Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

99
16.04.2012 Anatomia patologica Prof. Marzullo Andrea SBOBINATA DA: Giuliano Mersini CORRETTA DA: Francesco Spione PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI L'aterosclerosi Prima di parlare dell'aterosclerosi bisogna richiamare velocemente alla memoria quella che è l'anatomia dei vasi sanguigni; la parete della arterie è costituita fondamentalmente da tre strati o tonache: tonaca intima : in essa troviamo l'endotelio (una componente fondamentale implicata in tutti i processi fisiologici e patologici che coinvolgono la parete vascolare) e il connettivo sottoendoteliale; tonaca media o muscolare : è costituita da cellule muscolari lisce ed è separata dalla tonaca intima da una lamina elastica detta lamina elastica interna , che, essendo completa e senza soluzioni di continuità, separa nettamente le due tonache; la costituzione della tonaca media varia a seconda del calibro vascolare: le arterie di grosso calibro sono dette arterie elastiche perché nella loro tonaca media la componente di fibre elastiche supera quella di fibrocellule muscolari, mentre le arterie di medio calibro sono dette arterie muscolari perché presentano una più ampia componente fibrocellulare; man mano che il calibro delle arterie diminuisce fino ad arrivare ai capillari, la tonaca media si assottiglia fino a perdere la sua identità di tonaca; tonaca avventizia : è uno strato di connettivo separato dalla tonaca media tramite la lamina elastica esterna (più discontinua e incostante rispetto alla lamina elastica interna); la sua importanza sta nel fatto che accoglie i vasa vasorum e i nervina vasorum, strutture importanti, rispettivamente, per il trofismo e per l'innervazione dei vasi stessi, e tanto più rappresentate quanto maggiore è il calibro del vaso. Visto questo, possiamo ora parlare dell'aterosclerosi. Il termine più generico è quello di arteriosclerosi che, etimologicamente, vuol dire indurimento delle arterie”. Nell'ambito dell'arteriosclerosi, poi, individuiamo almeno 3 forme: 1. Aterosclerosi : indurimento delle arterie attribuibile all'accumulo di lipidi costituenti un ateroma nell'intima delle arterie di grosso e medio calibro. 2. Arteriolosclerosi : sclerosi delle arterie di piccolo e medio calibro (a differenza della sclerosi 1

Transcript of Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Page 1: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

16.04.2012

Anatomia patologica

Prof. Marzullo Andrea

SBOBINATA DA: Giuliano Mersini

CORRETTA DA: Francesco Spione

PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI

L'aterosclerosi

Prima di parlare dell'aterosclerosi bisogna richiamare velocemente alla memoria quella che è

l'anatomia dei vasi sanguigni; la parete della arterie è costituita fondamentalmente da tre strati o

tonache:

• tonaca intima : in essa troviamo l'endotelio (una componente fondamentale implicata in tutti

i processi fisiologici e patologici che coinvolgono la parete vascolare) e il connettivo

sottoendoteliale;

• tonaca media o muscolare : è costituita da cellule muscolari lisce ed è separata dalla tonaca

intima da una lamina elastica detta lamina elastica interna, che, essendo completa e senza

soluzioni di continuità, separa nettamente le due tonache; la costituzione della tonaca media

varia a seconda del calibro vascolare: le arterie di grosso calibro sono dette arterie elastiche

perché nella loro tonaca media la componente di fibre elastiche supera quella di fibrocellule

muscolari, mentre le arterie di medio calibro sono dette arterie muscolari perché presentano

una più ampia componente fibrocellulare; man mano che il calibro delle arterie diminuisce

fino ad arrivare ai capillari, la tonaca media si assottiglia fino a perdere la sua identità di

tonaca;

• tonaca avventizia : è uno strato di connettivo separato dalla tonaca media tramite la lamina

elastica esterna (più discontinua e incostante rispetto alla lamina elastica interna); la sua

importanza sta nel fatto che accoglie i vasa vasorum e i nervina vasorum, strutture

importanti, rispettivamente, per il trofismo e per l'innervazione dei vasi stessi, e tanto più

rappresentate quanto maggiore è il calibro del vaso.

Visto questo, possiamo ora parlare dell'aterosclerosi.

Il termine più generico è quello di arteriosclerosi che, etimologicamente, vuol dire

“indurimento delle arterie”. Nell'ambito dell'arteriosclerosi, poi, individuiamo almeno 3 forme:

1. Aterosclerosi : indurimento delle arterie attribuibile all'accumulo di lipidi costituenti un

ateroma nell'intima delle arterie di grosso e medio calibro.

2. Arteriolosclerosi : sclerosi delle arterie di piccolo e medio calibro (a differenza della sclerosi

1

Page 2: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

da ateroma, lesione che si sviluppa principalmente nelle arterie di grosso e medio calibro).

3. Sclerosi calcifica di Monckeberg : di questa non parleremo.

Fattori di rischio

Si possono distinguere due tipologie di fattori:

• Non modificabili o costitutivi :

1. Età: non è vero che l'aterosclerosi sia una malattia dell'età senile, anzi: le lesioni ateromatose

compaiono molto precocemente nella vita di un individuo e hanno una progressione

variabile a seconda dei fattori di rischio che ad esse si associano.

1. Sesso.

2. Familiarità.

• Modificabili o controllabili:

1. Dieta e ipercolesterolemia.

2. Disordini metabolici.

3. Fumo.

4. Ipertensione.

5. Alterazioni del flusso sanguigno (da laminare a turbolento).

La placca ateromatosa si forma prevalentemente in determinate aree:

-aorta (in tutto il suo decorso ma particolarmente nel tratto addominale);

-coronarie (un loro interessamento è alla base delle patologie ischemiche cardiache);

-carotidi extracraniche;

-arterie degli arti inferiori (in particolare le biforcazioni delle iliache, con l'iliaca esterna e quella

interna, e le arterie ipogastriche inferiori).

Guarda caso sono proprio le aree che subiscono un maggiore stress meccanico a presentare una più

elevata insorgenza di lesioni: le forze meccaniche di tensione a carico della parete sono talmente

accentuate da favorire la formazione di placche in sede locale. Quindi quando cercheremo delle

lesioni aterosclerotiche correlate a determinate patologie, andremo ad indagare soprattutto nei

suddetti distretti corporei.

Patogenesi dell'aterosclerosi

L'aterosclerosi costituisce una patologia perché l'accumulo del materiale lipidico

nell'intima vasale determina una riduzione del lume del vaso e, conseguentemente, una riduzione

del flusso vascolare. Certo, soprattutto nei vasi di grosso calibro come l'aorta, la formazione di una

placca riduce il flusso solo relativamente; in questo caso sono altre le complicanze legate alla

2

Page 3: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

formazione di una placca:

• la placca modifica le proprietà anticoagulanti dell'endotelio, provocando la comparsa di una

trombosi che si sovrappone alla placca e può determinare una riduzione critica del lume

vasale;

• complicanze ateroemboliche: nel processo di crescita del materiale ateromatoso si possono

distaccare, per fatti occasionali traumatici o infettivi, dei piccoli frammenti di materiale

trombotico che può dar luogo ad eventi embolici nei distretti tissutali più a valle;

• complicanze locali della placca: un'emorragia, ad esempio, nel contesto della placca può

causarne la dilatazione improvvisa con occlusione acuta del lume vasale.

In genere, l'aterosclerosi vive con noi; possono però

intervenire nell'evoluzione della placca una serie di complicanze

che determinano riduzione del flusso in particolari distretti.

Nella figura in sezione trasversa si può osservare come già nella

prima e seconda decade cominci ad accumularsi nel contesto del

vaso del materiale che determina una minima riduzione del

lume; i8n seconda e terza decade si formano le prime placche

fibrose, degli ispessimenti non particolarmente rilevanti ma che

a lungo andare riducono progressivamente il lume vasale. Se nelle prime due decadi la distribuzione

delle placche è concentrica e omogenea lungo tutta la parete, col passare dell'età le placche si

dispongono eccentricamente nel lume. Tra terza e quarta decade c'è una placca molto più rilevata

3

Page 4: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

con significativa riduzione del lume; a seconda del tessuto in cui ci troviamo possiamo avere esiti

diversi: se la placca impegna una coronaria si può avere infarto miocardico (che inizia

caratteristicamente appunto nella 4° e 5° decade di vita), se coinvolge le carotidi l'esito può essere

un infarto encefalico (compare più tardivamente a causa dell'anatomia delle carotidi), se interessa i

vasi degli arti può dare lesioni ischemiche delle estremità (tipiche di soggetti con disordini

metabolico-ormonali come il diabete), se collocata in aorta può provocare patologie aneurismatiche

(caratteristiche anche se non esclusive dell'età adulta avanzata).

La storia dell'aterosclerosi si avvale di una terminologia generale che indica vari tipi di

lesioni:

1. Le placche intimali di tipo gelatinoso si ritrovano solo in età estremamente precoce, ma il

loro significato è dibattuto: non è detto che siano lesioni aterosclerotiche vere e proprie

anche perché impegnano regioni dell'albero vascolare che normalmente non sono coinvolte

nell'aterosclerosi avanzata; sembrerebbero perciò più un fenomeno di rimaneggiamento

della parete vasale.

2. Le strie lipidiche sono la prima lesione che ci fa pensare effettivamente ad una placca

aterosclerotica: sono delle strie, piccoli rilievi quasi impercettibili, giallastri, che sono

espressione dell'accumulo di lipidi, specialmente colesterolo ed esteri del colesterolo,

all'interno delle cellule muscolari lisce; sono, perciò, accumuli intracellulari generalmente

reversibili: in questo tipo di placche si osserva un fenomeno dinamico, con cellule che

accumulano lipidi e cellule che li perdono o li degradano. Le cellule ricolme di materiale

lipidico vengono dette “foam cells”.

3. Edema gelatinoso : lo nominiamo ma lo tralasciamo.

Il concetto essenziale che bisogna ricordarsi è che finché il materiale lipidico è contenuto

all'interno della cellula non costituisce un dato molto significativo perché le cellule sono comunque

in grado di metabolizzarlo; il problema insorge quando l'accumulo intracellulare determina la morte

cellulare per danno diretto o per apoptosi, inducendo il rilascio degli esteri del colesterolo

all'esterno, nell'interstizio della placca: essendo i lipidi particolarmente irritanti dal punto di vista

metabolico, una volta fuoriusciti evocano una serie di risposte endoteliali tra cui una reazione

fibrogenica con la formazione del cappuccio fibroso, una sorta di guaina che ha il senso di inglobare

e circoscrivere il materiale lipidico fuoriuscito. Di conseguenza la

4. placca aterosclerotica vera e propria sarà così costituita: un core lipidico circondato da

un cappuccio fibroso; la formazione del cappuccio non significa che il fenomeno si

fermi a questo punto: l'accumulo stesso di lipidi richiama cellule infiammatorie in loco,

quali monociti-macrofagi e istiociti, che determinano fenomeni di necrocsi, di

rimaneggiamento della placca.

4

Page 5: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Del resto, l'ipotesi che l'aterosclerosi sia una patologia degenerativo-infiammatoria è ormai

da tempo consolidata: nei pazienti con aterosclerosi importante si è osservato un aumento della PCR

e ciò ha portato alla formulazione di una “teoria infettiva”, che correla la formazione di placche ad

eventi infettivi importanti. Le cellule infiammatorie richiamate nel tentativo di degradare i lipidi

rilasciano una serie di enzimi che, essendo però aspecifici, degradano assieme ai lipidi anche le

componenti della parete endoteliale e della placca stessa, erodendola dall'interno. Oltre a ciò

bisogna considerare che l'ispessimento della parete vascolare determina ipossia delle cellule della

parete con rilascio di fattori angiogenici in seguito all'attivazione dell'HIF: i fattori angiogenici

stimolano la formazione di nuovi vasi, piccoli e dalla parete sottile, che dovrebbero supplire alle

richieste di ossigeno della parete vasale(il processo prende il nome di ricanalizzazione della placca):

nei fatti, però, il tentativo di vascolarizzazione si può definire abortivo perché la parete dei neovasi,

in quanto sottile, va facilmente incontro a rotture; di conseguenza non solo non è permessa

un'opportuna ossigenazione dei tessuti ma il sangue che viene così rilasciato nel core della placca

contribuisce, assieme ai lipidi extracellulari e all'eventuale materiale necrotico già ivi presenti,

all'ingrossamento della placca stessa e quindi all'occlusione del vaso in cui la placca si è formata.

La progressiva erosione del vaso, di cui si è parlato prima, causa inoltre alterazioni a carico

dell'endotelio, con il conseguente suo distacco e la formazione di fenomeni trombotici che possono

occludere il vaso localmente o distaccarsi come emboli e occludere vasi disposti più a valle.

Per riassumere, la placca aterosclerotica è quindi una lesione focale; in una placca “classica”, cioè

ben definita o matura, che dir si voglia, è possibile riconoscere tre componenti fondamentali:

1. il core, l'area centrale contenente lipidi, colesterolo e suoi esteri, aree necrotiche;

2. il cappuccio fibroso, costituito da fibre collagene e rare fibre elastiche;

3. un'area più periferica molto eterogenea.

Qual'è la patogenesi dell'indurimento arterioso? La formazione focale di una placca

aterosclerotica determina un decubito, cioè un accumulo di materiale poggiante sulla parete

vascolare: ciò causa un rimaneggiamento della parete stessa, in particolare della tonaca media, le

cui fibrocellule muscolari vanno incontro ad atrofia progressiva, fino ad essere in parte o del tutto

sostituite con tessuto fibroso; la perdita della componente muscolare liscia determina una riduzione

della tonicità ed elasticità vascolari, quindi un indurimento della parete, come il termine stesso

etimologicamente suggerisce (questo fenomeno, associato alle variazioni in senso turbolento del

flusso ematico, può portare a sfiancamento della parete vascolare e ad aneurismi); ecco spiegato

come mai, benché la lesione sia localizzata nella tonaca intima, l'indurimento riguardi la parete in

toto.

Vista la generalità dell'aterosclerosi, ora vediamo alcune situazioni specifiche in cui

intervengono le lesioni ateromatiche.

5

Page 6: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

L'aterosclerosi coronarica

È responsabile delle cardiopatie ischemiche e può essere sia monodistrettuale, ovvero

interessare solo una delle diramazioni coronariche, oppure pluridistrettuale, e interessare due o più

diramazioni.

Generalmente può interessare uno qualsiasi dei rami: la coronaria destra, coi suoi rami

marginale destro e interventricolare posteriore, o la sinistra, con i suoi due rami circonflesso e

interventricolare o discendente anteriore. Poiché le coronarie rappresentano dei vasi di medio

calibro (nei loro rami più grossi le coronarie raggiungono un diametro di appena 5 mm) una placca

determina notevole riduzione del lume e del flusso. Vari sono i meccanismi di riduzione del lume

vascolare :

− per ulcerazione o trombizzazione della placca;

− per disseccamento e rottura della placca;

− per emorragia intramurale ed espansione della placca;

− per aneurismi

− per spasmo indotto da sollecitazioni di natura irritativa da parte della placca sulle

fibrocellule muscolari lisce della tonaca media, laddove conservata.

Prima di parlare diffusamente dell'aterosclerosi coronarica bisogna focalizzare l'attenzione sulla

arteriolosclerosi: essa fa parte delle patologie aterosclerotiche (come tale è, quindi, una patologia

degenerativa della parete vascolare) e consiste in un indurimento della parete delle arterie di piccolo

calibro. È correlata prevalentemente con l'ipertensione e ve ne sono diverse forme: la più comune è

l'arteriolosclerosi cosiddetta ialina, caratterizzata da accumulo nell'intima e nella media di materiale

omogeneo, eosinofilo (si colora in rosso con la colorazione ematossilina-eosina). È localizzata

soprattutto in quegli organi che soffrono maggiormente l'ipertensione, quali il rene: le arteriole

afferenti glomerulari e le arterie arciformi sono particolarmente colpite da fenomeni di

ialinizzazione. È un processo benigno, nel senso che progredisce lentamente e dà segno di sé solo in

una fase avanzata: nei soggetti predisposti, come gli anziani, può dar luogo ad una insufficienza

renale cronica. Nei soggetti diabetici le alterazioni arteriolosclerotiche sono più precoci e danno un

quadro noto come microangiopatia diabetica, che, sebbene coinvolga in particolare il rene, in realtà

interessa vari organi ed è alla base dei fatti ischemici alle estremità, con conseguenti ulcerazioni.

Al contrario dell'aterosclerosi, nel caso dell'arteriolosclerosi il coinvolgimento di vasi di

piccolo calibro rende più difficoltoso l'intervento terapeutico e più difficile un compenso

emodinamico: quando sono ostruite le grosse arterie è più frequente che si realizzino circoli

anastomotici vicarianti, mentre se l'ostruzione riguarda il microcircolo le anastomosi si instaurano

più difficilmente.

6

Page 7: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Esistono altre due forme di arteriolosclerosi, meno frequenti:

− l'arteriolosclerosi iperplastica, in cui c'è iperplasia concentrica “a bulbo di cipolla” delle

fibrocellule muscolari della tonaca media;

− l'arteriolosclerosi necrotizzante, in cui, nel contesto di una parete in cui vi è già un quadro di

arteriolosclerosi ialina, si formano delle aree di necrosi fibrinoide; quando si osserva in una

arteriolosclerosi ialina renale è indice di una rapida progressione del danno renale con

un'accelerazione verso l'insufficienza renale (il quadro associato di arteriolosclerosi ialina e

arteriolosclerosi necrotizzante prende il nome di nefroangiosclerosi maligna).

Cardiopatie ischemiche

Con il termine di cardiopatie ischemiche intendiamo le malattie ischemiche del miocardio,

cioè tutte quelle malattie dovute a riduzione o arresto completo del flusso arterioso a livello del

miocardio. La situazione clinica più comune legata a queste patologie è l'angina pectoris (dolore di

petto), ma non ne parleremo perché non ha un correlativo anatomo-patologico (anche perché

nessuno muore di angina pectoris). Poi c'è l'infarto miocardico: la distinzione con l'angina è dovuta

al fatto che nell'infarto la riduzione del flusso ha avuto un'entità tale o una durata tale da causare un

danno necrotico a i tessuti.

Nella cardiopatia ischemica cronica invece c'è una riduzione del flusso non acuta ma cronica, tale

da non determinare la morte dei tessuti ma da stimolarne un rimaneggiamento in senso

degenerativo, per cui il miocardio si adatta ad una condizione ipossica cronica: riduce il proprio

metabolismo, riduce le proprie fibre con fenomeni di atrofia e, infine, può comunque andare

incontro a fenomeni fibrotici o sviluppare piccole aree disseminate di necrosi infartuale; si può

giungere ad una condizione di cardiopatia ischemica cronica in seguito a una situazione di ipossia

cronica o per accumulo di più infarti, che riducono l'area di miocardio funzionale, ma nessuno dei

quali ha determinato l'exitus.

L'ultimo evento associato a cardiopatia ischemica coronarica è la morte improvvisa coronarica: in

questo caso l'occlusione coronarica è seguita dalla generazione di una aritmia che impedisce il

regolare ciclo cardiaco e provoca morte subitanea: il cuore dell'individuo all'esame autoptico non

presenta segni macroscopici di infarto perché semplicemente non hanno avuto il tempo di

manifestarsi. La cardiopatia ischemica coronarica rientra nel capitolo delle morti improvvise

cardiache (come quelle dovute a cardiomiopatia ipertrofica), le quali rientrano nel capitolo delle

morti improvvise, cioè non preventivate, per cause non cardiache (ad esempio, la rottura di un

aneurisma aortico).

Infarto del miocardio

7

Page 8: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

È la prima causa di morte nei paesi sviluppati dell'Occidente; ha una maggiore incidenza nel

maschio già nella quinta, sesta decade, mentre nelle donne l'incidenza maggiore si ha dai 70 anni, in

virtù della protezione dagli eventi ischemici del miocardio offerta alle donne dagli estrogeni

prodotti durante la vita fertile (addirittura si parla di due organi diversi: un cuore maschile e uno

femminile). I fattori di rischio sono gli stessi dell'aterosclerosi, con particolare importanza al fumo

di sigaretta, alla dieta lipidica ipercolesterolemica, all'ipertensione arteriosa e anche alla familiarità.

L'associazione di tutti questi fattori determina una maggiore precocità degli eventi infartuali.

L'infarto è dovuto ad una discrepanza tra il fabbisogno di ossigeno del miocardio e l'afflusso

di ossigeno. La coronarosclerosi è responsabile del più dell'80% degli eventi di infarto, il che vuol

dire che è la causa più frequente ma non l'unica; altre possibili cause sono:

-l'embolia coronarica, ovvero la possibilità che un embolo che si è formato all'interno del cuore, per

esempio nel caso di una endocardite valvolare, possa imboccare la via delle coronarie;

-l'ipoperfusione da ipotensione generalizzata;

-arteriti: i vasi coronarici, in particolare quello del nodo atrioventricolare, possono essere, anche se

raramente, sede di panarteriti nodose;

-vasospasmo: di quest'ultimo non è possibile individuare un correlato anatomico, a differenza delle

altre cause di infarto miocardico, che lasciano un segno anatomicamente rilevabile (placca, embolo,

tessuto infiammato). Il vasospasmo deve essere persistente e prolungato per poter dare la morte per

infarto.

Un infarto può essere differenziato in:

• transmurale: quando coinvolge tutto lo spessore della parete cardiaca risparmiando nel

migliore dei casi una sottile rima di tessuto endocardico, che riceve ossigeno per diffusione

diretta dal sangue contenuto nelle cavità cardiache, e una sottile rima epicardica, che riceve

sangue da rami coronarici superficiali pervi; generalmente è voluminoso e si estende per 2-

3,5 cm2 ; di solito coincide con la distribuzione coronarica;

• subendocardico: colpisce la metà o il terzo interno della parete perlopiù in maniera

circonferenziale; spesso è molto esteso e non ripete la distribuzione coronarica. Solitamente

la sede più colpita è il ventricolo sinistro.

Si tratta di due infarti completamente diversi: quello transmurale è da attribuire all'occlusione di un

grosso ramo epicardico o di una sua ramificazione minore; quanto più prossimale è l'occlusione

tanto più ampia è l'area colpita, che coincide con l'area di distribuzione della coronaria. Questo è un

infarto per occlusione, ma vi possono anche essere infarti in cui l'ischemia non è dovuta ad

occlusione di un ramo coronarico (infarti non dovuti ad occlusione) bensì ad una forma diffusa di

aterosclerosi coronarica: in condizioni fisiologiche, quando si passa da un battito a livelli basali a

uno accelerato per aumentata richiesta di ossigeno, la elasticità e tonicità dei capillari permette una

8

Page 9: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

risposta adattativa più rapida ed efficace; quando però tutti i capillari sono interessati da

aterosclerosi, questa funzione viene meno e un deficit, che a riposo passa inosservato, può tradursi,

sotto sforzo, in una discrepanza tra fabbisogno del miocardio e rifornimento di ossigeno (ischemia

relativa) che porta ad un infarto subendocardico estremamente diffuso.

Dal punto di vista terapeutico questa distinzione ha una elevata importanza: nel primo caso si può

agire con terapia trombolitica localizzata, nel secondo l'unica soluzione è il bypass autocoronarico.

In linea generale ormai, almeno dal punto di vista autoptico, la forma di infarto più frequente è

quello non dovuto ad occlusione, perché l'altro tipo ha più chances di essere risolto.

Nell'infarto c'è una sorta di “cronologia”: il danno si distribuisce, secondo un'onda

ischemica a partire dall'endocardio per poi risalire nello spessore della parete; è quindi importante

circoscrivere l'evento ischemico, agendo per tempo in maniera da evitare la diffusione dell'onda

ischemica.

Modelli di circolo coronario

Il tipo di infarto dipende

molto dal tipo di distribuzione

anatomica coronarica; a questo

proposito distinguiamo tre

modelli di distribuzione del

circolo coronarico:

• dominanza dx (nel 60%

della popolazione):

l'arteria interventricolare

posteriore origina dalla

coronaria di destra; una

occlusione di questa

arteria determina un

infarto esteso alla parete

posteriore del ventricolo

sx, al setto

interventricolare, a parte

della parete posteriore

del ventricolo dx;

• dominanza sx (nel 25%

della popolazione):

9

Page 10: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

l'arteria interventricolare posteriore origina dalla coronaria di sinistra, perciò un'occlusione

della coronaria destra provoca infarto essenzialmente in una piccola porzione del setto

interventricolare e della parete posteriore del ventricolo destro)

• distribuzione bilanciata (nel restante 15%): l'arteria interventricolare posteriore origina sia

dalla coronaria sx che dalla dx; di conseguenza un'occlusione della coronaria dx in questa

situazione è meno grave che nelle prime due.

Sedi dell'infarto

Ad essere maggiormente colpito dall'infarto è il ventricolo sinistro: poiché la sua forza di

contrazione deve essere elevata per poter spingere il sangue nel circolo sistemico attraverso l'aorta,

elevato è anche il suo consumo di ossigeno e maggiori saranno i danni in situazioni di ischemia.

L'infarto del ventricolo destro si verifica ma meno frequentemente per i motivi suddetti; inoltre,

anche quando si verifica, vista la ridotta forza contrattile esercitata dal ventricolo destro, il danno ha

ridotte conseguenze dal punto di vista funzionale.

A seconda della coronaria ostruita si possono avere varie sedi di infarto, più o meno ampie

in base alla posizione del punto ostruito:

• infarto anterosettale: coinvolge la parete anteriore del ventricolo sx e la parte anteriore del

setto interventrivolare ed è dovuto ad ostruzione del ramo discendente anteriore dell'arteria

coronaria sx;

• infarto posterosettale: coinvolge la parete posteriore del ventricolo sx e la parte posteriore

del setto interventricolare ed è dovuto ad ostruzione del ramo discendente posteriore in

dominanza destra oppure del ramo circonflesso in dominanza sinistra;

• infarto laterale: coinvolge solo la parte laterale del ventricolo sx ed è dovuto ad ostruzione

del ramo circonflesso dell'arteria coronaria sx in dominanza destra (in quanto la restante

parte del ventricolo viene fornita dal ramo discendente posteriore derivante dalla coronaria

dx);

• infarto lateroposteriore: coinvolge un'area più ampia del ventricolo sx rispetto all'infarto

laterale ed è dovuto all'occlusione del ramo circonflesso in dominanza sinistra (in quanto in

questo tipo di dominanza il ramo circonflesso fornisce non solo la parte laterale del

ventricolo ma anche il ramo interventricolare posteriore).

Modificazioni macroscopiche e microscopiche nell'infarto

I cambiamenti macroscopici intervengono piuttosto tardivamente, circa 12- 15 ore

dall'evento ischemico: è quindi necessario che l'individuo sopravviva almeno 12-15 ore all'infarto

perché possano essere evidenti le alterazioni morfologiche. A seconda delle alterazioni riscontrate

10

Page 11: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

possiamo studiare la progressione dei danni:

1. dopo 12-15 ore: l'area infartuata appare pallida, perché povera di sangue, ed edematosa;

2. dopo 24-36 ore: l'area presenta un centro opaco giallastro di cellule degenerate circondate da

un alone emorragico dovuto ai vasi dilatati per le reazioni infiammatorie conseguenti alla

lesione;

3. dopo 3-4 giorni: l’area necrotica viene rimaneggiata perché intervengono una serie di

fenomeni(infiltrazione flogistica, ecc) che rimuove la porzione necrotica e

conseguentemente la zona diventa più cedevole e anche il confine emorragico diventa molto

più netto, di colore grigio rossastro;

4. a 3 settimane: la necrosi viene eliminata e ciò porta ad assottigliamento della parete cardiaca

e a sviluppo di fenomeni fibrotici con formazione di una prima cicatrice marrone;

5. a 3 mesi: la cicatrice si è ormai stabilizzata e ha assunto un colore bianco.

Le alterazioni microscopiche sono invece più precoci: entro 6 ore compaiono già i primi

segni di sofferenza cellulare, che bisogna indagare per poter evitare il progredire del danno;

1. comparsa neutrofili e rilevamento del danno cellulare attraverso la valutazione degli enzimi

normalmente sequestrati all'interno delle cellule e l'esame citologico per rilevare eventuali

figure nucleari picnotiche tipiche della necrosi;

2. riduzione dei neutrofili e aumento dei macrofagi, dei linfociti e delle plasmacellule;

3. aumento proliferazione dei fibroblasti e incremento della deposizione di fibre collagene per

la formazione della cicatrice;

4. fenomeni angiogenici.

Per quanto riguarda la necrosi, una particolare figura citologica è rappresentata dalla necrosi a

bande di contrazione: le bande sono dovute alla sovrapposizione delle fibre dei miocardiociti in

seguito alla degradazione delle estremità (le fibre si sfilacciano) oppure a causa dell'alterato legame

con l'ATP (le fibre di miosina non lo legano e perciò rimangono saldamente ancorate all'actina,

determinando contrazione persistente.

Mortalità, letalità e complicanze dell'infarto miocardico

Il 20-25% dei pazienti muore nelle prime ore dall'infarto, il 10-15% nel primo mese, il 3-5%

per ogni anno successivo, il 50% muore entro 5 anni. L'elevata percentuale di morti già nelle prime

ore si spiega con una serie di fattori che seguono l'evento infartuale: infatti non può essere la necrosi

la causa della morte, avendo visto che spesso le aree di necrosi sono molto piccole o addirittura il

paziente non sopravvive abbastanza a lungo per permettere la loro manifestazione macroscopica.

La morte è perciò dovuta ad altri eventi:

11

Page 12: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

• morte improvvisa (nel 70% dei casi) da arresto cardiaco per asistolia da blocco di

conduzione, in quanto le fibre del sistema di conduzione risultano coinvolte nei danni; può

essere dovuta anche alla fibrillazione ventricolare seguente allo scombussolamento del

sistema si conduzione;

• dissociazione elettromeccanica: il sistema di conduzione è a posto ma è il miocardio

contrattile ad essere stato danneggiato dall'infarto e a non rispondere agli stimoli elettrici;

• shock cardiogeno: la ridotta contrattilità determina una ridotta gittata cardiaca e di

conseguenza aggrava l'ischemia;

• insufficienza congestizia: viene di conseguenza allo shock cardiogeno e alla dilatazione

ventricolare da ipocontrattilità, poiché il sangue che si accumula nel cuore senza poter essere

efficientemente espulso ristagna, determinando sovraccarico del circolo polmonare, con

edema polmonare.

Oltre a questo, chi riesce a sopravvivere all'infarto può sviluppare delle complicanze gravi, che a

loro volta possono portare a morte:

• trombosi murale: le alterazioni a carico dell'endocardio dovute alla stasi vascolare ne

modificano le proprietà anticoagulanti, causando la formazione di trombi sulla parete

luminale che, finché il paziente è allettato rimangono in situ, ma quando il paziente si alza o

fa sforzi eccessivi o, ancora, quando il trombo stesso si frammenta in seguito a fenomeni di

rimaneggiamento, possono dare complicanze tromboemboliche;

• pericardite epistenocardica: è un'infiammazione che si sovrappone (epi) all'area di ischemia

(stenocardia) e che può provocare una reazione infiammatoria di tipo sierofibrinoso, che

causa sfregamento dei due foglietti pericardici ad ogni battito cardiaco e fenomeni di

aderenza cicatriziale tra i foglietti stessi;

• disturbi del ritmo: possono essere costanti, quando sono dovuti a danni permanenti a carico

del miocardio di conduzione, oppure (come succede frequentemente nel caso del nodo

senoatriale, irrorato da un vaso dedicato) momentanei, in seguito ad alterazioni, come

l'edema, del tessuto che circonda il nodo e che può alterarne il funzionamento: risolto

l'edema il miocardio di conduzione riprende la sua attività;

• aneurisma cronico: è dovuto a formazioni di aree fibrotiche che in sistole accolgono il

sangue entro sé, in diastole si sfiancano e lo reimmettono nel lume ventricolare; questi

continui cicli determinano uno sfiancamento della parete fino allo sviluppo di aneurismi,

distinti dall'espansione acuta, in quanto quest'ultima è dovuta ad uno sfiancamento rapido

della parete cardiaca già assottigliata dai continui rimaneggiamenti fibrotici; il risultato della

fragilità di parete può essere la:

12

Page 13: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

• rottura di cuore: si può rompere la parete libera (provocando travaso di sangue in pericardio,

con tamponamento cardiaco), i muscoli papillari (provocando insufficienza valvolare), il

setto atrioventricolare (provocando la formazione di shunt artero-venosi).

18/04/2012 anatomia patologia

Sbobinato da : Gaia professor Marzullo

Corretto da: Boris

INFARTO MIOCARDICO ACUTO

Ricapitoliamo gli aspetti della cardiopatia ischemica ,abbiamo cercato di capire qual è la patogenesi

dell’infarto; abbiamo distinto due entità importanti che sono:

• l’infarto subendocardico quello diffuso, quello associato ad ostruzione non coronarica con la

malattia di uno ,due ,tre vasi coronarici, e lo abbiamo distinto

• dall’infarto intramurale dovuto all’ostruzione generalmente di un singolo ramo coronarico

cioè da sub-endocardico a sub-epicardico a epicardico .

Ci siamo chiesti quali sono i substrati morfologici sia macroscopici che microscopici, la tempistica,

cioè la cronologia dell’infarto, che è estremamente importante per datare l’infarto e poi ci siamo

posti il problema “perché si muore d’infarto ?”e abbiamo scoperto che non solo la mortalità è più

elevata nelle prime ore dell’infarto e questo ci fa capire i meccanismi dell’onda ischemica che si

propaga dal momento zero fino nel corso delle ore,ma anche che tanto è precoce l’intervento tanto è

maggiore la possibilità di ridurre l’estensione dell’area necrotica. Si muore d’infarto

prevalentemente per disturbi di tipo aritmico per l’insorgenza di aritmie fatali generalmente ad alta

frequenza come la fibrillazione ventricolare o per incapacità del miocardio di rispondere allo

stimolo elettrico cioè per dissociazione elettromeccanica quindi la persistenza di un complesso QRS

ovvero di un’alterazione ECG minima cui non corrisponde un’effettiva efficacia contrattile del

cuore e poi siamo andati su quelle che sono le alterazioni più grossolane che sono lo shock

13

Page 14: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

cardiogeno cioè l’incapacità contrattile del cuore o ancora la rottura del cuore stesso sia della parete

libera sia del setto sia del muscolo papillare, sono tre eventi possibili a seconda di dove è

l’ostruzione e rispettivamente questo determina:

1. un tamponamento cardiaco nel caso della rottura della parete libera,

2. uno shunt sinistro- destro nel caso della rottura del setto interventricolare con iperafflusso

polmonare e quindi conseguentemente un edema polmonare oppure

3. una insufficienza valvolare acuta quando si ha la rottura dei muscoli papillari o di un

muscolo papillare(ricordate il muscolo non è una struttura tendinea che non essendo

vascolarizzata ed essendo molto tenace non può rompersi).

Abbiamo detto che la rottura del cuore come evento è molto più probabile in termini percentuali

ma non è particolarmente frequente(il 10% delle morti per infarto acuto ,e non delle morti

complessive),è maggiormente frequente in quei soggetti di età avanzata dove vi è sia

un’insufficienza maggiore dei circoli collaterali ,sia una minore sensibilità al dolore(si dice l’infarto

del vecchio-vecchio) è privo o povero di tutto quel corredato sintomatologico che l’infarto classico

da (la pre-cordialgia e l’irradiazione brachiale etc…); questo evidentemente fa si che ci si renda

conto più tardivamente di questo evento e quindi la rottura è un evento più probabile. Nei soggetti

di sesso femminile questo evento è più frequente soprattutto al primo infarto là dove non vi è stata

la possibilità dovuta all’insorgenza più tardiva di aterosclerosi, un fattore importante per la

patogenesi di creare un circolo collaterale, e quindi la mancanza di un circolo collaterale fa si che il

primo infarto là dove si determina possa essere più distruttivo quindi catastrofico. Anche

l’ipertensione è un fattore aggravante visto che le maggiori pressioni inter-intra ventricolari

,facilitano appunto la rottura e la lacerazione cardiaca; una parete sottoposta ad una maggiore

tensione (nei soggetti ipertesi) conseguentemente ha un rischio della rottura maggiore, e

soprattutto è importante ricordare che la rottura è meno difficile al primo infarto. Questo perché al

primo infarto non vi sono circoli collaterali che compensano con rami perforanti diagonali il circolo

coronarico ( in qualche maniera circoscrivendo l’evento infartuale) e anche perché al primo infarto

il cuore non ha tutti zone di fibrosi e cicatrici tenaci; al contrario le pareti muscolari si possono

lacerare con più semplicità : praticamente un soggetto più infarti fa e minore è il rischio di rottura .

La rottura dei muscoli papillari può essere completa o incompleta a seconda se vi è una lacerazione

completa del muscolo e quindi questo si stacca di netto oppure può essere incompleta e

naturalmente il grado di insufficienza valvolare mitrale che si può ottenere varia al variare del

danno.

La rottura della parete libera non è un evento catastrofico dal punto di vista morfologico ma appare

come un minuscolo buchino attraverso il quale però a causa della pressione ventricolare sinistra

14

Page 15: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

fuoriesce nell’unità di tempo una certa quantità di sangue. Se poi si considera che il pericardio

parietale è rigido (a differenza del pericardio viscerale che è molle e si adatta) possiamo

immaginare che pompando una grande quantità di sangue in esso questo diventa ancora più rigido e

opporrà la sua forza; ecco perché si crea il tamponamento. Ma se per ipotesi si immette una quantità

di liquido anche 5 volte superiore molto lentamente il sacco pericardico finisce per adattarsi; quindi

il meccanismo del tamponamento non è soltanto una certa quantità di sangue ma nell’unità di tempo

cioè vale a dire in un tempo breve, perché questo da il tamponamento il fatto che il sacco diventa

rigido e quindi impedisce la dilatazione diastolica quindi il movimento del cuore all’interno. Se la

stessa quantità di sangue fosse (300-400 cc) immessa nel sacco pericardico lentamente, goccia a

goccia questo darebbe un versamento pericardico (fusion) ma non un tamponamento perché il sacco

pericardico si adatterebbe, quindi è un fatto dinamico. Ricapitolando il tamponamento è determinato

dalla fuoriuscita di 200-300-400cc di sangue in un lasso di tempo breve. (quando vi è un

emopericardio tutto appare blu-violaceo perché il pericardio è stirato ed è compresso da tutto il

sangue che è contenuto all’interno)

CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA

Rappresenta tutte quelle alterazioni a cui il cuore va incontro non solo per ripetuti infarti (per cui

l’area cardiaca che è compromessa è progressivamente crescente e si ha una riduzione della sua

capacità di contrazione ) ma anche perché vi è una compromissione di tutto il circolo coronarico che

determina una progressiva atrofia della componente miocitaria cioè delle fibre muscolari cardiache

e questa progressiva atrofia si traduce in un rimaneggiamento e in una sostituzione della

componente miocitaria da parte di una componente fibrosa. Quindi esistono due vie per arrivare allo

stesso risultato:

• colui che fa più infarti sintomatici

• o colui con una coronaro-sclerosi tri-vascolare severa.

Il problema della cardiopatia ischemica cronica è che:

• proprio perché la componente muscolare progressivamente si riduce , viene

sostituita da tessuto fibroso,

• si ha uno sfiancamento della cavità ventricolare sinistra perché il cuore cede sotto

la pressione e la tensione endocavitaria sfiancandosi,

• le pareti si assottigliano progressivamente ovvero le fibre muscolari residue si

ipertrofizzano ma non in senso trasversale il che si dovrebbe tradurre in un

aumento dello spessore, ma in senso longitudinale ;

15

Page 16: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Quindi c’è l’allungamento delle fibre locali, uno stiramento di quelle residue, la riduzione

numerica delle fibre stesse, la sostituzione del tessuto fibroso si traduce progressivamente in uno

sfiancamento. Lo sfiancamento e la dilatazione della cavità ventricolare è un evento dannoso

perché intanto il cuore si contrae di meno perché c’è una ridotta componente muscolare e dall’altro

aumentandosi e sfiancandosi aumenta sempre di più la quota di sangue che rimane stabilmente

nella cavità ventricolare, cioè quella porzione “morta” o ipo-mobile o comunque che rimane lì

stanziale, che pertanto è un accumulo cronico di deficit perché il cuore non riesce a pompare e

conseguentemente si sfianca ma sfiancandosi aumentano i diametri e fa ancora più difficoltà,

quindi alla fine il paziente muore non perché avrà un infarto, ma perché va incontro ad un

fenomeno di scompenso cardiaco cioè un’ insufficienza di pompa che evidentemente darà una

riduzione della gittata cardiaca, un sub edema polmonare e così via; quindi questo paziente va

incontro ad uno scompenso cronico, ma presenta un rischio maggiore di sviluppare aritmie (visto la

disomogeneità della parete che diventa a chiazze muscolari e fibrose), che a loro volta

compromettono ulteriormente l’efficienza contrattile. Quindi sono pazienti che possono mettere

pace-maker, fibrillatori e quant’altro di questa terapia in questa evoluzione lenta ma progressiva.

Tutta questa situazione di scompenso può determinare:

o una ipertensione polmonare soprattutto per stasi venosa ovvero a livello dilatazione atriale

sinistra,

o sovraccarico delle vene polmonari e poi aumento delle pressioni endopolmonari e

conseguentemente tutti gli eventi che possono accompagnarsi perché dal circolo

polmonare , la tricuspidalizzazione di tutti questi eventi che però rispetto alle patologie

valvolari, mitraliche in particolare, procedono con una certa lentezza nel senso che sono

eventi che hanno un decorso estremamente lungo,

o congestione epatica cronica

o ascite

o effusione polmonare

o congestione splenica cronica

o congestione polmonare cronica

o edema

Un altro evento importante è la morte improvvisa coronarica che può essere espressione di un

aritmia fatale immediata che non dà luogo per il tempo in cui si è determinata, all’infarto stesso ma

16

Page 17: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

alla comparsa appunto di un’ aritmia grave e in questo caso l’azione del defibrillatore sarebbe

risolutiva perché si è creata l’aritmia.

PATOLOGIE VASCOLARI PROPRIAMENTE DETTE

In questa categoria rientrano gli aneurismi che possono essere la conseguenza di un processo

aterosclerotico. Parleremo prima di aneurisma come tale e poi di aneurisma dissecante anche se

sarebbe meglio dire dissecazione aortica.

Dal punto di vista patogenetico l’aneurisma è una dilatazione permanente e progressiva della parete

arteriosa dovuta ad una alterazione strutturale della parete. Bisogna considerare ogni aspetto di

questa definizione:

1. in primo luogo permanente = irreversibile( al contrario dell’ectasia o arterectasia che è una

dilatazione reversibile che può ritornare indietro laddove viene meno il fattore che lo ha

causato) quindi l’aneurisma è una dilatazione permanente , irreversibile.

2. progressiva perché tende a dilatarsi, dovuta ad una alterazione dei costituenti parietali e ciò

fa si che la parete arteriosa si sfianchi in maniera permanente e irreversibile fino a creare le

complicanze tipiche.

Da un punto di vista patogenetico ,cioè la causa degli aneurismi, questi possono essere

o congeniti

o acquisiti.

Nel nostro habitus mentale se parliamo di congenito ci sarà un qualcosa mal formativo, il che è

vero purchè si concepisca questo evento mal formativo non soltanto come la malformazione perché

la malformazione vuol dire lo sviluppo diverso dalla norma, ma anche la malformazione in senso

più lato di una particolare predisposizione di quel soggetto a sviluppare questa alterazione, perché

la malformazione congenita può essere si presente alla nascita se il difetto è di formazione, ma può

svilupparsi anche nei primi anni successivi alla nascita o nell’adolescenza o anche in età giovane

adulta; quindi questo concetto può essere inteso sia come fatto malformativo anatomico sia come

predisposizione grossolanamente genetica a svilupparlo.

Questi aneurismi congeniti in senso lato sono dovuti ad una alterazione strutturale della parete un

termine che viene utilizzato in questo senso è le meiopragia, un’alterazione dei costituenti della

parete, dove vi è una discontinuità della componente elastica , una riduzione del tessuto elastico

oppure la perdita della componente muscolare. Quindi la meiopragia vuol dire un’alterazione dei

meccanismi che hanno portato alla formazione della parete, questo meccanismo determina una

specie di sfiancamento, cioè un punto di minor resistenza nel contesto della parete che

17

Page 18: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

progressivamente incontro ad una dilatazione, generalmente queste alterazioni, questi difetti della

costituzione della parete sono molto piccoli quindi può anche darsi che non diano segni di se,

poiché il loro progressivo sfiancamento è lento. Tuttavia laddove vi siano eventi concomitanti come

un’ipertensione arteriosa o quant’altro, questo sfiancamento progressivo dà luogo di se. Questi

aneurismi congeniti si localizzano prevalentemente a livello del circolo cerebrale soprattutto a

livello delle diramazioni dell’arteria cerebrale media nelle arterie comunicanti, tipo l’aneurisma di

Berry: questi sono degli aneurismi per lo più definiti a valle cioè molto piccoli delle dimensioni di

pochi mm, ma bisogna considerare che un aneurisma di pochi mm a livello del poligono di Willis

può essere un evento catastrofico se si rompe, ma anche se non si rompe in quanto può essere la

spia di fenomeni di decubito e compressivi .

Poi vi sono aneurismi di tipo acquisito e il meccanismo prevalente con cui si formano gli aneurismi

sono gli aneurismi aterosclerotici quindi quelli che coinvolgono rami di grosso calibro, il

meccanismo prevede che la placca decubiti sulla parete vascolare e ne determina un’atrofia e un

progressivo sfiancamento. Gli aneurismi aterosclerotici sono prevalentemente localizzati a livello di

quei distretti sottoposti a maggiore tensione come per esempio l’aorta addominale sottorenale , cioè

al di sotto dell’origine delle arterie renali ,oppure a livello delle biforcazioni delle iliache; queste

sono le localizzazioni classiche degli aneurismi aterosclerotici,ma va da se che gli aneurismi

aterosclerotici possano anche localizzarsi a livello dell’aorta sovra renale ,a livello dell’arco aortico.

Tra le forme di aneurisma acquisito naturalmente dobbiamo considerare anche altre forme come

quelle infiammatorie , infettive etc, che sono più rare.

Vanno differenziati dai cosiddetti aneurismi falsi nel senso che la rotture di un vaso può determinare

la fuoriuscita di sangue, il materiale ematico forma un ematoma cioè un versamento perivascolare

che si può circoscrivere e incapsulare , questo determina un’ alterazione del profilo della parete del

vaso, ma non è un aneurisma, la dilatazione è semplicemente dovuta all’accumulo di materiale

ematico coagulato nel contesto della parete con un’alterazione del profilo.

MORFOLOGIA-La patogenesi da un punto morfologico è che gli aneurismi possono avere diversi

aspetti infatti possono essere fusiformi, sacciforme, cirsoidei(a grappolo), cilindrici ,radicolari,

anulari e a bacca, la morfologia varia.

ETIOLOGIA-

o Gli aneurismi sono prevalentemente dovuti all’aterosclerosi;

o possono essere anche post-traumatici perché anche un trauma può determinare un

indebolimento della parete che poi per fenomeni riparativi di tipo cicatriziale può

determinare uno sfiancamento(immaginate un trauma contusivo profondo per esempio la

penetrazioni in seguito ad incidente stradale di uno sterzo in addome, determina un danno,

18

Page 19: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

il paziente recupera dal danno stesso però intanto si è lesionata la parete del vaso arterioso o

di un vaso minore e questo determina un progressivo sfiancamento della parete con la

formazione di un aneurisma);

o oppure possono essere aneurismi da processi infiammatori come la lue cioè la sifilide

soprattutto nella lue secondaria può essere responsabile di aneurismi in particolare

dell’aorta ascendente, dell’arco che è una sede caratteristica della sifilide;

o possono essere aneurismi da erosione cioè la parete si può indebolire perché vi è nella in

contiguità un processo infiammatorio per esempio di un parenchima che si estende dal

parenchima di un organo vicino anche alla parete del vaso e lo erode dall’estrerno, quindi vi

è un’infiltrazione flogistica che coinvolge l’avventizia e quindi anche la tonaca media ne

determina la sostituzione fibrosa e cicatriziale e quindi il progressivo sfiancamento. In

questo caso l’aneurisma aderisce tenacemente all’organo da cui è partito il danno(per

esempio a livello renale, o dal granulare adiposo si può avere una fibrosi retro peritoneale

che coinvolge la parete arteriosa e determina sfiancamento e aneurisma) poi abbiamo

flogosi purulente, da tubercolosi ,pan arterite;

o poi ci sono forme ipotizzate emboliche cioè il danno infiammatorio della parete arteriosa

può avvenire sia per contiguità di un organo vicino, che per diffusione embolica i cosiddetti

emboli settici una volta detti micotici che colpiscono la parete dando il danno.

o da cause meccaniche, inizialmente non sono dei veri e propri aneurismi, ma determinano

delle dilatazioni post stenotiche( immaginate un paziente con stenosi valvolare dell’aorta

con restringimento della semilunare aortica questo determina a monte del restringimento un

aumento della pressione endo-ventricolare quindi immaginate che per forzare l’ostruzione

la pressione deve essere superiore ne consegue che il getto di sangue per superare

l’ostruzione è molto più forte, quando fuoriesce dalla fessura sbatte in maniera forte sulle

pareti determinandone la progressiva dilatazione in questo caso all’ostruzione consegue una

dilatazione post-stenotica dovuta al fatto che la pressione del flusso all’interno del vaso è

aumentata ).

Gli aneurismi congeniti sono localizzati per lo più nel circolo di Willis , sono dovuti ad un’

intrinseca debolezza che viene fuori se si associa ad una condizione di ipertensione sistemica; sono

generalmente molto piccoli 1-2 cm con morfologia sacciformi o a bacca, il rischio più importante è

la rottura di questi aneurismi con conseguente emorragia sub aracnoidea. Questi sono eventi

occasionali, nessuno può sospettare di avere un aneurisma a bacca nel circolo di Willis per cui la

19

Page 20: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

rottura è un evento imprevedibile cioè è una causa di morte improvvisa ed è più temibile nei

soggetti ipertesi o che sono sottoposti a temporanei sforzi intensi, una piccola tensione può

slatentizzare un piccolo aneurisma presente nel circolo di Willis e determinare un’emorragia sub

aracnoidea. Va sempre sospettata in corso di una cefalea persistente che non regredisce con

antinfiammatori perché questi aneurismi a bacca possono essere sia singoli ma anche multipli cioè

a grappolo possono scatenare forti emicranie. L’aneurisma è un problema perché l’alterazione del

profilo vasale , la dilatazione, si accompagna a tutte le alterazioni della dinamica del flusso che da

normale diventa turbolento, il flusso turbolento determina un danno di parete, ovvero forma la

possibilità di formazione di trombi parietali che si auto mantengono cioè il trombo auto mantiene il

processo (nel senso che il trombo determina progressivamente la posizione di nuovo materiale che

viene ad essere stratificato). Quando si esegue la sezione di un aneurisma il lume non corrisponde

alla dilatazione che si nota osservando il profilo dell’aneurisma, il lume è sottilissimo al centro

perché la cavità è occupata da materiale trombotico; il trombo può determinare la diffusione di

emboli, si possono distaccare frammentini dal trombo e si ha una trombo-embolia .Immaginate che

se sono nell’aorta addominale questi emboli possono prendere la via delle iliache e possono

occludere i rami più piccoli degli arti inferiori determinando dei focolai ischemici diciamo distali

degli arti inferiori, questi pazienti con aneurisma dell’aorta addominale presentano una

sintomatologia ischemica può essere o diffusa perché questa massa decombe sulle iliache e le

comprime riducendo l’afflusso di sangue o anche per l’occlusione dei rami più distale, oppure la

diffusione di emboli la si può avere in seguito a traumi .

Un altro problema può insorgere in quanto un aneurisma essendo voluminoso anche 10-12 cm

( decorre strettamente all’ uretere sx) può comprimere l’uretere sinistro lo può schiacciare

determinando un ristagno di urina a monte e quindi una ectasia dei calici dovuta alla compressione

monolaterale del rene sinistro. Può verificarsi il decubito anche sulle strutture ossee per esempio

sulla colonna vertebrale, sullo sterno se è alto e la compressione sullo sterno può determinare

erosione, voi immaginate un corpo rigido pieno di trombi e spesso calcifico che sbatte

continuamente sull’osso lo erode e lo consuma (a livello dello sterno non è grave quanto a livello

dei corpi vertebrali in quanto si può avere un crollo della colonna vertebrale in prossimità

dell’aneurisma).

L’ultima complicanza è quella della rottura poiché lo sfiancamento progressivo, il decubito del

trombo può smagliare questa parete e può determinare un’ emorragia importante lenta e

progressiva, se l’aneurisma è addominale il sangue viene sequestrato nel cellulare adiposo retro

peritoneale e poiché il processo è lento si può sequestrare una notevole quantità di sangue(mezzo

litro o un litro di sangue) questo paziente dice solo di sentirsi debole spossato e stanco, quando si

effettua un emocromo lo si trova anemizzato. Se la smagliatura si allarga si ha un collasso alla fine

20

Page 21: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

si ha uno shock ipovolemico e il paziente muore improvvisamente per la rottura e si evidenzia un

ematoma retroperitoneale.

L’aneurisma aterosclerotico è il più frequente soprattutto nei soggetti di età adulta avanzata,

particolarmente maschi, soprattutto nell’aorta specie sottorenale, sono per lo più fusiformi e le

complicanze sono un evento frequente.

L’aneurisma luetico va segnalato perché speso associato ad una aterosclerosi intimale perchè la lue

secondaria determina una aterosclerosi accelerata , la caratteristica rispetto a quello aterosclerotico è

che riguarda l’aorta ascendente o l’arco e che può dare in questo senso un’insufficienza valvolare

aortica perché la dilatazione dell’arco determina una dilatazione dell’anulus aortico e

conseguentemente una incapacità della valvola di contenere il sangue, quindi si ha insufficienza

valvolare aortica ,può essere fusiforme cioè interessare la parete circonferenzialmente oppure

sacciforme, ma comunque caratteristico perché spesso nella parete vi è un infiltrato flogistico

costituito da plasmacellule. (49- 51 immagine).

ANEURISMA DISSECANTE- DISSECAZIONE O DISSEZIONE DELL’AORTA

Patologia che mostra caratteristiche comuni con l’aneurisma classico per esempio l’età media di

insorgenza è anche qui adulta avanzata, anche se qui è poco più precoce intorno alla sesta decade, in

questo caso il rapporto maschio-femmina è di 2-3 a 1. Presenta due picchi cioè due età di maggiore

incidenza, in particolare vi è un primo picco di incidenza in età giovane adulta(seconda ,terza

decade) questo è associato all’insorgenza di patologie degenerative spesso su base congenita del

tessuto connettivo tipo la sindrome di Marfan dove vi una sindrome del tessuto connettivo (una

collageno-patia in senso lato ). Un altro fattore di rischio è associato alla gravidanza(il 25% delle

dissezioni aortiche nelle donne si verifica in gravidanza)questi aneurismi si determinano soprattutto

alla fine della gravidanza o verso la fine della gravidanza in cui i meccanismi di adattamento del

tessuto connettivo dovuti all’azione dell’utero della cavità addominale (quindi vi è una maggiore

lassità del connettivo) che coinvolge anche i vasi per cui anche il vaso si adatta ad un maggiore

volume in quanto vi è una maggiore portata di sangue ; molto spesso avviene a livello dell’arteria

splenica.

La dissecazione aortica è più frequente nei soggetti ipertesi, in quanto una maggiore pressione

determina una maggiore sollecitazione meccanica delle pareti; è più frequente nei soggetti di colore

perché sono soggetti particolarmente sensibili al sale, quindi sono tendenzialmente più ipertesi o

reagiscono male all’ipertensione ecco perché molto spesso troviamo nei soggetti di colore cuori

ipertrofici voluminosi , una aterosclerosi precoce, sono molto sensibili all’assunzione di sale

soprattutto quelli che vengono “trapiantati” dai paesi di origine nei paesi occidentali dove

l’alimentazione è differente.

La condizione della dissezione aortica è particolarmente severa in quanto quando i pazienti non

21

Page 22: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

vengono trattati s ha più del 90% dei decessi.

Dal punto di vista anatomopatologico la dissezione aortica è dovuta allo scollamento cioè alla

separazione per lo più longitudinale dei 2/3 interni di 1/3 esterno della parete perché questo è

nell’ambito della costituzione della parete un punto di minore resistenza dovuto alla penetrazione

dei vasa vaso rum, che penetrano dall’esterno e si diramano. Il sangue arriva tra i 2/3 interni e il 1/3

esterno tramite una lacerazione intimo mediale si crea una breccia di ingresso attraverso la quale il

sangue dal lume del vaso penetra nel contesto della parete, trova la via più cedevole si fa largo nella

parete tra i 2/3 interni e il 1/3 esterno, dissecando ,scollando gli strati e trovandosi una via di

scorrimento nuova. Ovviamente la forza con cui scolla dipende dalla pressione, quindi in un

soggetto iperteso la forza di scollamento sarà maggiore.

La lacerazione intimo mediale cioè la breccia di ingresso si forma :

• nei 2/3 dei casi poco al di sopra del piano valvolare aortico cioè a circa 1-2 cm dal piano

valvolare, la breccia è netta sembra un colpo di bisturi, è tranciante ,spesso ha un decorso

circonferenziale

• in 1/3 dei casi nel tratto distale dell’arco o nella parte superiore dell’arco dell’aorta toracica

• più spesso è trasversale, lineare ,talvolta circonferenziale(più raro)

Da un pdv microscopico la medio necrosi cistica non è una necrosi ma è un fatto degenerativo con

rarefazione della componente elastica, non interessa la tonaca media bensì la componente elastica,

non è cistica perché non si formano cisti cioè cavità piene di materiale ma la perdita della

componente elastica crea delle lacune in cui si accumulano dei glicosamminoglicani che si colorano

con le colorazioni per le mucine.

EVOLUZIONE- ovvero quali sono i rischi della dissezione aortica:

• il sangue dissecando, lacerando la parete procede in senso anterogrado,cioè scavandosi un

altro percorso parallelo a quello originale, si crea un percorso a doppia canna, cioè la parte

interna e la parte esterna, se il sangue percorre la via esterna, il sangue che percorre la via

normale si riduce e ciò si traduce in una minore irrorazione degli organi tributari(per

esempio una dissezione della carotide interna il cui organo tributario è l’encefalo, determina

un sequestro di sangue a livello della parete che non si distribuisce, si forma una specie di

sacca che sequestra sangue ,riducendone la portata cardiaca si può dunque avere un collasso

cardiocircolatorio, un’ischemia cerebrale o multi organo, etc…)

• il sangue dissecando, può procedere in senso retrogrado, può dissecare il piano valvolare

aortico, i seni del Valsalva determinando il collasso dei lembi valvolari, e quindi può

determinare un’insufficienza valvolare aortica; dalla valvola può scendere giù in quanto la

22

Page 23: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

valvola è collegata al corpo fibroso del cuore conseguentemente il sangue può infiltrare il

corpo fibroso, il setto interatriale, poi il sangue scende ancora verso la porzione

membranosa del setto dove c’è il nodo atrioventricolare che può essere infiltrato e si ha un

blocco atrioventricolare;

• si può avere una stenosi dei vasi collaterali, immaginate la dissezione che va sull’arco, poi

arriva alle carotidi che vengono chiuse dal fatto che la guaina di sangue intorno comprime

la parte interna, si ha la stenosi delle collaterali con conseguente ischemia cerebrale, se

invece della carotide si disseca l’arteria renale si ha un’ischemia dell’intero rene.

• si può rompere la parete del vaso nelle zone più cedevoli e quindi dare se si rompe a livello

dell’aorta ascendente da un emopericardio, se si rompe nel torace da un emotorace, se si

rompe nel peritoneo da un emoperitoneo;

• è possibile che si crei una breccia di uscita, cioè a valle il sangue rompe l’intima e rientra nel

vaso e si crea un flusso nel flusso, il sangue si scaricea si scarica a valle. Questa è una

situazione positiva, migliorativa perché una parte del sangue ritorna in gioco e si può anche

cicatrizzare in quanto i 2/3 esterni e il 1/3 interno vengono a contatto, il sangue rallenta il

proprio flusso nel contesto della parete e coagula, si riorganizza e si forma una cicatrice; in

questo modo il paziente non solo è sopravvissuto ad un aneurisma dissecante, ma in più la

sua dissecazione aortica viene messa in sicurezza da eventuali recrudescenze perché la

parete cicatriziale dura e tenace non può più dissecare, e anche se la dissecazione avviene in

un altro punto la formazione di una cicatrice arresta la progressione del sangue.

FATTORI DI RISCHIO-

o ipertensione arteriosa

o coartazione aortica : è una patologia mal formativa in particolare è un restringimento

dell’istmo dell’aorta, dove era presente il dotto arterioso che è una struttura circolatoria

fetale che alla nascita viene progressivamente a chiudersi determinando una deformazione

del profilo e in alcuni casi un restringimento della zona istmica, che può essere anche

maggiore di ciò che fisiologicamente si ha, questo determina un’ostruzione e ciò determina

un’ipertensione a monte. Quindi il cuore deve pompare con maggiore forza per superare

l’ostacolo e si determina la formazione di collaterali sistemiche che connettono la porzione

sovra istmica con la porzione sotto-istmica; questi soggetti mostrano un maggiore sviluppo

della porzione superiore del tronco e un ipo-sviluppo delle estremità inferiore , oppure sono

quei soggetti in cui se si misura la pressione a livello degli arti superiori si trova una

23

Page 24: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

pressione di 160-170-180, ma se si misura agli arti inferiori risultano esser molto più basse

oppure in questi soggetti il polso carotideo è più forte del polso radiale. Questi soggetti sono

a rischio di sviluppare una dissezione aortica proprio perché le pressioni che vigono a

monte dell’ostruzione son estremamente alte.

o Aorta bicuspide: è molto frequente ritrovare in alcuni soggetti due cuspidi e ciò è un fatto

mal formativo dipende dalla fusione di due cuspidi e permane un rafe cioè l’esito della

fusione, oppure permane una cuspide anteriore e una posteriore. Queste bicuspidi poiché

lavorano male andranno in contro a calcificazione , possono essere sede di endocarditi

infettive (un endocardite valvolare aortica) proprio perché a livello della bi-cuspidia si crea

un flusso anomalo turbolento che danneggia l’endotelio che può rappresentare il substrato

di una localizzazione infettiva batterica. Infine la valvola aorta bicuspide si può associare a

dissezione.

Le spiegazioni patogenetiche sono due:

1. un po’ più filosofica in cui si afferma che da un punto di vista embriogenetico la

valvola fa parte tutt’uno dell’arco, e quindi si vi è una malformazione della valvola

è possibile che ci sia anche una malformazione dell’arco e conseguentemente la

bicuspide è una spia della malformazione dell’origine del’aorta e ciò facilita il

rischio di una dissezione, perché magari c’è un danno di parete che non si vede;

2. l’altra spiegazione è dovuta al fatto che nella valvola bicuspide vi sono delle

alterazioni di stenosi della valvola, una maggiore pressione endocavitaria, il getto di

sangue va a picchiare sulla parete in particolare sulla convessità dell’arco e ciò

determina un progressivo sfiancamento della parete e quindi vi è un maggiore

rischio di dissezione. Il rischio persiste in questi soggetti anche se si va a sostituire

tramite operazione la valvola, perciò i cardiochirurghi sostituiscono non solo la

valvola ma anche una porzione dell’arco aortico in modo tale di mettersi al sicuro.

o sindrome di Marfan

o gravidanza

CLASSIFICAZIONE CHIRURGICA

De Bakey è stato operato di aneurisma dissecante all’età di 100 anni dai sui allievi.

-Secondo classificazione di De Bakey gli aneurismi sono divisi in tre categorie:

24

Page 25: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

1. aorta ascendente e discendente

2. aorta ascendente

3. aorta discendente

-Daily e altri autori hanno classificato gli aneurismi in:

A) tipo I e II a prognosi infausta(comprende il tipo 1 e 2 De Bakey)

B) tipo III a prognosi migliore(COMPRENDE IL TIPO 3 De Bakey)

Quest’ultima classificazione è migliore da un punto di vista clinico perché in primo luogo i primi

due sono a prognosi infausta e il terzo è a prognosi migliore, il che è intuitivo perché se dall’aorta

discendente vengono saltati i vasi più importanti cioè quelli cerebrali la prognosi è migliore ma

comunque severa. L’altra differenza sta nell’approccio medico perché nel caso dalla 1 e 2 questo

paziente va operato anche se la mortalità intra operatoria è elevatissima; nel tipo 3 De Bakey questi

pazienti non hanno una terapia chirurgica perché questi pazienti non hanno una terapia chirurgica

perché il rischio della terapia chirurgica è maggiore rispetto ai rischi che avrebbe se non viene

operato, la terapia è medica cioè il controllo della della pressione arteriosa; la differenza oltre che in

termini prognostici sta anche nell’approccio. Quindi il tipo B che ha una prognosi migliore non

viene operato invece il tipo A che ha una prognosi più severa è passibile di intervento chirurgico.

VASCULITI

Viene sospettata la diagnosi di una vasculite sula base di parametri clinici e laboratoristici quindi la

biopsia del vaso per la diagnosi è un evento raro e talvolta autoptico ;si pone la diagnostica laddove

non ci sia stata una diagnosi in vita come riscontro diagnostico autoptico .

Le vasculiti sono un evento raro dal punto di vista anatomopatologico, ma sono molto più frequenti

nell’ambito ambulatori stico.

Da un punto di vista generale le vasculiti sono delle malattie infiammatorie dei vasi arteriosi ,

venosi e dei capillari, quindi dovrebbero chiamarsi arteriti, flebiti e capillariti . Le arteriti sono più

rilevanti rispetto alle flebiti e alle capillariti, sulla base di questo ci possono essere vasculiti

arteriose che colpiscono solo le arterie, ci sono vasculiti che colpiscono le arterie e le vene, ci sono

vasculiti che le vene e i capillari.

Parlando di vasculiti arteriose quindi di arteriti vedrete che una antica classificazione definisce le:

endo-arteriti quando l’arterite colpisce l’intima

meso-arteriti quando l’arterite colpisce la tonaca media

peri-arteriti quando l’arterite colpisce l’avventizia

pan-arteriti quando l’arterite colpisce tutta la parete

25

Page 26: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Questa è una suddivisione di tipo topografico. Le vasculiti in senso lato si possono

classificare più comunemente da un punto di vista eziologico e vengono suddivise in :

-infettive:

-aspecifiche, i quadri morfologici non mi permettono di individuare l’agente

eziologico. Possono essere causate da qualsiasi virus e batterio

-specifiche intende tutti quadri morfologici che sono specifici ,patognomonici di quel

particolare agente eziologico, individuando la lesione faccio una diagnosi eziologica

Necrosi caseosa tubercolosi gomma luetica sifilide

- non infettive in cui l’alterazione infiammatoria della parete non dipende da un’infezione ma da

uno o più di questi fattori , per esempio le forme da irradiazione se un soggetto fa una radioterapia

quindi usa radiazione ionizzanti ci si può aspettare che i vasi irradiati possano dare una reazione

infiammatoria, ci sono delle forme non infettive dovute a sostanze tossiche, a traumi.

Esistono vasculiti che da un punto di vista morfologico vengono dette necrotizzanti caratterizzate

dall’avere uno scompenso della parete la cosidetta necrosi fibrinoide o degenerazione fibrinoide che

sono quasi tutte accomunate dal fatto di avere una patogenesi di tipo immunitario . la necrosi

fibrinoide è un marker di un danno necrotico da causa immunologica. La necrosi fibrinoide si divide

in due tipologie: la necrosi fibrinoide di tipo peptico cioè quella che troviamo nell’ulcera peptica

dello stomaco dovuta all’azione dell’acido gastrico sulla parete e una necrosi fibrinoide da causa

immunologica che è quella che trovate nelle vascoliti .

Esistono molti tipi di arteriti necrotizzanti tutte con un meccanismo patogenetico o immunitario o

autoimmunitario possiamo citarne alcune:

-Pan arterite nodosa

-Vasculiti da ipersensibilità

-Granulomatosi allergica di Churg-Strauss

-Granulomatosi di Wegener che è un’ arterite necrotizzante soprattutto delle vie aeree

superiori

-Granulomatosi linfomatoide

-Arterite a cellule giganti di Horton si associa a poli-miosite ed è uno dei casi in cui si

effettua la biopsia vascolare dell’arteria temporale(colpisce le arterie cerebrali) perché la

ricerca è dell’elemento a cellule giganti ,in questo caso la diagnostica anatomopatologica

26

Page 27: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

diventa importante in vita. la diagnosi non è semplice perché è segmentale. L’età media è

avanzata e il sesso è prevalentemente femminile.

-Arterite di takayasu a cellule giganti nell’arco aortico o i vasi del collo quindi le carotidi, le

succlavie, ed una malattia delle giovani donne.

-Malattia di Kawasaki colpisce le arterie di medio calibronell’infanzia- adolescenza,provoca

linfadenite

-Tromboangioite obliterante o malattia di Burger colpisce le arterie d piccolo e medio

calibro e soprattutto i giovani maschi.

-Reumatica

-Reumatoide

-Lupica

-Sclerodermica

-Polimiositica

La diagnosi di una vasculite non può mai essere esclusivamente anatomopatologica, è una diagnosi

integrata cioè che deve tener presente della clinica, del laboratorio, degli esami strumentali,

dell’interazione dell’internista ,il radiologo e il laboratorista.

27

Page 28: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

23.04.2012

SBOBINATA DA : Pino Anatomia patologica CORRETTA DA: Thomas Prof. Marzullo

LE MALATTIE INFIAMMATORIE DEL CUORE

1-PERICARDITI

Definizione :le pericarditi sono malattie infiammatorie del pericardio.

CLASSIFICAZIONE DELLE PERICARDITI

CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA

Come sempre, quando si ha a che fare con una malattia infiammatoria di qualunque viscere, si

possono distinguere due forme:

- INFETTIVE: esse possono essere virali, batteriche, micotiche o parassitarie;

- NON INFETTIVE:

Vengono poi inserite tra le forme non infettive, le forme IDIOPATICHE, cioè tutte quelle forme di

cui non si conosce la esatta eziologia. In genere queste però vengono messe alla fine, andando per

esclusione, quando non si è in grado di attribuire ad una qualunque eziologia una forma di malattia

infiammatoria. Queste tuttavia rappresentano una esigua minoranza.

C’ è una sequenza di situazioni in cui il pericardio può essere alterato. Si è già accennato in

precedenza il fatto di avere una pericardite epistenocardica, cioè l’associazione con l’infarto

valvolare, crea una compromissione dell’epicardio (ovvero del pericardio viscerale) e permette la

determinazione di una essudazione localizzata. Non è stata citata la cardiopatia ischemica, ma vi è

anche la possibilità che la pericardite associata all’ infarto insorga non acutamente come la

pericardite epistenocardica ma a diversi giorni di distanza, quasi anche un mese, simile ad una

sierosite, secondo un meccanismo di tipo immunologico. Laddove si abbia uno smascheramento di

antigeni legati alla sierosa, ciò determina una risposta immunitaria diretta contro la sierosa stessa,

provocando sierosite diffusa tra cui anche una pericardite.

Pericarditi NON INFETTIVE

Le pericarditi non infettive possono essere di forma:

• IATROGENA

• TRAUMATICA: quindi per esempio associata ad un intervento chirurgico. Normalmente

tutti gli interventi di cardiochirurgia si associano ad una pericardite consensuale.

28

Page 29: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

• COMPLICANZA DEL CATETERISMO CARDIACO: evento eccezionale.

• ESPOSIZIONE A TERAPIA RADIANTE : per esempio ad una radioterapia per una

neoplasia del torace, della mammella e cosi via.

• ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI

• TRAUMI PENETRANTI

Ci sono poi pericarditi:

• associate a patologie sistemiche: come la pericardite uremica,

• associate a neoplasie maligne (paranoplastica),

• associata a malattie endocrine : per esempio in caso di ipotiroidismo

Queste possono essere quindi tutte condizioni in cui la comparsa di pericardite non deve stupire. Il

fatto che poi la pericardite possa avere una rilevanza clinica dipende da caso a caso. Quindi non

sempre la pericardite consensuale in uno stato generalizzato assume una rilevanza clinica, ma può

essere rilevata con un riscontro occasionale, per esempio in corso di autopsia.

Pericarditi INFETTIVE

Le pericarditi infettive possono essere:

• BATTERICHE

• MICOTICHE

• ACUTE ASPECIFICHE

• VIRALI

• DA PROTOZOI: per esempio da toxoplasmosi o da filarìasi

• ASSOCIATE A SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA: per esempio la

Borreliosi di Lyme.

Quindi si può dire che virtualmente qualsiasi agente infettante può dare la pericardite, ma spesso

non è questo l’ evento più importante nell’ ambito di una malattia sistemica.

CLASSIFICAZIONE PER CARATTERISTICA DELL’ ESSUDATO

Questa classificazione vale per le forme di PERICARDITE ACUTE, poiché noi sappiamo che, nell’

29

Page 30: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

ambito delle infiammazioni acute, sono queste forme che si accompagnano all’essudato, mentre le

forme croniche sono scarsamente essudative.

Le caratteristiche dell’ essudato possono essere, a seconda del grado di compromissione della

permeabilità della sierosa stessa, forme:

• SIEROSE: in cui l’ essudazione è solo liquida e appena torbida ;

• FIBRINOSE: quando le alterazione della permeabilità sono maggiori c’è anche essudazione

di fibrina;

• PURULENTE

• EMORRAGICHE

Ovviamente le sierose, sede dell’evento infiammatorio, perdono le loro caratteristiche

macroscopiche cioè lucentezza e trasparenza, poiché viene imbibita dall’essudazione e diventa:

- Più spessa

- Perde lucentezza

- Si opacizza

- Perde trasparenza

- Diventa consistente assumendo un colorito grigio-rossastro dato dalla componente ematosa

ed iperemica.

Esistono forme MISTE di essudato che può essere:

• SIERO-FIBRINOSO: con una minima o maggiore presenza di componente fibrinosa;

• FIBRINO-PURULENTO: se l’essudato è giallastro o verdastro a seconda dell’agente

eziologico;

• PIU’ O MENO EMORRAGICO: a seconda dell’ entità del danno vascolare. Generalmente

quando troviamo una pericardite emorragica si individuano principalmente due eventi

fondamentali per cui la pericardite può essere indotta o dalla tubercolosi o da presenza di

una massa neoplastica. Quindi la presenza di un infiltrato emorragico più o meno

importante a livello pericardico può essere l’espressione o di una localizzazione di

tubercolosi pericardica o di massa neoplastica.

Evoluzione delle pericarditi

30

Page 31: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

La superficie del cuore subirà pertanto la formazione di un “panno” più o meno incompleto con

aree più dense che assumono colorito giallastro o grigiastro, formate da stratificazione di fibrina

che ricopre il viscere. Questo panno di fibrina rivela ovviamente la presenza di eventi infiammatori

fibrino-leucocitari che testimoniano la vitalità di questa lesione ( si parla di pericardite fibrinosa).

Per quanto riguarda le pericarditi NON infettive, la forma più comune è quella della pericardite

reumatica. Essa è una forma di tipo siero-fibrinosa o spesso anche fibrinoso puro con scarsa

componente sierosa. La componente sierosa viene poi riassorbita e rimane solo quella fibrinosa, per

cui si può parlare di pericardite secca. Sarà pertanto priva di essudato e porterà alla stratificazione

di fibrina sulla superficie del cuore e alla formazione di COR VILLOSUM, cioè escrescenze di

fibrina sulla superficie che si distendono quasi a formare dei “peli”.

Tra pericardio viscerale e pericardio parietale sussiste uno spazio virtuale che consente giusto lo

scorrimento delle due superfici del viscere cardiaco che si muove da una parte, e del sacco

pericardico che è rigido dall’ altra. Immaginando quindi la stratificazione della fibrina, questo

determina non più lo scorrimento, ma uno sfregamento che in una condizione permanente di

essudazione può determinare delle aderenze che in un primo momento sono più labili e si possono

facilmente dissociare o anche stirare, ma che poi organizzandosi secondo i soliti processi

organizzativi cicatriziali e riparativi finiscono col diventare progressivamente più tenaci, e quindi

non sono più stirabili e risolvibili per via smussa (in termine anatomico questo termine vuol dire

“strazzare”/liberare con la mano il cuore da queste aderenze). Perciò non si riuscirà con la mano a

farsi strada nel pericardio e bisognerà usare il tagliente.

Evoluzione in sinèchie: vuol dire evoluzione con aderenze. Le sinèchie sono dei tralci a ponte tra la

viscerale e la parietale i quali finchè sono lassi sono stirabili. Quando invece diventano tenaci

perché costituite da un tessuto fibroso più organizzato non si possono più stirare, ma in qualche

modo trattengono l’escursione dei movimenti cardiaci.

Quindi se l’essudato è di tipo sieroso viene riassorbito senza ulteriori conseguenze. Nel momento

in cui nell’essudato ci sono elementi più importanti (molecole o elementi corpuscolati), ciò

determinerà rimaneggiamenti e guarigioni con cicatrizzazione e quindi formazioni di aderenze più

o meno estese a seconda del danno. Forme reumatiche, forme post-irradiazione, post-

pericardiotomie sono forme che si accompagnano alla formazione di aderenze e quindi ad una certa

limitazione dei movimenti cardiaci.

Organizzazione

Tutti questi fenomeni, quando non si accompagnano alle aderenze, fanno sì che sulla superficie del

cuore compaiano delle cosiddette macchie tendinee. È un termine anatomico classico che fa

pensare a un tendine, il quale possiede una struttura biancastra,lucida,dura e tenace. Quindi la

macchia tendinea è una chiazza biancastra e lucida sulla superficie epicardica. Questo è dovuto

31

Page 32: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

all’esito di qualche processo infiammatorio di vecchia data o anche semplicemente a stress da

lavoro. Ma anche il cuore, durante i suoi movimenti continui, nel momento in cui si perde lo

scorrimento dei foglietti, “picchia” e si inizia ad avere un attrito che provoca la formazione di

queste macchie bianche associabili a delle callosità causate proprio dall’attrito. È più facile

riscontrare queste macchie tendinee in cuori più voluminosi.

Molto più problematica è la presenza delle aderenze cioè le sinèchie, che possono dare situazioni

particolari, come CONCRETIO,ACCRETIO CORDIS e CALCIOSI. Può quindi crearsi

un’aderenza tra il foglietto viscerale e quello parietale, determinando un ostacolo alla dilatazione

cardiaca. In questo modo viene meno anche la capacità dilatativa del cuore in diastole essendo il

cuore costretto (concretio). A lungo andare, il mancato o parziale riempimento diastolico, darà un

sovraccarico soprattutto a livello del circolo venoso dando un quadro di stasi cronica. Ciò di

conseguenza si ripercuote sul fegato dando FIBROSI EPATICA. In questo caso però si parla di

PSEUDOCIRROSI EPATICA perché mancano i noduli rigenerativi dovuta a stasi venosa cronica

per mancato riempimento diastolico. Quando le aderenze finiscono per coinvolgere anche gli

organi presenti all’esterno del pericardio a livello del mediastino, si parla di ACCRETIO

(diffusione per via linfatica o per continuità): per esempio il pericardio aderisce allo sterno, ai

polmoni e così via determinando quindi un aggravamento della mobilità cardiaca. Come tutte le

malattie infiammatorie croniche si può avere deposizione di calcio,ossificazione e quant’altro

(CALCIOSI).

2.MIOCARDITI

Definizione: le miocarditi sono malattie infiammatorie del miocardio.

Dal punto di vista clinico è una rarità e raramente dà segno di sé. Facendo, però, valutazioni di tipo

autoptico, la sua valutazione sale al 2-4%, una percentuale comunque bassa ma non del tutto

trascurabile. Quindi le miocarditi sono più diffuse più di quanto non appare clinicamente.

Patogenesi: possono essere INFETTIVE e NON INFETTIVE

INFETTIVE

- Invasione diretta di agenti infettivi: per esempio per diffusione ematogena o per contiguità.

- Da tossine circolanti: per esempio un’infezione difterica, in cui la tossina difterica è

cardiotossica.

- Da reazione immunitaria: per esempio il caso della malattia reumatica

NON INFETTIVE

- Radiazioni ionizzanti.

32

Page 33: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

- Agenti chimici tossici

- Stati dismetabolici

Anatomia patologica

Come appare dal punto di vista anatomo-patologico il cuore che è sede di miocardite?

ASPETTI MACROSCOPICI

• Cuore pallido e flaccido: La caratteristica principale è il pallore. Quando il cuore

generalmente rossiccio e rubicondo perde questa suo aspetto diventando piuttosto pallido, e

perde anche la sua consistenza passando da essere tonico ad essere piuttosto flaccido può

essere fortemente sospettata una miocardite

• Cavità ventricolari sfiancate: quando il cuore viene posto sul tavolo perde la sua forma e si

acquatta, si appiattisce. Ciò può far sospettare alla presenza di un processo infiammatorio a

carico del cuore.

• Osti valvolari insufficienti e dilatati: dovuto alla flaccidità del cuore.

ASPETTI MICROSCOPICI

È possibile fare una diagnosi di miocardite tramite:

- Esame autoptico

- Biopsia endomiocardica: non è semplice perché si effettua su una zona molto circoscritta

della parete cardiaca: setto interventricolare sul versante destro, o su una zona marginale

della parete libera del ventricolo di destra. Quindi corrisponde ad una zona abbastanza

limitata, e bisogna avere la fortuna che quella zona sia effettivamente la sede del processo

miocarditico.

Nel momento in cui si dispone del materiale necessario, gli elementi che ci consentono di fare

diagnosi di miocardite sono:

• PRESENZA DI INFILTRAZIONE FLOGISTICA

• NECROSI MIOCITARIA

L’infiltrazione flogistica deve essere necessariamente presente,ma non è sufficiente da sola come

criterio, ed è necessario che ci sia anche la necrosi. In assenza della necrosi è possibile parlare di

sospetto di miocardite ma non di una certezza. Quindi la presenza di danno miocitario (necrosi)

33

Page 34: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

indotto dalla flogosi può dare la certezza, più o meno assoluta, che ci sia un danno miocarditico.

Se sulla biopsia endomiocardica si osserva una fibrosi, si può sospettare che questo sia un evento di

cronicizzazione dell’evento miocarditico ma anche che non è un evento ciclico, poiché una sclerosi

e una fibrosi del miocardio si può avere in tante altre condizioni (cardiomiopatia, cardiopatia

ischemica cronica,…). Quindi trovando la fibrosi sulla biopsia endomiocardica, ciò non ci dice che

si è in presenza di miocardite che si è riparata o che è in corso di riparazione, a meno che non

troviamo focolai di necrosi. Da questo discorso si capisce che la diagnosi non è semplice e che

molto spesso è deludente. Nel caso in cui ci troviamo con una biopsia endomiocardica con quesito

diagnostico di miocardite, spesso si avranno risposte aspecifiche e inadeguate per cui l anatomo-

patologo non è stato in grado di risolvere il problema. L’unico escamotage che si può adoperare è

cercare di fare una VALUTAZIONE MOLECOLARE: si può cercare di isolare, mediante PCR, la

presenza di genomi virali dalla biopsia nella speranza di poter identificare uno di questi agenti

infettanti.

Quadro anatomo-clinico

Esistono forme ACUTE e forme CRONICHE.

FORME ACUTE

Le endocarditi acute sono eventi difficili dal punto di vista clinico in quanto si può avere:

- Evoluzione benigna: si può avere una miocardite con pochi sintomi che evolve in una

guarigione spontanea.

- Morte improvvisa:la morte insorge non soltanto per insufficienza di pompa, nel senso che il

processo infiammatorio è cosi diffuso determinare un’insufficienza contrattile diffusa della

parete cardiaca,oppure, un po’ più frequentemente,per il fatto che possa determinare,

proprio per l’insorgenza di focolai di necrosi disseminati, l’insorgenza di aritmie cardiache.

FORME CRONICHE

Le forme acute possono o guarire o evolvere in forme CRONICHE, determinando esiti fibro-

cicatriziali nel contesto della parete cardiaca. Diversamente la miocardite può esordire in forma

subacuto-cronica che ha un’evoluzione lenta e progressiva. In questi casi nel corso dell’evoluzione

può dare:

- Morte improvvisa: sempre per meccanismo di tipo aritmico (aritmia) dovuto a fenomeni

riparativi

- Cardiomiopatia dilatativa: può esitare a distanza di parecchi anni dalla sua insorgenza e

dalla sua localizzazione in una forma di cardiomiopatia dilatativa (forma dilatativa cardiaca

post-infettiva o post-miocarditica)

34

Page 35: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Quindi la miocardite è un evento subdolo dal punto di vista clinico che in una certa percentuale dei

casi può avere evoluzione benigna o può avere conseguenze sia in fase acuta che cronica.

Quadri anatomo-clinici infettivi-MIOCARDITI INFETTIVE

In questo ambito troviamo:

• MIOCARDITE VIRALE

Esistono dei virus detti cardiotròpi (che ha tropismo per il cuore) come il virus ECHO o il virus

COXSACKIE B. L’infezione da questi virus,pressoché invariabilmente, determina una

MIOCARDITE ISOLATA.

Tuttavia può essere più frequente l’insorgenza di miocardite per infezione da agenti infettivi non

cardiotròpi ma comuni, che possono complicare il decorso clinico dell’infezione localizzandosi a

livello cardiaco. L’esempio classico è il virus INFLUENZALE: una delle cause di morte nel corso

di epidemie influenzali è proprio la miocardite date da aritmia o insufficienza cardiaca proprio come

complicanza dell’influenza.

La modalità del danno si può realizzare, non solo per infezione di un virus, ma anche attraverso un

meccanismo di tipo immunologico. Quindi per esempio per precipitazione di immunocomplessi.

Esistono poi delle forme fetali. L’elemento morfologico da considerare in questo aspetto è il fatto

che dal punto di vista istologico l’infiltrato flogistico è rappresentato da elementi mononucleati,

cioè linfociti e monociti (nelle infezioni batteriche invece abbiamo la presenza di granulociti).

• MIOCARDITE BATTERICA

Sono infezioni:

- Purulente

- Istologicamente caratterizzate da necrosi,microscessi,e cosi via

- Esistono forme tubercolari

- esistono miocarditi …., sono infettive perché sono l’espressione di un certo grado di deficit

immunitario, associate quindi alle gravidanza.

• MIOCARDITE FUNGINA

Frequente in soggetti immunodepressi per infezione da candida (candidosi), aspergillo e cripto

cocchi

• MIOCARDITE PROTOZOARIA

Data da:

35

Page 36: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

- Tripanosomiasi: provoca il Morbo di Chagas, caratteristico dell’America centrale e del sud,

veicolato dalle zecche (vettori). Può avere diverse forme e dare aneurisma cronico apicale.

- Toxoplasmosi

MIOCARDITI DA IPERSENSIBILITA’

Sono tutte quelle miocarditi che hanno una patogenesi di tipo immunitario. Esse sono:

- MIOCARDITE REUMATICA: che si inserisce nel contesto più ampio di pancardite

reumatica che coinvolge sia l endocardio, sia il miocardio che il pericardio.

- MIOCARDITE DA SARCOIDOSI: consensualmente alla sarcoidosi polmonare.

- MIOCARDITE DA RIGETTO DEL TRAPIANTO CARDIACO: non è infettiva e ha una

patogenesi immunitaria in quanto viene sviluppata una reazione immunitaria verso l’ospite.

- MIOCARDITE DI FIEDLER-A CELLULE GIGANTI: è una forma più rara ma

particolarmente temibile. Questa è una forma idiopatica che colpisce soggetti in età giovane

e adulta. Ha un esito rapido o per scompenso cardiaco o per la morte improvvisa. Il cuore

presenterà chiazze simil-infartuali e alla necrosi estesa a livello della parete cardiaca si

associa la presenza di cellule giganti: cellule di tipo istiocitario, cellule di Langherans,

cellule da corpo estraneo o cellule miogenetiche (derivate da modificazioni dei miociti).

3.ENDOCARDITI

Le endocarditi sono malattie infiammatorie dell’endocardio. In questo caso l’endocardio che può

essere colpito è sia l’endocardio PARIETALE (pareti libere del cuore,corde tendinee,muscoli

papillari) che quello VALVOLARE.

CRITERI DI CLASSIFICAZIONE

I criteri di classificazione sono vari:

- CLINICO/CRONOLOGICO: le endocarditi sono suddivise in forme

acute,subacute,croniche e ricorrenti

- EZIOLOGICO: forme infettive e non infettive

- ANATOMO-PATOLOGICO: non essendoci un vero e proprio essudato, queste vengono

caratterizzate sulle manifestazioni morfologiche. Queste endocarditi possono essere di tipo

trombotico o non trombotico

Endocardite trombotica

36

Page 37: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Dinamica del danno: un danno dell’endocardio si traduce in una alterata permeabilità, che

dovrebbe tradursi in una formazione di essudazione. Ma in questo caso nell’endocardio le valvole

sono avascolari e in caso di danno a livello della valvola succede che la superficie endoteliale viene

alterata e vengono alterate le proprietà dell’endotelio di partecipare nell’omeostasi del sistema della

coagulazione, e quindi si avrà la formazione di microtrombi cioè di piccole stratificazioni

trombotiche sul danno. Questo trombo localizzato nella sede del danno può determinare una

stratificazione progressiva, cioè il trombo richiama altro materiale trombotico fino a formarsi delle

piccolissime escrescenze sulla superficie della valvola chiamate VERRUCHE. Questo termine

indica una scabrosità e quindi un leggero ispessimento di 1-2 mm. Se invece queste escrescenze si

accrescono maggiormente si formano le VEGETAZIONI che provocheranno endocardite

vegetante o poliposa in cui lo spessore raggiungerà i 3-4 mm. Le escrescenze non raggiungono la

grandezza dei centimetri perché il flusso del sangue tende a rimuoverle determinando formazione di

un embolo. E quindi non si avranno escrescenze voluminose a meno che non siano molto tenaci.

Endocardite NON trombotica

In questo caso il danno è dovuto da un agente più aggressivo che provocherà un danno più rilevante.

Non avremo solo un danno meccanico o un’ erosione su cui si stratifica il trombo, ma questa

erosione procede progressivamente verso un’ ULCERA vera e propria e quindi sono delle forme di

tipo prevalentemente ulcerativo. Si forma quindi un’erosione con aggressione della valvola o della

parete libera, quindi un’erosione più profonda e un’ulcerazione che nel caso delle valvole, molto

sottili, culmineranno in una PERFORAZIONE.

Quindi se l’agente infettante non è particolarmente aggressivo, il danno sarà prevalentemente

trombotico. Se l’agente infettante è particolarmente aggressivo il danno sarà non trombotico con

formazione di ulcerazione e perforazione.

Non è, tuttavia, sufficiente che l’agente infettante si diffonda nel circolo ematico per avere una

endocardite. Se fosse così ci aspetteremmo un’incidenza estremamente elevata di endocarditi cosa

che non avviene. Questo perché ci devono essere dei fattori locali predisponenti l’attacco di questi

agenti infettanti alle valvole. Quindi da una parte c’è la carica infettante e l’aggressività dell’agente

infettante, dall’altra l’elemento predisponente e cioè:

- Presenza di una valvola distrofica

- Una valvulopatia per esempio di un’aorta bicuspide

- Una pervietà del forame ovale

- Una pregressa malattia reumatica di cui si ignorava la presenza.

37

Page 38: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

EPIDEMIOLOGIA DELL’ENDOCARDITE

- Morbilità elevata: è molto frequente dal punto di vista clinico

- Mortilità diminuita: per terapie mirate, per terapie di sostentamento

- Prevalentemente a carico del sesso maschile

- 4°-6°decennio: visto che il fattore predisponente della malattia reumatica si evolve nel giro

di 2-3 decadi,l’insorgenza dell’endocardite rientra pertanto tra quarta e sesta decade.

CONDIZIONI PREDISPONENTI (ALTRE)

LOCALI

- Malformazioni cardiache

- Endocardite reumatica pregressa

- Cardiomiopatie

- Lesioni degenerative e/o senili

- Interventi cardiochirurgici.

Cioè tutti quei fenomeni di rimaneggiamento cardiaco che alterano la dinamica e la morfologia del

cuore possono essere la sede di una successiva endocardite.

GENERALI

- Immunodepressione

- Tossicodipendenza

- Emodialisi

Nel soggetto in buone condizioni il rischio di endocardite è molto basso. Quando invece ci sono

uno o più di questi fattori predisponenti il rischio diventa più elevato.

Un fattore particolare è rappresentato dalla tossicodipendenza perché è un fattore che non solo

incide sullo stato immunitario generale, ma le endocarditi dei tossicodipendenti sono peculiari.

Sappiamo che sulla nostra superficie cutanea ci sono una serie di batteri come lo staphylococcus

epidermidis che non è un agente patogeno importante e aggressivo, ma che inoculato per via

venosa nel circolo venoso e accompagnato ad altre sostanze, determina una ENDOCARDITE DEL

CUORE DESTRO, poiché il circolo venoso afferisce a destra. Si possono cosi avere per esempio

38

Page 39: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

endocarditi della valvola tricuspide o della polmonare, il che rappresenta un evento piuttosto raro.

Infatti, nel caso in cui non ci sia il fattore della tossicodipendenza, la grande maggioranza delle

endocarditi riguarda il CUORE SINISTRO, quindi la valvola mitrale e la valvola aortica. Questo

perché le sollecitazioni meccaniche (stress emodinamico) sono maggiori a livello delle valvole del

cuore sinistro e quindi la possibilità di trovare lesioni predisponenti a carico dell’apparato valvolare

mitralico e/o aortico sono maggiori che non a destra.

COMPLICANZE

Dirette

Quindi soprattutto nelle forme più aggressive l’evoluzione può essere quella di:

- una perforazione valvolare il che significa dal punto di vista dell’emodinamica, una

insufficienza valvolare acuta più o meno grave a seconda del danno:

- si può avere una rottura di una corda tendinea per cui l’insufficienza valvolare è ancora più

grave;

- può essere un’aneurisma dei lembi cioè uno sfiancamento progressivo con delle alterazioni;

- oppure laddove la vegetazione sia preponderante, può addirittura ridurre o stenotizzare

l’ostio valvolare provocando la riduzione del flusso ematico.

All’ insufficienza valvolare più o meno rilevante si può associare uno scompenso cardiaco. Mentre

in caso di endocardite nella forma subacuta o ricorrente si accompagna una compromissione di

tutto il sistema immunitario dando splenomegalia o linfadenopatia generalizzata.

Indirette

- Embolie settiche: è una complicanza assolutamente temibile soprattutto nelle forme

subacute o ricorrenti. Infatti si staccano dei piccoli trombi di tipo settico i quali possono

recarsi a livello della sezione sinistra cardiaca e quindi a livello cerebrale, a livello degli

organi sistemici quindi dei reni, della milza e cosi via.

- Ascessi miocardici: possono esserci trasmissioni del processo infettivo dall’endocardio al

miocardio che possono dare microascessi nella parete stessa

- Aneurismi cardiaci: scompaginamento della parete nelle zone perivalvolari

- Lesioni renali

ESITI

- Guarigione dopo terapia: difficilmente la valvola però ritorna uguale a prima dell’infezione.

39

Page 40: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

- Vizi valvolari : generalmente residua un certo grado di vizio valvolare, un certo grado di

insufficienza poiché la riparazione può essere non perfetta.

- Eventuali recidive : in caso di depressione immunitaria o di reinfezione

- Evento infausto

4.CARDITE REUMATICA

Incidenza: ora come ora non è una patologia molto frequente, però è riportato un termine di

incidenza di circa il 20% di tutte le cardiopatie. La percentuale si è notevolmente abbassata a meno

della metà proprio perché la malattia reumatica più infantile si è notevolmente ridotta dalla guerra

in poi. L’ unico elemento che fa pensare che ci possa essere una recrudescenza di questo tipo di

infezione è dovuto ai fenomeni migratori, poiché gli immigrati sono giovani e adulti e hanno

contratto la malattia reumatica in patria.

Eziologia: è la cosiddetta FEBBRE REUMATICA che fa riferimento ad una infezione da

streptococchi β-emolitici di gruppo A che classicamente determina l’angina tonsillare. Questa

tonsillite acuta esordisce in età pediatrica generalmente infantile o al massimo adolescenziale senza

particolari differenze di sesso(quindi l’esordio è dato da tonsillite). Questa malattia febbrile viene

oggi curata con terapia antibiotica, mentre prima venivano praticate frequentemente tonsillectomie.

Anatomia patologica

FASE ACUTA

- ENDOCARDITE VERRUCOSA

- MIOCARDITE

- PERICARDITE SIERO-FIBRINOSA

La tonsillite da angina streptococcica determina una fase acuta con delle manifestazioni cardiache

che possono esserci però, spesso, nel contesto della malattia febbrile o della malattia contestuale di

tipo articolare passa un po’ inosservato, perché noi alla febbre associamo normalmente un aumento

della frequenza cardiaca. Quindi può passare per sconosciuta se non in un numero limitato di casi

in cui può essere fulminante. Ma nella grande maggioranza dei casi in fase acuta la malattia

cardiaca non è particolarmente rilevante e di certo non è preponderante al danno articolare,

soprattutto delle grosse articolazioni e alla tonsillite.

FASE CRONICA

Il fatto problematico però è il fatto che questa malattia evolve lentamente e progressivamente in:

40

Page 41: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

- una valvulopatia, ovvero in una localizzazione diffusa a livello del cuore che può colpire le

valvole e dare valvulopatia generalmente mitralica o aortica.

- Può anche dare una miocardite latente subclinica

- può avere anche delle localizzazioni pericardiche

Questo tipo di malattia colpiva generalmente le grosse articolazioni, ma la patologia articolare, pur

essendo molto eclatante dal punto di vista clinico, non era rilevante. Il danno più importante infatti

era quello cardiaco, non tanto quello acuto ma soprattutto quello cronico.

ENDOCARDITE VERRUCOSA

Sedi

Le sedi preferite di una miocardite reumatica sono le valvole:

- MITRALE

- MITRO-AORTICA (nel 90% dei casi)

- AORTICA isolata

- MITRALE-AORTA-TRICUSPIDE (quindi può essere tri-valvolare)

Morfologia

Da un punto di vista morfologico l’endocardite reumatica è una forma verrucosa (è una forma

trombotica con delle piccole verrucosità a livello della superficie endocardica valvolare). Essa

evolve in una forma fibroplastica cioè vuol dire che queste verruche danno luogo ad una

progressiva vascolarizzazione dei lembi valvolari con il richiamo di cellule infiammatorie, ed una

guarigione per formazione di tessuto cicatriziale retraente. Quindi la retrazione cicatriziale

rappresenta la guarigione di questo tipo di lesione e determina:

- Saldatura delle commissure: le commissure che ci sono tra le valvole si saldano

- Retrazione dei lembi valvolari

- Fibrosi

- Calcificazione

Avremo quindi un restringimento dell’ostio valvolare (mitralico o aortico), o più raramente

l’insufficienza. Quindi l’esito a cui più frequentemente conduce la malattia reumatica valvolare è

rappresentato dalla stenosi valvolare piuttosto che dall’insufficienza.

Anche la miocardite e la pericardite possono essere consensuali.

MIOCARDITE

41

Page 42: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

E’ una miocardite particolare con la formazione nelle forme più avanzate di noduli granulomatosi,

reumatici composti da cellule particolari che sono i miociti modificati o istiociti con tendenza alla

formazione di cellule giganti. Oppure si ha la possibilità di formazione di PERICARDITI.

Quindi si può vedere come tutto il cuore può essere più o meno diffusamente interessato dando un

mix di endocardite e miocardite, di pericardite e cosi via. Anche se ciò che deve rimanere

impresso è il fatto che l’ENDOCARDITE, può talvolta essere causa di aritmie, però, è L

EVENTO PIU’ IMPORTANTE.

ENDOCARDITI NON INFETTIVE

Vanno citata altre due forme di endocardite:

• ENDOCARDITE VERRUCOSA ATIPICA DI LIEBMAN-SACKS: si associa a soggetti

affetti da LES (lupus eritematoso sistemico). Ha la caratteristica di colpire la tricuspide o

la mitrale. Anche questa patologia ha la caratteristica di avere una morfologia verrucosa

(simile all’endocardite reumatica) e di essere diffusa su entrambe le facce della valvola.

Mentre l’endocardite reumatica riguarda la rima di chiusura della valvola della sezione

sinistra, l’endocardite verrucosa atipica riguarda sia la faccia assiale della valvola che la

faccia parietale. Quindi non è strettamente correlata con le aree di maggiore stress

emodinamico. Questo può essere un evento casuale poiché raramente si accompagna a

disfunzione significativa del cuore.

• ENDOCARDITE TROMBOTICA MARANTICA: il nome ci dice che è una forma

trombotica (tende a fare trombi). Il termine “marantica” fa pensare invece al marasma cioè

a un deterioramento delle funzioni generali dell’organismo. Questo marasma si realizza in

condizioni di grave neoplasia o di grave disfunzione generalizzata. È dovuta al fatto che

in queste condizioni, che sono spesso di disidratazione, si possono avere delle situazioni di

ipercoagulabilità del sangue, oppure di un rallentato circolo e quindi della funzione della

pompa cardiaca. Il sangue quindi ristagna all’interno della cavità ventricolare. La

disidratazione, l’ipercoagulabilità e la stasi ematica nei ventricoli può determinare la

formazione di TROMBI sulle pareti cardiache e sulle valvole. Questi trombi sono però

estremamente friabili e labili e di conseguenza possono determinare disseminazione di

frammenti di questi trombi e quindi dare un’ EMBOLIA. L’embolia si potrà avere fino al

40% dei casi proprio perché questi trombi sono estremamente friabili e basta una

movimentazione relativa per determinare il distacco di frammenti di trombi e quindi

l’embolizzazione sistemica. Anche questa condizione può rappresentare un fattore

predisponente una sovrapposizione infettiva.

42

Page 43: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

NOTA BENE: l’embolizzazione riguarda soprattutto o le forme marantiche o le forme infettive.

Al contrario le forme reumatiche difficilmente embolizzano perché : hanno sia una forma di

retrazione cicatriziale e poi perché nella patogenesi del danno valvolare della malattia reumatica si

determina una vascolarizzazione dei lembi valvolari e quindi una retrazione di questi trombi che

eventualmente si formano sulla superficie dei lembi valvolari, i quali saranno tenacemente

aderenti alla valvola e difficilmente si distaccano. Pertanto il problema maggiore nella forma

reumatica rimane l’alterazione valvolare di tipo stenotico o la possibilità che diventi infettiva.

5.CARDIOMIOPATIE

Definizione: malattia del muscolo cardiaco non più di causa ignota, ma nel corso del tempo sono

stati identificati gli agenti responsabili della stessa malattia, e riguardano soprattutto l’elemento

genetico e quindi la familiarità che acquisisce un ruolo estremamente importante. È vero

comunque che c’è una maggiore frequenza nei paesi del Terzo Mondo ma con tendenza

all’aumento nell’occidente per il miglioramento dei mezzi di diagnostica.

Classificazione: classicamente vengono descritte 4 forme di cardiomiopatia:

- DILATATIVA (più frequente)

- IPERTROFICA

- RESTRITTIVA-OBLITERATIVA

- ARITMOGENA

Diagnosi: la diagnosi viene fatta per esclusione (per esempio si può dire che quella osservata è o

non è una cardiomiopatia dilatativa solo escludendo una serie di altre patologie che possono avere

come esito quel quadro e cioè: la cardiopatia ischemica, la stenosi valvolare mitralica o

aortica,ecc...).

CARDIOMIOPATIA DILATATIVA

La cardiomiopatia dilatativa è la forma di gran lunga più frequente.

• Ha una clinica caratteristica perché determina:

- Progressivo scompenso cardiaco : può essere a rapida evoluzione anche se una caratteristica

della cardiomiopatia dilatativa è che l’evoluzione non è particolarmente prevedibile in

quanto può essere lenta o subire delle brusche accelerazioni e cosi via.

- Insorgenza in media della morte entro 1-2 anni dalla diagnosi e non dall’esordio della

malattia: si arriva a una diagnosi quando c’è già un certo grado di scompenso.

43

Page 44: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

- Aritmie: la diagnosi può essere più precoce laddove però l’aritmia non sia mortale.

• Esistono delle forme familiari, anche se la familiarità non è cosi pronunciata rispetto alle

altre forme di cardiomiopatie come per esempio la forma ipertrofica.

• Colpisce l’età media proprio perché c’è una latenza nella sua manifestazione. Quindi magari

ha esordito in un’età precedente però dà segni di sé in età giovanile-adulta.

• È prevalentemente a carico del sesso maschile.

• Dal punto di vista morfologico si accompagna ad una dilatazione del ventricolo sinistro a

cui si accompagna una riduzione della contrattilità. La parete non è particolarmente

assottigliata perché vi è un’ipertrofia prevalentemente longitudinale delle fibre e questo

determina un aumento della pressione e del volume telediastolico proprio perché la parete è

rigida e c’è un’incapacità della parete a svuotarsi. Ciò può portare anche ad una

insufficienza mitralica perché, non solo c’è un’insufficienza contrattile, ma lo sfiancamento

progressivo della parete sfianca l’anello valvolare mitralico, e la valvola diventa

progressivamente incontinente. Quindi lo spessore della parete non è in grado di determinare

un’azione di pompa efficace.

Anatomia patologica

CARATTERISTICHE MACROSCOPICHE

- Dilatazione delle pareti;

- Aumento del peso e del volume del cuore : perché, essendoci uno sfiancamento con

dilatazione delle cavità e un’ipertrofia longitudinale delle fibre, questo determina dei cuori

molto voluminosi. Un cuore dilatato può pesare anche 800-900 grammi, quando un cuore

normale pesa 300-350 grammi.

- Ipertrofia del miocardio :è un’ipertrofia longitudinale proprio perché vi è questa spinta alla

dilatazione. La parete può non essere per un certo periodo di tempo significativamente

assottigliata.

- Fibrosi endocardica: tutti questi fenomeni di rimaneggiamento determina la fibrosi

endocardica e ciò determina discrepanze di circolo, stress emodinamici a carico della parete

stessa. Progressivamente la dilatazione e l’ipertrofia rappresentano uno stimolo ai fenomeni

apoptotici e quindi in una fase più evoluta le fibre miocardiche possono andare incontro ad

apoptosi con sostituzione fibrotica e per questo si ha un progressivo assottigliamento della

parete. Quindi si avrà la fibrosi murale interstiziale come espressione di questo adattamento.

44

Page 45: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

- Dilatazione anulus mitralico e tricuspidale.

CARATTERISTICHE MICROSCOPICHE

- Ipertrofia cellulare e nucleare: soprattutto in fase iniziale sia delle cellule muscolari che dei

nuclei che sono voluminosi e ipercronici.

- Ipotrofia cellulare: seguente all’ipertrofia. L’ipertrofia avviene in una fase di adattamento

alla dilatazione, mentre l’ipotrofia interviene quando la muscolatura non è più in grado di

adattarsi al nuovo carico dando poi fenomeni di rimaneggiamento e morte cellulare. Seguirà

poi fibrosi interstiziale e fenomeni di degenerazione citoplasmatica.

Visto che dilatazione e sfiancamento sono caratteristiche anche di miocarditi nelle forme acute, va

fatta una diagnosi differenziale. La miocardite acuta è una condizione con sfiancamento,

dilatazione, assottigliamento della parete, ma soprattutto da un punto di vista istologico è una

malattia infiammatoria con necrosi. Quindi nella cardiomiopatia dilatativa non c’è infiammazione, o

se c’è è molto scarsa e comunque difficilmente c’è necrosi,mentre ci può essere invece fibrosi.

La fibrosi,a sua volta, determina un ulteriore sfiancamento perché, mentre la componente muscolare

ha una sua tonicità, il tessuto fibroso è duro ma cedevole e quindi si sfianca progressivamente.

Eziopatogenesi

Osservando l’eziopatogenesi si può osservare che questa è una patologia piuttosto vasta

(multifattoriale).

FATTORI GENETICI

- Cardiomiopatia dilatativa familiare

- Disturbi di condizione familiare

- Malattie neurologiche e neuromuscolari familiari

- Anomalie congenite

- Anemie ed emoglobinopatie

Sono quindi tutte una serie di forme che hanno un carattere familiare.

FATTORI ACQUISITI

- Cardiomiopatia dilatativa alcolica: l’alcol provoca un danno miocitario.

- Cause infettive: cioè un soggetto può contrarre una miocardite la quale viene superata, e

l’esito a distanza di tempo della miocardite è quello della cardiomiopatia dilatativa. Questo

45

Page 46: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

si può ipotizzare perché andando ad effettuare un riscontro su questo cuore ormai dilatato,

dell’infezione non avremo più traccia.

- Cause immunologiche

- Cardiomiopatia dilatativa peripartum: c’è una possibilità di dilatazione acuta del cuore in

corrispondenza della fase finale della gravidanza, soprattutto del parto. È una forma che,

rispetto alle altre forme, è meno sfavorevole e che quindi ha una prognosi più favorevole.

C’è una certa percentuale di casi che può regredire.

- Deficit nutrizionali.

- Stati tossici.

- Diabete.

CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA

Questa patologia presente due caratteristiche principali fondamentali. Il cuore delle forme

ipertrofiche possiede delle dimensioni normali o può essere addirittura più piccolo. Ciò che diventa

“ipertrofico” è lo spessore della parete. Questa parete può aumentare di spessore tanto in maniera

concentrica, ma la sua caratteristica è che questa ipertrofia è asimmetrica e riguarda il setto

interventricolare che, con la ridotta estensibilità della parete, determina il danno circolatorio. Il

danno si crea per due motivi:

- Da una parte c’è un certo grado di ipertrofia parietale che determina una certa rigidità della

parete ed una tendenza a non dilatarsi.

- Dall’altra parte, essendoci un’ ipertrofia del setto nella sua porzione subaortica, questa

parte contraendosi determina un’ostruzione del flusso arterioso.

Quindi coincide una mancata dilatazione (con rigidità della parete) e, in misura maggiore o minore,

un certo grado di ostruzione del flusso ventricolare sinistro.

Eziologia

Difetto genetico e familiarità sono aspetti molto importantei soprattutto perché questa patologia è a

trasmissione di tipo autosomico dominante. Questo fa sì che una diagnosi in vita o post-mortem,

come spesso accade, di cardiomiopatia ipertrofica avvia direttamente ad una valutazione familiare

per valutare la presenza di soggetti asintomatici. L’evento è importante perché, è vero che

l’ipertrofia si manifesta a qualsiasi età, ma è anche particolarmente frequente nei soggetti giovani e

adulti. La cardiomiopatia ipertrofica è infatti è uno dei fattori responsabili della morte improvvisa

46

Page 47: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

cardiaca. Quindi una serie di casi di morte improvvisa cardiaca inspiegata, andrebbero valutati non

solo per capire qual è la causa, ma anche per individuare eventuali casi asintomatici presenti

nell’ambito familiare.

Clinica

- Stenosi subaortica: di grado più o meno marcato.

- Morte improvvisa

- Scompenso: più raro. Mentre la cardiomiopatia dilatativa dà lo scompenso provocato dalla

dilatazione e dallo sfiancamento, nell’ipertrofica si ha più che altro la morte improvvisa o

stenosi subaortica con ostruzione del flusso ventricolare.

Quadro macroscopico

- Cuore aumentato di peso in toto (500 gr.)

- Ipertrofia ventricolare sinistra: simmetrica nel 10% dei casi; asimmetrica nel 90% dei casi.

La cosa più importante però è quanto possa essere difficile la diagnostica in un soggetto giovane

che magari pratica attività sportiva e che poi ha una ipertrofia cardiaca detta “cuore di atleta”, cioè

una ipertrofia fisiologica. Con questo elemento può essere molto difficile fare una diagnosi

differenziale con la cardiomiopatia ipertrofica. Va differenziato anche dalle forme degli ipertesi e

cosi via.

Ci sono anche degli elementi morfologici suggestivi tipo:

- l’anello mitralico dilatato perché nel ventricolo sinistro si raggiungono delle pressioni

telediastoliche importanti e quindi si può sfiancare l’anello mitralico.

- l’ atrio sinistro può essere dilatato e quindi in questi cuori si osservano dei ventricoli

tendenzialmente piccoli e degli atri voluminosi.

- Sclerosi del lembo anteriore della valvola mitrale, dovuta all’ingente lavoro della stessa

mitrale. Quindi trovare in un soggetto giovane una sclerosi del lembo anteriore della

valvola mitrale non associato a patologia valvolare, a patologia reumatica o a ipertensione

arteriosa fa capire che questa valvola lavorava molto e subiva molta pressione.

Quadro microscopico

L’elemento caratteristico che dovrebbe far fare diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica, oltre che

l’ipertrofia dei miociti e la possibilità della fibrosi, è un carattere istologico peculiare cioè il

miocardial disarray o distribuzione disordinata dei miociti. Si potrà osservare quindi

un’architettura disordinata con perdita del normale ordinamento parallelo. Ciò vuol dire che alla

47

Page 48: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

base di questa ipertrofia vi è una alterazione strutturale della parete cardiaca dovuta alla

disorganizzazione spaziale dei miociti che non si organizzano a formare le lamine. Si forma quindi

questa ipertrofia compensatoria che cerca di sopperire ad un disordine architetturale. La

manifestazione di questo danno non è tanto precoce e infatti disarray e ipertrofia non sono visibili

precocemente, perché questo è un fenomeno progressivo di adattamento che raggiunge maggior

segno di sé soprattutto in seconda o terza decade. Quando l’ipertrofia rappresenta anche un fattore

di induzione dei meccanismi di adattamento ed apoptoici, alla fine i miociti ipertrofici non sono in

grado di adeguarsi ad una maggiore spinta per cui vanno incontro a fenomeni degenerativi e di

necrosi, con sostituzione di tipo fribotico. La fibrosi fa sì che alla fase ipertrofica possa seguire in

una progressiva dilatazione. Ecco perché nelle forme di vecchia durata si può passare da una forma

di tipo ipertrofico ad una forma di tipo dilatativo. (caratteristiche fondamentali da ricordare sono:

ipertrofia,forte familiarità,morte improvvisa cardiaca e disarray!!)

48

Page 49: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

02.05.2012

Anatomia patologica

Prof.ssa Gabriella Serio

SBOBINATA DA: Lucia

CORRETTA DA: Federica

APPARATO RESPIRATORIO

Quando parliamo dell’apparato respiratorio dobbiamo ricordare quelle che sono le strutture che

appartengono a questo importante apparato: laringe, trachea, bronchi, bronchioli e alveoli. Per poter

parlare di patologia e di organi affetti da malattie dobbiamo sempre fare riferimento a quello che è il

tessuto normale, la normalità, altrimenti perdiamo di vista il tutto e diventa uno sforzo mnemonico

ricordare le alterazioni di un organo se non si ricorda e non si è rispolverato il normale.

Qual è la derivazione embriologica dell’apparato respiratorio? E’ una derivazione endodermica.

Ricordando l’istologia e l’embriologia, abbiamo studiato che la derivazione dell’apparato

respiratorio è di natura endodermica, ovvero si sviluppa da un abbozzo comune a quello che è

l’intestino primitivo; quindi l’apparato respiratorio, soprattutto i polmoni si sviluppano come

diramazione ventrale dell’intestino primitivo. Che cosa ci sta a ricordare questo dato? Ci serve per

ricordare che alcune malformazioni, per esempio, dell’apparato respiratorio (alcuni quadri mal

formativi) sono comuni a quelli dell’apparato digerente; cioè se trachea ed esofago prendono

origine da uno stesso abbozzo embrionale, è chiaro che le anomalie di sviluppo di questo abbozzo

endodermico potranno causare malformazioni sia a carico della trachea e dei bronchi che a carico

dell’esofago. Tanto è vero che alcuni quadri mal formativi della trachea e dei bronchi sono associati

a quadri mal formativi dell’esofago come le atresie e come le fistole tracheo-esofagee.

[Queste malformazioni poi le svilupperemo in maniera particolare l’anno prossimo, nel primo

semestre, quando affronteremo la vasta gamma di patologie mal formative dell’esofago e vedremo

che spesso questi quadri mal formativi sono combinati con malformazioni bronchiali e della

trachea. Siccome dedicheremo una piccolissima frazione alle malformazioni adesso andiamo avanti

con altri processi.]

Dobbiamo ricordare che l’apparato respiratorio segue, durante la gestazione, una sequenza ben

precisa di sviluppo che va dal cosiddetto “periodo embrionale” al periodo finale che è il cosiddetto

“periodo alveolare”. Che significa questo? Significa che l’abbozzo polmonare, l’abbozzo

49

Page 50: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

respiratorio, inizia a partire dalla IV settimana di gestazione. Questo “periodo embrionale” è un

periodo brevissimo, dura soltanto tra la IV e la V settimana, quindi dura molto poco, perché

comincia subito la differenziazione dell’apparato nelle strutture tracheo-bronchiali, infatti segue al

periodo embrionale il cosiddetto “periodo pseudo-ghiandolare” questo è un periodo abbastanza

lungo che va dalla VI alla XVI settimana di gestazione. Questo è molto importante perché è il

classico periodo dove tutto l’abbozzo polmonare è costituito dalla trachea ai bronchi fino a quelle

strutture bronchiali che chiameremo bronchioli terminali. Quindi l’apparato respiratorio (apparato

polmonare) nella fase e nel “periodo pseudo-ghiandolare” ha già raggiunto un’ottima maturazione.

Abbiamo detto che si arriva al cosiddetto bronchiolo terminale che è quella struttura presente

all’interno del parenchima polmonare dove ancora riconosciamo strutture cartilaginee di sostegno

del bronco. Dopodiché continua l’ulteriore diramazione nel cosiddetto “periodo canalicolare” fino

al “periodo alveolare”, alla fine della gravidanza, cioè dalla 36-38esima (massimo 40esima)

settimana di gestazione. Dal bronchiolo terminale, poi, per ulteriore diramazione dei bronchi si

arriva alla formazione dei sacchi alveolari e via via man mano che questi aumentano di numero

nella diramazione terminale, avremo la formazione dei cosiddetti alveoli finali e ovviamente nel

periodo terminale di gestazione è ben costituita l’unità alveolo-capillare, cioè il rapporto tra i vasi

capillari e la parete degli alveoli.

Che cosa c’è da ricordare dal punto di vista embriologico? Che nell’ultimo periodo di gestazione,

quello che porta alla struttura finale degli alveoli, la parete delle unità alveolari è una parete

estremamente sottile ed è in rapporto anatomico perfetto con le strutture capillari, tant’è che c’è un

rapporto ben netto tra parete dell’alveolo e il capillare sanguigno; ma soprattutto dobbiamo

ricordare che nel periodo terminale della gestazione l’alveolo risulta ben costituito da quelle cellule

che lo tappezzano che vanno sotto il nome di pneumociti di I tipo e pneumociti di II tipo.

Qual è la differenza morfologica tra il pneumocita di I tipo e un pneumocita di II tipo? La differenza

morfologica sta nel fatto che il pneumocita di I tipo è una cellula piatta, schiacciata che tappezza la

parete dell’alveolo e invece il pneumocita di II tipo è una cellula più voluminosa, con citoplasma

più ampio, che sporge nel lume alveolare. Ma se il pneumocita di I tipo è la cellula che tappezza la

superficie alveolare, il pneumocita di II tipo a cosa serve? Il pneumocita di II tipo serve alla

produzione di quella sostanza tensioattiva (che avete studiato in fisica e in fisiologia) che è il

surfactante. Questa sostanza tensioattiva, questo surfactante, adesso ci deve ritornare alla memoria

nella sua costituzione, nella sua produzione, perché è causa, quando viene ad essere alterata la sua

sintesi, di patologie mortali nel neonato [che, se farete i ginecologi vi renderete conto, sono molto

comuni e quindi il neonato nasce e muore subito dopo; spesso le mamme non capiscono ragione, vi

denunciano, dicono che il ginecologo ha operato male, è stato superficiale nel seguire il parto, senza

sapere che quel neonato era un neonato a rischio perché per certe condizioni, che vedremo, legate

50

Page 51: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

alla produzione di surfactante da parte dei pneumociti di II tipo, è arrivato a morte].

Ma noi sappiamo che anche la superficie alveolare, quindi le cellule che rivestono, che tappezzano

gli alveoli e quindi i pneumociti di I tipo, vanno facilmente incontro a distruzione perché l’apparato

respiratorio è stimolato continuamente da sostanze dannose, da processi infiammatori, quindi i

pneumociti di I tipo possono essere e vengono danneggiati frequentemente e continuamente e allora

chi provvede al reintegro di pneumociti di I tipo danneggiati? I pneumociti di II tipo che si

trasformano in cellule “cambiali”. Quindi vedete l’estrema importanza che hanno i pneumociti di II

tipo nella sintesi del surfactante e nella rigenerazione dei pneumociti di I tipo quando danneggiati

da processi infiammatori, da processi patologici di qualunque natura.

Una volta che abbiamo focalizzato quella che è la struttura dell’alveolo e che l’alveolo raggiunge la

sua maturazione esattamente negli ultimi due periodi e il massimo è nell’ultimo periodo di

gravidanza cioè nel periodo alveolare, noi vedremo allora che il surfactante raggiungerà la sua

produzione massima e la sua costituzione a partire dalla XXVI-XXIX settimana di gestazione fino

alla XXXVI settimana, quindi il neonato quando nasce avrà un surfactante adeguato per poter

abbassare la tensione alveolare. Abbassare la tensione alveolare significa che con il primo atto

respiratorio gli alveoli si espandono e quindi il primo atto respiratorio del neonato è un atto

dolorosissimo (per questo c’è il gemito, il pianto del neonato) perché l’espansione alveolare è un

atto molto forte che provoca dolore. Una volta che si è dilatato l’alveolo, resta dilatato grazie alla

presenza di questo tensioattivo che avrà non soltanto una funzione di abbassare la tensione

superficiale ma anche una potente funzione anti-edema. A stretto contatto con gli alveoli ci sono i

capillari e se ci sono cambiamenti di pressione colloido-osmotica, per esempio, è facile che

trasudato si sposti dai capillari nella superficie alveolare e quindi noi avremmo che gli alveoli si

riempirebbero di liquido e non potremmo respirare. Questo non succede normalmente grazie al

surfactante che ha non solo la funzione di tenere espansi gli alveoli ma anche la funzione di evitare

che liquido e quindi trasudato si sposti negli alveoli, quindi funzione anti edema. Il surfactante

quindi raggiunge la sua massima espressione di sintesi al termine di gravidanza.

Una volta che si è completato lo sviluppo embrionale, i polmoni, nel feto e quindi nel feto maturo e

poi nel neonato, nell’infante, nel giovane e nell’adulto sono due organi che presenteranno

morfologia differente, il polmone destro è trilobato, il polmone sinistro è bilobato. Ovviamente

anche il decorso dei bronchi ha un andamento differente a destra e a sinistra, tant’è che il decorso

del bronco di sinistra è più verticalizzato e quindi le flogosi, le polmoniti, le broncopolmoniti o i

processi infiammatori del polmone sono più frequenti a sinistra piuttosto che a destra, perché è più

facile che gli agenti patogeni scendano in sede alveolare a sinistra piuttosto che a destra (ma questo

51

Page 52: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

è un fatto statistico generale).

Nell’adulto esiste una differenza di peso tra maschio e femmina; c’è un’oscillazione di peso tra i

polmoni nei due sessi di circa 100 gr quindi nel maschio adulto pesano 850 gr circa, nel sesso

femminile 750 gr. Perché è importante sapere quant’è il peso medio dei polmoni più o meno

maschio o femmina che sia? E’ importante perché in certi processi patologici noi possiamo trovarci

di fronte a dei cambiamenti importanti di peso dell’organo. Immaginate un edema massivo

polmonare, una massa neoplastica polmonare, un cancro polmonare, un infarto polmonare (con

massivo infarcimento emorragico) cambia decisamente il peso dell’organo malato, spesso in

eccesso se ci sono masse che crescono o inondamenti emorragici o edematosi oppure ci possono

essere dei cambiamenti in difetto ma questi sono piuttosto rari salvo polmoni che nascono

malformati dall’inizio e quindi possono essere più piccoli rispetto al normale.

Secondo quella che è l’istologia, da ricordare è la struttura dell’apparato respiratorio. La struttura

dell’apparato respiratorio è piuttosto particolare.

Il parenchima polmonare fetale come lo si osserva abitualmente nei feti abortiti, per esempio a 10

settimane di gravidanza, appare: compatto con formazione di bronchi principali fino ad arrivare a

strutture via via più piccole che sono i bronchioli respiratori terminali ancora circondati da

cartilagine che è di supporto. Man mano che poi il feto cresce, aumentano via via le strutture

bronchiali fino ad arrivare allo stadio terminale alveolare in cui il parenchima sarà ricco di strutture

via via sempre più piccole e abbondanti, quindi l’interstizio si riduce mentre aumenta la

componente bronchiale e alveolare.

L’istologia normale dell’apparato respiratorio va ricordata perché quando s’instaurano una serie di

processi patologici noi possiamo assistere a dei cambiamenti della struttura normale dell’apparato

respiratorio e soprattutto bronchiale.

Normalmente l’apparato respiratorio è quello più stimolato in assoluto, è l’apparato più stimolato

del nostro organismo perché è direttamente in contatto con l’aria presente nel nostro ambiente che

inspirata ed espirata ci consente di sopravvivere con gli scambi gassosi. Però l’aria che noi

respiriamo non è un’aria pura, è piena di una serie di sostanze dannose, infettive, cancerogene,

allergizzanti. Molte di queste sostanze le ritroveremo come responsabili dei processi patologici più

o meno gravi del polmone. E allora proprio perché è il più stimolato, il nostro apparato respiratorio

si difende abitualmente dall’ambiente, dall’aria e da tutto ciò che l’aria contiene grazie a quelli che

sono i due principali meccanismi di difesa: la clearance mucociliare e la presenza di macrofagi

endoalveolari.

L’epitelio respiratorio è l’epitelio più elegante e più specializzato che esista nel nostro organismo,

52

Page 53: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

tant’è che è un epitelio monofilare prismatico specializzato perché dotato di ciglia che sono molto

lunghe, quindi vibratili, con intercalate cellule caliciformi mucipare. Questo perché la sintesi di

muco che si stratifica sulla superficie dell’epitelio, insieme alle ciglia che battono in senso opposto

all’atto respiratorio, blocca le particelle dannose presenti nell’aria e quindi attraverso la tosse,

attraverso gli stimoli della tosse vengono ributtate, tramite starnuti e grazie alla possibilità di

soffiarsi il naso, all’esterno. Quindi la clearance mucociliare, quando funziona [è da specificare

“quando funziona” perché i fumatori non hanno una clearance perfettamente funzionante perché il

fumo di sigaretta induce metaplasia pavimentosa dell’epitelio respiratorio con conseguente perdita

di circa il 50% della clearance. Il fumo di sigaretta è un potente cancerogeno e come meccanismo di

difesa scatta la sostituzione dell’epitelio con un epitelio resistente al fumo di sigaretta che è

l’epitelio metaplastico pavimentoso pluristratificato senza ciglia e tutto ciò che respiriamo scende

nel polmone] comporta la collaborazione di ciglia e muco. Nell’epitelio respiratorio inoltre sono

presenti cellule del sistema neuroendocrino diffuso, le cellule intercalate neuroendocrine sono le

cellule del Kulcinski. Queste cellule del sistema neuroendocrino diffuso le ritroveremo quando

parleremo di cancro polmonare. Rientrano in gioco in una variante del cancro polmonare fumo-

correlato che è la variante neuroendocrina del cancro polmonare che è molto diffusa e molto

aggressiva a prognosi severa.

L’epitelio ciliato muco secernente è presente in trachea, bronchi, fino ai bronchioli respiratori

terminali. A livello dei bronchioli terminali cessa la presenza dell’epitelio ciliato e muco secernente

e più in basso, negli alveoli, l’epitelio respiratorio si difende con i macrofagi endoalveolari. I

macrofagi endoalveolari, che si pensa siano sintetizzati direttamente dal midollo osseo e quindi

poi convogliati in questa sede, hanno la funzione di bloccare e degradare tutto ciò che sfugge alla

clearance mucociliare e riesce ad arrivare in sede alveolare; quindi sono gli elementi cellulari che

degradano tutto quello che è sfuggito alla clearance ed è arrivato in sede alveolare. Se parliamo di

particelle che sfuggono alla clearance e raggiungono gli alveoli, sicuramente dobbiamo fare un’altra

considerazione importante e cioè che tutto ciò che è presente nell’aria è fatta di polveri, di

particelle, particelle virali, polveri di vario tipo. Le particelle presenti nell’aria che noi respiriamo

non hanno tutte le stesse dimensioni. Quando noi diciamo “meccanismi di difesa dell’apparato

respiratorio” dobbiamo fare riferimento anche alle dimensioni delle particelle presenti nell’aria che

noi respiriamo. Particelle che hanno diametro tra 5 e 10 µm (le particelle più grandi) sono quelle

che vengono subito bloccate dalle vie respiratorie, già nella mucosa del naso, infatti, abbiamo

cellule ciliate, cellule muco secernenti e vibrisse nasali che bloccano queste particelle. Poi starnuti,

tosse, eccetera buttano fuori ciò che respiriamo. [Un esempio lo si osserva quando, dopo essere

entrati in contatto con grandi quantità di polvere e terreno (può capitare andando in campagna o

falciando il prato) ci si soffia il naso e si ritrova la terra; quindi particelle grossolane vengono subito

53

Page 54: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

bloccate dalle vie respiratorie.] Particelle più piccole invece, quelle comprese tra 3 e 5 µm,

sfuggono alle prime vie aeree e raggiungono le basse vie aeree (siamo a livello dei bronchioli

respiratori terminali, prima della costituzione degli acini alveolari) dove l’epitelio è cilindrico

cigliato con cellule muco secernenti. Nella basse vie aeree possiamo bloccare le particelle e

attraverso i meccanismi di clearance essere buttati all’esterno oppure attraverso la via linfatica

drenate nel sistema linfatico. Se le particelle sono ancora più piccole, con diametro inferiore a 2 µm,

arrivano negli alveoli e qui devono per forza intervenire i macrofagi per poterle fagocitare e

distruggere. Questo succede facilmente se ad arrivare o ad essere inalate sono, per esempio,

particelle attive come i virus, i batteri; allora i macrofagi entrano in gioco facilmente perché

posseggono enzimi in grado di degradare il corpo batterico, i corpi virali o altre particelle presenti

nell’aria. Ma se noi respiriamo polveri inorganiche, polveri inerti, polveri allergizzanti, contro

queste polveri (come il quarzo, l’asbesto, il ferro, il carbone) i macrofagi non possiedono enzimi in

grado di degradarli e quindi quando nel nostro apparato polmonare, nei nostri alveoli, arrivano

sostanze dannose contro le quali i nostri macrofagi non sono attivi, si scatena tutto un quadro di

malattia infiammatoria polmonare devastante per il nostro soggetto. Dato l’ambiente,

l’industrializzazione del Paese e del Mondo c’è una sempre più alta frequenza di ritrovarsi davanti a

queste patologie professionali o non professionali da inalazione di polveri inorganiche, inerti che

potranno avere effetto allergizzante o effetto fibrosante, cioè distruggendo il polmone sostituendolo

con tessuto fibroso. Questo provocherà insufficienza respiratoria cuore-polmonare cronica, una

condizione che può portare a morte. Queste polveri, così devastanti possono portare allo sviluppo

del cancro.

Malattie con alterazione del contenuto aereo

Cominciamo a vedere alcune malattie molto importanti che riguardano il contenuto di aria nel

polmone. Dobbiamo parlare di malattie con alterazione del contenuto aereo. Significa che ci

possiamo trovare di fronte a polmoni che hanno eccesso di aria nei propri alveoli e polmoni in cui

c’è mancanza di aria negli alveoli. Queste due malattie si chiamano rispettivamente ateletassia (o

atelectasia) ed enfisema.

• “Enfisema” deriva dal greco εμφυσάω che vuol dire “gonfiare”; è la malattia del polmone in cui c’è

un eccesso del contenuto aereo.

• “Ateletassia” deriva dal greco ατελεσ εκτασισ che vuol dire “stiramento incompleto”; è quella

condizione in cui l’aria manca nei polmoni e i quadri patologici che si osservano sono vari e possono

essere quasi impercettibili clinicamente fino ad arrivare a quadri severi che portano a morte e che

compromettono seriamente il nato o l’individuo.

54

Page 55: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

ATELECTASIA

Per definizione è la mancanza di areazione nelle cavità alveolari, situazione che porta al collasso

degli alveoli. L’atelectasia può essere legata o a condizioni particolari in cui è alterata la sintesi del

surfactante (o manca il surfactante), e in questo caso noi parleremo di atelectasie congenite. Oppure

possiamo trovarci di fronte al collasso alveolare legato a schiacciamento del parenchima polmonare

da masse o da liquido, da versamenti, e parleremo di atelectasie acquisite. Quindi possiamo trovarci

di fronte ad una mancanza del contenuto aereo su base congenita o su base acquisita.

Atelectasie acquisite

Le forme di atelectasia acquisita sono quelle più comuni e facili da ritrovare; i radiologi possono

effettuare una diagnosi immediatamente su una banale e tranquilla radiografia del torace. Ma le

atelectasie acquisite rivestono un significato clinico o possono rivestire un significato clinico, solo

se il meccanismo che le determina è un meccanismo da contrazione (o trazione). Vuol dire che ci

deve essere, per esempio, una fibrosi, un indurimento fibrotico importante o del parenchima

polmonare o della pleura, che non favorisce l’espansione degli alveoli. Solo in questo caso, quando

c’è una malattia fibrosante importante come nelle pneumoconiosi o nelle fibrosi pleuriche,

l’atelectasia da trazione riveste un significato clinico importante; se gli alveoli non possono dilatarsi

e quindi collassano ci sarà un’insufficienza respiratoria cronica restrittiva e non ostruttiva, con

sovraccarico cardiaco destro e quindi “cuore-polmonare cronico”, ipertensione polmonare e cuore-

polmonare cronico.

Quindi le atelectasie acquisite, cioè il collasso alveolare, rivestono significato clinico soltanto in

quelle il cui meccanismo che le determina è una trazione: perché la trazione è determinata da fibrosi

e la fibrosi è un fenomeno irreversibile.

Meccanismi patogenetici

I meccanismi che determinano la formazione delle atelectasie acquisite possono essere:

• Ostruzione (riassorbimento). Le atelectasie ostruttive sono quelle in cui è presente un’ostruzione

bronchiale al passaggio di aria, per cui l’aria presente negli alveoli, l’aria residua, quindi il volume

residuo respiratorio via via viene riassorbito e quindi gli alveoli collassano. Questo tipo di atelectasia

è detta anche da riassorbimento, perché l’aria non può arrivare alle cavità alveolari perché c’è un

ostacolo.

• Compressione. L’atelectasia da compressione è quella in cui il parenchima polmonare viene

compresso, schiacciato dall’esterno quindi, anche sforzandosi, non si riesce a inspirare perché

dall’esterno c’è qualcosa che schiaccia il nostro parenchima. Le condizioni più comuni di

schiacciamento estrinseco del parenchima polmonare sono: versamento pleurico e pneumotorace

[come può succedere nel ragazzo che sta facendo una partita a pallone scoppia una bolla d’aria, una

55

Page 56: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

bolla enfisematosa] cioè la presenza di aria nelle cavità toraciche [Quando un soggetto ha un

pneumotorace la prima cosa da fare è dare un taglietto nello spazio intercostale ed infilare una penna

a biro senza la carica o una cannuccia per favorire lo svuotamento dell’aria].

• Trazione (o contrazione)

Le atelectasie da ostruzione e quelle da compressione sono quelle per cui rimuovendo la causa il

polmone ritorna ad essere riespanso e quindi si risolvono senza deficit nel paziente. Quando si

parla di atelectasia da ostruzione e da compressione, il volume polmonare si riduce e il mediastino

si sposta dal lato del polmone atelectasico, c’è il cosiddetto sbandamento mediastinico; questo è un

altro segno importante che si impara in radiologia.

Nell’atelectasia da ostruzione o da riassorbimento avviene, quindi, il blocco del transito di aria nel

bronco e quindi via via il riassorbimento del volume di aria residua. Dalle immagini si capisce che il

quadro clinico avrà una gravità differente a seconda della sede dell’ostruzione. Un’ostruzione che

riguarda il bronco principale, come può succedere per grosse masse tumorali ostruenti o per grossi

corpi estranei (che un bambino può infilare nel naso e poi finire nel bronco) darà un quadro

atelectasico marcato e severo con dispnea e insufficienza respiratoria. [Se il bambino si infila nel

naso un oggetto molto piccolo (chicco di riso, perlina) questo va a finire in una porzione di bronco

molto piccola e può avere una dispnea magari marcata solo assumendo particolari posizioni, il

quadro clinico è sfumato e non è urgente.]

Le cause di ostruzione, rimosse le quali si torna alla normalità, sono: corpi estranei (soprattutto in

pediatria), neoplasie bronchiali, processi infiammatori stenosanti dei bronchi (bronchiti croniche ad

esempio che portano a quadri di atelectasia da ostruzione e quindi da riassorbimento). Rimosse

queste situazioni si torna alla normalità.

Le cause di compressione si ritrovano in tutto ciò che ab estrinseco schiaccia il polmone. La causa

più frequente è il versamento pleurico; è frequente in pazienti allettati per patologie polmonari,

cardiache, epatiche, quindi in qualsiasi condizione che provoca una raccolta di liquido del cavo

pleurico con pressione ab estrinseco. Mentre se c’è il versamento si ha il tempo di drenare tramite

toracentesi (ago nello spazio intercostale, non tutto per evitare di bucare il polmone), in caso di

pneumotorace non si ha molto tempo, bisogna intervenire subito inserendo nello spazio intercostale

un ago di siringa, una penna a biro o una qualsiasi cosa per favorire la fuoriuscita. Un pneumotorace

massivo può portare a morte in poco tempo.

Quindi le cause di compressione sono: pneumotorace, versamenti pleurici, neoplasie pleuriche che

provocano il versamento o neoplasie polmonari con coinvolgimento della pleura che provocano

56

Page 57: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

versamento e altri tipi di neoplasie. Cause di versamento possono anche essere le affezioni

cardiache, pericarditi, affezioni mediastiniche che possono essere legate a scompensi, come per

esempio un cattivo funzionamento del fegato con sintesi alterata di albumine, alterazioni della

pressione colloido-osmotica, ascite. Controllando le condizioni che provocano versamento pleurico

la situazione si risolve.

L’atelectasia da trazione (o da contrazione) è quella che non si risolve, nel senso che la causa non

si può rimuovere perché questo tipo di atelectasia altro non è che una fibrosi pleurica o del

parenchima polmonare. La fibrosi è un evento irreversibile quindi la trazione da fibrosi non

favorisce l’espansione alveolare e non c’è nessuna possibilità di espandere l’alveolo anche con

l’atto respiratorio più forte, quindi in questi casi l’atelectasia peggiora e il quadro funzionale cardio-

repiratorio e via via sempre più compromesso. [E non è un caso che in caso di importanti fibrosi

polmonari i pazienti vivono con l’ossigeno portatile, necessario ad ossigenarsi per tutto il tempo.]

Sintomatologia

Quando c’è un’atelectasia la sintomatologia dipende dall’entità del fenomeno. I sintomi

maggiormente riscontrati sono:

• Dispnea (difficoltà respiratoria);

• Dolore toracico (nel caso di un pneumotorace improvviso o masse tumorali);

• Tosse ingravescente a volte associata a starnuti;

• Cianosi (colorito bluastro della cute e delle mucosa dovuto alla cattiva ossigenazione del sangue).

Complicanze

In un quadro di atelectasia acquisita, soprattutto in forme di atelectasie che interessano piccole aree

del parenchima polmonare, possono passare inosservate. Se passano inosservate il parenchima

atelectasico può essere fonte o sede di sviluppo di processi infettivi, si può instaurare nella sede di

un focolaio atelectasico un processo infettivo, per esempio un focolaio bronco-pneumonico o

ascessuale o gangrenoso. Ci può essere lo sviluppo in un territorio atelectasico, dove la circolazione

è normale ma manca l’ossigenazione (stasi, angiectasia), di focolai infettivi che è necessario

individuare e correggere. Se datate, se non vengono risolte, si può avere la sostituzione fibrosa del

focolaio atelectasico, cioè si compatta il focolaio atelectasico e si trasforma in tessuto denso

fibrotico.

Morfologia

57

Page 58: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Da un punto di vista morfologico la situazione è abbastanza semplice, ad esempio se osserviamo da

un punto di vista anatomo-patologico.

Apportiamo un esempio: un paziente che presenta dispnea, tramite una serie di accertamenti clinici

in pneumologia e dalla radiografia del torace, è venuta fuori un’area di addensamento radio-opaco,

nodulare. In questi casi si deve pensare a tutto: banale focolaio flogistico, atelectasico, fibrotico,

processo neoplastico. Il paziente in chirurgia toracica viene sottoposto a toracoscopia e biopsia del

tessuto polmonare infiltrato. Questo tessuto polmonare arriva in anatomia patologica: nel caso di

esame estemporaneo la situazione si complica, perché un focolaio atelectasico può presentare

pneumociti atipici, possono esserci atipie legate alla flogosi delle cellule di rivestimento alveolari e

quindi se il patologo non ha molta esperienza potrebbe fare, erroneamente, diagnosi di cancro.

All’esame istologico, comunque, si ritrova un polmone collassato, senza spazi alveolari evidenti,

spesso sede di reazione infiammatoria linfocitaria, plasmocitaria, flogosi cronica o acuta a seconda

dei casi. La cosa fondamentale è quindi la presenza di alveoli collassati, la mancata areazione grazie

alle quali è possibile stabilire la diagnosi di quadro polmonare atelectasico riconducibile ad

atelectasia.

Diagnosi

Radiologica o attraverso TAC con associata broncoscopia; sono immagini che vanno esplorate

perché un focolaio atelectasico può mimare un quadro neoplastico e quindi è indispensabile la

biopsia. La diagnosi si avvale anche delle prove di funzionalità respiratoria che soprattutto per i

quadri di atelectasie da trazione o da ostruzione vedranno una variazione delle prove di funzionalità.

Atelectasie congenite

Quindi abbiamo visto che le atelectasie acquisite rivestono significato soltanto in certe circostanze

solamente quando il meccanismo che le determina è da trazione, quindi fibrosante, tanto da

determinare un’insufficienza respiratoria cronica restrittiva. Tutte le altre forme di atelectasia

acquisita (ostruttiva o compressiva) si risolvono rimuovendo la causa che le ha determinate, quindi

è importante arrivare al riconoscimento della causa. Invece le forme preoccupanti sono le atelectasie

congenite.

E’ necessario conoscere queste atelectasie perché hanno implicazioni medico-legali altissime;

frequenti infatti sono i casi di bambini nati morti perché affetti da queste patologie.

Le atelectasie congenite sono quelle condizioni in cui manca l’aria nel polmone. Quando l’aria

manca completamente il neonato è morto. In questo caso noi parliamo di anectasia, cioè la

mancanza totale di aria nei polmoni che porta al nato morto. Il nato morto non ha mai emesso un

58

Page 59: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

atto respiratorio, il polmone è anectasico.

Per dire da un punto di vista medico legale che quel neonato è nato morto, cioè non ha mai

respirato, si richiede un riscontro autoptico e deve risultare positiva la “prova docimasica”. La prova

docimasica si esegue aprendo il torace del neonato e prelevando un pezzettino di polmone; il

polmone apparirà collassato, acquattato nelle docce paravertebrali, non espanso e di colore rosso

scuro, rosso vinoso (perché manca aria che invece favorisce l’espansione e conferisce il colorito più

chiaro, roseo al polmone), somigliante ad un fegato; il pezzettino di polmone viene fatto cadere in

un bicchiere d’acqua. Un polmone che non ha mai respirato è pesante quindi affonda rapidamente,

si dice che la prova docimasica è positiva. Se il neonato ha respirato, quindi ha compiuto atti

respiratori e quindi c’è aria nel polmone e poi è morto, allora il frammento polmonare (nonostante il

polmone si presenta ipoespanso e acquattato) andrà a fondo più lentamente e si dice che la prova

docimasica, di un polmone dove è presente aria anche in minima quantità, è negativa. I motivi per

cui il neonato è morto dopo essere nato possono essere moltissimi, tra cui l’affezione da atelectasia

congenita, atelectasia da membrane ialine. L’atelectasia da membrane ialine è la causa più frequente

di morte neonatale cioè del neonato che nasce vivo e muore mezz’ora dopo.

Atelectasia neonatale. Osservando ad esempio un’atelectasia neonatale monolaterale che ha

colpito soltanto un polmone, lo riconosciamo perché è quello che somiglia al fegato: rosso scuro,

compatto. E’ un polmone che non ha respirato o ha respirato poco e male; mentre l’altro si è

riempito d’aria ma l’aria probabilmente è parziale e quindi nelle aree rosso scure non c’è. Questo è

sicuramente un quadro severo di atelectasia neonatale da membrane ialine che ha portato a morte (è

infatti un quadro autoptico) il neonato.

Per poter parlare di atelectasia neonatale dobbiamo fissare alcuni concetti.

Ricordiamo che il surfactante, sostanza tensioattiva prodotta dai pneumociti di II tipo, raggiunge la

sua espressione e maturazione al termine di gravidanza (dalla XXVIII settimana di gravidanza fino

alla XXXVIII).

Per età neonatale si intende l’età del neonato (nato a termine) che va dalla nascita alle quattro

settimane successive al parto. Poi si parla di “infante”. Secondo l’OMS questa età è definita

neonatale in senso stretto perché è quella caratterizzata dalla più alta morbilità e mortalità dei

neonati. E’ quindi un periodo molto delicato della vita.

Una gravidanza dura 40±2 settimane, quindi dalle 38 alle 42 settimane [andare oltre le 40 settimane

è rischioso per una serie di motivi, è una condizione che va monitorata giorno per giorno per

valutare la vitalità del feto].

Il nato a termine di gravidanza e maturo ha un peso che varia dai 3300 gr ai 3600 gr (peso medio di

3500 gr).

59

Page 60: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Quando un nato nasce di peso inferiore ai 3300 gr, è un neonato a rischio di atelectasia congenita.

Prima veniva definito prematuro un neonato che nasceva con un peso inferiore ai 3300-3600 gr,

quindi con un peso inferiore ai 2500 gr, indipendentemente dall’età gestazionale. Questa definizione

è stata cassata perché l’OMS ha stabilito che la prematurità può essere riferita soltanto a nati che

nascono prima delle 38 settimane, cioè prima di una gravidanza a termine. Quindi secondo l’OMS

il prematuro è un neonato che nasce prima del termine della gravidanza e che quindi sarà più

piccolo. Mentre noi possiamo avere un neonato che nasce a termine con un peso differente da

quello medio normale. L’OMS infatti ha cassato quella definizione così grossolana di prematurità

riferita ad un neonato che nasce sottopeso (con un peso inferiore ai 2500 gr) indipendentemente

dall’età gestazionale.

L’OMS stabilisce anche il concetto di immaturità cioè il neonato può nascere a termine ma ha un

peso inferiore ai 2500 gr cioè è immaturo.

Quindi possiamo trovarci di fronte a neonati che nascono a termine di gravidanza ma sono

sottopeso (peso inferiore ai 2500 gr). Oppure possiamo trovarci di fronte a neonati prematuri, che

nascono prima del termine delle 37 settimane di gravidanza e che quindi hanno un peso inferiore di

conseguenza.

Le cause di immaturità (neonato che nasce a termine ma è sottopeso) possono essere: insufficienza

placentare, cioè alterata funzione della placenta e del circolo placentare che porta ad un ritardo di

crescita intrauterina del feto e quindi del neonato che nasce a 38 settimane ma è sottopeso.

Avendo stabilito cos’è l’età neonatale, qual è l’età gestazionale di gravidanza normale e qual è il

peso del neonato normale a termine di gravidanza possiamo capire cosa vuol dire “prematurità” e

“immaturità”.

E’ prematuro un neonato che nasce prima delle 37 settimane (perché è quando il surfactante è

assolutamente maturo nella sua composizione chimica) ed ha un peso inferiore. E’ immaturo un

neonato che nasce a termine ma sottopeso per qualche ritardo di crescita intrauterino.

Prematuri e immaturi hanno clinicamente alterazioni sovrapponibili, possono andare incontro

entrambi ad un quadro di atelectasia da membrane ialine (o atelectasia congenita o atelectasia

neonatale o clinicamente detta “malattia da distress respiratorio”).

L’atelectasia da membrane ialine è quella malattia che si osserva nel neonato che nasce prima delle

37 settimane, perché tra le 35 e 40 settimane si ha la formazione e la maturazione completa degli

alveoli e quindi il surfactante è maturo e in quantità adeguata per abbassare la tensione superficiale.

E’ chiaro che se il neonato nasce prima delle 37 settimane e già dall’ecografia ci si rende conto che

ha un peso inferiore, al momento della nascita i medici si attrezzano fornendo una struttura con

un’assistenza respiratoria, perché il neonato può andare incontro a distress respiratorio in quanto il

suo surfactante potrebbe non farcela a mantenere gli alveoli dilatati. Se il nato nasce prima perché la

60

Page 61: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

donna ha minacce di aborto e quindi il ginecologo la tiene a riposo, la sostiene con prostaglandine,

con progesterone o altre sostanze, cerca di portare la gravidanza più avanti possibile affinché il

surfactante possa raggiungere una sua maturazione, sia pure essere magari qualitativamente in

difetto. Quindi in caso di minacce di aborto i ginecologi fanno di tutto per prolungare con tutti i

mezzi a loro disposizione la gravidanza per portarla più avanti possibile per fare in modo che

l’alveolo e il polmone maturi.

Fattori che possono aumentare i rischi di atelectasia neonatale sono: diabete in gravidanza, gestosi,

fumo di sigaretta. In questi casi il neonato anche se nasce a termine è a rischio di malattia da

membrane ialine perché il diabete e il fumo in gravidanza interferiscono con la sintesi del

surfactante.

Il surfactante è una miscela complessa di fosfolipidi, è costituito quando è maturo da un 90% di

fosfatidilcolina (la maggior parte della quale è lecitina) e per il 10% da fosfatidilglicerolo. Proprio

perché si è a conoscenza della costituzione chimica del surfactante, è possibile riprodurlo

chimicamente e quando un neonato nasce con distress respiratorio è possibile fornirglielo

terapeuticamente dall’esterno per cercare di farlo recuperare. Il surfactante quindi è una miscela di

fosfolipidi. Questa composizione matura lo è solo al termine di gravidanza, perché inizialmente il

surfactante, nelle prime settimane di gestazione, risulta costituito prevalentemente da sfingomielina.

Poi la sfingomielina via via decresce e scompare e prevale la lecitina che dopo la XXXII settimana

di gestazione raggiunge la sua massima costituzione.

Per capire se il surfactante è giunto a maturazione (cioè contiene lecitina e fosfatidilglicerolo) si

effettua un prelievo del liquido amniotico e da questo si risale alla costituzione e alla presenza del

surfactante.

Se il surfactante è presente in quantità insufficiente , prima della XXXVII settimana di gestazione, o

se è presente in qualità non ancora adeguata, il neonato va incontro a distress respiratorio. Ma se il

nato nasce a termine, quindi siamo già a 40 settimane, ed è sottopeso quindi ha un ritardo di crescita

intrauterino, sia pure un neonato a termine, può avere lo stesso un distress respiratorio perché il nato

sottopeso può essere per esempio un “nato pigro”, può avere cioè dei movimenti respiratori “pigri”,

presenta difficoltà a compiere i suoi movimenti respiratori. Il primo gemito lo fa ma poi via via non

riesce a sostenere gli altri.

Una malattia da membrane ialine diventa evidente nei nati a termine con spesso un ritardo di

crescita che per esempio durante l‘espulsione del parto ingeriscono il liquido amniotico. Se il

neonato è “pigro” o le puericultrici (che con un sondino dovrebbero aspirare il liquido amniotico)

sono inefficienti o mancanti al momento del parto, il liquido amniotico (composto di proteine e

lamelle cornee) finisce negli alveoli. Se a questo si unisce la pigrizia respiratoria del neonato

61

Page 62: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

sottopeso è chiaro che gli alveoli vengono danneggiati dalla presenza di lamelle cornee, i

pneuomociti sono danneggiati e si innesca facilmente una malattia da distress respiratorio.

Quindi la malattia da distress respiratorio, cioè l’atelectasia congenita o meglio ancora l’atelectasia

neonatale o l’atelectasia da membrane ialine, possiamo osservarla nei nati a termine immaturi, nei

nati prematuri, nei nati da madri diabetiche o prediabetiche, nati da madri fumatrici, nati da parti

difficili o da parti in cui il neonato ingerisce il liquido amniotico e a causa della pigrizia respiratoria

non riesce ad eliminare il liquido che si accumula a livello alveolare.

Quando si creano queste condizioni, succede che nella condizione di immaturità o di prematurità

dei pneumociti di II tipo (che producono surfactante) vi è un’inadeguata attività del surfactante ed

atelectasia, se c’è atelectasia c’è ipossia ed acidosi metabolica che va a danneggiare le cellule

epiteliali alveolari e precipita il fenomeno che porta a morte il neonato se non si interviene con

l’assistenza respiratoria e con la somministrazione di surfactante nel giro di mezz’ora dopo la

nascita. L’acidosi metabolica danneggia anche le cellule endoteliali dell’unità alveolo-capillare che

a sua volta favorisce l’edema, cioè il passaggio di liquido dai capillari endoalveolari all’interno

dell’alveolo. Questo liquido è un liquido trasudato ricco di fibrina. La fibrina si stratifica sugli

alveoli polmonari e crea la membrana ialina. La membrana ialina quindi non è altro che a fibrina

stratificata sulla superficie alveolare che danneggia i pneumociti, che allontana il capillare dal lume

alveolare, precipita l’acidosi e il processo va avanti a catena fino alla morte del neonato, distress

respiratorio.

Quindi se non si interviene rapidamente sul neonato la conseguenza è la membrana ialina cioè

materiale proteico che si stratifica sulla superficie dell’alveolo PAS-positivo (perché ricco di

fibrina) e ovviamente si allontana sempre di più la superficie capillare dalla superficie alveolare, il

distress peggiora, quindi il neonato che cerca di respirare non ce la fa e allora compare, a 30 minuti

dalla nascita, dispnea ingravescente accompagnata, per mancanza di adeguata espansione

polmonare, da infossamento respiratorio. Gli spazi intercostali si imbarcano, il diaframma si solleva

e si imbarca l’addome (l’epigastrio) del neonato, si ha cianosi labiale, ungueale, delle mucose, fino

ad arrivare a morte. Si arriva a morte se non ci si trova in una struttura ospedaliera che non è dotata

di terapia intensiva. Per questi neonati occorre una terapia intensiva neonatale dove poter mettere i

neonati in incubatrice e sottoporli ad ossigeno-terapia forzata ad alte concentrazioni, associata con

somministrazione di surfactante. Il neonato può così sopravvivere e quindi può guarire.

In caso di malattie da membrane ialine non si devono dimenticare le complicanze: l’ossigeno-

terapia ad alte concentrazioni da una parte ci aiuta a mantenere gli alveoli dilatati e ad ossigenare il

neonato (nel frattempo il surfactante va a stratificarsi sulla superficie alveolare finché non

62

Page 63: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

sopravvivono i pneumociti di II tipo e cominciano a produrre autonomamente surfactante) dall’altra

però provoca la liberazione di radicali liberi dell’ossigeno che può creare dei danni ad esempio a

livello cerebrale, emorragie cerebrali, retinopatie, necrosi intestinali, enteriti necrotizzanti (si passa

dalla terapia intensiva neonatale, alla sala operatoria, in chirurgia pediatrica che accoglie il neonato

che deve essere sottoposto a rimozione di organi necrotici), periartriti, necrosi articolari.

Un’altra complicanza dell’ossigeno-terapia è la persistenza del dotto di Botallo pervio, quindi

ritarda o può ritardare la pervietà del dotto di Botallo che può portare ad una cardiopatia congenita

cianogena. Per evitarlo si somministrano salicilati che ne favoriscono la sua chiusura.

63

Page 64: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

7/05/2012

Anatomia Patologica (professoressa Serio)

Sbobinata da: Scritti

Corretta da:

Riprendiamo la nostra chiacchierata, considerando quelle che sono le alterazioni del contenuto

aereo polmonare. Abbiamo parlato della mancanza di aria nei polmoni, quindi esattamente di

atelettasia, ovvero i polmoni privi di aria ,e abbiamo visto quelle condizioni in cui l’aria manca

completamente alla nascita ,oppure abbiamo visto la forma più importante quella che vi interessa da

un punto di vista clinico nella vostra professione di ginecologi o neonatologi ,ovvero la condizione

di atelettasia neonatale ,cioè quella che coinvolge i nati a termine maturi, i nati prematuri o a

termine immaturi.

Questo è il periodo più critico della vita dei neonati perché quello in cui sono particolarmente

esposti ad una serie di complicanze ,e quindi in ambito di queste complicanze fa parte l’atelettasia

neonatale .Essa si presenta almeno e non prima delle 6-12 h dalla nascita :cioè il neonato nasce,

compie i primi atti respiratori ,e poi comincia quella condizione che abbiamo definito distress

respiratorio ,insufficienza respiratoria progressiva che porta il neonato a morte se non si interviene

tempestivamente. Perché si verifica ?Sappiamo che, secondo quello che è lo sviluppo del polmone,

soprattutto in relazione alla fase finale dello sviluppo, intorno alla 35esima settimana si completa la

maturazione del surfactante.

L’atelettasia neonatale è legata ad alterazione di sintesi o di quantità del surfactante ,che è quel

tensioattivo che stabilisce l’abbassamento della pressione endoalveolare ma ha anche una

importante funzione anti-edema. Dunque il rischio di andare incontro a tale patologia è legato a

situazioni dove il surfactante manca o è insufficiente(nella pratica, cioè quando ci troviamo difronte

ad un individuo nato prima delle 35 settimane oppure nato a termine ma immaturo, cioè con un

apparato sottopeso, un apparato respiratorio non ancora perfettamente costituito, e con i muscoli

della gabbia toracica non efficienti).Si crea il Distress respiratorio ,che è una urgenza assoluta e

sarà necessario intubare il neonato e somministrare dall’esterno il surfactante. Abbiamo visto anche

la complicanza di questa malattia che è legata all’ossigenoterapia ad elevata concentrazione e

quindi alla liberazione dei radicali liberi emorragie cerebrali ,emorragie lipidiche ,necrosi settica

ossea, necrosi intestinale.

o L’ENFISEMA POLMONARE.

64

Page 65: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Stabilito questo vediamo di analizzare la condizione patologica che noi denominiamo Enfisema

(dal greco ενφισάω =io gonfio),caratterizzata dalla presenza di alveoli rigonfi ,pieni di aria.Quando

parliamo di enfisema ci riferiamo a forme croniche in realtà ,con espansione alveolare legato a

processi cronici.Vi sono però anche condizione acute,che però sono transienti.

Una dilatazione alveolare acuta si trova frequentamente:

1. Nei polmoni dei vari soggetti che vengono intubati (iperinsufflazione):ovviamente

dopo che vengono stubati la condizione cessa.

2. Nel corso di alcune infezioni come la Pertosse,o la Difterite,o altre infezioni

batteriche e virali che comunque comportano accessi tossigeni molto forti.

Queste situazioni possono causare inspirazioni forzate e iperespansione alveolare. E’

evidente che tali condizioni alveolari siano transitorie :una volta eliminata la causa

l’enfisema acuto scompare.

3. Nel caso di morte per annegamento:in questo caso il soggetto cercherà di emergere

dall’acqua,compierà atti inspiratori forzati,ma dall’altro lato i suoi alveoli si

riempiranno di acqua.Si parlerà di enfisema acuto asfittico dei morti annegati.

Anche questo non ha significato clinico importante.

4. Nella telectasia polmonare:ad esempio nelle telectasie acute da compressione,da

ostruzione;laddove un territorio polmonare è chiuso,ne avremo uno vicariante che va

incontro ad espansione.Anche in questo caso rimuovendo la causa a

monte,l’enfisema acuto scompare.

Le forme acute di enfisema quindi rivestono un significato clinico relativo.

Ben più grave è la condizione di Enfisema Cronico,ovvero una iperestensione degli acini

alveolari,cronica e irreversibile,dovuta a degradazione dei setti interalveolari ma anche

della componente vascolare,cioè dei capillari alveolari in stretto legame con la superficie

alveolare.Il tutto si traduce in una ipertensione polmonare che si trasferisce alla sezione

destra del cuore fino ad avere un quadro di cuore polmonare cronico.

Se teniamo conto della definizione della Società Americana di Chirurgia

Toracica ,l’Enfisema è dilatazione abnorme e permanente degli spazi aerei distali rispetto al

bronchiolo terminale.(quest’ultimo possiede ancora strutture cartilaginee con epitelio

65

Page 66: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

ciliato).Ciò che è a valle del bronchiolo terminale,ovvero quello il bronchiolo

respiratorio,non ha epitelio ciliato,esso è cubico,è privo di strutture cartilaginea,ma ha

importante componente elastica.L’Enfisema quindi colpisce le strutture a valle del

bronchiolo terminale,che sono meno resistenti,dove la rottura del setto è piu facile e dove

avverrà la degradazione della componente elastica.

Patogenesi dell’enfisema cronico:

Dilatazione irreversibile e permanente di tutti gli spazi aerei distali al bronchiolo

terminale con distruzione dei setti e compromissione delle strutture capillari:quando

c’è un enfisema cronico,nell’interstizio polmonare non c’è mai una reazione fibrosa.(quando

troviamo una reazione fibrosa infatti ci troviamo sicuramente di fronte ad altre patologie

polmonari che possono presentare aree enfisematose, ma non hanno niente a che vedere con

l’enfisema cronico).

Quando parliamo di strutture funzionali distali al bronchiolo terminale parliamo di

bronchioli respiratori, che si diramano in dotti sempre più piccoli fino a terminare nei dotti

alveolari dove sono presenti gli acini o alveoli.E’noto dall’anatomia umana normale in

corrispondenza del bronchiolo respiratorio abbiamo epitelio cubico che man mano si

appiattisce fino a diventare pavimentoso semplice a livello alveolare:qui riconosciamo

pneumociti di I tipo e pneumociti di II tipo(questi ultimi secernono surfactante e posso avere

funzione rigenerante nei confronti dei pneumociti di tipo I quando essi sono distrutti da una

qualsiasi noxa patogena).Un insieme di acini(ciascuno costituito da alveoli,dotto

alveolare,bronchiolo respiratorio) porta alla formazione del lobulo polmonare.

Le cause dell’enfisema(dilatazione delle strutture a valle del bronchiolo terminale) sono:

-ostruzione a livello del bronchiolo respiratorio.

-danno non ostruttivo che favorisce la dilatazione delle strutture alveolari.

L’Enfisema cronico potrà essere dunque a seconda delle condizioni che lo causano :

-“Ostruttivo”

-“Non Ostruttivo”

Il caso dell’Enfisema Cronico Ostruttivo:

In quali condizioni si verifica una iperdistensione alveolare a causa di una ostruzione delle vie

respiratorie? In tutte quelle forme di processi infiammatori polmonari che noi definiamo

66

Page 67: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

BPCO,ovvero broncopatie cronico-ostruttive tra cui rientra lo stesso enfisema cronico.

Quando si ha una bronchite cronica mucosecernente come nei fumatori di vecchia

data o in alcuni lavoratori esposti a polveri inquinanti,si osserverà la presenza di

tappi di muco nei bronchioli respiratori,che favoriscono la profliferazione dei

batteri,e dall’altro lato costringono il paziente ad atti inspiratori forzati e

l’intrappolamento di aria endoalveolare durante l’espirazione:cioè l’aria riesce ad

entrare negli alveoli mediante una inspirazione forzata(dove si osserva la

partecipazione dei muscoli inspiratori ausiliari) superando il tappo di muco,ma

non riesce ad uscire.

Il Volume Residuo tende ad aumentare progressivamente con gli atti respiratori fino

ad aversi via via la formazione di queste dilatazioni che porteranno man mano alla

rottura dei setti interalveolari con la formazione di quell’enfisema,che viene

definito(come riportato sui testi)enfisema cronico ostruttivo o centrolobulare.

Tale forma è definita in questo modo perché la dilatazione progressiva delle strutture

lobulari inizia dalle parti centrali del lobulo e poi via via si espande in periferia.

Quindi l’enfisema cronico ostruttivo,cioè quello da tappi di muco,è definito

centrolobulare da un punto di vista topografico.

Il caso dell’Enfisema Cronico Non Ostruttivo

In esso non si riconoscono tappi di muco:evidentemente ma ci sarà una

predisposizione genetica che favorisce l’espansione alveolare,con la rottura dei

setti,e la costituzione di un enfisema cronico panlobulare o panacinare.

(Quando troviamo sui testi scritto enfisema centrolobulare/centroacinare =enfisema cronico

ostruttivo;quando troviamo enfisema panlobulare/panacinare=enfisema cronico non ostruttivo).

Quando abbiamo enfisema cronico panlobulare la causa è sempre da attribuire a una predispizione

genetica.In realtà la patogenesi di entrambi gli enfisemi è esattamente la stessa.

Qual è il meccanismo patogenetico che porta alla rottura progressiva dei setti?

Esso è semplicemente uno squilibrio tra enzimi,enzimi proteolitici vs enzimi

antiproteolitici.

Quali sono le proteasi che rivestono un significato importante a livello polmonare,e che sono

prodotte durante la flogosi dai granulociti neutrofili e dai macrofagi stessi a livello alveolare?

67

Page 68: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Sono soprattutto le elastasi.Nel bronchiolo respiratorio e negli acini manca la componente

cartilaginea e quella muscolare che servono per rendere più resistente la parete,ma troviamo

soltanto fibre elastiche.E’ chiaro che la presenza di enzimi proteolitici favorisca la

digestione delle fibre elastiche:come consequenza si avrà la comparsa di ampi sacchi

alveolari e quindi dell’enfisema.

Normalmente questo non succede perché ci sono enzimi antiproteasi che il nostro

organismo produce,tra cui primeggia l’enzima alfa1-antitripsina che va a bloccare la

elastasi ,prodotta come detta a livello polmonare da macrofagi e granulociti.Quindi il nostro

organismo si difende producendo questo enzima antiproteolitico.

Se vi è una flogosi cronica come una bronchite cronica mucosecernente(vd i soggetti

fumatori o lavoratori a contatto con polveri inquinanti),essa fara sì che a livello polmonare si

avranno reazioni flogistiche persistenti(lo stesso fumo di sigaretta funge da stimolo per la

produzione da parte delle cellule infiammatorie di queste proteasi) che creeranno uno

squilibrio tra proteasi e antiproteasi,a favore delle prime.

Le antiproteasi non avranno la capacità di opporsi alle proteasi,e via via assisteremo alla

progressiva distruzione dei setti interalveolari procedendo dal centro dei lobuli alveolari

fino alla periferia.

NB.Nel caso di enfisema cronico non ostruttivo,per quanto la patogenesi sia comunque la

medesima,non si avrà uno squilibrio relativo tra proteasi e antiproteasi,bensi reale per difetto

genetico di sintesi di antiproteasi,tra cui la alfa1antitripsina appunto.

Quindi nell’enfisema panacinare o panlobulare ci troviamo difronte a soggetti che hanno

deficienza ereditaria di alfa1antitripsina.Se questi soggetti sono fumatori,il fumo stimolando la

sintesi di elastasi,favorirà un peggioramento della situazione:quindi questi soggetti in età assai

giovane(30 anni in su) evidenzieranno enfisema.(mentre nel caso dell’enfisema cronico ostruttivo o

centrolobulare esso compare nel soggetto fumatore incallito o vecchio lavoratore in età piu

avanzata).

L’alfa1antitripsina è una proteina la cui sintesi è legata ad una coppia di alleli,ciascuno di essi è

localizzato sul cromosoma 14(il nome dell’allele è Proteasi inibitore,o Pi).La sintesi di questa

proteina è di competenza epatica,tale enzima,una volta rilasciato a livello dei sinusoidi

epatici,raggiunge la circolazione generale e andrà a localizzarsi anche a livello endoalveolare.Ciò

significa che siccome il fegato è coinvolto nella sintesi di proteina,nei soggetti in cui c’è deficit

genetico a carico di questi geni si osserveranno problemi epatici(cirrosi),oltre all’enfisema

panlobulare(questa affermazione viene poco recepita e compresa da tutti noi,tant’è che Elena

Prisciandaro obietta chiedendo se in soggetti con Insufficienza epatica in virtù della perdita della

68

Page 69: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

funzionalità di tale organo si potrebbe avere un Enfisema secondario proprio da ridotta sintesi di

Anti-tripsina.La risposta della professoressa è:”il soggetto muore prima che questa evenienza si

possa manifestare”.Il caso è chiuso)

Il genotipo piu comune presente degli individui è quello PiMM,che è quello correlato a normale

sintesi enzimatica.Ci sono numerose varianti alleliche,come la variante Z.Il genotipo piu grave è

quello PiZZ(che determina manifestazione precoce della patologia se associata a fumo a 35 anni,

se non fumatore i sintomi di enfisema cronico si manifesteranno quando raggiungerà un’età

media),quella moderata è di PiZM.Difronte a soggetti con enfisema cronico a 35 anni dovremmo

fare uno studio genetico per scoprire quale genotipo essi presentano.

Quali sono gli aspetti del polmone enfisematoso?

• I polmoni,quando si apre la gabbia toracica in corso di autopsia di un soggetto normale,

tendono a collassare,posseggono colorito roseo-grigiastro,con disegno ????? ben

evidente,per la presenza di macrofagi pigmentati nell’interstizio

• In caso di enfisema di centroacinare e o panacinare i polmoni rimangono ben gonfi e non

collassano dopo la apertura della gabbia toracica.Se proviamo a comprimerli,cioè a

schiacciarli con le mani,sentiamo il crepitio dell’aria che si sposta da una parte all’altra ma il

polmone non si schiaccia,oppone resistenza,acquisista consistenza cotonosa,equivalente alla

matassa di cotone,di ovatta o della neve quando la prendete con le mani.

Il colorito è molto più chiaro perché è alterata la rete vascolare rispetto a quella normale,e in

superficie sono evidente bolle enfisematose che se dovessero scoppiare in vivo possono

causare uno pneumotorace chiuso(collasso immediato del polmone con atelettasia da

compressione del polmone,e soggetti vanno operati tempestivamente).

• Quando si seziona un polmone enfisematoso,avremo dinanzi un aspetto a favo

d’api,cistico,con alveoli rotti di varie dimensioni a seconda del tipo e da quando è presente

la malattia.Se procediamo a osservarlo istologicamente,avremo un quadro quasi privo di

particolarità(abbiamo detto che in questa malattia abbiamo setti interalveolari degradati con

formazione di ampie cavità comunicanti tra di loro con vasi appena percettibili e non c’è

fibrosi),otticamente vuoto,con tralci sottili corrispondenti ai setti residui che sono in

comunicazione fra di loro.

Aspetti semeiologici e clinici dell’Enfisema Cronico

Quando c’è un enfisema il problema è soprattutto clinico e terapeutico in quanto i soggetti

enfisematosi hanno problemi di insufficienza cardiaca destra e sono soggetti invalidi,che non

69

Page 70: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

possono svolgere una normale funzione lavorativa,ma hanno anche una vita sociale piuttosto

compromessa.Qualsiasi sforzo può infatti peggiorare la dispnea.Tali soggetti dovranno muoversi

sempre accompagnati da un contenitore con ossigeno portatile.

Il soggetto enfisematoso è molto delicato dal punto di vista cardiopolmonare e arriva al decesso per

scompenso destro.Esso presenterà all’ E.O:

-respiro affannoso e superficiale,tachipnoico

-cute non più rosea,ma bluastra.L’individuo è cianotico soprattutto nei soggetti con enfisema

cronico ostruttivo.(viene definito blue bloater)

-il soggetto giovane dispnoico con enfisema cronico non ostruttivo apparirà come Pink

puffer(soffiatore rosa),con cianosi assente.

-torace particolare a botte: con aumento del diametro non cradiocaudale bensì trasversale e

anteroposteriore dei polmoni,con annesso schiacciamento del diaframma e sterno appiattito in

avanti.

-gli esami spirometrici mostreranno un aumento del Volume residuo che conferma l’ipotesi

dell’esame obiettivo.

-la radiografia inoltre permetterà di osservare una iperdiafania ovvero una maggiore

radiotrasparenza delle immagini polmonari.

-l’enfisema cronico è sicuramente una malattia che riveste un ruolo funzionalmente

importante,perché è una malattia invalidante,è una malattia che porta a morte dei soggetti per via

delle sue complicanze cardiocircolatorie.

(Le domande di due studenti non sono riuscite a comprenderle in toto,quindi preferisco

ometterle,perché a mio modesto parere sono insignificanti.)

o MALFORMAZIONI DELL’APPARATO TRACHEO-BRONCO-POLMONARI

Vi invito a riprendere questo capitolo perché saremo costretti poi a rivederle a settembre/ottobre

perché molte e soprattutto le principali malfomarzioni dell’apparato trache-bronco-polmonare sono

abbinate a malformazioni dell’esofago,che sono eventi comuni e possono crearci problemi medico-

legali se non le individuiamo durante la gravidanza nella ecografia ginecologica morfologica,che

deve essere adeguata,e quindi il nato nasce con fistole o atresie tracheo-esofagee che possono

portarlo a morte nelle prime ore di vita.Sono spesso situazioni che possono essere corrette

chirurgicamente e quindi non creare nessun tipo di problema.

Queste malformazioni sono importanti,in particolare quelle riguardanti la trachea e i bronchi.Le

vere malformazioni del polmone sono rare e spesso si manifestano in fase adulta,quando i soggetti

raggiungono un’età intorno ai 20 anni.Significa allora che la maggior parte delle malformazioni del

70

Page 71: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

polmone possono passare addirittura inosservate,ed evidenziarsi solo in seguito a

complicazioni(processi infiammatori) o addirittura possono essere confuse radiologicamente con

masse tumorali.E’ importante conoscerle affinchè vada fatta una corretta diagnosi radiologica.

Cenni di embriologia:

Abbiamo detto che la derivazione embriologica dell’apparato respiratorio è la stessa dell’apparato

enterico:la derivazione del polmone è di natura endodermica,da un abbozzo ventrale dell’intestino

primitivo al di sotto delle tasche faringee(diverticolo respiratorio o gemma polmonare).Da esso

origina intorno alla 4 settimana di gestazione la trachea e le due gemme bronchiali,destra e

sinistra(corrispondenti ai bronchi principali di dx e di sx).Intorno alla V settimana,dalla gemma

bronchiale di dx origineranno 3 gemme bronchiali secondarie(corrispondenti ai 3 bronchi e lobi di

dx,ovvero superiore,medio e inferiore),da quella di sx origineranno 2 gemme bronchiali

secondarie(corrispondenti ai 2 bronchi e lobi di sx,superiore e inferiori).Le gemme bronchiali

secondarie poi penetreranno nell’ilo polmonare e daranno origine per diramazione successive ai

diversi bronchioli respiratori fino ad arrivare agli alveoli.

Le malformazioni:eziologia,classificazione,aspetti anatomopatologici e complicanze cliniche.

Le principali malformazioni sono quelle che riguardano trachea,esofago e anche bronchi.

Le cause delle malformazioni tracheo-broncopolmonari possono essere legate a:

• cause genetiche

• cause acquisite:nella maggior parte dei casi.Tra questi rientrano:

1. la somministrazione di farmaci teratogeni in gravidanza,

2. infezioni contratte dalla madre:in particolare sarà il primo trimestre di gravidanza

quello piu delicato,perché qualsiasi noxa esterna può determinare blocchi o

alterazioni dello sviluppo embrionale,

3. fattori carenziali(carenza di folati,Vitamina B6,Vitamina B12) possano favorire

l’insorgenza di tali malformazioni.

Dunque le malformazioni possono essere legate a motivi genetici,ma la maggior parte è indotta da

stimoli esogeni,esterni di natura infettiva,chimica,farmacologica,fattori carenziali senza dimenticare

le radiazioni ionizzanti,soprattutto se la madre viene a contatto con esse nel primo trimestre di

gravidanza.

Malformazioni principali della Trachea:riguardano sicuramente le primissime settimane

di gestazione,laddove si forma l’abbozzo dell’apparato respiratorio.

71

Page 72: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

I. Agenesia:

in generale significa mancanza di un organo(ovviamente può riguardare qualsiasi

organo).L’agenesia della trachea dipende da mancata formazione dell’abbozzo,della

gemma polmonare e quindi si è sviluppato soltanto l’esofago.Tale condizione è

incompatibile con la vita.Ci troveremo difronte a nati morti,o feti abortiti.

II. Atresia:

in generale si riferisce ad organi dotati di lume,organi canalizzati.Dunque l’atresia riguarda

organi che sono solitamente provvisti di lume,ma che a causa di tale malformazione ne sono

privi.(esofago atresico,bronco atresico,trache atresica,uretra atresica,intestino atresico).Tali

organi saranno semplicemente dei cordoni fibrosi.La causa della atresia tracheale è da

ricondurre all’errata divisione ad opera di un setto mesodermico della trachea

dall’esofago,localizzato posteriormente ad essa(NB:si ricorda la comune derivazione

embriologica endodermica dei due organi). Si ritiene che tale setto possa intervenire ad una

separazione anomala,cioè tutto a favore dell’esofago e non a favore della

trachea.Quest’ultima rimane come un cordone fibroso privo di lume,mentre l’esofago si

sviluppa normalmente.Può capitare anche che l’atresia possa riguardare l’esofago(con una

trachea che si sviluppa normalmente)per motivi opposti:cioè il setto mesodermico interviene

nella divisione però lo fa a favore della trachea,con esofago che rimane atresico.(Tant’è vero

che le malformazioni della trachea e quelle dell’esofago sono solitamente combinate in

maniera bizzarra,e queste vanno ricordate perché i ginecologi,i neonatologi e i radiologi vi

chiederanno di saperle:in questo modo potrete salvare la vita di molti neonati,e soprattutto

consigliare i genitori del nascituro circa la possibilità di aborti terapeutici,soprattutto per

situazioni estremamente incompatibili con la vita)

III. Stenosi:

riduzione del lume di un organo cavo.Solitamente un organo stenosi presenta restringimenti

del diametro localizzati soltanto in alcuni tratti:così esso possederà tratto il cui lume ha

diametro normale,e un altro appunto stenotico.Possono essere causate da ipertrofia

muscolare,cartilaginee,dalla formazione di setti anomali.Se c’è stenosi del lume si può

intervenire con un intervento chirurgico alla nascita,cioè di disostruzione del lume anche se

questi interventi su apparato respiratorio sono molto delicati in quanto vanno fatti a

mediastino aperto con elevato rischio di complicanze post-operatorie(infiammazioni del

mediastino)

72

Page 73: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

IV. Ectasia:

dilatazione del lume dell’organo(megatrachea).Riguarda anch’essa organi

cavi(megaesofago,megacolon).La megatrachea,contrariamente al mega esofago ,è un

organo che si sfianca progressivamento per lassità congenita dei tessuti(alterazioni delle

fibre elastiche,componente cartilaginea,componente muscolare) e si manifesta

successivamente.Mentre il megaesofago si manifesta subito,la megatrachea si manifesta man

mano che il bambino cresca perché tale sfiancamento è lento e progressivo col succedersi

degli atti respiratori nel corso della vita.Solitamente è una condizione che non presenta

grosse complicanze.Possiamo avere una megatrachea anche allungata,ovvero dolicotrachea.

(ovviamente si può avere dolicoesofago,dolicocolon,etc).Sono condizioni piuttosto rare e

prive di significato clinico.

V. Fistole Tracheo-esofagee:

ovvero la presenza di comunicazioni congenite tra trachea ed esofago.Esse possono essere

associate ad atresia dell’esofago.Ve ne sono molti di tipi,e soprattutto la classificazione si

basa su diversi aspetti

a) Bassa:la piu frequente

b) Alta:piu rara,quest’ultima è quella che determina morte nel neonato solitamente 5-6

giorni dopo la nascita.Questa comunicazione alta è difficilmente riscontrabile da

parte di ginecologi,neonatologi e dai radiologi.Solitamente essa si manifesta con

infezioni polmonari ripetute e febbre,dovuta al passaggio nella porzione alta della

trachea,in virtu di tale fistola, del latte che poi raggiungerà polmone.Si avranno

broncopolmoniti ad ingestis,con la presenza di secreto negli alveoli che favorisce la

proliferazione batterica e la morte del neonato per complicanze respiratorie.)

c) Singole

d) Doppie

e) Con Esofago Atresico

f) Con Esofago Normale

-Fistola tracheo-esofagea singola con esofago atresico.La porzione inferiore

dell’esofago è in comunicazione attraverso un orifizio fistoloso con la trachea:tale

comunicazione si trova circa a 2cm e mezzo dalla biforcazione tracheale nei due

73

Page 74: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

bronchi.Il neonato nasce,non riesce a nutrirsi,ma soprattutto i succhi gastrici possono

farsi strada attaverso la fistola esofagea (se è pervia) e portarsi in trachea(favorita dalla

posizione supina del neonato).Si avrà broncopolmonite ab ingestis.

-Ovviamente la fistola esofagea può essere anche impervia:dunque avremo moncone

esofageo superiore atresico e porzione inferiore autonoma che è collegata alla trachea

tramite una fistola non comunicante.Tale situazione è certamente migliore da un punto di

vista prognostico,perché ci da tempo di intervenire chirurgicamente in quanto bisogna

soltanto correggere difetto esofageo,con sostituzione dell’esofago atresico con un pezzo

di intestino tenue,che nel tempo si modifica a struttura simile all’esofago tramite

fenomeni metaplastici.(epitelio pavimentoso pluristratificato).Il neonato nel corso del

suo sviluppo sarà sottoposto a interventi successivi al fine di adeguare la lunghezza

dell’esofago,al fine di collocare porzioni aggiuntive di intestino tenue,in modo da

raggiungere la lunghezza normale dell’organo,che nell’adulto è di circa 25-27 cm.

-Fistole tracheo-esofagee doppie con esofago atresico:condizione certamente ancora

piu severa soprattutto per le complicanze,si avrà trachea normale in comunicazione con

esofago atresico con una fistola alta e una fistola bassa.Va sottolineato che un organo

atresico comunque presenta dei piccoli lumi virtuali,anche se sottili o piccoli.In questo

piccole quantità di latte o saliva riescono ad entrare nel polmone se c’è una fistola

pervia.Minime quote al giorno di latte o saliva che si localizzano in questo polmoni così

piccoli sono sufficienti a creare terreni di coltura per batteri.

Ci possono essere un’altre situazioni:

- in cui non c’è fistola né superiore né inferiore,ma abbiamo esofago atresico fatto di due

monconi

-l’esofago è unico moncone atresico senza fistola.

Abbiamo visto che ci possono essere numerosissime varianti.Quello che ci preoccupa

ovviamente è la presenza di fistole tracheo-esofagee soprattutto quelle pervie,dove

quella piu comune è quella bassa,quella piu rara ma insidiosa è quella alta.

Malformazioni principali dei bronchi:situazioni meno frequenti di quelle tracheali,ma piu

frequenti di quelle polmonari in senso stretto.

I. Agenesia:

-di una gemma bronchiale principale:osserveremo la mancata formazione di uno dei due

bronchi principali,

-di una gemma secondaria; e quindi ad es. si formano a destra solo due bronchi lobari e

dunque avremo polmone bilobato,

74

Page 75: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

II. Aplasia:

-mancata formazione di un piccolo territorio bronchiale

III. Stenosi:

IV. Atresia:

V. Bronchi in eccesso,sovranumerari :

il bronco in eccesso si associa a parenchima polmonare in eccesso,e quindi a lobi

sovranumerari.Quando abbiamo un bronco sovranumerario e/o un lobo sovranumerario

associato,esso può rimanere silente.La sua presenza può essere diagnosticata da una

radiografia del torace.I bronchi sovranumerari e i lobi associati possono essere terreni

fertili non solo per processi infiammatori,ma anche di fenomeni neoplastici

Malformazioni polmonari in senso stretto :riguardano il parenchima polmonare.

I. Agenesia:

Mancanza dell’abbozzo polmonare.

Esso può essere svincolato o meno dalla formazione della gemma bronchiale:

-1)cioè non si forma abbozzo polmonare nonostante normale sviluppo della gemma

bronchiale corrispondente,

-2)oppure,in virtù del mancato sviluppo della gemma bronchiale,non si forma l’abbozzo

polmonare.

Si può avere agenesia bilaterale dei polmoni qualora si abbia mancata formazione di

entrambe le gemme bronchiali(condizione incompatibile,feto morto in quanto non si

forma il liquido amniotico alla cui produzione concorrono sia i reni sia l’apparato

respiratorio fetale).

L’agenesia del polmone unilaterale è compatibile con la vita,essa può essere di due tipi:

1)quella in cui manca la gemma bronchiale corrispondente:avremo la trachea che si

75

Page 76: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

continua in un solo bronco principale,quello controlaterale,con la suddivisione nelle

successive generazioni bronchiali..Tale agenesia viene definita di primo grado.E’quella

migliore in assoluto perchè da’ meno complicanze

2)quella in cui avremo la mancata formazione di un polmone(agenesia di secondo grado

o aplasia di secondo grado),ma avremo la presenza del bronco principale

corrispettivo,che tuttavia termine con una sorta di moncone di tessuto.Quest’ultimo può

andare incontro facilmente a processi infiammatori,ma anche ad alterazioni displastiche

dell’epitelio ed essere sede di ascessi,gangrene,e cancro polmonare.Tale tipo di agenesia

è bene evidenziabile radiologicamente:molto spesso si interviene chirurgicamente ad

eliminare questi monconi atresici proprio per evitare l’insulto infiammatorio.

II. “Polmoni in eccesso”,ovvero gli abbozzi in eccesso:ovvero la presenza di un lobo

polmonare sovrannumerario legato ad un bronco sovrannumerario;queste configurano la

cosiddetta "malformazione adenomatoide del polmone”,meglio ancora “formazione

adenomatoide cistica”.Essa può essere di tipo solido,cistico,pseudoneoplastico,ma la cosa

fondamentale è che spesso queste situazioni le ritroviamo nei nati morti(la forma solida

in particolare,perché interessa territori molto ampi nel polmone.Sono tessuto in eccesso

incompatibile con la vita,difficilmente individuabile,di aspetto cistico ed è spesso

associato a malformazioni renali).In alcuni caso però quando il territorio sovranumerario

del polmone è limitato,il soggetto può nascere e vivere normalmente fino a che

casualmente tale reperto viene scoperto in radiografia,e viene definito area

sovranumeraria pseudoneoplastica,perché la sua densità è facilmente confondibile con

un nodulo polmonare neoplastico.Tuttavia dopo la rimozione,l’anatomopatologo

diagnosticherà semplicemente la presenza di tessuto polmonare sovranumerario su base

malformativa.

III. Sequestrazioni del polmone :esse sono importanti perché rappresentano territori fertili per

la comparsa di fenomeni flogistici o di trasformazione neoplastica.Esse sono territori

polmonari sequestrati all’interno del parenchima polmonare:possono essere

- intralobari,cioè riguardante un territorio polmonare che cresce in maniera autonoma nel

parenchima polmonare,poiché possiede una sua vascolarizzazione autonoma da rami

76

Page 77: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

provenienti dall’aorta,anziché dalle arteria bronchiali,e posseggono anche una autonomia

bronchiale,che è altro elemento a favore della loro autonomia anatomo-funzionale.

-extralobari,solitamente sono attaccate al lobo inferiore di sinistra,esse funzionano

comunque autonomamente ed essere fonte di processi infiammatori e neoplastici.

IV. Le malformazioni cistiche del polmone; sono piuttosto rare;il polmone policistico si trova

in deficit genetici,gravi severi enzimatico di tipo enzimatico oppure si può avere delle

forme di polmone cistico che assomiglia un po’ al polmone enfisematoso congenito

perché si ha la presenza di bolle aeree,per cui un parenchima polmonare cistico non

funzionante,con feti abortiti oppure un polmone che è un sacco vuoto,una cisti

vuota,polmone a sacco di Kauffman.Le forme cistiche del polmone(forme rare a bassa

incidenza) riguardano la differenziazione del parenchima polmonare a livello delle

strutture dei bronchioli respiratori terminali,da cui si formano i sacchi alveolari.La cisti

si forma perché si arresta la maturazione del bronco a livello del bronchiolo

terminale,cioè non si ha il bronchiolo respiratorio,non si formano gli alveoli,ma

l’arresto dello sviluppo determina dilatazione progressiva del bronchiolo a creare queste

ectasie,o dilatazione cistiche.

77

Page 78: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

09.05.2012

SBOBINATA DA : Elisabetta ANATOMIA PATOLOGICA

CORRETTA DA: Marialucia Prof. Serio

POLMONITI E BRONCOPOLMONITI

In certi periodi della stagione (periodi invernali) vi sono patologie che possono portare

addirittura all’insorgenza di complicanze talora mortali e spesso associate a processi flogistici

polmonari complicatisi nel giro di poco tempo.

Quindi bisogna conoscere queste malattie per saperle trattare con una certo criterio perché se

procediamo ad esempio con terapie antibiotiche rischiamo di creare delle condizioni di

resistenza dell’individuo all’antibiotico o di immuno-depressione indotto da un uso di antibiotici

sconsiderato tanto che un banale processo infettivo virale può complicarsi e portare al decesso

dell’individuo.

Oggi parliamo di polmoniti e broncopolmoniti:

processi flogistici del parenchima polmonare

• localizzati prevalentemente a livello bronchiale con estensione successivamente al

parenchima polmonare ;in quel caso parleremo di broncopolmoniti

• oppure di un processo flogistico che si sviluppa quando ab initio nel parenchima

polmonare e in questo caso parleremo di polmonite in senso stretto.

La differenza tra polmonite e broncopolmonite sta nella topografia di sviluppo del processo

flogistico: broncopolmoniti parte dal bronco e si estende a livello del parenchima; polmonite in

senso stretto, processo che ab initio insorge a livello del parenchima polmonare e quindi si fa

riferimento all’alveolo, ai bronchioli respiratori terminali con le strutture alveolari e

all’interstizio polmonare.

I processi infiammatori del polmone sono molto diffusi sul territorio.

Le polmoniti le broncopolmoniti si possono classificare in base a una serie di criteri e quello più

importante è il criterio eziologico (più che quello topografico) basato sulla causa che le ha

determinate.

78

Page 79: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

POLMONITI E BRONCOPOLMONITI INFETTIVE

Se noi facciamo riferimento alla causa infettiva(all’agente patogeno che si localizza a livello

polmonare) le polmoniti e le broncopolmoniti infettive colpiscono 4-5 individui su 1000 abitanti

l’anno ,quindi sono malattie molto diffuse nei periodi di massima endemia o pandemia

influenzale e possono portare anche a morte l’individuo;tuttavia la mortalità per questo tipo di

processi è piuttosto bassa grazie alle terapie farmacologiche che possiamo applicare, buona

soprattutto la terapia antibiotica e antipiretica. Invece la morbilità è molto elevata infatti ci sono

alcuni periodi dell’anno in cui per esempio in alcuni posti (di lavoro, scuole ecc..) è sufficiente

che uno si ammali per spargere gli agenti patogeni nell’ambiente e quindi creare una massima

diffusione di malattia.

Quindi si tratta di processi infiammatori molto frequenti che creano alta morbilità ma bassa

mortalità.

la mortalità è fortemente ridotta grazie alla disponibilità di trattamenti farmacologici (antibiotici

ed antipiretici) mentre gli antivirali sono ancora farmaci in via di sviluppo ,per cui le forme di

polmoniti virali spesso hanno un trattamento farmacologico relativo;queste forme tendono in

realtà a risolversi abbastanza rapidamente ma le forme di polmoniti virali si avvalgono (proprio

per evitare complicanze) della terapia antibiotica che molto spesso si associa ad un soggetto che

ha un’influenza da virus influenzale o parainfluenzale dopo qualche giorno (per evitare le

complicanze batteriche che sono più pericolose rispetto all’infezione virale che può risolversi

spontaneamente).

Questi processi infiammatori sicuramente sono favoriti dalla perdita di tutti quelli che

sono i meccanismi di difesa del nostro apparato respiratorio e del nostro organismo. :

-la funzione dell’attività muco-ciliare: la perdita della clearance muco-ciliare(come avviene nei

fenomeni di metaplasia pavimetosa dell’epitelio bronchiale = sostituzione dell’epitelio con

epitelio più resistente all’insulto cancerogeno) fa si che tutto ciò che respiriamo riesce a

raggiungere le terminazioni polmonari, gli alveoli dove poi può svilupparsi un processo

infiammatorio di differente entità.

- perdita della funzione dei macrofagi alveolari: negli alveoli sono presenti cellule macrofagiche

che probabilmente derivano dal midollo osseo e che svolgono un’importante azione difensiva

,nel nostro polmone, contro gli agenti patogeni inspirati che possono raggiungere la

terminazione più basse. il fumo di sigaretta sicuramente è la sostanza che distrugge e danneggia

più di ogni altra cosa i macrofagi endoalveolari (tant’è che li ritroviamo stonati quando sono

osservati nelle sezioni istologiche perché imbottiti di particelle di carbone, quindi sono

79

Page 80: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

danneggiate e non funzionano come dovrebbero)

-tra i fattori predisponenti c’è la perdita dello stimolo della tosse, come accade per esempio in

molti pazienti affetti da patologie neurodegenerative (per es. un soggetto affetto da Parkinson o

altre malattie di questo genere) dove vi è un rallentamento generale di tutte le funzioni e quindi

anche la perdita del riflesso della tosse.

La perdita del riflesso può derivare dall’uso di farmaci che vanno a bloccare la stimolazione

vagale e questo causa il ristagno di agenti patogeni a livello endoalveolare.

-Tra i fattori predisponenti dobbiamo considerare la giacenza in condizioni supine. Esempi di

soggetti che giacciono per molto tempo in posizioni supine sono i neonati (costretti a stare in

culla per molto tempo) ;soggetti anziani debilitati che sono a letto per tanto tempo;soggetti con

accidenti cerebrali o vascolari ecc. In generale, la condizione di allettamento favorisce la stasi in

corrispondenza delle porzioni declivi del polmone e se c’è la stasi c’è la possibilità che agenti

patogeni soprattutto batteri possano proliferare e quindi creare e favorire lo sviluppo di focolai

infettivi-infiammatori.

La stasi in questi pazienti favorisce soprattutto lo sviluppo di broncopolmoniti. Queste sono da

un punto di vista evolutivo identiche alla polmonite infettiva ma con una reattività

dell’organismo diversa: la polmonite crea focolai flogistici massivi, la broncopolmonite focolai

multipli progressivi.

Nella fibrosi cistica, la presenza di cisti ovvero di dilatazioni bronchiectasiche favorisce il

ristagno di muco. Esistono dei centri pediatrici che controllano costantemente questi bambini

con fibrosi cistica perché bisogna educarli a respirare, a liberare i loro polmoni dalle secrezioni

mucose che tendono ad accumularsi.

Laddove ci sono condizioni che provocano l’accumulo di secrezioni mucose (es:nella fibrosi

cistica,;nella malattia da immobilità delle ciglia detta sindrome di Kartagener in cui gli individui

affetti nascono con le ciglia vibratili compatte che quindi non funzionano) si hanno dei grossi

problemi respiratori perché le ciglia presentano deficit funzionale e le secrezioni mucose

endoalveolari si accumulano andando a formare tappi di muco e quindi conseguente enfisema

Questi sopra elencati sono quindi fattori che predispongono allo sviluppo di queste malattie

infettive infiammatorie dell’apparato bronco-polmonare.

Come i patogeni raggiungono la via respiratoria?

o Ci arrivano dall’ambiente che contiene particelle di polveri, o particelle batteriche o

virali.

80

Page 81: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

o ci si contagia a vicenda (goccioline di flugge) e gli agenti patogeni inalati raggiungono le

vie respiratorie.

o Ci può essere anche un’aspirazione dell’agente patogeno:per esempio il focolaio

infettivo è a livello dell’apparato buccale o delle tonsille o a livello della porzione superiore del

faringe.

o Oppure i patogeni possono raggiungere l’apparato polmonare per via ematica. ci può

essere una batteriemia o una viremia con raggiungimento del patogeno a livello polmonare

attraverso il sangue come accade per esempio in corso di malattie virali: per es i neonati

sviluppano processi infettivi bronco-polmonari, soprattutto polmoniti virali, in corso di morbillo,

pertosse, varicella.

o Oppure il polmone può essere coinvolto per continuità o contiguità: il focolaio flogistico

è presente in una sede vicina al polmone come per es una pleurite che si estende al polmone; una

mediastinite; una perdicardite; un processo tubercolare che coinvolge il linfonodo mediastinico

(o peribronchiale o periesofageo )e da qui si espande a livello polmonare;un processo flogistico

trans murale dell’esofago. quindi ci possono essere una serie di processi infiammatori di organi

vicini che per continuità o contiguità possono trasmettersi al polmone.

NB: la via di diffusione più importante è la via inalatoria.!!!

Ritornando alla classificazione:

Abbiamo visto che da un punto di vista topografico questi processi flogistici possono essere ad

insorgenza broncopolmonare o polmonare ab initio.

Se facciamo riferimento topograficamente alle polmoniti in senso stretto ,in base

all’inizio di sviluppo del processo infiammatorio, le polmoniti possono essere

endo-alveolari

interstiziali.

Secondo il criterio eziologico si distinguono

polmoniti infettive

polmoniti non-infettive.

POLMONITI INFETTIVE che sono quelle più frequenti abbiamo:

- le polmoniti batteriche,

-le polmoniti virali,

-le polmoniti da micobatteri (micobatteri tipici quale quello della tubercolosi e micobatteri

atipici), --polmoniti protozoariche.

81

Page 82: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Un conto è avere una polmonite batterica, un conto è avere una polmonite micotica; contro i

miceti dobbiamo fare terapia antimicotica che è diversa dalla comune terapia antibiotica.

Nelle forme virali abbiamo poco a disposizione. O si fanno degli antivirali (se il soggetto è

immuno- depresso) o terapia antibiotica per scongiurare sovra infezione batterica.Per le inf

protozoarie si utilizzano altri farmaci specifici. quindi in base all’eziologia noi avremo un

trattamento specifico.

In base all’eziologia noi possiamo risalire alla topografia :

-le forme di polmoniti batteriche sono anche topograficamente polmoniti essudative- alveolari.

un batterio quando si localizza nel parenchima polmonare(sia che si localizzi ab initio nel

parenchima polmonare sia che scenda dal bronco)la flogosi che ne consegue è di tipo purulento;

le polmoniti di origine batterica sono sempre endoalveolari.

-Quando invece la causa è un virus, questo raggiunge l’albero respiratorio e induce un danno a

livello endoalveolare ma NON darà mai delle reazioni flogistiche purulente !l’infezione virale

darà delle reazioni infiammatorie linfocitarie linfoplasmacellulari ; quindi le polmoniti virali,

topograficamente, non saranno mai essudative endoalveolari ma saranno a sviluppo interstiziale

anche se il danno virale è partito dai pneumociti! La reazione flogistica noi la cogliamo

nell’interstizio polmonare.( vedremo che le polmoniti interstiziali sono soprattutto virali)

I soggetti più colpiti da polmoniti interstiziali sono neonati e anziani. (Nel neonato l’interstizio

polmonare non è ancora fibroso, non è ancora un sottile strato connettivale, gli alveoli non sono

ancora espansi come l’adulto. Solo con la crescita si assottiglia lo strato di connettivo

interstiziale e aumenta il rapporto diretto dell’alveolo con il capillare vascolare.)

Quindi quando il bambino contrae il morbillo, la varicella o altre malattie esantematiche si teme

lo sviluppo di flogosi interstiziali e quindi è opportuno saper effettuare correttamente

l’auscultazione del torace dei bambini; è vero che le infezioni virali di risolvono in 4 5 giorni ma

si possono complicare per infezioni batteriche a causa della stasi in questi dei bambini allettati

che comporta una complicanza batterica molto frequente. quindi vi è la necessità ,dopo due

giorni ,di somministrare la terapia antibiotica per evitare complicanze che potrebbero peggiorare

lo stress respiratorio e che possono portare a morte

Riassumendo: in base all’eziologia questi processi infiammatori possono essere distinti in

infettivi e non infettivi ; a sua volta ,in base alla topografia, le forme batteriche polmonari sono

essudative ed endoalveolari e quelle virali sono interstiziali.

82

Page 83: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Nell’ambito delle forme batteriche :

• i batteri possono essere gram-positivi. tra questi il Pneumococco che ,insieme allo

stafilococco, è l’agente patogeno più frequentemente responsabile di polmoniti essudative

endoalveolari batteriche).

• Seguono poi i gram-negativi; per es le Klebsielle, in molti individui, nell’espettorato o

nel sangue c’è la positività alle Klebsielle

• Nelle situazioni più severe ci sono i batteri anaerobi (la cui presenza è molto

preoccupante perché è difficile eradicare infezioni da microrganismi anaerobi proprio perché

crescono e proliferano in qualunque condizione tanto poi da portare allo sviluppo di gangrene

polmonari).

• Altri agenti patogeni sono funghi o batteri emergenti come Clamidia o Legionella che

hanno un ruolo importante nello sviluppo di processi infettivi polmonari data la promiscuità

delle popolazioni e soprattutto l’arrivo in certe nazioni di gente proveniente dai paesi più poveri

non controllata da un punto di vista sanitario.

Nell’ambito delle forme virali

• più comuni sono quelle da virus respiratori, sono le infezioni più comuni delle stagioni

soprattutto nelle stagioni invernali che si risolvono in 4-5 giorni. ma le polmoniti virali vanno

ricordate perché in certe fasce d’età, soprattutto nel neonato e nell’anziano, possono sovra

infettarsi(a causa della stasi o di turbe circolatorie)e complicarsi con infezioni batteriche e

portare anche all’exitus dell’individuo se non si interviene.

• In più ci sono poi delle forme virali ,da virus sistemici come Citomegalovirus o di

Epstein-Barr o virus di morbillo, varicella o il Corona virus( responsabile di quella forma

necrotizzante di polmonite che è la SARS )che colpiscono l’individuo immunodepresso e non

quello in buone condizioni con un sistema immunitario adeguato che non ha problemi di fronte

a questi agenti patogeni. Quando in questi pz immunodepressi( immun.depr.congenita;indotta da

farmaci antiblastici ,da HIV ecc..) c’è un’infezione da Citomegalovirus, da Epstein-Barr, da

Herpes Zoster ecc si tratta sempre di situazione terminali e quando queste infezioni subentrano

non si riesce mai con antivirali a tamponare la situazione tant’è che quando questi virus si

localizzano a livello cerebrale o polmonare in genere c’è sempre il decesso dell’individuo. Il

decesso avviene non per l’immunodepressione ma per infezioni ricorrenti che sono soprattutto

virali o da funghi(micotiche):es quelle sistemiche da Criptococchi ; questi sono terribili perché

si localizzano a livello cerebrale nella maggior parte dei casi e le criptococcosi nel sistema

nervoso cerebrale danno la formazione di focolai necrotici a forma di buchi : il cervello presenta

delle aree necrotiche(aspetto simile a formaggio con buchi) dove all’interno prolifera il

83

Page 84: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Criptococco.

Le Polmoniti infettive batteriche sono poi distinte in

• comunitarie

• nosocomiali.

Le polmoniti comunitarie:

Sono le più comuni e sono quelle che si contraggono per le abitudini sociali per il fatto che si

frequentano ambienti affollati. Parliamo di polmoniti comunitarie quando si tratta di individui

non ospedalizzati.

Le polmoniti nosocomiali :

riguardano tutti gli individui ospedalizzati presenti in un reparto di lungodegenza o in un

reparto per almeno due settimane perché si devono creare una serie di situazioni che

favoriscano l’infezione. Soprattutto in certi reparti(come

rianimazione,degenza,oncologia..)l’igiene è importante per evitare la diffusione di patogeni

nell’ambiente .Bisogna es evitare che i pz affeti circolino liberamente. Nei reparti i degenti sono

immuno compromessi, oppure sono pz in cui la stasi favorisce lo sviluppo dei batteri, oppure

sono cardiopatici e la cardiopatia favorisce la stasi e la compressione ecc: in ogni caso bisogna

prestare attenzione affinchè non ci sia la divulgazione dei batteri all’interno dei reparti.

Cambia il tipo di agente patogeno (dal p.d.v della incidenza) a seconda che si considerano le

forme comunitarie o nosocomiali .

-E’ chiaro che le polmoniti comunitarie abbiamo le stesse forme predisponenti e cioè colpiscono

individui che sono o anziani o neonati o immunodepressi o anche soggetti giovani. soggetti che

hanno fattori predisponenti o soggetti in pieno benessere.

Nelle polmoniti comunitarie fa da padrone come agente eziologico lo Pneumococco.

-Nelle polmoniti nosocomiali, oltre ai batteri emergenti, fanno da padroni la Klebsiella, lo

Pseudomonas ,Stafilococco, enterobatteri ecc.

ANDAMENTO CLINICO DELLE POLMONITI

Se facciamo riferimento all’andamento clinico della malattia, le polmoniti batteriche essendo

processi infiammatori possono avere un andamento clinico ACUTO o CRONICO.

La flogosi può essere acuta e possiamo quindi avere una polmonite essudativa endoalveolare.

Ma se l’agente patogeno è il Micobacterium Tubercolosis ,il processo flogistico che ne consegue

84

Page 85: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

è cronico granulomatoso proprio perché l’agente infettivo una volta penetrato nell’organismo

persiste,è di difficile eliminazione e viene isolato\neutralizzato attraverso la formazione di

granuloma che può andare in necrosi caseosa se le difese immunitarie si abbassano. La necrosi

caseosa comporta la fuori uscita di altri batteri che raggiungono altri organi attraverso il sangue

oppure vengono espettorati attraverso la tosse (e si contagiano altri individui.)

Mentre nelle flogosi di tipo essudativo l’agente patogeno è distrutto (Pneumococco,

Streptococco, Klebsiella)dai fagociti mononucleati, il micobatterio invece una volta penetrato

nell’organismo non va più via quindi si va incontro a una flogosi cronica.

Quando parliamo di polmonite acuta essudativa endoalveolare facciamo riferimento alle

polmoniti batteriche. Questo tipo di polmonite è detta anche LOBARE :è un processo flogistico

acuto essudativo endoalveolare tipico delle polmoniti comunitarie .

colpisce massivamente un ampio territorio polmonare quindi un lobo intero polmonare. le più

comuni sono quelle batteriche comunitarie da diplococco, streptococco. Queste flogosi

essudative massiva lobare colpisce soggetti giovani .perché deve colpire tutti quei soggetti?

Perché sono soggetti in pieno benessere, hanno un sistema immunitario ben funzionante,

addirittura un sistema immunitario iper-reattivo che è stato magari già sensibilizzato dallo

Pneumococco (per es da precedente faringite o tonsillite pneumococcica) ,ed essendo già stato

sensibilizzato, risponderà a una carica batterica elevata( come quella presente nell’ambiente

comunitario )e quindi il secondo contatto con il batterio crea una reazione iperergica

all’infezione tanto da colpire massivamente un intero lobo polmonare. Questa infezione è

importante da un punto di vista semiologico, è opportuno riconoscerla perché è la più frequente

delle infezioni invernali. Colpisce soggetti giovani in buone condizioni con un sistema

immunitario competente, per esempio bambini in età scolare dopo i sei anni perché devono

avere un sistema reattivo e devono aver avuto già un contatto con l’agente patogeno e giovano

adulti, soggetti dai 6 ai 30 anni.

Lo stesso agente patogeno, se nel soggetto giovane adulto crea un processo massivo essudativo

endoalveolare di un intero lobo, in soggetti di età >30-50 (in cui il sistema immunitario è in

declino, più vecchio e compromesso) scatenerà invece una flogosi non cosi massiva, ma sempre

endoalveolare e con coinvolgimento iniziale del bronco poi la flogosi andrà nell’alveolo. Questi

pazienti di maggior età e con un sistema imm meno efficace svilupperanno quindi una

broncopolmonite essudativa A FOCOLAI MULTIPLI . Si hanno gli stessi sintomi riscontrati

nei soggetti giovani ma il quadro flogistico nel polmone è a focolai multipli.

85

Page 86: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Polmonite batterica essudativa endoalveolare o lobare franca

Vediamo Come si manifesta una polmonite lobare franca nel giovane secondo la sua classica

evoluzione e che segue anche un criterio terapeutico corretto.

(Se somministro l’antibiotico precocemente faccio un danno perché creo un’anomala evoluzione

del processo che può complicarsi fino al decesso).

La polmonite lobare franca è una malattia che dura un periodo limitatissimo, una settimana, cioè

l’evoluzione di questo processo flogistico è di una settimana.

La malattia dura una settimana nella quale si susseguono i diversi stadi evolutivi e ciascuno

stadio evolutivo (dalla durata ben precisa di alcuni giorni) avrà clinicamente dei segni e dei

sintomi che sono peculiari.

• 1° stadio è quello dell’ingorgo ematico o della congestione . il soggetto si corica

spossato ma si alza con la febbre alta, brividi scuotenti e tosse produttiva e dolore puntorio al

torace. E’ questa la fase di inizio della malattia. E’ di breve durata, 24h, ed è la fase nella quale

non bisogna fare antibiotico ma procedere con l’antipiretico. In tale fase il lobo polmonare

(soprattutto medio e medio inferiore sono quelli più colpiti) è aumentato di volume, è aumentato

di consistenza e appare di colorito rosso scuro perché c’è congestione, vasodilatazione dei

capillari alveolari con migrazione delle emazie negli alveoli. Se noi dovessimo tagliare questo

lobo, alla spremitura fuoriesce sangue a causa dell’iperemia(come in tutti i processi flogistici).

Se c’è iperemia abbiamo anche migrazione dei g.r. dal capillare nell’elveolo data la vicinanza.

In questa prima fase all’interno dell’alveolo noi troveremo molti batteri, ma gli elementi

cellulari della flogosi, cioè i macrofagi e i granulociti neutrofili sono ancora pochi!

Il quadro sintomatologico: la febbre alta scende sotto l’effetto dell’antipiretico ma tende

a risalire a 39-40;forti brividi; nel primo stadio la tosse c’è ed è detta produttiva con

espettorazione abbondante e possibili striature di sangue perché ci sono tante emazie

nell’alveolo. Se il lobo polmonare è avvolto dalla pleura anche questa sarà

inevitabilmente coinvolta dal processo flogistico tanto da determinare il dolore del

torace. Il pz ha dolore puntorio al torace e lo indica. Se poniamo il fonendo sulla schiena,

sentiamo i rumori crepitanti durante l’inspirazione.

• 2° stadio è detto stadio dell’epatizzazione rossa, dura 2 -3 giorni. In questo stadio il lobo

polmonare ha la stessa consistenza del parenchima epatico, è di colorito rosso scuro, è compatto,

e al taglio e alla spremitura escono poche gocce di sangue. perché? Nel momento in cui il

processo infiammatorio continua , dal capillare arterioso all’alveolo passano non soltanto le

emazie ma anche la fibrina che riempie gli alveoli e va ad intrappolare le emazie, i batteri, i

granulociti che nel frattempo sono arrivati recluatati in gran numero e le cellule macrofagiche.

86

Page 87: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Si creano allora dei veri e propri tappi compatti di fibrina all’interno dell’alveolo.

Il pz in questo secondo stadio avrà un cambio di sintomatologia e si può intervenire con

terapia antibiotica:

Nel secondo stadio la tosse persiste ma è secca,non è più produttiva ;persiste il dolore

;non si sentono più i rantoli all’auscultazione perché la fibrina ha compattato gli alveoli.

A questo punto si interviene con una terapia antibiotica seria fatta con dosaggi pieni

perché i sotto/sovradosaggi fanno male (in media 2g di antibiotico ogni 12 ore, in base al

peso). In questo caso si usa la penicillina o altri antibiotici di seconda generazione.

• 3° stadio : Nel 4°-5° giorno il lobo polmonare passa dalla fase di epatizzazione rossa alla

fase di epatizzazione grigia.

Il lobo polmonare ha ancora la consistenza epatica compatta ma il colorito da rosso vira

al grigio perché è iniziata la lisi delle cellule, sia dei batteri sia delle cellule (granulociti

sfaldati e danneggiati) per cui lo sfaldamento e la degradazione degli elementi cellulari

porta al viraggio del colore del lobo dal rosso al grigio. un’ulteriore degradazione dei

granulociti può inoltre far virare il colore dal grigio al giallastro.

Siamo già ad una fase avanzata(5giorno avanzato) .I sintomi sono quelli della fase di

epatizzazione rossa.

Prima di descrivere l’ ultima fase volevo aggiungere qualcosa: Nella fase dell’ingorgo gli

alveoli sono dilatati e presentano aria, c’è dispnea ma non è ancora cosi severa. Il

soggetto nella prima fase respira ma con difficoltà ma non con difficoltà importante

come nell’epatizzazione rossa e in quella grigia quindi possiamo dire che un altro

sintomo del primo stadio è la dispnea ingravescente aumenta col passaggio dall’ingorgo

ematico all’epatizzazione rossa a quella grigia. Nella fase di ingorgo gli alveoli

contengono aria e tanti elementi che sono batteri, granulociti, macrofagi ecc.

Nell’epatizzazione rossa si compatta tutto questo essudato endoalveolare perché la

fibrina che è passata imbriglia gli elementi, si creano dei tappi all’interno dell’alveolo

che spiegano questa dispnea severa.

• 4°stadio: A questo punto, dalla fase di epatizzazione grigia si arriva finalmente alla

settima giornata cioè alla fine della malattia ed è lo stadio della risoluzione (6^-7^ giornata).

è la fase in cui gli enzimi litici prodotti da granulociti e macrofagi realizzano la

fluidificazione della fibrina che viene quindi sciolta enzimaticamente e buttata fuori con

la tosse insieme a tutti gli elementi di degradazione in essa imbrigliati. Dalla 6^-7^

giornata il pz (giovane) ha nuovamente tosse produttiva con espettorato fangoso

87

Page 88: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

verdastro denso e spesso maleodorante (perché è tutto ciò che è stato degradato negli

alveoli.)

La febbre cade improvvisamente. ricordate però che parte della fibrina viene riassorbita

per via linfatica. Quindi nella fase di risoluzione si ha la fluidificazione di questi tappi di

fibrina e di materiale necrotico buttati all’esterno con la tosse o riassorbiti per via

linfatica. In questa fase riprende reazione degli alveoli, la dispnea scompare: al fonendo

ricompaiono i rumori umidi quindi quella crepitatio che questa volta non sarà più nella

fase di inspirazione ma di espirazione, quando l’aria viene buttata fuori.

Se diamo una terapia incongrua nelle prime 24 h o sotto dosata nelle fasi dei giorni successivi si

rischiano le complicanze di una polmonite essudativa lobare franca che sono molto gravi.

COMPLICANZE

-formazione di ascessi. Se diamo una terapia non adeguata il focolaio non si risolve, addirittura

ci possono essere delle sovra infezioni batteriche con sviluppo di ascessi e la situazione diventa

critica.

-Possiamo avere una terapia troppo precoce che spegne rapidamente la reazione flogistica

granulocitaria cioè che riduce l’arrivo di granulociti nel focolaio dove sono presenti gli agenti

patogeni favorisce la non fluidificazione della fibrina (processo che invece richiede una quantità

sufficiente di granulociti e di macrofagi); se invece spegniamo la risposta con una terapia

antibiotica data troppo presto avremo una quantità insufficiente di questi elementi e il rischio

che la fibrina si possa compattare tanto da creare delle vere e proprie masse fibrose. quindi si ha

la cosiddetta carnificazione della fibrina, masse fibrose dense. Immaginate un lobo polmorare

sostitutito da tessuto fibroso con conseguenti complicanze ventilatorie.

-Un’altra complicanza può essere una batteriemia cioè una diffusione dei patogeni per via

ematica e localizzazione in altre sedi, tra le quali, quelle più gravi sono a livello cardiaco: si

possono avere endocarditi o pericarditi batteriche, un soggetto può morire per uno scompenso

cardiaco infettivo, oppure la batteriemia può portare ad una localizzazione dello pneumococco a

livello cerebrale, soprattutto a livello delle meningi e creare un coagulo di meningite

pneumociccica.

Quindi il soggetto può morire per una batteriemia quindi una diffusione dell’infezione dal

polmone al cuore e alle meningi.

Quando c’è polmonite lobare e contemporaneamente endocardite batterica e meningite batterica

si definisce la triade di Marchiafava: ai sintomi polmonari si aggiungono quelli

dell’endocardite(alterazioni funzionali elettrocardiografiche) e della meningite.

88

Page 89: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

Broncopolmonite batterica essudativa endoalveolare a focolai multipliSe abbiamo capito come evolve la polmonite batterica infettiva essudativa endoalveolare, è

facile capire la differenza con una broncopolmonite essudativa batterica endoalveolare.

Clinicamente la semeiotica ci aiuta a fare tale distinzione. Le modificazioni di un intero lobo

come si ha nella polmonite lobare sono più evidenti rispetto ai focolai multipli per i quali

bisogna avere “l’orecchio fino”.La polmonite lobare è invasiva aggressiva ma da un punto di

vista clinico si riconosce più facilmente e si può curare. Broncopolmonite è più insidiosa:

Il sistema immunitario di un soggetto adulto o con altre malattie da immuno deficienza o

cardiopatie o trattato con terapie antiplastiche non risponde adeguatamente all’infezione, ma

risponderà quasi a fatica facendo in modo che il processo infettivo possa coinvolgere altri

territori del polmone . Anche se il patogeno è lo stesso…

- polmonite colpisce un solo lobo,

- la broncopolmonite è una condizione a focolai multipli.

Nella broncopolmonite i soggetti colpiti sono pz debilitati(cardiopatico, diabetico, con infezioni

ecc.)e hanno un sistema immunoincompetente (invecchiato o non ancora maturo) e sono

obbligati a restare a letto.

La stasi favorirà subito lo sviluppo di focolai broncopolmonari in corrispondenza delle docce

paravertebrali = E’li che bisogna porre il fonendo per sentire se i rumori respiratori cambiano

nei vari punti a partire soprattutto da queste aree che sono le aree più esposte alla proliferazione

dei batteri.

Quindi la broncopolmonite riconosce lo stesso agente eziologico della polmonite ma che si

sviluppa in soggetti con sistema immunitario anergico o ipoergico ed è un quadro a focolai

multipli che possono però confluire tra di loro tanto che il deteriorarsi delle condizioni

dell’individuo, se non si interviene rapidamente con terapia adeguata, può portare anche al

decesso.

Quando c’è una broncopolmonite come sono i focolai da un punto di vista morfologico?

La broncopolmonite riconosce gli stessi stadi evolutivi della polmonite!!!

Però, siccome è una malattia ipoergica o anergica , si avrà la coesistenza di focolai in fasi

evolutive diverse: quindi all’auscultazione si sentono focolai con crepitatio indux, focolai con

crepitatio redux, focolai con silenzio respiratorio.

La tosse non sempre ci sarà, non sarà mai una tosse secca proprio perché i focolai avranno

diverse fasi evolutive.

Anche in questi soggetti mai partire con la terapia antibiotica nelle prime 24 h.

Le complicanze della broncopolmonite sono le stesse e con un rischio maggiore di

89

Page 90: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

carnificazione, si rischia di fare più focolai carnificati non lisati.

Anche la clinica può ingannare perché non si trovano quelle fasi a step della polmonite lobare.

Polmoniti ViraliPer quanto riguarda il concetto delle polmonite virali, abbiamo compreso che i virus influenzali

colpiscono i soggetti di tutte la fasce d’età, ma a seconda della fascia d’età il virus influenzale

può dare danni differenti.

Se colpisce il neonato che ha un sistema immunitario ipoergico e un interstizio polmonare

molto ampio rispetto all’adulto, è chiaro che il virus da una polmonite desquamativa

endoalveolare. Il virus prolifera negli pneumociti di tipo I o II danneggiandoli. (ci può essere un

danno anche a livello della funzione di surfattante.)

Se il virus moltiplica negli pneumociti non sarò riconosciuto da una componente granulocitaria,

non ci sarà mai pus durante un’infezione virale!ci sarà un infiltrato linfocitario. Il virus dà un

danno endoalveolare desquamativo, distruggerà le cellule endoalveolari ma la reazione

infiammatoria linfocitaria sarà estrinsecata nell’interstizio.

Questo è tipico nel neonato ,con un quadro di polmonite interstiziale che compromette in

maniera severa la funzionalità alveolo-capillare perché la flogosi nell’interstizio non farà altro

che deteriorare lo scambio alveolo-capillare che sarà anche alterato per il danno a livello degli

pneumociti soprattutto quelli di II tipo che producono il surfattante.

o da una parte la flogosi può causare l’allontanamento del capillare dall’alveolo

o dall’altra c’è una tendenza al collasso alveolare ,per ridotta produzione del surfattante,

con migrazione di fibrina dai capillare nell’alveolo. Viene a mancare l’effetto antiedema del surf

trattante.

Le polmoniti virali sono facili da ricordare perché partono tutte con un danno endoalveolare

che può cambiare di entità se il soggetto è un neonato o un giovane adulto con un sistema

immunitario competente in l’influenza provoca lo stesso danno alle cellule alveolari ma viene

riparato in 4-5 giorni grazie all’intervento del sistema immunitario.

In corso di influenza si fa la terapia sintomatica per la febbre, per la tosse ma nessun tipo di

antivirale, al massimo l’antibiotico per le sovra infezioni batteriche; questo è obbligatorio nei

bambini. Nell’anziano possiamo avere un danno sovrapponibile a quello del neonato ,perché c’è

un sistema immunocompetente non adeguato, spesso l’interstizio dell’anziano è fibrotico quindi

ci possono essere altre condizioni che favoriscono danno endoalveolare, flogosi interstiziale e le

complicanze possono portare a morte.

Le forme virali da virus sistemici vengono diagnosticate grazie al dosaggio del virus nel sangue,

90

Page 91: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

si fa l’emocoltura per la presenza del virus.

Queste forme particolari di virus sistemici se giungono al tavolo autoptico, producono nello

pneumocita infettato o in qualsiasi cellula infettata inducono modifiche citopatiche o alterazioni

citologiche caratteristiche che sono la cellula a occhio di civetta nell’infezione da

citomegalovirus o la cellula a nuclei bilobati nell’herpes o plurilobati nell’herpes zoster e cosi

via…

A volte i virus creano immagini cellulari caratteristiche per cui è facile identificarlo.

91

Page 92: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

16 – 05 – 2012

SBOBINATA DA: Luigi ANATOMIA PATOLOGICA

CORRETTA DA: Mariano Prof.ssa G.Serio

INTERSTIZIOPATIE

PROCESSI NON INFETTIVI DEL POLMONE AD EZIOLOGIA PARTICOLARE, CHE SI

ESTRINSECANO A LIVELLO DELL’INTERSTIZIO POLMONARE

Essi sono processi cronici interessanti il polmone, che danno generalmente origine a delle

trasformazioni fibrotiche. Questi processi infiammatori presentano un esordio acuto, cioè, quando

sono clinicamente evidenti, si manifestano in maniera violenta, tanto da creare quadri di evidente

insufficienza respiratoria di tipo restrittivo. Dalla pneumologia sappiamo che esistono 2 tipi di

insufficienza respiratoria: una di tipo ostruttivo, causata da un ostacolo al flusso di aria attraverso

gli alveoli; una di tipo restrittivo, causata da una difficoltà degli alveoli ad espandersi (meccanismo

ab-extrinseco), come per esempio nel caso di fibrosi polmonare interstiziale che comprime e

schiaccia gli alveoli, altera la struttura dei capillari arteriosi con conseguenti alterazioni e danno

delle unità alveolo-capillari.

Tali patologie sono progressive ed irreversibili, e si presentano spesso bilaterali, ovvero

coinvolgono entrambi i polmoni; radiologicamente sono caratterizzate da infiltrati diffusi nodulari,

che creano un’immagine a vetro smerigliato (a nido d'api).

Classificazione delle interstiziopatie

Possiamo classificare, dal punto di vista eziologico, tali patologie in:

• interstiziopatie da causa sconosciuta;

• interstiziopatie da causa nota;

• particolari malattie interstiziali, che possono essere confuse con le 2 precedenti pur avendo

caratteristiche peculiari che meritano attenzione.

Per quanto riguarda l’ultima di queste classi, un esempio è il Linfangioleiomiomatosi (LAM): tale

patologia è molto frequente nelle donne e negli uomini giovani e prevede l'abbondanza di tessuto

leiomuscolare nell'interstizio polmonare; tale condizione è molto frequente nelle donne sotto

stimolazione estrogenica associata a leiomiomi multipli anche a livello uterino (infatti inizialmente

si pensava si trattasse di metastasi).

Un altro esempio è l’istiocitosi a cellule di Langherans, che è una particolare forma di istiocitosi

(presenta un esordio brusco nei soggetti giovani) che necessita di una terapia cortisonica oppure di

92

Page 93: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

chemioterapia per evitare ulteriori danni, eventualmente coinvolgenti anche il cuore. Infine la

polmonite eosinofila, ovvero una polmonite che può mimare una interstiziopatia fibrosante.

A parte queste forme particolari, le prime 2 classi sono quelle di maggiore interesse clinico.

Nelle intersitiziopatie ad eziologia sconosciuta (sono sclerodermie interstiziali, fibrosanti,

croniche, progressive, irreversibili, idiopatiche) distinguiamo ‘forme diffuse’, che colpiscono quasi

sempre soggetti giovani e sono sempre progressive ed irreversibili, e ‘forme nodulari’, tra cui la

‘sarcoidosi’, ovvero una malattia conosciuta, ma di cui non si conosce l’eziologia.

Nelle interstiziopatie ad eziologia nota, invece, ricordiamo quelle causate da farmaci, quali

antiaritmici come il cordarone. Tale farmaco, particolarmente usato nel pronto soccorso, è ottimo

per controllare il normale ritmo cardiaco, ma a lungo andare può andare ad incidere sulla tiroide,

con quadri di ipotiroidismo, e sul polmone, con fibrosi polmonare interstiziale; pertanto sono

necessari controlli annuali sul paziente. Qualora si riscontrino quadri di fibrosi, allora si sospende

subito la terapia con cordarone, il quale viene sostituito da altri farmaci, meno efficaci, ma

comunque in grado di scongiurare un’eventuale fibrillazione ventricolare.

Altri farmaci in grado di causare interstiziopatie sono i sali di oro, usati per le malattie reumatiche o

il metrotrexate, usato sempre per malattie reumatiche croniche.

Ci sono poi una serie di malattie legate a cause immunitarie, come la sclerodermia, il lupus (LES),

che possono portare a quadri di fibrosi polmonare.

Pneumoconiosi

Le malattie polmonari più frequenti sono quelle causate da inalazione di inquinanti atmosferici

presenti nell’aria in senso generale, oppure nell’aria di particolari ambienti di lavoro: si parlerà

allora di pneumoconiosi, cioè malattie da polveri inquinanti.

Quando parliamo di ‘pneumoconiosi’, intendiamo quelle malattie/patologie tipiche delle aree

industrializzate in cui vi è inalazione di polveri, trattenute nel polmone ed in grado di innescare una

reazione fibrosante, sclerogena, cronica, fino ad arrivare all’insufficienza cronica restrittiva.

Queste pneumoconiosi dipendono molto dal tipo di particelle inalate, dalla quantità di polvere, dalle

loro dimensioni e dalla durata dell’esposizione all’inalazione:

4. quantità di polvere e durata dell'esposizione : se io faccio un episodio sporadico ad alta

concentrazione di particelle di polveri di piccole dimensioni che raggiungono l'alveolo, non

avrò la pneumoconiosi (mentre invece l'avrà un soggetto che respira polveri con

concentrazioni minori ma per un tempo prolungato).

5. Dimensioni delle particelle :

93

Page 94: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

• Particelle con dimensioni superiori a 5μ vengono bloccate dalla Clearance Muco-

Ciliare e poi espulse con un colpo di tosse;

• Particelle fino a 5μ invece, possono raggiungere l'albero bronchiale ma attraverso il

muco o attraverso la via linfatica possono essere drenate all'esterno.

• Particelle più piccole, con dimensioni inferiore ai 5μ, sono le più dannose perchè

riescono a sfuggire ed a raggiungere gli alveoli polmonari.

6. Tipo di particelle inalate: la polvere non deve essere di tipo allergizzante (es. il polline è

solo allergizzante, e non causa fibrosi), ma deve essere di tipo fibrosante, sclerogeno, come

per esempio, la silice (polvere di quarzo), carbone, ferro, bario, stagno e asbesto. La

pneumoconiosi più diffusa in Italia è la ‘silicosi’, frequente in tutti i laboratori della pietra,

del vetro, della ceramica, dell’edilizia o tra i minatori.

In generale, però, queste polveri difficilmente le troviamo in forma pura, ma riscontriamo con più

frequenza pneumoconiosi miste, cioè causate da più polveri, visto che l’aria risulta variamente

contaminata (il minatore, per esempio, non respira solo carbone, ma può anche respirare silice).

Queste polveri possono creare nell’interstizio polmonare pneumoconiosi diffuse o nodulari, anche

se la maggior parte sono di tipo fibroso diffuso, ad eccezione della silicosi, che è nodulare.

La silicosi può dare origine a Noduli Fibrotici Interstiziali che via via si fondono per dare un quadro

di Fibrosi Interstiziale. Ma quando all'inizio compare il danno da quarzo, il Nodulo Interstiziale che

si viene a formare deve necessariamente essere messo in Diagnosi Differenziale con altre malattie

nodulari interstiziali quali Sarcoidosi e Tubercolosi. Inoltre la silicosi può complicarsi con una

tubercolosi: questo accade perché la polvere crea dei danni immunitari, riaccendendo un focolaio

tubercolare. In questo caso, il medico non può somministrare il cortisone normalmente dato per le

silicosi, poiché altrimenti andrebbe ad immuno-deprimere il paziente, con diffusione del batterio

tubercolare; si preferisce allora dare una terapia con antibiotici di attacco, sperando di spegnere il

focolaio tubercolare, per poi procedere con la terapia cortisonica per la silicosi; diventa ovviamente

necessario un costante monitoraggio del paziente (possibile ricorso all’ossigenoterapia).

La patogenesi delle pneumoconiosi è comune per tutte: la fibrosi polmonare è dovuta all’azione

delle polveri sugli elementi della flogosi. I macrofagi sono incapaci di degradare la polvere una

volta fagocitata, ma la fagocitosi procede fino a quando è lo stesso macrofago a sopperire per

accumulo di polvere al proprio interno: ciò fa rilasciare dei fattori chemiotattici che attivano i

fibroblasti, innescando un meccanismo che non porta a nulla, se non a fibrosi, oppure, si pensa che

il minerale possa attivare direttamente i fibroblasti, inducendo il rilascio di fattori fibrogenetici.

È interessante notare come una polvere possa causare fibrosi nodulare o diffusa. La silice provoca la

fibrosi nodulare perché una volta giunta nell’alveolo attiva immediatamente i macrofagi alveolari,

con liberazione di fattori fibrogenetici: già all’inizio il nodulo è tale, proprio perché inizia a livello

94

Page 95: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

alveolare. Le altre polveri (es. asbesto), invece, passano subito a livello interstiziale, a causa della

loro forma, e qui attivano i macrofagi e con essi gli agenti fibrogenetici.

Il nodulo fibroso comunque si modifica nel tempo, perché man mano che vengono attivati i

fibroblasti, noi assisteremo alla comparsa di un nodulo istiocitario (Macrofagico) con i macrofagi

che circondano la polvere; man mano che vengono richiamati i fibroblasti (che circondano gli

istiociti) avremo la trasformazione del Nodulo Macrofagico in Nodulo Fibro-Istiocitario fino a che

i macrofagi muoiono, a causa della polvere (vi sarà la sola presenza dei fibroblasti), e avremo un

nodulo fibrotico. Questo processo evolutivo del nodulo è anche influenzato dal tempo di

esposizione: una prolungata esposizione facilita la formazione del nodulo.

Nel caso delle pneumoconiosi diffuse, come per esempio l’’asbestosi’ (oppure particelle di

carbone), il quadro di fibrosi circonda gli alveoli, sacchi alveolari, bronchioli,via via diffonde

nell'interstizio schiacciando progressivamente le strutture respiratorie, fino ad un quadro di

insufficienza respiratoria.

Tuttavia, il danno respiratorio sarà più precoce nelle forme silicotiche, visto l’immediato

coinvolgimento alveolare.

Diagnosi e Terapia delle Pneumoconiosi

Quindi in caso di Silicosi dobbiamo escludere, tramite una diagnosi differenziale, un quadro di

Sarcoidosi e Tubercolosi per poi arrivare a una diagnosi di Malattia Professionale che avrà un

riconoscimento di invalidità oltre che dobbiamo allontanare il soggetto dall’area lavorativa, perché

queste pneumoconiosi possono solo essere tamponate con cortisone, ossigeno-terapia, farmaci che

controllano l’attività cardiaca; ci deve essere pertanto un riconoscimento lavorativo del danno.

Risulta poco utile la resezione di una parte del polmone, perché in questo modo non si farebbe altro

che portar via anche una percentuale di polmone funzionante, che magari può aiutare il paziente nel

decorso della malattia.

Magari può essere necessario effettuare una biopsia polmonare, perché richiesta dal datore di lavoro

al fine di permettere il risarcimento e la quiescenza del paziente. Devono poi naturalmente

intervenire i patologi, che sono in grado di classificare il tipo di fibrosi e l’agente eziologico (la

silice cristallina, ad esempio, è rifrangente al microscopio con luce polarizzata). Spesso è necessario

inviare il tessuto all’istituto superiore della sanità, dove viene incenerito: la polvere naturalmente

non subisce danni e quindi può essere isolata. Infine ci sarà un esame spettrofotometrico che ci dice

la tipologia di polvere; in alcuni casi si può ricorrere al microscopio elettronico, utile soprattutto per

le fibre di amianto.

SILICOSI

95

Page 96: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

È la più frequente pneumoconiosi in Italia, con 2000 casi nuovi all’anno, vista la diffusa

lavorazione della pietra; nello specifico, la forma di silicosi più diffusa in Italia è la ‘silice

cristallina’. Si tratta di una pneumoconiosi nodulare, con possibile evoluzione fino alla fibrosi

diffusa. La fusione dei noduli ci permette di fare diagnosi differenziale con tubercolosi e sarcoidosi.

Inoltre l’area di polmone danneggiata dalla fibrosi è poi circondata da un’area di polmone

enfisematoso per compensazione: si avrà rottura dei setti alveolari. La silicosi si può complicare con

tubercolosi, infezioni micotiche, batteriche, sarcoidosi, malattie del collageno, tra cui la

pneumoconiosi reumatoide ( Sindrome di Caplan) con lesioni simil-reumatoidi.

ASBESTOSI

È una pneumoconiosi diffusa anche in puglia, perché regione ricca di fabbriche che lavorano

l’amianto. L’asbesto è una polvere mineraria costituita da un gruppo di silicati inorganici

polianionici che sono presenti in natura sotto forma di fibre spirali (‘serpentino’ o ‘crisofilo’) o

fibre aghiformi (‘anfibolo’). Il più pericoloso è l’ ‘anfibolo’, che riesce con più facilità a

raggiungere sia l’interstizio polmonare sia la pleura. Tuttavia nell’industria è maggiormente

utilizzato il ‘crisofilo’ per le sue migliori caratteristiche di lavorazione. Le dimensioni dannose

riguardano un diametro inferiore a 0,25μ e una lunghezza maggiore di 8μ: sono pertanto fibre

lunghe e sottili ed al microscopio a scansione appaiono con la caratteristica forma ‘a bacchetta di

tamburo’ (immagine peculiare): la fibra è avvolta da materiale ferroso perciò la forma è determinata

dal rilascio di Fe da parte della meta-Hb.

L’asbesto è pertanto una fibra fortemente cancerogena, ma è tuttavia utilizzata perché in realtà può

risultare innocua con le dovute misure preventive, quali mascherine, occhiali, tute di protezione o

evitando una prolungata esposizione all’inalazione (un ambiente con una buona manutenzione non

comporta danni alla salute).

Inoltre l’asbesto ha importanti caratteristiche che lo rendono eccezionale dal punto di vista

industriale: è un ottimo isolante acustico e termico, usato per le vasche idriche nei paesi con climi

più rigidi, oppure negli uffici postali o per le tute dei pompieri; il problema resta la manutenzione.

Si ritiene che anche l’ingestione dell’amianto possa causare problemi a causa del drenaggio

linfatico e possibile infiltrazione del peritoneo e della pleura con, quindi, conseguente mesotelioma

(eventi rari).

Le espressioni patologiche dell’asbestosi sono la fibrosi interstiziale, la fibrosi pleurica circoscritta

o diffusa ed anche il cancro sia polmonare sia laringeo, sia il mesotelioma prima citato.

Un soggetto esposto può sviluppare la malattia anche dopo 20-30 anni dalla sospensione

dell’attività lavorativa, quindi il tempo di latenza può essere abbastanza lungo. Lo sviluppo della

malattia è tempo-dipendente ma anche dose-dipendente: esiste una dose soglia (non nota) tale che

96

Page 97: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

una volta superata si innesca il processo neoplastico; tuttavia si ritiene che in soggetti geneticamente

predisposti, tale soglia possa risultare più bassa. Questo ci induce a dire che l’asbesto comporta

alterazioni cromosomiche come a livello dei cromosomi 6q,9q,10p, che sono le più frequenti

osservate nei mesoteliomi.

Complessivamente possiamo dire che la manifestazione clinica di una pneumoconiosi dipende da:

• tipo di minerale;

• dose inalata;

• tempo di esposizione.

Le malattie che ne derivano comprendono anche tumori che si sviluppano prima ancora che si

manifesti un quadro fibrotico.

Restano sempre ‘malattie professionali’ da risarcire: è importante il grado di gravità della malattia e

ne consegue una variazione dell’invalidità riconosciuta dall’INPS.

SARCOIDOSI

Si tratta di una patologia che si presenta con un quadro di fibrosi nodulare, che rientra nell’ambito

delle interstiziopatie ad eziologia sconosciuta; di questa malattia è ben nota la morfologia del

granuloma sarcoidosico.

È una malattia dall’impegnativa diagnosi clinica, perché vi sono malattie che possono mimare la

sarcoidosi come l’enterite di chron, ma anche neoplasie allo stomaco o alla mammella (in questi

ultimi 2 casi avremo reazioni granulomatose simil-sarcoidosiche a livello linfonodale); la

confusione deriva dal fatto che la sarcoidosi è una malattia sistemica.

I soggetti particolarmente colpiti sono di sesso femminile, di carnagione chiara, con capelli biondi

(maggiore diffusione della malattia nelle aree scandinave); sono colpiti soggetti dai 20 ai 40 anni.

Gli organi colpiti dalla sarcoidosi sono:

• polmoni

• linfonodi mediastinici e peribronchiali

• milza

• fegato

• reni

• midollo osseo

• cute

97

Page 98: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

• ghiandole lacrimali

• ghiandole salivari.

Il coinvolgimento di queste 2 ghiandole è tipico della ‘sindrome di Siomen’: i soggetti lamentano

una notevole secchezza nelle secrezioni.

La localizzazione ossea determina alterazioni osteolitiche con aumento relativo della calcemia:

infatti uno dei primi segni ricorrenti è la presenza di calcoli renali.

È importante, quindi, fare subito un prelievo di sangue in cui andiamo a richiedere la calcemia ed il

dosaggio dell’enzima ace-inibitore.

La diagnosi di conferma è la biopsia, che ci permette di osservare il granuloma sarcoidosico con i

macrofagi, contenenti al loro interno corpi asteroidi.

Il granuloma sarcoidosico non va mai incontro a necrosi caseosa, ma a fibrosi; la patogenesi è un

disordine immunitario, cioè una risposta immunitaria esagerata da parte dei linfociti T-helper contro

Ag esogeni o auto-Ag di cui non si conosce la struttura. Ciò vuol dire che ci sarà accumulo di T-

helper e quindi formazione di un granuloma. Allora è importante valutare il rapporto CD4+/CD8+,

con una netta prevalenza dei primi in questo tipo di malattia.

MESOTELIOMA

È importante studiare i tumori del polmone e della pleura. In caso di tumore primitivo allora

sicuramente si tratterà di un mesotelioma: questo tumore può interessare la pleura, il pericardio, il

peritoneo e la vaginale del testicolo (più raro, ma in un soggetto particolarmente esposto può

avvenire).

Il mesotelioma può creare grossi problemi dal punto di vista diagnostico, perché prendendo origine

da un epitelio celomatico, questo può andare incontro a modificazioni, come proliferazione in senso

epitelioide o sarcomatoide della cellula sierosa:

2. il mesotelioma epitelioide (o epiteliomorfo), (è il più frequente) può mimare

metastasi, strutture ghiandolari, papillari tipiche di un’altra neoplasia come il cancro

mammario. La diagnosi è dunque molto complicata e procede per esclusione.

3. Il mesotelioma sarcomatoide può mimare una pleurite fibrosa, perché quest’ultima

inspessisce la pleura. La sopravvivenza media dei soggetti con mesotelioma è di solo un

anno.

4. i mesoteliomi misti, cioè con componenti epiteliali e sarcomatoidi.

Spesso è necessario escludere la metastasi e fare diagnosi esclusiva di mesotelioma. Tuttavia manca

un marcatore tumorale di immunoistochimica specifico; questo perché esprimerà marcatori sia

epiteliali, sia connettivali. Allora l’OMS obbliga ad utilizzare un pannello di anticorpi per poter

98

Page 99: Dispensa Marzullo - Serio AP1.pdf

riconoscere il mesotelioma: questo infatti è positivo alle citocheratine, alla vimentina, alle caderine,

alla calretinina. Quest’ultima è ritenuta uno dei marcatori più sensibili per il mesotelioma.

Si usa anche l’anticorpo di WT1, che però è poco efficace e utile nelle forme anaplastiche. Quando

si perde l’espressione di WT1, il quadro è più grave e, quindi, parliamo di un marcatore di prognosi.

99