situazioni che la singola partita comporta). Quindi il ruolo contiene, oltre alla mansione, il riferimento agli obiettivi ed il contributo che l’organizzazione si aspetta dall’individuo riguardo al raggiungimento degli obiettivi stessi. Mentre quando si parla di mansione si può prescindere dalle persone, altrettanto non può essere fatto quando si parla di ruoli, cioè di individui diversi che possono ricoprire la stessa mansione ma interpretare il proprio ruolo in maniera differente (Vieri e Batistuta sono attaccanti ma interpretano il proprio ruolo in maniera diversa). Il problema fondamentale è quello della progettazione delle mansioni ; il ruolo non è propriamente progettabile, ma sarà stimolato e poi interpretato in modo soggettivo dal singolo individuo. Per progettare una mansione si devono prendere decisioni per ciascuno dei seguenti aspetti: 1. specializzazione orizzontale/ verticale: questo primo aspetto fa riferimento alla necessità di stabilire cosa fare, quindi i compiti elementari racchiusi nella mansione e il grado di discrezionalità. Quando si parla di specializzazione si fa riferimento alla suddivisione dei compiti in due tipi di direzione: una orizzontale ,in cui si ha la separazione (ad individui diversi compiti operativi differenti), e l’altra verticale, che indica la separazione dei compiti esecutivi dai compiti di controllo e di programmazione. Quindi è possibile specializzare e ripartire un compito complesso in compiti più elementari o ripartendo le attività tra le persone o separando le attività d’esecuzione dalle attività di controllo. Nel caso della Ceramics, si decide inizialmente a favore di una specializzazione orizzontale - la signora Raku assegna alla signorina Bisque una serie d’operazioni da seguire al proprio posto (pesare e impastare l’argilla) - e, in seguito, a favore di una specializzazione verticale, - la titolare assegna alla signorina Bisque il compito di coordinare e di assegnare le attività agli altri operatori, separando i compiti di programmazione e supervisione dai compiti di modellazione e decorazione dei vasi. 2. libertà/standardizzazione: questo secondo aspetto si riferisce alla necessità di definire gli standard e le regole per la realizzazione dei compiti assegnati. Si può scegliere tra due estremi diversi: da una parte la completa libertà relativamente alle modalità di realizzazione del compito, o, dall’altra la completa formalizzazione, cioè la standardizzazione delle sequenze d’azioni da realizzare per svolgere il compito. Ad esempio, quando, sempre nell’esempio della signora Raku, viene assunto l’esperto di problemi del lavoro si formalizzano maggiormente i compiti presenti e si definiscono le procedure delle istruzioni standard. Quindi la maggiore formalizzazione della mansione dei ceramisti è affiancata da una diminuzione della discrezionalità degli stessi e da un aumento della prevedibilità dell’output. I motivi alla base di una scelta di formalizzazione sono molteplici: per imporre delle procedure efficienti, per rendere prevedibile, attraverso la standardizzazione del processo di lavoro, l’output e per dare tutela agli individui, facilitandone il coordinamento. Quest’ultimo è uno dei concetti che sta alla base della burocrazia: termine coniato da Max Weber senza alcun tipo di connotato negativo, indica un modello che, attraverso la formalizzazione scientifica sistematica delle mansioni, riesce contemporaneamente a tutelare le persone e a

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rendere le organizzazioni più efficaci ed efficienti. Quindi, un’organizzazione di tipo burocratico formalizza anche allo scopo di garantire il prestatore d’opera rispetto al datore di lavoro. Ad esempio, il mansionario serve per formalizzare ciò che il prestatore d’opera può e non può chiedere al dipendente. Un altro tipo di garanzia è verso i clienti: ad esempio nella pubblica amministrazione la formalizzazione serve fondamentalmente a garantire l’utente da comportamenti opportunistici o da abusi. Le organizzazioni molto formalizzate si dicono burocratiche o meccaniciste, mentre quelle poco formalizzate si dicono organiche. Nel caso della Ceramics, all’inizio l’organizzazione era fortemente organica, per poi diventare sempre più burocratica al crescere delle proprie dimensioni. 3. competenze e valori: il terzo elemento da definire è il tipo di competenze, conoscenze e valori che deve avere colui che realizza i compiti. Definire le competenze vuol dire definire le conoscenze che deve avere un individuo per entrare nell’azienda (ad esempio deve essere diplomato alla scuola di ceramica), il training che egli deve seguire , le modalità del suo inserimento (ad esempio affiancato ad una ceramista più esperto) ed infine il tipo di formazione che dovrà fare nel tempo. In passato le organizzazioni tendevano a definire piani di sviluppo delle competenze sul lungo periodo, mentre oggi, a fronte dell’incertezza che caratterizza l’ambiente , questo tende a non essere fatto. Per esempio “Unileder” è un’azienda che produce beni a largo consumo: essa aveva per il personale dirigente un programma di formazione pianificato su un orizzonte di 11 anni, in modo che lo stesso acquisisse certe competenze nelle mansioni. La specializzazione orizzontale sta alla base del successo del modello occidentale (in particolare si vedano Ford e Adam Smith con il “Trattato sulla ricchezza delle nazioni” in cui la tesi era che la ricchezza delle nazioni fosse fondata sulla capacità di effettuare una specializzazione della organizzazione) produce una serie di benefici come l’aumento di destrezza (per esempio il fenomeno delle curve di esperienza che viene accelerato), la riduzione dei tempi di set up, l’innovazione sulle tecnologie più delicate, il minore fabbisogno di addestramento, il miglior uso delle caratteristiche individuali. Ad esempio si possono creare delle mansioni più semplici ripartite in base alle caratteristiche degli individui (una persona può essere più capace a decorare, un’altra a modellare). Chiaramente aumentare oltre un certo livello la specializzazione orizzontale crea problemi in termini di aumento delle esigenze di coordinamento (per esempio la signorina Bisque non esegue altro compito che dirigere gli assistenti); di ripetitività che, oltre un certo limite, può portare a fenomeni di alienazione ; di bilanciamento e saturazioni delle risorse. Quindi all’aumentare della specializzazione orizzontale da una parte diminuiscono i costi d’esecuzione, dall’altra aumentano i costi di coordinamento; economicamente il problema è quello di trovare il punto d’ottimo per il quale i vantaggi dei costi d’esecuzione non siano controbilanciati da quelli di coordinamento.

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Trade off tra vantaggi della specializzazione e costi del coordinamento La specializzazione verticale: 1. elimina la mancanza d’ampiezza di visione da parte degli operatori (specializzati nel piano orizzontale), facendo sì che le persone abbiano una visione d’insieme; ad esempio l’operaio della Ford non ha la minima idea di come si utilizzi quello che produce e quindi, come tale, non ha la visione che gli consente di capire l’impatto di un cambiamento in quello che fa. Operatori molto specializzati in visione orizzontale perdono la visione d’insieme e non possono più risolvere compiti di programmazione e di controllo, ma ci deve essere qualcuno che lo compia per loro. La specializzazione nella direzione verticale segue la specializzazione nella direzione orizzontale; 2. consente di ricorrere a manodopera meno qualificata; 3. permette di sfruttare al meglio la manodopera ad elevata qualificazione facendole eseguire compiti di supervisione; 4. valorizza le competenze specifiche relative al controllo e alla programmazione.; La specializzazione verticale presenta più problemi rispetto alla specializzazione orizzontale in quanto si può osservare: 1. il fenomeno d’alienazione, che è la non percezione da parte del prestatore d’opera del frutto del proprio lavoro; ciò genera nell’operatore la sensazione che gli sia stata tolta la proprietà del compito (il primo a parlarne è Karl Marx ne “Il capitale”); 2. la scarsa motivazione verso il raggiungimento di obiettivi di innovazione e di miglioramento della qualità, in conseguenza dello scarso controllo . E’ chiaro, quindi, che la specializzazione orizzontale e quella verticale sono collegate, però possiamo avere dei casi di specializzazione orizzontale o specializzazione verticale diverse. Elenchiamo tutti e quattro questi casi:

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Il primo caso, si caratterizza per la presenza di alte specializzazioni orizzontale e verticale: è il caso di una mansione non qualificata (è il caso dell’operaio della Ford che ha pochi compiti sui quali non ha controllo). Il caso opposto è il manager che ha un basso livello di specializzazione sia orizzontale - deve svolgere molti compiti orizzontali, come ad esempio la signorra Raku doveva parlare con i finanziatori, i clienti, e con i propri dirigenti per dedurre gli obiettivi - che verticale - non può controllare e programmare in modo rigido un’attività. Il manager di basso livello ha, invece, una specializzazione orizzontale bassa perché deve svolgere molte attività, ma una specializzazione elevata nella direzione verticale, perché ha un controllo rigido da parte dei propri supervisori con un conseguente scarso livello d’autonomia nella programmazione e nel controllo dei risultati. Infine, mansioni professionali simili a quelle dell’ingegnere, dell’avvocato, ecc… molto spesso hanno un grado di specializzazione orizzontale piuttosto alto (ad esempio il chirurgo si specializza in un particolare tipo d’operazione) e la complessità è tale che la sua mansione non può essere soggetta ad una programmazione e ad un controllo esterno. Le mansioni professionali sono mansioni per le quali è molto difficile e soprattutto inopportuno specializzare nella dimensione verticale, perché si ha bisogno di coinvolgimento, di innovazione e di spirito d’iniziativa. Per descrivere una microstruttura lo strumento principale è il mansionario che, molto utilizzato negli anni ‘60/’70 in Italia e in tutta Europa, tende oggi ad essere considerato “vecchio”.

Il mansionario è una descrizione dei compiti assegnati alla posizione (il mansionario descrive cosa fa un individuo all’interno della sua posizione, come la fa e il tipo d’informazione che riceve, oltre che in molti casi l’interfaccia). I vantaggi che offre sono molteplici: è uno strumento di formalizzazione (ad esempio nelle organizzazioni tradizionali la prima cosa che facevano i nuovi assunti era prendere visione del mansionario e dell’organigramma, una descrizione sintetica di ciò che l’impresa chiedeva loro) che garantisce il prestatore d’opera e n’esplicita le dipendenze e i compiti. E’ uno strumento la cui diffusione è stata molto spinta dai

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sindacati all’interno delle aziende perché la definizione della posizione è legata alla garanzia dei livelli renumerativi. Il difetto che rende questo strumento inadatto è la intrinseca rigidità. A questo propositopuò essere considerato un aneddoto che mostra come la presenza di un livello di formalizzazione così spinto sia tale da ingessare l’organizzazione impedendo di fatto certi margini di flessibilità. “Negli anni ’70 un dirigente di un’agenzia bancaria era assillato da un problema di qualità del servizio, cioè voleva snellire i tempi di risposta alla pratica d’affidamento (una volta fatta richiesta di una pratica questa doveva passare per tutta una serie di stend e, a seconda della dimensione dell’affidamento richiesto, la pratica poteva restare all’interno dell’ambito locale oppure poteva andare a livello di sede centrale (a seconda della grandezza di questa). Quindi una volta preparata, la pratica veniva imbustata e spedita alla sede, ma quello che succedeva molte volte era che la pratica (magari già pronta) non veniva portata al piano inferiore, per cui non partiva con la posta del giorno ma partiva il giorno dopo. Il risultato era che, in ognuno di questi passaggi, si perdeva un giorno in più ed i tempi di risposta nei confronti di un cliente potevano risultare un fattore critico. Allora il dirigente pensò di chiedere ad un impiegato di portare, alla fine del suo orario lavorativo, scendendo al piano inferiore, le pratiche già imbustate. L’impiegato accettò, ma poi ripensandoci si sentì offeso e si rivolse al sindacato che citò il dirigente al tribunale del lavoro, colpevole di aver fatto delle richieste non in linea con il mansionario, vincendo la causa”. Ci sono strumenti alternativi più ricchi e dinamici, come per esempio la matrice delle responsabilità, che correla i compiti agli attori, descrivendo per ciascun accoppiamento compito-attore o unità organizzativa la modalità di responsabilizzazione o modalità di coinvolgimento. Normalmente si utilizza in organizzazioni che operano in progetti o per processi che hanno bisogno di ridefinire la responsabilità.

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MATRICE DELLE RESPONSABILITA’ Matrice di correlazione compiti/attori, per ogni attività definisce/descrive responsabilità e modalità di coinvolgimento (che fa che cosa Attori/unità LEGENDA: Attività A B D E F G 1: Ratifica 2: Responsabile effettivo a.1 2 4 4 5 3: Fornisce informazioni a.2 2 2 3 5 4: Deve essere informato a:3 2 3 3 3 5 5: Esegue il lavoro a:4 2 1 PREGI: sintesi/leggibilità; orientamento processi; possibilità analisi successive DIFETTI: strumento “politicamente critico” Ad esempio in questo caso si hanno quattro attività - a1, a2, a3 e a4 - e sei attori - A, B, D, E, F, G - per ciascuno dei quali deve essere indicata nella corrispondente casella il grado di coinvolgimento all’interno dell’attività. Sull’attività a1 il responsabile effettivo è A; a seconda dei risultati B e D devono essere informati, mentre C fa una parte del lavoro esecutivo. I pregi di questo strumento sono la sintesi, il fatto cioè di trasformare in una piccola matrice 4 x 6 il mansionario, rendendo il concetto molto più immediato e la possibilità di analisi successive. Infatti, è possibile fare un’analisi per riga, andando a vedere per ciascuna attività se ci sono dei vuoti di responsabilità, oppure per colonna, andando ad analizzare, per ciascuno dei ruoli, la presenza di “colli di bottiglia” (per esempio la presenza di un project manager troppo accentratore, o la presenza per uno stesso ruolo di compiti troppo disomogenei). La matrice delle responsabilità, è uno strumento utile che però ha una scarsa diffusione le ragioni di questo fatto possono essere ritrovate nella minore notorietà riscossa, ma soprattutto nella eccessiva chiarezza che lo contraddistingue(esso difatti costringe a definire chi è il responsabile effettivo, chi deve solo ratificare o chi deve essere informato ma non ha facoltà decisionale) e nei conseguenti problemi politici per esempio emerge chiaramente la natura esecutiva del lavoro prestato da una determinata persona o, ancora, il mancato coinvolgimento di un’altra). In termini generali, spesso le organizzazioni preferiscono un certo livello d’ambiguità nella quale i ruoli possano essere più impliciti. Negli ultimi venti anni, ci sono state tutta una serie di spinte che hanno portato al ripensamento delle modalità tradizionali in cui le mansioni venivano progettate; in particolare ci sono stati problemi sindacali legati a contestazioni sulle tipologie di mansioni richieste, problemi legati alla scarsa motivazione delle persone e problemi legati alle richieste del mercato (per esempio problemi legati alla flessibilità, innovazione da parte dei dipendenti). Il tutto ha portato ad una serie di sperimentazioni di riprogettazione e cambiamento delle mansioni. Il tentativo più seguito è stato la Job Rotation, che prevede di far ruotare la stessa mansione tra posizioni differenti (cioè una persona può svolgere una mansione, dopo una settimana ne svolge un’altra, poi ne svolge una terza per poi tornare a quella iniziale): l’idea è quella di ridurre la ripetitività, avendo tra l’altro maggiori opportunitàin termini di più facile riequilibrio del sistema a fronte della presenza di più persone in grado di ricoprire più mansioni . In realtà l’effettivo vantaggio in termini di motivazione delle persone e di miglioramento della qualità del lavoro è stato piuttosto scarso; questi esperimenti non hanno prodotto benefici in quanto a fronte di un notevole aumento dei costi d’addestramento, si riducono i vantaggi legati alla specializzazione orizzontale. L’altro tentativo che invece ha avuto qualche riscontro migliore è il Job Enlargement: si tratta di un progressivo ampliamento del numero dei compiti elementari assegnati a ciascuna posizione e quindi una riduzione della specializzazione orizzontale, mansioni sempre più ampie comprendenti sempre più operazioni. Ad esempio, nell’industria se prima era accettabile il fatto dei tempi di ciclo di un minuto, oggi si parla di tempi ciclo che possono arrivare a 20/30 min. e ciò vuol dire fare più cose. Anche nel caso del Job Enlargement è ovvio che c’è uno svantaggio legato alla riduzione dei

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benefici della specializzazione orizzontale, però mansioni di questo tipo sono molto più adeguate rispetto alle nuove caratteristiche della manodopera. Il meccanismo che sicuramente oggi è il più seguito per motivi legati soprattutto alla richiesta d’innovazione e di coinvolgimento è, invece, l’arricchimento delle mansioni - il Job Enrichment - cioè la riduzione della specializzazione nella dimensione verticale. Si ottiene un aumento della discrezionalità affidando agli operatori compiti di programmazione e di controllo dei risultati. Per esempio, nel Total productive maintenance accade che allo stesso operatore venga assegnato sia il compito di miglioramento del processo, sia tutti i compiti di controllo degli standard, di miglioramento dei macchinari e di manutenzione. Il Job Enrichment è stato sicuramente quello che ha fatto registrare i migliori risultati in termini di capacità d’innovazione e flessibilità, di coinvolgimento e di qualità del lavoro. L’ultima modalità è il Teamwork cioè il fatto di usare come unità d’allocazione dei compiti non più il singolo individuo, ma un gruppo d’individui, per cui all’assegnazione vengono accorpate una serie di “Self containing Task”, cioè un insieme di compiti che nella loro complessità danno un output finito riconoscibile. Questi compiti vengono assegnati come contenuto complessivo ad un gruppo di persone tra le quali ci può essere una rotazione: è una organizzazione piuttosto libera ed autonoma. Questa soluzione offre dei vantaggi sia in termini di flessibilità e motivazione, sia in termini di risposta alle esigenze di socialità (bisogno d’avere molta interazione all’interno del gruppo), sia in termini di unione dei benefici della specializzazione con il possesso di una visione d’insieme. Il Teamwork rappresenta molto spesso la soluzione dei nuovi modelli d’impresa.

La progettazione della struttura organizzativa a livello macro. Una volta assegnati i compiti alle posizioni, il problema diventa quello di riunire le posizioni stesse in gruppi - le unità organizzative - e le unità organizzative in unità organizzative di livello superiore. L’obiettivo chiaro è sempre quello della semplificazione del coordinamento, della struttura di governo. Tutti i meccanismi di raggruppamento sono delle scelte che condizionano il funzionamento dei meccanismi di coordinamento: quindi, a seconda delle scelte che vengono prese, vengono definite delle particolari direzioni nelle quali il coordinamento può essere facilitato o meno. I problemi fondamentali sono anzitutto identificare i criteri giusti, i più adatti per il raggruppamento; in secondo luogo garantire il coordinamento anche tra diverse unità organizzative (questo attraverso degli ulteriori meccanismi). Concetto cardine della progettazione a livello macro è quello di unità organizzativa. L’unità organizzativa è un sottoinsieme di posizioni (quindi ad alcune evidentemente corrisponderanno degli individui che interpreteranno certi ruoli) al quale viene assegnato un insieme di compiti. A tal fine esiste una serie di condizioni che devono essere verificate: -l’unità organizzativa deve essere progettata in modo che i compiti risultino attribuibili in modo relativamente stabile. Ad esempio se si suppone che il compito sia vendere il prodotto nell’area di Pistoia, anche se la persona che di volta in volta va ad effettuare le operazioni di vendita varia, deve essere chiaro qual è l’unità organizzativa che è responsabile delle vendite in quell’area; questa è una condizione di buona progettazione di una unità organizzativa. -i compiti assegnati all’unità organizzativa devono essere tra loro interrelati, richiedendo, pertanto, un fabbisogno di coordinamento (evidentemente la condizione deve essere che le persone interagiscano tra di loro). -è opportuno che i compiti assegnati all’unità organizzativa abbiano dei risultati, producano degli output relativamente autonomi e misurabili; ciò vuol dire che il funzionamento e le prestazioni di una unità organizzativa siano il più possibile indipendenti dall’operato di altri gruppi. Il vantaggio, se sono vere tutte e tre queste condizioni, è di poter assegnare all’unità organizzativa una responsabilità unitaria: è possibile cioè identificare all’interno di essa un individuo al quale venga delegata la responsabilità relativamente al raggiungimento degli obiettivi dell’intera unità organizzativa. In questo modo si semplifica la struttura decisionale dell’azienda, permettendo il meccanismo della delega.

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Riassumendo: le unità organizzative sono dei raggruppamenti di posizioni tali che, a queste condizioni, possono essere assegnati dei compiti relativamente stabili, interrelati e sufficientemente autonomi, in modo da poter assegnare una responsabilità unitaria. Sorgono a questo punto fabbisogni di coordinamento ulteriori: la divisione del lavoro crea sempre fabbisogni di coordinamento, medio o forte (un coordinamento forte prevede un’interazione ad es. giornaliera; uno di tipo medio un’interazione settimanale). Il problema della progettazione delle unità organizzative diventa quello di definire dei gruppi, cioè di definire dei meccanismi per scegliere i vari raggruppamenti di questo tipo, lasciando invece relativamente più deboli i fabbisogni di coordinamento tra un gruppo e l’altro; dopodichè si dovranno operare ulteriori raggruppamenti a livello via via superiore. I problemi chiave che sorgono nella progettazione delle unità organizzative sono diversi. Essi riguardano: 1. il cosiddetto span of control relativo alla dimensione ideale degli elementi da raggruppare; 2. la definizione dei criteri di aggregazione, cioè dei criteri in base ai quali è possibile decidere i confini delle unità organizzative; 3. i cosiddetti fabbisogni di coordinamento residuo (rispetto a quelle che sono state le scelte di raggruppamento), cioè i fabbisogni di interazione e coordinamento tra compiti assegnati a unità organizzative diverse; in questo caso sorge il problema delle integrazioni interfunzionali tra unità organizzative diverse e di come riuscire a facilitarle. Più in dettaglio: 1.lo span of control è la capacità del responsabile di una unità organizzativa di coordinare un certo numero di posizioni (in questo caso si tratta di individui o di unità organizzative di livello inferiore). Questo tema, agli albori degli studi organizzativi, ha sollevato grosse discussioni; alcuni studiosi hanno limitato a 5 o 7 il numero di riferimenti gerarchici facenti capo alla stessa persona. Anche in questo caso si è in presenza di un trade-off tra i costi e le capacità di coordinamento: più si riduce lo span of control, più aumentano la capacità e i costi di coordinamento (evidentemente si creeranno più livelli successivi di raggruppamento e,quindi, strutture molto verticali); viceversa, più si eleva lo span of control, più si riducono i costi e la capacità di coordinamento, (il rischio è quello di un’organizzazione coordinata male). Il problema fondamentale è capire il bisogno di coordinamento: supervisione diretta e adattamento reciproco evidentemente richiedono uno span of control piuttosto basso; la standardizzazione degli output e degli input dei processi riducono a priori il fabbisogno di interazione, dato che ognuno sa già cosa fare. Quindi lo span of control dipende e va capito alla luce di quelli che sono tutti e cinque i meccanismi di coordinamento. Al contrario di supervisione diretta e adattamento reciproco, tutti i meccanismi di standardizzazione consentono di avere span of control più elevati; 2. Possiamo dire che esistono fondamentalmente due tipologie di basi di raggruppamento: basi di raggruppamento orientate agli input (o per mezzi e funzioni) e basi di raggruppamento orientate agli output (o per fini materiali). Le prime aggregano le posizioni o le unità che fanno uso dei medesimi mezzi, siano essi strumenti o competenze. Ad esempio, nel caso della Ceramics Inc., l’aggregazione delle persone che utilizzano i forni utilizza una base di raggruppamento orientata agli input, mentre l’aggregazione di coloro che svolgono attività di modellazione o decorazione utilizza un criterio orientato non tanto allo strumento ma al tipo di competenze (in pratica è lo stesso: c’è ovviamente una relazione tra quelle che sono le competenze possedute e gli strumenti utilizzati; in questo caso si parla di funzioni di unità organizzative orientate agli input). Nelle basi di raggruppamento orientate agli output il criterio è quello di mettere assieme non coloro che utilizzano gli stessi mezzi, ma coloro che devono poi produrre gli stessi output, a causa delle elevate probabilità di coordinamento e di integrazione; quindi le basi di raggruppamento possono essere per prodotto (aggregazione di tutti coloro che fanno gli animali di ceramica), oppure per cliente (raggruppamento delle persone che producono beni di consumo o che producono per i settori industriali), o per area geografica (aggregazione delle persone che si occupano o gravano sul mercato europeo).

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Non sempre è così semplice capire se si sta ragionando in termini di mezzi-funzioni o di prodotti-clienti, cioè se una organizzazione adotta criteri di raggruppamento orientati agli input o agli output (questo succede soprattutto nelle organizzazioni professionali). In molti casi possono convivere delle situazioni ibride piuttosto ambigue: da un lato ciò che all’interno rende più coerente il raggruppamento è legato alla condivisione di certe competenze; dall’altro è piuttosto il fatto che si servono gli stessi clienti. Un’altra osservazione da fare è che il problema di raggruppamento si ripresenta a ciascun livello, cioè non soltanto quando si procede a raggruppare le posizioni, ma anche quando le unità organizzative devono essere aggregate in livelli superiori. Ci sono fondamentalmente quattro criteri di scelta (possono essere desunti dagli studi organizzativi): - le economie di scala: se esistono delle forti economie di scala nelle attività proprie di un’impresa, prevarrà una base di raggruppamento orientata agli input, perché verranno raggruppate tutte quelle persone che fanno uso degli stessi mezzi, degli stessi impianti, in modo da poter avere una maggiore efficienza (ad es. nel caso di un mobilificio molte delle operazioni, molti dei prodotti, sono basati sull’uso dei laminati, pannelli in materiale legnoso; la produzione e la preparazione di base di questi pannelli è del tutto comune, rispetto ai prodotti: allora si possono comprare dei macchinari molto grossi, efficienti, perché si ha un scala molto elevata e quindi si cerca di utilizzarla al meglio); - le economie di specializzazione, che offrono l’opportunità di specializzare le competenze e di avere maggiore interazione tra gli esperti. Entrambi questi criteri (con piccole differenze) spingono verso la scelta di un raggruppamento orientato agli input. Ci sono però degli altri raggruppamenti che spingono verso scelte a volte differenti: - le interdipendenze sui processi, che fanno riferimento alle esigenze di coordinamento sul prodotto o sul cliente. Ad es. il coordinamento sul prodotto potrebbe essere necessario perché un’azienda vuole competere sulla sua capacità di sviluppare velocemente nuovi prodotti; in questo caso ogni volta che si sviluppa un nuovo prodotto si devono fare interagire coloro che sono nella trasformazione, commercializzazione e ricerca, legate a quel prodotto stesso; se invece l’azienda volesse una maggiore personalizzazione della richiesta (fare in modo che il cliente entrando in uno spazio espositivo possa progettarsi da solo la sua cucina), in questo caso evidentemente dovrà avere un interfaccia unica: un addetto o un designer all’interno di questo spazio espositivo che con una certa strumentazione assista il cliente a progettarsi la sua cucina. Tale figura di interfaccia dovrà essere in grado di avere tutte le informazioni necessarie riguardo la produzione, perché dovrà dire ad es. cosa è fattibile, i tempi di consegna e il costo (mansioni che dipendono dalla produzione); è inoltre colui che realizza di fatto, assemblando una serie di soluzioni possibili, la ricerca-design. Quindi le interdipendenze, il fabbisogno di coordinamento rispetto al prodotto ed al cliente ovviamente spingono verso un raggruppamento per i mercati; - il fabbisogno di differenziazione che più che spingere ad un raggruppamento, più che richiedere un coordinamento tra compiti, consiglia una separazione. Il fabbisogno di differenziazione può sussistere sia tra prodotti che richiedono organizzazioni e stili di management differenti, sia tra funzioni che abbiano esigenze di separazione. Facendo un esempio legato ai prodotti, si potrebbe dire che le differenze in termini di risorse e personale che caratterizzano i bagni e le cucine rispetto ai salotti spingono a mantenere questi ultimi separati dai precedenti. Un esempio legato alla segmentazione del mercato può essere il fatto che Ferrari e Maserati sono all’interno del gruppo Fiat, però è difficile che si possano vedere questi prodotti sulla stessa linea di assemblaggio della Panda. Inoltre ci possono essere dei bisogni di separare gruppi di individui che richiedono delle condizioni operative palesemente differenti; 3. lo strumento principe di descrizione degli studi organizzativi è l’organigramma (o organogramma).

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Si tratta di un albero, cioè il luogo geometrico dei punti tali che esista un solo percorso che congiunge ciascuno dei punti al nodo detto radice. Come strumento rappresentativo di una organizzazione (ciascun nodo è una unità organizzativa), l’organigramma ha alcune interessanti proprietà: con la sua forma rappresentativa ad albero cabla alcuni dei principi chiave di direzione: ad es. l’unicità della linea di comando, principio organizzativo secondo cui ogni persona deve avere uno ed un solo capo diretto. Il corollario di questa regola è che esiste ed è unica la linea di comando che unisce ciascuno al vertice aziendale; questo è evidentemente rappresentato in un albero: date due persone che devono interagire ognuna sa che esiste ed è unico il capo comune, perché le due linee di comando evidentemente andranno a congiungersi in un solo punto (che può essere il vertice strategico). L’organigramma è uno strumento che, utilizzato per rappresentare le scelte organizzative a livello di macrostruttura, esprime i criteri adottati per unire le unità organizzative, le relazioni gerarchiche; un organigramma dettagliato contiene per esempio per ciascuna unità il nome del responsabile e l’organico (quante persone fanno parte di quella unità organizzativa e che rango hanno: per esempio ci sono 5 persone al 7° livello, 2 all’8° ,10 al 6° livello); altre informazioni riguardano le relazioni orizzontali o diagonali. L’organigramma ha avuto una grandissima diffusione; in realtà a fronte dei grossi pregi che ne hanno giustificato la notevole diffusione, questo strumento presenta anche alcuni limiti che oggi lo fanno ritenere una rappresentazione troppo povera, o addirittura fuorviante per certi versi, per descrivere le organizzazioni. Tra i pregi devono essere messi in evidenza la sua estrema chiarezza e leggibilità: esso descrive le posizioni esistenti e le colloca all’interno della gerarchia aziendale, mette in luce i criteri utilizzati nel raggruppamento ed esprime le relazioni di autorità formale, gerarchiche. Il difetto chiave che lo caratterizza è la mancata descrizione dei comportamenti informali: l’organigramma si limita a fornire una rappresentazione dell’organizzazione formale, tralasciando le interazioni che esistono e che sono spesso assai più ricche di quelle che sono le relazioni gerarchiche formali. Per queste ragioni spesso si ritiene che l’organigramma sia una rappresentazione troppo statica. Ci sono altri strumenti più ricchi e che invece di rappresentare ciò che è l’organizzazione sulla carta, cercano di andare ad analizzare e a rilevare ciò che è il suo modo reale di funzionare. Uno di questi strumenti è la matrice socio-metrica delle relazioni: si usa per unità di primo livello e serve a capire qual è il tipo di interazione che hanno diverse posizioni (diversi individui che riportano posizioni diverse). Si tratta di una matrice simmetrica in cui la generica casella esprime (con diverse metriche che possono essere definite) il livello, la frequenza dell’interazione e quindi probabilmente il fabbisogno di coordinamento. Questo tipo di rilevazione serve a verificare le scelte organizzative fatte, oppure ad indicare quelle che potrebbero essere le scelte organizzative più adeguate. Se ad esempio si nota che, per qualche motivo, esiste una scarsa interazione tra un individuo e i membri della sua stessa unità organizzativa e, viceversa, una forte interazione fra questo stesso individuo e altre persone che appartengono ad un’altra unità organizzativa, si possono cogliere spunti importanti per la progettazione organizzativa. Il vantaggio di questo tipo di analisi è la rilevazione di una organizzazione reale, in cui si tiene conto anche di quelle che sono le particolarità degli individui. Il difetto principale della matrice socio-metrica delle relazioni si traduce nella sua natura di strumento di analisi a posteriori che, in quanto tale, è in grado di indicare alcuni possibili criteri di progettazione, ma non è uno strumento progettuale.

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Progettazione Organizzativa: LE CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVE

Indice 1. Configurazioni organizzative di base pag. 3

• Introduzione • Struttura semplice • Struttura funzionale • Struttura divisionale • Organizzazioni reali

2. Meccanismi di collegamento pag. 10 • Introduzione • Il concetto di complessità • I Team interfunzionali

- Riunioni - Comitati - Task-Force

• Manager integratori - Product Manager - Project Manager - Account Manager

• Problemi legati al ruolo dei manager integratori • Fonti di autorità e di autorevolezza per i manager integratori

3. Strutture a matrice pag. 17 • Introduzione • Strutture a matrice • Scelta dei meccanismi di collegamento

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CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVE DI BASE Introduzione. Le configurazioni organizzative sono modelli di base ai quali tendono le organizzazioni economiche, in base ai quali è possibile spiegare il complesso delle scelte che esse compiono a livello di microstruttura e di macrostruttura, cioè sia a livello di raggruppamento delle unità organizzative (macrostruttura) che a livello di progettazione dei ruoli, delle mansioni (microstruttura). In questa sezione si analizzeranno le implicazioni di questi modelli (a che tipo di organizzazioni corrispondono), sia per dare un’interpretazione degli stessi, sia per identificare i criteri per la loro applicabilità , cioè per individuare gli ambiti in cui essi funzionano e, corrispondentemente, i loro punti critici. Le configurazioni organizzative di base sono tre e rappresentano dei modelli teorici ai quali le organizzazioni reali in qualche modo tendono, ai quali cioè esse assomigliano in misura più o meno aderente. Questi tre modelli sono dei set di decisioni tra loro coerenti. Le organizzazioni reali tendono ad assomigliare all’uno o all’altro di questi modelli, pur avendo magari delle caratteristiche ibride , riunendo cioè aspetti caratteristici di modelli diversi. Struttura semplice. La struttura semplice e’ tipica delle piccole organizzazioni imprenditoriali. Esse, o perché di piccole dimensioni, o perché all’inizio del loro ciclo di vita, tendono ad avere un livello di strutturazione molto semplice. Tipicamente ci sono due livelli : un’Alta Direzione, che può essere rappresentata da un individuo o da un gruppo di individui, e una serie di organi di primo livello che possono essere degli individui o, anche in questo caso, dei gruppi che riferiscono direttamente al vertice (Alta Direzione). Almeno il 90% delle organizzazioni economiche ha strutture di questo tipo.

fig.1 Organigramma di una struttura semplice

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Il criterio di divisione del lavoro normalmente e’ la competenza, spesso la competenza in grado. Prendendo a riferimento a titolo esemplificativo il caso della Ceramics della signora Raku, nella fase iniziale il criterio con cui veniva suddiviso il lavoro era il grado di esperienza di ciascuno: alla signora Bisque inizialmente venivano affidati compiti di livello inferiore perché non aveva una competenza sufficiente a realizzare tutto il ciclo di lavorazione. I meccanismi di coordinamento principali in organizzazioni che adottano una struttura semplice sono innanzi tutto l’adattamento reciproco, e poi, in certa misura, la supervisione diretta : l’Alta Direzione tramite la supervisione gerarchica esercita un controllo che facilita il coordinamento. In alcuni casi anche la standardizzazione delle capacita’ costituisce un importante meccanismo di coordinamento: essa consente di avere un maggiore span of control. Ad esempio, uno studio di ingegneri o di avvocati riesce a funzionare con uno span of control, anche molto elevato nonostante la complessità delle attività, poiché si conoscono a priori quali sono le competenze necessarie (standardizzazione delle capacità). Il punto di forza di queste organizzazioni e’ la velocità di risposta: la catena decisionale e’ molto breve e quindi decisioni quali il prendere o meno un progetto, realizzare o meno un prodotto, possono essere prese in modo immediato, proprio per la presenza di un solo livello gerarchico. Da questo punto di vista le strutture semplici sono quelle che consentono alle organizzazioni start-up e in generale alle piccole organizzazioni, di essere molto veloci nel cogliere le opportunità, proprio perché riescono a decidere e a muoversi molto in fretta. Oltre a questo c’e’ anche una forte flessibilità, legata al fatto che esiste normalmente un forte livello di organicità tra le persone: esse sono disponibili a scambiarsi i compiti, le decisioni vengono prese in modo quotidiano, difficilmente utilizzando meccanismi di standardizzazione diversi dalla standardizzazione degli input. Uno dei maggiori punti di debolezza risiede nella congestione del vertice. Queste organizzazioni funzionano bene fintanto che l’imprenditore o il top-manager riesce ad essere molto presente in tutte le decisioni operative. Quindi il top-manager - il vertice strategico, l’Alta Direzione - diventa un po’ il collo di bottiglia attraverso cui devono passare tutte le decisioni. Ciò che fino a un certo livello e’ un pregio che consente alle organizzazioni di essere molto veloci, oltre un certa dimensionale diventa un difetto. Questo ad esempio è il limite tipico alla crescita di tutti gli studi professionali in cui, di solito, colui che si occupa dell’Alta Direzione è anche un operativo; l’ingegnere capo, titolare di uno studio, o un avvocato, esercita una professione, non essendo d’altra parte disposto a fare a tempo pieno il coordinatore. Pertanto egli si trova in una situazione critica dovendo affiancare al proprio lavoro professionale attività organizzative, di coordinamento e amministrative, peraltro ritenute meno “pregiate” rispetto a quelle tipiche professionali. In queste organizzazioni, al crescere della dimensione inevitabilmente aumentano i conflitti ed emerge una certa insoddisfazione dei prestatori d’opera. Del resto non esiste una vera possibilità di crescita per queste organizzazioni, data la struttura molto piatta. Di solito parte degli operatori lascia l’organizzazione per costituirne altre, dando così vita al tipico fenomeno di “gemmazione”. Ciò accade per i laboratori artigiani, gli studi di ingegneria, di architettura, gli studi legali e simili, che raramente, specialmente in Italia, riescono a superare una certa soglia dimensionale. L’ambito tipico di queste organizzazioni è quello delle imprese di piccole dimensioni e delle imprese giovani. Raramente, fra l’altro, queste riescono a sopravvivere al fondatore, essendo legate alle capacità, al carisma e all’autorevolezza di quest’ultimo: statisticamente, infatti, le imprese che riescono a superare la prima generazione sono molto poche. Struttura funzionale. La struttura funzionale costituisce approssimativamente un 5-7% ulteriore delle organizzazioni economiche; e’ una configurazione molto diffusa tra le medie e grandi imprese, e specialmente tra le prime. Si tratta dello schema a cui comunemente si pensa quando ci si riferisce a un’impresa: questa configurazione è caratterizzata da un livello di delega (di management) intermedio, cui viene affidato il coordinamento di un’unità funzionale, definita grazie ad un criterio di raggruppamento basato sui mezzi, sulla funzione aziendale. Nel caso evidenziato in figura , le unità sono la Ricerca e Sviluppo, la Produzione, le Vendite, la Contabilità e il Marketing.

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fig. 2 Organigramma di una struttura funzionale1

Il criterio di divisione del lavoro e’ il tipo di processo tecnico utilizzato, la conoscenza in natura. Su questo si basa la grande invenzione della struttura industriale occidentale dovuta a Ford, con la sua idea di base di mettere insieme le persone che hanno le stesse competenze e usano gli stessi strumenti per poter consentire una grande specializzazione orizzontale. Il meccanismo di coordinamento principale è la supervisione diretta : il coordinamento tra le varie funzioni è garantito dall’Alta Direzione e, all’interno di ogni singola funzione, da ciascuno dei responsabili delle unità. Il responsabile di ciascuna unità funzionale controlla altre persone che hanno competenze analoghe alle proprie, pertanto può fare da supervisore, da “esperto”. In alcuni casi, specie nelle imprese di maggiori dimensioni, un meccanismo di coordinamento tipico e’ la standardizzazione dei processi di lavoro. Queste organizzazioni si prestano molto bene alla progettazione di meccanismi finalizzati alla riduzione del fabbisogno di coordinamento. Non si tratta però necessariamente di meccanismi standardizzati: le organizzazioni di piccole dimensioni, infatti, spesso hanno strutture funzionali, ma non fanno uso di meccanismi di standardizzazione, quanto, piuttosto, di meccanismi di coordinamento interpersonali legati alla supervisione diretta e all’adattamento reciproco. D’altra parte, crescendo, queste strutture tendono a darsi degli standard per essere più efficienti. Si tratta, infatti, di organizzazioni che attraverso il raggruppamento per mezzi e funzioni, tendono a privilegiare le economie di scala e le economie di specializzazione e,come tali, funzionano bene in condizioni relativamente stabili. Il punto di forza della struttura funzionale è legato alla possibilità di sfruttare al meglio le proprie potenzialità in termini di economie di scala e di economie di esperienza. Il punto di debolezza tipico di una struttura funzionale e’ la lentezza decisionale. Soprattutto se sono stati prodotti una serie di standard, queste organizzazioni risultano essere molto lente nei processi di decisione. Supponendo, ad esempio, di voler introdurre un nuovo prodotto, ogni decisione ad esso relativa deve presumibilmente passare dalla Ricerca e Sviluppo, dalla Produzione, dal Marketing, dalle Vendite e dalla Contabilità, uscendo inevitabilmente fuori dagli standard consolidati. Mentre sui prodotti esistenti sono state definite delle regole di comportamento, sui nuovi prodotti è tutto da rivedere. Poiché questo tipo di organizzazioni è progettato per andar bene in situazioni di relativa stabilità, il cambiamento risulta essere un disturbo. Esse spesso preferiscono perdere opportunità piuttosto che dover mettere a rischio i propri meccanismi di funzionamento e i propri equilibri. Inoltre in questo tipo di strutture si decide tipicamente in base al rapporto di potere fra le unità. Esistono schemi di comportamento, di valore, sistemi di incentivazione separati per gli attori operanti nei vari settori, che sono consolidati. Introdurre delle turbative è sempre un processo molto difficile, che richiede tempo. Queste organizzazioni tendono ad essere poco innovative ma molto efficienti. L’ambito caratteristico di: tali strutture è rappresentato da settori abbastanza maturi, da contesti stabili e semplici ,come nel caso di imprese monoprodotto, oppure imprese che producono beni

1 Lo Staff non gestisce le unita’ funzionali. Rifacendosi al caso Ceramics, lo Staff è rappresentato dall’esperto di problemi del lavoro della signora Raku. Esso viene rappresentato non a caso al di fuori della linea gerarchica. Lo staff assiste il livello dal quale dipende nella predisposizione di standard, regole. In questo caso, lo standard è legato a processi di lavoro, ma, in generale, esso può essere legato anche agli obiettivi, come nel caso della predisposizione del budget aziendale. Questo viene negoziato con l’Alta Direzione ed essa lo impone poi alle unit organizzative. Quindi lo Staff non ha un’autorità diretta sulle persone, ma esercita la sua influenza sui meccanismi di coordinamento, preparando e suggerendo degli standard, proprio come faceva l’esperto di problemi del lavoro della signora Raku. Questi non partecipava alle attività di trasformazione, non vendeva, bensì suggeriva dei modi di operare. Poi la decisione finale spettava evidentemente alla signora Raku.

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abbastanza simili. In questo caso questo modello organizzativo consente di raggiungere più di ogni altro l’efficienza. Questo, ad esempio e’ il modello Ford. Struttura divisionale. Un altro tipo di configurazione organizzativa è la cosiddetta struttura divisionale. A volte si parla di soluzione divisionale perché in realtà essa è relativa a un certo livello della macrostruttura organizzativa, rimanendo valide per i livelli inferiori altre possibilità, come si vede nell’esempio in figura.

fig.3 Organigramma di una struttura divisionale In questo caso l’organizzazione è divisionale ad un primo livello, mentre ciascuna divisione è organizzata secondo una struttura funzionale. Una struttura divisionale è un’organizzazione nella quale il livello superiore concede una delega parallela e completa al livello inferiore: alle divisioni, infatti, viene affidata la maggior parte delle competenze decisionali relative a un certo output. Nel caso illustrato in figura i responsabili dei prodotti A,B e C si occupano della gestione dei relativi prodotti-mercati in autonomia, per quanto riguarda tutti gli aspetti legati alla produzione, alla vendita e all’innovazione. La base di raggruppamento, almeno al primo livello, e’ orientata agli output, l’obiettivo è quindi favorire il coordinamento rispetto al prodotto-mercato. Da qui risulta evidente che il criterio di divisione del lavoro e’ l’output, il cliente, il prodotto, l’area geografica. Per quanto riguarda i meccanismi di coordinamento principali, in questo tipo di organizzazione si fa spesso riferimento alla standardizzazione degli obiettivi. Pertanto in organizzazioni di questo tipo lo span of control a livello divisionale può essere anche molto elevato: molte divisioni possono dipendere dallo stesso vertice strategico, da una stessa unità di livello superiore perché i meccanismi di standardizzazione riducono i fabbisogni di coordinamento. In questo caso - standardizzazione degli obiettivi - vengono definiti a priori degli obiettivi reddituali e di impiego delle risorse, obiettivi che poi possono essere perseguiti con relativa autonomo. Nel caso della General Motors, ad esempio, il sistema Dupont e l’introduzione degli indici di bilancio rappresentarono la grande innovazione di Sloan). La General Motors e la General Electric sono i primi grandi esempi di organizzazione divisionale. Nella GM Sloan faceva parte dell’Alta Direzione, Brown suggeriva gli standard: insieme essi realizzavano il coordinamento tra i diversi marchi, le diverse imprese che costituivano la GM andando semplicemente a definire dei criteri di redditività (ROE, ROI…), sulla base dei quali venivano controllati i risultati. Per il resto i responsabili di divisione erano sufficientemente autonomi per poter perseguire strategie di differenziazione. Quindi mentre il modello Ford tendeva in modo naturale alla strategia di leadership di costo, le unità relativamente più piccole e flessibili della galassia GM potevano concentrarsi con un determinato marchio, su un ben specifico segmento di clienti e su tale segmento andare a proporre un prodotto unico. Questo tipo di organizzazioni supporta dunque in maniera naturale strategie di segmentazione o di differenziazione. Tra i punti di forza, la capacità di diversificare i prodotti -questa struttura va bene per organizzazioni che hanno molti prodotti anche tra loro disomogenei - e -una buona velocità di

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risposta - per sfruttare una nuova opportunità si può aggiungere una linea di prodotto semplicemente creando una nuova divisione. Il resto dell’organizzazione in qualche modo non ne risente, non ne è coinvolta se non genericamente dal momento che vengono impiegate delle risorse economiche. Nella gestione operativa quotidiana questo tipo di decisioni non creano assolutamente conflitti (come invece accadeva in una struttura funzionale). Tra i punti di debolezza, l’aspetto più critico è da ricercarsi nella inefficienza. legata alle inevitabili duplicazioni. Nell’esempio del mobilificio, la decisione di introdurre tre divisioni - una divisione bagni, una divisione salotti e una divisione cucine – porterebbe ad avere tre unità di produzione e tre unità di vendita e quindi probabilmente alcune risorse verrebbero duplicate.

fig.4 Mobilificio S: salotti , B: bagni, C: cucine

t: trasformazione, c: commercializzazione, r: ricerca e sviluppo Nella realtà tutte le strutture divisionali hanno una serie di funzioni in comune, che giustificano la presenza dell’Alta Direzione. Infatti, se i responsabili delle divisioni avessero tutte le leve decisionali, qual e’ il vantaggio a essere un’unica grande organizzazione e non tante organizzazioni diverse? In effetti molto spesso questo problema si pone: in molti casi le organizzazioni divisionali si trasformano in holding, strutture, gruppi di imprese autonomi tra di loro, che sono uniti da meccanismi di controllo azionario. In realtà il vantaggio consiste molto spesso nell’avere delle risorse e funzioni in comune, tipicamente tutte quelle legate a risorse in qualche modo fungibili. Si ricordino le strategie corporate: il problema era proprio quello di capire quali decisioni potevano essere prese a livello di Alta Direzione. Tipicamente viene accentrata la funzione Finanza, oppure, talvolta, i Centri di Ricerca che sviluppano le tecnologie di base o, ancora, gli staff legati al personale che possono dare servizi comuni (ad esempio Fiat ha un centro di formazione che e’ comune).In altri casi ci sono vere e proprie funzioni in comune che risultano poi essere delle risorse critiche condivise; dando così vita a delle strutture ibride. Questo di solito crea problemi. Ad esempio nel caso precedente del mobilificio, l’azienda potrebbe decidere di scomporre la produzione in una produzione di componenti di base, ad esempio dei pannelli, e in una fase successiva di montaggio e rifinitura. In questo caso il direttore del reparto produzione di primo livello, che dipende da più divisioni di prodotti, rappresenta una risorsa critica condivisa. Potrebbero nascere allora conflitti su chi ad esempio debba avere l’accesso privilegiato o su chi debba essere consultato prima. Riassumendo, le strutture divisionali in senso proprio sono caratterizzate dal la maggiore delega possibile ai responsabili di divisione, quindi la maggiore autonomia in termini di controllo delle risorse. D’altra parte quasi tutte le strutture divisionali per essere più efficienti e per trarre vantaggio dall’essere all’interno della stessa impresa, condividono alcune attività, funzioni e risorse. Maggiore è il livello di condivisione, maggiori sono la necessità di interazione tra i responsabili di divisione e, quindi, i problemi di conflittualità . Questo diminuisce la possibilità di avere uno span of control elevato. L’ambito tipico delle strutture divisionali è rappresentato dalle grandi imprese pluriprodotto che operano su mercati turbolenti, cioè imprese che hanno molti prodotti in settori in cui l’innovazione di prodotto assume un ruolo centrale nella competizione strategica.

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Organizzazioni reali Le organizzazioni reali normalmente rappresentano un ibrido fra le forme finora analizzate. Considerando un triangolo che abbia per vertici le strutture organizzative di base, le organizzazioni reali stanno in punti interni ai lati di tale triangolo. Ad esempio, nel caso del mobilificio (figura 4) si ha la Finanza come funzione comune, ma questo non crea dei grossi problemi perché il grado di fungibilità offerto da quella funzione è abbastanza forte. Anche parte della Produzione è in comune mentre ci sono altre parti della stessa, come la rifinitura, che vengono fatte da ciascuna divisione. Questo è un classico esempio di struttura ibrida, tra una forma funzionale e una divisionale, nonostante la maggiore somiglianza con una la soluzione divisionale. Qualora anche il Marketing e la Contabilità fossero in comune, la struttura comincerebbe ad assomigliare più ad una organizzazione funzionale che non ad una divisionale. Il criterio di divisione del lavoro, anche allo stesso livello, è variabile: alcuni operatori sono raggruppati perché devono collaborare rispetto a un prodotto, altri perché devono usare gli stessi mezzi, strumenti o competenze. L’esistenza di criteri diversi allo stesso livello crea una serie di problemi, quali la presenza di sistemi di incentivazione diversi allo stesso livello gerarchico. Nel caso di figura 3, relativamente alle divisioni “prodotto A” e “Prodotto B” si potrebbero avere dei sistemi di incentivazione basati sul raggiungimento di obiettivi di redditività (si tratta di centri di profitto o addirittura di investimento), mentre per Produzione e Finanza (centri di spesa o di costo) si possono avere sistemi di incentivazione diversi (oss.: la Finanza e’ anche un centro di ricavo). Questo potrebbe causare una serie di potenziali conflitti a questo livello. Pertanto punti di debolezza sono l’instabilità e il conflitto. Tra i punti di forza, assume particolare importanza l’adeguatezza della struttura alla situazione contingente. Tornando al caso del mobilificio si potrebbe pensare ai salotti come a un mondo abbastanza a sé, e quindi costituire una divisione salotti. D’altra parte si potrebbe ritenere che, avendo bagni e cucine degli input in comune (pannelli in legno), essi debbano avere una serie di funzioni in comune. Per il resto, quindi per quanto riguarda le vendite e il secondo livello posso pensare di creare delle divisioni. In questo caso la struttura risultante è una struttura ibrida tagliata su misura di quelle che sono le caratteristiche tecniche specifiche dell’azienda. Come si è detto, un punto di debolezza di queste strutture sta nella instabilità e conflittulità. Per questo motivo se lasciate libere di evolvere esse tendono ad avvicinarsi maggiormente alle strutture di base che, più facili da gestire perché più coerenti, non presentano punti di attrito insiti nell’organizzazione. Sempre con riferimento alla figura 3, per evitare conflitti, probabilmente i responsabili dei prodotti A e B, al momento di rinnovare gli impianti, decideranno di acquiostare due macchinari invece di uno, stabiliranno una divisione delle squadre di produzione facendo così migrare la struttura organizzativa verso una divisionale pura. Questa è un’evoluzione abbastanza normale, ma potrebbe non essere consigliabile dal punto di vista dell’efficienza, della capacità di adeguarsi alle caratteristiche contingenti. Per quanto riguarda i contesti tipici,: troviamo questo tipo di struttura in aziende di medie e grandi dimensioni in mercati turbolenti in cui convivono processi di routine e processi di innovazione. In questo caso si ha bisogno di avere allo stesso tempo unità organizzative anche fortemente diverse e questa struttura risponde a tale necessità.

MECCANISMI DI COLLEGAMENTO

Introduzione. Qualsiasi sia la decisione presa a livello di raggruppamento di unità organizzative, deve essere affrontato il problema della permanenza di alcuni fabbisogni di coordinamento, che non sono stati previsti nella progettazione delle suddette unità. Prima di tutto, però, è necessario soffermare l’attenzione sul concetto di complessità. Il concetto di complessità.

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Il bisogno di collegamento cresce al crescere della complessità, che, da un punto di vista organizzativo, è una variabile dipendente da una serie di fattori, sia di carattere interno, legati per lo più al numero ed al tipo di variabili da gestire, sia di natura esterna, relativi sostanzialmente alla pressione sul raggiungimento degli obiettivi. Si può sostenere che, in gran parte, la complessità dipende, per quanto riguarda l’aspetto interno, dal numero, dalla disomogeneità, dalla variabilità e dall’interdipendenza reciproca delle variabili da controllare. Sul versante esterno si possono invece identificare come determinanti, la pressione esterna, esercitata dai clienti e la pressione interna, esercitata dagli stessi dipendenti.

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Fig. 5: la complessità L’impatto sulla complessità del numero delle variabili da gestire è abbastanza evidente: si pensi ad esempio a quanto cresca la complessità di coordinamento all’aumentare del numero dei dipendenti dei prodotti, dei mercati da servire e dei clienti. Per capire invece l’influenza della disomogeneità è utile prendere come esempio i clienti: se in un caso essi sono molti, ma abbastanza simili fra loro, il grado di complessità risulterà certamente minore rispetto al caso in cui questi siano sempre numerosi ma anche molto diversi fra loro. Così per ciò che concerne la variabilità si può pensare al minore grado di complessità gestionale che si deve affrontare nel caso di stabilità nel tempo dei prodotti , rispetto ad una situazione nella quale i prodotti in gioco sono soggetti a continui cambiamenti. Lo stesso vale anche peri mercati. Infine il quarto elemento evidenziato, ossia l’interdipendenza fra le variabili da gestire, si può ben evidenziare sia a livello di gestione del personale, che di prodotto, quest’ultimo visto anche in relazione con il cliente.Una cosa è coordinare un certo numero di persone, delle quali ognuna sa già cosa fare e non ha perciò bisogno di interagire con gli altri, ben altra cosa è farlo con una serie di persone che hanno compiti che richiedono una frequente comunicazione. Allo stesso modo, gestire una gamma di prodotti fra loro autonomi genera una complessità ben diversa dal dover realizzare prodotti che hanno fra loro parti in comune o che vanno ad integrarsi al fine di dare soluzioni complete al cliente. Per quanto riguarda invece i fattori esogeni rispetto ai compiti da gestire, ed alle caratteristiche di questi, due sono le variabili da considerare: la pressione interna e la pressione esterna sul conseguimento dei risultati. Per chiarire la questione si può considerare il caso delle amministrazioni pubbliche, dove è evidente come il grado di complessità sia estremamente elevato.Un comune, ad esempio, deve servire un elevato numero di cittadini che presentano delle disomogeneità forti e che richiedono l’erogazione di tanti servizi di tipo diverso. Questi poi sono anche molto variabili per via delle nuove esigenze, oggi spesso manifestate dalla popolazione. Anche l’interdipendenza fra i vari uffici da gestire è forte; per questo, già dal punto di vista di quelli che sono stati definiti fattori interni, la complessità tende ad essere elevata. Ma ciò che rende oggi complessa la gestione di comuni, A.S.L., ministeri, o di aziende che offrono servizi pubblici, non è tanto la crescita di complessità relativa a quello che effettivamente è necessario fare, bensì una crescita di pressioni rispetto ai risultati. Prendendo a riferimento la Sanità, se in passato si accettava un livello di efficienza minore, oggila collettività esige il recupero di un certo grado di bontà del servizio, richiedendo tagli agli sprechi e migliori meccanismi di controllo. Ovviamente in casi come questo la pressione esterna è molto stringente. In altri casi, invece, la pressione può essere anche interna: ciò accade quando il management vuole gestire la complessità con elevati livelli di efficienza e prestazioni. In sintesi, si è evidenziato come la complessità gestionale aumenti o per effetto o della crescita della complessità da gestire, o della maggiore pressione sia interna che esterna, che spinge a raggiungere risultati efficaci in termini organizzativi.

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Nell’ipotesi di aumento della complessità, diventa particolarmente importante la capacità, che l’organizzazione ha, di gestire le cosiddette interdipendenze residue; questa capacità si traduce in una maggiore efficienza e in una migliore coordinazione in termini di integrazione fra unità organizzative diverse, il che porta spesso anche ad essere più veloci nello sviluppare un nuovo prodotto oppure a poter recuperare efficienza anche quando ci sono delle divisioni separate. Una volta progettata la struttura organizzativa, è opportuno predisporre una serie di meccanismi atti a gestire i restanti tipi di interdipendenze, per consentire il coordinamento anche tra unità organizzative diverse. Dal punto di vista delle forme di coordinamento descritte da Mintzberg, ciò equivale ad escogitare dei modi in grado di far funzionare meccanismi di l’adattamento reciproco anche tra unità organizzative diverse; spesso per far ciò si creano sottosistemi, magari più piccoli e meno stabili, in cui possa avvenire questo reciproco adattamento. I Team interfunzionali. Il meccanismo più semplice e più comune per gestire il coordinamento fra le unità è quello delle riunioni e dei team. Infatti, se c’è la necessità di gestire un problema di coordinamento, che coinvolge più unità organizzative diverse, la soluzione che passa attraverso la gerarchia può essere sconsigliabile, poiché così facendo, da una parte i tempi per la decisione possono diventare troppo lunghi e dall’altra si può correre il rischio di sovraccaricare il vertice; una soluzione possibile potrebbe essere quella di far uso semplicemente di comunicazioni informali, che spesso, però, risultano essere non sufficienti. In questo caso non resta altro che progettare dei meccanismi per i quali l’adattamento reciproco sia favorito. Da qui nasce l’esigenza di istituzionalizzare le riunioni, sfruttando il meccanismo dei team; meccanismo, questo, che viene ad assumere una posizione particolarmente centrale soprattutto nei nuovi modelli organizzativi. In questo modo il coordinamento è garantito dalla presenza di persone che lavorano sia all’interno della propria unità organizzativa, sia all’interno del team che fa da raccordo fra le varie unità. In dipendenza dell’orizzonte della collaborazione (di natura temporanea oppure di carattere permanente) e del tipo d’interazione richiesta (a tempo pieno, oppure di poche ore la settimana), si possono identificare almeno tre tipologie di team.

fig. 6: i team interfunzionali

Combinando fra loro le diverse situazioni possibili in termini di orizzonte della collaborazione e intensità della stessa, si nota subito come il caso di interazione a carattere permanente e continua nel tempo vada al di là delle esigenze che possono essere soddisfatte da un team, poiché è la tipica modalità di interazione che si ha all’interno di un’unità organizzativa.

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Riunioni. Se si vuole affrontare, attraverso la collaborazione interfunzionale, un problema che ha un orizzonte di tipo temporaneo e che richiede un’interazione sporadica, si adotta il meccanismo di coordinamento più debole e meno costoso, ovvero si convocano una o più riunioni. Un settore nel quale buona parte del tempo è speso in riunioni è quello delle società professionali. Perché una riunione sia efficace deve essere tempestiva e devono essere presenti tutte le persone che hanno le competenze utili a risolvere il problema. Quindi molto spesso dal punto di vista della progettazione organizzativa è utile saper identificare le caratteristiche delle riunioni. In Fiat, ad esempio, tempo fa, all’interno di un progetto erano stati creati dei meccanismi per indire in maniera automatica alcune riunioni: in corrispondenza di certi stimoli provenienti dal processo produttivo, venivano convocate, secondo una logica prestabilita, delle riunioni, i cui partecipanti erano già stati fissati al momento in cui si era previsto il possibile insorgere del problema. Questa programmazione risulta molto utile quando si lavora in produzione, dove i tempi e la tempestività nel rispondere ai problemi sono estremamente critici; si pensi all’arrestarsi di una linea di produzione, oppure al generarsi di una extra difettosità in uscita. Comitati. Nei casi in cui il problema è di tipo permanente, continuo nel tempo, ma richiede una collaborazione non a tempo pieno si può fare ricorso ai comitati. Un caso tipico è la formulazione del piano settimanale di produzione che richiede generalmente l’interazione fra il responsabile della produzione, o della pianificazione della produzione, ed il responsabile delle vendite. Quando ci si trova in queste situazioni si fa ricorso alla nomina di comitati che si riuniscono con una certa cadenza prefissata. Nelle organizzazioni funzionali normalmente c’è un comitato di direzione che si riunisce con una certa periodicità, spesso all’inizio della settimana, per discutere e pianificare alcune delle attività settimanali e per affrontare alcuni problemi che comunque capitano con una certa frequenza. Task-Force. Ultimo caso è quello in cui l’orizzonte di collaborazione è temporaneo, ma l’intensità di cooperazione richiesta è alta: in tali situazioni si creano le cosiddette task-force, o team di progetto. Spesso questo accade quando c’è la necessità di sviluppare un nuovo prodotto, oppure di implementare un nuovo sistema informativo: l’intensità della collaborazione richiesta è interfunzionale ed elevata, ma tale collaborazione è anche di carattere temporaneo, di durata legata al termine fissato per il lancio del nuovo prodotto, o dell’entrata in funzione del nuovo sistema informativo. La task-force si collega al tema del project management; il fatto che la complessità gestionale sia oggi più elevata, anche perché si ha una maggiore pressione interna volta ad ottenere risultati in termini di coordinamento, fa sì che il meccanismo delle task-force sia sempre più utilizzato. Esistono, come caso estremo, organizzazioni che praticamente funzionano solo attraverso gruppi e task-force. In questo caso, il paradigma organizzativo fondamentale diventa, evidentemente, quello del lavoro per progetti, vale a dire il project management. Manager integratori. I team necessitano al loro interno di qualcuno che ne garantisca la continuità.Per questo molto spesso all’interno dei team, o in alternativa agli stessi, vengono create delle cosiddette figure di collegamento, ovvero delle persone all’interno di una task-force, o relativamente a delle riunioni periodiche, mantengono quelle che sono le informazioni fondamentali e facilitano il trasferimento di queste informazioni. In questo caso si può dire che queste figure corrispondono, in pratica, a dei coordinatori delle attività del team. Altre volte, invece, si evita che ci sia bisogno di avere il comitato, nominando un responsabile del collegamento fra le unità.In questo caso non viene affidato un ruolo gerarchico: le figure di collegamento spesso fungono da “piccioni viaggiatori”, “telefoni umani”. Ad esempio, per molti anni

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i responsabili della logistica -figure relativamente giovani, di grado basso nella gerarchia aziendale -hanno avuto il compito di facilitare il coordinamento fra la produzione e le vendite, relativamente agli aspetti connessi al processo logistico. Tali figure non godono di un’autorità di controllo, ma presidiano certe informazioni e certi strumenti di pianificazione; si differenziano dagli staff, per via della loro funzione che non è quella di definire delle regole, bensì quella di coordinare e di facilitare la comunicazione. In taluni casi alle figure di collegamento viene attribuita maggiore autorità, venendosi così a creare dei veri e propri “manager trasversali”. Quest’ultimo è un passo importante, spesso anche abbastanza traumatico.Se questa responsabilità viene ricoperta da un giovane laureato senza forte autorità, la struttura di potere esistente non ne soffre oltre una certa misura; quando invece l’autorità concessa a tale figura diventa forte, i meccanismi interni di gestione del potere possono iniziare a vacillare. Questi manager, così introdotti, sono i cosiddetti manager integratori; ce ne sono di diverso tipo, ma quelli comunque più tipici sono i product manager, i project manager e gli account manager. Questi ultimi, in particolare, al giorno d’oggi sono particolarmente in voga. Product manager. In genereil product manager è, all’interno di una struttura funzionale, ma multiprodotto, colui che si fa garante del buon coordinamento di tutte quelle attività dell’impresa che vanno ad influenzare la riuscita di una linea di prodotto esistente. Facendo riferimento ancora una volta al caso del mobilificio (figura 4), si supponga che quest’ultimo, per ottenere maggiore efficienza, adotti una struttura funzionale, in cui sono presenti tre unità organizzative: produzione, vendita e ufficio tecnico (sviluppo nuovi design). Può accadere che, per via dell’importanza che viene ad assumere per l’impresa il mercato dei salotti, si decida di presidiare il “prodotto salotto”: a tal fine può essere utile un product manager che interagisca con i responsabile della produzione, delle vendite e dell’ufficio tecnico, allo scopo di portare avanti una politica coerente di sviluppo del prodotto. Una figura del genere ha spesso competenze legate al marketing ed alle vendite, per quanto egli abbia una visibilità interfunzionale. In aziende ad alta intensità tecnologica la necessità di ‘comprendere’ il prodotto e, quindi di avere forti competenze di tipo tecnico porta a scegliere i propri product manager fra gli ingegneri, sebbene questi stessi non siano coinvolte né nella progettazione, né nella produzione del bene. Project Manager. Un altro esempio tipico di manager integratore è il project manager. Mentre i product manager sono, per loro stessa natura, legati ai comitati, se non addirittura alternativi a questi, i project manager fanno spesso riferimento all’esistenza di una task-force e sono, rispetto a tale organo, i responsabili dell’ottenimento dei risultati del progetto in questione. Pertanto mentre i product manager hanno obiettivi a carattere permanente, da stabilirsi in sede di budget annuale, il project manager ha obiettivi di progetto, da raggiungere in un tempo relativamente limitato, allo scadere del quale non è più project manager, o almeno non è più project manager del progetto in questione: In sintesi il project manager è caratterizzato da una responsabilità non permanente, bensì delimitata nel tempo. Account Manager. L’account manager è colui che presidia la “dimensione cliente”, allo stesso modi in cui il product manager si occupa del prodotto ed il project manager del progetto. L’account manager è responsabile del coordinamento di tutte quelle attività rivolte verso il cliente; egli diventa pertanto importante nella misura in cui l’impresa voglia proporre al cliente non prodotti specifici, bensì soluzioni integrate. In questo caso l’account manager risulta essere fondamentalmente colui che gestisce l’interfaccia con il cliente, andando ad integrare l’offerta dell’azienda rispetto a quest’ultimo. Problemi legati al ruolo dei manager integratori. I manager integratori hanno in genere alcuni problemi tipici legati alla loro funzione, nonché alla definizione della loro autorità: in primo luogo, queste figure dovendo avere una visibilità molto

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ampia e dovendo dialogare con rappresentanti di più unità organizzative, devono possedere una visione di insieme delle attività dell’azienda. L’azienda ha pertanto il problema di formare o reperire all’esterno persone con adeguate capacità. Ad ogni modo il problema più grande collegato all’attività del manager integratore deriva dalla mancanza di una vera e propria autorità su quelle aree su cui deve avere visibilità, proprio perché figura trasversale; l’essere coordinatori a livello orizzontale, fa risultare i manager integratori al di fuori della gerarchia. Questa situazione fa sì che spesso si crei un gap fra la ridotta autorità del manager, che è legata in sintesi nella possibilità di poter effettivamente controllare delle risorse e la responsabilità di carattere trasversale che è, comunque, grande. Così ad esempio il project manager deve rispondere di obiettivi in termini di tempi, costi e qualità nella riuscita del progetto, usando risorse sotto il controllo di unità organizzative sulle quali egli non ha autorità di tipo gerarchico. Si può dire che egli influenzi i suddetti risultati ma che non può controllarli pienamente. Lo stesso vale per il product manager: egli, pur non avendo il controllo né della produzione, né del settore vendite, né del design del prodotto affidatogli, è comunque responsabile della crescita della quota di mercato di quel prodotto. Il fatto che esista questo gap fra autorità e responsabilità, contraddice uno dei principi fondamentali dell’organizzazione classica, ovvero la necessità di coerenza fra le due cose. Inoltre il dover rispondere di cose fuori dal proprio controllo è fonte di non poco stress per i manager integratori. Fonti di autorità e di autorevolezza per i manager integratori. Il manager integratore funziona bene nella misura in cui l’organizzazione, pur non affidandogli una responsabilità gerarchica diretta (il che equivarrebbe a creare un’altra unità organizzativa trasversale alle altre e quindi fonte di disordine), riesce a dargli delle fonti di autorevolezza, che rendano la sua influenza più forte. A tal fine, certe volte, il top-management semplicemente ratifica la posizione del manager integratore sottolineando che egli riferisce personalmente al vertice in relazione al conseguimento degli obiettivi richiesti. In questo modo, grazie all’investitura dall’alto, viene sottolineata l’autorevolezza della carica. La persona è poi più ascoltata per il fatto che, pur essendo di livello gerarchico relativamente basso, può mettersi in diretto contatto con il vertice; il potere gerarchico del manager integratore rimane formalmente inalterato, ma la sua influenza effettivamente aumenta. In altri casi è lo stesso presidio di informazioni critiche a concedere autorevolezza: ad esempio può accadere che il project manager abbia tutte le informazioni relative allo stato di avanzamento del progetto, o che sia il depositario delle informazioni relative ai requisiti chiesti al nuovo prodotto dal cliente. Il controllo di informazioni di questo tipo dà senza dubbio al manager integratore una forte autorevolezza. Così avviene per l’account manager, che conosce il cliente, che ha la capacità di capire quello che vuole. Altro modo per far aumentare il peso del manager integratore è quello di presentarlo come una persona dotata di esperienza e competenza, cosa che però è spesso relativamente difficile, considerando che per un compito in cui serva una visibilità di carattere generale, ma status non troppo elevato, si scelgono spesso persone giovani e quindi con poca esperienza. Un modo ben più efficace per dare autorità ad un manager integratore è quello di assegnargli delle risorse da gestire; ad esempio controllando un budget essi possono chiedere che le unità funzionali, che sono centri di costo, giustifichino i propri costi allocandoli sul progetto o sul prodotto di cui il manager è responsabile. In sintesi, diventando in questa maniera una figura che ha la possibilità di controllare delle risorse, il manager integratore ha una moneta di scambio che lo aiuta a perseguire gli obiettivi assegnati. Infine, il modo più forte di dare autorità, è forse la concessione al manager integratore della possibilità di partecipare in qualche modo al processo di valutazione. Tutto questo non avviene sempre in modo ufficiale: talvolta la semplice dichiarazione che il manager integratore prende parte alla valutazione modifica l’atteggiamento dei responsabili delle unità organizzati verso il manager integratore. Essi, infatti, cominciano a comprendere di avere un

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duplice riferimento, che è costituito oltre che dal vertice gerarchico, anche dal manager trasversale. Talvolta, per rafforzare tale sensazione, si giunge a dare ai manager integratori la possibilità di distribuire parte degli incentivi annuali.

STRUTTURA A MATRICE Introduzione. In alcuni casi di particolare complessità, il fabbisogno di multidimensionalità, cioè di integrazione dell’organizzazione secondo molteplici dimensioni, diventa tale da spingere l’impresa a non scegliere più per non privilegiare una dimensione organizzativa e lasciare a dei semplici meccanismi di collegamento la gestione delle interdipendenze residue. Si vuole infatti accentrare e cablare all’interno della struttura l’esistenza di molteplici dimensioni organizzative che sono rilevanti ad un certo livello. Si rinuncia ad un assunto fondamentale del pensiero organizzativo tradizionale che è l’unicità del comando e si ricorre alle cosiddette “ strutture a matrice”. Struttura a matrice. Le strutture a matrice nascono intorno agli anni 60/70 negli USA in organizzazioni molto complesse ed anche temporanee (la prima studiata con attenzione fu quella del progetto Apollo). Ad un certo livello della struttura esistono due dimensioni organizzative entrambe rilevanti, venendosi così a definire una doppia linea di management: ad esempio un’azienda può decidere che il presidio sui mezzi e sulle funzioni (e quindi l’esigenza di coordinare persone che svolgono processi simili e che pertanto usano input simili) sia importante, ma al tempo stesso non si possa trascurare anche il presidio rispetto al prodotto. Allora si dà alle persone un duplice riferimento; ad esempio in figura è possibile identificare un gruppo di persone che riferisce contemporaneamente sia al direttore del marketing sia ad un responsabile di prodotto. Si ha come principale vantaggio la possibilità di coordinare attività relative sia ad una dimensione sia all’altra. In questi casi la struttura può essere descritta per mezzo di una matrice funzione/prodotti.

fig. 7 Struttura a matrice

Esistono anche altri tipi di matrice, come la matrice globale o matrice prodotti/mercati:

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fig.8 Matrice prodotti-mercati

La maggior parte delle multinazionali ha, ad almeno un livello, una struttura matriciale di questo tipo in cui si decide di utilizzare due livelli di raggruppamento, entrambi orientati agli output, ma di tipo diverso. Si hanno due dimensioni, una per aree di mercato, l’altra per business e sulle loro intersezioni possiamo individuare le cosiddette local companies. Le strutture a matrice molto spesso sono organizzate a holding: i singoli nuclei sono essi stessi delle aziende. Le local companies riferiscono contemporaneamente al responsabile del paese e al responsabile del business nel quale operano. Si ha quindi una duplice linea di crescita professionale e gerarchica. Un esempio è la Asea Brown Boveri . In figura 9 è mostrata la struttura che aveva prima la ABB: un gruppo di tremila imprese sparse in tutto il mondo.

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fig.9 Struttura dell’ABB

L’organizzazione prevede un team di persone che realizza il coordinamento complessivo (internal executive committee). Si possono individuare inoltre dei responsabili di paese (che non godono di un elevato potere generale, ma a livello di paese garantiscono una serie di servizi comuni) e le business areas a loro volta divise in business unit. Volendo descrivere una struttura a matrice, i criteri di divisione del lavoro che si utilizzano sono molteplici; addirittura allo stesso livello noi troviamo una molteplicità di criteri adottati per il raggruppamento e quindi per l’integrazione. I meccanismi di coordinamento fanno riferimento in particolare ad un forte adattamento reciproco e ad una spiccata standardizzazione degli obiettivi poiché la duplicità dei riferimenti fa sì che sia necessaria molta negoziazione. Ad esempio dato un problema, non è scontato chi debba decidere, nel caso che ci siano implicazioni sia rispetto al paese sia al prodotto. . I punti di forza di queste strutture sono la multifocalizzazione (capacità di focalizzarsi su tutte le dimensioni della matrice), una forte innovatività e flessibilità. Sono strutture dinamiche, più efficienti di una struttura divisionale che accetta, in nome del coordinamento rispetto agli output, di realizzare duplicazioni. In questo caso non si verificano duplicazioni, si accetta invece che ci siano risorse condivise ed anzi si cerca di presidiarle; da questo deriva l’elevata flessibilità e la capacità di sinergia e d’integrazione. I punti di debolezza di questa struttura sono gli alti costi indiretti, un elevato numero di manager e la notevole quantità di tempo speso in processi decisionali. Per rendere la struttura veloce le linee gerarchiche devono essere molto piatte. La duplicità di riferimenti rende queste organizzazioni molto conflittuali, con il risultato di richiedere una forte assunzione di responsabilità. Talvolta paradossalmente, con più riferimenti si ha anche una maggiore libertà e questo crea conflitto e stress. Si evita comunque che la duplicità di riferimenti scenda ad un livello troppo basso. Alcuni autori sostengono la normalità di avere più riferimenti; il principio d’unità del comando nasce, secondo loro, perché i primi studi organizzativi sono stati fatti sulle organizzazioni militari, dove è necessaria ed auspicabile una unità del comando. Vi sono invece molti organismi sociali ove questo non avviene (si veda come esempio il caso della famiglia).

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La struttura a matrice è la struttura tipica delle grandi imprese in contesti ad elevata turbolenza: è il caso, ad esempio, dei mercati maturi in cui improvvisamente diventa molto importante, data la globalità, recuperare sinergie o viceversa dare importanza ai singoli paesi. Scelta dei meccanismi di collegamento. Per la scelta dei meccanismi di collegamento si nota una sorta di continuità. In figura 10 sull’asse verticale è rappresentata la necessità di coordinamento multidimensionale. Al crescere di questa necessità si passa a meccanismi differenti: da semplici meccanismi di scambio di informazione ad istituzionalizzazione di comitati e taskforce, con inserimento di figure di collegamento, fino al meccanismo più complesso che è la matrice.

fig.10 i meccanismi di collegamento

In quest’evoluzione aumentano sia i costi di coordinamento, sia l’impatto sulla struttura di potere. A volte però nella scelta dei meccanismi di collegamento conta anche “il fattore moda”: al di là del contesto generale le imprese talvolta tendono a privilegiare le strutture che al momento sono considerate le più innovative.

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Progettazione Organizzativa:

NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI Per capire il cambiamento dei ruoli all’interno delle strutture organizzative uno degli aspetti fondamentali da considerare riguarda la capacità di gestire il cambiamento: le imprese stanno rivedendo le proprie modalità organizzative per essere in grado di seguire i cambiamenti ambientali. Negli ultimi anni, infatti, l’aumento di “turbolenza” ha fatto diventare il cambiamento sempre più rapido, imponendo all’impresa la capacità di rivedere la propria strategia e di rimettere in discussione il proprio modo di presentarsi sul mercato. Tutto ciò produce un forte impatto anche sul modo di organizzarsi: se cambia la strategia, l’organizzazione interna non può non cambiare. Ma quali decisioni organizzative concrete è necessario prendere per restare competitivi conciliando efficienza e capacità di anticipare ed orientare il cambiamento, quali logiche adottare per avere successo come innovatori all’interno di quest’organizzazione ? Esistono due livelli di analisi: uno Macro, che riguarda l’evolvere delle organizzazioni in sé per sé; e uno Micro, che riguarda l’evolvere dei ruoli e cosa deve imparare un manager, un operatore, uno specialista, all’interno di una organizzazione evoluta per avere successo. Analizzando le caratteristiche e l’evoluzione negli ultimi anni delle organizzazioni di maggior successo, si nota come alcune di esse, pur essendo state al centro di cambiamenti, siano riuscite a conservare la propria posizione competitiva. Si trovano fondamentalmente tre orientamenti di base: ORIENTAMENTO AI PROCESSI ORIENTAMENTO AL SERVIZIO ED AL CLIENTE ORIENTAMENTO ALLE RISORSE E ALLE COMPETENZE Come si vedrà in seguito questi orientamenti non sono tra di loro distinti ed alternativi, ma fortemente complementari; sono comunque delle sfaccettature diverse di un’organizzazione che aiutano a leggerne le caratteristiche.

1.ORIENTAMENTO AI PROCESSI Dopo un periodo di forte crescita economica degli anni ’80, agli inizi degli anni ’90 alcuni guru dell’organizzazione, tra i quali in particolar modo Hammer, lanciarono una specie di campagna contro i consulenti di Information Tecnology, colpevoli a loro parere di grande miopia. Secondo Hammer il problema fondamentale non era come fare più efficientemente le cose che già si stavano facendo ma piuttosto se le cose che si stavano facendo erano giuste. Quindi le grandi organizzazioni che avevano preso nel tempo una serie di decisioni in termini organizzativi e di gestione dei processi e delle attività dovevano ripartire da zero, ponendo maggiore attenzione a quelli che venivano identificati come processi. Infatti secondo questo nuovo approccio non è vero che le aziende creano valore per il cliente attraverso le proprie funzioni o attraverso le unità organizzative (anzi questa eccessiva attenzione alle strutture organizzative può portare a delle aberrazioni). Il valore è creato invece dai processi, da ciò che l’impresa fa realmente, ed è dunque a questi che si deve guardare quando si decide che tipo di organizzazione dare ad un’impresa. Volendo ridefinire il processo, si può dire che esso è un insieme organizzato di attività e decisioni finalizzato alla creazione di un output effettivamente richiesto da un cliente e al quale è attribuibile un valore ben definito. Il punto di partenza è dunque il cliente, il quale, definendo certe caratteristiche che un output deve possedere, ne definisce il valore. Molto spesso però la logica con cui l’azienda è organizzata è più il frutto di una serie di sedimentazioni successive che non di una effettiva progettazione. Si tratterà quindi di capire quali siano le attività esecutive e decisionali che permettono di produrre un certo output e, viceversa, quali quelle che contribuiscono in maniera esigua alla creazione di valore. Di conseguenza ci saranno certe prestazioni critiche che dovranno essere la preoccupazione fondamentale del management e certe attività che dovranno essere eliminate.

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ELEMENTI CHE DEFINISCONO IL PROCESSO Il punto di partenza per definire un processo è, come anticipato, il cliente, nella prospettiva del quale si definiscono l’output - ciò che il cliente chiede o potrebbe chiedere - e le caratteristiche che questo deve avere. Si potranno così individuare le attività decisionali od esecutive che servono per produrre quell’output, nonché le relazioni tra queste, potendo esse essere più o meno forti e richiedere un coordinamento più o meno intenso.Infine sarà possibile individuare gli input, che spesso si presentano come output per altri processi, le risorse, quali in particolare le persone o le attrezzature che servono per svolgere quelle attività e le regole gestionali alla base dell’organizzazionedel processo.

ESEMPI DI PROCESSI IN GRANDI IMPRESE

Lo sviluppo delle mappe dei processi, cioè l’identificazione dei processi e delle relazioni fra questi, è un esercizio molto importante; un esempio di mappa di processi potrebbe essere la catena dei valori di Porter vista come un modo di rappresentare i macroprocessi presenti all’interno di una organizzazione e le relazioni fra questi: egli identifica una serie di processi primari che producono l’output finale e una serie di processi di supporto che forniscono input necessari per quelli primari; l’idea di fondo resta quella di cercare le attività che generano il valore. Prendendo a riferimento il caso di una società di ingegneria, il processo fondamentale (o primario) deve essere individuato nella gestione delle commesse che segue una richiesta esplicita di un cliente relativa alla realizzazione di una infrastruttura (una rete di telecomunicazioni, un impianto elettrico, un ponte, etc.) gestita a livello di progetto. Le prestazioni possono essere misurate in termini di soddisfazione e fedeltà dei clienti, economicità e soddisfazione dei lavoratori. La gestione delle commesse richiede una serie di processi di supporto, quali, ad esempio:

FIG.2 In figura alcuni esempi di come tre grandi gruppi leggono le proprie attività caratterizzando dei processi.

FIG.1 Elementi di base caratterizzanti i processi.

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- la gestione dei fornitori (scelta dei più adatti, controllo della produzione dei materiali, etc.):, essa assume particolare criticità per l’enorme mole di lavoro che questi dovranno realizzare; - lo sviluppo di Know how: per essere efficiente e stare sul mercato una società di ingegneria deve riuscire a capitalizzare il proprio patrimonio tecnologico. - la gestione delle offerte e dei contratti: è grazie alla partecipazione alle gare che si riescono ad ottenere le commesse. Molto spesso le società di ingegneria riescono ad ottenere contratti importanti preventivando tempi di realizzazione molto stretti (in cui sa già di non rientrare), salvo poi cercare di fare leva sul contenimento delle penali.

Un altro esempio è quello di una Telecom operator: il processo primario sarà in questo caso la gestione del cliente , che si concretizza nelle operazioni di fatturazione, assistenza tecnica e servizi vari. Le prestazioni si misurano ancora sia in termini di soddisfazione del cliente e della sua fedeltà - solo un cliente soddisfatto genera molto traffico telefonico ed usa servizi ad alto valore aggiunto (economicità) - sia in termini di soddisfazione dei lavoratori perché, come in tutte le organizzazioni di servizio, da questa dipende la qualità delle relazioni con il pubblico. I processi di supporto sono:

- lo sviluppo di infrastrutture (reti telefoniche, centraline etc.) - lo sviluppo di nuovi servizi per generare un’offerta sempre più attraente; - il provisioning, che, relativo alle attività di installazione, è il primo momento in cui il cliente

viene ad interagire con l’azienda - l’assicurazione del servizio legata a problemi di interruzione del servizio.

Le buone prestazioni dunque dipendono sicuramente dal processo primario ma anche dalla buona integrazione tra quest’ultimo ed i suoi input.

Da mettere in rilievo come una mappa dei processi dica molto di più rispetto ad un organigramma su come un’organizzazione crei valore. Si prenda l’esempio qui sotto riportato, relativo al Politecnico di Milano, dal quale è impossibile capire come l’azienda crei valore.

FIG.3 Mappa dei processi di una società di ingegneria.

FIG.4 Mappa dei processi di una Telecom operator.

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Volendo costruire la mappa dei processi di una università, si individuano nella ricerca, nella didattica e nei servizi i. processi primari . La carenza da parte di un’organizzazione in uno di questi processi porta, nel medio lungo periodo, a problemi anche sugli altri:; tutti i processi, quindi, dovranno essere gestiti sullo stesso piano perché solo dall’insieme dei tre dipende la soddisfazione dei clienti.Questi ultimi possono essere a loro volta suddivisi in tre grandi gruppi: la comunità scientifica, gli studenti e la collettività. I tre processi primari richiedono ovviamente dei processi di supporto:

- la programmazione e lo sviluppo delle risorse - lo sviluppo di nuovi prodotti formativi, attraenti ed in linea con le aspettative del territorio

- lo sviluppo e la gestione del personale - la gestione e la manutenzione delle infrastrutture, cioè l’edilizia, i laboratori etc…

Altro esempio è quello della gestione di una biblioteca. Un possibile parametro per la misura delle prestazioni può essere le soddisfazione delle richieste da parte di studenti, docenti e in generale coloro che vanno ad interagire con la biblioteca. Come input, invece, è possibile identificare le richieste di consultazione o le esigenze, segnalate da docenti e studenti, di aggiornamento. Le risorse necessarie per svolger le attività sono: il materiale consultabile, gli strumenti di ricerca e consultazione, il personale, e le regole. Se una di queste risorse è carente il servizio complessivo diventa ovviamente povero. Anche in questo caso dunque l’analisi del processo permette di capire come si genera valore e quindi su cosa si deve investire per migliorare tale valore per il cliente.

FIG.5 Struttura organizzativa del Politecnico di Milano.

FIG.6 Mappa dei processi di una università.

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PRINCIPI CHIAVE Una volta capiti quali sono i processi, il passo successivo da fare è comprendere come rivedere la propria organizzazione interna per orientarsi ad un miglioramento dell’efficacia dei processi stessi. Mentre per le strutture funzionali e/o divisionali, si può rappresentare concretamentel’organizzazione, per gli orientamenti ai processi è necessario ragionare in termini di principi e di trend.

in primo luogo è necessario diffondere conoscenza dei processi e process ownership: in altri termini si devono identificare ed esplicitare i processi e quelli che sono i rapporti fra gli stessi, garantendo formazione agli operatori allo scopo di far comprendere loro il potenziale l’impatto del lavoro sulle prestazioni finali . Si rende altresì necessario lo sviluppo di sistemi di analisi e misura delle prestazioni tagliati per processo e non per singola attività: ad esempio il lead time, cioè il tempo necessario per introdurre sul mercato un nuovo prodotto; il tempo di ingegnerizzazione invece non rappresenta un buon parametro visto che dà solo una visone parziale dell’insieme di attività che porta allo sviluppo di un output finale. Si devono infine dare agli operatori responsabilità specifiche per il miglioramento continuo (Process ownership) seguendo una riprogettazione dei ruoli volta a trarre il massimo beneficio dall’orientamento ai processi.

Si devono poi attivare catene interne ed esterne di clienti e fornitori: per fare ciò il primo punto è il market in, cioè il fatto che non si lavora per il proprio capo, ma per un cliente che molto spesso è interno dell’organizzazione (processo a valle come cliente), realizzando sistemi di negoziazione non gerarchici. Si rende dunque necessario un monitoraggio sistematico del livello di servizio, per mezzo di meccanismi anche a livello contabile (ad esempio prevedere dei costi di trasferimento legati ai servizi) finalizzati a che tutti gli staff che restano all’interno dell’organizzazione paghino le proprie risorse in termini di servizi. Si devono quindi avere delle comunicazioni orizzontali ricche, ed infine si devono integrare all’interno del processo il cliente ed il fornitore, perché nella logica adottata (che è una logica di fornitori e clienti) diventa meno importante la qualifica di dipendente dell’impresa.

Il terzo principio da seguire è lo snellimento delle strutture: il fatto che l’attenzione debba passare dall’unità organizzativa ai processi, fa sì che le strutture vengano snellite, il che vuol dire decentrare o esternalizzare i processi non fondamentali,cioè i processi non legati a core competence; è necessario avvicinare al massimo l’informazione ai fruitori, evitando passaggi d’informazione, e, contemporaneamente, praticare la delega delle decisioni ed empowerment delle risorse umane. In altri termini le decisioni devono essere prese al livello più basso possibile, evitando che ci siano delle perdite di tempo ed attività che di fatto non aggiungono valore per il cliente.

Il quarto principio è quello di ricomporre le attività frammentate:cioè mettere in discussione livelli eccessivi di specializzazione orizzontale, in quanto, in un’ottica di processo, attività la cui responsabilità è frammentata tra unità organizzative diverse risultano difficili da gestire e sono spesso causa di perdite di tempo e di efficienza etc. La logica allora deve essere quella dell’allargamento delle mansioni, in modo che, se possibile, parti importanti del processo siano realizzate dalla stessa persona, o, in alternativa, quella del ricorso a team interfunzionali, che hanno al loro interno più

FIG.7 Gestione di una biblioteca.

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competenze, o, ancora, quella dell’uso di tecnologie di coordinamento (molti dei sistemi informativi realizzati in questi anni infatti seguono questa logica).

CARATTERISTICHE DELLE ORGANIZZAIZIONI ORIENTATE AI PROCESSI Per riconoscere una organizzazione orientata ai processi, è possibile fare riferimento ad alcuni segnali piuttosto forti primo fra tutti il fatto che le strutture vengono organizzate in funzione dei processi stessi e le gerarchie appiattite, nel tentativo di renderle più orizzontali. Altri segnali possono essere: il trasferimento di competenze alle risorse umane (trasferimento di deleghe decisionali) il forte orientamento al cliente, cioè logiche che permettono di far entrare il cliente nei processi decisionali aziendali; meccanismi di innovazione e miglioramento continuo che coinvolgano più risorse all’interno dell’impresa; la presenza di gruppi autonomi multidisciplinari, , in cui le risorse provengano da differenti unità organizzative ed ai quali si assegna un compito complessivo; infine la focalizzazione su competenze core e collaborazione interaziendale, poiché l’ottica di processo tende a legare all’interno dell’organizzazione cliente e fornitore.

2.ORIENTAMENTO AL SERVIZIO Quando si parla di orientamento al servizio si pone l’accento sul modo di presentarsi all’esterno, piuttosto che sul modo di organizzarsi internamente. Il passaggio dalla logica di prodotto alla logica di servizio. comporta notevoli cambiamenti.

La prima differenza sostanziale si ha in termini di integrazione tra il ciclo di produzione e il ciclo di consumo: nell’ottica di prodotto tradizionale, l’ipotesi fondamentale è quella della stoccabilità, cioè della possibilità di immagazzinare in vista di un uso successivo. Il magazzino rappresenta un disaccoppiamento tra quella che è la produzione e quello che è il consumo: producendo a magazzino dunque si riesce ad evitare che i disturbi legati alla variazione nell’andamento della domanda si ripercuotano direttamente sul processo produttivo, che ha bisogno di stabilità. Nelle organizzazioni tipiche di servizio invece (ad esempio un albergo, una società di consulenza, un ristorante,etc..) l’idea è quella della simultaneità, cioè il servizio produce valore quando c’è l’incontro tra produzione e consumo.

Conseguentemente nella logica tipica di prodotto l’output è standardizzato (si pensi ad esempio alle innovazioni introdotte da Ford negli anni ’30 dove era il prodotto a comandare la produzione) mentre nella logica tipica di servizio l’ottica è quella della customizzazione, cioè l’adattamento al cliente.

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Un‘altra differenza sta nella localizzazione delle risorse: nel modello tradizionale di prodotto ciò che conta è concentrare le risorse tecniche, favorendo così le economie di scala e di apprendimento, che devono essere separate dal cliente. Ci deve essere quindi una protezione completa delle risorse tecniche dal cliente e dal mercato. Questo disaccoppiamento è garantito da una serie di ruoli, da ricercarsi nelle vendite, negli acquisti, ecc… Nell’ottica di servizio invece le risorse tecniche vanno il più possibile decentrate vicino al cliente, ovvero il servizio si deve creare dove viene fisicamente richiesto.

Nel caso di una organizzazione di prodotto con output standardizzato se si vuole migliorare la qualità è necessario adottare misure precise ed affidabili; nel caso di orientamento al servizio, invece, la qualità è un fatto percettivo, dipende cioè dalla percezione del cliente e come tale risulta di difficile parametrizzazione.

Infine il fattore produttivo chiave nelle organizzazioni tipiche di prodotto viene individuato nel capitale, nella tecnologia e nelle attrezzature, poiché l’idea è quella di trasferire sempre più parte del processo dal lavoro al sistema tecnico, facendo così calare i trend occupazionali (si veda ad esempio il settore dell’agricoltura o il settore dell’automobilismo) ; viceversa nelle organizzazioni di servizio, il fattore chiave è il lavoro e la tecnologia pur presente non può sostituirlo.

ORIENTAMENTO AL SERVIZIO COME TREND DI NATURA GENERALE Nonostante possa sembrare che i due orientamenti si applichino a due tipi di realtà completamente diverse, nella pratica le cose non sono così nettamente separate; verrebbe naturale pensare che un’azienda siderurgica sia un’azienda di prodotto, mentre una compagnia di assicurazioni sia un’azienda di servizi e si è portati quindi a credere che le due lavorino in modo completamente diverso; esistono tuttavia aziende siderurgiche dove l’idea fondamentale su cui ci si concentra è avere tecnici che lavorino presso i clienti per sviluppare applicazioni, proprio come vorrebbe un’ottica di servizio. D’altra parte alcune società assicurative, soprattutto quelle italiane, hanno al loro interno un “reparto” di ricerca e sviluppo centralizzato dove si concentrano le risorse tecniche e vengono sviluppati dei “prodotti” da assemblare per formare pacchetti assicurativi, messi poi a catalogo; il tutto sembra ricondurre ad una sorta di magazzino tipico di un’ottica di prodotto. Ci sono inoltre dei settori che, avendo caratteristiche intermedie rispetto a quelle dei due orientamenti, sono difficili da inquadrare; si prenda ad esempio il settore dei fast food dove si possono individuare due famosi modelli di successo: Mc Donalds Burger king. Le modalità organizzative di questi due modelli sono molto diverse:nel primo la cucina è disaccoppiata dall’esterno attraverso un meccanismo di magazzino e pertanto il cliente non è in grado di personalizzare il proprio hamburger, viceversa nel secondo il prodotto viene realizzato su richiesta ed è pertanto possibile un certo livello di personalizzazione. Dunque anche all’interno dello stesso settore sono possibili comportamenti di successo che fanno riferimento alle due diverse logiche. Allo stato attuale esiste una forte tendenza a passare da un’ottica di prodotto ad una di servizio per ragioni di tipo sia economico, sia sociale che ambientale. Per quanto riguarda il primo ordine di motivi , nei settori maturi la possibilità di crescere e fare business, non passa certamente attraverso un aumento della produzione quanto piuttosto attraverso i bisogni collegati al prodotto. Ad esempio nel settore dell’auto, data l’impossibilità di far aumentare la domanda, la possibilità di

FIG.8 Differenze tra organizzazioni di prodotto

di i i

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crescita è legata ai bisogni che ruotano intorno all’auto stessa, come ricambi, assistenza, accessori ecc.(si pensi che BMW realizza il 50% del fatturato su ricambi ed assistenza). La logica è dunque quella di fare del prodotto il canale di interazione con il cliente ed in questo modo creare attività sempre nuove attorno al medesimo.

Uno dei casi di orientamento al servizio più studiati è sicuramente quello di Benetton. Il settore in cui lavora (abbigliamento casual) è tipicamente di prodotto; in questo settore le economie di scala contano poco in quanto i processi di tessitura e confezionamento sono tipicamente labour intensive; pertanto la maggior parte delle imprese agli inizi degli anni ’80 ha deciso di migrare in paesi in cui il costo del lavoro è di gran lunga inferiore rispetto a quello dei paesi occidentali (paesi asiatici, est europei, etc.). Benetton invece, analizzando i motivi della bassa profittabilità del settore, scoprì che uno dei problemi cardine era legato al magazzino. In generale nel settore della moda la filiera di attività che porta dalla materia prima al prodotto finale è molto lunga, e questo fa sì che si debba produrre con largo anticipo; risulta dunque necessario fare delle adeguate previsioni su quelle che saranno le richieste di mercato, per poi passare al processo vero e proprio che consiste nella filatura, tintura, tessitura confezionamento e finitura. Il problema è che spesso non si possono fare delle previsioni adeguate per l’intero mercato; non di rado infatti in aree geografiche diverse sono richiesti colori differenti dello stesso prodotto. Questo crea ovviamente una grande quantità di capi invenduti (si va intorno al 50%) che dovranno essere in qualche modo smaltiti, attraverso saldi oppure la vendita in mercati differenti o, nel caso in cui il costo di queste soluzioni sia eccessivo, attraverso la distruzione degli stessi. Benetton invece ha deciso di cambiare una serie di processi adottando un’ottica di servizio: più nel concreto l’azienda realizza dei modelli, che sono tendenzialmente stabili, in un colore indefinito; dopodiché il capo viene colorato, in base alle richieste effettive di mercato, in tempi molto brevi e trasportato velocemente dove ce n’è bisogno. Quindi la produzione è effettuata quasi su commessa, per minimizzare il numero dei resi. Il cliente a cui vende Benetton è il negoziante, che riceve un’offerta completa (fatturazione, finanziamento, pubblicità, ecc.) e non deve far altro che vendere i capi. IMPLICAZIONI DEL PASSAGGIO AD UNA LOGICA DI SERVIZIO Le differenze rispetto ad una tradizionale struttura organizzativa sono:

cambiamento nell’equilibrio di potere tra i ruoli, in particolare tra i ruoli di confine (addetto alle vendite, logistica,..) ed i ruoli interni (produzione, contabilità..). L’importanza dei ruoli di confine è bassa all’interno della logica di prodotto (essi servono quasi solamente a disaccoppiare l’azienda dall’esterno) mentre è alta nella logica di servizio (un responsabile degli acquisti ad esempio è colui che di fatto gestisce, attraverso i fornitori, la maggior parte delle attività legate all’ esterno). Ad esempio nelle banche si è cercato di superare la vecchia separazione tra back office e front office mettendo a disposizione di quest’ultimo un’ampia gamma di competenze per poter fornire prontamente soluzioni adeguate al cliente.

Decentramento delle risorse: le aziende che si orientano verso il servizio tendono a decentrare le proprie risorse verso il cliente, cosa che invece non accade nelle aziende orientate verso il prodotto che presentano una dispersione delle attività piuttosto bassa.

FIG.9 Orientamento al servizio come trend di natura

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La struttura di potere: in una logica di prodotto tale struttura deve essere accentrata, per permettere specializzazioni verticali ed orizzontali, mentre in quella di servizio deve essere decentrata, cioè deve consentire un elevato livello di delega, per rispondere velocemente alle richieste del cliente, .

La formalizzazione: il modello di servizio presenta un più basso livello di formalizzazione, in quanto per realizzare soluzioni personalizzate è necessario muoversi con un certo grado di libertà pur sempre nel rispetto di certe regole .

l’ampiezza delle competenze: se nelle logiche di prodotto ciò che premia è la specializzazione, cioè una conoscenza profonda ma non ampia; nelle logiche di servizio ciò che risulta importante è il possesso di competenze molto più ampie rispetto a quelle necessarie nella logica del prodotto, anche se magari meno profonde rispetto a queste ultime.

3.ORIENTAMENTO ALLE RISORSE-COMPETENZE L’orientamento alle risorse-competenze coinvolge sia l’evoluzione del pensiero strategico che gli orientamenti organizzativi a causa della forte sinergia che esiste fra loro. Alla base c’è una rivisitazione di quelle che sono le fonti di vantaggio competitivo sostenibile e questo porta delle implicazioni sia dal punto di vista delle strategie che dell’organizzazione. L’idea è quella di far diventare le competenze distintive il criterio di base dell’analisi e della progettazione organizzativa. Il ruolo del management ed il ruolo dei sistemi di pianificazione e controllo, di misura delle prestazioni, etc., si legano fortemente allo sviluppo dei sistemi di competenza . I sentieri di crescita, diversificazione, internazionalizzazione dipendono da come si vuole valorizzare e spingere lo sviluppo delle competenze reali. L’outsourcing, (parti di attività che vengono svolte all’esterno dall’azienda ) dipende dalle scelte strategiche in termini di risorse chiave e di risorse complementari che possono essere reperite all’esterno. Nel caso in cui l’azienda riesca a creare rapporti di lavoro tra imprese per integrare la produzione, la competitività dipenderà non tanto da una buona organizzazione delle attività interne ma piuttosto da una buona capacità di gestire tali rapporti.

FIG.10 Implicazioni del passaggio ad una logica di servizio.

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LE ORGANIZZAZIONI PER LA GESTIONE CONOSCENZA L’orientamento alle risorse umane è un trend quanto mai attuale e fortemente collegato all’orientamento ai processi e al servizio: le implicazioni sono sia a livello di Strategia Corporate, sia di sovrapposizione dei ruoli legati ai processi operativi, cioè al raggiungimento di performance di tipo operativo, ad altre strutture di presidio dei processi della gestione della conoscenza attraverso i quali vengono generati miglioramenti ed elaborate idee innovative. Esiste dunque una multifocalizzazione che si esplica, da una parte, sul cliente e sui risultati operativi e, dall’altra, sulla conoscenza: le stesse persone che operano sui processi hanno anche il compito di generare conoscenza, cioè, ancora, di migliorare il prodotto nel medio/lungo periodo. Nascono quindi dei ruoli duali: persone che oltre ad essere coinvolte in processi operativi, tipo l’assemblaggio di un certo componente della linea di prodotto, sono oggetto di aspettative di sviluppo di nuovi metodi e di partecipazione al miglioramento continuo del processo. Tutto ciò è quanto mai critico per le organizzazioni che operano per processi; ad esempio chi lavora nelle società di ingegneria si trova ad avere un duplice ruolo progettista e di presidio di un certo sapere. Allo stesso modo in grandi aziende hi tech come Ericsson ai progettisti senior vengono affidate responsabilità di perfezionamento delle metodologie di sviluppo software, venendosi così a creare per tali figure possibilità di gratificazione e di carriera alternative rispetto a quelle del project manager. Le società di consulenza adottano questi criteri in modo ancora più pervasivo in quanto a fronte di un’operatività quotidiana per progetti, le persone appartengono anche a processi di sviluppo di soluzioni. Quindi se da un lato ci sono processi operativi che devono produrre risultati di breve termine, dall’altra ci sono ulteriori processi trasversali che devono produrre idee e risorse. Tutto ciò porta ad una duplice attenzione al breve e al lungo periodo.

L’EMERGERE DI NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI Per capire la configurazione organizzativa che emerge quando un’organizzazione si orienta ai processi, al servizio e alle risorse/competenze. non è possibile ricorrere ad un organigramma come nel caso dei modelli di base. Sarà piuttosto necessario fare riferimento alla metafora del palo per capire la differenza tra i modelli tradizionali e i nuovi. Progettare e gestire l’organizzazione di un’impresa di tipo tradizionale può essere assimilato a tenere in piedi un palo. E’ necessario che il palo raggiunga un certo equilibrio grazie a un sistema di forze applicate all’ estremità più alta attraverso dei tiranti. Se posizionate bene sono sufficienti tre funi tirate da altrettante persone, cioè tre unità organizzative funzionali. Si supponga che uno dei tre sia il responsabile di produzione dell’impresa; per il quale tirare la fune significa perseguire degli obiettivi in termini di volumi di produzione, livelli di difettosità e costi di produzione. La seconda persona è rappresentata dal responsabile del marketing: tirare dalla sua parte significa perseguire obiettivi in termini di volumi di vendita, livello dei prezzi di vendita e condizioni di vendita. Infine è possibile individuare nel terzo individuo il responsabile della ricerca e sviluppo che a sua volta deve perseguire obiettivi in termini di rinnovo del catalogo del prodotto. Se riesce a lanciare sul mercato la nuova linea prima della concorrenza ritiene di aver svolto adeguatamente il proprio compito. Ognuno di loro è tenuto a seguire un proprio percorso di carriera, di studi specifico per il compito che gli è richiesto. Questo modello funziona bene ed è molto efficace se il contesto si mantiene stabile, quindi tornando alla metafora, se le condizioni ambientali sono buone. In caso di “vento” entra comunque in gioco il quarto individuo che, cercando di capire l’evoluzione in atto , modifica le posizioni e quindi gli obiettivi degli altri tre. Egli rappresenta il top management aziendale. L’equilibrio è raggiunto grazie alla gerarchia che ridefinisce gli obiettivi funzionali. Ma se la turbolenza ambientale aumenta sempre più, vengono alla luce tutti i limiti intrinseci al modello: limiti dell’efficacia statica legata alla specializzazione degli schemi di valore, dei percorsi di carriera e degli strumenti. Ognuno di loro è convinto di durare più fatica degli altri nel suo compito di tenere in piedi il palo. Sono girati dalla loro parte nella condizione di esercitare il massimo sforzo nella propria direzione. Questa situazione è dovuta a canali di informazione e coordinamento di tipo verticale: le tre persone difatti ricevono ordini e obiettivi specifici solo dal quarto componente, il quale però non sempre riesce a metterli tutti d’accordo e assicurare la stabilità del palo. Risulta quindi necessario che ciascuno di loro si renda conto del fatto che è il

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lavoro comune quello che mantiene l’equilibrio. E’ questo il punto chiave in cui avviene il passaggio, quando i tre signori decidono di girarsi. Ciò significa per un’ azienda cambiare i sistemi informativi e di comunicazione da verticali ad orizzontali, cambiare i sistemi di carriera e di incentivazione,cambiare il tipo di formazione e la maggior parte delle variabili legate ai ruoli. Per i nuovi modelli vengono proposte diverse metafore come ad esempio quella della squadra. In una squadra di calcio il collegamento e il coordinamento in campo avvengono in maniera orizzontale. Sono i giocatori, ognuno con un ruolo definito, a doversi adattare alle condizioni mutevoli della partita. Il top management il quarto personaggio della metafora del palo, diventerà l’allenatore della squadra. Egli dovrà selezionare le persone giuste, assegnare loro i ruoli, svolgere del training e scegliere gli schemi adeguati all’ avversario di turno; quindi decidere la strategia ma non coordinare i processi operativi. Un’altra metafora valida per descrivere i nuovi modelli organizzativi è quella dell’orchestra in cui si possono individuare solo due livelli operativi: i musicisti e il direttore di orchestra. L’ambizione può spingere un violinista a diventare primo violino ma non direttore d’orchestra. Oppure il contrabbassista, una volta sviluppate le proprie capacità, potrebbe aspirare a suonare in un’orchestra più prestigiosa. Quanto al direttore, addestrata la propria orchestra durante le prove, svolgerà un ruolo marginale al concerto, proprio come un allenatore in una partita di calcio, pur rappresentando entrambi un’autorità forte e presente. Un’orchestra, dunque, rappresenta un’organizzazione fatta di professionisti in cui la crescita avviene spesso attraverso linee esterne e il coordinamento tra musicisti è diretto.

LA STRUTTURA ORIZZONTALE Le nuove strutture appena descritte sono di tipo orizzontale rispetto ai canali di comunicazione. Esistono ancora delle funzioni disciplinari ma non sono altro che dei serbatoi di competenze legati allo sviluppo di capacità professionali; hanno cioè un ruolo simile a quello dei processi di gestione della conoscenza, non un ruolo operativo. Infatti le persone perseguono obiettivi di tipo operativo all’interno di gruppi multifunzionali grazie al meccanismo dei team. Sono organizzazioni orientate al servizio, al cliente (customer) il quale spesso partecipa o è comunque rappresentato all’ interno dei team, allo sviluppo di conoscenza attraverso le strutture trasversali, e ai processi in quanto i team svolgono le attività legate ai processi stessi. Il tutto è poi coordinato da team di process owner; i meccanismi di coordinamento sono di tipo orizzontale.

FIG.11 L’emergere di nuovi modelli organizzativi

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PUNTI DI FOTZA E DEBOLEZZA DELLE ORGANIZZAZIONI ORIZZONTALI PUNTI DI FORZA:

Flessibilità e capacità di risposta ai cambiamenti dei bisogni del cliente. Sono tipicamente organizzazioni che, orientate al servizio; danno una risposta personalizzata ad una richiesta del cliente; sono quindi più veloci di una struttura funzionale in cui le variazioni sul prodotto significano cambiamenti non indifferenti dei processi.

Focalizzazione dell’attenzione sulla produzione di valore per il cliente: il cliente diventa il metro di soluzione dei conflitti interni.

Visione più diffusa e strategica degli obiettivi organizzativi grazie all’abolizione della struttura a piramide e alla riduzione della gerarchia

Maggiore attenzione alla collaborazione e al team working: il team ricopre un ruolo centrale grazie alla sua multidisciplinarietà.

Arricchimento dei contenuti del lavoro e più stimoli e responsabilità ai prestatoti d’opera: queste sono le organizzazioni in cui l’empowerement, il trasferimento di delega verso il basso, ha il maggior peso.

PUNTI DI DEBOLEZZA Difficoltà nella determinazione dei core process attorno ai quali focalizzarsi. Richiede un forte cambiamento culturale, la riprogettazione delle mansioni,

dello stile di management e dei sistemi informativi e di incentivazione Resistenza da parte del management tradizionale che finisce col sentirsi

defraudato di responsabilità e potere decisionale. Necessita di training Limite nelle possibilità di specializzarsi: il fatto di dover lavorare in team richiede

una maggiore interdisciplinarietà, un sapere trasversale.

SCELTA DELLE CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVE E PRIOPRITA’ COMPETETIVE Un’organizzazione non è mai solo di tipo orizzontale o verticale: i due aspetti spesso convivono insieme. Può essere di tipo verticale per migliorare il controllo, l’efficienza, la stabilita e l’affidabilità; può essere di tipo orizzontale per rispondere al fabbisogno di coordinamento, cambiamento, apprendimento, innovazione e flessibilità. Tuttavia al crescere della necessità di introdurre meccanismi di tipo orizzontale e al decrescere della necessità di mantenere quelli verticali, cambia la natura di fondo della struttura organizzativa.

FIG.12 La struttura orizzontale.

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Si passa dalla struttura funzionale (la più adatta ai contesti stabili) alla struttura funzionale con meccanismi di collegamento, alla soluzione divisionale e poi ancora alla struttura a matrice e, infine, struttura orizzontale. Riuscire ad approdare ad una struttura orizzontale è quanto mai problematico.

BARRIERE AI NUOVI MODELLI ORGANIZZAITIVI In un passo tratto dall’Autobiografia di Lee Iacocca - manager italo-americano del settore automobilistico, per molto tempo n° 1 della Ford - emergono due problematiche presenti alla Chrysler al momento dell’arrivo di Incocca: da una parte la conflittualità interfunzionale e, dall’altra, l’inerzia che, legata ad una miopia organizzativa di fondo, caratterizza il passaggio ai nuovi modelli organizzativi. “ …What I found at Chrysler were thirty-five managers, each with his own turf…I couldn’t believe, for example, that the guy running engineering department wasn’t in costant touch with his counterpart in manufactoring. But that’s how it was. Everybody worked indipendently. I took one look at the that system and I almost threw up. That’s when I knew I was in really deep trouble...Nobody at Chrysler seemed to understand that interaction among different fuctions in a company is absolutely critical. People in engeneering and manufactguring almost have to be sleeping together. These guy weren’t even filtring!...” Iacocca decise di rompere lo schema di tipo funzionale, identificando alcuni processi chiave e l’eccellenza dello sviluppo di nuovi prodotti come fattore di differenziazione rispetto ai concorrenti. Tutte le attività importanti passarono sotto il controllo dei process owner in cui erano riuniti dei responsabili del settore Ricerca e Sviluppo, marketing ecc. A seconda del tipo di attività, nei team di simultaneous engineering venivano riunite le risorse e le competenze specifiche ; che quindi subivano il passaggio dalla struttura al processo. Un simile modello organizzativo è stato adottato anche da Fiat che a partire dal 1992 abbandonò la tradizionale separazione tra l’ingegneria Fiat-Lancia di Torino e quella Alfa Romeo di Varese. Per realizzare la nuova Punto le responsabilità furono passate ai coordinatori di piattaforma e le attività di sviluppo portate avanti dai team di simultenous engineering. Tale sistema ha poi prevalso in ogni linea di prodotto. La Chrysler, tra le prime ad adottare questo modello, ha realizzato alti tassi di crescita, divenendo una delle maggiori imprese di successo negli anni ’90. E’ così arrivata alla fusione con la più innovativa delle imprese automobilistiche europee, la Mercedes. ESEMPI PARADIGMATICI DEI NUOVI ORIENTAMENTI

FIG.13 Scelta delle configurazioni organizzative.

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Ciba Geigy è un’industria farmaceutica che decise di spostare i propri stabilimenti dal Canada visti gli alti costi operativi e il basso grado di innovatività e qualità che aveva in quel paese. Venne adottata una terapia d’urto, fu fatta fuori la metà dei manager e furono trasferite le competenze verso il basso. L’impresa ne uscì molto più snella, riuscendo in un paio d’anni a diventare un modello di successo.

Eastman Company è invece un’impresa del settore chimico appartenente al gruppo Kodak. Fa parte delle cosiddette organizzazioni a pizza (un suo numero uno l’ha definita una peperoni pizza). La forma circolare esprime la mancanza di vertici e la comunicazione orizzontale. I peperoni rappresentano i team all’interno dei quali vengono svolte attività sia di tipo operativo che di controllo. I team possono essere sovrapposti: ne deriva una non chiara distinzione tra le responsabilità ed una certa predisposizione alla nascita di situazioni ambigue. Anche il top management si trova all’interno di un peperone, seppure quello centrale. La mozzarella rappresenta il tessuto connettivo che permette alle persone di scambiarsi informazioni, ottenere che vengano attuati i cambiamenti. I canali di comunicazione informali, i sistemi di incentivazione, la possibilità per i manager di migrare da un team all’altro, sono tutti collocati nella mozzarella.

Un’organizzazione a pizza presenta molti problemi in termini di mancanza di chiarezza, di difficoltà di definizione delle responsabilità e di formazione di stress e caos. L’iniziativa è affidata ai team, spesso in concorrenza tra loro. CONSEGUENZE DEI NUOVI MODELLI SUL RUOLO DELLE RISORSE UMANE

Confini dell’organizzazione. Le nuove organizzazioni tendono ad avere confini molto più sfumati, meno netti rispetto a quelle tradizionali, nelle quali vengono offerte alle persone maggiori protezione e tutela in termini di segnali di appartenenza ben visibili dall’esterno. Fuori, invece, si trovano clienti, fornitori, consulenti, ecc. tutti con un ben definito rapporto di tipo negoziale con l’azienda. Nei team delle organizzazioni orizzontali, invece, possono collaborare clienti e fornitori, dipendenti con contratti a termine e dipendenti veri e propri. Tutte queste persone appartengono unicamente a dei progetti e le loro capacità decisionali finiscono per essere impoverite, magari a favore delle società di consulenza.

Contratto implicito tra individuo e organizzazione. Il contratto delle organizzazioni tradizionali, così come emerge da un mansionario, prevede che il dipendente, mettendo a disposizione tempo e obbedienza (vincolata naturalmente ai termini del contratto) riceva in cambio sicurezza e protezione. Nelle grandi organizzazioni orizzontali, invece, alle persone viene richiesto di mettere in campo il proprio impegno e creatività nel perseguire dei risultati, ottenendo in cambio opportunità professionali e occasioni di crescita (Proprio come nella metafora dell’orchestra). Il vecchio modello, quello dell’ impiego, viene soppiantato da quello dell’impiegabilità, che vuole garantire le condizioni affinché i dipendenti arricchiscano le proprie professionalità durante il periodo di contratto. La formazione è una parte consistente della remunerazione

Ruolo del manager. La figura del manager tradizionale è quella del supervisore, dell’esperto di sistemi, capace di prendere decisioni in prima persona e quindi di risolvere i conflitti. Nei team working sono i componenti stessi che devono prendere insieme visione della strategia, dell’ambiente e del cambiamenti. La vecchia figura di manager rischia di ledere l’innovatività; il conflitto stesso, in quanto naturale conseguenza della multidisciplinarietà, crea valore per il cliente, parametro finale di misura per la qualità di un prodotto attorno a cui si concentrano varie attività. Il nuovo manager invece deve essere in grado di riconoscere e prestare la propria autorevolezza alle idee di miglioramento: uno sponsor dell’innovazione. Deve creare links di competenze, conoscenze e informazioni tra le diverse parti dell’organizzazione, essere un architetto delle relazioni interne ed esterne. Il manager, soprattutto a livello medio/grande, deve saper valorizzare le risorse a propria disposizione, al pari di un allenatore di una squadra di professionisti (trainer delle risorse).

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