Dispensa di Diritto ed Economia Politica Per il biennio · Pagina 3 PRIMO ANNO CAPITOLO 1 ORIGINI E...
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INDICE
PRIMO ANNO ..................................................................................................................................................... 3
CAPITOLO 1 .................................................................................................................................................... 3 ORIGINI E FUNZIONI DEL DIRITTO ........................................................................................................ 3
CAPITOLO 2 .................................................................................................................................................... 5 SOGGETTI, ATTI FATTI E SITUZIONI GIURIDICHE .............................................................................. 5
CAPITOLO 3 ................................................................................................................................................. 10 LO STATO: FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO ..................................................................... 10
CAPITOLO 4 ................................................................................................................................................. 14 LA COSTITUZIONE ITALIANA ............................................................................................................... 14
CAPITOLO 5 ................................................................................................................................................. 16 GLI ORGANI DELLO STATO .................................................................................................................. 16
CAPITOLO 6 ................................................................................................................................................. 25 L'UNIONE EUROPEA ............................................................................................................................... 25
SECONDO ANNO ............................................................................................................................................. 27
CAPITOLO 7 ................................................................................................................................................. 27 INTRODUZIONE ALLA SCIENZA ECONOMICA ................................................................................. 27
CAPITOLO 8 ................................................................................................................................................. 32 L’OPERATORE ECONOMICO ................................................................................................................ 32
CAPITOLO 9 ................................................................................................................................................. 38 IL MERCATO ............................................................................................................................................ 38
CAPITOLO 10................................................................................................................................................ 44 LA MONETA ............................................................................................................................................. 44
CAPITOLO 11................................................................................................................................................ 46 L’INFLAZIONE E LA DEFLAZIONE ....................................................................................................... 46
CAPITOLO 12................................................................................................................................................ 47 I CARATTERI E LE CAUSE DEL SOTTOSVILUPPO ............................................................................. 47
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PRIMO ANNO
CAPITOLO 1
ORIGINI E FUNZIONI DEL DIRITTO
Benché spesso si immagina che il diritto interessi solo una parte della popolazione, quella relativa
ai professionisti del diritto, come avvocati o giudici, nella realtà esso è presente in ogni momento
della nostra vita, quasi come se ci seguisse come un’ombra.
Facciamo un esempio che ci riguarda da vicino. Un ragazzo questa mattina si è svegliato alle 8, si è
lavato ascoltando della musica alla radio, ha fatto colazione godendo degli agi che gli offre la sua
casa e magari ha chiamato un amico per passarlo a prendere in scooter. Ora, ogni atto che il
giovane ha compiuto è regolato dal diritto: ha infatti goduto della sua casa perché essa è stata presa
in locazione o comprata o ereditata; ha usato l’acqua e il telefono perché la sua famiglia ha stipulato
un contratto con gli enti eroganti; ha ascoltato la radio grazie ai contratti che regolano
l’utilizzazione di questi servizi. Ora lo studente è a scuola ed anche se non se ne rende conto, tutto
ciò che accade intorno a lui è regolato dal diritto.
Ma vediamo la definizione classica ….
L'uomo per definizione dello stesso filosofo greco Aristotele può essere considerato un animale
politico, nel senso che è portato per sua stessa natura a rapportarsi con i suoi simili, dando vita a
gruppi più o meno complessi (famiglia, Stato, ecc.) e più in generale la società intesa proprio
come pluralità di individui organizzati stabilmente per il conseguimento di un determinato
fine.
Per poter operare, una società deve necessariamente dotarsi di regole che disciplinino i rapporti tra
gli individui che ne fanno parte, e di organi che ne garantiscano il rispetto.
Tali regole prendono il nome di norme giuridiche che per definizione disciplinano la condotta dei
rapporti reciproci tra esseri umani, discriminando tra ciò che è lecito (e dunque conforme alla
norma) e ciò che è illecito (che è vietato dalla norma) ovvero contrario alla norma.
L'eventuale violazione comporta una "sanzione" (che colpisce i beni considerati di fondamentale
importanza per l'uomo, come la ricchezza, la libertà personale, la vita stessa in alcuni casi) che viene
imposta dalla pubblica autorità, proprio per il fatto che la norma giuridica è assistita dalla forza.
L'insieme delle norme costituisce il diritto, che inteso come sistema di norme (insieme di elementi
diversi ma organizzati e collegati fra loro) prende il nome di ordinamento giuridico.
Il diritto considerato come insieme di regole di condotta viene detto diritto oggettivo, in
contrapposizione al diritto soggettivo che è la più importante situazione giuridica attiva di ogni
persona umana e che consiste nella facoltà di agire, ovvero di tenere o di pretendere che altri
tengano un determinato comportamento per la soddisfazione di un proprio interesse tutelato e
protetto dall'ordinamento giuridico.
Il diritto oggettivo a sua volta si distingue in due rami:
1. diritto pubblico, che regola i rapporti nei quali almeno una delle parti è un soggetto
pubblico, come lo Stato (il quale agisce per soddisfare un interesse di carattere generale);
2. diritto privato che regolamenta i rapporti nei quali tutte e due le parti sono in una condizione
di "uguaglianza giuridica", ovvero soggetti privati che soddisfano un interesse particolare.
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L'esigenza dell'uomo di dotarsi di norme che regolassero i rapporti con i propri simili, risale
all'antichità: nell'antica Roma così anche come nell'età feudale vigeva il c.d. "diritto
consuetudinario" ovvero un insieme di norme che non venivano decise da un'autorità, né redatte in
forma scritta, ma venivano prodotte spontaneamente dalla società stessa attraverso la ripetizione
di certi comportamenti tra i suoi membri.
Solo in tempi più recenti (tra il 300 e il 700) si è passati agli ordinamenti giuridici
contemporanei in coincidenza della nascita dello "stato moderno", ossia un apparato centralizzato
che esercita in modo stabile il potere politico (sovranità). Da qui in avanti le norme
consuetudinarie vennero abolite (anche se non sono del tutto sparite: negli Usa e in Gran Bretagna
esistono ancora una parte del diritto formato da norme consuetudinarie, il c.d. "common law") e
sostituite con norme emanate dagli Stati (statizzazione del diritto).
Parallelamente nacquero anche le costituzioni scritte.
Si è giunti così al diritto attuale che è un diritto positivo ovvero imposto dall'alto, un diritto statale
dunque, ma che anche lo Stato che pure emana le norme, deve rispettare.
Il diritto svolge una serie di funzioni, che per semplicità possono essere raggruppate in quattro
diverse classi:
1. distribuzione e utilizzazione delle risorse all'interno della società: le risorse sono i
beni, le cose utili all'uomo che esistono in natura (terra, mare, fiumi, risorse minerarie,
ecc.) oppure che sono il risultato del lavoro umano (prodotti agricoli e industriali)
distinguibili a loro volta in mezzi di produzione e beni di consumo. Le risorse vengono
prodotte, utilizzate e distribuite tra gli uomini in base ai comportamenti che in forma
singola o associata essi decidono autonomamente di intraprendere.
2. Il diritto si occupa di stabilire delle regole generali di comportamento all'interno di
questa sfera, perché tali attività si svolgano secondo un certo ordine e in modo che in caso
di eventuali conflitti, si possa stabilire chi ha torto e chi ha ragione. Questa funzione
viene svolta dalle norme di diritto privato, che per l'appunto regolano i rapporti tra i
privati
3. repressione di comportamenti considerati socialmente pericolosi: alcuni
comportamenti umani sono considerati pericolosi non solo per i singoli ai quali sono rivolti,
ma anche per l'intera collettività e per tali ragioni devono essere repressi. Questa funzione
di repressione viene svolta dalle norme del diritto penale che definiscono i "reati" (ossia i
comportamenti giudicati socialmente pericolosi), stabilendo le relative sanzioni a carattere
punitivo
4. istituzione e organizzazione dei pubblici poteri: nelle società contemporanee il potere
politico viene esercitato dallo Stato ed è regolato da norme giuridiche che stabiliscono, da
chi, come e nei confronti di chi debba avvenire tale esercizio. Questa funzione normativa
viene svolta dal diritto costituzionale e dal diritto amministrativo che stabiliscono
l'assetto dell'apparato statale e i rapporti tra lo Stato e i cittadini.
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CAPITOLO 2
SOGGETTI, ATTI FATTI E SITUZIONI GIURIDICHE
II diritto ha la funzione di regolare il comportamento degli uomini all'interno della società: tutti
coloro ai quali esso si rivolge sono soggetti giuridici, che hanno, in quanto tali, capacità giuridica,
ovvero sono titolari di diritti e obblighi giuridici.
I soggetti giuridici sono le persone fisiche, ossia tutti gli esseri umani.
La capacità giuridica si acquista con la nascita e va distinta dalla capacità d'agire che invece si
acquista con la maggiore età e consiste nella capacità di compiere atti che modificano la propria
situazione giuridica (per esempio stipulare un contratto di compravendita, assumersi obblighi, ecc.).
Se da una parte ogni persona fisica non può essere mai privato della capacità giuridica, può invece
verificarsi la privazione della capacità d'agire: questa infatti presuppone una certa maturità
dell'individuo (per questo si acquisisce a 18 anni) e laddove non vi sia completa capacità
d'intendere e di volere il soggetto può essere privato della capacità d'agire in modo totale
(interdizione) o parziale (inabilitazione).
L'interdizione o l'inabilitazione sono sanciti con sentenza del giudice che nominerà anche il tutore,
ovvero colui che avrà il potere di agire in rappresentanza dell'incapace, mentre fino a quando
l'incapace è minorenne, vi provvederanno direttamente i genitori che ne detengono la patria
potestà.
Anche le organizzazioni vengono considerate dal diritto come veri e propri soggetti giuridici,
poiché costituite da persone unite per il conseguimento di un determinato fine. Ne esistono
diverse forme e tipologie tutte comunque contemplate e tutelate dall'ordinamento giuridico
in quanto, soggetti giuridici titolari di diritti e doveri e capaci di compiere atti giuridici,
attraverso gli organi che le compongono; tali organi sono pur sempre composti da persone fisiche
che svolgono le diverse funzioni all'interno dell'organizzazione stessa. Esistono dunque organi che
hanno una funzione decisionale (o volitiva), altri che hanno una funzione esecutiva (o
amministrativa), altri che hanno invece funzioni di rappresentanza (nei rapporti con altri soggetti) e
infine funzioni di controllo.
Per svolgere la loro attività (di qualunque natura essa sia, commerciale, sociale, culturale, sportiva,
ecc.) le organizzazioni hanno necessità di poter disporre di un proprio patrimonio, che può essere
costituito da una somma di denaro oppure da beni mobili e immobili. Normalmente sono gli stessi
titolari dell'organizzazione che conferiscono tali beni, per formare il c.d. "patrimonio iniziale" o
"patrimonio di costituzione".
La caratteristica comune alle organizzazioni è che il loro patrimonio si configura come elemento
separato e distinto rispetto al patrimonio personale dei singoli soci, ovvero si dice che le
organizzazioni hanno un’ autonomia patrimoniale rispetto ai propri membri.
L'autonomia patrimoniale, può essere più o meno completa:
- E' perfetta quando la distinzione tra patrimonio dell'organizzazione e patrimonio personale
dei soci è totale: ciò significa che per le obbligazioni contratte dall'organizzazione, i creditori non
potranno in nessun modo rifarsi sui patrimoni personali dei singoli soci, ma solo ed esclusivamente
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sul patrimonio dell'organizzazione. In questo caso si parla di organizzazione dotata di
personalità giuridica, uno status che viene attribuito dalla legge.
Sono dotate dì personalità giuridica le società dì capitali (S.p.A., S.r.l., S.a.p.a), le associazioni
riconosciute, le fondazioni, e gli enti pubblici.
- Diversamente si parla di autonomia patrimoniale imperfetta: in questo caso gli associati
rispondono solidalmente ed illimitatamente con il loro patrimonio personale, per le obbligazioni
contratte dall'organizzazione, qualora il patrimonio dell'organizzazione non sia sufficiente a
soddisfarle (ad esempio, associazioni non riconosciute e società di persone: individuali, S.n.c.,
S.a.s.).
Le organizzazioni si suddividono (come soggetti giuridici) in private (sono volontariamente
costituite da soggetti privati per conseguire fini di natura privata) e pubbliche (perseguono fini di
carattere pubblico che riguardano dunque l'intera collettività).
Tra le organizzazioni private ci sono:
1. le società lucrative: hanno fini di lucro, la loro attività consiste nel gestire imprese
economiche; oltre alle società (di persone e di capitali) ne fanno parte anche le società
cooperative, le quali gestiscono imprese economiche senza peraltro scopo di lucro;
2. le associazioni: non svolgono attività economica e non perseguono fini di lucro, ma altre
finalità di natura politica, religiosa, culturale, sportiva, ricreativa, ecc.; vengono costituite mediante
accordo tra due o più persone;
3. le fondazioni: hanno come caratteristica principale ( e che le distingue dalle associazioni) il
patrimonio che rimane vincolato all'organizzazione e utilizzato per i fini istituzionali della stessa;
sono sempre riconosciute dallo Stato e dunque come tali persone giuridiche.
La prima tra le organizzazioni pubbliche o più semplicemente tra gli enti pubblici è lo Stato, ossia
l'organizzazione che esercita la sovranità sull'insieme della società; essendo un ente sarà titolare di
diritti e doveri (nei confronti dei cittadini e degli altri Stati). Data l'ampiezza dei fini che si
propone di raggiungere, la sua struttura è particolarmente complessa, articolata in vari organi che
svolgono diverse funzioni al suo interno: Parlamento (organo legislativo), Governo (organo
esecutivo), Presidente della Repubblica, Giudici, altri organi della Pubblica Amministrazione.
Gli enti pubblici diversi dallo Stato sono:
4. gli enti pubblici territoriali: esercitano funzioni pubbliche su un dato territorio
(Regioni, Province, Comuni);
5. gli enti pubblici istituzionali: svolgono funzioni particolari in determinati settori
economico-sociali (Inps, Banca d'Italia, Camera di Commercio, ecc.).
In generale sono organizzazioni che svolgono funzioni di natura pubblica, sotto il controllo dello
Stato e pertanto dispongono di un potere di imperio (o di comando) nei confronti della
collettività, proprio perché perseguono un interesse pubblico.
1. SITUAZIONI SOGGETTIVE ATTIVE E PASSIVE
Tanto le persone fisiche quanto le organizzazioni nel diritto possono essere titolari di situazioni
soggettive attive (ovvero favorevoli al soggetto, quando una norma gli attribuisce la
possibilità di pretendere che altri facciano o non facciano qualcosa) e di situazioni soggettive
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passive (qualora il soggetto sia obbligato dalla norma a fare o a non fare qualcosa o a subire il
comportamento di altri).
1.1 Tra le Situazioni Soggettive Attive si distinguono:
- i diritti soggettivi: sono interessi del soggetto riconosciuti e tutelati dall'ordinamento
giuridico e possono essere:
-pubblici (quando sono accordati nei confronti dello Stato o di un ente pubblico, come ad
esempio i diritti di libertà, i diritti civili,ecc.)
-privati (quando sono riconosciuti nei confronti di altri soggetti a protezione di interessi
privati).
Questi ultimi si suddividono in:
1. diritti patrimoniali (di natura essenzialmente economica)
2. non patrimoniali (si riferiscono a interessi di natura ideale e morale, come i diritti
della personalità o personalissimi e i diritti di famiglia
3. assoluti (assicurano al titolare un potere che può essere fatto valere nei confronti di
tutti, "erga omnes"):
4. relativi (il titolare può esercitare un potere solo nei confronti di alcune persone);
5. trasmissibili (rientrano nella libera disponibilità del titolare);
6. intrasmissibili (non possono essere trasferiti ad altri soggetti, né vi si può rinunciare);
- gli interessi legittimi: si presentano solo nei rapporti tra privati e Pubblica
Amministrazione e consistono nella pretesa (riconosciuta dall'ordinamento giuridico)a che
l'amministrazione si comporti in modo legittimo, ovvero osservi le norme stabilite dalla legge
nello svolgimento della sua attività;
- i poteri: consistono nella possibilità di modificare unilateralmente la situazione
giuridica di altri soggetti per realizzare un interesse di carattere generale o superiore; è in
altre parole un attributo dei soggetti pubblici (Stato ed enti pubblici) che deriva dalla sovranità
(potere d'imperio, di autorità, di comando). Tra i poteri dello Stato rientrano il potere
normativo, il potere giurisdizionale e il potere amministrativo (o esecutivo).
1.2 Le Situazioni Soggettive Passive comprendono:
- il dovere: è la situazione in cui viene a trovarsi chiunque debba astenersi da
qualsiasi atto che turbi un diritto assoluto altrui;
- l’obbligo: consiste nel tenere un certo comportamento nei confronti del titolare di un
diritto relativo (ad esempio, l'obbligo del debitore dì soddisfare il creditore);
- la soggezione: è la situazione di chi è esposto all'esercizio di un altrui diritto
potestativo dovendo limitarsi a subirne le conseguenze (ad esempio, il rapporto genitori figli
minorenni)
- l’onere: consiste nel tenere un comportamento necessario ad ottenere o conservare un
dato vantaggio (ad esempio, il compratore che vuole avvalersi della garanzia sulle merci
acquistate ha l'onere di denunciarne i difetti entro un tempo stabilito).
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7. FATTO GIURIDICO
Nell'ambito del diritto con il termine fatto giuridico si indica uno stato o evento costitutivo della
fattispecie di una norma.
Se un fatto è previsto nella fattispecie di una norma, si dice che lo stesso è qualificato come
giuridicamente rilevante dall'ordinamento giuridico.
Vi è una grande varietà di fatti giuridici, che rendono ardua una descrizione unitaria; è però
indubitabile che non esistono effetti giuridici che non siano ricollegati ad un fatto.
A titolo di esempio si può dire che fatti giuridici sono tanto il decorso del tempo quanto un negozio
giuridico, mentre possono essere effetti giuridici conseguenti ad un fatto la costituzione, la
modificazione e l'estinzione di un rapporto giuridico. I fatti giuridici si possono classificare in:
naturali (o meri fatti): se non dipendono dalla volontà dell'uomo;
umani (o atti giuridici): se dipendono dalla volontà dell'uomo.
8. ATTO GIURIDICO
L'atto giuridico è un fatto giuridico il cui accadimento è voluto dall'uomo.
Per gli atti giuridici, quindi, a differenza degli altri fatti giuridici, è rilevante l'imputazione ad
un soggetto di diritto, che può essere la persona fisica che ha voluto il loro accadimento o la persona
giuridica per la quale detta persona fisica ha agito in qualità di organo. Al pari degli altri fatti
giuridici, gli atti costituiscono le fattispecie delle norme.
Sono esempi di atto giuridico: la promessa, il testamento, la sentenza, il contratto, l'atto
amministrativo. Sono altresì atti la legge, il regolamento e, in generale, tutti gli atti che
costituiscono fonte del diritto (atti normativi).
Dal punto di vista del momento in cui producono i loro effetti, gli atti si distinguono in:
- recettizi: se la loro efficacia è condizionata alla conoscenza che di essi ne abbia il
destinatario;
- non recettizi, se possono produrre effetti fin dal momento del loro perfezionamento,anche se
il destinatario non ne ha ancora avuta conoscenza.
Dal punto di vista della conformità alle norme, gli atti si distinguono in:
- leciti, se non violano alcun obbligo o dovere (sia esso positivo, ossia un comando, o negativo,
ossia un divieto) posto dall'ordinamento giuridico;
- illeciti, se violano un obbligo o dovere posto dall'ordinamento giuridico. Gli atti illeciti
possono dar luogo a responsabilità in capo al soggetto al quale sono imputati
Dal punto di vista del numero di soggetti ai quali sono imputati , gli atti giuridici si
distinguono in:
1. unilaterali, se sono imputati ad un solo soggetto;
2. bilaterali, se sono imputati a due soggetti;
3. plurilaterali, se sono imputati a più di due soggetti;
4. collegiali (o deliberazioni), se sono imputati ad un collegio, costituito da una
pluralità di persone, ma non a queste singolarmente.
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Dal punto di vista della natura del soggetto al quale sono imputati, gli atti giuridici si
distinguono in:
- pubblici, se promanano dallo Stato o altro soggetto pubblico che agisce in posizione di
supremazia (autorità);
- privati, se promanano da un soggetto, pubblico o privato, che non agisce in
posizione di supremazia ma in virtù dell'autonomia privata che l'ordinamento riconosce
alla generalità dei soggetti.
5. NEGOZIO GIURIDICO
Si definisce negozio giuridico l'atto di autonomia privata (dichiarazione di volontà) diretto ad
uno scopo pratico riconosciuto dall'ordinamento e ritenuto meritevole di tutela, cui
l'ordinamento ricollega effetti giuridici conformi, idonei a proteggere ed assicurare il
raggiungimento dello scopo pratico.
L'articolo 1325 del cod. civ. elenca 4 elementi essenziali del contratto (esempio di negozio
giuridico per eccellenza):
1. l'accordo tra le parti (altrimenti definito come manifestazione di volontà),
2. la causa (ragione essenziale del negozio: occorre che sia lecita e degna di tutela),
3. l'oggetto
4. la forma (libera o solenne a seconda dei casi).
Sulla base dell'elaborazione dottrinale si è giunti a considerare il negozio, inteso come atto di
autonomia negoziale, in senso duplice:
1. in senso soggettivo, quale atto espressivo della volontà del soggetto, ovvero quale
manifestazione di volontà;
2. in senso oggettivo, invece, l'atto di autonomia negoziale assume il significato di
dichiarazione di volontà.
Il negozio giuridico è detto "unilaterale" quando è costituito dalla dichiarazione di volontà o
dal comportamento negoziale di una sola parte, "bilaterale" o "plurilaterale" quando è costituito
dalle dichiarazioni di volontà di due o più parti.
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CAPITOLO 3
LO STATO: FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO
Per forma di Stato si intende il modo in cui lo Stato risulta strutturato nella sua totalità, ed in
particolare il modo in cui si atteggiano i rapporti tra gli elementi costitutivi del medesimo. In
questo concetto, il termine Stato rileva come Stato-ordinamento, ossia come combinazione dei tre
elementi fondamentali: popolo, territorio e sovranità.
Sulla base di questi tre elementi, possono essere dati due contenuti diversi al concetto di forma di
Stato:
- come organizzazione dei rapporti tra popolo e sovranità, ossia tra governanti e governati;
- come organizzazione dei rapporti tra territorio e sovranità, ossia come ripartizione della
sovranità sul territorio (con un maggiore o minore grado di accentramento).
La forma di governo, invece, indica il modo con cui le varie funzioni dello Stato sono distribuite
ed organizzate tra i diversi organi costituzionali. In tal caso, il termine Stato rileva come Stato-
apparato, cioè apparato di governo e complesso degli organi centrali.
Sinteticamente, si può affermare che forma di Stato e forma di governo è concetto impiegato per
indicare il modo di essere del rapporto tra Stato-autorità e Stato-società, avendo particolarmente
riguardo, rispettivamente, all'aspetto finalistico e all'aspetto strumentale.
1. Principali forme di Stato
1. Stato Unitario
Lo Stato unitario è caratterizzato da un unico popolo, un unico territorio e un unico governo.
Uno Stato unitario può essere di tipo accentrato o di tipo decentrato.
1-Accentrato
Quando l’attività di governo è esercitata in modo esclusivo o prevalente da organi centrali, con
competenza su tutto il territorio nazionale o comunque da organi periferici dipendenti da quelli
centrali.
2-Decentrato
Quando l’attività di governo è svolta anche da organi locali, con competenza solo su una parte del
territorio nazionale (decentramento gerarchico),e da enti locali o territoriali (decentramento
autarchico).
2. Stato Regionale
Lo Stato regionale è caratterizzato dal riconoscimento delle autonomie locali, in quanto attua un
decentramento amministrativo e legislativo a favore degli enti locali, con una proprio
popolazione, un proprio territorio e un proprio governo. Gli enti locali sono titolari di un potere
derivato dallo Stato ed esercitano solo le funzioni delegato dallo Stato.
3. Stato Federale
Lo Stato federale è uno Stato formato da più Stati federati, che attribuiscono allo Stato centrale
alcune funzioni. A differenza degli enti locali, gli Stati federati hanno una vera e proprio sovranità
e sono titolari esclusivi di tutte le funzioni che non delegano espressamente allo Stato federale.
4. FORMA DI GOVERNO
La forma di governo indica il modo in cui si articola e si ripartisce il potere politico tra i vari
organi di vertice dello Stato ed in particolare tra Parlamento, Governo e Presidente della
Repubblica. Indica quindi il rapporto intercorrente fra coloro che governano. In particolare indica
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n rapporto esistente fra gli organi titolari dei tre poteri caratteristici ed essenziali al funzionamento
dello Stato: potere legislativo, esecutivo e giurisdizionale.
Al fine di meglio comprendere il concetto di forma di governo è necessario partire dal principio
di separazione dei poteri, in virtù del quale, ciascun organo di governo deve esercitare una sola
funzione statale nella piena autonomia e senza indebite interferenze da parte degli altri poteri, se
non nei limitati casi in cui la legge attribuisca ad uno di essi un potere di controllo. Il motivo della
separazione dei poteri è quello di evitare che uno di essi possa prevaricare sugli altri, esercitando
un potere assoluto e degenerando così nell'assolutismo o in atteggiamenti tirannici. È quindi un
principio di garanzia che assicura la libertà politica dei cittadini. Quasi tutti gli Stati hanno accolto
il principio di separazione dei poteri anche se diverse sono le soluzioni adottate in concreto per
regolare i rapporti fra gli organi che esercitano i tre poteri fondamentali. Diverse sono pertanto le
forme di governo adottate dai diversi Stati.
1. Principali forme di Governo
1. Monarchia
La Monarchia è una forma di governo caratterizzata dal fatto che il potere del re (la cui carica di
solito è ereditaria e a vita) è un potere originario, personale e trasmissibile.
Può assumere la forma di una monarchia assoluta, costituzionale o parlamentare.
1. Monarchia Assoluta
Nella Monarchia assoluta il potere politico è accentrato nelle mani del sovrano che
esercita in modo diretto o indiretto, attraverso organi dipendenti, il potere legislativo,
esecutivo e giudiziario
2. Monarchia Costituzionale
Nella Monarchia costituzionale il potere politico del re è limitato dall’esistenza di una
costituzione, che introduce una separazione dei poteri dello Stato: il re conserva un
ruolo centrale, ma il potere legislativo, esecutivo e giudiziario vengono esercitati da
organi costituzionali indipendenti.
3. Monarchia Parlamentare
Nella Monarchia parlamentare il ruolo politico del re diviene prevalentemente formale
e il Parlamento assume un ruolo centrale, come organo eletto dai cittadini: in
particolare il Governo, che viene nominato dal re, deve essere sostenuto dalla
maggioranza del Parlamento ed è obbligato a dimettersi se viene meno questo
rapporto di fiducia.
4. Repubblica
La Repubblica è una forma di governo caratterizzata dal fatto che il potere del Capo dello Stato
(la cui carica di solito è elettiva e a termine) è un potere derivato ,impersonale e non trasmissibile.
Può assumere la forma di una repubblica parlamentare, presidenziale, semipresidenziale o
direttoriale.
5. Repubblica Parlamentare
È caratterizzata da un rapporto molto intenso fra Governo e Parlamento, chiamato
"rapporto di fiducia": per effetto di tale rapporto, i1 Parlamento, preso atto del
programma politico del Governo, garantisce ad esso il sostegno per l'approvazione
degli atti legislativi necessari alla sua realizzazione. Il Governo formula l'indirizzo
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politico del Paese e si impegna a seguirlo sotto il presidio del Parlamento, il quale, in
caso di inadempienza, potrà determinare le dimissioni dell'Esecutivo mediante
l'approvazione di una "mozione di sfiducia".
Quest'ultimo potere è conferito al Parlamento in quanto unico organo rappresentativo
della volontà popolare, poiché eletto direttamente dal popolo (a differenza del
Governo e del Presidente della Repubblica).
Tale forma di governo, è caratterizzata dalla presenza di un altro organo, il Presidente
della Repubblica chiamato anche Capo dello Stato.
Ė un organo di equilibrio volto a garantire la continuità democratica e l'osservanza
della Costituzione.
Tra i poteri di maggior rilievo, spicca quello di scioglimento anticipato delle
camere, nelle ipotesi in cui venga dallo stesso accertato il malfunzionamento delle
stesse a causa dell'impossibilità di formare una maggioranza stabile.
Oltre ai poteri di controllo, il presidente è dotato di poteri di impulso sugli altri organi
costituzionali e di rappresentanza dello Stato.
6. Repubblica Presidenziale.
In questa forma di Governo, il Capo dello Stato risulta eletto direttamente dal
popolo e riunisce in sé le funzioni tipiche del Presidente di uno Stato (rappresentanza,
garanzia costituzionale ecc.) e di capo dell'esecutivo. Inoltre, trovando diretta
investitura dalla volontà popolare, non è legato da un rapporto di fiducia con il
parlamento, il quale, non potrà mai approvare una mozione i sfiducia e determinare le
sue dimissioni. .
L'esempio più noto di forma presidenziale è senz'altro quello degli Stati Uniti
d'America, in cui il Presidente non dipende in alcun modo dal Congresso (che è il
Parlamento statunitense) ed è eletto direttamente dal popolo, nomina i ministri che
assumono il ruolo di suoi collaboratori tecnici e che lo coadiuveranno nella
predisposizione e concreta attuazione del programma politico del Paese.
7. Repubblica Semi- Presidenziale
È una forma di governo intermedia rispetto alle due esaminate in precedenza,
caratterizzata dal doppio rapporto di fiducia che lega il Governo sia al Presidente
della Repubblica che al Parlamento.
Infatti i membri del Governo sono nominati direttamente dal Presidente, ma possono
essere costretti alle dimissioni nel caso in cui il Parlamento approvi una mozione di
sfiducia. Il presidente della Repubblica, come nel sistema presidenziale, è eletto
direttamente dal Popolo.
La forma di semi-presidenzialismo più nota è quella adottata in Francia.
Il pregio che viene riscontrato in tale sistema è quello della flessibilità, potendo
verificarsi l'ipotesi in cui il Presidente sia espressione di una parte politica diversa
rispetto a quella che detiene la maggioranza in Parlamento (e che sostiene quindi il
Governo).
1. Repubblica direttoriale.
È caratterizzata dal fatto che il governo (chiamato direttori o) viene nominato dal
Parlamento ad inizio legislatura ma non può essere più revocato attraverso un voto di
sfiducia nel corso della legislatura. Il Direttorio, che assume anche la veste di Capo
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dello Stato, potrà quindi operare in piena autonomia fino alle elezioni per le nuove
Camere.
Tale forma di Governo è adottata in Svizzera.
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CAPITOLO 4
LA COSTITUZIONE ITALIANA
La costituzione è la legge fondamentale dell' ordinamento giuridico che descrive i valori e
i principi costituenti il fondamento dello Stato e la sua organizzazione politico
istituzionale. La Costituzione italiana entra in vigore il1 Gennaio 1948 grazie al dialogo
fra le forze politiche che avevano combattuto il fascismo.
Al nostra Costituzione presenta quattro caratteristiche:
-è rigida ovvero non modificabile dalla legge ordinaria ma solo ed esclusivamente da una
legge di revisione costituzionale che deve essere approvata in seguito ad un procedimento
c.d. "aggravato" che richiede delle maggioranze più ampie ed un processo decisionale più
complesso di quello normalmente stabilito per la legge ordinaria. Il procedimento
aggravato è finalizzato a garantire che la modifica dei valori fondamentali dello Stato, sia
frutto di un accordo tra forze politiche differenti e non della sola maggioranza di governo.
- è votata cioè risultato di un accordo politico fra le forze rappresentative della volontà
popolare.
In Italia, il compito di redigere di redigerla fu affidata alla Assemblea Costituente, nel
dopoguerra;
- è lunga in quanto disciplina dettagliatamente l' organizzazione istituzionale dello Stato
e i principi e valori fondamentali;
- scritta e programmatica : risulta da un documento scritto e fissa gli obiettivi e i
programmi che dovranno ispirare l'azione di governo e dello Stato in generale.
1.1 Diritti e doveri dei cittadini
Alcuni articoli dispongono ed evidenziano la garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino;
l’art.2 ad esempio sancisce che: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale». Questa norma, insieme a quella contenuta nell'art. 1 («l'Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle
forme e nei limiti della Costituzione» ) definisce l'attuale forma di Stato, e presenta una
particolare importanza a livello sistematico. Nel primo articolo si afferma anche il
principio lavorista che dice che la dignità di un uomo è data dal lavoro e non da sesso,
razza, religione, opinione politica ecc.
L'art. 3 della Costituzione, invece, enuncia i due principi di eguaglianza formale («tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali») e sostanziale («è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»).
Il principio dell’uguaglianza formale è stato molto approfondito ed ha assunto il valore di
criterio al cui controllo sono sottoposte tutte le volontà del sistema giuridico. Il
destinatario dell’art. 3 è in prima istanza il legislatore, che deve considerare eguali tutti i
cittadini. Il legislatore deve parificare le situazioni giuridiche eguali e distinguere le
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situazioni giuridiche diverse, senza mai assumere come criterio di diversificazione quelli
enunciati nell’art. 3 comma I.
1.2 I singoli diritti
In base alla loro struttura, i diritti possono essere classificati come assoluti (quando possono
essere fatti valere nei confronti di qualsiasi soggetto), relativi (quando possono essere fatti
valere nei confronti solo di soggetti particolari; nei casi in esame, principalmente lo Stato) o
funzionali (quando il loro esercizio è strumento e non già conseguimento del bene della vita).
Tra i diritti assoluti, vanno annoverati i classici diritti di libertà (libertà personale, libertà e
inviolabilità del domicilio, libertà di circolazione e soggiorno, libertà e segretezza della
corrispondenza, libertà di manifestazione del pensiero), oltre al diritto alla vita e all'integrità
psicofisica, il diritto al mantenimento della cittadinanza e della capacità giuridica, il diritto al
nome e all'immagine, i diritti matrimoniali e le potestà familiari, la proprietà, i diritti reali e
quelli successori.
Tra i diritti relativi (o diritti di prestazione), vi sono i diritti sociali, i diritti a comportamenti
omissivi e il diritto al pari trattamento.
Tra i diritti funzionali, infine, sono da ricordarsi i diritti politici, i diritti di autotutela (tra
questi, l'unico che gode di un espresso riconoscimento costituzionale è il diritto di sciopero) e
il diritto alla tutela giurisdizionale.
1.3 Garanzie dei diritti costituzionali
Si può definire garanzia ogni strumento di protezione di determinati interessi contro
l'eventualità di offese, strumento che, per ciò che riguarda i diritti fondamentali, la
Repubblica si impegna ad apprestare in virtù di quanto disposto dall'art. 2 della Costituzione.
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CAPITOLO 5
GLI ORGANI DELLO STATO
1.IL PARLAMENTO
Il Parlamento è un organo costituzionale, collegiale, complesso e rappresenta i cittadini.
È formato da 2 camere (Camera dei Deputati, con sede a Montecitorio e Senato della
Repubblica, con sede a Palazzo Madama) che hanno gli stessi poteri (sistema bicamerale
perfetto).
Le sue funzioni sono:
- legislativa;
- di indirizzo e controllo sull’attività del Governo.
1.2 Differenze tra le due camere
Le 2 camere hanno una struttura molto simile che si differenzia solo su alcuni punti:
1. Numero dei Membri (Deputati 630, Senato 315, tutti eletti dal Popolo);
2. Presenza di Membri non eletti (nel Senato vi è un numero limitato di senatori a vita,
composto da ex Presidenti della Repubblica e da cittadini con alti meriti);
3. Età per votare (elettorato attivo), Camera dei Deputati 18 anni, Senato 25 anni;
4. Età per essere votati (elettorato passivo), Camera dei Deputati 25 anni, Senato 40
anni (la legge non prevede un’età massima per essere votati);
5. Il sistema elettorale: entrambe le camere hanno un sistema maggioritario corretto
con una quota proporzionale, ma l’assegnazione dei seggi per la C. dei Deputati è su
base nazionale, mentre per il Senato è su base regionale.
1. Funzioni e difetti del bicameralismo in Italia
Le 2 camere con poteri uguali, da un lato garantiscono una maggiore riflessione ed equilibrio
dell’attività legislativa e dall’altro un reciproco controllo (anche se solo formale, perché le
camere sono spesso omogenee politicamente).
Purtroppo però questo sistema ha un meccanismo di formazione delle decisioni politiche
molto lungo e complesso.
1. Parlamento in seduta comune
Le 2 camere svolgono le loro funzioni in sedi separate.
Ci sono tuttavia delle eccezioni in cui le camere operano in seduta comune:
a. Elezione del Capo dello Stato (con l’aggiunta di rappresentanti regionali);
b. Il giuramento di fedeltà del neo Presidente della Repubblica (questo avviene subito dopo
l’elezione);
c. La messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica (per alto tradimento e attentato
alla Costituzione);
d. Elezione dei 10 membri del Consiglio Superiore della Magistratura;
e. Elezione dei 5 giudici della Corte costituzionale e la formazione (ogni 9 anni), dell’elenco
dei cittadini dal quale sono sorteggiati 16 giudici aggiunti nel caso di messa in stato d’accusa
del presidente della Repubblica;
Il Parlamento in seduta comune si riunisce a Montecitorio, è presieduto dal Presidente della
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Camera dei deputati, e la sua organizzazione è quella della Camera dei Deputati.
2.4 Organizzazione e funzionamento del Parlamento
L’organizzazione e il funzionamento del Parlamento è disciplinato nella costituzione, in base
all’articolo 64 (comma 1), ciascuna camera deve avere un proprio regolamento.
La Costituzione (art. 60 comma 1), prevede che le 2 camere rimangano in carica per 5 anni,
questo periodo è detto di legislatura.
Non è scritto nella costituzione in quali casi si sciolgano le camere, ma di solito lo si fa per
sbloccare una crisi politica (dal 1968 ad oggi tutte le legislature sono durate meno di 5 anni).
La Costituzione stabilisce un divieto di proroga per la durata delle camere, la proroga è
ammessa soltanto per legge e solo in caso di guerra (art. 60 comma 2).
La prorogatio serve per evitare un vuoto di potere e consiste nella continuazione dei poteri
delle vecchie camere fino alla prima riunione delle nuove (art. 61).
1.4 Organizzazione delle camere
Gli organi per l’organizzazione interna delle camere sono:
1. Presidente;
2. Ufficio di Presidenza;
3. Gruppi parlamentari partiti o coalizioni – centro destra – centro sinistra – gruppo misto;
sono raggruppamenti volontari ed omogenei e devono essere formati (a meno di proroga), da
20 deputati o 10 senatori, essi sono il raccordo tra i partiti politici che rappresentano e il
Parlamento;
4. Commissioni (parlamentari, bicamerali, speciali, di inchiesta);
5. Giunte (per le elezioni, per il regolamento, per le autorizzazioni);
1.5 Il Procedimento Legislativo
La formazione delle leggi ordinarie avviene seguendo un procedimento legislativo
disciplinato da leggi costituzionali (artt.71-74), è composto delle seguenti fasi:
A. Iniziativa legislativa: consiste nella presentazione ad una delle Camere di un progetto di
legge, composto da titoli, sezioni, articoli e commi; La facoltà di presentare una proposta al
parlamento è riconosciuta ai seguenti soggetti:
- Governo
- I membri delle camere (uno o più)
- 50.000 cittadini tramite firme (art.71 comma2)
- CNEL Consiglio Nazionale Economia e Lavoro, solo per materie a lui riservate
- Consigli regionali, solo per materie in cui hanno competenza legislativa.
B. esame del progetto di legge: il Presidente della Camera affida la legge all’esame della
Commissione competente per materia – valutazione preliminare e preparazione del testo da
sottoporre a discussione in Assemblea;
C. discussione ed approvazione: avviene in Aula e un rappresentante del Governo e i
deputati intervengono in merito esprimendo anche la posizione dei Gruppi parlamentari.
Superata la fase della discussione si passa alla votazione dei singoli articoli – in questa fase
possono essere presentati degli emendamenti (ogni modifica apportatati al testo originale). Si
passa quindi alla votazione dell’intero progetto di legge e quindi alla sua approvazione.
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Il progetto approvato in una Camera passa all’altra Camera e se quest’ultima apporta nuove
modifiche (emendamenti), ritorna nuovamente alla prima Camera, creando una sorta di “ping
pong” (spola o navetta), cioè il continuo e infinito andirivieni di un progetto di legge fino a
quando non viene approvato integralmente da entrambe le Camere.
D. Promulgazione: La promulgazione è la dichiarazione solenne del Presidente della
Repubblica che la legge è giuridicamente perfetta.
E. Pubblicazione: la legge è pubblicata subito nella Gazzetta ufficiale;
F. entrata in vigore: entra in vigore il 15° giorno successivo alla pubblicazione, trascorso
detto termine la legge diventa obbligatoria per tutti (vacatio legis).
2. IL GOVERNO
Il governo è costituito dalla maggioranza esposta in Parlamento, ed è un organo complesso in
quanto gli è attribuito il potere esecutivo dello Stato, secondo la tripartizione dei poteri. I vari
organi di cui dispone il Governo sono:
1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri
2. I ministri
3. Il Consiglio dei Ministri
2.1 Il presidente del Consiglio dei Ministri:
La sua posizione non è di preminenza gerarchica rispetto ai ministri, poiché la sua volontà
concorre, alla pari con quella dei ministri, a formare l’indirizzo politico del Governo, e i
ministri sono responsabili del loro operato politico esclusivamente di fronte al Parlamento. È
colui che dirige la politica generale del Governo, di cui è responsabile, e mantiene l’unitarietà
del Governo, in quanto, le sue dimissioni provocherebbero la caduta dell’intero Governo.
Innanzitutto ha il compito di formare il Governo, una volta ricevuto il suo incarico dal PDR, e
a sua volta ha il potere di scegliere lui stesso i singoli ministri.
La presidenza del consiglio ha sede a Roma, a Palazzo Chigi, nella stessa sede si svolgono le
riunioni del consiglio dei ministri.
2.2 I ministri:
I ministri sono organi posti alla direzione di una delle varie branche in cui si suddivide
l’attività amministrativa dello Stato, vale a dire di un ministero. Essi sono autonomi e
indipendenti. Il numero e la composizione dei ministri e dei ministeri, non è stabilito per
legge può variare a seconda delle situazioni che si vengono a creare in un governo.
Quindi i ministri con portafoglio vengono stabiliti per legge e vengono detti tali, in quanto
sono a capo di un ministero. Accanto a questa figura, può esisterne un’altra che è quella del
ministro senza portafoglio, il quale non ha alla sua dipendenza un ministero e hanno da
svolgere particolari funzioni dette dipartimenti.
2.3 Il Consiglio dei Ministri:
Il Consiglio dei ministri è un organo collegiale composto dal Presidente del Consiglio (che lo
convoca e lo presiede) e dai ministri. Le sue riunioni non sono pubbliche, non sono ammessi i
giornalisti, non ne vengono pubblicati i resoconti. Il Consiglio dei ministri è la sede in cui
viene definita la politica generale del Governo. Tutte le decisioni più importanti del Governo
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devono essere discusse e approvate nel Consiglio dei ministri.
2.4 La formazione del Governo:
Si procede alla formazione di un nuovo Governo quando il precedente ha rassegnato le
dimissioni, quando cioè si è aperta una crisi di governo si ha cmq la formazione di un nuovo
Governo all’inizio di ogni nuova legislatura: da ciò consegue che un Governo può restare in
carica al massimo per la durata di una legislatura.
La Costituzione affida la nomina del nuovo Governo al Presidente della Repubblica per
garantire la presenza di una figura istituzionalmente al di sopra delle parti in un momento così
delicato della vita politica del paese e ha previsto l’intervento del Parlamento in un momento
successivo, mediante il voto di fiducia.
Appena il Presidente del Consiglio uscente comunica le sue dimissioni al Presidente Della
Repubblica (aprendo formalmente la crisi di governo), quest’ultimo da inizio alle
consultazioni. Riceve cioè quelle personalità politiche (in pratica i leaders di tutti i partiti
presenti in Parlamento) che possono offrirgli indicazioni sulla soluzione della crisi.
Terminate le consultazione egli sceglie un esponente politico a cui affida l’incarico di
formare il governo.
Crisi di Governo:
La crisi di Governo sopraggiunge quando viene a mancare la fiducia del Parlamento nel
Governo in carica. Poiché il Governo deve mantenere il gradimento delle due Camere, se
alcuno dei componenti di queste due ultime o qualche gruppo parlamentare ritiene che il
Governo non sia più degno della fiducia, una delle due Camere può approvare una mozione di
sfiducia, obbligando con ciò il Governo a dimettersi
2.6 Le funzioni del Governo
- La funzione di indirizzo politico:
Spetta al Governo stabilire i fini, gli obiettivi e gli strumenti della politica dello Stato. Esso li
definisce una prima volta in via generale, presentando il proprio programma al Parlamento e
poi concretamente, di volta in volta, nell’azione del Governo.
4. La funzione amministrativa:
Il Governo sia nel suo insieme sia nelle persone dei singoli ministri per i ministeri di loro
competenza, è posto al vertice della pubblica amministrazione. Poiché l’amministrazione
pubblica è organizzata in modo gerarchico, il governo può impartire ordini ai suoi sottoposti.
Nell’ambito di tale funzione il governo può emanare norme giuridiche secondarie sotto forma
di regolamenti.
Il limite generale che il governo incontra nell’ambito di questa funzione è costituito dalla
necessità di rispettare la legge.
5. La funzione legislativa:
Nonostante la funzione legislativa spetti al parlamento, il governo, nei casi dettati dalla
Costituzione, può emanare norme aventi forza di legge, capaci quindi di abrogare le leggi
preesistenti. I provvedimenti in questione prendono il nome di decreti legge e di decreti
legislativi.
I decreti legge:
Sono atti aventi forza di legge ed emanati in caso di straordinaria necessità e di urgenza,
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poiché il normale procedimento legislativo richiede troppo tempo. Questi
provvedimenti entrano immediatamente in vigore però devono essere approvati dal
parlamento e quindi convertiti in legge entro 60 gg, altrimenti decadono.
Il decreto legge viene deliberato dal consiglio dei ministri e viene emanato dal PDR, e
successivamente viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, entrando in vigore il giorno
stesso della pubblicazione.
I decreti legislativi:
Anche essi sono provvedimenti del governo aventi forza di legge. Il Parlamento delega
il governo affinché emani una legge che contenga una disciplina particolarmente
complessa sul piano tecnico o molto dettagliata, dal momento che il governo è l’organo
tecniche che ha competenze specifiche.
Il parlamento conferisce la delega al governo mediante una legge chiamata legge di
delegazione o legge delega.
La Costituzione ha voluto evitare il pericolo che il parlamento, conferendo al governo
una delega troppo ampia o senza precisi limiti, possa finire per spogliarsi del poter
legislativo. Ha perciò stabilito che la delega deve indicare obbligatoriamente:
- L’oggetto della delega in modo preciso e delimitato
- I principi e i criteri direttivi a cui il governo deve attenersi
- Il termine entro cui il governo deve emanare il decreto legislativo.
Il decreto legislativo viene emanato dal Presidente Della Repubblica e pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale; entra in vigore, come le leggi, il 15° giorno successivamente alla
pubblicazione.
Essi possono quindi abrogare leggi preesistenti e sono vincolati per tutti i cittadini.
3. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
È un organo costituzionale monocratico, dura in carica sette anni (settenario) ed è
rieleggibile, viene eletto dal Parlamento in seduta comune e a scrutinio segreto a cui vi
partecipano anche tre rappresentanti per ogni regione, meno la Valle D’Aosta che vi è
presente, per la sua piccola dimensione, con un solo rappresentante. La carica dura più anni
della legislatura sia per evitare che la scadenza sia in comune e sia perché il Presidente della
Repubblica, poiché si troverebbe nel semestre bianco, periodo nel quale non potrebbe
sciogliere le camere (Tranne che nelle eccezioni previste dall’art. 88)
Il P.d.R. pur non essendo a capo del Parlamento, del Governo e della Magistratura, ha
comunque a che fare con la funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria (interferenze
sull’attività degli organi costituzionali).
È posto al vertice dell’organizzazione costituzionale.
Il capo dello stato è pertanto il garante della costituzione e come tale è chiamato a svolgere 2
compiti:
- il controllo contro gli abusi compiuti dagli altri organi
- l’attivazione contro la loro inerzia.
Il presidente della repubblica è il capo dello stato perché impersona il popolo italiano
considerato come unità. Egli perciò è un simbolo, il simbolo dell’unità.
3.1 La politicità delle funzioni Presidenziali
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La funzione del presidente della repubblica non è politica. Egli infatti non deve infatti
parteggiare per nessuno ma deve restare imparziale (super partes).
3.2 Elezione, Durata in carica, Supplenza
Il presidente della repubblica è eletto dal parlamento in seduta comune. Qualsiasi uomo o
donna può essere eletto purchè abbia compiuto 50 anni d’età e goda di diritti civili e politici.
Esso è eletto dal parlamento. I membri del parlamento in seduta comune possono votare
chiunque.
Le votazioni avvengono a scrutinio segreto ed è richiesta una speciale maggioranza (2/3
dell’assemblea nelle prime votazioni e la meta più uno dell’assemblea nelle votazioni
successive).
Prima di assumere le sue funzioni, il presidente neo-eletto presta giuramento di fedeltà alla
repubblica.
Dura in carica 7 anni ed è rieleggibile. Il presidente alla scadenza del suo mandato, entra di
diritto a fare parte del senato come senatore a vita.
I poteri del presidente della repubblica sono numerosi ed eterogenei.
I primi poteri che analizziamo sono I poteri di garanzia del buon funzionamento delle
istituzioni costituzionali che operano in varie direzioni.
Nei riguardi delle camere, il presidente può:
- scioglierne una o entrambe
- indire nuove elezioni e fissare la prima riunione delle nuove camere
- inviare messaggi
-promulgare o rinviare la legge alle camere.
Nei riguardi del governo:
- nomina il presidente del consiglio e i ministri
- autorizza la presentazione dei disegni di legge
- nomina gli alti funzionari dello stato
- presiede il consiglio supremo di difesa
- comanda le forze armate
Con riguardo all’amministrazione della giustizia:
- concede la grazia e commuta le pene
- presiede il CSM (Consiglio Supremo della Magistratura)
- nomina 5 giudici della corte costituzionale
Nei confronti del corpo elettorale al presidente spetta indire le elezioni e il referendum nei
casi previsti dalla costituzione.
3.3 I poteri di Rappresentanza Nazionale
Il presidente dispone di poteri onorifici consistenti nel:
- conferire le onorificenze della repubblica
- nominare i 5 senatori a vita
Il presidente inoltre rappresenta lo stato nei rapporti con gli altri stati.
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In questa veste egli:
- accredita e riceve gli ambasciatori degli altri stati
- ratifica i trattati internazionali
- dichiara lo stato si guerra deliberato dalle camere
3.4 I decreti del Presidente della Repubblica e la controfirma dei Ministri
Gli atti del presidente della repubblica sono tutti decreti i quali vengono indicati con la sigla
DPR.
La forma di questi atti è sempre la stessa, quali che ne siano i contenuti.
I decreti sono firmati dal presidente della repubblica. A tale firma pero si deve aggiungere la
controfirma di un ministro.
La controfirma ministeriale è una conseguenza della irresponsabilità del capo dello stato.
La controfirma è quindi uno strumento che serve a trasferire le responsabilità degli atti del
presidente ai membri del governo.
Il ministro che controfirma collabora col presidente della repubblica. Esso non deve
interferire con la libertà del governo e il governo non deve interferire con i compiti propri del
presidente.
Per questo la controfirma assume due significati diversi:
a) per gli atti sostanzialmente presidenziali: indica che i
ministri non hanno motivi per opporsi alla decisione presidenziale
b) per gli atti sostanzialmente governativi: indica che la decisione spetta al governo.
4. LA CORTE COSTITUUZIONALE
È un organo importantissimo nell’organizzazione dello stato italiano. Dura in carica nove
anni, risiede a Roma nel Palazzo “La Consulta” ed è composto da quindici giudici: nominati
per 1/3 dal P.d.R.; per 1/3 dal Parlamento in seduta comune e per il restante 1/3 dai
Magistrati. I quindici giudici eleggono il loro Presidente che dura in carica tre anni e non è
rieleggibile.
Esso tende ad evitare che le leggi del Parlamento ordinali e le leggi emanate dal Governo
siano in contrasto con la Costituzione Repubblicana.
4.1 Giudizio di legittimità costituzionale
È chiamata a decidere se una legge o parte di essa sia conforme o meno alla Costituzione.
a)Ricorso incidentale
I cittadini possono presentare ricorso, ma tramite un giudice che nel momento in cui applica
una legge per risolvere una controversia si accorge che in contrasto con la Costituzione.
Se la Corte Costituzionale rifiuta il ricorso significa che esso è infondato; se invece la Corte
lo accetta la legge viene abrogata per effetto della “sentenza della Corte Costituzionale”.
b)Ricorso diretto
Può essere fatto direttamente alla Corte Costituzionale da parte dello Stato nei confronti delle
regioni o da parte delle regioni in confronto dello Stato.
4.2 Giudizio sui conflitti d’attribuzione dei poteri dello Stato
L’esempio più banale viene rappresentato dal decreto legislativo; poiché esso viene emanato
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dal Governo in base a modi e tempi chiesti dal Parlamento, se il Governo non si attiene ad
essi vuol dire che esso si è attribuito un potere che non aspettava a lui ma al Parlamento.
a)Conflitto positivo
Quando più Organi dello Stato si ritengono competenti in una data materia.
b)Conflitto negativo
Quando più Organi dello Stato si ritengono incompetenti in un data materia.
4.3 Giudizio sull’ammissibilità di un referendum abrogativo
Si deve esprimere su un Referendum abrogativo prima che esso venga votato in base al
contenuto che esso porta. Esprime un parere negativo quando nota che attraverso esso si
verranno a modificare, se viene accettato dal popolo, leggi Tributarie, sul Bilancio o sulle
Relazioni Internazionali.
4.4 Funzione giurisdizionale
Deve giudicare la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica. In questo caso la
Corte Costituzionale è composta dai quindici giudici più altri sedici giudici popolari.
5. I GIUDICI E LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
La Magistratura esercita il Potere Giudiziario, che consiste nell’amministrare la giustizia, cioè
a risolvere controversie che possono esservi tra civili (giurisdizione civile), tra un privato e la
Pubblica Amministrazione (giurisdizione amministrativa) e a reprimere determinati fatti
criminosi (giurisdizione penale).
I Magistrati risolvono delle controversie in base alle leggi che regolano quella determinata
materia. Sono stati istituiti i Magistrati sia per evitare che un soggetto possa ricorrere nell’uso
della forza per risolvere la propria controversia che turberebbe la quiete e sia perché i giudici
sono soggetti solo alla legge (cioè risolvere una controversia vi ci si devono attenere).
Perciò, il diritto di ricevere giustizia è un diritto costituzionalmente garantito (art. 25
Costituzione Italiana). In esso abbiamo anche il Principio di riserva di legge, che dice che i
giudici devono essere istituiti prima che un soggetto si rechi da lui, per far in modo che non ci
siano giudici speciali attinenti a risolvere controversie più importanti.
È un potere a se stante, in modo che i Magistrati siano sempre imparziali e non devono
dipendere così né dal Parlamento, né dal Governo. Perché se dipendessero da essi, potrebbero
giudicare in modo non imparziale i reati commessi o dai parlamentari o dai componenti del
Governo.
Le promozioni, i trasferimenti, i licenziamenti, ecc. dei Magistrati vengono deliberati dal
CSM (Consiglio Superiore della magistratura) il cui presidente è il Presidente della
Repubblica.
Oltre alle leggi che i giudici devono usare per risolvere controversie, ci sono delle leggi di
procedura alle quali i giudici si devono attenere nei processi.
In relazione alla norma violata abbiamo la:
Giurisdizione Civile, magistrati civili, sono competenti a risolvere controversie fondate sui
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diritti civili;
Giurisdizione Penale, magistrati penali, sono competenti a risolvere controversie fondate sui
diritti penali;
Giurisdizione Amministrativa, magistrati amministrativi, sono competenti a risolvere
controversie in base ai diritti amministrativi.
5.1 Giudici Civili:
A) Giudice di pace;
B) Tribunale in composizione monocratica;
C) Tribunale collegiale
5.2 Giudici Penali
A)Giudice di pace penale
B)Tribunale in composizione monocratica: per i reati minori;
C)Corte d’Assise : per i reati gravi c.d. “di sangue” di particolare allarme sociale;
D)Tribunale collegiale: per decidere sui reati che non spettano né al Giudice di pace, né al
Tribunale in composizione monocratica e né alla Corte di Assise.
5.3 Giudici Amministrativi
A) In primo grado il TAR (ha sede nei capoluoghi di regione);
B)in secondo grado il Consiglio di Stato (ha sede a Roma).
Se viene calpestato il diritto soggettivo, si deve ricorrere alla giurisdizione civile; se invece
viene calpestato il diritto legittimo si deve fare ricorso alla giurisdizione amministrativa in
modo che (es.) il consiglio di classe deve eseguire tutte le regole che sono state emanate dallo
Stato in quella materia.
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CAPITOLO 6
L'UNIONE EUROPEA
L'Unione Europea (UE) è un'organizzazione di tipo sovranazionale e intergovernativo, che dal
1^ gennaio 2013 comprende 28 paesi membri (l’ultima ad entrare è stata la Croazia)
indipendenti e democratici. La sua istituzione sotto il nome attuale risale al Trattato di
Maastricht del 7 febbraio 1992 (entrato in vigore il 10 novembre 1993), al quale tuttavia gli
stati aderenti sono giunti dopo il lungo cammino delle Comunità europee precedentemente
esistenti.
L'Unione consiste attualmente di una zona di libero mercato caratterizzata da una moneta
unica, l'euro, regolamentata dalla Banca centrale europea e attualmente adottata da 15 dei 27
stati membri; essa presenta inoltre un’unione doganale fra i paesi aderenti agli accordi di
Schengen, che garantiscono ai suoi cittadini libertà di movimento, lavoro e investimento
all'interno degli stati membri. L'Unione presenta, inoltre, una politica agricola comune, una
politica commerciale comune e una politica comune estera e di sicurezza (PESC).
L'Unione europea non è una semplice organizzazione intergovernativa (come le Nazioni Unite)
né una federazione di Stati (come gli Stati Uniti d'America), ma un organismo sui generis, alle
cui istituzioni gli stati membri delegano parte della propria sovranità nazionale.
Le sue competenze spaziano dagli affari esteri alla difesa, alle politiche economiche,
all'agricoltura, al commercio e alla protezione ambientale. In alcuni di questi campi le funzioni
dell'Unione europea la rendono simile a una federazione di stati (per esempio, per quanto
riguarda gli affari monetari o le politiche ambientali); in altri settori, invece, l'Unione è più
vicina a una confederazione (per esempio, per quanto riguarda gli affari interni) o a
un'organizzazione internazionale (come per la politica estera).
Gli organi principali dell'Unione comprendono il Consiglio dei Ministri, la Commissione, la
Corte di Giustizia, il Parlamento, il Consiglio Europeo e la Banca centrale europea.
L'istituzione dell'Europa parlamentare risale al 1950 e dal 1979 i suoi membri sono
democraticamente eletti, in tutti i territori dell'Unione, a suffragio universale, per una durata in
carica di cinque anni.
Da semplice organizzazione internazionale l'Unione europea, nel corso degli anni, ha
gradualmente acquisito numerose prerogative tipiche di una federazione, con il progressivo
trasferimento di poteri e di sovranità dagli Stati membri agli organismi comunitari. Malgrado
ciò, essa si fonda tuttora su trattati internazionali recepiti a livello interno da tutti gli Stati
membri e non costituisce un'entità politica unitaria.
Il problema della definizione dell'attuale status giuridico dell'Unione è sfociato, il 29 ottobre
2004, nella firma, a Roma, del Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa,
comunemente noto come Costituzione europea. Tale testo ribadisce la possibilità di una
cooperazione rafforzata per la promozione di. iniziative di integrazione tra gruppi di paesi, già
prevista nel trattato di Amsterdam e in quello di Nizza.
Si è così svolto, dopo varie vicissitudini, sotto la presidenza tedesca dell'Unione il vertice di
Bruxelles tra il 21 e il 23 giugno 2007 nel quale si è arrivati a un accordo sul nuovo Trattato di
riforma. L'accordo recepisce gran parte delle innovazioni contenute nella Costituzione, anche
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se con alcune modifiche per togliere il carattere costituzionale al testo e meccanismi per alcuni
paesi di "chiamarsi fuori" da politiche comuni.
Un esempio di organizzazione internazionale: l'Organizzazione delle Nazioni Unite: ONU
L'Organizzazione è nata da una conferenza di 50 paesi tenuta il 25 aprile del 1945 per
cooperare per una vita migliore in tutto il mondo e per la pace, dopo la catastrofe della
seconda guerra mondiale; oggi è la più estesa organizzazione internazionale, composta da quasi
tutti gli stati del mondo. Il 3 luglio 2006 gli stati membri, da 170, diventano 192. La principale
funzionalità dell'ONU è di favorire e sostenere la pace nel mondo, e di assistere nella
risoluzione dei principali problemi politici, economici, umanitari ed ambientali mondiali.
Lo statuto delle Nazioni Unite istituisce gli organi principali indispensabili per il
funzionamento e il governo dell'organizzazione; accanto a questi esistono una serie di agenzie,
fondi, commissioni e programmi che fanno parte del Sistema ONU:
1. L'Assemblea generale
2. Il Consiglio di sicurezza
3. Il Segretariato delle Nazioni Unite è uno degli organi principali dell'ONU.
4. La Corte Internazionale di Giustizia
5. il Consiglio Economico e Sociale.
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SECONDO ANNO
CAPITOLO 7
INTRODUZIONE ALLA SCIENZA ECONOMICA
Anche chi non ha mai aperto un libro di economia ha già un’idea più o meno precisa degli
argomenti che rientrano nel suo campo.
I mass media ed i giornali ci offrono informazioni su temi eco- giuridici, come l’inflazione
(l’aumento dei prezzi), la disoccupazione (che colpisce ormai una grande fetta della
popolazione), la crisi economica (che comporta un gran numero di licenziamenti) e gli scioperi.
I problemi economici sono quindi al centro della società, interessano tutti.. dal più giovane al
più anziano, dallo studente alla madre di famiglia.
Per tutta la vita avremo un conto aperto con questa disciplina, più la conosciamo, più siamo in
grado di affrontare il futuro con razionalità e capacità di gestione del denaro.
L’economia politica è la scienza che ha per oggetto lo studio delle attività umane finalizzate a
conseguire il benessere materiale. Ha il fine di aiutarci a comprendere meglio la realtà in cui
viviamo e mira a fornirci gli strumenti per comprendere e governare determinati fenomeni,
evitando che gli avvenimenti sfuggano alla nostra volontà. Essa non si limita, quindi,
semplicemente a descrivere la realtà economica, ma ci aiuta a coglierne gli aspetti fondamentali e
riesce a farci comprendere che l’attività economica dei singoli, indipendentemente dalla loro
volontà, influenza concretamente la collettività.
L’attività economica è qualunque atto rivolto alla soddisfazione dei bisogni per mezzo di beni e
servizi rispondenti allo scopo.
La scienza economica è la disciplina che studia le azioni che l’uomo compie per soddisfare i suoi
bisogni, avendo a disposizione risorse limitate.
1. I BISOGNI, I BENI E I SERVIZI
Il bisogno è lo stato di necessità, di insoddisfazione, che spinge il soggetto a procacciarsi un bene
idoneo a far cessare la sensazione di disagio.
I bisogni sono soggettivi, non tutti hanno le stesse necessità nel medesimo momento e con uguale
intensità, per cui, secondo l’importanza più o meno rilevante che hanno per l’esigenza
dell’individuo, assumono una denominazione diversa.
Si distinguono:
2. bisogni di prima necessità (es. mangiare, bere, vestirsi) che sono in numero limitato e
devono essere soddisfatti perché sono alla base dell’esistenza;
3. bisogni di conforto (es. avere l’automobile, indossare un abito di qualità, leggere un libro)
che sono in numero meno limitato rispetto ai bisogni di prima necessità e aumentano con il
miglioramento del tenore di vita;
4. bisogni di lusso (es. bere un vino pregiato, indossare una pelliccia, acquistare un gioiello)
sono in numero illimitato, ma nel caso in cui rimangono insoddisfatti non si crea una
privazione incolmabile;
5. bisogni individuali che sono avvertiti dall’uomo come singolo;
6. bisogni collettivi (difesa, giustizia, ordine pubblico) che sono avvertiti dall’individuo in
quanto membro di una società.
I bisogni vengono soddisfatti per mezzo delle risorse, sia quelle disponibili in natura in quantità
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illimitata (aria, acqua, luce solare), sia quelle prodotte dall’attività umana, sotto forma di beni
(pane, libri, automobili) o di servizi (trasporti, prestazioni mediche e legali) disponibili in quantità
limitata.
Soltanto le risorse limitate sono considerate beni economici, mentre i cosiddetti beni liberi (aria,
acqua) appaiono illimitati e gratuiti e non se ne avverte il bisogno perché non è richiesto alcun
sacrificio per procurarseli.
Quanto ai beni comunemente definiti economici, la limitatezza, l’utilità e la reperibilità sono i
caratteri che li distinguono; infatti un bene economico è disponibile in quantità limitata, è
reperibile ed è idoneo a soddisfare un bisogno.
Secondo l’uso per il quale sono impiegati, i beni si possono distinguere in diversi tipi:
7. beni diretti o di consumo (es. pane, vestito) utilizzati per soddisfare direttamente un
bisogno;
8. beni indiretti o strumentali (es. macchine utensili, materie prime) impiegati per produrre altri
beni;
9. beni durevoli (es. libro, televisore) che possono essere usati più volte prima di esaurirsi;
10. beni non durevoli o immediati (es. benzina, biglietto del treno) che cessano di esistere in
seguito ad un solo atto di utilizzazione;
11. beni concorrenti o succedanei (es. olio e burro, caffé e orzo) che possono essere impiegati
indifferentemente per conseguire lo stesso fine;
12. beni complementari (es. benzina e auto, caffé e zucchero) che possono o devono essere usati
contemporaneamente per soddisfare meglio un bisogno.
I bisogni non vengono soddisfatti solo per mezzo dei beni, ma anche attraverso i servizi,
consistenti nelle prestazioni che l’uomo offre ai suoi simili.
I servizi sono prestazioni offerte dai singoli o da imprese, pubbliche o private, e consumati
generalmente nel momento in cui sono prodotti.
Il complesso dei beni e dei servizi costituisce la ricchezza. La ricchezza può essere individuale o
collettiva e può essere intesa come patrimonio o come reddito.
Il patrimonio è il complesso dei beni appartenenti a un individuo o a una collettività in un dato
istante;
Il reddito può essere monetario e reale.
13. Il reddito monetario è il complesso delle entrate di cui un soggetto dispone in un determinato
periodo di tempo;
14. il reddito reale è il complesso di beni e servizi che un soggetto può acquistare con il reddito
monetario.
L’uomo ogni volta che produce beni e servizi svolge un’attività economica.
Lo sviluppo delle attività economiche è avvenuto gradualmente nel tempo e l’affermarsi di
un’attività non ha portato alla scomparsa delle precedenti.
I settori economici hanno continuato a convivere e a essere tra loro interdipendenti.
Si dividono le attività produttive in tre settori:
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1. primario (agricoltura, allevamento, attività estrattive);
2. secondario (industria);
3. terziario (servizi)
In seguito all’attività economica svolta, l’individuo destina il reddito ricevuto, in parte al consumo
di beni e servizi per soddisfare i bisogni presenti e in parte al risparmio per provvedere a bisogni
futuri.
Il consumo consiste nell’acquisto di beni e servizi per ottenere la soddisfazione di un bisogno.
Il risparmio è la parte di redito non consumata.
L’investimento consiste nell’acquisto di beni economici per impiegarli in un processo produttivo.
2. IL SISTEMA ECONOMICO E I SUOI PROBLEMI
Il sistema economico è l’insieme dei soggetti economici e delle relazioni che intercorrono fra
questi per risolvere i problemi della produzione e della distribuzione della ricchezza.
I soggetti del sistema economico sono: le famiglie, le imprese, lo stato, il resto del mondo.
1. La famiglia è l’operatore economico che offre le proprie risorse (lavoro, capitali, terreni, ecc.)
in cambio di un reddito che destina in parte ai consumi e in parte ai risparmi.
2. L’impresa è l’operatore economico, inteso come centro di produzione, che domanda lavoro e
capitali per offrire beni e servizi.
3. Lo stato è un soggetto economico particolare, che garantisce operatività al sistema
economico e persegue fini sociali offrendo servizi pubblici.
4. Il resto del mondo è dato dai paesi esteri con i quali le famiglie, le imprese e lo stato
intrattengono rapporti di scambio di beni, servizi e capitali.
I soggetti che operano nel sistema economico intrecciano tra loro relazioni di scambio e mirano a
impiegare nel modo migliore le risorse disponibili.
Molti sono i fattori che influenzano il sistema economico: i principi giuridici, il progresso
tecnico, la consistenza della popolazione attiva, la tendenza delle famiglie a destinare il proprio
reddito più al consumo che al risparmio, i gusti, la moda.
Ma è la disponibilità delle risorse che conferisce ad ognuno identità e struttura proprie.
Tutti questi vincoli incidono in maniera determinante sulle decisioni che i soggetti economici
sono tenuti a prendere e sulle scelte che devono fare per risolvere i problemi economici.
I problemi fondamentali di un sistema economico sono quelli della produzione e della
distribuzione; per questo è indispensabile che ogni sistema risponda ai seguenti quesiti: che cosa
produrre, come produrre, per chi produrre.
La quantità dei beni prodotti dipende dalle risorse naturali, dalle forze di lavoro disponibili, dagli
impianti esistenti e anche dall’importanza attribuita ai diversi bisogni.
La produzione può essere realizzata in vari modi: in grandi fabbriche automatizzate o presso
piccole imprese, impiegando più forza lavoro o maggiori quantità di capitali, producendo energia
elettrica per mezzo di centrali termiche o nucleari, ecc.
La soluzione del terzo problema consiste nel determinare a quali soggetti e in quale proporzione
distribuire i beni prodotti. Infatti, mentre i primi due quesiti riguardano la sfera della produzione,
quest’ultimo è inerente alla sfera della distribuzione.
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Una volta che si è prodotto un certo numero di beni, è necessario stabilire come questa ricchezza
debba essere distribuita tra i membri della collettività.
Dopo aver ricostituito i mezzi di produzione impiegati, il prodotto complessivo viene ripartito tra
coloro che hanno partecipato alla produzione, sotto forma di redditi.
3.DISTRIBUZIONE DEL REDDITO
Nei sistemi ad economia di mercato, tra cui l’Italia, lo stato concorre, con un adeguato programma
di politica economica, a realizzare una distribuzione più equa della ricchezza.
Nei sistemi economici collettivisti o socialisti, la distribuzione del prodotto sociale era stabilita
dallo stato per mezzo di un piano economico dove venivano fissati i prezzi dei beni e il compenso
dei mezzi di produzione (salari, interessi, ecc.), determinando a priori le scelte.
Per risolvere i problemi di produzione e distribuzione, i soggetti economici danno vita ad un
insieme di relazioni.
Se consideriamo solo due soggetti come le famiglie e le imprese, tra loro si creano due tipi di
flussi o circuiti: circuito reale e circuito monetario.
Nel circuito reale circolano beni e servizi, si origina un flusso di risorse, consistenti in prestazioni
lavorative, beni naturali dalle famiglie alle imprese, e un flusso di servizi e di beni di consumo
(vestiario, alimenti, auto, ecc.) dalle imprese alle famiglie.
Nel circuito monetario le imprese, in cambio delle risorse ricevute, offrono alle famiglie dei
compensi (salari, profitti, rendite, interessi), dando origine a un flusso di reddito monetario. Le
famiglie, come controprestazione dei beni di consumo acquistati, danno alle imprese un
corrispettivo (prezzo), originando un flusso di spesa.
In tal modo si realizza la circolazione della ricchezza tra i soggetti economici, si origina cioè un
movimento di moneta che viene denominato anche circuito reddito-spesa.
Introduciamo adesso l’operatore “stato” e analizziamo i suoi rapporti con le imprese e le famiglie.
Dal punto di vista reale, lo stato offre beni (ad es. strade, ferrovie, ecc.) e servizi pubblici (ad es.
giustizia, ordine pubblico, pubblica istruzione, ecc.) alle famiglie e alle imprese e, per fare questo,
riceve risorse dalle famiglie (ad es. le prestazioni lavorative dei magistrati) e beni e servizi dalle
imprese (es. aule scolastiche, banchi, assistenza per i computer).
Lo stato, per offrire i beni e i servizi pubblici, preleva alle famiglie e alle imprese i tributi, con i
quali paga i beni, i servizi e le risorse che riceve dalle imprese e dalle famiglie.
Introduciamo infine l’ultimo operatore: il resto del mondo.
Le famiglie, le imprese, lo stato e il resto del mondo hanno rapporti di scambio che si realizzano
sui mercati, dove si formano i prezzi dei beni dei servizi.
Si individuano tre mercati principali:
5. il mercato del lavoro, dove i lavoratori offrono servizi lavorativi alle imprese, in
cambio della retribuzione (prezzo del lavoro);
6. il mercato dei beni, dove le imprese offrono beni e servizi alle famiglie, in cambio di
moneta (prezzo dei beni e dei servizi);
7. il mercato della moneta, dove le imprese domandano moneta per alimentare la propria
attività e le famiglie offrono la parte di reddito risparmiato.
Il mercato della moneta, in pratica trova attuazione nelle banche che raccolgono il risparmio dalle
famiglie e concedono prestiti alle imprese, svolgendo una funzione di intermediazione tra l’offerta
e la domanda di denaro.
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Il prezzo della moneta (tasso di interesse) è una remunerazione per chi presta denaro (famiglie) e
un costo per chi lo chiede in prestito (imprese).
I sistemi economici possono trovarsi in stato reintegrativo o in condizioni di sovrappiù.
Un sistema economico reintegrativo assicura il minimo vitale ai propri consociati ed è in grado di
ricostituire i mezzi di produzione, ma non assicura lo sviluppo.
Un sistema economico con sovrappiù è un sistema in sviluppo, determinato da un’eccedenza di
beni e servizi rispetto a quelli necessari per garantire l’esistenza del sistema stesso.
Presso le società antiche la produzione era finalizzata all’autoconsumo e in genere era compito
esclusivo degli schiavi, i quali però non partecipavano alla distribuzione del sovrappiù perché
erano considerati un bene del padrone come qualunque altro mezzo di produzione.
Il sovrappiù veniva utilizzato esclusivamente dai signori che lo destinavano all’uso che ritenevano
più idoneo (banchetti, acquisti di gioielli, costruzioni di dimore lussuose e di tombe faraoniche).
Agli schiavi veniva assicurato l’indispensabile per sopravvivere e riprodursi in modo da essere
sostituiti, al momento opportuno, dalla prole.
I sistemi economici dell’età moderna, pur nella loro diversità, hanno un fondamento comune: la
socialità della produzione, cioè l’attività produttiva viene svolta per la collettività.
Tuttavia, si caratterizzano per il modo diverso di utilizzare e distribuire il sovrappiù, con la
contrapposizione tra le famiglie e le imprese (maggiori salari o maggiori profitti), tra lo stato e le
imprese (maggiori investimenti pubblici o privati), tra le famiglie e lo stato (maggiori consumi
privati o pubblici).
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CAPITOLO 8
L’OPERATORE ECONOMICO
L'attività dello Stato all'interno di un sistema economico è essenzialmente diretta a garantire
alla collettività tutta una serie di servizi di pubblico interesse (difesa, ordine pubblico, giustizia,
istruzione, ecc.) che il mercato (le imprese) non può offrire.
Tali servizi vengono finanziati attraverso prelievi coattivi di ricchezza sui redditi dei cittadini e
delle imprese (imposte, tasse, contributi obbligatori previdenziali ed assistenziali) nonché con
strumenti di politica economica.
La politica economica è la disciplina che studia gli effetti dell'intervento dei poteri pubblici
(ovvero dello Stato) sull'economia e dunque sui soggetti privati (imprese, famiglie) allo scopo di
elaborare interventi destinati a modificare l'andamento del sistema economico per condurlo verso
obiettivi prestabiliti.
Poiché l'economia risulta in continuo mutamento, sotto la spinta di interessi economici e pulsioni
umane, lo scopo della politica economica è di modificare l'andamento spontaneo dell'economia, dopo
averlo opportunamente studiato.
Il ruolo dello Stato nell'economia è stato argomento che da sempre, storicamente, ha suscitato
notevoli discussioni. Proprio sulla base del diverso ruolo dell'operatore pubblico nell'attività
economica si suole distinguere tra tre diversi modelli di sistemi economici:
8. sistema capitalistico (o ad economia dì mercato);
9. sistema collettivistico (o ad economia pianificata);
10. sistema misto (o ad economia mista).
1.Il sistema capitalistico
Il primo tipo di sistema economico moderno, detto anche "capitalistico puro" o di mercato, si
sviluppò nei Paesi europei e negli Stati Uniti nel quadro della Rivoluzione industriale e si affermò per
tutto l'Ottocento e fino ai primi decenni del Novecento. Alla base di questo sistema vi è la piena
libertà nei commerci e nell'industria per tutti i soggetti economici privati.
Eccone le caratteristiche principali:
1. i mezzi di produzione sono di proprietà dei privati che li possono usare senza dover temere
controlli da parte dello Stato;
2. nel mercato deve essere garantita la libera concorrenza;
3. i prezzi dei prodotti sono determinati dalla domanda e dall'offerta espressa delle imprese e
dalle famiglie;
4. compito dello Stato è dì garantire il rispetto delle leggi e la difesa; non deve invece occuparsi
delle questioni economiche, che sono lasciate ai privati;
5. il lavoro viene considerato una mercé come le altre, il cui prezzo si chiama salario ed è
deciso sul mercato della domanda e dell'offerta.
Ma il lavoro, a differenza degli altri fattori produttivi, non è separabile da chi lo presta (vale
a dire dal lavoratore). È dal suo prezzo che deriva la qualità della vita del lavoratore e della
famiglia che spesso dipende da lui: è qui la radice del conflitto tra lavoratori e imprenditori che
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si sviluppò a partire dall'Ottocento.
Da questo conflitto derivò in alcuni Stati del mondo occidentale l'evoluzione di questo
sistema in quello a economia mista. Nell'Europa orientale, invece, si instaurò un sistema
economico completamente diverso, quello a economia collettivista, che andò a sostituire
un'economia ancora di tipo feudale.
2.Il sistema collettivista
Il primo sistema collettivista (o a economia pianificata) è stato realizzato nella ex Unione
Sovietica, in conseguenza della rivoluzione avvenuta nel 1917 grazie alla quale la Russia si
trasformò in uno Stato socialista.
Le caratteristiche più importanti di questo sistema sono le seguenti:
1. viene abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, con la conseguenza che i privati
(famiglie e imprenditori) non possono sviluppare nessun tipo di iniziativa economica;
2. i mezzi di produzione appartengono solo allo Stato, che perciò deve organizzare tutta
l'attività di produzione, consumo e distribuzione;
3. per realizzare questo complesso risultato viene predisposto un piano economico da
sviluppare in più anni in cui ogni decisione viene presa da un organismo apposito (nella
ex Unione Sovietica si chiamava Comitato per la pianificazione).
La pianificazione centralizzata ha parecchi limiti; eccone alcuni:
1. è difficile prevedere esattamente i livelli di produzione che otterranno i vari settori
produttivi;
2. i beni prodotti possono non corrispondere ai bisogni dei consumatori;
3. poiché tutti lavorano per lo Stato e non per sé, gli individui sono poco incentivati
a raggiungere risultati migliori.
Quasi tutti i sistemi collettivisti si sono dimostrati di diffìcilissima gestione: l'inefficienza e
l'improduttività hanno generato sempre maggiore malcontento fra i cittadini e hanno
contribuito a porre fine a questa esperienza in quasi tutti i Paesi europei verso la fine degli anni
Ottanta.
3.Nascita e successo del sistema ad economia mista
Alla fine del 1929 si scatenò la cosiddetta Grande depressione. Le conseguenze sociali furono
drammatiche: il numero dei disoccupati crebbe senza limiti in quelle che erano le economie più
ricche del mondo; le famiglie, private del loro reddito, ridussero al minimo i consumi. Di
conseguenza, le imprese trovarono sempre più difficoltà a vendere i loro prodotti e
licenziarono altri lavoratori in una spirale di effetti negativi che sembrava non avere fine.
Fino ai primi decenni del Novecento, le concezioni di coloro che sostenevano che il sistema
economico liberista avesse al suo interno un meccanismo che automaticamente avrebbe portato
ai migliori risultati economici possibili, dominavano incontrastate. Di fronte alla Grande
depressione degli anni Trenta, però, nessuna delle analisi e degli interventi fatti alla luce di
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queste teorie riuscì a produrre qualche miglioramento nella situazione economica dei Paesi più
ricchi.
In questa situazione emerse in maniera sempre più forte la necessità (sostenuta teoricamente
dall'economista inglese J.M. Keynes) dell'intervento dello Stato nell'economia.
Si sviluppò così, innanzitutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, il modello di sistema a economia
mista, che dopo la Seconda guerra mondiale trionfò anche in tutti gli altri Paesi dell'Europa
occidentale.
Nel modello di sistema a economia mista lo Stato assume un nuovo ruolo: non si limita più a
produrre i servizi pubblici essenziali e a garantire l'osservanza delle leggi, ma:
1. interviene anche a sostegno della produzione;
2. realizza interventi per garantire la piena occupazione dei lavoratori;
3. garantisce migliori condizioni di vita alle classi più deboli;
4. cerca di armonizzare lo sviluppo fra le zone più ricche e quelle più arretrate.
Per realizzare tutti questi obiettivi, lo Stato ha bisogno di molte risorse: quando non è in grado di
procurarsele con le sole entrate che ottiene dai tributi e dalla vendita di beni e servizi, chiederà
prestiti ai privati, contrarrà cioè dei debiti, ricorrendo allo strumento del debito pubblico.
Se, grazie alla spesa pubblica, lo Stato riuscirà a far crescere il reddito nazionale, come conseguenza
otterrà maggiori entrate sotto forma di imposte e potrà ripagare i debiti contratti in precedenza.
Nei sistemi a economia mista i privati rimangono liberi di prendere le decisioni economiche che
ritengono più convenienti; lo Stato, mediante incentivi, cerca di indirizzare le loro scelte verso
obiettivi che sono nell'interesse di tutto i! sistema; inoltre, mediante la cosiddetta
"concertazione", chiama le associazioni di lavoratori e imprenditori alla determinazione degli
obiettivi di interesse collettivo.
La realizzazione di un sistema a economia mista si attua all'interno dello Stato democratico.
Il commercio internazionale.
Un aspetto importante della teoria economica è rappresentato dalle relazioni economiche
internazionali che si instaurano tra diversi Paesi o diversi sistemi economici. Proprio di questo
si occupa l'economia internazionale, intesa come quella branca della scienza economica che ha
come oggetto di studio i rapporti economici tra Paesi diversi, nonché i modelli analitici che
permettono di interpretarli. Essa studia in pratica i fenomeni economici connessi
all'esistenza nel mondo di diversi sistemi nazionali, ciascuno dotato di proprie risorse naturali e
umane, di capitali, conoscenze, ecc.
La realtà economico-politica attuale non permette ad un Paese di chiudersi in se stesso e fare
affidamento solo ed esclusivamente sulle risorse proprie, senza andare incontro a gravi
conseguenze in ordine al suo sviluppo economico. Anche Paesi come gli U.S.A., la Russia o la
Cina sebbene dispongano di immense risorse, non possono ugualmente ritenersi del tutto
autosufficienti e per questo motivo intrattengono rapporti economici con altri Paesi, svolgendo
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un ruolo importante all'interno del contesto dell'economia mondiale. L'insieme di scambi di
beni e servizi tra un Paese e il resto del mondo prende il nome di commercio internazionale.
Esso si inquadra come una forma specifica di scambio in cui si realizzano i vantaggi di una
specializzazione del lavoro, che rendono possibile un migliore sfruttamento delle risorse
economiche mondiali e un conseguente aumento della ricchezza e delle condizioni di vita nei
singoli Paesi (così come teorizzato da due autorevoli economisti come Smith e Ricardo,
entrambi esponenti della teoria classica sul commercio internazionale).
Ad eccezione delle economie pianificate o collettiviste (nelle quali il commercio estero è
direttamente ed esclusivamente comandato dallo Stato) normalmente gli scambi sono operati
dai privati. I flussi di scambi economici internazionali danno luogo a importazioni, ovvero
flussi di merci (e fattori produttivi: capitali, risorse umane, ecc.) che entrano in un Paese e che
provengono dall'estero, ed esportazioni, che viceversa sono flussi di merci (e fattori produttivi:
capitali, risorse umane, ecc.) prodotti in un Paese e destinati all'estero.
Si crea in questo modo un'interdipendenza economica tra i vari Paesi che oggi è molto diffusa
e che riguarda non solo beni e servizi, ma anche forza lavoro (lavoratori). Si registrano infatti
considerevoli flussi migratori dai Paesi meno sviluppati verso i Paesi più industrializzati.
Anche il capitale si sposta liberamente da un Paese all'altro, così come la tecnologia, tutti fattori
che sono alla base della nascita e dello sviluppo delle imprese multinazionali.
Questo grande processo di internazionalizzazione delle economie dei diversi Paesi ha avuto inizio
all'indomani del primo conflitto mondiale, quando via via sì sono abbattuti progressivamente
tutti gli ostacoli che di fatto impedivano il libero scambio tra i vari Paesi; ostacoli rappresentati
dai pessimi sistemi di comunicazione dell'epoca e dagli altissimi costi che si dovevano sostenere
per il trasporto di beni e persone.
A ciò si dovevano aggiungere limiti di natura politico- economica come i dazi doganali e gli
altri strumenti protezionistici, molto in voga fino a quell'epoca, che miravano a favorire la
rinascita delle industrie e dunque la ripresa dell'economia nazionale, in quel momento
devastata dagli effetti della guerra.
Tale politica protezionistica si sostanzia essenzialmente nel negare la piena libertà di
importazione allo scopo di difendere le industrie nazionali dalla concorrenza di quelle
straniere, mediante tutta una serie di misure, come i dazi alle importazioni, i contingenti di
importazione e le importazioni condizionate, col fine di ostacolare l'introduzione di merci
straniere nel territorio nazionale.
I fautori del protezionismo sostengono che tale politica commerciale sia necessaria nei seguenti
casi:
1. quando si devono difendere industrie fondamentali per la vita del Paese, come per
esempio le industrie di base per l'attività produttiva nazionale o le industrie degli
armamenti;
2. quando si devono proteggere le industrie nazionali nascenti che non possono reggere
la concorrenza delle industrie straniere già sviluppate;
3. quando si devono salvaguardare alcuni settori produttivi nazionali dalla concorrenza estera,
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e in questo caso le misure protezionistiche permettono il mantenimento dell'occupazione
nei settori minacciati;
4. quando si deve stroncare la pratica del c.d. dumping da parte delle imprese
straniere: tale politica consiste nel vendere beni e servizi in un mercato estero ad un prezzo
inferiore al costo di produzione, recuperando poi tale differenza sul mercato interno con
un prezzo più alto, in modo da eliminare la concorrenza estera dal mercato e di conseguenza
poter poi aumentare i prezzi anche sui mercati esteri.
Al di là di queste considerazioni, lo scopo principale per cui un Paese adotta una politica
economica di tipo protezionistico è in generale quello di offrire alle industrie nazionali
maggiori possibilità di profitto e di sviluppo.
Gli strumenti del protezionismo sono principalmente di tre tipi:
1. dazi doganali: sono imposte che si applicano sui prodotti importati dall'estero, nel
momento in cui le merci entrano nel territorio nazionale. Il dazio può essere "specifico"
(quando è commisurato alla quantità delle merci importate) o "ad valorem" (quando invece è
commisurato al valore delle merci importate); queste tipologie di dazi sono detti "dazi
protettivi", ma in base allo scopo si possono avere anche "dazi fiscali" quando sono destinati
prevalentemente ad assicurare un'entrata finanziaria allo Stato. Per quanto riguarda l'Italia e in
generale i Paesi aderenti all'U.E. sono stati abbattuti tutti i limiti alla libera circolazione dei
beni all'interno del mercato europeo, che sulla base delle politiche economiche decise dal
Governo europeo può peraltro adottare delle misure protezionistiche nei confronti dei
mercati extracomunitari;
2. contingenti di importazione: questo è il metodo più rigoroso per regolare le
importazioni e consiste nel fissare la quantità massima di beni esteri che dovranno essere
importati;
3. sussidi e premi alle imprese esportatoci: è un sistema che mira a favorire le
esportazioni consentendo alle imprese di abbassare i costi di produzione in modo da competere
con la concorrenza straniera.
Come si può capire il risultato più immediato dei provvedimenti protezionistici è quello di
ridurre l'efficienza generale dell'economia: infatti l'applicazione di un dazio fa crescere il
prezzo dei beni importati; di conseguenza ciò determina un aumento dei prezzi anche per i beni
prodotti dalle imprese interne che potranno così aumentare i loro profitti e eventualmente
espandere la loro attività. Così facendo però tali imprese "protette" dalle misure
protezionistiche attraggono risorse che di fatto vengono sottratte ad altri settori economici che
invece non usufruiscono di queste misure. Ciò si sostanzia in una cattiva utilizzazione delle
risorse che significa inefficienza.
E' un dato di fatto che le misure protezionistiche, riducano l'ammontare degli scambi
internazionali.
Finora abbiamo considerato l'esempio di sistema economico chiuso, cioè un sistema che non ha
rapporti con l'esterno.
Se il sistema economico si fa coincidere con l'economia di uno Stato, avere un sistema chiuso
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equivale a dire che questo Stato non ha nessun rapporto con gli altri Stati.
E' chiaramente un'ipotesi inverosimile, soprattutto al giorno d'oggi, dove i rapporti
internazionali sono così stretti ed immediati che non si parla più di sistema economico con
riferimento ad un singolo Paese, ma con riferimento all'intero sistema mondiale. In effetti, gli
scambi internazionali (di beni, servizi, capitali, ecc.) sono ormai così ingenti, frequenti e
velocemente eseguiti, che quello che succede nel più remoto angolo del mondo ha
ripercussioni sull'economia di tutti i 5 continenti.
Non esistono più tanti sistemi economici, ma un unico grande mercato mondiale, chiamato
"villaggio globale", in cui le variazioni delle grandezze economiche, in qualunque punto del
globo si verifichino, influenzano la determinazione dell'equilibrio produttivo di tutti i Paesi
mondiali.
Alla base di un sistema economico aperto c'è una politica economica liberista, ovvero basata
sul libero scambio di beni e servizi, in contrapposizione appunto alla politica protezionistica. Il
liberismo consiste proprio nel concedere piena libertà agli operatori economici di importare ed
esportare merci straniere; significa in altre parole abbattere tutti quei limiti e vincoli (misure
protezionistiche) che possono ostacolare la libera circolazione delle merci da un Paese all'altro.
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CAPITOLO 9
IL MERCATO
Il Mercato: è l’insieme dei venditori e dei compratori che intendono acquistare e vendere
determinati beni e servizi.
Nella teoria economica il mercato non si identifica necessariamente come un luogo geografico.
Gli scambi, infatti, possono avvenire anche a distanza, tramite computer o telefono.
Possiamo pertanto definire il mercato come l’incontro tra coloro che domandano e coloro che
offrono beni e servizi, l’insieme degli scambi che avvengono per un determinato bene
In relazione al tipo di bene scambiato possiamo distinguere:
1. mercato dei prodotti;
2. mercato del lavoro: dove si confrontano la domanda delle imprese e le offerte di lavoro delle
persone in cerca di occupazione
3. mercato dei capitali. si contrattano prestiti, finanziamenti, azioni, obbligazioni, titoli pubblici
4. mercato dei beni di consumo: riguarda i beni direttamente utilizzati dal consumatore finale;
5. mercato dei beni di investimenti: riguarda i beni intermedi e finali impiegati nel processo
produttivo (materie prime, fonti di energia);
In relazione alle quantità scambiate distinguiamo:
1. mercato al dettaglio: o c.d. mercato al minuto, quando la merce è venduta dai dettaglianti ai
consumatori finali.
2. mercato all’ingrosso: quando la merce viene trasferita in grosse partite dai produttori ai
grossisti poi venduta ai dettaglianti;
Il mercato è costituito dall’offerta e dalla domanda collettive o globali, che risultano dalla somma
delle offerte e delle domande individuali.
Infatti il mercato si riferisce ad aree assai vaste, che possono estendersi a tutto il mondo(mercati
del petrolio, dell’oro, ecc..).
1.1La Domanda:
la domanda individuale di un bene è funzione inversa del prezzo, mentre l’offerta individuale di
un bene è funzione diretta del prezzo.
Quando il prezzo sale, i consumatori domandano una minore quantità di bene, e l’opposto accade
quando il prezzo diminuisce.
Per i produttori, al contrario, se il prezzo aumenta aumentano l’offerta, diminuiscono l’offerta se il
prezzo cala.
I mercati possono assumere svariate forme:
A) Si ha un mercato in regime di libera concorrenza bilaterale quando la domanda è esercitata
da un grande numero di consumatori e l’offerta da un grande numero di produttori. In tal modo si
ha competizione tra gli imprenditori: coloro che soddisferanno gran parte della domanda,
ottenendo profitti. conquisteranno il mercato, gli altri saranno, invece, esclusi. I consumatori a
loro volta sono in competizione tra loro per accaparrarsi i beni di qualità a prezzo più favorevole.
Da ciò si può affermare che in un sistema economico di libera concorrenza migliora l’efficienza
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delle imprese e il benessere sociale.
B) Concorrenza perfetta: è la c.d. atomizzazione del mercato: consiste nella presenza di un
elevato numero di operatori di piccole dimensioni, in modo che nessuno di essi sia in grado di
influenzare il prezzo.
È rappresentata dall’omogeneità del prodotto: i beni offerti da tutte le imprese di un settore sono
identici ad un unico prezzo.
C) Monopolio: nel monopolio l’offerta di un certo prodotto è concentrata interamente in una sola
impresa, mentre la domanda è frazionata fra numerosi compratori. È una forma di mercato rara,
essendo molto difficile la contemporanea presenza di tutti i suoi requisiti.
I monopoli naturali derivano dal possesso esclusivo di particolari risorse, mentre quelli legali sono
originati da una legge che riserva in esclusiva la produzione e l’offerta di un bene allo Stato o a un
altro ente pubblico o privato (pubblico: come il monopolio dei tabacchi e del servizio ferroviario;
privati: come lo sfruttamento dei brevetti industriali).
D) monopsonio: quando di fronte ad una pluralità di venditori c’è un solo compratore;
E) oligopolio: se poche grandi imprese produttrici offrono la totalità del prodotto, e i compratori
sono numerosi;
F) concorrenza monopolistica: quando le imprese che offrono il prodotto sono in grado di
differenziare il prodotto stesso, allo scopo di attirare la domanda dei consumatori.
La Domanda individuale è la quantità di un bene o un servizio che un soggetto è disposto ad
acquistare a un determinato prezzo in un dato momento.
La Domanda collettiva è data dalla somma delle domande individuali nell’ambito di un
determinato mercato.
L’Offerta individuale è la quantità di un bene o un servizio che un produttore è disposto a vendere
a un determinato prezzo in un dato momento.
L’Offerta collettiva è la somma delle offerte individuali di un determinato mercato.
Il punto d’incontro della domanda e dell’offerta è definito Prezzo di equilibrio, proprio perché qui
si determina il prezzo che domanda e offerta sono disposti rispettivamente a cedere e a ricevere
per un determinato bene.
RICORDA:
Se aumenta la domanda aumenta il prezzo di equilibrio
Se diminuisce la domanda diminuisce il prezzo di equilibrio
Se aumenta l’offerta diminuisce il prezzo di equilibrio
Se diminuisce l’offerta aumenta il prezzo di equilibrio
1.2 Il Mercato del Lavoro
Alcuni studiosi, con un felice esempio, hanno paragonato il mercato del lavoro ad un cinema.
Come in un cinema, infatti, anche nel mercato del lavoro vi sono numerosi posti che devono
essere occupati, vi sono alcune persone che liberano questi posti ed altre che vi si siedono, alcune
poltrone si danneggiano e vengono sostituite da altre, collocate anche in posizioni differenti
rispetto a quelle che avevano in origine. Ed il mercato del lavoro, come una sala cinematografica,
funziona bene quando tutti i posti a sedere sono occupati. E se per caso il pubblico che chiede di
entrare è superiore al numero di posti disponibili, questo non significa che la sala funziona male,
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ma che il locale è troppo piccolo rispetto alle richieste.
Naturalmente, in realtà il mercato del lavoro è più complesso di un cinema: innanzitutto non
esiste un solo mercato ma molti mercati (come esistono diverse sale cinematografiche che
proiettano pellicole diverse), all'interno dei quali si può accedere se si hanno caratteristiche
particolari, che possono andare da abilità generiche, fino a capacità talmente specifiche che solo
coloro che le detengono possono entrarvi: per avere probabilità di successo nel mercato dei web
master devi essere capace di costruire un sito internet, se ti manca questa caratteristica quel
particolare mercato ti sarà negato (lo stesso succede se vai a vedere un film turco sottotitolato in
giapponese...se non conosci nessuna di queste lingue probabilmente capirai ben poco di ciò che
avviene sullo schermo).
L'esempio finisce qui, perché il mercato del lavoro non è un luogo fisico dove succede qualcosa, ma
un insieme di meccanismi e relazioni che intervengono tra almeno tre soggetti: chi offre il proprio
lavoro, chi domanda lavoro, chi regola attraverso le norme l'incontro tra domanda e offerta
determinando diritti e doveri degli uni e degli altri.
Questo incontro può essere regolato attraverso l'azione dei rappresentanti dell'offerta (i sindacati) e
della domanda (le associazioni imprenditoriali) che sottoscrivono dei contratti dove questi diritti e
questi doveri sono sanciti, nel rispetto delle norme stabilite dalla legge.
Come in ogni mercato, quindi, anche nel mercato del lavoro esiste una domanda e un'offerta,
ma mentre nella teoria economica l'incontro fra domanda e offerta di un bene determina il
prezzo e la quantità venduta, nel mercato del lavoro le cose non avvengono in maniera così
automatica. Il motivo è che nel mercato del lavoro la "mercé" che si scambia è del tutto speciale.
In primo luogo la produzione di forze di lavoro non è determinata da scelte economiche, ma è
regolata da fattori demografici, sociali e culturali. Infatti, al dì sotto e al di sopra di una certa età
non è consentito lavorare (con alcune eccezioni per il lavoro minorile ben definite, come per
esempio i lavoratori dello spettacolo). Inoltre, i mutamenti culturali e sociali determinano dei
cambiamenti notevoli: un esempio è dato dall'ingresso sempre maggiore di donne nel mercato
del lavoro, in tal modo sono aumentate enormemente le forze di lavoro anche in assenza di un
aumento della popolazione totale e quindi sono cambiati tutti gli indicatori del lavoro ed è stata
modificata la struttura stessa del mercato del lavoro.
Il lavoro, poi, non può essere distinto dalla persona che lo svolge e che quindi lo vende, la quale,
grazie a quel lavoro, molto spesso è in grado di vivere dignitosamente, ma che perdendolo sarebbe
priva dei mezzi necessari per sopravvivere. Questo perché il lavoro non è una mercé come le
scarpe o il pane, ma con esso viene venduta e comprata anche una parte della vita delle persone.
L'incontro fra domanda e offerta di lavoro, quindi, non si basa esclusivamente sul prezzo, ma
anche sulle opportunità e sulle aspettative che esso crea: per questo motivo può succedere che vi
sia qualcuno che non accetta un lavoro che reputa non consono alle proprie capacità, oppure che
accetta basse retribuzioni pur di svolgere un'attività desiderata. Inoltre, i lavoratori non sono soli,
spesso hanno una famiglia alle spalle, all'interno della quale svolgono dei ruoli precisi. Così, se
un membro della famiglia (in genere il capofamiglia) percepisce il reddito base, quello più alto,
gli altri possono permettersi di accettare lavori con retribuzioni che da sole non sarebbero
sufficienti a garantire la sopravvivenza, ma unite a quelle già presenti nel nucleo familiare
invece permettono una vita più agiata. Questo a dimostrazione che, quando si parla di mercato
di lavoro, ci si sta occupando di qualcosa che riguarda gli esseri umani e che quindi tutto quello
che vi succede all'interno non può essere completamente previsto, perché dipende dalle scelte
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degli individui e dalle loro valutazioni. Per capire il mercato del lavoro è necessario conoscere
alcune definizioni utilizzate dagli addetti ai lavori (economisti, statistici, sociologi, ecc.). Tali
definizioni sono in genere stabilite da istituti che forniscono le statistiche, e cioè l'Istat a livello
nazionale, e l'Eurostat a livello europeo. Infatti, da quando l'Italia fa parte dell'Unione Europea
tutte le statistiche prodotte devono essere il più possibile omogenee a quelle dei diversi paesi
membri. Per questo motivo, nel settore delle statistiche del lavoro, sono in atto dei continui
cambiamenti nelle definizioni, che permettono, per esempio, di confrontare il tasso di
disoccupazione italiano con quello francese o tedesco. Due indicatori possono essere confrontati, e
quindi anche aggregati, per determinare il tasso di disoccupazione europeo solo se si è arrivati a
quel dato utilizzando lo stesso metodo.
Un esempio dell'importanza delle definizioni lo troviamo nel concetto stesso di disoccupato. Infatti,
non basta non avere un lavoro per essere disoccupato, ma bisogna anche rispettare alcune
condizioni: essere immediatamente disponibili a lavorare ed aver adottato un comportamento
"attivo" nella ricerca del lavoro.
"Ricerca attiva" significa aver spedito il curriculum ad un impresa, partecipato ad una selezione
privata o ad un concorso pubblico, insomma, avere effettuato delle vere azioni di ricerca di un
lavoro
Inoltre, è rilevante anche il momento in cui sì è cercato il lavoro.
Per convenzione si è assunto che è attiva la ricerca di un lavoro effettuata entro un mese dalla data
in cui si dichiara, rispondendo ad un questionario utilizzato per la rilevazione delle statistiche del
lavoro, di essere effettivamente alla ricerca di una occupazione.
Per chi è alla ricerca di un lavoro potrà sembrare strano che dietro le statistiche vi siano tutte
queste definizioni, ma chi elabora i questionari e le statistiche ha bisogno di definizioni chiare che
non creino equivoci nelle classificazioni.
1.3 Le componenti del Mercato del Lavoro
L'Offerta
L'offerta di lavoro è composta da tutte quelle persone che già lavorano e da quelle che ambiscono a
lavorare.
Essa coincide con la "popolazione attiva" e indica l'insieme della popolazione che è in condizione
di lavorare e che lavora o vuole lavorare, quindi ne fanno parte:
1. gli occupati;
2. i disoccupati in senso stretto, cioè coloro che lavoravano ma hanno perso il lavoro e ne
cercano uno nuovo;
3. le persone in cerca di prima occupazione, cioè coloro che in precedenza facevano
parte della popolazione non attiva (studenti, casalinghe, pensionati, minori di 16 anni ecc.) e
che hanno deciso di cercare un lavoro;
4. le altre persone in cerca di occupazione, cioè le persone che pur affermando di far
parte della popolazione non attiva dichiarano di aver cercato un lavoro.
La categoria delle altre persone che non lavorano e che non sono interessate a lavorare, che
comprende gli studenti, le casalinghe, i ritirati dal lavoro, viene definita delle "non forze di
lavoro".
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L'Istat fornisce, con cadenza trimestrale; un quadro completo dell'offerta di lavoro, sia a livello
nazionale che regionale.
L'indagine, meglio conosciuta con il nome di "Rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro",
coinvolge circa 200mila famiglie italiane sparse su tutto il territorio nazionale.
Attraverso le statistiche dell'Istat è possibile studiare i grandi aggregati che compongono la
popolazione attiva e determinare degli indicatori sintetici che descrivono il mercato del lavoro di
un paese o di una regione.
Gli indicatori più utilizzati sono:
1. II tasso di disoccupazione;
2. II tasso di attività;
3. II tasso di occupazione.
Tutti gli indicatori esprimono un determinato fenomeno in percentuale. Ad esempio il tasso di
disoccupazione ci dice quante persone su 100 non sono occupate.
Il tasso di attività ci dice quante persone lavorano o vorrebbero lavorare sulla popolazione in età
lavorativa (le persone con un'età compresa fra 15 e 65 anni).
Il tasso di occupazione esprime, al pari del tasso di attività, il numero delle persone che
lavorano sul totale della popolazione in età lavorativa.
Spesso è interessante sapere qual è il tasso di disoccupazione riferito a particolari classi di età.
Importante per la determinazione degli interventi di politiche del lavoro è il tasso di
disoccupazione giovanile, che ci dice quante persone di età compresa tra 16 e 24 anni sono
alla ricerca di un impiego.
Le forze di lavoro e le persone in cerca di occupazione possono essere studiate sotto molti
aspetti (settore economico, durata nella ricerca del lavoro, titolo di studio).
La Domanda
La domanda di lavoro è espressa dal settore produttivo, che può produrre beni o servizi.
Quindi la domanda di lavoro è composta dalle imprese, intendendo per imprese tutto il sistema
produttivo privato o dalla pubblica amministrazione.
Anche le famiglie, sia pure in piccola misura, possono far parte della domanda di lavoro: nel
momento in cui assumono personale di servizio diventano anch'esse "datori di lavoro".
Questa parola "datori di lavoro" è importante perché è l'esempio di come i termini che si usano
per lo studio del mercato del lavoro possano essere anche contradditori o ambigui: infatti il
"datore di lavoro", che significa in parole povere che "da lavoro", fa invece parte della
domanda di lavoro, cioè di chi il lavoro lo chiede.
A parte questa ambiguità è facile però distinguere domanda e offerta tornando alla logica del
comprare e del vendere al mercato: una parte (l'offerta) vende il proprio lavoro in cambio di una
retribuzione, l'altra parte (la domanda) chiede il lavoro necessario per la propria attività ed in
cambio offre una retribuzione.
Quantificare la domanda di lavoro è sempre stato uno dei maggiori problemi degli studiosi del
mercato del lavoro.
Infatti, le statistiche ci dicono sempre a posteriori quanti sono stati gli occupati di un determinato
periodo.
Per conoscere il numero di occupati in anticipo bisogna chiedere a chi è già "datore di lavoro" se
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prevede assunzioni in un determinato arco di tempo.
Poiché tutte le imprese sono registrate presso un registro che fa capo alle Camere di Commercio, lo
stesso ente nazionale (Unioncamere) ha avviato, per la prima volta nel 1997, e adesso con cadenza
annuale, un'indagine su un campione di 100.000 imprese iscritte al Registro delle Imprese.
La ricerca è conosciuta .col nome di "Indagine Excelsior" e il suo campo di osservazione
coinvolge tutti i settori dell'economia, escludendo però quello dell'agricoltura e del pubblico
impiego, nonché tutti i professionisti e i lavoratori autonomi che non svolgono la loro attività in
forma d'impresa.
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CAPITOLO 10
LA MONETA
Nelle società primitive, basate sull’autoconsumo, gli scambi erano limitati e avvenivano tramite il
baratto.
Quando tutti i prezzi dei beni e dei servizi vengono misurati in moneta si ha un’economia
monetaria.
L’unità monetaria può essere concreta (se circola realmente) o ideale (quando non circola e viene
utilizzata solo come punto di riferimento).
La moneta è intermediario negli scambi, misura dei prezzi e riserva di valore se viene messa da
parte in attesa di essere spesa.
Per poter svolgere queste tre funzioni, la moneta deve possedere il requisito della liquidità, cioè
deve essere accettata in pagamento senza difficoltà.
Per “valore della moneta” possiamo intendere il valore intrinseco, il valore nominale e il valore
reale.
1. Il primo è il valore commerciale del materiale di cui è composta la moneta e del costo di
lavorazione.
2. Il valore nominale è il valore attribuito alla moneta;
3. il valore reale è dato dal potere d’acquisto della moneta. Se i prezzi aumentano, il potere
d’acquisto della moneta diminuisce.
Potere d’acquisto della moneta = 1/livello medio dei prezzi
Nei periodi di inflazione gli individui tendono a spendere la moneta per acquistare i “beni rifugio”
(immobili, quadri d’autore, gioielli…).
Nel corso dei secoli si sono succeduti tre diversi sistemi monetari: metallici, a cambio aureo e a
carta moneta inconvertibile.
Attualmente, in tutti i paesi industrializzati è in vigore il corso forzoso della moneta. La
circolazione monetaria non deve superare il fabbisogno del sistema economico per non provocare
inflazione. Per potere liberatorio della moneta si intende la possibilità di poter saldare con essa
qualunque debito.
L’Offerta di moneta è la quantità di mezzi di pagamento esistente nel sistema economico (moneta
bancaria e moneta legale).
La moneta è emessa dalla Banca Centrale Europea e dalle Banca d’Italia. La moneta divisionale è
la moneta di piccolo taglio ed ha un valore intrinseco molto basso.
La moneta cartacea ha un valore nominale tra i 5 e i 500 €.
La moneta bancaria è costituita dai mezzi di pagamento creati dal sistema bancario. Le persone
accettano gli assegni come mezzo di pagamento perché sono fiduciose che le banche possano
convertirli in moneta legale. Circa il 90% delle transizioni avvengono utilizzando la moneta
bancaria, che ha un grado di liquidità inferiore alla moneta legale e per questo ha un rendimento
maggiore (interessi).
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Solo i mezzi di pagamento liquido costituiscono la Domanda di moneta. Domanda di moneta e
risparmio coincidono solo se il soggetto destina tutto il risparmio verso mezzi di pagamento
liquidi.
Secondo Keynes, le ragioni per cui un soggetto effettua Domanda di moneta sono 3:
1. a scopo di transazione (le entrate e le uscite di un individuo coincidono nel tempo);
2. a scopo precauzionale (le persone trattengono un certo ammontare di mezzi di pagamento
liquidi per far fronte a imprevisti);
3. a scopo speculativo (l’acquisto di un bene con l’intenzione di rivenderlo ad un prezzo più
alto).
I soggetti più ricchi trattengono una quantità maggiore di moneta sia a scopo di transazione, sia a
scopo precauzionale, sia a scopo speculativo; i soggetti più poveri sono costretti a trattenere una
quantità minore di moneta.
La Domanda di moneta è in relazione inversa col tasso d’interesse.
Se il tasso d’interesse è alto il prezzo dei titoli è basso e quindi gli speculatori tendono ad
acquistare titoli prevedendo un rialzo dei prezzi; per acquistare titoli gli speculatori diminuiscono
la loro Domanda di moneta: se il tasso di interesse è alto la Domanda di moneta diminuisce.
La Domanda di moneta è in relazione diretta col livello dei redditi individuali e in relazione
inversa col tasso d’interesse.
Il mercato monetario è in equilibrio quando si fissa un tasso d’interesse tale da rendere l’Offerta
di moneta uguale alla Domanda di moneta.
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CAPITOLO 11
L’INFLAZIONE E LA DEFLAZIONE
1.L’INFLAZIONE
L’inflazione indica un generale aumento dei prezzi di beni e servizi in un dato periodo di tempo
che genera una diminuzione del potere di acquisto della moneta.
Si ha inflazione quando la circolazione monetaria è eccessiva rispetto al volume degli scambi.
Si possono dividere le cause dell’inflazione in due gruppi: l’inflazione da costi e l’inflazione della
Domanda.
1.1 L’inflazione da costi può essere causata o da un aumento del costo del lavoro (“spirale
prezzi/salari) o da un aumento del prezzo delle merci importate (“inflazione importata”).
Si ha la “spirale prezzi/salari” quando i lavoratori ottengono aumenti salariali superiori agli
incrementi di produttività e gli imprenditori trasferiscono sui prezzi l’aumento del costo del
lavoro. La spirale prezzi/salari può essere innescata anche dagli imprenditori quando aumentano i
prezzi senza che i costi siano aumentati; ne consegue che i lavoratori si trovano costretti a
chiedere aumenti salariali per mantenere inalterata la loro quota nella distribuzione del reddito.
1.2 L’inflazione importata può derivare da un aumento del prezzo delle merci da parte dei paesi
esportatori o dalla svalutazione della moneta nel paese importatore.
Per misurare l’inflazione l’Istat costruisce un indice dei prezzi. Questo procedimento si articola in
4 fasi:
1. si prende in esame una “famiglia tipo” composta da padre, madre e due figli con meno di 14
anni
2. Sulla base dei beni e dei servizi che la famiglia tipo ipoteticamente consuma viene costruito
un “paniere di beni”, composto da oltre 300 beni e servizi a loro volta raggruppabili in 9 categorie
(alimenti, abbigliamento, elettricità e combustibili, abitazione, mobili e servizi per la casa, servizi
sanitari, trasporti, ricreazione e istruzione, altri beni e servizi).
3. Si fa la media aritmetica ponderata dei prezzi dei beni del paniere e si costruisce così un
indice dei prezzi.
4. L’indice dei prezzi viene fissato a 100 e viene collegato ad un “anno base”.
Il tasso d’inflazione misura la variazione percentuale del livello dei prezzi nel corso di un anno.
Vi sono diversi tipi di inflazione:
strisciante, robusta, galoppante.
La dicitura cambia a seconda della gravità.
L’iperinflazione, invece, si ha quando i prezzi aumentano in modo incontrollabile di giorno in
giorno; in questo caso le persone tendono ad abbandonare la moneta come intermediario negli
scambi, (è rara e, di solito, segue una guerra o una rivoluzione).
In ultimo, citiamo la deflazione, intesa come la diminuzione del livello generale dei prezzi. Questo
è un grave fenomeno, perché la diminuzione dei prezzi porta ad un punto in cui le imprese devono
cessare la loro attività, perché i costi di produzione superano i prezzi.
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CAPITOLO 12
I CARATTERI E LE CAUSE DEL SOTTOSVILUPPO
Se osserviamo il complesso dei paesi del mondo, si può notare che quelli interessati al fenomeno
dello sviluppo sono decisamente pochi rispetto ai paesi non sviluppati. Questi ultimi dagli anni
’50 sono stati definiti "Terzo Mondo", termine che appunto indica i paesi esclusi dallo sviluppo
economico e industriale che invece ha coinvolto quelli industriali a sistema capitalista (Primo
Mondo) o a sistema socialista (Secondo Mondo).
La definizione di Terzo Mondo sta ad indicare anche i paesi che sul piano internazionale avevano
assunto una posizione neutrale tra i due blocchi, quello occidentale e quello comunista.
I paesi del Terzo Mondo sono caratterizzati da un dato fondamentale: il sottosviluppo.
Il sottosviluppo non deve essere confuso con la miseria; quest’ultima ne costituisce la parte più
visibile e drammatica, quella che viene più facilmente colta nei paesi ad alto tenore di vita. La
miseria deve invece essere considerata come una conseguenza e il sottosviluppo come una
condizione che deriva da un insieme di fattori.
I paesi cosiddetti "sottosviluppati" si possono riconoscere da alcune caratteristiche:
1.
1. la loro economia dipende prevalentemente dall’agricoltura;
2. dipendono dal Primo Mondo per quanto riguarda le industrie e la tecnologia, perché la
loro è rudimentale e specializzata nelle lavorazioni delle materie prime;
3. possiedono infrastrutture energetiche, vie di comunicazione e reti di telecomunicazioni
scarsamente efficienti;
4. i servizi di base non garantiscono un innalzamento del livello dell'alfabetizzazione,
dell'aspettativa di vita, delle condizioni sanitarie;
5. hanno una condizione di forte indebitamento con le banche internazionali e scarsissimo
peso nel campo internazionale a livello politico, culturale e della ricerca scientifica;
6. sono caratterizzati da una situazione politica instabile, che molte volte porta a rivolte
interne o a guerre con paesi vicini.
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Le cause del sottosviluppo sono molteplici: in parte derivano da fattori naturali come il clima, la
morfologia, la scarsa qualità dei suoli, ma prevalentemente vanno cercate in motivazioni storico-
politiche come il colonialismo e le attuali politiche dei paesi del Nord sviluppato. Solo
cambiando queste ultime è possibile dare nuove e credibili prospettive ai paesi del Sud per uscire
dal sottosviluppo.