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1 Dispensa di ELEMENTI DI COMPOSIZIONE E ANALISI PER LA DIDATTICA Prof. Francesco Bellomi 1 ora. Scale modali e modalità moderna. Il repertorio musicale modale è enormemente esteso sia in senso cronologico che in senso geografico. Esistono sostanzialmente tre grandi aree del repertorio modale in parte coincidenti: la modalità popolare, cioè scale adoperate nella musica popolare di moltissimi paesi del mondo; la modalità "antica", cioè quella che generalmente si fa coincidere con la parte medievale della musica occidentale (modi gregoriani, ecc.) 1 la modalità moderna o "artificiale", cioè le scale che singoli musicisti o gruppi di musicisti hanno inventato per utilizzarle nella propria musica (ad esempio la scala di Debussy o i modi a trasposizione limitate di Olivier Messiaen). In questo percorso ci occuperemo solo dei modi maggiormente utilizzati nel repertorio didattica e più vicini alla attuale cultura musicale ed esperienza di ascolto degli studenti della scuola secondaria. Scala pentafonica o pentatonica La sua enorme fortuna nel repertorio didattico è dovuta ad almeno tre fattori: è una scala che tutti abbiamo "nelle orecchie", un tempo grazie al repertorio popolare, oggi grazie al repertorio afro-americano (Jazz, blues, spiritual, rock, ecc.) che ne fa abbondante uso. Conseguentemente è una facile "facile" da intonare e sulla quale ci si può muovere con una certa disinvoltura senza eccessive preoccupazioni di percorso melodico (quasi tutte le melodie su questa scala "suonano bene") Può essere considerata una scala maggiore o minore "mancante di alcuni suoni" e quindi adoperata come un materiale preliminare prima di arrivare ad usare tutti i suoni di una scala tonale. 1 Le scale tonali moderne (scala maggiore e scale minori) possono essere considerate un (piccolo) sottoinsieme del mondo modale. Un sotto insieme abbastanza delimitato dal punto di vista storico e geografico ma enormemente importante per noi che ci viviamo dentro.

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Dispensa di ELEMENTI DI COMPOSIZIONE E ANALISI PER LA DIDATTICA

Prof. Francesco Bellomi

1 ora. Scale modali e modalità moderna. Il repertorio musicale modale è enormemente esteso sia in senso cronologico che in senso geografico. Esistono sostanzialmente tre grandi aree del repertorio modale in parte coincidenti: • la modalità popolare, cioè scale adoperate nella musica popolare di moltissimi paesi

del mondo; • la modalità "antica", cioè quella che generalmente si fa coincidere con la parte

medievale della musica occidentale (modi gregoriani, ecc.)1 • la modalità moderna o "artificiale", cioè le scale che singoli musicisti o gruppi di

musicisti hanno inventato per utilizzarle nella propria musica (ad esempio la scala di Debussy o i modi a trasposizione limitate di Olivier Messiaen).

In questo percorso ci occuperemo solo dei modi maggiormente utilizzati nel repertorio didattica e più vicini alla attuale cultura musicale ed esperienza di ascolto degli studenti della scuola secondaria.

Scala pentafonica o pentatonica

La sua enorme fortuna nel repertorio didattico è dovuta ad almeno tre fattori: • è una scala che tutti abbiamo "nelle orecchie", un tempo grazie al repertorio popolare,

oggi grazie al repertorio afro-americano (Jazz, blues, spiritual, rock, ecc.) che ne fa abbondante uso.

• Conseguentemente è una facile "facile" da intonare e sulla quale ci si può muovere con una certa disinvoltura senza eccessive preoccupazioni di percorso melodico (quasi tutte le melodie su questa scala "suonano bene")

• Può essere considerata una scala maggiore o minore "mancante di alcuni suoni" e quindi adoperata come un materiale preliminare prima di arrivare ad usare tutti i suoni di una scala tonale.

1 Le scale tonali moderne (scala maggiore e scale minori) possono essere considerate un (piccolo) sottoinsieme del mondo modale. Un sotto insieme abbastanza delimitato dal punto di vista storico e geografico ma enormemente importante per noi che ci viviamo dentro.

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Sulla scala pentafonica è possibile costruire solo pochissimi accordi. Ne consegue che è maggiormente sfruttata dal punto di vista melodico che dal punto di vista armonico. L'accompagnamento viene generalmente risolto con pedali o ostinati sulle note "più importanti" della melodia, cioè quelle alle quali attribuiamo una funzione di Tonica o una funzione di Dominante. Ad esempio

Ogni scala pentafonica può essere trasportata e iniziare da uno qualsiasi dei dodici suoni. Ma esistono anche delle "trasformazioni" della scala pentafonica che si ottengono attribuendo ad ognuno dei suoi suoni la funzione di tonica. Ad esempio:

ESERCITAZIONE

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Scrivere alcuni semplici ostinati di accompagnamento alla seguente melodia da eseguire con il proprio strumento oppure uno strumento dello strumentario Orff.

Scala Blues E' sufficiente aggiungere qualche suono "di passaggio" ad una scala pentafonica minore per ottenere la cosiddetta "scala blues" sulla quale è estremamente facile improvvisare. La scala blues è presente in molto repertorio afro-americano (Blues, spirituals, gospel, jazz, ecc.)

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Modi antichi Gran parte dei modi usati nel repertorio gregoriano e nella musica antica fino al primo barocco sono stati usati con delle connotazioni espressive assai chiare e costanti. Ecco un elenco dei principali modi e dei loro caratteri secondo vari trattatisti.

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All'interno della modalità si sono sviluppate gradualmente delle polarità (Tonica e Dominante) che hanno portato molto gradualmente all'affermazione delle scale maggiori e minori. Questo processo durò diversi secoli ed è frequentissimo trovare musiche dove scale modali e sensibilità tonale convivono (Palestrina, Frescobaldi, Monteverdi, ecc.) in proporzioni assai variabili da caso a caso. Per quanto riguarda l'armonia modale potremmo dire che, dopo una prima fase nella quale non sono ancora utilizzati gli accordi per terze (TRIADI) si stabilizza un comportamento che vede le varie triadi della scala utilizzabili in qualsiasi successione, mentre nelle fasi cadenzali (conclusione di frasi o segmenti o brani) predominano i tipici collegamenti cadenzali del mondo tonale: V°-I° o Cadenza Perfetta (o Autentica), IV°-I° o Cadenza Plagale, e la Cadenza Frigia. ESERCITAZIONE Scrivere la successione di accordi indicata dai numeri romani, così come indicato nell'esempio realizzato, in un secondo momento ricavare dagli accordi scritti una linea

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melodica che tocchi i suoni dell'accordo sul battere e utilizzi suoni di volta o di passaggio2 sul levare.

La modalità popolare Non prendiamo nemmeno in considerazione le scale modali in uso in civiltà musicali assai diverse da quella occidentale (India, nord-Africa, ecc.) che spesso presentano intervalli microtonali di difficilissima intonazione (per noi). Anche limitando alla sola Europa il repertorio delle scale adoperate è assi vasto. Nel repertorio didattico le scale maggiormente usate sono quelle scale popolari che coincidono con scale (o parti di) modali antiche. Dal punto di vista armonico si assiste alla più grande varietà di comportamenti: da accompagnamenti basati unicamente su pedali di tonica e di dominante (come nella zampogna e nella cornamusa) a situazioni più libere, a situazioni simili a quelle del mondo tonale con chiare polarità tonica-dominante, a situazioni "miste" spesso dovute a elaborazioni colte di materiale popolare (ad esempio i magnifici "For children" per piano di Bela Bartok).

La modalità moderna o "artificiale" Nel repertorio didattico, viene usata più spesso nei brani strumentali che in quelli vocali par la notevole difficoltà di intonare certe scale (quella esatonale ad esempio). Seguono alcuni esempi di scale modali assai note. Dal punto di vista armonico si utilizza la più grande varietà di comportamenti: accordi per seconde, per quarte, quinte, agglomerati

2 I suoni di Volta o di Passaggio sono altezze estranee all'accordo usato in quel momento che vengono raggiunti e abbandonati con movimenti melodici per grado congiunto (= 2e maggiori e/o minori)

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armonici casuali, sovrapposizioni di diversi accordi per terze, ecc. Qualche autore (p.es. Hidemith, Messiaen, ecc. ha teorizzato molto puntigliosamente i propri procedimenti armonici). Esercitazione finale (esempio 8) Scrivere un piccolo brano per tre strumenti o a tre voci, basato su una precisa scala modale antica, curando che le singole melodia siano estremamente cantabili (ogni autore deve essere in grado di cantarle subito per lettura: altrimenti sono troppo difficili). Il brano, da scrivere sulla pagina successiva deve essere completo e dettagliato per quanto riguarda indicazioni agogiche e dinamiche. Dal punto di vista armonico si utilizzi la massima libertà di combinazioni (anche fortemente dissonanti). La Pagina va poi staccata e consegnata all'insegnante che provvederà a riconsegnarla con eventuali correzioni e osservazioni alla lezione successiva.

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NOME___________________________________________________________ COGNOME_______________________________________________________ DATA____________________________________________________________ CLASSE DI ABILITAZIONE___________________________________________

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PRATICA DELL’ARMONIZZAZIONE UTILIZZANDO LE SIGLE CONVENZIONALI DEGLI ACCORDI

SUCCESSIONI DEI GRADI PIÙ USATE Nell’ambito dell’armonia tonale non tutte le successioni di accordi sono egualmente praticate. Alcune successioni risultano maggiormente praticate di altre. Ecco le successioni più frequenti a partire da ciascun grado della scala:

Il quinto grado o dominante (V°) Il quarto grado o sottodominante (IV°) Il sesto grado o sopradominante (VI°) Il secondo grado o sopratonica (II°) purché →

Immediatamente seguito dal quinto grado o dominante (V°)

Il terzo grado o modale (mediante, caratteristica) (III°) purché immediatamente seguito dal →

Quarto grado o sottodominante (IV°)

Dopo il primo grado (I°) o tonica troviamo

Il settimo grado o sensibile (VII°) purché seguito immediatamente dal→

Primo grado o tonica (I°)

Il quinto grado (V°) Dopo il secondo grado (II°) troviamo

Il settimo grado o sensibile (VII°) purché seguito immediatamente dal→

Primo grado o tonica (I°)

Il quarto grado (IV°) Dopo il terzo grado (III°) troviamo

Il sesto grado (VII°)

Il primo grado (I°) = CADENZA PLAGALE Il quinto grado (V°) Il secondo grado (II°) purché seguito immediatamente dal

Quinto grado (V°)

Dopo il quarto grado (IV°) troviamo

Più raramente il sesto grado (VI°) Il primo grado (I°) = CADENZA PERFETTA O AUTENTICA Il sesto grado (VI°) = CADENZA D’INGANNO O EVITATA Il secondo grado (II°) purché segua immediatamente il

Quinto grado (V°)

Dopo il quinto grado (V°) troviamo

Il quarto grado (IV°) solo nel blues, nel country e nel rock non in Mozart Il quarto grado (IV°) Il terzo grado (III°) Il secondo grado (II°) Il quinto grado (V°)

Dopo il sesto grado (VI°) troviamo

Il settimo grado (VII°) Dopo il settimo grado (VII°) troviamo

Il primo grado (I°)

Tenendo conto della tabella sopra riportata è possibile costruire delle successioni di accordi (indicando solo la nota fondamentale con il numero romano) come la seguente: I° - VI° - II° - V° - VI° - III° - IV° - I° - VII° - I° - IV° - V° - I°. ESERCITAZIONE Scrivere almeno tre diverse successioni di accordi usando la tabella sopra riportata per decidere le sequenze accordali accordo dopo accordo.

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SIGLE CONVENZIONALI DEGLI ACCORDI Nel repertorio della musica leggera e del jazz sono in uso delle sigle convenzionali per indicare gli accordi. Nei testi di educazione musicale vengono utilizzate solo alcune di queste sigle: quelle che indicano l’accordo maggiore, l’accordo minore e la settima di prima specie o settima di dominante (prime tre righe della tabella seguente). La seguente tabella riposta solo gli accordi più comunemente usati, tralasciando qualli più complessi. Nota fondamentale e suoni che lo compongono (la fondamentale è sempre DO)

Denominazione italiana

Denominazione anglosassone

Descrizione dell’accordo

Sol Mi Do

Do C Triade di do maggiore

Sol Mi b Do

Do – Dom Do min

Cm Triade di do minore

Si b Sol Mi Do

Do7 C7 Settima di prima specie o di dominante

Si b Sol Mi b Do

Dom7 Cm7 Settima di seconda specie

Si b Sol b Mi b Do

7 Dom b5

7 Cm b5

Settima di terza specie o di sensibile

Si Sol Mi Do

Do 7mag Do 7+ Do 7Δ

C 7maj C 7Δ

Settima di quarta specie o "grande settima"

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Si bb Sol b Mi b Do

Do 7dim Do 7 Do 7°

C 7dim C 7 C 7°

Settima di quinta specie o "diminuita"

Sol Fa Do

Do 4 C 4 C 4sus

Triade con quarta sospesa

La Sol Mi Do

Do 6 C 6agg Triade di do maggiore con sesta aggiunta

La Sol Mi b Do

Do m6 #6 C m

Triade di do minore con sesta maggiore aggiunta

Re b Si b Sol Mi Do

Do 9b C 9b Nona di dominante con nona minore

Re Si b Sol Mi Do

Do 9 C9 Nona di dominante con nona maggiore

Si b Fa Si (bequadro)

? ? Accordo sostitutivo della 7 di dominante Fa Re Si Sol

Re La Sol Mi

? ? Accordo sostitutivo della triade: Sol Mi Do

L'indicazione dei rivolti è assai rara ma quando si trova è indicata in questo modo C/E (oppure Do/Mi) che significa accordo di do maggiore con il mi come nota più grave (= primo rivolto. Analogamente C/G indica il secondo rivolto (il sol è nel basso)

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MELODIE "A FANFARA" Spesso le melodie, specie quelle strumentali, sono costruite sui suoni dell'accordo e li toccano uno dopo l'altro con figurazioni simili ad arpeggi. In questi casi è molto facile ricavare l'armonia di accompagnamento come nell'esempio seguente.

Quando invece una melodia si muove prevalentemente per grado congiunto (= intervalli di tono e di semitono) è necessario individuare quali sono le note importanti dal punto di vista armonico e quali sono invece "estranee" all'armonia (note di passaggio, di volta, ritardi, appoggiature, anticipazioni, ecc.). Queste note "ornamentali" di solito, ma non sempre, sono: • Sul levare o sui tempi deboli della battuta • Prese e lasciate per grado congiunto • Di breve durata

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ESERCITAZIONE Trovare gli accordi di accompagnamento e indicarli con le sigle convenzionali per la seguente melodia. N.B. Cercare sempre, in queste veloci esercitazioni, le soluzioni più ovvie e convenzionali. Evitare di perdere tempo battendo sentieri armonici tortuosi e complicati (anche se affascinanti e avventurosi).

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ESERCITAZIONE CONCLUSIVA L'esempio seguente è il tema e la prima variazione tratte da Lo ballo dell'intorcia di Antonio Valente. Trova un'altra successione di accordi per otto battute e scrivi su di essi una melodia e una prima variazione usando l'esempio di Valente come modello (è possibile adoperare ritmi e comportamenti melodici simili a quelli del modello) Es04_2 Lo Ballo dell'intorcia + righe vuote.

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Ecc.

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Capitolo 3 Lo strumentario didattico e il suo utilizzo. Per strumentario didattico si intende solitamente una serie di strumenti musicali di facile utilizzo: strumenti a piastre (xilofoni, metallofoni, glockenspiel, ecc.) vari strumenti a percussione, flauti dolci, claviette, tastiere, chitarre, ecc. Ecco le caratteristiche fondamentali degli strumenti più comunemente utilizzati.

STRUMENTI A PIASTRE

Il tempo di risonanza degli xilofoni è assai breve (soprattutto nella zona acuta) quindi vengono adoperati solitamente con durate assai brevi. Scrivere una nota di 4/4 a 60 di metronomo per lo xilofono non ha senso: la maggior parte della sua durata sarebbe occupata da silenzio. Gli strumenti a piastre di metallo hanno tempi di risonanza più lunghi che si allungano man mano che si scende verso il grave. Dato che solitamente non è possibile smorzare i suoni bisogna evitare passaggi troppo veloci (soprattutto sui suoni gravi) altrimenti tutte le altezze si sovrappongono e si accavallano creando una fastidiosa sovrapposizione di armonie (nessun problema sa si va veloci su un pedale, o sulla stessa armonia). Normalmente si usano su ciascuno strumento uno o due battenti e la direzione delle gambe delle note può indicare il battente destro (gamba verso l'alto) o il battente sinistro (gamba verso il basso). Le figurazioni più facili da eseguire sono ostinati e pedali senza grandi spostamenti nell'estensione; le cose più difficili da eseguire sono scale e arpeggi veloci.

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STRUMENTI A PERCUSSIONE AD ALTEZZA INDETERMINATA

La scrittura più chiara è quella che utilizza le note tradizionali. La crocetta al posto della nota rotonda può convenientemente essere usata per indicare solo effetti particolari: strumento stoppato, percussione col manico del battente, ecc. All'inizio si mette la chiave neutra perché non vengono indicate altezze precise. Si può scrivere su una sola riga (come nel secondo esempio) su tre o sull'intero pentagramma posizionando le note sia sulle righe che negli spazi a seconda delle esigenze. La diversa posizione delle note potrebbe indicare sia strumenti diversi (ad es. sulla prima riga un tamburo, sulla seconda un piatto e sulla terza un triangolo) sia la maggior o minore grandezza di più strumenti della stessa famiglia. In questo caso, di regola, gli strumenti di maggiori dimensioni sono posizionati sotto e quelli più piccoli (che producono suoni più acuti) sopra. Quando si usano strumenti con tempi di risonanza molto lunghi è bene scrivere esattamente la durata del suono senza ricorrere alla cattiva abitudine di mettere una legatura alla pausa, che fa arrabbiare giustamente tutti i percussionisti.

ALTRI STRUMENTI (flauto, clavietta, ecc.) Il flauto maggiormente usato nella scuola dell'obbligo è il flauto diritto ( o dolce) soprano.

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Raramente ci si spinge nella zona acuta (le cui posizioni sono più difficili rispetto a quelle della prima ottava). La Clavietta o Melodica esiste in vari modelli e in varie estensioni. Quella minima è di due ottave con la stessa grafia del flauto dolce soprano. Innumerevoli altri strumenti sono adoperati nella scuola: chitarre, tastiere, percussioni più o meno etniche, ecc. Impossibile dare qui un panorama completo delle loro possibilità. Si rimanda volentieri alla bibliografia specifica sull'argomento.

PARTITURE PER STRUMENTARIO DIDATTICO Le partiture per strumentario didattico presentano solitamente le seguenti caratteristiche: • La nota fondamentale degli accordi è di solito molto raddoppiata ed evidente. • Gli strumenti lavorano "a blocchi" cioè non solisticamente o "cameristicamente". Di

solito tutti gli strumenti del "blocco" suonano ininterrottamente per l'intero brano e per una sua parte e di solito smettono tutti contemporaneamente. La scrittura quindi non è frammentaria cioè con pause distribuite all'interno delle parti.

• Gli strumenti a piastre di metallo lavorano prevalentemente con suoni lunghi (con una funzione simile a quella dei corni nell'orchestra classica) e gli xilofoni con durate assai brevi.

• Abbondano i raddoppi delle parti, anche se con varianti fra uno strumento e l'altro. • Nella tradizione orffiana (Cfr. ORFF - KEETMAN, Music for children, SCHOTT, 5

volumi) gli accordi sono sempre allo stato fondamentale e lo spostamento da un accordo all'altro avviene sempre con parallelismi di ottava e di quinta (cioè le quinte e le ottave parallele costanti FANNO PARTE DELLO STILE!!!!!!)

• Nel caso in qui siano coinvolti nel gruppo strumenti "classici" (pianoforte, chitarra, clarinetto, ecc.) bisogna tenere presente che, quasi sempre, lo strumento classico ha un volume di suono assai maggiore rispetto agli strumenti a piastre e che quindi il gruppo delle piastre deve essere assai nutrito per equilibrare uno o più strumenti classici. Questo problema non si pone con gli strumenti a percussione ad altezza indeterminata.

Nella pagina seguente un esempio di accompagnamento per strumentario didattico ad una breve melodia.

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ANALISI MUSICALE ELEMENTARE Qualsiasi operazione analitica prevede tre fasi: • Segmentazione • Descrizione dei segmenti • Scoperta e descrizione delle relazioni fra i segmenti Queste operazioni possono essere svolte sia utilizzando metodologie e terminologie altamente specializzate (Analisi insiemistica, schenkeriana, proporzionale, formale, armonica, contrappuntistica, ecc.) sia con terminologie e procedimenti operativi elementari. Questo secondo ambito è quello che potrebbe essere definito “Analisi Musicale Elementare”. In questo ambito non si richiede la “scientificità” del metodo analitico utilizzato, quanto piuttosto la scientificità dei criteri di analisi dei risultati così ottenuti (analizzare statisticamente, ad esempio, le risposte verbali o gestuali fornite dai bambini a determinati ascolti) Un parallelo molto stretto è possibile fra Analisi Musicale Elementare ed Analisi Intuitiva nell’Interpretazione. Innumerevoli esperimenti, svolti per lo più nell’ambito della psicologia cognitiva, mostrano come gli esecutori compiano, nelle attività di esecuzione , di lettura a prima vista, di improvvisazione, tutta una serie di scelte microstrutturali (ritmiche, agogiche, ecc.) che presuppongono senza dubbio una qualche forma di competenza analitica sul segmento musicale utilizzato. Dato che spesso tale competenza analitica non viene verbalizzata ed è rilevabile solo attraverso una accurata analisi delle registrazioni e delle informazioni si è ipotizzata allora una sorta di competenza analitica “intuitiva”, descrivibile e rilevabile attraverso l’analisi scientifica dei comportamenti esecutivi. Un dato interessante e ricorrente nelle più recenti ricerche in proposito è l’attenzione posta alla componente emotiva nelle abilità analitiche e all’uso consapevole di un linguaggio fortemente metaforico dalla forte valenza emozionale. Atteggiamento fortemente osteggiato da precedenti modelli di analisi ritenuti “oggettivi” e “scientifici”. Notevoli contributi in questo ambito sono venuti dai recenti sviluppi della semiologia musicale. Dal punto di vista didattico la strategia analitica più comunemente utilizzata sembra essere quella comparativa. Il confronto fra strutture musicali, e strutture simili tratte da altri ambiti (visivo, verbale, gestuale, ecc.) è presente su molti testi di scuola dell’obbligo ma anche su testi analitici pensati per altre categorie di utenti. Bibliografia: • Rubrica “Didattica dell’analisi” in Bollettino del G.A.T.M. (Gruppo Analisi e Teoria

Musicale), anni 2000 e 2001, II° semestre. • John Slovoda, La mente musicale, Il Mulino, Bologna, 1988. • Murray Shafer, Il paesaggio sonoro, Unicopli-Ricordi, 1985. • Jean Jaques Nattiez, Il discorso musicale, Einaudi, 1987. RIVISTE: Analisi, Ricordi, Milano. (quadrimestrale con un inserto pedagogico all’interno del terzo numero di ciascun anno) Musica Domani, Ricordi e, dal 2000, EDT. (Trimestrale organo ufficiale della SIEM – Società Italiana di Educazione Musicale) Estratti dalla rubrica:

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Didattica dell’analisi in "Bollettino del G.A.T.M." (Gruppo Analisi e Teoria Musicale), anni 2000 e 2001, II° semestre. (a cura di francesco bellomi)

INTRODUZIONE Lo scopo del presente capitolo è quello di passare in rassegna i più interessanti articoli dedicati alle metodologie e alle proposte di insegnamento dell’analisi musicale. Sebbene questo possa essere considerato un settore strategico per la diffusione dell’analisi e, al tempo stesso, un settore delicatissimo nel quale, in un certo senso, si gioca con il futuro della disciplina, è sconcertante vedere quale esiguo numero di pubblicazioni sia specificatamente dedicato alla Didattica dell’Analisi Musicale. Fortunatamente è possibile prendere in considerazione un certo di pubblicazioni che, pur non essendo specificatamente dedicate alla didattica dell’analisi musicale, offrono, per la struttura utilizzata, per lo stile narrativo, per la disposizione del materiale, per il taglio metodologico scelto, ecc., un ricco campionario di vere e proprie strategie di insegnamento applicate all’analisi. Manca quasi sempre, è vero, una riflessione consapevole e articolata sulla didattica dell’analisi. [Riflessione che aveva caratterizzato un vecchio numero di Analyse Musicale (4° trimestre 1985) con articoli assolutamente fondamentali da questo punto di vista.] Tuttavia è possibile estrarre da articoli e saggi pubblicati nelle annate 1998 e 1999, una sorta di griglia classificatoria che permette di orientarsi fra le strategie e le metodologie didattiche messe in atto, esplicitandone il senso e gli scopi più o meno sottintesi. Ecco le principali tipologie: L’eserciziario, o esercitazione guidata, che attraverso una successione di attività, strutturate talvolta in ordine progressivo di difficoltà, punta alla costruzione di abilità e capacità analitiche: R. MURRAY SCHAFER (1998) offre un esempio, didatticamente splendido, in tal senso. Anche Antonio GIACOMETTI (1999) offre, all’interno di un testo centrato sull’insegnamento della composizione musicale, diverse proposte di attività analitiche funzionali all’apprendimento della pratica compositiva. L’analisi-racconto, di una ricerca o di un percorso di studio analitico, che offre al lettore una sorta di narrazione, talvolta molto coinvolgente, delle fasi del lavoro. Spesso questa impostazione è utilizzata con l’intenzione, esplicita, implicita o solo apparente, di ricostruire le fasi e le procedure del lavoro creativo di un certo autore. Il lettore ha come la sensazione di osservare i fatti ”dall’interno” della mente del compositore: D. Kern HOLOMAN (1999), John COHEN (1999) e, in modo meno palese, gli altri saggi pubblicati nel vol. VI° n° 1 di Musurgia (intitolato La génétique des œuvres) si muovono in questa direzione. Una menzione a parte va fatta per il volume Le regole della Musica BARONI DALMONTE JACOBONI (1999) che non punta affatto alla ricostruzione dei processi mentali dell’autore analizzato ma alla fondazione di una vera e propria grammatica compositiva di carattere generale a partire dal caso particolare di Giovanni Legrenzi. L’articolo di Emanuele FERRARI (1999) è centrato invece sulla analisi dell’interpretazione di una particolare esecuzione delle variazioni Goldberg senza peraltro affidarsi a nessuna precisa metodologia analitica. La tesi analitica è in sostanza il classico saggio che, attraverso un percorso analitico strutturato secondo le più diverse metodologie, intende dimostrare un assunto iniziale. Spesso la struttura espositiva è proprio quella classica del discorso retorico (Exordium,

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Propositio, Confutatio, Confirmatio, Peroratio). Sandro PEROTTI (1998) offre, oltre a consuete strategie didattico-analitiche un interessante esempio metodologico, che vede nella pratica della orchestrazione stilisticamente mirata del brano analizzato, il concretizzarsi di una “analisi musicale applicata” crocevia di tutte le operazioni analitiche, compositive, e comunicative. Anche il personalissimo testo di Salvatore SCIARRINO (1998) offre al lettore notevoli spunti di riflessione utilizzando come procedura didattica privilegiata la comparazione analitica fra diversi ambiti percettivi (sonoro e visivo prevalentemente). Andrea ESTERO, (1999) analizza la Sonata op.1 di Berg alla luce del concetto di “figura fondamentale” [Grundgestalt] di Schönberg. Con un criterio espositivo simile Steffen A. SCHMIDT (1999) affronta il problema di una teoria funzionale del ritmo musicale che arrivi a “distinguere tra figure temporali simultanee ma qualitativamente differenti, che interagiscono reciprocamente su piani distinti.” Il metodo analitico applicato. Generalmente si tratta del caso meno interessante dal punto di vista didattico ma di quello più rigoroso dal punto di vista della metodologia analitica utilizzata. L’applicazione di una certa metodologia, generalmente condivisa a livello accademico, ad un particolare oggetto sonoro produce, in diversi casi, articoli e saggi il cui unico obiettivo didattico sembra consistere nella riconferma della funzionalità del metodo analitico stesso. (vedi schede) Il resoconto di una esperienza didattica che ha messo in gioco operazioni e concetti analitici. Diversi articoli apparsi su MusicaDomani si muovono in questa direzione ma, la netta prevalenza nell’attenzione verso la ricaduta didattica piuttosto che la riflessione sulle strategie didattiche pertinenti all’analisi stessa, porta a considerare questi contributi di chiara competenza della rubrica Analisi nella Didattica. Mario MUSMECI (1999) tocca il problema di un approccio analitico alla modulazione all’interno di un corso di armonia sperimentale. Invece nel Quaderno Pedagogico 3 allegato ad Analisi n°30 troviamo diversi contributi imperniati sulle strategie pedagogico-didattiche nell’insegnamento musicale. L’analisi, pur essendo raramente chiamata in causa esplicitamente, appare qui una sorta di “sfondo” sul quale innestare tutte le attività musicali. La ricerca sulle ricadute didattiche dell’uso dell’analisi. Particolarmente interessanti, in questo ambito, alcuni articoli apparsi sul n. 141 del Bullettin Council for Research in Music Education. (vedi schede). Segnaliamo, oltre alle schede successive, JOHNSON CH. M., (1999) “The Performance of Bach: Study of Ritmic Timing by Skilled Musicians” interessante per le implicazioni didattiche connesse all’analisi computerizzata del “timing”. LOUHIVUORI J., (1999), “Memory Strategies in Writing Melodies” illustra invece i probabili processi (inevitabilmente analitici) compiuti dalla mente di uno studente impegnato a trascrivere al computer una serie di melodie fatte ascoltare in coppia (cioè due melodie sovrapposte). L’intenzione dell’autore è quella di dare un contributo allo studio sul funzionamento della memoria nella percezione melodica. Materiali didattico-analitici di interesse generale. Ad esempio “Organizzazione delle altezze nello spazio temperato” Luigi VERDI.

SCHEDE LIBRI (sintesi) BARONI M. - DALMONTE R. JACOBONI C., (1999), Le regole della musica, EDT, Torino. L’obiettivo è quello di formulare la “grammatica” di un dato repertorio (arie di Legrenzi) in modo tanto completo e razionale, che perfino un computer possa utilizzarla. Il computer è

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in questo caso usato unicamente come strumento di verifica della correttezza e funzionalità delle regole. L’operazione di esplicitazione delle abitudini compositive “intuitive” che ne consegue, risulta essere di enorme valenza didattica ed offre all’analista-didatta uno strumento di straordinaria efficacia pedagogica, focalizzata soprattutto sulle regole della costruzione melodica: un terreno tanto importante e strategico quanto poco esplorato e analizzato. La metodologia utilizzata dagli autori su Legrenzi viene poi “testata” su altri repertori lasciando presagire ulteriori rilevanti sviluppi. Chiarezza e completezza espositive sono completate da riferimenti bibliografici sempre puntuali e pertinenti. MURRAY SCHAFER R., (1998), Educazione al suono –100 esercizi per ascoltare e produrre suono, Ricordi, Milano. Molti degli esercizi di percezione proposti nel testo sono in realtà dei veri e propri esercizi di analisi del suono e del “paesaggio sonoro”. La semplicità dell’approccio e la capacità di mettere in moto raffinate operazioni percettive con i più semplici mezzi ne fanno un testo didatticamente straordinario, anche per la possibilità di essere usato nelle più diverse fasce d’età e di competenza musicale. Dal punto di vista dell’impostazione teorica: nessuna novità rispetto al celeberrimo Il paesaggio sonoro. PEROTTI S., (1998), Johannes Brahms – Variazioni e fuga su tema di Händel, op.24 – Analisi e orchestrazione, Ensemble ‘900 Diastema, Treviso. Una dettagliata analisi che illustra meticolosamente gli elementi tematici, armonici, ritmici, strutturali e di coesione del brano, è completata da una sorta di conseguenza creativa: una orchestrazione (in stile brahmsiano) dello stesso. Una sorta di applicazione pratica, con intenti chiaramente didattici, di quanto rilevato nella prima parte del volume. YOUNG S. – GLOVER J., (1998), Music in Early Years, The Falmer Press, London L’obiettivo del testo è quello di offrire a insegnanti, genitori ed educatori materiali utili per l’integrazione della musica nell’esperienza quotidiana dei bambini dai tre agli otto anni. In questo contesto non si parla esplicitamente di didattica dell’analisi ma molte proposte operative implicano inevitabilmente l’utilizzo, sia pure ad un livello elementare, di concetti e strategie analitiche. L’attenzione alla centralità del bambino, l’approccio olistico ed integrato ai vari aspetti del fare musica (analisi compresa), l’invenzione di un corso di “precomposizione” [pre-composition stage] nel quale il bambino possa esprimere valutazioni qualitative e analitiche sul suo operato attraverso strategie adeguate, rendono questo testo un ottimo strumento di lavoro per chi fosse interessato al ruolo dell’analisi nell’insegnamento musicale fin dalla più tenera età. GLOVER J. – YOUNG S., (1999), Primary Music: Later Years, Falmer Press, London. Concepito come una guida per gli insegnanti di musica che operano con bambini dai sette agli undici anni il testo utilizza in più punti alcune strategie analitiche (ad esempio una comparazione fra le diverse tecniche vocali utilizzate nei canti bulgari, nel Cantico dell’estasi di Ildegarda von Bingen, nei dischi di Maria Carey, ecc.) con lo scopo di sviluppare l’individualità vocale e quindi musicale di ciascun bambino. L’accento è quindi posto sulla attività creativa e conseguentemente sulla capacità di autovalutazione e di valutazione degli elaborati musicali. Capacità valutativa che, esercitata attraverso l’ascolto critico, sviluppa inevitabilmente abilità e strategie anche di tipo analitico. La presenza di validi suggerimenti operativi collegati ad un piano organico di lavoro, un’ottima bibliografia e discografia, rendono il libro assolutamente interessante.

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SCHEDE ARTICOLI (estratti) FREED-GARROD J., (1999), “Assessmen in the arts: Elementary-Aged Students as Qualitative Assessors of Their Own and Peer’s Musical Composition”, Bullettin Council of Research in Music Education, 139, 51-63. Il punto di partenza è che “la valutazione è una parte integrante del processo educativo” ma chi deve valutare cosa? L’autore fornisce ad un gruppo di studenti alcuni strumenti per poter valutare qualitativamente le proprie composizioni musicali e quelle dei propri compagni di corso. Le composizioni sono state elaborate dagli studenti sulla base di una consegna data in un clima rilassato e non competitivo. I vari comportamenti messi in atto da insegnante e alunni durante il lavoro sono accuratamente rilevati descritti e analizzati. L’analisi delle composizioni è condotta attraverso questionari riprodotti in appendice all’articolo. Molto interessante, nelle domande proposte, la capacità di innestare le nozioni di teoria musicale e le osservazioni analitiche in un contesto di interazione di gruppo dove, ad essere in gioco non ci sono solo i risultati musicali, ma anche e soprattutto il complesso di azioni e relazioni che ha portato a quel risultato. Unico dato non in linea con precedenti ricerche è la presenza di autovalutazioni sul proprio brano tendenzialmente più alte rispetto alla valutazione media espressa sullo stesso pezzo dai compagni: di norma succede esattamente il contrario. AUH M.S.- WALKER R., (1999), “Compositional Strategies and Musical Creativity When Composing With Staff Notation Versus Graphic Notations Among Korean Students”, Bulletin Council for Research in Musich Education, 141, 2-9. La ricerca esamina diverse strategie creative adoperate da due gruppi di studenti: il primo invitato a comporre utilizzando la grafia tradizionale, il secondo utilizzando grafie intuitive, pittoriche, o comunque non tradizionali [Graphic Notation]. Una volta finito il lavoro compositivo gli autori analizzano attraverso un questionario le modalità operative utilizzate dai due gruppi. I risultati suggeriscono che l’uso della notazione non tradizionale ha indotto gli studenti ad utilizzare una maggior quantità di diverse strategie compositive rispetto a quelli che hanno utilizzato la notazione tradizionale. Anche in questo caso il questionario utilizzato rivela un vero e proprio strumento analitico di valutazione qualitativa. Quasi mai nel questionario si chiede esplicitamente il riconoscimento di strutture musicali, tuttavia, le operazioni mentali di valutazione che gli studenti sono invitati a compiere, presuppongono la messa in gioco di autentici processi analitici. BARRETT M., (1999) “Modal Dissonance: An Analisys of Children’s Invented Notations of Known Songs, Original Songs, and Instrumental Composition”, Bulletin Council of Research in Music Education, n. 141, 14-20. Margaret BARRETT (1999) analizza le scritture inventate da bambini non istruiti musicalmente e non ancora capaci di scrivere (4-5 anni di età). Ai bambini è richiesto di inventare queste scritture durante l’ascolto di canzoni ben note o originali “per poterle poi ricordare” o di annotare le proprie originali composizioni. Lo studio dimostra, anche dal confronto con una precedente ricerca, che i bambini sono abili nel discriminare e tradurre graficamente diversi parametri (dinamica, patterns, profilo melodico) quando i brani sono eseguiti da strumenti o quando le parole hanno riferimenti alla testura musicale. Al contrario la presenza di parole prive di riferimenti ai fatti musicali spinge più spesso ad una rappresentazione pittorica del testo scollegata dai comportamenti musicali. Nel caso di notazione di brani strumentali originali prevale la rappresentazione grafica dello strumento utilizzato.

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L’uso della scrittura diventa in molti casi citati un vero e proprio strumento analitico elementare, e la strategia utilizzata per questa ricerca è esemplare per chi è interessato all’insegnamento dell’analisi già a cinque anni. BAMBERGER J., (1999) "Learning from the Children We Teach", Bulletin Council of Research in Music Education, 142, 48-74. Ancora una volta la strategia utilizzata è quella che consiste nel fare inventare ai bambini la notazione per trascrivere delle sequenze melodiche o delle melodie da suonare con le campane utilizzate nel metodo Montessori. L’analisi delle notazioni inventate dai bambini dimostra che essi compiono sul materiale musicale delle vere e proprie operazioni analitiche (ad esempio segmentando sulla base della struttura ritmica e del profilo melodico). L’obiettivo della ricerca è quello di verificare se è possibile “aiutare gli studenti a muoversi naturalmente e tranquillamente in mezzo a livelli di struttura, tipologie di elementi e modalità di rappresentazione, considerando le figure musicali, i motivi, le azioni da una parte, e l’altezza gli intervalli le durate dall’altro lato”. Viene illustrato anche un software che offre ai bambini la possibilità di lavorare sul suono mostrando sulla stessa schermata, con grafie non tradizionali, i vari aspetti (ritmici, melodici, ecc.) dei loro elaborati, L’unità di percezione, descrizione e lavoro che ne deriva è considerata un elemento importante nella strategia educativa. I risultati della ricerca fanno capire che “imparare come guardare ai nostri postulati [analitici] attraverso gli occhiali dell’invenzione infantile ci insegna a vedere importanti e profondi aspetti della struttura musicale che potrebbero d’altro lato rimanerci nascosti”. RALSTON J., (1999), "The Development of an Instrument to Grade the Difficulty of Vocal Solo Repertoire", Journal of Research in Music Education, 47\2, 163-173. Nell’articolo si descrive uno strumento metodologico costruito per misurare la difficoltà esecutiva di una melodia vocale senza accompagnamento. Gli elementi analizzati e misurati dallo strumento sono: estensione, tessitura, ritmo, frasi, profilo melodico, funzioni armoniche e pronuncia. Lo strumento è anche in grado di verificare l’abilità degli insegnanti di canto nel determinare il grado di difficoltà di una melodia ed è stato testato con insegnanti con diversi livelli di esperienza. Un caso interessante di procedure analitiche applicate per uno scopo didattico molto preciso e ben delimitato. MAWER D., (1999), "Brindging the divide: embedding voice-leading analysis in string pedagogy and performance", British Journal of Musica Education, 16\2, 181-195. L’articolo illustra le benefiche ricadute didattiche dell’adozione dell’analisi schenkeriana (con particolare attenzione all’analisi della struttura melodica) sull’insegnamento dello strumento musicale. L’attenzione dell’autore è focalizzata sulla pedagogia del violino e della “performance”. L’utilità di un approccio integrato all’analisi della struttura melodica e alla pratica strumentale viene dimostrato scientificamente attraverso una vera e propria ricerca sperimentale che confronta i risultati di un gruppo di studenti partecipanti al training analitico-compositivo con quelli di un gruppo di controllo. Numerosi grafici analitici illustrano chiaramente la metodologia utilizzata. Molto interessante, dal punto di vista didattico, l’idea di innestare la metodologia analitica schenkeriana sulla chironomia e notazione kodaliana (la urlinie 3 2 1 diventa m r d, l’urlinie 8 7 6 5 4 3 2 1 diventa d’ t l s f m r d) con lo scopo di esplicitare la struttura melodica e le funzioni tonali in modo facilmente utilizzabile da tutti gli studenti. KENNEDY M. A., (1999), "Where does the music came from? A comparison cas-study of the compositional processes of a high school and a collegiate composer", British Journal of Musica Education, 16\2, 157-166.

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Due compositori professionali e il ricercatore analizzano le somiglianze e le differenze fra due composizioni fatte scrivere appositamente per l’occasione da due compositrici: una, di 17 anni, appartenente ad una “high school” (equivalente grosso modo al nostro liceo) e una “collegiate composer” (compositrice universitaria) di 25 anni. Le informazioni vengono raccolte nella ricerca attraverso interviste, osservazioni e analisi dei documenti. L’articolo conclude illustrando le implicazioni didattiche della ricerca e le possibili conseguenze sul piano delle strategie di insegnamento della composizione. Ad esempio l’opportunità, già realizzata da molte scuole moderne, di utilizzare una grande sala suddivisa in tante piccole stanze insonorizzate dotate di pianoforte o tastiere dove i compositori principianti possono elaborare le loro composizioni, ascoltare, registrare, lavorare in gruppi o coordinati con altri, e dove l’insegnante gira per assistere o offrire suggerimenti quando è necessario. Nell’articolo non sono illustrate in maniera precisa le strategie analitiche adoperate e l’accento è piuttosto sul confronto delle diverse strategie compositive rilevate e sulle conseguenze didattiche della ricerca. NIELSEN S.G, (1999) "Learnig strategies in instrumental music pratice", British Journal of Musica Education, 16\3, 275-291 L’articolo illustra una ricerca svolta su due studenti organisti impegnati a identificare le strategie di ascolto utilizzate nello studio di un difficile brano per l’esecuzione. I risultati sono basati sulle informazioni raccolte attraverso verbali redatti sia durante che dopo le sessioni di studio. Tutte le sessioni sono state anche videoregistrate. I risultati mostrano come gli studenti utilizzano strategie di ascolto per selezionare e organizzare le informazioni e per integrarle con la loro esperienza precedente. Lo studio dei comportamenti utilizzati mostra che essi sono spesso il frutto di saperi implicitamente analitici: ad esempio nella segmentazione dei frammenti musicali che vengono ripetuti durante lo studio, oppure nelle modificazioni della struttura ritmica funzionale allo studio tecnico, ecc. Nessuna precisa metodologia analitica viene richiamata o descritta nell’articolo ma l’analisi, come strategia integrata ad altre da utilizzarsi nello studio strumentale, è implicita e si dimostra presente anche nella dimensione più libera e “intuitiva” del lavoro di studio dei musicisti. SADAÏ Y., (1999), "Le rationalisme mystique d'Arnold Schoenberg: une relecture du Traité d'harmonie", Musurgia vol VI n. 3\4, 59-73. Qualche volta vale la pena di segnalare le perle nere. L’articolo in questione “fa le pulci” al manuale di armonia di Arnold Schoenberg ripetendo cose e osservazioni che in Italia erano già state scritte e pubblicate almeno quarant’anni fa. Effettivamente è vero: alcune prescrizioni del manuale di armonia (raddoppio della fondamentale nella triade sul VII° grado, attribuzione della funzione di dominante alla settima di sensibile in secondo rivolto, interpretazione della sesta eccedente, ecc.) sono prive di fondamenti nella letteratura tonale. L’autore dell’articolo illustra con dovizia di particolari tutte queste prescrizioni o impostazioni sbagliate e le mette a confronto con le dichiarazioni di intenti di Schoenberg, là dove si dichiara di rifarsi alle leggi della natura, all’insegnamento dei grandi autori, ecc. Ne esce un’immagine schizofrenica di Schoenberg, considerato grande compositore (nelle ultime dieci righe dell’articolo) ma un povero imbecille, degno di “essere spiegato attraverso discipline che si occupano dello studio della personalità", come autore di questo trattato, letto e chiosato come se fosse stato pubblicato oggi. Nessuna sensibilità per il contesto culturale e teorico dell’epoca in questione, per le strategie didattiche generali adottate e per le mille altre cose non sbagliate e forse geniali che Schoenberg ha scritto nel suo trattato.

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DELCAMBRE-MONPOËL M., (1999), "György Ligeti, Kammerkonzert: troisieme et quatriéme mouvements", Musurgia vol VI n. 3\4, 109-127. Uno dei pezzi più celebri e giustamente analizzati della letteratura del 900 viene qui raccontato secondo il più tradizionale approccio analitico, la “descrizione densa”. Una ricca raccolta di informazioni sulle strutture ritmiche, armoniche, timbriche, sulla texture, ecc. che però non arrivano a cristallizzarsi in una teoria interpretativa unitaria e metodologicamente rigorosa. L’interesse dell’articolo sta nella ricchezza di informazioni e nella relativa semplicità di impostazione che lo rendono un ottimo modello per uno studente alle prese con il suo “compito d’analisi”. HOLOMANN K.D., (1999), "Berlioz au travail", Musurgia vol VI n.1, 7-32. Uno degli strumenti più forti di divulgazione per una disciplina è quello che Oliver Sachs chiama “romanzo clinico”. Un testo che, assieme alla rigorosità delle informazioni scientifiche, si offra al lettore accendendo la sua curiosità e inchiodandolo alla poltrona con un’abilissima tecnica narrativa. Il saggio di Holoman è uno splendido esempio di “analisi-racconto” dove, accanto ad una rigorosissima indagine sui manoscritti di Berlioz, trova posto una felice capacità di raccontare e di far ragionare il lettore alle prese con il difficile compito di ricostruire la genesi di un’opera musicale. L’analisi musicale in senso stretto è solo uno degli elementi che concorrono nelle operazioni induttive e deduttive dell'autore ma l’appropriatezza degli esempi e dei confronti fra diverse varianti degli stessi elementi melodici o armonici, la felice scelta degli esempi musicali, l’efficacia di alcune osservazioni, danno al lettore l’illusione di trovarsi fisicamente di fronte al materializzarsi dell’opera musicale. Uno strumento didattico splendido anche se, in questo caso, lontano dalle metodologie analitiche rigorose più in voga nel mondo accademico e scientifico. COHEN J., (1999), "À propos des modéles compositionnels de J. C. Lobe", Musurgia vol VI n.1, 33-40. Sarebbe possibile assistere alla nascita di un’opera musicale così come, nello studio di un pittore, si può assistere alla nascita di una opera grafica? Solo di recente la psicologia della musica ha cominciato ad indagare il difficile terreno dei processi creativi ed a osservarli “dal vivo”. Un musicista di tre secoli fa, Johann Christian Lobe (1797-1881), era già convinto dell’enorme importanza didattica e culturale implicita nell’osservazione e analisi del processo creativo attraverso gli appunti e le varianti. Nel suo Breviario dei musicisti (1851) espone, con un linguaggio vagamente filosofico ed iniziatico ma comprensibilissimo, i principi di questa “attenzione” ai meccanismi della creazione. I momenti forti del suo approccio sono: Analizzare (osservare e regolamentare), Comporre (meditare, annotare, organizzare), tutti opportunamente corredati da consigli ed osservazioni pratiche ai giovani compositori che sono tutte molto sensate e “profumate” di un senso di autentica poesia. Quasi commovente. Il breve articolo di COHEN racconta questo piccolo miracolo d’intelligenza e di poesia quasi in punta di piedi. BÉNIMÉDOURÈNE E., (1999), "Contamination et réemploi musical chez Haendel", Musurgia vol VI n.1, 77-88. L’articolo illustra, attraverso chiarissimi esempi musicali, la tecnica dell’”autoprestito” nella musica di Haendel. In realtà Haendel ricorse numerose volte a dei “trapianti” dove un pezzo originale viene inserito, senza cambiamenti o adattamenti, in un nuovo contesto. L’interesse dell’articolo è invece puntato su quei casi dove questo “trasferimento” comporta delle trasformazioni. In alcuni casi il pezzo origine è di altro autore e quindi si tratta di un vero e proprio “prestito” più che “autoprestito”. Molto interessante nell’analisi degli esempi la capacità di esplicitare la tecnica elaborativa di Haendel che punta spesso ad inserire accanto e insieme al materiale originale delle nuove figurazioni accessorie: una

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tecnica che probabilmente deve molto alla pratica dell’improvvisazione. Particolarmente efficace un esempio che illustra il processo di “fusione” di due differenti temi (uno proprio e uno di Porta) in un’unica figurazione tematica “nuova”: una sorta di “manipolazione genetica” del materiale musicale. Questa tecnica compositiva di Haendel viene messa in relazione con il concetto di imitazione molto in voga nel periodo barocco grazie anche alla onnipresenza della retorica. L’articolo chiude riflettendo sulla concezione “organica” della musica. Concezione che sembra essere messa in discussione dalla presenza di questi materiali eterogenei all’interno delle opere haendeliane. Forse i criteri unificatori forti dipendono maggiormente dalla tonalità, dalla misura, dalla strumentazione. Sebbene la parola didattica non sia mai adoperata, si può osservare che l’articolo offre (involontariamente) uno spaccato sulle tecniche di insegnamento della composizione in auge nel periodo barocco (ma non solo). Tecniche largamente basate sull’imitazione dei maestri e sulla elaborazione di pezzi originali a partire da modelli dati. SCHEDE anno 2000 FLOWERS P. J. (2000), “The Match between Music Excerpts and Written Descriptions by Fifth and Sixth Graders” Journal of Research in Music Education, 48/3, 262-277 La ricerca vede impegnati quattro gruppi di studenti, due frequentanti il quinto grado e due frequentanti il sesto grado (equivalenti elle età di 10 e 11 anni circa). A uno dei due gruppi di ciascun livello vengono impartite per quattro giorni lezioni dove vengono forniti strumenti utili per una descrizione verbale della musica. Le indicazioni riguardano l’uso di metafore ed emozioni, elementi di analisi musicale, le descrizione degli elementi temporali. Nell’esperimento tutti gli studenti coinvolti sono invitati a descrivere a parole per iscritto sei frammenti musicali molto diversi per stile e carattere. Le descrizioni sono poi analizzate sotto vari punti di vista e confrontate. I risultati mostrano che non ci sono differenze statisticamente significative fra le descrizioni fornite da chi ha ricevuto i quattro giorni di formazione e chi no, tranne per il fatto che i tredicenni istruiti nei quattro giorni menzionano molti più elementi musicali rispetto ai coetanei che non hanno ricevuto nessuna istruzione. Infine un gruppo di dieci esperti legge le descrizioni e cerca di abbinarle alle musiche alle quali si riferiscono, i risultati sono analizzati statisticamente. Nonostante i risultati sembrino deludenti per quanto riguarda l’utilità di una formazione specifica, i procedimenti analitici utilizzati dagli studenti per redigere le loro descrizioni risultano estremamente interessanti. Dopo ciascun incontro preliminare si nota nelle descrizioni dei due gruppi coinvolti un significativo aumento di attenzione agli aspetti metaforici ed emozionali (I° incontro preliminare), agli elementi di analisi musicale (II° incontro preliminare) e alla descrizione della struttura temporale dei brani (III° e IV° incontro). I risultati della ricerca non mostrano un significativo sviluppo nelle descrizioni fra gli studenti del quinto e del sesto grado. Inoltre l’analisi delle descrizioni non incoraggia l’idea che un maggior numero di parole utilizzate descrivano meglio e più accuratamente il brano in questione. Vi è una tendenza generale ad usare in eccesso i soli termini musicali che si conoscono a discapito di una efficace differenziazione tra una descrizione e l’altra. L’interesse della ricerca per la didattica dell’analisi consiste nell’aver focalizzato l’attenzione dei rilievi analitici non solo sulla tradizionale analisi musicale ma anche, e in modo sistematico, sugli aspetti metaforici ed emozionali cioè, secondo una citazione proposta dall’autrice, su quella “buona sostanza che viene spesso gettata via”. HOLAHAN J. M. – CLARK SAUNDERS T. – GOLDBERG M. D. (2000), “Tonal Cognition in Pattern Discrimination: Evidence from Three Population”, Journal of Research in Music Education, 48/2, 162-177.

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Nella ricerca vengono confrontati tre gruppi, 24 studenti di musica in un college, 24 studenti non di musica (età media 20,8 anni), e infine una cinquantina di bambini di prima elementare (età media: 6,8), impegnati nell’ascolto di coppie di melodie tonali in tonalità maggiori. Gli studenti del college ascoltano complessivamente 48 coppie di melodie i bambini partecipano solo ad una parte del test ascoltando un sottoinsieme di sole 16 coppie. Ogni melodia è composta di tre diverse altezze. Ciascuno deve indicare se le due melodie presentate sono uguali o diverse utilizzando due tasti di una tastiera di computer. Le melodie non uguali differiscono per una sola altezza. Viene misurata la precisione e la velocità nello svolgimento del compito. I risultati mostrano che gli studenti musicisti danno sempre le migliori prestazioni. Invece, sorprendentemente, i bambini sono appena meno accurati degli studenti non musicisti. Confrontando le risposte degli studenti musicisti e non musicisti del college si vede che i non musicisti sono vicini alla precisione dei musicisti nel riconoscere l’identità dei due patterns. Quando i due patterns sono diversi l’accuratezza dei musicisti è molto maggiore di quella dei non musicisti. Osservando invece la velocità di risposta si vede che i musicisti sono sempre più veloci dei non musicisti con una differenziazione che vede il riconoscimento dell’identità dei motivi mediamente più veloce che non il riconoscimento della differenza. Infine i bambini sono sempre più lenti nelle loro risposte rispetto agli studenti sia musicisti che non. Nella discussione conclusiva gli autori interpretano i risultati attribuendo la maggior accuratezza e velocità di risposta dei musicisti allo sviluppo delle capacità cognitive dovuto sia all’età che ai diversi percorsi di studio musicale intrapresi. Anche in un compito analiticamente elementare come quello di questa ricerca è possibile, come gli autori fanno nella discussione conclusiva, formulare diverse ipotesi sui possibili meccanismi di ascolto interiore (“inner hearing” e “audiation”) messi in gioco. Ipotesi che meriterebbero di essere sviluppate attraverso ulteriori ricerche. PAYNTER J. (2000), “Making progress with composing”, British Journal of Music Education, 17/1, 5-31. Il lungo articolo riprende il tema fondamentale delle opere di questo autore ben noto in Italia grazie a due testi fondamentali (Suono e Silenzio e Suono e Struttura): l’importanza della attività creativa, intesa come ascolto, esplorazione, improvvisazione e composizione, nel curriculum scolastico degli studenti non solo di musica ma di qualsiasi indirizzo di studi. “La creatività dovrebbe essere il cuore di ogni area affettiva ed emotiva del curriculum” e non solo “perché è una parte essenziale dell’educazione musicale ma anche perché è benefica per il generale sviluppo dell’immaginazione e dell’inventiva”. Nel corso dell’articolo viene intrapresa una analisi comparativa di un pezzo pianistico di Schumann (Eusebius n. 5 dal Carnaval op.9) e di un pezzo (Dance) composto da un gruppo di giovani studenti compositori. Nei due pezzi vengono osservate e descritte le strutture tematiche, le testure utilizzate, il piano tonale, il ruolo della sezione aurea nelle proporzioni dei vari segmenti, il carattere e il senso musicale. Le analisi sono ovviamente molto sintetiche e poco “scientifiche” ma molto efficaci dal punto di vista comunicativo e fortemente funzionali alla finalità didattica dell’articolo. Un ottimo esempio di come l’analisi deve entrare ed integrarsi con il lavoro creativo dello studente in modo agile e funzionale. Conclude l’articolo una appassionata discussione sul ruolo dell’insegnamento della storia della musica nella comprensione dei fatti musicali. La posizione di Paynter consiste nel rimettere al centro dell’attenzione la musica, il manufatto sonoro, piuttosto che le informazioni storiche ad esso più o meno collegate. Un modo di pensare che privilegia, nel percorso verso la conoscenza, la manipolazione diretta dei materiali sonori ridimensionando l’importanza attribuita, in un passato anche recente, al corpo delle conoscenze sulla musica.

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KELLET M. (2000), “Raising musical esteem in the primary classroom: an exploratory study of young children’s listening skills”, British Journal of Music Education, 17/2, 157-181. L’articolo indaga in che modo si sviluppano i livelli di attenzione musicale nell’ascolto in bambini compresi fra i sei e gli otto anni di età. Si tratta di una ricerca qualitativa sulle modalità con cui i bambini rispondono alla musica, su come percepiscono loro stessi in relazione alla musica e sui fattori affettivi messi in gioco nella autostima musicale. A causa delle difficoltà riscontrate dall’autrice nell’utilizzare il linguaggio verbale in bambini così piccoli viene proposta una indagine che usa solo stimoli non verbali. La classe (24 bambini) di viene divisa in tre gruppi di otto bambini. A ogni bambino viene dato un set di colori, patters grafici (generate da un computer) e testure (imbottitura a bolle antiurto come quella comunemente utilizzata negli imballaggi, stoffa di cotone, velluto, cuoio morbido, carta lucida, seta, sacco e carta vetrata). Una piastra di registrazione viene applicata sotto ogni elemento. I bambini ascoltano una serie di frammenti musicali della durata di un minuto circa ciascuno. Durante l’ascolto i bambini sono invitati a toccare l’elemento che ritengono in accordo con la musica che stanno sentendo. Un computer registra, attraverso le piastre, come e quanto i bambini toccano gli elementi. Ai bambini viene detto che non ci sono risposte giuste o sbagliate e viene molto enfatizzato il loro ruolo di “esperti”. All’attività di scelta segue un momento di discussione con una intervista, uno a uno, semistrutturata durante la quale i bambini possono parlare delle ragioni connesse alle loro scelte. I risultati studiati statisticamente mostrano che le attività di scelta durante l’ascolto aumentano l’attenzione focalizzata al brano, che tutti hanno partecipato alle attività in modo positivo e gratificante, che le risposte date nelle varie fasi (la ricerca è durata un intero trimestre) rivelano un miglioramento nei livelli di ascolto, che l’attività non verbale struttura le risposte verbali date successivamente, che l’interazione sociale del gruppo migliora. Aumenta inoltre l’autostima musicale dei partecipanti in particolare per i soggetti che inizialmente percepivano se stessi come “non musicali”. Viene inoltre illustrato dettagliatamente il caso di uno dei partecipanti. Nella scelta degli abbinamenti i bambini mostrano di compiere dei procedimenti analitici sulla musica e la metodologia usata, che privilegia un approccio non verbale, offre un ottimo esempio di come tali abilità analitiche possono essere messe in gioco, descritte, studiate e sviluppate anche in bambini di soli sei anni. BURNARD P. (2000), “Examining experiential differences between improvisation and composition in children’s music-making”, British Journal of Music Education, 17/3, 227-245. Lo studio vuole descrivere qualitativamente: (a) il tipo di esperienza improvvisativa e compositiva di un gruppo di ragazzi (12 anni) non musicisti di una scuola Inglese osservando, in incontri settimanali per una durata complessiva di sei mesi, in che modo essi svolgono queste attività; (b) considerare le modalità con cui improvvisazione e composizione sono in relazione chiedendo ai ragazzi di riflettere su cosa è improvvisazione e composizione. Vengono svolte interviste approfondite, raccolte informazioni e registrate esecuzioni che poi sono analizzate fino ad avere una mappatura delle differenti modalità di esperienza dei ragazzi nei confronti delle due attività. L’analisi dei dati è focalizzata su quattro aspetti: (1) tempo, (2) corpo, (3) relazioni, (4) spazio. Il punto di partenza delle comparazioni è il linguaggio usato dai ragazzi nelle sessioni registrate e nelle interviste. La prima comparazione riguarda i comportamenti temporali utilizzati nel contesto improvvisativo e compositivo. La seconda comparazione riguarda il particolare orientamento dei movimenti del corpo e i gesti usati nella costruzione di una performance immediata oppure di un brano già realizzato. La terza comparazione indaga

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le interazioni tra l’individuo e gli altri (musical-social activity). La comparazione finale riguarda i rapporti spaziali fra suonatori e il territorio circostante nel quale viene decisa la totalità degli elementi aggiunti alla performance. I risultati mostrano che i ragazzi differenziano bene, sia in termini di linguaggio, sia nelle loro azioni, sia nei risultati musicali, improvvisazione da composizione anche se le due attività non sono distinte nettamente ma disposte su un continuum con un passaggio graduale attraverso le seguenti tre relazioni: (1) sono due forme distinte e implicano attività orientate diversamente; (2) sono due attività collegate in maniera funzionale; (3) sono indistinguibili. Inoltre si dimostra che i ragazzi possono parlare eloquentemente della propria esperienza musicale quando la loro creatività è favorita e le loro convinzioni sono rispettate. Inoltre risulta opportuno incoraggiare la naturale capacità dei ragazzi per la creatività musicale in un modo che sia autentico e avventuroso, irripetibile e imprevedibile tanto quanto prevedibile e ripetibile. La ricerca mostra anche, in maniera indiretta, alcune strategie analitiche che gli studenti adoperano parlando dei loro comportamenti musicali. MELLOR L. (2000), “Listenig, language and assessment: the pupil’s prospective”, British Journal of Music Education, 17/3, 247-263. L’articolo indaga il linguaggio usato da 154 bambini, dai 9 ai 13 anni, nella valutazione delle loro proprie composizioni e per quelle dei propri compagni. Uno degli scopi della ricerca è quello di verificare come i bambini usino le nozioni di altezza, durata, dinamica, tempo, timbro, testura e struttura definiti dal programma statale inglese (National Curriculum). Il compito compositivo viene presentato in modo aperto. Per non influenzare le risposte di ascolto il compito non è svolto in un ordine consequenziale di incontri. Il punto di partenza è una melodia senza riferimenti extra-musicali. Le attività di composizione sono organizzate individualmente. Ogni studente ha a disposizione una tastiera con cuffia. Ai ragazzi viene chiesto di sceglie un proprio timbro da quelli della tastiera ma di non usare i ritmi e gli accompagnamenti già predisposti nello strumento. Gli studenti lavorano sui loro brani in tre lezioni di 15 minuti e poi eseguono il loro brano registrandolo. Per molti studenti questo lavoro compositivo è una esperienza nuova. Infine, nella settimana conclusiva, gli studenti sono invitati a valutare le proprie composizioni. Essi ascoltano le registrazioni dei propri pezzi, danno un voto fino a 10 e scrivono le ragioni della loro valutazione. I risultati vengono catalogati e utilizzati per una analisi sia quantitativa che qualitativa. L’analisi qualitativa è sviluppata secondo cinque categorie: elementi musicali, stile, carattere, valutazione della composizione, valutazione dell’esecuzione. I risultati mostrano che l’uso di un vocabolario tecnico può non mettere in evidenza la comprensione dei fatti musicali. Viceversa, in assenza di un vocabolario tecnico, è possibile comunque comunicare il senso della musica attraverso un linguaggio non tecnico e ricco di metafore. Non mancano riferimenti all’influenza dei rapporti sociali nelle risposte e un ampia trattazione delle espressioni non tecniche utilizzate dai ragazzi. Particolarmente interessante per l’autrice il confronto fra le risposte di due gruppi di ascoltatori. Il primo gruppo individua un ampio numero di percezioni usando un linguaggio sia tecnico sia emotivo. Il secondo gruppo, che utilizza solo le nozioni tecniche del National Curriculum: “sembra chiudere le orecchie alla musica e usare le nozioni tecniche come etichette”. BURNARD P. (2000), “How Children Ascribe Meaning to Improvisation and Composition: rethinking pedagogy in music education”, Music Education Research, 2/1, 7-23. L’articolo ripropone nella sostanza la stessa ricerca illustrata nell’articolo della stessa autrice intitolato “Examining experiential differences between improvisation and composition in children’s music-making”, e pubblicato sul British Journal of Music Education, 17/3, 227-245. (vedi scheda) In questo caso l’articolo è corredato anche da

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alcuni schemi grafici realizzati dai ragazzi per illustrare il rapporto fra improvvisazione e composizione. DRATWICKI A. (2000), “Une typoloie des «Passages» dans le concerto pour piano romantique (1800-1849): l’exemple de Johann Nepomuk Hummel (1778-1837)”, Musurgia, VII/2, 25-40. L’idea è intrigante, si prendono i “passaggi” cioè gli episodi di transizione nella scrittura pianistica del concerto per piano e orchestra, in Hummel in particolare. Le osservazioni analitiche non vanno più in la di una sorta di descrizione dei tratti ricorrenti individuati nei vari esempi considerati. Didatticamente funzionale l’idea di restringere il campo di ricerca ad un ambitus volutamente limitato. TOSCANI C. (2000), “IV Congresso Europeo di Analisi Musicale, intervento alla sessione di studio: L’analisi in Europa oggi: le diverse tradizioni e le prassi pedagogiche”, Analisi, XI/31, 25-29. L’intervento di Toscani alla sessione di studio svoltasi a Rotterdam il 23 ottobre 1999 delinea un quadro sintetico della situazione italiana, afflitta dai mali ben noti nei confronti di questa disciplina: mancanza di una tradizione didattica consolidata, prevalenza dell’approccio storico, documentaristico e filologico piuttosto che teorico e analitico, separatezza dei conservatori rispetto al sistema generale dell’educazione, arretratezza dei programmi di studio, ecc. Ma viene anche tratteggiata una situazione in positiva evoluzione: la presenza dei corsi sperimentali, il riconoscimento di “Analisi Musicale” fra i settori scientifico disciplinari dell’università, ecc. Date le premesse: “L’analisi della musica molto più che una disciplina dotata di un proprio riconoscimento istituzionale, appare come uno strumento per ibridazioni metodologiche o per contaminazioni interdisciplinari. […] [Ma] se questo atteggiamento pragmatico, che collega l’analisi alle esigenze dello storico o del musicista pratico facendone essenzialmente un sussidio didattico, ha il merito di divulgare verso il basso i frutti della ricerca analitica, rischia tuttavia in primo luogo di decontestualizzare gli strumenti dei quali si serve, facendone perdere di vista i presupposti storici e ideologici che stanno alla base di ogni metodo analitico e di ogni teoria; in secondo luogo, finisce per negare dignità teorica e autonomia alla disciplina, mettendone in dubbio il valore scientifico, cioè la capacità di formulare chiare ipotesi di lavoro e processi di verifica corretti ed espliciti”. FERRIS D. (2000), “C. P. E. Bach and the art of strange modulation”, Music Theory Spectrum, 22/1, 60-88. L’articolo, molto ampio e ricco, focalizza una questione molto circoscritta: il modo molto personale e talvolta tonalmente strano con cui C.Ph.E. Bach compie delle modulazioni. L’attenzione è al solo fattore armonico. L’interesse didattico dell’articolo consiste nel modo di condurre la ricerca, molto attenta alla relazione con la produzione teorica del periodo e in particolare al modo con qui diversi musicisti-trattatisti (J.Ph. Kirnberger, H. C. Koch e lo stesso C.Ph.E. Bach) affrontano il problema della modulazione. Dalla ricerca emerge con chiarezza la volontà di C.Ph.E. Bach di usare la modulazione come una risorsa espressiva “locale”, piuttosto che come un elemento dell’architettura formale complessiva. Ciò succede in modo particolarmente evidente proprio nei casi di modulazioni “strane”, cioè non in linea con i consigli dei trattati e con le abitudini “modulative” della maggior parte dei compositori dell’epoca. ANSON-CARTWRIGHT M. (2000), “Cromatic Features of Eb-Major Works of the Classical Period”, Music Theory Spectrum, 22/2, 177-204.

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L’idea di fondo della ricerca è che, nelle musiche del periodo classico, esistano dei comportamenti armonici significativamente più ricorrenti nelle situazioni cromatiche che si verificano all’interno della tonalità di mi bemolle maggiore e che invece si verificano in modo assai meno ricorrente in altre tonalità. I risultati della ricerca, molto minuziosa e ampia mostrano chiaramente che per i tre compositori esaminati (Haydn, Mozart e Beethoven) è esattamente così. In particolare l’enarmonia fra si bequadro e do bemolle risulta essere uno dei mezzi più frequentemente utilizzati. Viene anche analizzato dettagliatamente lo sviluppo del primo movimento del quartetto di Haydn op. 71 n. 3, che risulta essere un brano di particolare interessante agli scopi della ricerca. Pur non affrontando minimamente questioni di didattica dell’analisi, l’articolo offre un ottimo modello didattico di ricerca, con una efficace delimitazione del campo di ricerca e una pregevole chiarezza metodologica ed espositiva. SMYTH D. H. (2000), “Stravinsky as Serialist: The Sketches for Threni”, Music Theory Spectrum, 22/2, 206-224. L’autore svolge una accurata ricerca sulla struttura seriale della prima composizione interamente dodecafonica di Stravinsky. In questo lavoro l’esame degli abbozzi risulta fondamentale. Anche attraverso numerosi esempi, molto chiari e puntuali, il lettore è portato gradualmente a rendersi conto del tipo di manipolazione usato da Stravinsky nei confronti della particolare serie di questo brano. Anche il ruolo predominante di determinate altezze (il mi bemolle sopra tutto e in misura meno evidente il sol bemolle il la e il do) è spiegato attraverso le particolarità della serie e delle particolari trasformazioni scelte da Stravinsky. Infine risulta chiaro come: “Stravinsky manipola il metodo per comporre con i dodici suoni per creare risultati analoghi a quelli dei centri e delle gerarchie tonali”. Un ottimo esempio di come, anche con una metodologia molto semplice e tradizionale, il lettore può essere guidato all’interno dei processi creativi di un grande musicista con abilità e senza pesantezze. Una vera lezione di stile.

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CAPITOLO 5 ELEMENTI DI BASE DELL’ARMONIA TONALE SECONDO L’APPROCCIO DELL’ARMONIA “FUNZIONALE”

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Lo scopo di una simile classificazione degli accordi è quello di riportare qualsiasi successione tonale, anche la più elaborata e apparentemente modulante, ad una struttura di fondo assai più semplice e chiara (quella Tonica-Dominante-Tonica) utilizzando i tre accordi (o funzioni) fondamentali dell’organizzazione armonica tonale: la tonica, la sottodominante, la dominante. (T,S,D se sono accordi maggiori, t,s,d, se sono accordi minori). Ecco un semplice esempio di basso con le indicazioni delle varie funzioni (si vedano anche le funzioni indicate nel brano basato su una melodia di Kodaly nel capitolo sullo strumentario didattico.

T = accordo di Tonica (maggiore) S = accordo di Sottodominante (maggiore) Sp = accordo parallelo (minore – per questo la p di parallelo è minuscola) della Sottodominante (che invece è maggiore quindi con la S maiuscola) D = Dominante (accordo maggiore) Tp = accordo parallelo (minore – per questo la p di parallelo è minuscola) della Tonica (che invece è maggiore, quindi con la T maiuscola) TG = contraccordo (in tedesco gegenklang) maggiore (per questo la G è maiuscola) della Tonica (T maiuscolo quindi Maggiore). Questo accordo non indica una modulazione ma è semplicemente una triade maggiore dove normalmente andrebbe una triade minore. Schoenberg le chiamava, molto a efficacemente, «dominanti secondarie». Sp3 = accordo parallelo (minore) della Sottodominante (Maggiore). Il 3 al deponente indica che la terza dell’accordo è la nota più bassa, quindi che è un primo rivolto. DD

3 = INDICA UN CASO PARTICOLARE E CONOSCIUTISSIMO DI «dominante secondaria»: la Dominante della Dominante. Spesso usata in fase cadenzale (quindi assolutamente non modulante) per preparare la successione V° - I°. Il 3 al deponente indica che la terza dell’accordo è nel basso (quindi siamo in primo rivolto). 64 53 D--------- = indica che la funzione di tutta la battuta è quella di Dominante. I numeri 64 e 53 indicano l’accordo di quarta e sesta e quello (secondo rivolto) e la triade allo stato

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fondamentale. In questo caso la quarta e sesta è considerata una doppia appoggiatura della triade di dominante (il do è appoggiatura del si, e il mi è appoggiatura del re). Come si vede la successione delle funzioni è sempre T → S →D→T. ACCORDI “SOSTITUTIVI” La gran parte del jazz e della musica di grande consumo (leggera, rock, pop, ecc.) è saldamente costruita sui principi del linguaggio tonale, seppure allargato alle scale modali e con delle libertà rispetto alla convenzioni accademiche (nel jazz è obbligatorio fare le quinte parallele altrimenti si rischia di andare fuori stile). Il meccanismo delle funzioni è di solito chiarissimo nella mente di un jazzista o di un bluesman che improvvisa. (anche se qualche volta non lo conosce dal punto di vista teorico). Nel tempo è stato elaborato tutto un vocabolario armonico di accordi che, conservando la stessa funzione dell’accordo di base, possono sostituirlo convenientemente per ottenere sonorità più gradite o ambigue (molto utili per improvvisare) o ricercate. Questi accordi (alcuni dei quali già praticati e descritti nei manuali di basso continuo del ‘700 e scritti per esteso in diverse sonate di Domenico Scarlatti) vengono comunemente chiamati: accordi sostitutivi. La seguente tabella illustra solo i più comunemente praticati. Sono tutti accordi che, sebbene classificati come dissonanti dalla teoria tradizionale, sono usati tranquillamente come accordi consonanti. Senza nessun obbligo cioè di preparazione o risoluzione. Alcuni di questi accordi hanno anche cifrature convenzionali ormai entrate nell’uso riportate sopra il rigo.

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CAPITOLO 5 - QUADRATO MAGICO E TEST DI AMMISSIONE. In tutto il periodo barocco è stato usato un procedimento, accuratamente descritto da Athanasius Kircher (1602-1680) nella Musurgia Universalis (1650), per costruire canoni e fughe. Si tratta del cosiddetto “quadrato magico”.3 Molti canoni, basati su melodie di corali luterani, disposti in partitura secondo lo schema del quadrato magico si trovano nell’appendice al primo volume della Tabulatura Nova di Samuel Scheidt. Si tratta in sostanza, nel nostro adattamento a fini didattici, di preparare una griglia già strutturata dal punto di vista armonico. Ad esempio:

Che poi va riempito con una melodia coerente con gli accordi scritti e sovrapponibile sulle tre righe. Ad esempio:

Il canone si può cantare a tre voci con l’ingresso delle voci ogni tre battute. Oppure a due voci con il ritornello a battuta 6 e una parte che ripete come ostinato di accompagnamento le battute 7,8,e 9. Infine può essere eseguito come sovrapposizione di tre ostinati di tre battute. Realizzare diversi quadrati magici, più o meno collegati dal punto di vista armonico, consente di avere una “tavolozza” di soluzioni contrappuntistiche facilmente adattabili a qualsiasi organico vocale e strumentale. 3 In epoca moderna i procedimenti sono accuratamente descritti da Giancarlo Bizzi nei suoi due libri Specchi invisibili dei suoni, Astrolabio, Roma e Il canone e la fuga, Berbén, Ancona.

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TEST DI AMMISSINE INTERATTIVI Al conservatorio di Milano, da qualche anno le ammissioni per la scuola media convenzionata “G.Verdi” prevedono tre prove. La prima prova è il test di Arnold Bentley pubblicato da Ricordi-Morano. Un test standardizzato che misura alcune abilità percettive. La seconda prova è un’attività interattiva che dovrebbe evidenziare, anche se in modo assai meno scientifico, le abilità motorie, di memoria a breve termine, di controllo della vocalità, ecc. Ecco la prova usata nel giugno 2004. La prova dura 15 minuti per ogni gruppo. In un’ora si esaminano 4 gruppi di 5 bambini (20 bambini).

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I candidati entrano a gruppi di cinque e si dispongono di fronte all’insegnante che condurrà la prova. Sulle sedie sono già pronti gli strumenti a percussione dello strumentario didattico. Gli altri docenti della commissione compilano le schede di rilevazione e generalmente non interferiscono con la conduzione della prova. (La prima prova attitudinale è il test di Bentley. La terza è quella con il docente di strumento.) A,B,C,D,E = alunni

SCHEDA DI RILEVAZIONE.

Indicatori Alunno 1 Alunno 2 Alunno 3 Alunno 4 Alunno 5

ATTIVITA’ A Precisione della risposta ritmica

Fedeltà alle sfumature dinamiche

ATTIVITA’ B Coordinamento voce\corpo

Fedeltà alle sfumature agogiche

ATTIVITA’ C Precisione, fantasia, scioltezza improvvisativa

PUNTEGGIO COMPLESSIVO (in decimi 0/10)

ALUNNO 1 _____________________________________________________________ (nome cognome età strumento) ALUNNO 2______________________________________________________________ ALUNNO 3______________________________________________________________ ALUNNO 4______________________________________________________________ ALUNNO 5______________________________________________________________

A

B C D

E

docente

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Quando tutti i candidati si sono fermati la prova si conclude. Se condotta senza interruzioni la prova per gruppi di 5 bambini dura 15 minuti circa. Se necessario si possono aggiungere altre prove per valutare meglio aspetti più specifici.