DISPENSA DI DIRITTO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI · 2018. 11. 29. · DISPENSA DI DIRITTO DEGLI...

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DISPENSA DI DIRITTO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI (a cura di Martina Rinaldi) Capitolo 1 - L'oggetto Il mercato finanziario è il luogo in cui vengono scambiati gli strumenti finanziari - e questi ultimi consistono in una particolare categoria di “prodotti finanziari” caratterizzati dal fatto di essere dei mezzi di investimento di natura finanziaria. Pertanto, in Italia, la disciplina del mercato finanziario è contenuta nel TUF, cioè, nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, istituito con il decreto legislativo 58/1998, a cui si aggiungono: numerosi testi di origine comunitaria, il Testo Unico delle disposizioni in materia bancaria e creditizia e la legge 262/2005 sull'intermediazione finanziaria in senso stretto. Tradizionalmente, il mercato finanziario si compone di 3 settori: quello bancario e creditizio, quello dell'intermediazione finanziaria non bancaria e quello assicurativo; tuttavia, per capire se sia possibile parlare di un vero e proprio “diritto del mercato finanziario” occorre soffermarsi sulle nozioni di attività finanziaria e di impresa finanziaria. In pratica, anche se il riferimento alle attività finanziarie figura sia nel 3°comma dell'articolo 10 del TUB (testo unico bancario), sia nell'articolo 18 del decreto legislativo 58/98, in realtà manca una vera e propria definizione di “attività finanziaria”; infatti, in senso lato, nell'attività finanziaria potrebbero farsi rientrare tutte le attività che si riferiscano al mercato dei capitali, mentre in base ad un approccio più selettivo si dovrebbero considerare soltanto le attività che diano luogo ad una vera e propria intermediazione di capitali e, tra i due approcci, bisogna preferire quello più selettivo. Comunque, anche la definizione di impresa finanziaria non riflette un'impostazione univoca; e questo induce a pensare che, per poter stabilire se il diritto del mercato finanziario sia un diritto autonomo, occorra individuarne i confini in negativo. In altre parole: o si decide di sposare la nozione economica di mercato finanziario, oppure si può affermare che al suo interno esista un particolare segmento cioè, il mercato mobiliare che comprende tutte le attività, che si riferiscono al mercato dei capitali, ma che sono diverse da quelle bancarie ed assicurative. La disciplina del mercato mobiliare è frutto di un complesso “diluvio legislativo” che iniziò nel 1974 con l'istituzione della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), e che si intensificò negli anni 90, con l'introduzione della Legge SIM (1/91), che istituì le società di intermediazione mobiliare, e la legge 84/92, che istituì le SICAV, cioè le società di investimento a capitale variabile. Inoltre, nel 1996 vennero recepite le direttive comunitarie 93/22 e 93/6, in materia di servizi di investimento; e il tratto più significativo della direttiva 22 sta nell'introduzione del principio del mutuo riconoscimento degli intermediari e nella sua estensione ai mercati regolamentati; così, la legge 52/96 delegò il Governo a recepire queste direttive cosa che avvenne con il cosiddetto Decreto Eurosim e comportò l'inizio dei lavori per l'emanazione del Testo Unico del 1998. In pratica, in Italia, la disciplina del mercato dei capitali è stata articolata in due grandi comparti: il comparto bancario e creditizio (di cui si occupa il Testo Unico Bancario del 1993) e il comparto non creditizio (di cui si occupa il Testo Unico del 1998). Inoltre, nel decennio che va dal 1998 al 2008 si assiste anche ad una radicale trasformazione del ruolo delle Autorità di Vigilanza, a cui sono stati attribuiti dei poteri di indagine e di verifica che travalicano quelli della mera sfera regolamentare per sconfinare in un'area quasi “giurisdizionale”. In altre parole, i Testi Unici stanno perdendo la loro centralità a causa dell'emersione continua di normative speciali, che, in buona sostanza, stanno conducendo alla disintermediazione del Testo Unico delle disposizioni in materia finanziaria. Capitolo 2 le autorità di controllo sul mercato mobiliare Le principali Autorità nella disciplina del mercato mobiliare sono: il Ministero dell'Economia e delle

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DISPENSA DI DIRITTO DEGLI INTERMEDIARI

FINANZIARI (a cura di Martina Rinaldi)

Capitolo 1 - L'oggetto

Il mercato finanziario è il luogo in cui vengono scambiati gli strumenti finanziari - e questi ultimi

consistono in una particolare categoria di “prodotti finanziari” caratterizzati dal fatto di essere dei mezzi di

investimento di natura finanziaria. Pertanto, in Italia, la disciplina del mercato finanziario è contenuta nel

TUF, cioè, nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, istituito con il

decreto legislativo 58/1998, a cui si aggiungono: numerosi testi di origine comunitaria, il Testo Unico delle

disposizioni in materia bancaria e creditizia e la legge 262/2005 sull'intermediazione finanziaria in senso

stretto.

Tradizionalmente, il mercato finanziario si compone di 3 settori: quello bancario e creditizio, quello

dell'intermediazione finanziaria non bancaria e quello assicurativo; tuttavia, per capire se sia possibile

parlare di un vero e proprio “diritto del mercato finanziario” occorre soffermarsi sulle nozioni di attività

finanziaria e di impresa finanziaria.

In pratica, anche se il riferimento alle attività finanziarie figura sia nel 3°comma dell'articolo 10 del TUB

(testo unico bancario), sia nell'articolo 18 del decreto legislativo 58/98, in realtà manca una vera e propria

definizione di “attività finanziaria”; infatti, in senso lato, nell'attività finanziaria potrebbero farsi rientrare

tutte le attività che si riferiscano al mercato dei capitali, mentre in base ad un approccio più selettivo si

dovrebbero considerare soltanto le attività che diano luogo ad una vera e propria intermediazione di capitali

– e, tra i due approcci, bisogna preferire quello più selettivo.

Comunque, anche la definizione di impresa finanziaria non riflette un'impostazione univoca; e questo induce

a pensare che, per poter stabilire se il diritto del mercato finanziario sia un diritto autonomo, occorra

individuarne i confini in negativo. In altre parole: o si decide di sposare la nozione economica di mercato

finanziario, oppure si può affermare che al suo interno esista un particolare segmento – cioè, il mercato

mobiliare – che comprende tutte le attività, che si riferiscono al mercato dei capitali, ma che sono diverse da

quelle bancarie ed assicurative.

La disciplina del mercato mobiliare è frutto di un complesso “diluvio legislativo” che iniziò nel 1974 con

l'istituzione della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), e che si intensificò negli

anni 90, con l'introduzione della Legge SIM (1/91), che istituì le società di intermediazione mobiliare, e la

legge 84/92, che istituì le SICAV, cioè le società di investimento a capitale variabile. Inoltre, nel 1996

vennero recepite le direttive comunitarie 93/22 e 93/6, in materia di servizi di investimento; e il tratto più

significativo della direttiva 22 sta nell'introduzione del principio del mutuo riconoscimento degli

intermediari e nella sua estensione ai mercati regolamentati; così, la legge 52/96 delegò il Governo a

recepire queste direttive – cosa che avvenne con il cosiddetto Decreto Eurosim – e comportò l'inizio dei

lavori per l'emanazione del Testo Unico del 1998. In pratica, in Italia, la disciplina del mercato dei capitali è

stata articolata in due grandi comparti: il comparto bancario e creditizio (di cui si occupa il Testo Unico

Bancario del 1993) e il comparto non creditizio (di cui si occupa il Testo Unico del 1998).

Inoltre, nel decennio che va dal 1998 al 2008 si assiste anche ad una radicale trasformazione del ruolo delle

Autorità di Vigilanza, a cui sono stati attribuiti dei poteri di indagine e di verifica che travalicano quelli della

mera sfera regolamentare per sconfinare in un'area quasi “giurisdizionale”.

In altre parole, i Testi Unici stanno perdendo la loro centralità a causa dell'emersione continua di normative

speciali, che, in buona sostanza, stanno conducendo alla disintermediazione del Testo Unico delle

disposizioni in materia finanziaria.

Capitolo 2 – le autorità di controllo sul mercato mobiliare

Le principali Autorità nella disciplina del mercato mobiliare sono: il Ministero dell'Economia e delle

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Finanze, la Banca d'Italia, la Consob e la Commissione di Vigilanza sui fondi pensione, a cui si aggiunge

l'IVASS (cioè, l'istituto per la vigilanza sulle assicurazioni).

L'art.3 del TUB, qualifica il Ministro dell'Economia e delle Finanze come “autorità di vigilanza”, mentre

il TUF non dispone di una norma analoga, anche se, in seguito alla sua emanazione, le competenze

regolamentari del Ministro sono state ulteriormente ampliate; infatti, nel settore dei servizi di investimento,

può: individuare nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi di investimento e nuovi servizi

accessori, indicando quali soggetti possano esercitarli; e, inoltre, può adottare tutte le norme di attuazione e

di integrazione delle riserve di attività previste dall'articolo 18 del TUF, nel rispetto delle disposizioni

comunitarie. Inoltre, nell'ambito della disciplina degli emittenti, il Ministro può individuare i requisiti di

onorabilità e professionalità dei membri degli organi di controllo degli emittenti quotati e può individuare i

principi contabili internazionali validi per la redazione del bilancio consolidato – anche se queste funzioni

vengono esercitate di concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia. D'altro canto, il Ministro dell'Economia

e delle Finanze è anche il referente politico della CONSOB (anche se c'è da specificare che la Consob ormai

non sia più un organismo subordinato, ma un ente dotato di personalità giuridica; tuttavia, il presidente della

Consob: deve informare il ministro sugli atti maggiormente rilevanti, deve sottoporre i regolamenti interni al

visto preventivo e deve trasmettere annualmente una relazione sull'attività svolta nell'anno di riferimento.

Invece, la Banca d'Italia è dotata di ampi poteri di controllo, di poteri sanzionatori e di poteri di

regolamentazione dell'attività degli intermediari e dei mercati. Tuttavia, mentre alcune funzioni spettano alla

Banca d'Italia in via esclusiva, altre devono essere esercitate di concerto con la Consob in base ad un criterio

di riparto che si può definire “funzionale”; infatti: alla Consob spettano poteri relativi al controllo sulla

trasparenza, mentre alla Banca d'Italia spettano compiti che attengono al controllo dei rischi; e, inoltre, la

Banca d'Italia non ha poteri in materia di emittenti quotati, ad eccezione del caso in cui l'emittente sia

rappresentato da una banca (anche se quest'eccezione, a ben vedere, è solo apparente, perchè i poteri della

Banca d'Italia sull'emittente quotato non attengono alla disciplina della vigilanza sugli emittenti quotati ma

alla disciplina della vigilanza bancaria!).

Quindi, la Consob è un organo collegiale, i cui membri vengono nominati con D.P.R, che vanta ampi poteri

in materia di intermediari, mercati ed emittenti; e, inoltre, svolge compiti di controllo in materia di appello al

pubblico risparmio, sia con riferimento alle offerte di sottoscrizione e vendita, sia con riferimento alle

offerte pubbliche di acquisto (OPA). Poi, di recente, la Consob ha varato alcune modifiche organizzative,

che hanno portato alla sua scomposizione in 2 divisioni: la divisione Informazione Emittenti e la divisione

Intermediari, che comprende sia l'ufficio Vigilanza banche e imprese di assicurazione, sia l'ufficio Vigilanza

imprese di investimento.

La COVIP, invece, è stata istituita con decreto legislativo 124/93 e svolge le stesse funzioni della Consob e

della Banca d'Italia, ma nel settore della previdenza complementare; tuttavia, a differenza delle altre

Autorità, la Covip è sottoposta all'alta vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – che si

realizza mediante l'adozione di direttive generali, emanate di concerto con il Ministro dell'Economia e delle

Finanze.

Infine, l'IVASS, cioè l'ex-Isvap, svolge funzioni di vigilanza nei confronti delle imprese di assicurazione e

riassicurazione, e quindi viene attratto nel panorama del TUF per tutto ciò che riguardi il comparto dei

prodotti “misti” assicurativo-finanziari. Comunque, l'IVASS è presieduto dal Direttore Generale della Banca

d'Italia, è composto da un Presidente, da un Consiglio e da un Direttorio Integrato.

Comunque, ai sensi dell'articolo 2 del TUF, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Banca d'Italia e la

Consob esercitano i loro poteri in armonia con le disposizioni comunitarie dotate efficacia diretta; infatti,

l'articolo 2 non menziona le direttive – anche se l'omissione è dovuta più che altro al fatto che l'attuazione

delle direttive non dovrebbe spettare alle Autorità di Vigilanza; inoltre, è da segnalare che le disposizioni

comunitarie a cui si riferisce l'articolo 2 non siano soltanto quelle relative alla materia di riferimento, perchè

tale articolo dev'essere inteso come rinvio a tutti i possibili princìpi ricavabili dal diritto comunitario. Infatti,

l'articolo 3 stabilisce che l'azione delle Autorità debba essere conforme ai criteri di trasparenza, conoscibilità

e predeterminazione dei contenuti, precisando che la Banca d'Italia e la Consob debbano stabilire i termini e

le procedure per l'adozione dei loro provvedimenti, che sono sempre soggetti a pubblicazione in Gazzetta

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Ufficiale.

Inoltre, dato che esistono più Autorità di vigilanza, sia a livello interno, sia a livello comunitario (di cui sono

esempio: l'EBA, l'EIOPA e l'ESMA), è chiaro che debbano esistere anche degli strumenti di cooperazione;

tuttavia, questi obblighi di collaborazione devono essere coordinati con la disciplina del segreto d'ufficio,

determinando la necessità di bilanciare due esigenze contrapposte.

Pertanto: ai sensi dell'articolo 4 del TUF, i rapporti tra le Autorità di Controllo sono sottoposti ad un vero e

proprio obbligo di collaborazione, che rende del tutto inopponibile il segreto d'ufficio tra Autorità Nazionali,

e tra queste ultime e quelle degli altri Stati Membri dell'Unione Europea; e, inoltre, a seguito del

recepimento della MiFID, la Consob e la Banca d'Italia hanno la facoltà di concludere degli accordi di

collaborazione anche con Autorità di Stati Terzi.

Invece, i rapporti tra le Autorità di Controllo e i terzi sono regolati in modo diverso. Innanzitutto, per “terzi”

si devono intendere le autorità amministrative e giudiziarie, gli organi preposti alla gestione dei mercati, i

sistemi di indennizzo e i sistemi di compensazione e di regolamento. Inoltre, qui non sussiste alcun obbligo

di collaborazione, anche se lo scambio di informazioni è consentito, ma solo quando vi sia il consenso del

soggetto che le abbia fornite! Tuttavia, questa limitazione non opera quando le informazioni siano state

fornite in esecuzione di obblighi di cooperazione internazionale o quando attengano ad informazioni

comunicate nell'ambito di procedimenti di liquidazione o fallimento.

In pratica, il segreto d'ufficio è espressamente previsto solo per quanto riguarda la Consob, perchè, infatti,

l'articolo 4 stabilisce che la Consob sia tenuta ad osservare il segreto d'ufficio per tutte le notizie, le

informazioni e i dati di cui sia in possesso – ma tale segreto non vale nei confronti del Ministro

dell'Economia e delle Finanze. E, inoltre, è da considerare che la portata del segreto d'ufficio sia stata

ulteriormente ristretta dall'evoluzione della trasparenza amministrativa, che, infatti, consente il diritto di

accesso al fine di esercitare il diritto alla difesa del soggetto privato. Infine, il comma 11 dell'art.4 stabilisce

che i dipendenti della Consob siano pubblici ufficiali soggetti all'obbligo di riferire le irregolarità constatate

esclusivamente alla Commissione, e ciò anche quando queste irregolarità integrino delle ipotesi di reato.

Così, la soluzione più logica sarebbe quella per cui l'Autorità di Vigilanza avrebbe l'obbligo di segnalare i

fatti penalmente rilevanti soltanto quando siano stati adottati i provvedimenti necessari per evitare che gli

effetti della querela possano compromettere gli interessi degli investitori e dei risparmiatori. Infatti, se così

non fosse, il PM sarebbe privato della possibilità di venire a conoscenza della notizia di reato, oppure si

genererebbe un'ondata di panico tra i risparmiatori, che non potrebbe consentire una gestione ordinata della

crisi.

Capitolo 3 – la disciplina degli intermediari (la vigilanza)

Il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria articola la disciplina degli

intermediari su due livelli diversi; e il primo è composto da norme di carattere generale, che si applicano a

tutti i soggetti considerabili, quali le imprese di investimento, le società di gestione del risparmio, le SICAV

e gli agenti di cambio; mentre il secondo livello comprende norme riferibili soltanto a soggetti specifici o ad

attività particolari.

Comunque, il primo livello si compone di 3 settori, che si riferiscono: alle norme in materia di vigilanza,

alla disciplina degli esponenti aziendali e dei partecipanti al capitale e alla disciplina delle crisi.

Pertanto, le norme in materia di vigilanza attengono: alla vigilanza regolamentare, alla vigilanza

informativa e alla vigilanza ispettiva – e, l'articolo 5 del TUF affida alla Banca d'Italia i profili di vigilanza

prudenziale e alla Consob quelli relativi alla vigilanza sulla trasparenza e sulla correttezza dei

comportamenti.

Per meglio dire, la Banca d'Italia è competente per il contenimento del rischio, per la stabilità patrimoniale e

per la sana e prudente gestione; inoltre, il 5°comma dell'art.5 impone alle due autorità di operare in modo

coordinato “anche al fine di ridurre al minimo gli oneri che gravano sui soggetti abilitati”, mentre l'articolo 5

bis dispone che la Banca d'Italia e la Consob debbano anche stipulare un protocollo d'intesa, volto a

coordinare lo scambio di informazioni.

Comunque, il recepimento della MiFID ha rimodellato la disciplina della vigilanza, stabilendo che questa

debba perseguire la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario, la tutela degli investitori, la stabilità e

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il buon funzionamento del sistema finanziario, la competitività e l'osservanza delle disposizioni che si

riferiscano alla materia. In pratica, qui è fondamentale il criterio della “sana e prudente gestione” dei

soggetti, che è un criterio mutuato dall'ordinamento comunitario, che consente alle Autorità di Vigilanza di

elaborare delle valutazioni di carattere tecnico sull'idoneità dei soggetti alla prestazione dei vari servizi.

Inoltre, il termine “sana” deve essere riferito ad una gestione “condotta secondo criteri di redditività”, perchè

implica una gestione potenzialmente profittevole; mentre il criterio della prudenza va riferito ad una

gestione tendenzialmente avversa al rischio, o comunque volta al monitoraggio dei rischi nello svolgimento

delle diverse attività e servizi.

Quindi, nello specifico, la vigilanza regolamentare riguarda l'emanazione di norme secondarie nelle

materie di competenza delle Autorità di Controllo. Poi, in seguito al recepimento della MiFID, l'articolo 6

del TUF enuclea alcuni principi al riguardo, che comportano che la Banca d'Italia e la Consob debbano:

– valorizzare l'autonomia decisionale dei soggetti abilitati;

– riconoscere il carattere internazionale del mercato finanziario e salvaguardare la competitività

dell'industria italiana;

– agevolare l'innovazione e la concorrenza;

– e operare in base al criterio della proporzionalità (in base al quale, il potere esercitato dev'essere

proporzionato al fine da realizzare)

Questi principi sono generalissimi, tanto che non sembra agevole stabilire quali possano essere gli spazi per

contestarne l'effettivo rispetto; e, proprio per questo, il comma 02 è intervenuto per precisare che la Consob

e la Banca d'Italia possono prevedere o mantenere obblighi aggiuntivi solo nei casi eccezionali in cui tali

obblighi siano obbiettivamente giustificati e proporzionati, tenuto conto della necessità di far fronte a rischi

specifici che non siano puntualmente considerati dalle disposizioni comunitarie. Tuttavia, questi obblighi

aggiuntivi possono essere disposti solo quando i rischi specifici siano particolarmente rilevanti o quando

diventino evidenti in seguito all'emanazione di specifiche disposizioni comunitarie.

Pertanto, l'art.6 stabilisce che la Banca d'Italia, sentita la Consob, debba disciplinare: gli obblighi delle SIM

e delle SGR in materia di adeguatezza patrimoniale, gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di deposito e

sub-deposito degli strumenti finanziari, i criteri e i divieti nell'attività di investimento, le norme prudenziali

di contenimento e frazionamento del rischio e le modalità di redazione dei prospetti contabili delle SGR e

delle SICAV.

Invece, la Consob, sentita la Banca d'Italia, deve disciplinare gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di

trasparenza e correttezza dei comportamenti, dove la “trasparenza” include: gli obblighi informativi nella

prestazione dei servizi di investimento e nella gestione collettiva del risparmio, le modalità e i criteri da

adottare nella diffusione di comunicazioni pubblicitarie e promozionali e gli obblighi di comunicazione alla

clientela (relativi ad esempio all'esecuzione degli ordini, alla gestione di portafogli o alle operazioni con

passività potenziali); invece la “correttezza” include: gli obblighi di acquisizione delle informazioni dai

clienti, le misure necessarie per eseguire gli ordini alle condizioni più favorevoli per i clienti, gli obblighi in

materia di gestione degli ordini e le condizioni alle quali possono essere corrisposti o percepiti gli incentivi.

Infine, le materie che rientrano nell'ambito della competenza regolamentare congiunta della Consob e della

Banca d'Italia sono individuate nel comma 2 bis, e riguardano gli obblighi dei soggetti abilitati in materia di:

governo societario, continuità dell'attività, organizzazione amministrativa e contabile, procedure per la

corretta e trasparente prestazione dei servizi di investimento e della gestione del risparmio, controllo della

conformità alle norme, gestione del rischio dell'impresa, responsabilità dell'alta dirigenza e gestione dei

conflitti di interesse.

Invece, la vigilanza informativa è regolata dall'art. 8 del TUF e dall'art. 51 del TUB, e consiste nel potere di

chiedere ai soggetti abilitati la comunicazione dei dati e delle notizie nei modi e nei tempi stabiliti dalla

Consob e dalla Banca d'Italia. Poi, le richieste possono essere generiche o specifiche, fermo restando che

non si possano chiedere dati e notizie che rientrino nella sfera di competenza dell'altra autorità. Inoltre, i

membri del Collegio Sindacale sono tenuti ad informare le autorità di vigilanza solo dei fatti che possono

costituire delle irregolarità o delle violazioni, i revisori hanno il dovere di segnalare i fatti che costituiscano

una grave violazione delle norme che disciplinano l'attività delle società sottoposte a revisione, nonché il

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dovere di segnalare i fatti che possano pregiudicare la continuità dell'impresa o avere impatti negativi sul

rilascio del giudizio di certificazione.

Infine, la vigilanza ispettiva comporta la necessità di espletare delle ispezioni e di ordinare l'esibizione di

documenti; in questo caso, ognuna delle due autorità può comunicare all'altra le ispezioni che siano state

disposte, così che la seconda possa chiedere degli accertamenti su profili di propria competenza. Inoltre, in

seguito al recepimento della MiFID, il comma 1 bis prevede che la Consob possa chiedere al soggetto

incaricato della revisione legale dei conti di procedere a delle verifiche ispettive, e le relative spese possono

essere poste a carico del soggetto ispezionato.

Poi, gli interventi sui soggetti abilitati comportano che la Banca d'Italia e la Consob possano: convocare

gli amministratori, i sindaci e i dirigenti dei soggetti abilitati; ordinare la convocazione degli organi

collegiali, fissandone l'ordine del giorno; e procedere direttamente alla loro convocazione. Tuttavia,

l'articolo 7 del TUF non precisa gli argomenti che possano essere oggetto di discussione, sicché deve

ritenersi valido il criterio del riparto funzionale. Infine, è da notare che prima dell'emanazione del TUF non

esistesse una disciplina di vigilanza sul gruppo finanziario NON bancario; così, la disciplina del TUB è stata

parzialmente estesa al TUF, tanto è vero che l'articolo 11 affida alla Banca d'Italia il potere di definire la

nozione di gruppo, mentre l'articolo 12 specifica che la capogruppo debba emanare le disposizioni

necessarie per eseguire le istruzioni impartite dalla Banca d'Italia in materia di vigilanza prudenziale

(quindi, è chiaro che occorra considerare la disciplina della direzione e del coordinamento delle società,

secondo quanto disposto dagli articoli 2497 e seguenti del codice civile).

Capitolo 4 - la disciplina degli esponenti aziendali e dei partecipanti al capitale

La condizione necessaria affinché gli intermediari possano accedere al mercato finanziario consiste

nell'essere in possesso dei requisiti di professionalità e di onorabilità, dove: la professionalità risponde

all'esigenza di garantire che le attività vengano svolte da soggetti competenti e preparati, mentre l'onorabilità

risponde all'esigenza di evitare che sul mercato mobiliare possano operare dei soggetti poco affidabili.

Inoltre, gli esponenti aziendali devono essere anche dotati di indipendenza, così da ridurre il rischio di

conflitti di interesse. Pertanto, l'art. 13 del TUF affida al Ministro dell'Economia e delle Finanze il compito

di definire questi requisiti, a cui si aggiunge la disciplina delle conseguenze: infatti, se i requisiti vengono

meno successivamente al conferimento dell'autorizzazione, non si potrà ricorrere alla revoca; mentre, se la

carenza dei requisiti è di ostacolo proprio al rilascio dell'autorizzazione, potrà verificarsi la sospensione o la

decadenza.

Le considerazioni che valgono per gli esponenti aziendali valgono anche per i partecipanti al capitale degli

intermediari abilitati, ma in questo caso è richiesto solo il requisito dell'onorabilità, perché i partecipanti al

capitale non gestiscono direttamente l'impresa, e quindi non è necessario che abbiano competenza nel

settore.

Quindi, per le banche, le SIM, le SGR, le SICAV e le SICAF, è fondamentale accertare la sussistenza dei

requisiti di onorabilità dei partecipanti; e quest'accertamento si realizza in tre momenti diversi, che

consistono: nel rilascio dell'autorizzazione, nell'acquisto di partecipazioni (intese come azioni o altri

strumenti finanziari) e durante la vita normale del soggetto. In pratica, se i requisiti di onorabilità vengano

meno, l'art.14 del TUF stabilisce che non si possano esercitare né il diritto di voto né gli altri diritti

amministrativi che consentano di influire sulla società; e in caso di inosservanza, la relativa deliberazione è

impugnabile anche da parte della Consob o della Banca d'Italia. Comunque, i requisiti di onorabilità si

applicano a coloro che siano titolari di partecipazioni che comportino il controllo o un'influenza notevole

sulla società, o che attribuiscano una quota dei diritti di voto o del capitale, almeno pari al 10%. Infatti, in

questo caso, è previsto l'obbligo di darne preventiva comunicazione alla Banca d'Italia, e quest'obbligo vale

anche quando si superino le soglie del 20, 30 o 50% o quando si realizzi una variazione del controllo.

Tuttavia, è da escludere che l'omessa comunicazione o la violazione del divieto di eseguire l'operazione si

possano risolvere nell'invalidità del negozio stipulato: infatti, il legislatore ha previsto delle sanzioni

alternative, come la sospensione del diritto di voto e la vendita della partecipazione. Inoltre, sarebbe anche

possibile subordinare l'efficacia del contratto alla condizione sospensiva dell'ottenimento dell'autorizzazione,

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così che il contratto possa produrre immediatamente i propri effetti, salvo il loro venir meno nel caso in cui

la Banca d'Italia neghi l'autorizzazione.

Inoltre, l'art.17 del TUF stabilisce che la Banca d'Italia e la Consob possano richiedere delle informazioni

specifiche ai soggetti che partecipino, direttamente o indirettamente, al capitale degli intermediari – e ciò,

indipendentemente dalla soglia di partecipazione al capitale. Inoltre, il recepimento della MiFID ha anche

consentito di introdurre delle regole nuove in materia di corporate governance; infatti, il tema della

governance degli intermediari era connesso alla sussistenza del requisito della sana e prudente gestione, a

cui, tutt'al più, potevano seguire delle esortazioni (dette “moral suasions”) da parte dell'Autorità di

Vigilanza. In pratica, il nuovo testo dell'articolo 6 del TUF include la materia tra quelle che ricadono nella

competenza congiunta; infatti, il regolamento congiunto individua 3 ordini di funzioni: quella di

supervisione strategica, quelle di gestione e quelle di controllo, così da realizzare un modello bilanciato, in

cui l'assunzione delle decisioni deriva dall'incastro del momento strategico, gestionale e di controllo.

Tuttavia, questi tre momenti non devono corrispondere per forza a 3 organi distinti dell'impresa.

Capitolo 5 – i servizi e le attività di investimento

La disciplina dei servizi e delle attività di investimento è contenuta nel decreto legislativo 58/98, e risulta dal

recepimento della Direttiva MiFID (2004/39), avvenuto con il decreto legislativo 164/2007. In pratica, la

disciplina dei servizi e delle attività di investimento investe alcune importanti attività che si svolgono nel

mercato finanziario, come la negoziazione, il collocamento degli strumenti finanziari e la gestione di

portafogli.

Innanzitutto, i servizi e le attività di investimento hanno ad oggetto gli strumenti finanziari, dove la nozione

di strumento finanziario è quella che ha sostituito la precedente nozione di “valore mobiliare”. La

differenza sta nel fatto che mentre la definizione del valore mobiliare era molto vaga, quella di strumento

finanziario si evince da un elenco di strumenti finanziari, che può essere ampliato solo allorché il Ministro

dell'Economia e delle Finanze ne individui di nuovi.

Per meglio dire: i prodotti finanziari comprendono gli strumenti finanziari e ogni altra forma di

investimento di natura finanziaria (da ciò si comprende che gli strumenti finanziari appartengano al

genere del prodotti finanziari, senza però esaurire la categoria). Pertanto, il prodotto finanziario è

necessariamente una forma di investimento e deve avere per forza natura finanziaria: quindi, si deve negare

di essere in presenza di un prodotto finanziario se non ci sia un impiego di risorse diretto al conseguimento

di un corrispettivo.

Comunque, il 1°comma dell'articolo 2 del TUF comprende due gruppi di strumenti finanziari, perchè,

infatti, nel primo gruppo rientrano le attività finanziarie estrinseche, mentre nel secondo rientrano le attività

finanziarie intrinseche (cioè, delle forme di investimento costitutive di strumenti derivati). In altre parole, il

primo gruppo comprende:

1. i valori mobiliari (cioè, categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali,

come le azioni o altri titoli equivalenti, le obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i relativi

certificati di deposito);

2. gli strumenti del mercato monetario (che consistono in strumenti che normalmente vengono

negoziati sul mercato monetario, come i buoni del tesoro, i certificati di deposito e le carte

commerciali);

3. e le quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio (OICR)

In pratica, quest'elenco non è del tutto chiuso, proprio perché si presta a ricomprendere nuove categorie di

strumenti finanziari, assimilabili a quelli espressamente citati. Inoltre, il tratto comune qui è dato dalla

negoziabilità sul mercato dei capitali – e quindi: se un titolo è intrasferibile non può essere uno strumento

finanziario, mentre se ci sono dei semplici limiti al trasferimento (come le clausole di prelazione o di

gradimento), il titolo è, e resta, uno strumento finanziario.

Invece, nel secondo gruppo emergono gli strumenti derivati, cioè degli strumenti che sono potenzialmente

rinvenibili sul mercato dei capitali e che presentano determinati indici di “finanziarietà”. In sostanza, i

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derivati sono contratti il cui valore dipende dall'andamento dell'attività sottostante, e possono essere

negoziati nei mercati regolamentati oppure "Over the Counter", cioè al di fuori di tali mercati. Pertanto,

l'attività sottostante è la variabile da cui dipende il prezzo di uno strumento derivato, e può avere natura

finanziaria (di cui sono esempio: i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici di borsa) o reale

(come il caffè, il cacao, l'oro, il petrolio, ecc).

Gli strumenti finanziari derivati possono essere simmetrici o asimmetrici. Nel primo caso entrambi i

contraenti (acquirente e venditore) si impegnano ad eseguire una prestazione alla data di scadenza, mentre

nei derivati asimmetrici, soltanto il venditore resta obbligato a soddisfare la

volontà del compratore; quindi, nei derivati asimmetrici il compratore paga un premio, grazie al quale

acquista il diritto di decidere successivamente se eseguire o meno la compravendita dell'attività sottostante.

In Italia, il mercato regolamentato degli strumenti derivati è

denominato IDEM ed è gestito da Borsa Italiana S.p.A, in cui circolano strumenti come i futures, le opzioni

e i warrant; mentre i derivati OTC sono negoziati bilateralmente al di fuori dei mercati regolamentati, per

cui i contraenti possono stabilire liberamente tutte le caratteristiche dello strumento. Inoltre, un elemento

fondamentale dei contratti derivati consiste nella scadenza: e, ad esempio, i contratti su derivati azionari

negoziati sull'Idem scadono sempre il 3°venerdì del mese di scadenza, alle ore 9:05.

Infine, questi contratti hanno 3 finalità: di protezione, di speculazione e di arbitraggio; e la differenza tra la

speculazione e l'arbitraggio sta nel fatto che: nella speculazione, si negozia lo stesso bene, sullo stesso

mercato, a prezzo differente ma in momenti diversi (quindi, rileva il fattore tempo); mentre, nell'arbitraggio

si negozia lo stesso bene, su mercati diversi e nello stesso momento (quindi, rileva il fattore luogo).

Comunque, gli strumenti del secondo gruppo possono essere raggruppati in 3 classi:

1. i derivati finanziari (che sono dei contratti che hanno come “sottostante” delle attività, dei tassi di

interesse, dei valori mobiliari o delle misure finanziarie; e ne sono esempio: i contratti standardizzati,

i contratti swap, i contratti di opzione e i contratti a termine);

2. i derivati su merci (che, invece, hanno come “sottostante” le merci, intese come qualsiasi bene che

possa formare oggetto di scambio; tuttavia, questi contratti sono inquadrabili negli strumenti

finanziari solo se la loro funzione sia prevalentemente finanziaria. Ad esempio, la lettera e include i

derivati connessi a merci, il cui regolamento avvenga attraverso il pagamento di differenziali in

contanti o a discrezione di una delle parti - perchè in questo caso, la merce assume un valore di

finanziarietà; oppure, la lettera f include i derivati connessi a merci, il cui regolamento può avvenire

attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati o su un mercato regolamentato o in un

sistema multilaterale di negoziazione; o, infine, la lettera g include i derivati con scopi non

commerciali, il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante - e qui la

finanziarietà sta nello scopo del contratto. Ovviamente, per "differenziale" si deve intendere la

differenza di prezzo tra il valore attuale del sottostante e il valore pattuito nel contratto, e si genera

alla scadenza del contratto derivato, per cui è chiaro che il differenziale possa essere positivo o

negativo.)

3. e i derivati esotici (che sono degli strumenti derivati diversi da quelli delle prime due categorie, e

che sono stati introdotti con il recepimento della MiFID. In pratica, fanno parte di questa categoria:

gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, i contratti finanziari differenziali, i

derivati che utilizzano come sottostante delle variabili e delle statistiche – il cui regolamento avviene

attraverso differenziali in contati o a discrezione di una delle parti – ed altri contratti derivati,

connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure diversi da quelli precedentemente indicati. In altre

parole, qui la finanziarietà del contratto deriva dal fatto che quest'ultimo sia regolato per

differenziale, sia negoziato su un mercato regolamento o su un sistema multilaterale, sia eseguito

mediante stanze di compensazione o soggetto a richiami di margini. Inoltre, nel 2010 è stato previsto

che siano contratti finanziari differenziali anche i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a

transazioni commerciali e regolati per differenza – cioè, i cosiddetti rull-over).

Le principali tipologie di contratti derivati consistono in: opzioni, forward, futures, swap e derivati di

credito. E pertanto:

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Le opzioni sono contratti derivati asimmetrici che attribuiscono al compratore il diritto di acquistare o

vendere un'attività sottostante entro una certa data e ad un prezzo prestabilito. Gli elementi caratteristici

dell'opzione consistono nel sottostante (che può essere una merce o una qualsiasi attività finanziaria, reale o

esotica), nella facoltà (perchè il possessore ha la facoltà di acquistare o vendere il sottostante, realizzando

rispettivamente delle opzioni call o delle opzioni put, che potranno assumere un valore positivo o nullo, ma

non negativo) e nel prezzo di esercizio (detto strike price), che rappresenta il prezzo al quale il possessore

dell'opzione può acquistare o vendere l'attività sottostante. In corrispondenza della data di scadenza, il valore

dell'opzione coincide con il suo valore intrinseco, mentre nei momenti precedenti il valore dell'opzione è

dato dalla somma tra il valore intrinseco e il valore temporale.

Le opzioni europee si caratterizzano per il fatto che il loro possessore abbia il diritto di decidere se esercitare

o meno la facoltà di acquisto o vendita in corrispondenza della data del contratto - e questo comporta che le

opzioni europee abbiano sempre un valore inferiore rispetto alle opzioni americane, perchè la facoltà

dell'acquirente è più limitata da un punto di vista temporale. Di contro, le opzioni americane si

caratterizzano proprio per il fatto che il loro possessore possa decidere di esercitare la facoltà in qualsiasi

momento, anche se non è quasi mai conveniente esercitare l'opzione americana di tipo call prima della sua

scadenza, perchè se non lo fa può mantenere due benefici: cioè, può posticipare il giorno in cui dovrà

versare il prezzo di esercizio e può conservare l'elemento assicurativo tipico di ogni opzione. Quindi, l'unica

è eccezione è rappresentata dall'opzione americana "call" scritta su un titolo che paghi dividendi, perchè se il

valore del dividendo supera una certa soglia, al possessore sarà conveniente esercitare l'opzione ed incassare

sia il titolo sottostante che il dividendo. Infine, le opzioni asiatiche sno meno costose di quelle tradizionali,

perchè il calcolo della media tende a diminuire la volatilità del prezzo sottostante.

I contratti forward (cioè a termine fermo) sono contratti derivati simmetrici con cui due parti si accordano

per scambiarsi una certa attività, in una data futura e ad un prezzo che viene fissato già al momento della

conclusione del contratto. In sostanza, è un contratto di compravendita a termine, che viene negoziato OTC.

Invece, i contratti future sono contratti derivati simmetrici, standardizzati e negoziati sui mercati

regolamentati; e sono contratti con cui le parti si impegnano a scambiarsi una determinata quantità di una

certa attività sottostante, ad un prezzo prestabilito e con liquidazione differita ad una data futura.

Lo swap, invece, è un contratto derivato simmetrico, con cui due soggetti si impegnano a scambiarsi

periodicamente delle somme di denaro, che vengono calcolate applicando al capitale "nozionale" due diversi

parametri, riferibili a due diverse variabili di mercato.

Infine, i derivati di credito sono strumenti che permettono il trasferimento del rischio di credito da un

soggetto all'altro; in pratica, hanno la funzione di gestire il rischio associato ad una certa attività (come un

prestito), senza però cedere l'attività stessa. E, inoltre, si scinde il rischio di credito anche da altre tipologie

di rischio (come il rischio di interesse, che consiste nell'eventualità che i tassi di mercato si muovano in

direzione svantaggiosa per il creditore). Vengono negoziati OTC.

I servizi e le attività di investimento consistono nella negoziazione per conto proprio, nell'esecuzione di

ordini per conto dei clienti, nella sottoscrizione o nel collocamento con assunzione a fermo o con assunzione

di garanzia nei confronti dell'emittente, nel collocamento senza assunzione, nella gestione di portafogli,

nella ricezione e trasmissione di ordini, nella consulenza in materia di investimenti e nella gestione di

sistemi multilaterali di negoziazione.

Pertanto, la negoziazione per conto proprio ha ad oggetto l'acquisto e la vendita di strumenti finanziari, in

cui l'operazione ha luogo “in contropartita diretta”, cioè incide direttamente sul patrimonio

dell'intermediario; inoltre, la negoziazione ha comunque ad oggetto la conclusione di operazioni in relazione

agli ordini dei clienti, tanto è vero che che nella negoziazione per conto proprio rientra anche l'attività svolta

dal cosiddetto market maker, che è un soggetto che si obbliga a rispettare determinati livelli minimi di

attività, impegnandosi a trasmettere sul mercato un determinato quantitativo di proposte di negoziazione

entro certi parametri temporali.

Invece, l'esecuzione di ordini per conto dei clienti (detta anche “negoziazione per conto terzi”) consiste

nella ricerca di una o più controparti, in vista dell'esecuzione di un'operazione di acquisto o vendita di un

determinato strumento finanziario – e, in tale attività, l'intermediario non impegna posizioni proprie, e

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quindi gli effetti dell'operazione non ricadono nel suo patrimonio. Comunque, la differenza rispetto al

collocamento sta nel fatto che l'attività di negoziazione non deve svolgersi necessariamente sui mercati

regolamentati, ma, anzi, di solito si svolge proprio sui mercati secondari, perchè ha ad oggetto degli

strumenti finanziari già emessi, e la ricerca delle controparti avviene in vista dell'acquisto o della vendita –

mentre nel collocamento, l'offerta ha ad oggetto la vendita o la sottoscrizione degli strumenti finanziari.

Infatti, i servizi di collocamento si sostanziano nell'offerta di strumenti finanziari ad una cerchia di possibili

investitori, dove l'offerta avviene sulla base di un accordo preesistente, che intercorre tra l'intermediario-

collocatore e il soggetto che emetta o venda gli strumenti finanziari. Quindi, il servizio di collocamento può

avere ad oggetto anche la sottoscrizione (cioè, è un servizio che può svolgersi anche sul mercato primario) e,

inoltre, l'offerta avviene per forza a condizioni standardizzate, nell'ambito dello svolgimento di

un'operazione di massa. Infine, se il collocatore si accolla il rischio del mancato collocamento degli

strumenti finanziari, possono configurarsi due ipotesi; e cioè: o il collocatore assume l'impegno di acquisire

gli strumenti finanziari che non è riuscito a collocare, oppure acquisisce immediatamente gli strumenti,

assumendo l'impegno di offrirli a terzi ( = e questa ipotesi si chiama “assunzione a fermo”).

La gestione di portafogli, invece, consiste nella gestione di portafogli di investimento, su base individuale e

nell'ambito di un mandato conferito dai clienti. In pratica, i tratti distintivi di questo servizio consistono

nell'individualizzazione e nella discrezionalità; infatti, l'investitore affida all'intermediario un patrimonio

specifico, che resta distinto sia dal patrimonio dell'intermediario, sia da quello di altri investitori – il che

presuppone che vi sia un rapporto personale tra le due parti; e, inoltre, lo svolgimento dell'attività è

caratterizzato da margini spesso molto ampi, e questo comporta che il gestore non riceva degli ordini

specifici da parte del cliente. Inoltre, il portafoglio di investimenti può comprendere anche beni e attività

diversi dagli strumenti finanziari, purché sia composto prevalentemente da strumenti finanziari. Infine, la

differenza rispetto alla gestione collettiva del risparmio sta nel fatto che in quest'ultima emerge una struttura

soggettiva trilaterale (tra l'investitore, il gestore e la banca depositaria), e, inoltre, la gestione avviene

nell'interesse di una massa indifferenziata di investitori – il che spiega perchè il singolo investitore non

possa ordinare o richiedere al gestore di eseguire delle operazioni specifiche.

Ancora, la ricezione e la trasmissione di ordini consiste in un servizio che comprende anche un'attività di

mediazione tra due o più investitori, ed è particolarmente utile quando l'intermediario intenda eseguire delle

operazioni su mercati in cui non è autorizzato ad operare.

Invece, la consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di raccomandazioni

personalizzate, nei confronti di un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio,

riguardo una o più operazioni relative ad uno specifico strumento finanziario.

Infine, la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione è un'attività di investimento (e non un servizio)

che si riferisce a sistemi che consentono l'incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita, così da

pervenire a dei contratti specifici.

A tutto ciò, si aggiungono i servizi accessori (di cui sono esempio: i servizi di custodia e amministrazione di

strumenti finanziari, i servizi di locazione di cassette di sicurezza e i servizi di concessione di

finanziamenti), che possono essere svolti anche da soggetti non abilitati; più precisamente, le banche e le

SIM sono autorizzate a prestare tutti i servizi accessori, mentre le SGR possono svolgerne solo alcuni.

Inoltre, gli intermediari abilitati sono tenuti ad osservare delle regole di comportamento e dei vincoli più

stringenti rispetto ai soggetti non abilitati.

Capitolo 6 – riserva di attività e accesso

La MiFID è la direttiva UE 2004/39, e ha costituito un passo importante verso la costruzione di un mercato

finanziario integrato, perché aveva come obiettivi: la tutela differenziata degli investitori (a seconda del

grado di esperienza finanziaria), il rafforzamento dei meccanismi concorrenziali (con l'abolizione

dell'obbligo di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati) e il miglioramento dei sistemi di

governance delle imprese di investimento. Inoltre, la MiFID segue il metodo "Lamfalussy", che prevede 4

livelli regolamentari - e la MiFID corrisponde al primo di questi livelli proprio perché enuclea i principi

generali; poi, alla MiFID hanno fatto seguito la direttiva di secondo livello (la MiFID 2, 2006/73) e il

regolamento attuativo 1287, che contengono le misure tecniche necessarie per implementare e rendere

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operativo il quadro definito dalla MiFID, che si applica agli intermediari, alle trading venues e ai soggetti

che forniscano servizi di consulenza finanziaria.

Comunque, in base a quanto previsto dalla MiFID, l'accesso alla prestazione dei servizi e delle attività di

investimento dev'essere subordinato ad un'autorizzazione, rilasciata dalle Autorità competenti dei singoli

Stati Membri. Però, le norme europee prevedono anche la possibilità che le imprese di investimento possano

prestare i loro servizi anche negli altri Stati Membri dell'Unione, ed analoghi princìpi valgono anche per le

banche. Quindi, se ne deduce che l'accesso avvenga secondo modalità diverse, a seconda che il soggetto sia

una banca o un'impresa d'investimento, e a seconda che il soggetto sia italiano o estero. Inoltre, il TUF

stabilisce che tali prestazioni possano essere eseguite anche da altri soggetti, come: le SGR, le SGA (società

di gestione armonizzate), i gestori di FIA, le società finanziarie di cui all'art.106 del TUB, gli agenti di

cambio, i consulenti finanziari, le società fiduciarie iscritte nella sezione speciale dell'albo delle Sim e le

società di gestione dei mercati regolamentati.

La riserva di attività in materia di servizi e attività di investimento si rinviene nell'articolo 18 del TUF, ai

sensi del quale, l'esercizio professionale nei confronti del pubblico è riservato alle imprese di investimento e

alle banche – dove: le imprese di investimento comprendono le SIM, mentre le banche possono essere

italiane o estere autorizzate; ed entrambe sono intermediari a capacità multipla, in grado di svolgere

un'ampia gamma di servizi e attività finanziarie, che vanno al di là dei meri servizi d'investimento.

Comunque, la riserva non è assoluta, perché, da un lato, attiene esclusivamente a servizi a cui si può

ricorrere “solo a determinate condizioni”, e perché, dall'altro, le banche e le SIM “condividono la riserva con

altri soggetti”.

L'articolo 18 richiede 2 condizioni affinché scatti la riserva di attività, che consistono: nello svolgimento

professionale e nell'esercizio nei confronti del pubblico. La ragione sta nel fatto che un servizio sporadico

o che esaurisca i propri effetti all'interno non potrebbe giustificare la sottoposizione del prestatore a controlli

penetranti e a regole pervasive. Pertanto, lo svolgimento professionale implica che l'attività debba essere

sistematica ed abituale, mediante la predisposizione di schemi organizzativi idonei per lo svolgimento

dell'attività: e quindi, sono esclusi dalla riserva i servizi prestati in via occasionale ed accessoria, senza

predisposizione di schemi organizzativi idonei; nonché i soggetti che prestino occasionalmente e a titolo

accessorio un servizio di investimento. Inoltre, dato che l'esercizio dev'essere svolto nei confronti del

pubblico, sono esclusi dalla riserva anche i servizi prestati da imprese esclusivamente verso altre imprese

controllanti, controllate o collegate.

Nello specifico:

1) Le SIM devono ottenere un'autorizzazione amministrativa dalla Consob (sentita la Banca d'Italia)

per poter avere accesso ai servizi e alle attività di investimento. Inoltre, per il rilascio è richiesto: che

il soggetto abbia la forma di una S.p.A, che la denominazione sociale includa le parole “società di

intermediazione mobiliare”, che la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della

Repubblica, che il capitale versato sia almeno pari a quello determinato dalla Banca d'Italia, che sia

presentato un programma concernente tutti gli aspetti organizzativi, che i soggetti che svolgano

funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano in possesso dei requisiti di professionalità e

onorabilità, che i partecipanti al capitale abbiano i requisiti di onorabilità stabiliti e che la struttura

del gruppo (di cui la società sia parte) non sia tale da pregiudicare l'effettivo esercizio della vigilanza.

Comunque, è da specificare che il rilascio dell'autorizzazione è subordinato sia all'effettivo ricorrere

di queste condizioni, sia al fatto che risulti garantita la sana e prudente gestione del soggetto, così da

assicurare la capacità dell'impresa nel corretto esercizio.

Inoltre, durante l'istruttoria, la Consob può chiedere ulteriori informazioni “a qualunque soggetto, anche

estero”; e, inoltre, dopo 120 giorni vale il meccanismo del silenzio-assenso, fermo restando che

l'autorizzazione possa poi venir meno per decadenza, rinuncia o revoca. E, nello specifico: la decadenza si

verifica quando le Sim non diano inizio allo svolgimento di ogni singolo servizio entro 12 mesi

dall'autorizzazione o quando la Sim non svolga un determinato servizio da almeno 12 mesi. Invece, la

rinuncia dev'essere autorizzata preventivamente dalla Consob, sentita la Banca d'Italia, perchè l'interruzione

del servizio può pregiudicare gli interessi degli investitori.

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Comunque, le Sim sono ammesse al beneficio del mutuo riconoscimento in ambito comunitario, e, pertanto,

possono operare sia in uno Stato Membro che in uno Stato Extracomunitario – e, in quest'ultimo caso, la Sim

deve comunicare tale intenzione alla Banca d'Italia, che provvederà a notificarla alle Autorità competenti

dello Stato Terzo.

2) Le imprese di investimento comunitarie possono svolgere i servizi e le attività di investimento

anche in Italia, nei confronti di investitori italiani, previa autorizzazione e mediante l'apertura di

succursali o in regime di libera prestazione dei servizi – e l'apertura del primo insediamento è sempre

preceduto da una comunicazione dell'Autorità estera competente nei confronti della Consob.

3) Invece, le imprese di investimento extracomunitarie sono soggette ad un regime separato, che

opera a condizione di reciprocità, nei limti consentiti dagli accordi internazionali e da apposite intese

tra la Consob, la Banca d'Italia e l'Autorità dello Stato d'Origine.

4) Ancora, le banche hanno accesso ai servizi di investimento in modo completamente diverso, perchè,

infatti, in questo caso prevale la disciplina bancaria (e, quindi, l'autorità competente al rilascio

dell'autorizzazione è la Banca d'Italia); mentre gli altri intermediari abilitati sono soggetti a regole

specifiche; ad esempio: per le SGR, l'autorizzazione viene rilasciata dalla Banca d'Italia (sentita la

Consob), le Poste Italiane S.p.A sono autorizzate a svolgere alcuni servizi di investimento anche

senza necessità di iscrizione in appositi albi, e le società di gestione dei mercati regolamentati che

intendono svolgere anche attività di gestione di sistemi multilaterali di negoziazione sono autorizzate

solo dalla Consob.

5) Infine, i consulenti finanziari possono accedere alla prestazione del servizio quando siano iscritti in

un apposito elenco, e spetta alla Consob il compito di enucleare le regole di condotta che i consulenti

debbano osservare nel rapporto con i clienti; comunque, l'inclusione della consulenza finanziaria nel

novero dei servizi e attività di investimento ha introdotto un elemento di asimmetria nel sistema,

perchè, da un lato, la consulenza viene sottoposta a regole di condotta più stringenti, ma, dall'altro, il

suo esercizio viene consentito anche a soggetti in possesso di requisiti ridotti.

Nota Bene: Lo svolgimento abusivo dei servizi e delle attività di investimento costituisce un reato, punito

dall'art.166 del TUF con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, a cui si aggiunge una multa.

Capitolo 7 – regole di condotta e di organizzazione interna

Grazie alla MiFID, sono state introdotte delle regole comuni, volte a garantire la massima armonizzazione

anche nel campo delle regole di condotta che devono essere osservate. In pratica, la struttura delle regole di

comportamento si articola su 2 livelli, di cui il primo contiene i criteri generali applicabili a tutti i servizi.

L'articolo di riferimento è il 21 del TUF, che impone:

– obblighi generali di correttezza, diligenza e professionalità;

– obblighi informativi;

– norme attinenti all'organizzazione interna;

– e regole in materia di conflitto di interessi.

Gli obblighi generali di correttezza e diligenza impongono all'intermediario di “servire al meglio

l'interesse dei clienti” e di “rispettare l'integrità dei mercati”, così da assicurare un comportamento

funzionale, efficiente e trasparente nel mercato dei capitali.

Gli obblighi informativi, invece, sono necessari per assicurare la massima trasparenza sia nell'acquisizione

delle informazioni dai clienti sia nell'inoltro di informazioni adeguate a questi ultimi. Per cui, innanzitutto, le

informazioni devono sempre essere chiare, corrette e non fuorvianti; in secondo luogo, gli intermediari

devono fornire al cliente delle informazioni appropriate, affinché questi possano comprendere la natura del

servizio di investimento, il tipo specifico di strumento finanziario, e i rischi ad esso connessi, così da

prendere le decisioni in modo consapevole. Inoltre, al cliente devono essere fornite puntuali informazioni

sull'intermediario, sulla salvaguardia del patrimonio del cliente stesso, sulle caratteristiche del tipo specifico

di strumento finanziario di riferimento e sui costi ed oneri del servizio.

Gli obblighi organizzativi, invece, stabiliscono che l'intermediario debba disporre di risorse e procedure –

anche di controllo interno – idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attività. Pertanto,

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il controllo interno si articola in 3 aree distinte, che sono: il controllo di conformità (compliance), l'attività di

internal audit e l'attività di risk management - che sono rispettivamente volte: alla verifica dell'adeguatezza

e dell'efficacia delle procedure interne, alla funzione di gestione dei rischi a cui sia esposto l'intermediario e

alla verifica dell'adeguatezza dei sistemi, dei processi, delle procedure e dei meccanismi dell'intermediario.

Infine, le regole in materia di conflitto di interessi sono state introdotte nella consapevolezza che il rischio

di conflitti non possa essere eliminato; pertanto, al fine di disciplinare questo fenomeno, il comma 1 BIS

dell'art.21 del TUF stabilisce che gli intermediari debbano adottare ogni misura ragionevole per identificare i

potenziali conflitti di interesse, così da gestirli attraverso idonee misure organizzative ed evitare che possano

incidere negativamente sugli interessi dei clienti; inoltre, quando non sia possibile eliminare quest'incidenza

negativa, gli intermediari devono anche informare adeguatamente i clienti prima di agire per conto di questi

ultimi.

Comunque, nel caso dell'identificazione dei conflitti si deve ricorrere ad un'autoanalisi da parte del

soggetto intermediario, e quest'analisi deve riguardare sia la propria attività, sia quella dei soggetti rilevanti e

dei soggetti con cui si intrattengano dei rapporti di controllo. In pratica, ne deriva l'obbligo di elaborare una

politica di gestione dei conflitto, così da realizzare una procedura scritta, in cui il criterio cardine è sempre

quello dell'indipendenza dei soggetti coinvolti.

Quindi, gli intermediari devono sempre chiedersi se essi, un soggetto rilevante o un soggetto avente con essi

un legame di controllo:

– possano realizzare un guadagno finanziario o evitare una perdita a danno del cliente;

– se siano portatori di un interesse diverso da quello del cliente;

– se abbiano un incentivo a privilegiare interessi di clienti diversi;

– se svolgano la medesima attività del cliente;

– e se ricevano (o possano ricevere) un incentivo da una persona diversa dal cliente, dove l'incentivo

sia diverso dalle commissioni o dalle competenze che normalmente vengono percepite per il servizio

di riferimento.

In pratica, nella gestione dei conflitti si assiste ad una svalutazione del ruolo della trasparenza, a vantaggio

dei presìdi organizzativi interni; tuttavia, se questi ultimi non sono efficaci, diventa necessaria la

“disclosure” (cioè la divulgazione delle informazioni), che però non esonera l'intermediario da responsabilità

per il fatto di aver operato in situazioni di conflitto di interessi.

Infine, l'art.26 del Regolamento Congiunto attua la regola comunitaria che prevede l'obbligo di istituire un

registro in cui annotare le situazioni di conflitto maggiormente pericolose, ma non è chiaro se questo registro

sia effettivamente d'aiuto nella gestione del conflitto; anzi, la disciplina è piuttosto opaca, anche perchè la

situazione di conflitto viene resa nota all'investitore solo in casi estremi.

Comunque, nell'ambito della disciplina della condotta degli intermediari spiccano anche alcune regole che

assumono una portata “caratterizzante”, e che consistono nell'adeguatezza, nell'appropriatezza e nella best

execution. In pratica:

La disciplina dell'adeguatezza fu introdotta con la legge 1/91, e la sua portata è stata oggetto di numerosi

precedenti giurisprudenziali soprattutto nell'ambito del contenzioso sul “risparmio tradito”; comunque, in

sostanza, l'adeguatezza implica che l'intermediario abbia il divieto di effettuare o consigliare operazioni che

non siano adeguate al profilo dell'investitore. La MiFID ha rafforzato questa regola, rendendola inderogabile

(nel senso che l'intermediario non può eseguire un'operazione inadeguata nemmeno nel caso in cui

l'investitore glielo ordini espressamente!); tuttavia, la regola dell'adeguatezza non ha più portata generale,

perchè adesso è applicabile solo al servizio di gestione di portafogli e al servizio di consulenza. Comunque,

per adempiere gli intermediari devono acquisire determinate informazioni dai clienti; cioè, devono: sapere

se questi abbiano esperienza nel settore di riferimento, devono conoscere la loro situazione finanziaria e

devono sapere gli obiettivi di investimento. Infatti, senza queste informazioni, l'intermediario non può

prestare il servizio (mentre prima della MiFID poteva valutare se l'operazione potesse comunque

considerarsi adeguata). D'altro canto, l'intermediario non deve valutare la veridicità delle informazioni, ma

deve verificare che non siano palesemente inesatte, incomplete o superate (perchè, in quel caso, dovrà

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integrarle e aggiornare il profilo dell'investitore).

Invece, la regola dell'appropriatezza si riferisce a servizi diversi dalla consulenza e dalla gestione, ed

implica un giudizio che si basa soltanto sull'esperienza e la conoscenza dell'investitore. Cioè, il giudizio di

appropriatezza non insiste sugli obiettivi di investimento. Inoltre, se l'operazione non sia appropriata,

l'intermediario è tenuto solo ad informare l'investitore ma non è sottoposto al divieto di operare.

Comunque, nella prestazione dei servizi, la MiFID ha anche previsto una zona franca, rappresentata dai

servizi prestati in modalità “execution only”: infatti, in questo caso, l'intermediario si limita a dare

esecuzione agli ordini trasmessi, senza obbligo di richiedere informazioni. Tuttavia, questa modalità è

possibile solo quando i servizi abbiano ad oggetto degli strumenti finanziari non complessi (come le azioni

quotate e le obbligazioni), quando il servizio sia richiesto dal cliente, quando il cliente sia consapevole del

fatto che l'intermediario non è tenuto a valutare l'appropriatezza dell'operazione e quando l'intermediario

rispetti gli obblighi in materia di conflitti di interesse.

Infine, la MiFID ha riformulato la regola di best execution, cioè la regola che impone agli intermediari di

ottenere le migliori condizioni possibili. Inizialmente, questa regola era stata concepita come forma di tutela

dell'investitore, ma finiva con l'essere snaturata dal fatto che assolvesse principalmente la funzione di

garantire la concentrazione degli scambi nei mercati regolamentati. Ovviamente, con l'eliminazione della

concentrazione si sono originate diverse trading venues che operano su piani paritetici, e questo implica che

le condizioni di miglior esecuzione debbano manifestarsi rispetto alle diverse sedi (= venues) a cui

l'intermediario ha accesso. Per meglio dire, gli intermediari hanno l'obbligo di elaborare una procedura

scritta che identifichi la strategia di esecuzione degli ordini.

Quindi, è chiaro che lo scopo sia quello di ottenere il miglior risultato possibile per il cliente, avendo

riguardo a prezzi, costi, rapidità e natura dell'ordine. Inoltre, gli intermediari devono adottare una strategia

finalizzata ad individuare (per ogni categoria di strumenti finanziari) tutte le sedi di esecuzione che

permettano di mantenere il miglior risultato nel corso del tempo; poi, se l'ordine viene eseguito per conto di

un cliente al dettaglio, la selezione delle venues va fatta sulla base del corrispettivo totale (= prezzo dello

strumento + tutti i costi di esecuzione).

Comunque, dev'essere osservato che, in realtà, la best execution non corrisponde affatto alla migliore

esecuzione possibile, ma solo alla miglior esecuzione che l'intermediario sia in grado di ottenere nell'ambito

della cerchia di venues che abbia preselezionato.

La disciplina degli incentivi = la MiFID ha modificato la disciplina degli incentivi, che oggi ha una

dimensione autonoma ed indipendente dai conflitti di interesse. In pratica, la percezione o il pagamento di

incentivi (come le commissioni di retrocessione) può incidere negativamente sul dovere dell'intermediario,

che potrebbe essere indotto ad agire in modo controproducente per il cliente. In altre parole, gli incentivi di

regola sono vietati, a meno che non rientrino nelle eccezioni ammesse dalla Direttiva, di cui fanno parte i

costi di custodia, i prelievi obbligatori e le spese legali; tuttavia, nelle eccezioni rientrano anche i “compensi,

le commissioni o le prestazioni non monetarie, pagati o forniti da un terzo o da chi agisca per conto di

questi”; in quest'ultimo caso, però, tutto ciò che riguardi la loro natura e il loro importo deve essere

comunicato al cliente in modo chiaro, completo e accurato PRIMA della prestazione del servizio; e, inoltre,

il pagamento dev'essere rivolto a migliorare la qualità del servizio fornito al cliente e non deve ostacolare

l'adempimento degli obblighi dell'intermediario. Comunque, questa disciplina ha messo in discussione

numerose forme di remunerazione degli intermediari, delineando profili di dubbia legittimità; tuttavia, a ben

vedere, la disciplina degli incentivi ha soltanto lo scopo di evitare che le remunerazioni avvengano in modo

non trasparente.

La disciplina dei contratti = per quanto riguarda la disciplina dei contratti, l'articolo 23 del TUF stabilisce

l'obbligo di adottare la forma scritta ad substantiam (ad eccezione del contratto avente ad oggetto il servizio

di consulenza), che però può essere derogata “per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura

professionale dei contraenti”. Inoltre, la Consob ha disposto che il contratto con l'investitore debba:

specificare i servizi forniti, stabilire il periodo di efficacia e le modalità di modifica e rinnovo, indicare le

modalità attraverso le quali l'investitore possa impartire ordini, prevedere la frequenza e i contenuti del

rendiconto dell'attività svolta, indicare le remunerazioni spettanti all'intermediario ed indicare le eventuali

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procedure di conciliazione e arbitrato per la soluzione stragiudiziale di possibili controversie.

Poi, le imprese di investimento e le banche possono agire in nome proprio, ma per conto del cliente, previa

consenso scritto da parte di quest'ultimo.

Inoltre, le regole sulla disciplina dei comportamenti degli intermediari possono essere graduate in

funzione della natura dell'investitore, perchè trattare un investitore professionale alla stessa stregua di un

cliente inesperto significa, di fatto, applicare delle regole inutili e svantaggiose per ambo le parti. Pertanto,

se il cliente è un soggetto esperto, è possibile disapplicare alcune regole di condotta. In pratica, i clienti

possono essere distinti in: clienti al dettaglio, clienti professionali e controparti qualificate, dove: le

controparti qualificate sono tutti i soggetti che operino professionalmente sul mercato dei capitali con

riferimento alla prestazione dei servizi di cui alle lettere a), b) ed e) del 5°comma dell'articolo 1 del TUF;

mentre, per tutti gli altri servizi, il cliente potrà essere trattato come cliente professionale. Inoltre, i clienti

professionali possono essere suddivisi in 2 categorie: i clienti professionali di diritto e i clienti che possono

essere considerati tali dietro richiesta. E quindi, ad esempio, sono clienti professionali di diritto:

– le banche, le imprese di assicurazione, gli organismi di investimento collettivo;

– gli investitori istituzionali che abbiano come attività principale quella di investire in strumenti

finanziari;

– e le grandi imprese che presentino almeno due requisiti dimensionali tra: un totale di bilancio pari a

20 milioni, un fatturato netto di 40 milioni e fondi propri per 2 milioni.

Negli altri casi, dietro richiesta del cliente, l'intermediario avrà l'onere di accertare l'esperienza del cliente

sulla base di alcuni indici, stabiliti dall'Allegato 3 del Regolamento Intermediari, che prevede anche la

possibilità che il cliente possa chiedere di essere trattato diversamente dalla sua destinazione “naturale”.

Quando gli intermediari affidino ad un terzo l'esecuzione di funzioni essenziali o l'esecuzione di servizi e

attività di investimento, si realizza l'esternalizzazione di funzioni (detta outsourcing), che deve avvenire

sulla base di misure ragionevoli, volte ad impedire un aumento dei rischi connessi alla prestazione dei

servizi di investimento e la deresponsabilizzazione dell'intermediario.

La separazione patrimoniale = L'articolo 22 del TUF sancisce il principio della separazione patrimoniale

per tutti gli strumenti finanziari e le somme di denaro che gli intermediari detengano per la prestazione dei

servizi di investimento e dei servizi accessori. In pratica, gli strumenti finanziari dei singoli clienti

costituiscono un patrimonio autonomo e separato da quello dell'intermediario e degli altri clienti – e l'unica

eccezione a questa regola è quella del deposito bancario, in cui la banca acquista la proprietà del denaro

depositato dalla clientela, pur essendo obbligata a restituirlo. Ovviamente, la regola della separazione

patrimoniale rileva nel caso in cui l'intermediario venga sottoposto ad una procedura concorsuale, perchè in

questo caso occorrerà realizzare la separazione del patrimonio dell'intermediario. Tuttavia, possono

presentarsi due ipotesi problematiche: infatti, può accadere che la separazione tra intermediario e clienti

venga rispettata, ma lo stesso non possa dirsi della separazione tra i clienti stessi; oppure, può accadere che

la separazione tra intermediario e clienti non venga rispettata. Così, nel primo caso, gli strumenti finanziari

dovranno essere restituiti ai clienti in proporzione ai diritti per i quali ognuno di essi sia stato ammesso alla

sezione separata dello stato passivo (altrimenti, se i beni rinvenuti siano insufficienti, occorrerà procedere

alla liquidazione e successiva ripartizione del ricavato); oppure, se non venga rispettata nemmeno la

separazione tra il patrimonio dell'intermediario e quello dei clienti, questi ultimi concorreranno sull'intera

massa, insieme ai creditori chirografari.

La violazione della disciplina relativa ai comportamenti può essere fonte di responsabilità per

l'intermediario, che ha l'onere di provare di aver agito con la diligenza richiesta dall'art. 23 del TUF.

Tuttavia, la violazione delle regole di condotta non dovrebbe comportare automaticamente la nullità dei

contratti già conclusi; infatti, affinchè vi sia la nullità è necessario che le norme violate mirino alla tutela di

interessi generali.

Comunque, la violazione può comportare anche l'irrogazione di sanzioni amministrative, che possono essere

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irrogate dalla Consob o dalla Banca d'Italia nelle rispettive aree di competenza – fermo restando che resti

ammissibile il ricordo a procedure facoltative di conciliazione e arbitrato [anzi, il decreto legislativo 28/2010

stabilisce che chi intenda esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di contratti

bancari, assicurativi e finanziari debba preliminarmente esperire il procedimento di conciliazione, a pena di

inammissibilità della domanda]. Pertanto, l'organo competente è la Camera di Conciliazione e Arbitrato,

dove la conciliazione è una procedura con cui un terzo, neutrale, facilita la comunicazione tra le parti

coinvolte nella controversia, al fine di promuoverne la risoluzione consensuale; mentre, l'arbitrato

presuppone un compromesso o una clausola compromissoria, con cui le parti si siano accordare per

demandare la soluzione della controversia, attuale o futura, ad un apposito arbitro.

Capitolo 8 – offerta fuori sede e tecniche di comunicazione a distanza

Oltre ai criteri generali, esistono alcune disposizioni che si riferiscono esclusivamente allo svolgimento di

singoli servizi e attività di investimento.

Infatti, l'articolo 49 del Regolamento Intermediari prevede che nella trattazione degli ordini per conto dei

clienti, gli intermediari debbano applicare delle misure che assicurino una trattazione rapida, corretta ed

efficiente rispetto ad altri ordini dei clienti e rispetto agli interessi di negoziazione dello stesso intermediario.

In pratica, l'intermediario deve: assicurare che gli ordini vengano prontamente registrati, trattare gli ordini

equivalenti dei diversi clienti in successione, ed informare il cliente al dettaglio sulle eventuali difficoltà che

potrebbero influire sulla corretta esecuzione degli ordini.

Inoltre, un secondo profilo è rappresentato dalle regole che disciplinano l'aggregazione degli ordini: infatti,

l'intermediario può trattare l'ordine di un cliente insieme all'ordine di un altro cliente SOLO quando ciò non

sia di pregiudizio per uno di essi, quando i clienti siano informati dei possibili effetti negativi

dell'aggregazione e quando esista una strategia di assegnazione degli ordini che preveda la ripartizione in

modo preciso.

Poi, un profilo particolarmente delicato emerge quando si ricorra all'aggregazione di ordini dei clienti con

ordini propri, perchè in questo caso è previsto che gli intermediari debbano prima assegnare le operazioni

eseguite al cliente e poi a se stessi. Poi, nell'ambito della negoziazione per conto proprio, è particolarmente

rilevante l'attività di internalizzazione sistematica, grazie alla quale l'attività di intermediazione viene

assoggettata alle regole di trasparenza previste per i mercati regolamentati.

Il servizio di gestione di portafogli è sottoposto a delle regole specifiche, stabilite dall'articolo 24 del TUF,

che stabilisce che: il cliente possa impartire delle operazioni vincolanti, possa recedere liberamente e

conferire all'intermediario la rappresentanza necessaria per l'esercizio del diritto di voto inerente agli

strumenti finanziari gestiti. Inoltre, il contratto di gestione deve indicare: gli strumenti finanziari che

possono essere inclusi nel portafoglio del cliente e i tipi di operazioni che possono essere realizzate su tali

strumenti; inoltre, deve indicare gli obiettivi di gestione ed altri parametri, come la descrizione del

parametro di riferimento (detto benchmark) a cui si raffronta il rendimento del portafoglio. In pratica, il

benchmark va indicato solo dove sia significativo e solo allo scopo di raffrontare il rendimento del

portafoglio; cioè, non consiste in un parametro che l'intermediario è tenuto ad eguagliare o superare. Infine,

il 2°comma dell'art.24 sancisce la nullità delle pattuizioni contrarie alle previsioni del 1°comma, dove, però,

la nullità può essere fatta valere soltanto dal cliente,

Il servizio di consulenza in materia di investimenti non prevede delle regole specifiche, ma pone alcuni

problemi quando venga svolto in via accessoria o strumentale alla prestazione di altri servizi di

investimento: infatti, in questo caso, emerge il rischio che alla relazione debba applicarsi anche la disciplina

in materia di adeguatezza, che è propria degli altri servizi di investimento.

La gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione, invece, si colloca “a cavallo” tra la disciplina degli

intermediari e quella dei mercati, e consiste in un'attività in cui i soggetti che aderiscono al sistema non

concludono contratti con il gestore, ma con altri partecipanti. Pertanto, l'art. 59 del Regolamento

Intermediari stabilisce che ai rapporti tra gli intermediari e i partecipanti non si applicano le regole di

condotta stabilite per la prestazione dei servizi di investimento, ma quelle dei mercati regolamentati,

rinvenibili nel Regolamento Mercati.

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L'offerta fuori sede = La disciplina dell'offerta fuori sede era già contemplata nella legge 1/91, allo scopo

di apprestare determinate forme di tutela per l'investitore che entri in contatto con l'intermediario in

situazioni in cui potrebbero mancare i presìdi organizzativi e di controllo sull'attività che debba essere

svolta. Infatti, l'art.30 del TUF stabilisce che l'offerta fuori sede si realizzi in seguito alla PROMOZIONE e

al COLLOCAMENTO presso il pubblico di:

– strumenti finanziari in luoghi diversi dalla sede legale o dalle dipendenze dell'emittente, del

proponente o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento;

– nonché di servizi e attività di investimento in luoghi diversi dalla sede legale o dalle dipendenze di

chi presti, promuova o collochi il servizio.

In pratica, nell'offerta fuori sede rientrano delle attività che non si sostanziano nella mera vendita del

servizio, ma nella sua promozione (dove l'attività promozionale implica la presenza fisica e simultanea

dell'intermediario e del cliente; infatti, in caso contrario si dovrà parlare di “tecniche di comunicazione a

distanza” – invece, la pubblicità rappresenta un caso a se stante, perchè persegue uno scopo meramente

informativo e non finalizzato alla conclusione di un contratto con l'investitore). Invece, la nozione di sede –

o dipendenza – consiste in “una sede, diversa da quella legale dell'intermediario, costituita da una stabile

organizzazione di mezzi e di persone, aperta al pubblico e dotata di autonomia tecnica e decisionale, che

presti servizi o attività di investimento in via continuativa”; praticamente, l'offerta fuori sede non costituisce,

di per sé, un servizio di investimento autonomo, ma consiste in una specifica modalità di offerta, che può

essere esercitata soltanto da: soggetti autorizzati alla prestazione del servizio di collocamento, dalle società

di gestione del risparmio e dalle Sicav (limitatamente alle quote e alle azioni di Organismi di Investimento

Collettivo del Risparmio). Inoltre, per l'offerta fuori sede di strumenti finanziari è sufficiente l'autorizzazione

alla prestazione del servizio di collocamento, mentre per l'offerta fuori sede di servizi e attività di

investimento l'autorizzazione non è necessaria (se si tratti di servizi propri), mentre è necessaria se il servizio

offerto sia prestato da un terzo intermediario.

Per quanto riguarda le regole, l'investitore ha diritto di recedere dai contratti conclusi fuori sede entro 7

giorni dalla sottoscrizione, durante i quali l'efficacia del contratto resta sospesa.

Tuttavia, questo ius poenitendi non è previsto per tutte le offerte fuori sede, ma è limitato al collocamento di

strumenti finanziari, al servizio di gestione di portafogli e a quello di negoziazione per conto proprio – però,

la Corte di Cassazione lo ritiene applicabile anche all'esecuzione di ordini per conto dei clienti e alla

ricezione e trasmissione di ordini, sulla base del fatto che il collocamento debba essere inteso come

sinonimo di qualsiasi operazione che implichi la vendita di strumenti finanziari. D'altro canto, questo

significato non è ammissibile rispetto al collocamento di cui parla il 6°comma dell'articolo 30, perchè si

finirebbe con il pregiudicare gli interessi del cliente: infatti, la sospensione dell'efficacia degli ordini,

comporterebbe che il prezzo che l'investitore debba pagare resti incerto fino al settimo giorno successivo alla

sottoscrizione.

Comunque, la regola più importante dell'offerta fuori sede è quella che impone agli intermediari di avvalersi

di soggetti chiamati “promotori finanziari”, che vengono assimilati ad una succursale costituita nel

territorio della Repubblica. Inoltre, il promotore finanziario può operare solo nell'interesse di un unico

intermediario abilitato ed è sottoposto a delle specifiche regole di condotta, stabilite dalla Consob. Infine, il

soggetto che conferisce l'incarico è solidamente responsabile con il promotore finanziario dei danni da

quest'ultimo arrecati a terzi, e ciò anche se la responsabilità sia stata accertata in sede penale.

D'altro canto: non costituisce offerta fuori sede quella effettuata nei confronti di clienti professionali, perchè

lo scopo è quello di tutelare l'investitore debole; e, inoltre, la disciplina del diritto di recesso non si applica

alle offerte pubbliche di vendita o sottoscrizione di azioni con diritto di voto, purchè le azioni siano

negoziate in mercati regolamentati italiani o dell'Unione Europea.

Le tecniche di comunicazione a distanza = Le tecniche di comunicazione a distanza implicano il contatto

con la clientela, ma non comportano la presenza fisica e simultanea del cliente e dell'offerente – e questo

implica lo sfruttamento di Internet.

La materia è regolata dalla Direttiva 2002/65 e dall'articolo 32 del TUF, che affida alla Consob il potere di

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disciplinare l'offerta a distanza. Inoltre, il Regolamento Intermediari richiama tutte le regole di condotta

previste per la prestazione dei servizi di investimento, aggiungendo che la promozione e il collocamento non

possano effettuarsi nei confronti di investitori che si dichiarino esplicitamente contrari al loro svolgimento o

alla loro prosecuzione. Tuttavia, in questo caso non è necessario servirsi dei promotori finanziari.

Inoltre, il Codice del Consumo prevede degli specifici oneri informativi nei confronti del consumatore, il

quale gode di uno specifico diritto di recesso, che può essere esercitato liberamente entro 14 giorni che

decorrono: o dalla data di conclusione del contratto o dalla data in cui il consumatore venga a conoscenza

delle condizioni contrattuali. Tuttavia, il TUF stabilisce che il diritto di recesso non si applichi ad alcune

tipologie di contratti (come i futures su strumenti finanziari o i contratti swap sui tassi di interesse), ma non è

chiaro perché, in questo caso, il diritto di recesso venga concesso in caso di collocamento mediante offerta

fuori sede, e negato quando venga realizzato mediante tecniche di comunicazione a distanza!

Infine, la legge 262/2005 ha introdotto l'articolo 25 BIS, con cui si dispone l'estensione della disciplina

dell'offerta fuori sede anche ai prodotti bancari e assicurativi – ma l'estensione è limitata alla sottoscrizione e

al collocamento dei prodotti, e non anche alla loro emissione, che resta soggetta al TUB e al Codice delle

Assicurazioni.

Ciò nonostante, sono emersi molti problemi di coordinamento tra la disciplina del TUF e quella del Codice

delle Assicurazioni, che non sono stati risolti dal legislatore.

Capitolo 9 – la gestione collettiva del risparmio

La gestione collettiva del risparmio rappresenta uno dei settori più rilevanti della disciplina disposta dal

TUF, ed è anche oggetto della Direttiva 85/611 e della più recente Direttiva 2011/61 (detta AIFMD), che ha

introdotto nuove categorie di soggetti e di prodotti che non erano specificamente contemplati dal TUF.

Pertanto, l'articolo 1 del TUF definisce la gestione collettiva del risparmio come “il servizio che si realizzi

attraverso la gestione di OICR e dei relativi rischi”, dove il concetto di Organismo di Investimento

Collettivo del Risparmio qui viene inteso in senso lato, perché si riferisce tanto alle società quando a

fenomeni meramente contrattuali.

Comunque, in senso stretto, il patrimonio dell'organismo viene raccolto tra una pluralità di investitori,

mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni, e gestito in monte nell'interesse degli investitori e in modo

autonomo, così che possa essere investito in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni o altri beni mobili e

immobili, in base ad una politica di investimento già prestabilita. Quindi, la differenza fondamentale rispetto

alla gestione di portafogli sta nel fatto che qui l'attività gestoria si svolge nell'interesse e per conto di una

pluralità di investitori, che acquistano una quota di partecipazione ad un patrimonio indiviso; e questo

comporta che l'investitore aderisca ad un rapporto standardizzato e uguale per tutti i partecipanti (e questo

gli impedisce di impartire istruzioni vincolanti al gestore).

Gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio possono essere aperti o chiusi, e: quelli aperti

consentono ai partecipanti di chiedere il rimborso del loro investimento, nei modi e nei tempi stabiliti

dall'Organismo; inoltre, si distingue anche tra gli Organismi di Investimento Collettivo in Valori

Mobiliari (OICVM) e Organismi Alternativi – e questi ultimi possono essere aperti o chiusi. Comunque,

un altro elemento di distinzione attiene alla “struttura” dell'organismo, che può avere una forma societaria

(rappresentata dalle SICAV e dalle SICAF) o contrattuale (rappresentata dai fondi comuni di investimento).

D'altro canto, la natura del rapporto giuridico che intercorre tra l'investitore e il fondo è particolarmente

discussa: sicuramente non si può configurare un mandato, perchè l'investitore non vanta nessuno dei poteri

che normalmente spettano al mandante; inoltre, non si può configurare neanche una “comproprietà”, perchè

i partecipanti al fondo comune non possono né godere né disporre dei beni che compongono il patrimonio;

né si può affermare che il fondo comune sia di proprietà della società, perché gli unici che vantano diritti sul

fondo sono e restano gli investitori. Tuttavia, il problema può essere aggirato facilmente facendo leva sul

fatto che il fondo comune di investimento sia un patrimonio autonomo e a se stante, sul quale non sono

ammesse azioni né da parte dei creditori della società né da parte dei creditori del depositario o del

subdepositario. Cioè, le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle loro

specifiche quote.

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La gestione collettiva del risparmio è preclusa alle SIM, alle Banche e agli altri soggetti che operino nei

mercati finanziari. Inoltre, l'attività di gestione del fondo comune di investimento prevede l'intervento di 3

centri di imputazione di interessi, ossia: gli investitori, la società di gestione e il depositario – dove:

– la società di gestione ha il compito di istituire e gestire il fondo, fermo restando che l'accesso

all'attività per le SGR sia subordinato al rilascio di un'autorizzazione della Banca d'Italia (sentita la

Consob), che avviene alle stesse condizioni stabilite per le SIM. Comunque, le SGR sono le uniche a

poter prestare anche altri servizi oltre a quello della gestione collettiva (come il servizio di

consulenza e la gestione di portafogli).

– comunque, il gestore deve conferire l'incarico di depositario ad un unico soggetto, che,

fondamentalmente va a sottrarre al gestore la detenzione del patrimonio del fondo, con l'obbligo di

custodirlo e controllare l'operato della società di gestione. Inoltre, il deposito di beni presso la banca

depositaria è previsto soltanto per gli strumenti finanziari e per le somme di denaro (e l'incarico può

essere assunto da banche autorizzate, succursali italiane di banche comunitarie e Sim), ma il deposito

non avviene mai per altri beni, proprio per l'impossibilità di realizzare concretamente un deposito (si

pensi al caso dei fondi che investano in crediti o in beni immobili). In ogni caso, dato che il

depositario deve accertare la legittimità delle operazioni, le sue funzioni sono superiori a quelle di un

normale rapporto di deposito: e, proprio per questo, il depositario viene investito di una

responsabilità specifica nei confronti del gestore e degli investitori – anche se: nei confronti del

primo la responsabilità è contrattuale, mentre nei confronti degli investitori è extracontrattuale.

Il rapporto che lega l'investitore alla società di gestione ha natura contrattuale, e il suo contenuto è stabilito

nel Regolamento del Fondo, che viene sottoposto all'approvazione della Banca d'Italia. Pertanto, la

partecipazione al fondo comune si perfeziona con l'adesione dell'investitore ed è incorporata in quote di

partecipazione, rappresentate da “certificati”. Inoltre, queste quote sono dei veri e propri titoli di credito,

ma, per prassi, i certificati non vengono materialmente emessi per evitare il rischio connesso alla loro

circolazione: praticamente, la banca depositaria tiene in deposito un “certificato cumulativo” che rappresenta

una pluralità di quote e realizza un effetto analogo a quello della demateralizzazione che, però non preclude

la possibilità di richiedere l'emissione del certificato singolo.

Il compito di stabilire i criteri generali a cui gli OICR debbano conformarsi spetta al Ministro dell'Economia

e delle Finanze, sentite la Consob e la Banca d'Italia. Tuttavia, nel corso del tempo si sono affermate diverse

categorie di fondi comuni: infatti, prima del recepimento della Direttiva 2011/61, la disciplina italiana

distingueva tra: fondi comuni aperti, fondi comuni chiusi, fondi riservati e fondi speculativi – a cui si

aggiungevano già i fondi master-feeder, che in sostanza sono dei fondi articolati su due livelli, dove il

primo è rappresentato dal fondo feeder, che investe le proprie attività in un fondo master.

Comunque, a questi fondi devono essere aggiunti i fondi alternativi e i fondi aperti armonizzati. E questi

ultimi: possono essere commercializzati in tutto il territorio dell'Unione in regime di mutuo riconoscimento;

inoltre, le direttive comunitarie prescrivono una serie di vincoli sugli strumenti che possano essere oggetto

di investimento: ad esempio, i fondi armonizzati non possono investire in strumenti finanziari NON quotati

nei mercati regolamentati (perchè tali strumenti hanno un rischio di liquidità superiore e una minore

trasparenza del prezzo); e, inoltre, hanno il divieto di investire oltre il 10% del patrimonio del fondo sul

medesimo emittente, così da garantire una limitazione del rischio di concentrazione. Invece, i fondi aperti

non armonizzati sono quelli che non si conformano alle direttive comunitarie e le loro quote non godono del

mutuo riconoscimento.

I fondi immobiliari, invece, sono fondi chiusi, il cui patrimonio dev'essere investito in beni immobili, diritti

reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari (in misura non inferiore ai 2/3 del valore

complessivo del fondo). Invece, i fondi speculativi sono quelli che si caratterizzano per un regime diverso,

con riferimento alla sottoscrizione e alla circolazione delle quote; infatti, questi fondi non possono essere

oggetto di sollecitazione all'investimento e devono prevedere un investimento minimo iniziale parli ad

almeno 500.000 euro. Quindi, praticamente, sono fondi riservati ad investitori esperti o quantomeno dotati

di ingenti risorse finanziarie. Infine, i fondi garantiti sono quelli che si caratterizzano per il fatto di

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garantire agli investitori la restituzione del capitale investito o il riconoscimento di un rendimento minimo.

La gestione collettiva del risparmio è aperta anche alle SICAV (società di investimento a capitale variabile)

e alle SICAF (società di investimento a capitale fisso).

Le Sicav sono società per azioni a capitale variabile, aventi come oggetto esclusivo l'investimento collettivo

del patrimonio che sia stato raccolto mediante l'offerta al pubblico di proprie azioni. Comunque, le Sicav si

differenziano dai fondi comuni di investimento, perchè l'investitore qui assume la qualità di socio della

società garante, il cui capitale sociale coincide con il patrimonio amministrato (invece, nel fondo comune,

l'investitore è titolare di una quota del fondo, che però viene amministrato da una società di gestione distinta:

la SGR). Le azioni della Sicav possono essere, a scelta del sottoscrittore, nominative o al portatore e

attribuiscono un solo voto indipendentemente dal loro numero. Inoltre, la Sicav può essere costituita previa

autorizzazione della Banca d'Italia, sentita la Consob, a condizione che la società: abbia la forma di S.p.A.,

abbia sede legale e direzione generale in Italia, abbia un capitale sociale almeno pari a quanto stabilito dalla

Banca d'Italia, e a condizione che gli esponenti aziendali abbiano i requisiti di onorabilità e professionalità.

Le Sicaf, invece, si distinguono per il fatto di essere organismi di investimento collettivo del risparmio di

tipo chiuso e dotati di capitale fisso.

Entrambe non possono prestare servizi diversi dalla gestione collettiva (a differenza della SGR). Inoltre, il

funzionamento delle assemblee delle Sicav segue delle regole particolari, perchè infatti, l'assemblea

ordinaria e quella straordinaria in seconda convocazione non prevedono quorum costitutivi; inoltre, le

convocazioni devono essere pubblicate sia in Gazzetta Ufficiale che su specifici quotidiani indicati nello

statuto, così da ampliare al massimo il regime pubblicitario. Infine, sia le Sicav che le Sicaf possono gestire

direttamente il proprio patrimonio oppure avvalersi di un gestore esterno, fermo restando che anche nel caso

della delega, la società resta responsabile.

Capitolo 10 – la vigilanza prudenziale sugli intermediari (SIM ed SGR)

Le regole in materia di vigilanza prudenziale rispetto alle SIM sono contenute in 3 provvedimenti della

Banca d'Italia, e riguardano alcuni profili, come: il capitale minimo richiesto; l'adeguatezza patrimoniale e il

contenimento dei rischi; e il bilancio di esercizio delle SIM. Pertanto:

Il capitale minimo dev'essere individuato dalla Banca d'Italia, ma si differenzia in funzione dei servizi che

vengano prestati, perchè, infatti:

– per le SIM che svolgano solo il servizio di consulenza, il capitale è fissato a 120.000 euro;

– per le SIM che svolgano servizi di collocamento, gestione di portafogli e ricezione/trasmissione di

ordini (ma senza detenzione dei beni della clientela e senza assumere rischi in proprio), il capitale è

fissato a 385.000 euro;

– e in tutti gli altri casi è pari ad un milione di euro.

D'altro canto, il rispetto del capitale minimo dev'essere continuamente verificato; infatti, se gli importi

minimi vengono intaccati, le SIM sono tenute a provvedere tempestivamente al loro reintegro – ferma

restando l'applicabilità della riduzione del capitale sociale.

L'adeguatezza patrimoniale e il contenimento dei rischi si basa su alcuni strumenti, che consistono: nei

coefficienti patrimoniali, nei limiti alla concentrazione dei rischi, nella disciplina degli altri rischi, nella

disciplina del patrimonio di vigilanza e nella gestione del rischio interno.

In pratica, le SIM sono tenute a rispettare alcuni coefficienti patrimoniali stabiliti dalla Banca d'Italia, in

funzione di diverse categorie di rischi che devono essere misurati, come: il rischio di posizione (che deriva

dall'oscillazione degli strumenti finanziari e si misura con il metodo del fair value), il rischio di regolamento

(che è connesso alla mancata consegna alla scadenza, ad opera della controparte), il rischio sulle posizioni in

merci, il rischio di cambio, il rischio di credito (cioè, il rischio di perdita per inadempimento dei debitori) e

il rischio di controparte (cioè, il rischio che la controparte risulti inadempiente già prima del regolamento

definitivo dei flussi finanziari). In pratica, per ognuno di questi rischi, la Banca d'Italia impone una specifica

copertura patrimoniale.

Inoltre, la disciplina della concentrazione dei rischi consiste nell'imposizione di limiti precisi all'assunzione

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dei rischi stessi; infatti, i limiti vanno commisurati al patrimonio di vigilanza, nel senso che l'ammontare

complessivo dei rischi deve essere contenuto entro il limite di 8 volte il patrimonio di vigilanza, e ogni

posizione di rischio va, a propria volta, contenuta entro il limite del 25% del patrimonio di vigilanza. Il

patrimonio di vigilanza, infatti, serve a determinare la copertura patrimoniale necessaria per far fronte ai

rischi della gestione, e si compone di un patrimonio di base, di un patrimonio supplementare di II° e III°

livello, di un un patrimonio rettificato e di ulteriori elementi che devono essere dedotti (come le

partecipazioni possedute in banche e società finanziarie).

Infine, il bilancio di esercizio delle SIM è sottoposto a regole specifiche, derivanti dalle norme comunitarie

relative ai principi contabili internazionali (gli IAS).

Le regole in materia di vigilanza prudenziale rispetto alle SGR riguardano anche la società di gestione in

quanto tale; tuttavia, la materia è disciplinata in modo meno analitico rispetto alle SIM, perchè le SGR sono

esposte ad una gamma di rischi più ridotta, a causa del fatto che qui esiste una scissione tra il patrimonio

della società e i patrimoni gestiti. Infatti, il Provvedimento del 2012 contiene solo regole in materia di:

requisiti patrimoniali, copertura dei rischi e patrimonio di vigilanza. In pratica, le SGR devono avere un

capitale minimo almeno pari ad un milione di euro (salvo che i fondi chiusi siano indirizzati al settore della

ricerca, perchè in quel caso la SGR può costituirsi con lo stesso capitale richiesto per le S.p.A.); inoltre,

l'attività di gestione dei fondi comuni di tipo aperto e di Sicav richiede l'applicazione di due requisiti

patrimoniali, di cui: il primo è commisurato all'ammontare della massa complessiva gestita, mentre il

secondo è commisurato all'ammontare delle risorse necessarie per far fronte alla garanzia di restituzione

delle risorse dei fondi pensione. Invece, nel caso della gestione di fondi chiusi, le SGR sono tenute ad

acquisire una quota almeno pari al 2% del patrimonio di ogni fondo.

Poi, le Banche e le società finanziarie di cui all'art.107 del TUB sono sottoposte a regole molto simili a

quelle previste per le SIM, mentre agli agenti di cambio la disciplina della vigilanza prudenziale è pressoché

inapplicabile a causa del regime imposto dall'art.201 del TUF.

Capitolo 11 – La “CRISI” degli intermediari: provvedimenti ingiuntivi e contenzioso

I provvedimenti ingiuntivi rispondono all'esigenza di garantire un intervento a tutela degli investitori, nel

caso in cui si siano verificate delle irregolarità o delle violazioni nell'attività degli intermediari finanziari.

Gli articoli di riferimento vanno dal 51 al 55 del TUF, e si occupano:

– dei provvedimenti ingiuntivi nei confronti degli intermediari nazionali ed extracomunitari;

– dei provvedimenti ingiuntivi nei confronti degli intermediari comunitari;

– della sospensione degli organi amministrativi;

– e altri provvedimenti.

Con riferimento agli intermediari nazionali ed extracomunitari, l'art.51 prevede che la Banca d'Italia o la

Consob (a seconda dei casi) possano ordinare la cessazione delle irregolarità con provvedimento ingiuntivo;

inoltre, nel caso in cui le violazioni possano pregiudicare interessi di carattere generale e nei casi di urgenza

per la tutela degli interessi degli investitori, possono anche vietare di intraprendere nuove operazioni ed

imporre altre limitazioni. Comunque, la durata del provvedimento ingiuntivo non dovrebbe eccedere il

tempo strettamente necessario al ripristino delle condizioni di normale funzionamento.

Invece, nei confronti degli intermediari comunitari, l'Autorità di Vigilanza italiana deve operare nel

rispetto del principio dell'Home Country Control, in virtù del quale il controllo sugli intermediari comunitari

spetta in primo luogo all'Autorità del Paese d'origine. Infatti, l'art.52 stabilisce che la Consob o la Banca

d'Italia possano adottare i provvedimenti ingiuntivi solo quando: manchino o siano inadeguati i

provvedimenti dell'Autorità del Paese d'origine, quando risultino violazioni delle regole di condotta, quando

le irregolarità possano pregiudicare interessi di carattere generale e quando sia urgente tutelare gli interessi

degli investitori. Inoltre, questi provvedimenti devono essere comunicati all'Autorità del Paese d'origine.

Ancora, la sospensione degli organi amministrativi è regolata dall'art.53, che stabilisce che il Presidente

della Consob possa disporre, in via d'urgenza, la sospensione degli organi di amministrazione delle SIM,

nonché la nomina di un commissario che ne mantenga la gestione allorché siano risultate delle gravi

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irregolarità amministrative o delle gravi violazioni legislative o statutarie. Il commissario resta in carica per

un periodo massimo di 60 giorni, in cui assume la qualità di pubblico ufficiale. Inoltre, è da segnalare che

l'art.53 va confrontato con l'articolo 56., al fine di evidenziare che il ricorso alla sospensione presuppone

situazioni di criticità meno gravi rispetto ai presupposti per l'applicazione dell'amministrazione straordinaria.

Infine, gli articoli 54 e 55 prevedono l'applicazione di provvedimenti ingiuntivi specifici nei confronti degli

OICR esteri e dei promotori finanziari; infatti, contro i primi, i provvedimenti si sostanziano nella

sospensione dell'attività di offerta delle quote di OICR in Italia; mentre, contro i secondi, si ricorre alla

sospensione cautelare del promotore nel caso in cui si presumano delle gravi violazioni di legge o di

regolamento, e la sospensione ha la durata massima di 1 anno – tuttavia, la norma ha suscitato alcune

perplessità per il fatto che l'acquisizione della qualità di imputato non potrebbe giustificare la sospensione.

La disciplina delle crisi degli intermediari finanziari è stata modellata su quella del Testo Unico Bancario,

da cui derivano l'amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa.

I presupposti per l'avvio dell'amministrazione straordinaria sono individuati dall'art.56 del TUF, che

dispone che il Ministro dell'Economia e delle Finanze (su proposta della Consob o della Banca d'Italia, a

seconda dei casi) possa disporre lo scioglimento degli organi di direzione e controllo delle SIM, delle SGR e

delle SICAV quando ricorra almeno una tra le condizioni prestabilite, che consistono in: gravi irregolarità

nell'amministrazione o gravi violazioni di disposizioni legislative, amministrative o statutarie; gravi perdite

del patrimonio della società; o scioglimento richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi,

dall'assemblea straordinaria o dal commissario nominato ai sensi dell'articolo 53.

Comunque, la direzione della procedura spetta alla Banca d'Italia (e ciò anche nel caso in cui

l'amministrazione straordinaria sia stata attivata con istanza della Consob) – e la ragione sta nel fatto che la

procedura deriva dal Testo Unico Bancario. Comunque, questa gestione coattiva dell'impresa ha lo scopo di

rimuovere le irregolarità, o, se queste siano irreversibili, funge da “anticamera” per la successiva

liquidazione coatta amministrativa: infatti, è opinione diffusa che l'amministrazione straordinaria non sia una

procedura concorsuale perchè non ha lo scopo di assicurare la par condicio creditorum. Inoltre, rispetto

all'art.53, qui si riscontra una vera e propria revoca degli organi (sia amministrativi che di controllo), e non

una mera sospensione: e questo comporta che sia necessario provvedere alla nomina di nuovi organi, salvo

l'avvio della liquidazione coatta amministrativa.

La durata dell'amministrazione straordinaria non può essere superiore ad 1 anno, ma in casi eccezionali è

possibile concedere una proroga di 6 mesi, a cui può aggiungersi una proroga di ulteriori 2 mesi solo per

consentire gli adempimenti necessari per la chiusura della procedura. Quest'ultima, poi, è svolta da uno o più

commissari a cui si aggiunge un comitato di sorveglianza composto da 3 o 5 membri, tutti nominati dalla

Banca d'Italia.

La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale alternativa al fallimento, che si

applica alle SIM, alle SGR e alle SICAV, nonché alle succursali di imprese di investimento estere. Il

procedimento di avvio è identico a quello stabilito per l'amministrazione straordinaria, ma è subordinato al

fatto che “le irregolarità, le violazioni o le perdite previste dall'articolo 56 siano di ECCEZIONALE

gravità”, il che implica che il provvedimento comporti automaticamente la revoca dell'autorizzazione

all'esercizio dell'attività.

La liquidazione coatta può essere disposta su istanza degli stessi soggetti previsti dall'articolo 56, a cui, però,

si aggiungono anche i commissari straordinari, i liquidatori e la particolare ipotesi dell'emanazione di una

sentenza che accerti lo stato di insolvenza dell'intermediario – e, in quest'ultimo caso, l'avvio della

liquidazione coatta è un atto dovuto, che non richiede valutazioni sull'intensità delle condizioni di crisi.

L'elemento distintivo di questa procedura concorsuale consiste nel fatto che sia divisa in 4 fasi, quali: la

formazione dello stato passivo; la liquidazione dell'attivo; la restituzione e i riparti; e gli adempimenti finali.

1. formazione dello stato passivo: entro un mese dalla nomina, i commissari devono comunicare ai

creditori le somme che risultino a credito, così che entro 15 giorni dalla comunicazione, i destinatari

possano presentare o inviare eventuali reclami. Comunque, entro 30 giorni, i commissari devono

presentare alla Banca d'Italia l'elenco dei creditori ammessi, comunicando a quelli non ammessi

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l'esito della decisione presa nei loro riguardi. Quindi, il deposito dello stato passivo viene reso noto

con un avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale – fermo restando che i soggetti legittimati (cioè i

creditori le cui pretese non siano state accolte) possano fare opposizione entro i successivi 15 giorni,

mediante ricorso al presidente del Tribunale nella cui circoscrizione l'intermediario abbia la sede

legale. Inoltre, dopo il deposito dello stato passivo e finché non finiscano tutti i riparti e le

restituzioni, i creditori che non abbiano ricevuto la comunicazione dai commissari e che non risultino

inclusi nello stato passivo, possono far valere i loro diritti mediante opposizione.

2. liquidazione dell'attivo: per quanto riguarda la liquidazione dell'attivo, i commissari liquidatori

possono anche cedere le attività, le passività, l'azienda, dei rami d'azienda, nonché i beni e i rapporti

giuridici individuabili in blocco – purché vi sia il parere favorevole del comitato di sorveglianza e

l'autorizzazione della Banca d'Italia.

3. restituzioni e riparti: la materia delle restituzioni e dei riparti è regolata dall'articolo 91 del Testo

Unico Bancario, e comporta che i commissari provvedano a restituire i beni e gli strumenti finanziari

secondo l'ordine stabilito dalla legge fallimentare.

4. adempimenti finali: per quanto riguarda gli adempimenti finali, dopo la liquidazione dell'attivo e

prima dell'ultimo riparto, i commissari devono sottoporre alla Banca d'Italia alcuni documenti, quali:

il bilancio finale di liquidazione, il rendiconto finanziario e il piano di riparto, accompagnati da 2

relazioni. Quindi, l'avvenuto deposito viene reso noto mediante avviso in Gazzetta Ufficiale, così che

gli interessati possano ricorrere giudizialmente entro 20 giorni dalla pubblicazione. Inoltre, tra gli

adempimenti finali c'è anche la possibilità che i commissari predispongano un concordato al

tribunale territorialmente competente, dietro autorizzazione della Banca d'Italia: ma, in questo caso,

non è richiesta l'approvazione dei creditori, perché è l'interesse pubblico a prevalere.

I sistemi di indennizzo e i fondi di garanzia degli investitori sono strettamente legati alla disciplina della

crisi degli intermediari; e la differenza sta nel fatto, che i sistemi di indennizzo intervengono nel caso in cui

gli investitori non abbiano ottenuto la restituzione del loro patrimonio o il pagamento dei loro crediti;

mentre il fondo di garanzia ha lo scopo di assicurare il risarcimento dei danni subiti dagli investitori in

conseguenza della violazione delle disposizioni del TUF.

Nello specifico, i sistemi di indennizzo sono specificati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, e si

qualificano come soggetti di diritto privato, dotati di personalità giuridica, che operano secondo il

meccanismo del mutuo: infatti, tutti gli aderenti devono versare un contributo annuale, così che si possa

costituire un fondo che viene impiegato per indennizzare gli investitori. Comunque, questi sistemi possono

operare solo:

– nel caso della liquidazione coatta amministrativa di banche e di SIM;

– e nel caso del fallimento o del concordato preventivo di agenti di cambio e dei soggetti iscritti

nell'elenco stabilito dall'articolo 107 del TUB.

Inoltre, possono essere indennizzati soltanto i crediti iscritti nello stato passivo dell'intermediario; tuttavia,

alcuni soggetti sono esclusi dal sistema di indennizzo, o perché sono soggetti qualificati (come le banche) o

perché sono riconducibili allo stesso intermediario insolvente (come le società che appartengono allo stesso

gruppo dell'intermediario o gli investitori che abbiano concorso a determinarne l'insolvenza). Inoltre, va

specificato che i crediti vantati da ogni investitore possono essere indennizzati solo fino ad un massimo

complessivo di 20.000 euro, e in Italia l'unico sistema di indennizzo è il Fondo Nazionale di Garanzia,

istituito con legge 1/1991.

Invece, il Fondo di Garanzia per i Risparmiatori e gli Investitori, istituito in attuazione della legge 262/2005,

è destinato all'indennizzo dei danni patrimoniali causati dalla violazione delle norme che disciplinano i

servizi di investimento e la gestione collettiva del risparmio. Inoltre, il fondo viene alimentato mediante il

versamento della metà degli importi delle sanzioni che siano state irrogate per la violazione delle norme di

riferimento, e la gestione del fondo viene affidata alla Consob.

Capitolo 12 – gli intermediari non bancari (fondi pensione e società di cartolarizzazione)

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La previdenza complementare è stata definita in modo compiuto con il decreto legislativo 252/2005, allo

scopo di sviluppare uno strumento di tutela dei lavoratori per la costituzione di una rendita aggiuntiva,

destinata ad integrare il livello di reddito nell'età anziana. Per farlo, il decreto ha voluto uniformare le regole

applicabili a tutte le forme pensionistiche complementari, che sono state sottoposte alla vigilanza della

COVIP.

I fondi pensione sono l'esempio più significato di “previdenza complementare”, e, in particolare, i fondi

pensione “negoziali” sono costituiti come associazioni dotate di personalità giuridica, la cui attività è

subordinata all'autorizzazione della COVIP; inoltre, i fondi pensione possono essere anche istituiti

nell'ambito di una società, con apposita delibera volta a formare un patrimonio autonomo e separato.

Comunque, il fondo pensione non può gestire direttamente le risorse affidategli dai partecipanti: per cui, la

gestione può essere affidata a soggetti autorizzati all'esercizio della gestione di portafogli, ad imprese

assicurative o a società di gestione del risparmio – purché tali soggetti abbiano ottenuto il mutuo

riconoscimento. In alternativa, la gestione può anche avvenire con la sottoscrizione o acquisto di azioni o

quote di società immobiliari o di quote di fondi comuni chiusi di investimento immobiliare. D'altro canto, è

da considerare che i fondi pensione restano titolari dei valori conferiti in gestione, che, però, costituiscono in

ogni caso un patrimonio autonomo e separato, che non può mai essere impiegato per finalità diverse.

Invece i fondi pensione “aperti” possono essere costituiti dalle banche, dalle SIM, dalle SGR e dalle

compagnie di assicurazione, tanto è vero che la struttura del fondo aperto è molto simile a quella dei fondi

comuni di investimento. Inoltre, ai fondi aperti si applicano le stesse regole che valgono per i fondi negoziali

per ciò che concerne la banca depositaria: infatti, è stabilito che le risorse dei fondi debbano essere

depositate presso una banca diversa dal gestore, che deve eseguire le istruzioni che le vengano impartite,

salvo che non siano contrarie alla legge, allo statuto del fondo o ai criteri stabiliti nel decreto del Ministro

dell'Economia e delle Finanze.

Le modalità di adesione e di partecipazione ai fondi pensione sono affidate allo statuto (nei fondi negoziali)

o al regolamento (nei fondi aperti); poi, se vengano meno i requisiti di partecipazione, dev'essere previsto il

trasferimento ad un'altra forma pensionistica complementare, o, in alternativa, è previsto il riscatto parziale o

totale (a seconda che l'attività lavorativa cessi del tutto o solo in parte). Invece, in caso di morte dell'aderente

prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica, gli eredi possono riscattare l'intera

posizione maturata dal de cuius – fermo restando che in assenza di eredi e di beneficiari, la posizione

dev'essere devoluta a finalità sociali).

Nel mercato dei capitali possono farsi rientrare anche dei soggetti che prestano attività o servizi finanziari

che non sono riservati in via esclusiva alle banche, alle SIM, alle SGR e agli agenti di cambio. Inizialmente,

la mappatura di questi soggetti era più che altro finalizzata alla prevenzione del riciclaggio di denaro

proveniente da attività illecite, ma l'intera materia è stata riformata nel 2010, che in effetti ha posto l'accento

sui soggetti operanti nel settore finanziario che svolgano attività di concessione di finanziamenti: che

consiste in un attività che, se viene svolta nei confronti del pubblico, è riservata agli intermediari finanziari

iscritti in un apposito albo, tenuto dalla Banca d'Italia. Quindi, l'elemento che determina l'assoggettamento

alla disciplina speciale sta nel fatto che l'attività debba essere svolta “nei confronti del pubblico”, e il nuovo

testo dell'art. 106 del Testo Unico Bancario stabilisce che l'attività sia tale quando sia svolta “nei confronti di

terzi con carattere di professionalità”.

La cartolarizzazione dei crediti (detta anche Securization) è un'operazione finanziaria che consiste nella

cessione (a titolo oneroso) di un portafoglio di crediti pecuniari o di altre attività finanziarie non negoziabili.

In pratica, i crediti vengono ceduti da una o più aziende creditrici (dette Originator) ad una società-veicolo,

che in sostanza è un intermediario che, in cambio delle attività ottenute, emette dei titoli negoziabili da

collocarsi sui mercati nazionali o internazionali.

Inoltre, la cartolarizzazione costituisce una cessione del credito "pro soluto", e quindi l'azienda cedente non

deve fornire nessuna garanzia alla società-veicolo, in caso di mancato pagamento da parte dei debitori.

Quindi, con i processi di cartolarizzazione, l'azienda può smobilizzare dei capitali che, altrimenti, sarebbero

stati vincolati: e questo comporta numerosi vantaggi, come l'aumento immediato della liquidità e l'aumento

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di visibilità sui mercati.

Inoltre, le operazioni di cartolarizzazione possono essere realizzate anche mediante cessioni a fondi comuni

di investimento, perché questi possono avere ad oggetto l'investimento in crediti.

Capitolo 13 – il mercati regolamentati e la quotazione ufficiale

I mercati regolamentati sono i mercati organizzati, che funzionano in base al Titolo III della MiFID, sui

quali possono essere negoziati gli strumenti finanziari alle condizioni stabilite dalle direttive comunitarie;

inoltre, alcune discipline si applicano esclusivamente ai mercati regolamentati (e ne può essere esempio

quella sugli “abusi di mercato”). Pertanto, oggi si può ancora parlare di mercati ufficiali, ma la

qualificazione di un mercato come “regolamentato” non implica più alcuna posizione di monopolio, dato

che la disciplina degli obblighi di concentrazione in Borsa è stata soppressa.

L'articolo 61 del TUF prevede che l'attività di gestione dei mercati regolamentati costituisca un'attività

d'impresa, svolta in forma di società per azioni, anche senza scopo di lucro. Pertanto, ai sensi del

2°comma, la Consob è chiamata ad emanare un regolamento che specifichi quali risorse e quali attività

strumentali possano essere svolte dalle società di gestione dei mercati; mentre i requisiti degli esponenti

aziendali e dei partecipanti al capitale vengono fissati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze.

In pratica, la disciplina degli intermediari viene richiamata molto spesso, anche se una previsione innovativa

si riscontra nel fatto che la Consob, entro 90 giorni dalla comunicazione della società di gestione, possa

opporsi ai cambiamenti negli assetti azionari qualora questi possano mettere a repentaglio la sana e prudente

gestione del mercato.

Poi, l'articolo 62 specifica che l'organizzazione e la gestione del mercato debbano essere disciplinate da un

apposito Regolamento del Mercato, che dev'essere deliberato dall'assemblea ordinaria o dal consiglio di

sorveglianza della Società di Gestione. Tuttavia, il contenuto del regolamento è standardizzato, e prevede

che le società di gestione debbano dotarsi di procedure trasparenti, capaci di garantire una negoziazione

corretta e ordinata. Inoltre, il Regolamento deve specificare:

– le condizioni e le modalità di ammissione, esclusione e di sospensione degli operatori e degli

strumenti finanziari;

– le condizioni e le modalità delle negoziazioni;

– le modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi;

– i tipi di contratti ammessi alle negoziazioni;

– e le condizioni e le modalità per la compensazione, la liquidazione e la garanzia delle operazioni

concluse sui mercati.

Invece, la Consob può determinare i criteri di trasparenza contabile e di adeguatezza della struttura

organizzativa che le società controllate (costituite e regolate dalla legge di Stati non comunitari) devono

necessariamente rispettare affinché le azioni della controllante possano essere quotate in un mercato

regolamentato. Inoltre, può stabilire anche le condizioni che determinano l'esclusione dalla quotazione e i

limiti per l'ammissione alla quotazione sul mercato mobiliare italiano delle società finanziarie, il cui

patrimonio sia costituito esclusivamente da partecipazioni.

Comunque, il Regolamento funziona come un contratto di adesione, e quindi ha natura contrattuale, e quindi

non è chiaro perché la Consob debba approvare le modificazioni del regolamento, se l'oggetto

dell'approvazione non è il regolamento in sé e per sé, ma l'attività di gestione del mercato.

La vigilanza della Consob si riflette sia sulla società di gestione che sui mercati; infatti, la Consob può

richiedere informazioni, dati e notizie; è dotata di poteri ispettivi sulla società di gestione; e ha il potere di

vigilare sulla regolamentazione del mercato, potendo anche chiedere alla società di gestione di modificare la

regolamentazione per eliminare le disfunzioni riscontrate.

Poi, eccezionalmente, la Consob può anche sostituirsi alla società di gestione, mediante l'adozione di

provvedimenti del Presidente della Consob, che però devono essere approvati dalla Commissione entro e

non oltre 5 giorni, altrimenti perdono efficacia.

Poi, in caso di gravi irregolarità, il Ministro dell'Economia e delle Finanze può disporre (dietro istanza della

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Consob) lo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo; inoltre, la Consob può anche revocare

l'autorizzazione quando vengano meno le condizioni per le quali fosse stata precedentemente rilasciata o

quando la società abbia violato in modo grave e sistematico le disposizioni che la regolino.

Tuttavia, esistono delle regole particolari che si applicano ai mercati all'ingrosso, cioè a quei mercati in cui

gli operatori negoziano esclusivamente in nome proprio: infatti, il Ministro dell'Economia e delle Finanze

deve autorizzare i mercati all'ingrosso di Titoli di Stato, approvandone i regolamenti; mentre gli altri mercati

all'ingrosso (come quelli di titoli obbligazionari) sono sottoposti al controllo della Consob, sentita la Banca

d'Italia. Infine, i mercati all'ingrosso di titoli azionari restano soggetti alla generale competenza della

Consob.

I mercati esteri (diversi da quelli riconosciuti ai sensi della disciplina comunitaria) devono essere

riconosciuti mediante la stipulazione di accordi specifici tra la Consob e le corrispondenti Autorità estere –

fermo restando che la Consob sia obbligata ad accertare che la normativa straniera sia compatibile con

quella vigente in Italia.

Il buon funzionamento dei mercati regolamentati dipende anche dall'esistenza di meccanismi di garanzia del

buon fine delle operazioni. Pertanto, l'art. 68 prevede che la Banca d'Italia e la Consob possano disciplinare

l'istituzione e il funzionamento di appositi sistemi, come la costituzione di appositi fondi di garanzia,

alimentati dai versamenti dei partecipanti. Su questi fondi non sono ammesse azioni, sequestri e

pignoramenti, né possono essere assorbiti nelle procedure concorsuali.

Poi, con riferimento alla disciplina della compensazione e della liquidazione delle operazioni (cioè, il

cosiddetto post-trade), il TUF distingue le operazioni in strumenti finanziari non derivati da quelle in

strumenti finanziari derivati: infatti, per le prime è previsto che la Banca d'Italia e la Consob agiscano

d'intesa per disciplinare il funzionamento dei sistemi di compensazione e garanzia, anche mediante l'obbligo

dei partecipanti di operare dei versamenti di apposite somme, a garanzia dell'adempimento delle

obbligazioni assunte (chiamate: margini di garanzia); inoltre, in questo caso esistono degli appositi

“organismi” che vengono deputati alla gestione di queste posizioni, che assumono in proprio le relative

posizioni contrattuali: e questo comporta una sorta di sostituzione della controparte con cui si è conclusa

l'operazione con l'organismo deputato alla garanzia delle operazioni; cioè, praticamente, una volta che si è

conclusa l'operazione sul mercato, le due parti contraenti non sono più obbligate l'una nei confronti

dell'altra, ma sono obbligati nei riguardi dell'organismo di garanzia.

Allo stato attuale, i mercati regolamentati italiani sono gestiti e organizzati da 2 società: la Borsa Italiana

S.p.A. e la MTS S.p.A. - dove, quest'ultima gestisce i mercati all'ingrosso dei titoli di Stato italiani/esteri,

mentre tutti gli altri mercati sono gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A., che si è fusa con il London Stock

Exchange.

Ad oggi, i mercati gestiti dalla Borsa Italiana sono:

– il Mercato Telematico Azionario (MTA);

– il Mercato Telematico degli OICR aperti ed ETC (EFTplus);

– il Mercato Telematico delle Obbligazioni (MOT);

– il Mercato Telematico dei Securitised Derivatives (SEDEX);

– il Mercato Telematico degli Investment Vehicles (MIV);

– e il Mercato degli Strumenti Derivati (IDEM)

L'ammissione alla quotazione ufficiale, in generale, è subordinata alla sussistenza delle condizioni stabilite

nel Titolo 2.1 del Regolamento; e quest'ultimo prevede che l'emittente debba essere regolarmente costituito e

che il suo statuto debba essere conforme alle leggi e ai regolamenti a cui è soggetto; invece, gli strumenti

finanziari devono essere emessi nel rispetto di tutte le disposizioni applicabili, conformi, liberamente

negoziabili, idonei ad essere oggetto di liquidazione ed idonei ad essere negoziati in modo equo, ordinato ed

efficiente.

In particolare, per poter ottenere la quotazione delle azioni, l'emittente deve aver pubblicato e depositato i

bilanci (anche consolidati) degli ultimi 3 esercizi, ed almeno l'ultimo di essi dev'essere sottoposto a revisione

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contabile; e, pertanto, l'ammissione alla quotazione non può essere disposta se la società di revisione abbia

espresso un giudizio negativo. Tuttavia, la Borsa può riservarsi di accettare un numero di bilanci inferiore a

3, purché la deroga risponda agli interessi degli investitori. Inoltre, l'emittente deve esercitare un'attività

capace di generare ricavi, allo scopo di evitare che possano accedere alla quotazione anche dei soggetti

inattivi o incapaci di operare in condizioni di equilibrio economico.

Invece, le azioni devono avere: una capitalizzazione di mercato prevedibile (pari ad almeno 40 milioni di

euro) e una diffusione sufficiente (che si presume quando le azioni siano ripartite tra il pubblico per almeno

il 25% del capitale rappresentato dalle categorie di appartenenza); comunque, entrambi i requisiti possono

essere derogati – anzi, per le azioni di risparmio non è prevista una soglia fissa di flottante, ma è sufficiente

che la diffusione sia tale da assicurare il regolare funzionamento del mercato.

La procedura di ammissione alla quotazione comporta che l'emittente debba presentare una domanda in

cui si obblighi ad osservare le norme del Regolamento e delle Istruzioni, dichiarando di conoscerle e di

accettarle. Inoltre, deve presentare alla Consob anche un prospetto redatto con l'avallo dello sponsor (cioè,

dell'intermediario che assiste l'emittente e opera al fine di assicurare il regolare svolgimento delle

contrattazioni). Tuttavia, in alcuni casi è possibile che l'emittente veda ammessi i propri strumenti finanziari

senza averne fatto richiesta: e, ad esempio, questo può accadere quando tali strumenti finanziari siano già

negoziati in un altro mercato regolamentato italiano.

Comunque, il Regolamento della Borsa Italiana disciplina anche i casi di sospensione, revoca ed esclusione

dalle negoziazioni; infatti, la Borsa può disporre la sospensione se la regolarità del mercato dello strumento

finanziario non possa essere garantita temporaneamente o se venga suggerita dalla necessità di tutelare gli

investitori. E, ad esempio, questo può accadere nel caso in cui l'emittente venga sottoposto a delle procedure

concorsuali. Invece, la revoca si realizza in caso di prolungata carenza delle negoziazioni, e, ad esempio,

può avvenire nel caso in cui la sospensione dalla quotazione si protragga per oltre 18 mesi (e comporta che

la Borsa Italiana debba inviare una comunicazione all'emittente, con fissazione di un termine non inferiore a

15 giorni per la presentazione di deduzioni scritte; inoltre, l'emittente può chiedere un'audizione – fermo

restando che la decisione viene sempre assunta entro 60 giorni dall'invio della comunicazione). Infine,

l'esclusione può avvenire solo su richiesta.

L'ammissione degli intermediari al mercato è riservato:

– ai soggetti autorizzati ai servizi di investimento di negoziazione per conto proprio o di esecuzione di

ordini per conto dei clienti;

– alle banche e alle imprese di investimento autorizzate alla prestazione dei servizi e delle attività di

negoziazione per conto proprio o di esecuzione di ordini per conto dei clienti;

– e alle S.p.A e alle S.r.l.

Comunque, questi soggetti devono attestare che: gli addetti alle negoziazioni conoscano le regole del

mercato e siano in possesso di un'adeguata qualificazione professionale; che siano state istituite delle

procedure di compensazione, garanzia e liquidazione; e che siano dotate di un'unità interna di Information

Technology, adeguata a garantire la continuità e la puntualità di funzionamento dei sistemi di negoziazione

utilizzati.

Poi, le negoziazioni si svolgono in 3 fasi: l'asta di apertura, la negoziazione continua e l'asta di chiusura.

In pratica, l'asta di apertura si articola in due sottofasi: la pre-asta (in cui gli intermediari possono immettere,

modificare e cancellare le proprie proposte di negoziazione) e l'apertura vera e propria. In particolare, nella

pre-asta, il sistema telematico di contrattazione aggiorna in tempo reale un prezzo teorico d'asta, che può

essere inteso come il prezzo a cui risulta negoziabile la maggior quantità di titoli. Tuttavia:

– nel caso in cui lo stesso quantitativo sia negoziabile a più di un livello di prezzo, il prezzo teorico è

quello che produce il minor volume non negoziabile, relativamente alle proposte aventi prezzi uguali

o migliori;

– invece, se risulti di pari entità anche il quantitativo di strumenti non negoziabili, il prezzo teorico

coincide con il prezzo più alto se la maggior pressione sia sul lato degli acquisti; altrimenti, se la

pressione è sul lato delle vendite, coinciderà con il prezzo più basso;

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– poi, qualora la pressione sia pari da ambo i lati, il prezzo teorico è pari al prezzo più vicino a quello

dell'ultimo contratto valido; e qualora non esista un prezzo di riferimento, il prezzo teorico è pari al

prezzo più basso tra quelli risultanti dalle ipotesi precedenti.

Poi, la fase di negoziazione continua è quella in cui gli intermediari possono inserire, cancellare o

modificare le loro proposte; e la conclusione delle operazioni avviene mediante l'abbinamento automatico di

proposte di segno contrario che siano presenti nel sistema di contrattazione. Quindi, al termine della giornata

viene calcolato il “prezzo ufficiale”, il “prezzo di riferimento” e il “prezzo di controllo”, dove: il primo è il

prezzo medio ponderato dell'intera quantità di un determinato strumento. Poi, si distingue anche tra prezzo

dinamico e prezzo statico, dove: il prezzo dinamico è dato dal prezzo dell'ultimo contratto concluso nella

giornata, o dal prezzo di riferimento del giorno precedente (nel caso in cui nel corso della seduta non siano

stati conclusi contratti); invece, il prezzo statico è il prezzo di riferimento del giorno precedente in asta di

apertura o il prezzo di conclusione dei contratti della fase di asta, dopo ogni fase di asta.

La risoluzione delle controversie tra la Borsa e i Soggetti Ammessi al mercato può riguardare sia

controversie che spettano all'Autorità Giudiziaria, sia controversie che spettano ad un Collegio Arbitrale.

Pertanto: spettano al Foro di Miliano le controversie in materia di corrispettivi, diniego dell'ammissione alla

quotazione e revoca dell'ammissione. Tutte le altre controversie, invece, sono riservate ad un collegio

arbitrale composto da 3 membri: in questi casi, l'arbitrato è sempre rituale e segue le norme del codice di

procedura civile. Tuttavia, per poter attivare la procedura arbitrale è necessario il preventivo esperimento di

un'apposita procedura dinanzi al Collegio dei Probiviri (composto da 3 membri nominati dal Consiglio di

Amministrazione della Borsa Italiana); tuttavia, la decisione del collegio non è vincolante e svolge un ruolo

di mediazione.

Comunque, la MiFID, eliminando il regime di concentrazione, ha creato il problema della frammentazione

delle sedi di esecuzione, sollevando numerosi problemi di trasparenza e di ricerca delle condizioni di best

execution; pertanto, la Direttiva ha anche imposto degli specifici obblighi di trasparenza pre e post

negoziazione. Tuttavia, questa disciplina è incompleta, perchè riguarda esclusivamente le azioni: infatti, la

Consob ha ritenuto opportuno estenderla anche ai titoli diversi dalle azioni con l'enucleazione di alcuni

standard generali.

Invece, il regolamento EMIR persegue l'obiettivo di realizzare una maggior solidità, stabilità ed integrità

dei mercati, mediante la previsione di due particolari categorie di soggetti: le controparti centrali (CCP) e i

repertori di dati sulle negoziazioni. Le controparti centrali sono persone giuridiche che si interpongono tra

le controparti dei contratti negoziati su uno o più mercati finanziari, agendo come acquirenti nei confronti

dei venditori e come venditori nei confronti degli acquirenti; invece, i repertori di dati sono persone

giuridiche che raccolgono e conservano le registrazioni sui derivati. Inoltre, è previsto un obbligo di

compensazione per i contratti che abbiano ad oggetto determinate categorie di derivati over the counter;

ancora, è previsto un obbligo di segnalazione, che impone alle controparti e alle CCP di assicurare che le

informazioni sui contratti derivati conclusi vengano trasmesse ad un repertorio di dati sulle negoziazioni; e,

infine, nel caso di contratti derivati non compensati, il Regolamento Emir stabilisce che le controparti che li

stipulino debbano adottare delle tecniche di attenuazione dei rischi.

Capitolo 14 – la gestione accentrata e la dematerializzazione degli strumenti finanziari

La contrazione dei termini di regolamento, in Italia, si basa sulla liquidazione “per contanti”; il che

comporta che le operazioni concluse sul mercato vengano regolate il terzo giorno successivo, così da ridurre

il rischio che, nel periodo intercorrente tra la conclusione dell'operazione e il regolamento della stessa, la

controparte diventi insolvente o non riesca ad adempiere agli impegni assunti.

Pertanto, da un lato, si è passati dal regolamento su base mensile a quello per contanti, e, in secondo luogo, è

stato necessario ridurre l'esigenza di movimentare “materialmente” i titoli che fossero oggetto delle

negoziazioni. Infatti, sono stati introdotti dei meccanismi di dematerializzazione dei titoli negoziati nei

mercati ufficiali, così da evitare la consegna materiale dei certificati rappresentativi; e, per farlo, è stato

necessario un processo diviso in due fasi.

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La prima fase è stata avviata nel 1986, con l'istituzione della Monte Titoli S.p.A., la cui disciplina si fonda

sull'accentramento dei titoli presso la società di gestione accentrata, che, quindi, provvede a registrare le

operazioni di trasferimento. Tuttavia, la forma cartacea del titolo non era stata del tutto soppressa, perché i

titoli potevano essere ritirati dal sistema e recuperare la forma originaria.

Poi, con il decreto legislativo 213/98 si è realizzata la dematerializzazione totale e la privatizzazione della

Monte Titoli S.p.A., che ha imposto che la circolazione dello strumento finanziario avvenga mediante

“annotazioni in conto”, e il titolare del conto è il soggetto legittimato ad esercitare i diritti relativi agli

strumenti finanziari registrati nel conto stesso – fermo restando che l'intermediario sia responsabile sia verso

il titolare del conto (per eventuali danni) sia verso l'emittente (per l'adempimento degli obblighi di

comunicazione e segnalazione).

Comunque, fin dall'inizio, il perno del sistema della Monte Titoli era rappresentato dal sub-deposito (nel

senso che i titoli venivano affidati in deposito a soggetti abilitati – come le banche – e questi ultimi li

affidavano in sub-deposito alla società di gestione accentrata). Pertanto, la Monte Titoli non acquista la

proprietà dei titoli, ma i depositanti non hanno il diritto di chiedere la loro restituzione cartacea, bensì quello

di richiedere il rilascio di un quantitativo di titoli della stessa specie.

Poi, nel 2010, il recepimento della Direttiva “Shareholder's Rights” ha offerto l'occasione per consolidare la

disciplina del TUF, specificando quali soggetti siano abilitati alla gestione accentrata (così da abbandonare il

sistema del monopolio della Monte Titoli S.p..A.). Infatti, i requisiti per lo svolgimento dell'attività di

gestione accentrata sono fondamentalmente gli stessi che sono previsti per le società di gestione dei mercati

regolamentati, con l'unica precisazione che la Consob e la Banca d'Italia debbano approvare il regolamento

che definisca gli aspetti fondamentali della gestione.

Capitolo 15 – l'offerta al pubblico di prodotti finanziari

Il TUF definisce l'offerta al pubblico come “ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con

qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell'offerta e dei prodotti finanziari

offerti, così da consentire all'investitore di decidere se acquistarli o sottoscriverli, incluso il collocamento

tramite soggetti abilitati”.

Quindi, l'oggetto dell'offerta sono i prodotti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura

finanziaria – da cui sono esclusi i depositi bancari o postali che non siano rappresentati da strumenti

finanziari (pur essendo dei prodotti finanziari), mentre sono stati inclusi i prodotti finanziari emessi da

imprese di assicurazione (che sono individuati nel Codice delle Assicurazioni).

Pertanto, la definizione di “prodotto” finanziario non è mai specificata; infatti, mentre la nozione di “valore

mobiliare” è stata soppiantata da quella di “strumento” finanziario, ma, in sostanza, le due diciture si

sovrappongono perché entrambe sono riferibili a strumenti che possano essere utilizzati per la raccolta di

risparmio diffuso (con l'unica precisazione che gli strumenti finanziari sono stati specificati in un apposito

elenco), la nozione di prodotto finanziario dev'essere ricostruita mediante il ricorso alle teorie economiche.

Infatti, grazie a queste, si può dire di essere in presenza di un investimento di natura finanziaria ogni

qualvolta si assista ad operazioni che comportino l'impiego di capitali, a fronte di un'attesa di rendimento,

correlata al rischio sottostante – con la precisazione che questo rischio deve avere “natura finanziaria”, cioè

dev'essere connesso alla remunerazione dei capitali investiti. Allora, da ciò si ricava che il concetto di

prodotto finanziario sia così ampio da poter ricomprendere ogni strumento che sia idoneo alla

raccolta del risparmio e che rappresenti un impiego finanziario di capitali; e ciò anche se tale

strumento sia privo dei tratti tipici degli strumenti finanziari (ad esempio, per i prodotti finanziari non è

richiesto il requisito della negoziabilità; e quindi sono prodotti finanziari anche le quote delle s.r.l.).

Proprio per questo, la categoria dei prodotti finanziari esclude i prodotti di erogazione di credito (come i

contratti di mutuo) perchè questi prodotti non sono forme di “investimento” finanziario.

Comunque, la disciplina dell'offerta al pubblico ha lo scopo di tutelare gli investitori sotto il profilo della

trasparenza, affinché sia possibile approdare ad un giudizio “informato” sull'investimento.

Pertanto, lo strumento che svolge questa funzione è il Prospetto Informativo: e quest'ultimo si riferisce a

due diversi regimi, di cui il secondo si riferisce alle quote o azioni di OICR aperti, mentre il primo si

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riferisce a prodotti finanziari diversi dagli OICR aperti e agli strumenti finanziari comunitari (che sarebbero

i valori mobiliari e le quote di fondi chiusi). In linea generale, il prospetto dev'essere rivolto all'investitore

non professionale e dev'essere redatto dal promotore dell'offerta, così che possa essere sottoposto al

controllo preventivo della Consob; tuttavia, qui non vale la regola del silenzio-assenso, anche se non sempre

l'approvazione spetta alla Consob.

L'adesione alle operazioni di offerta può realizzarsi solo mediante la sottoscrizione (anche telematica)

dell'apposito modulo – o con altre modalità equivalenti, indicate nel prospetto. Perciò, se ne deduce che

questi contratti abbiano tendenzialmente una forma scritta; inoltre: l'investitore può revocare la propria

accettazione nel caso in cui il prospetto non abbia indicato prezzo e quantità dei prodotti; oppure, può

revocare l'accettazione anche nel caso in cui venga pubblicato un supplemento del prospetto. Infatti, è da

notare che i soggetti che redigano il prospetto siano responsabili dei danni subìti dall'investitore che abbia

fatto ragionevolmente affidamento sulla veridicità e sulla completezza delle informazioni – salvo che sia

possibile provare di aver redatto il prospetto con la dovuta diligenza. Comunque, la responsabilità che si

evince è una responsabilità pre-contrattuale, e quindi è riconducibile negli schemi della responsabilità da

contratto.

Il potere regolamentare della Consob è particolarmente ampio, perché attiene a tutti i profili dello

svolgimento dell'offerta, al comportamento dei partecipanti e all'attività preparatoria; e, inoltre, la Consob

può differenziare le norme regolamentari rispetto alle caratteristiche specifiche dei prodotti finanziari, degli

emittenti e dei mercati.

Innanzitutto, l'offerta al pubblico presuppone la predisposizione di 2 documenti standardizzati: il prospetto e

la comunicazione alla Consob – così che in caso di approvazione, valga il principio del mutuo

riconoscimento ai fini dell'offerta negli altri Stati Membri dell'UE. Inoltre, i soggetti che partecipano

all'offerta sono obbligati ad osservare i principi di correttezza, trasparenza e parità di trattamento dei

destinatari dell'offerta e devono astenersi dal diffondere notizie incoerenti o capaci di influenzare

l'andamento delle adesioni – fermo restando che, in casi sospetti, la Consob possa sempre richiedere la

comunicazione di dati, atti e documenti sia agli acquirenti che ai sottoscrittori dei prodotti finanziari (cioè, a

soggetti diversi dagli intermediari!).

La disciplina della pubblicità finanziaria delle operazioni di offerta al pubblico si è consolidata

nell'articolo 101 del TUF, che stabilisce il divieto di diffondere annunci pubblicitari relativi ai prodotti

finanziari diversi dagli strumenti comunitari prima della pubblicazione del prospetto. Infine, il 4°comma

attribuisce alla Consob il potere di sospendere o vietare l'attività pubblicitaria, mentre il 5° stabilisce che nel

caso di informazioni comunicate “in via selettiva” a determinati investitori, occorra ripristinare le condizioni

di parità prima dell'offerta vera e propria.

L'articolo 100 del TUF individua i casi di inapplicabilità totale della disciplina dell'offerta al pubblico,

stabilendo che le norme non si applichino alle operazioni: che siano rivolte esclusivamente agli investitori

qualificati; che siano rivolte ad un numero di investitori inferiore a 150; alle operazioni di ammontare

complessivo inferiore a 5 milioni di euro, o che abbiano ad oggetto strumenti finanziari emessi da uno Stato

Membro, dalla BCE o dalle banche centrali nazionali degli Stati Membri o che abbiano ad oggetto strumenti

diversi dai titoli di capitale che siano emessi dalle banche in modo continuo o ripetuto ogni 12 mesi.

Invece, il 2°comma dell'articolo 100 stabilisce che la Consob possa individuare i casi di esclusione parziale

dalla disciplina dell'offerta al pubblico; per cui, la Consob ha parzialmente escluso: le offerte relative a

valori mobiliari offerti in opzione ai soci di emittenti con azioni e obbligazioni convertibili; le offerte rivolte

ad amministratori, dipendenti e promotori di società non quotate; e le offerti aventi ad oggetto strumenti

finanziari diversi dai titoli di capitale, emessi da banche di credito operativo o da banche in cui il controllo

contabile sia esercitato dal collegio sindacale.

Inoltre, l'articolo 205 è stato modificato al fine di escludere dalla disciplina le ipotesi in cui, per gli strumenti

offerti, sia già stato messo a disposizione del pubblico un set di informazioni relative all'emittente; infatti: le

offerte di acquisto e vendita di prodotti finanziari effettuate nei mercati regolamentati, nei sistemi

multimediali di negoziazione e dagli internalizzatori sistematici NON costituiscono offerta al pubblico di

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prodotti finanziari NE' offerta pubblica di acquista e scambio.

Poi, ai sensi dell'art.91, chiunque faccia un'offerta al pubblico in violazione degli articoli 94 e 98 TER è

punito con una sanzione amministrativa pecuniaria, compresa tra ¼ del controvalore offerto e il doppio di

tale valore, a cui si aggiunge la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità e l'incapacità temporanea di

assumere incarichi direttivi in società quotate o con titoli diffusi.

Invece, se viene realizzata un'offerta al pubblico senza che il prospetto sia stato pubblicato, i contratti che

siano stati conclusi sono affetti da nullità per violazione di norme imperative.

L'articolo 100 BIS del TUF è legato alle crisi che hanno caratterizzato il mercato italiano negli anni passati,

in cui si è registrato il default della Cirio o della Parmalat. In pratica, questo articolo traduce il trasferimento

alla clientela al dettaglio di corporate bonds (cioè, di obbligazioni emesse da imprese private, che

originariamente venivano emessi solo nei confronti degli investitori professionali e senza prospetto

informativo).

Pertanto, l'articolo 100 BIS dispone che: la successiva rivendita – entro 12 mesi – di prodotti finanziari che

abbiano costituito oggetto di un'offerta al pubblico esente dall'obbligo di pubblicare il prospetto, costituisce

comunque un'autonoma offerta al pubblico. E, ovviamente, lo scopo è quello di evitare l'elusione della

disciplina dell'offerta al pubblico nei casi in cui sia più alto il rischio che degli investitori non qualificati

acquistino degli strumenti finanziari senza la “protezione” tipica delle offerte pubbliche.

Infine, allo scopo di agevolare la nascita e la patrimonializzazione delle start-up innovative del settore

tecnologico, il decreto legge 179/2012 ha introdotto l'approvvigionamento delle risorse finanziarie mediante

alcuni portali on-line (e questo fenomeno si definisce anche crowdfunding).

Capitolo 16 – le offerte pubbliche di acquisto (OPA)

La disciplina dell'OPA ha, principalmente, la finalità di assicurare una certa trasparenza nelle operazioni di

offerta; e, con riferimento all'OPA obbligatoria, ha anche l'obiettivo di apprestare degli specifici strumenti di

tutela delle minoranze, nel caso di acquisto di una partecipazione rilevante al capitale di emittenti quotati,

così da porre i soci di minoranza nella condizione di poter a propria volta vendere i propri titoli in cambio di

un corrispettivo pari a quello percepito dal socio che abbia ceduto la quota rilevante.

Il TUF definisce l'offerta pubblica di acquisto o di scambio come “ogni offerta, invito o messaggio

promozionale finalizzato all'acquisto o allo scambio di prodotti finanziari, e rivolto a un numero di soggetti

e ad un ammontare complessivo superiori a quelli indicati dalle lettere B e C del 1°comma dell'articolo

100” inoltre, non costituisce offerta quella avente ad oggetto i titoli emessi dalle banche centrali degli Stati

comunitari.

Comunque, in Italia, l'autorità competente per la vigilanza sulle offerte pubbliche di acquisto e scambio è la

Consob; ma, ai fini del riparto in caso di offerte transnazionali, la vigilanza spetta alla Consob quando

l'offerta abbia ad oggetto: titoli emessi da una società con sede legale in Italia, titoli emessi da una società

con sede in uno Stato Membro e ammessi alla negoziazione esclusivamente su mercati regolamentati

italiani, e titoli ammessi ammessi per la prima volta alla negoziazione su un mercato italiano.

D'altro canto, il lancio dell'offerta comporta che la decisione o l'obbligo di promuovere l'OPA vengano

immediatamente comunicati alla Consob e contestualmente resi pubblici, al fine di rendere improrogabile

l'obbligo di lanciare l'OPA (entro e non oltre 20 giorni), mediante deposito del Documento di Offerta – e se

il termine non viene rispettato, l'offerente non può riproporre l'offerta per i successivi 12 mesi. Comunque, il

Documento di Offerta dev'essere trasmesso senza indugio all'emittente, perché gli organi sociali della

società bersaglio sono tenuti ad esprimere un giudizio sull'offerta, così da orientare il comportamento degli

azionisti. D'altro canto, l'OPA è irrevocabile, ma può essere sottoposta a condizioni (come il

raggiungimento di un quantitativo minimo di titoli); inoltre, se ci sono delle offerte concorrenti, queste

possono essere pubblicate fino a 5 giorni prima della data stabilita per la chiusura del periodo di adesione

all'offerta precedente (e, infine, è anche possibile realizzare dei rilanci incrociati, ma solo entro 5 giorni

dall'offerta concorrente o dal precedente rilancio).

Comunque, uno dei profili più controversi della disciplina dell'OPA è rappresentato dalla Passivity Rule.

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Infatti, bisogna stabilire se, e a quali condizioni, la società bersaglio possa adottare delle tecniche di difesa in

caso di scalata aggressiva. A questo proposito, la materia delle difese è consacrata nell'articolo 104 del TUF,

ma è limitata alle società quotate italiane: infatti, le società bersaglio devono astenersi dal compiere atti od

operazioni che possano pregiudicare il conseguimento degli obiettivi dell'offerta, salvo autorizzazione

dell'assemblea – tuttavia, l'obbligo di astensione si applica a partire dalla comunicazione e fino alla chiusura

dell'offerta (ma questa regola è derogabile dagli statuti delle società).

Inoltre, l'articolo 104 TER è intitolato “clausola di reciprocità” allo scopo di ribadire che: se l'offerta viene

promossa da un soggetto che abbia sede in uno Stato Membro in cui è prevista la possibilità di adottare

misure difensive, le disposizioni che non consentano di fare altrettanto alla società bersaglio possono non

trovare applicazione. La questione viene rimessa sempre alla Consob, che dovrà decidere entro 20 giorni

dall'istanza dell'offerente o dell'emittente.

Invece, la regola della neutralizzazione è prevista dall'art. 104 BIS, e ha l'obiettivo di neutralizzare

eventuali “barriere” che possano compromettere il successo dell'offerta – come i limiti statutari al

trasferimento delle azioni o i limiti all'esercizio del diritto di voto. In pratica, nel periodo di adesione

all'offerta queste limitazioni non hanno effetto nei confronti dell'offerente; tuttavia, questa regola è assistita

da un obbligo di indennizzo: infatti, in caso di esito positivo dell'OPA, l'offerente ha l'obbligo di

indennizzare i soggetti che non abbiano potuto esercitare i diritti loro spettanti, sempre che la richiesta venga

avanzata entro 90 giorni dalla chiusura dell'offerta.

L'OPA obbligatoria ha un ambito di applicazione molto ristretto, perchè infatti si applica solo alle società

italiane con titoli ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani.

Nello specifico, il TUF disciplina due tipi di Opa obbligatoria: l'OPA successiva totalitaria e l'OPA

preventiva – e nella disciplina rientra anche l'obbligo di acquisto, che ha rimodulato il concetto di “Opa

residuale”.

L'articolo 106 disciplina l'OPA Totalitaria, che consente agli azionisti di minoranza di uscire dalla società in

seguito al mutamento dell'azionista di controllo; e, pertanto, è tenuto a promuovere l’Opa chiunque, in

seguito ad acquisti a titolo oneroso, venga a detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione

superiore al 30% delle azioni ordinarie o speciali, che attribuiscano il diritto di voto nelle deliberazioni

assembleari. Di regola, è una manovra controllata, perchè è inverosimile che si acquisti involontariamente

una partecipazione superiore al 30%! Il prezzo minimo che deve essere offerto per ciascuna categoria di

azioni è fissato per legge, ed è pari a quello più elevato pagato dall'offerente nei 12 mesi antecedenti

l'avvio dell'OPA.

Per evitare elusioni, l’obbligo di lanciare l’Opa sussiste anche quando la percentuale del 30% sia superata

sommando gli acquisti effettuati singolarmente da più soggetti, che però siano legati tra loro da certi rapporti

tassativamente individuati dalla legge: in questo caso si parla di acquisto di concerto. Questi rapporti

riguardano: patti parasociali, anche nulli; rapporti tra il dominus e le società da esso controllate; e rapporti di

società sottoposte a comune controllo.

Una volta che sia stabilito che la soglia del 30% è stata superata in questo modo, tali soggetti sono obbligati

solidalmente al lanciare l’Opa totalitaria anche se gli acquisti a titolo oneroso siano stati effettuati solo da

uno di essi.

È affidato alla Consob il compito di definire, con proprio regolamento, quando sussista e quando non

sussista l’obbligo di lanciare l’Opa Successiva in alcuni casi particolari. Infatti, l'acquisto di una

partecipazione rilevante non comporta l'obbligo di offerta se: le operazioni siano dirette al salvataggio di

società in crisi, se le operazioni abbiano carattere temporaneo, se gli acquisti siano a titolo gratuito, o nel

caso di operazioni di fusione o di scissione. Inoltre, l'obbligo di offerta non sussiste anche nel caso in cui la

partecipazione rilevante venga detenuta in seguito ad un'OPA rivolta a tutti i azionisti per la totalità dei titoli

in loro possesso.

L'articolo 107, invece, disciplina l'OPA Preventiva, che, in realtà, ha il mero scopo di evitare il lancio

dell'Opa totalitaria; infatti, l'obbligo di lanciare l'Opa non sussiste se la partecipazione rilevante venga ad

essere detenuta in seguito ad un'offerta pubblica di acquisto o scambio che avesse ad oggetto almeno il 60%

dei titoli di ogni categoria. Però:

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– l'offerente non deve aver acquistato partecipazioni in misura superiore all'1% nei 12 mesi precedenti;

– l'offerta dev'essere approvata dagli azionisti che possiedano la maggioranza dei titoli in questione;

– e la Consob deve accordare l'esenzione, previa verifica delle condizioni stabilite.

Tuttavia, allo scopo di evitare l'elusione della disciplina, il 3°comma prevede che l'offerente debba

comunque lanciare l'opa se abbia effettuato acquisti di partecipazioni in misura superiore all'1% e se

l'assemblea della società emittente abbia deliberato operazioni di fusione o di scissione.

La disciplina dell'OPA residuale è stata soppressa in favore di un nuovo istituto, chiamato “obbligo di

acquisto”: infatti, la nuova formulazione dell'articolo 108 dispone che l'offerente che viene a detenere, in

seguito ad un'opa totalitaria, una partecipazione almeno pari al 95% ha l'obbligo di acquistare i restanti titoli

da chi ne faccia richiesta (e quando siano state emesse più categorie di titoli, l'obbligo sussiste solo per

quelle riferite alla soglia del 95%). Inoltre, chiunque venga a detenere una partecipazione superiore al 90%

del capitale rappresentato da titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, ha l'obbligo di

acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta, se non ripristini entro 90 giorni un flottante sufficiente ad

assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. Quindi, la principale differenza rispetto alla vecchia

formulazione sta nella biforcazione: infatti, il primo caso si riferisce al superamento di una soglia in seguito

ad un'opa totalitaria, mentre il secondo caso si riferisce a cause diverse dall'opa; inoltre, il primo caso

intende tutelare l'azionista che non abbia aderito all'opa, mentre il secondo intende tutelare la liquidità del

mercato dell'emittente.

Diverso dall'obbligo di acquisto è il diritto di acquisto, disciplinato dall'art.111: infatti, è stabilito che

l'offerente che venga a detenere una partecipazione almeno pari al 95% del capitale rappresentato da titoli in

una società italiana quotata, abbia il diritto di acquistare i titoli residui entro 3 mesi dalla scadenza del

termine per l'accettazione dell'offerta, se abbia dichiarato di volersi avvalere di questo diritto nel Documento

di Offerta. In pratica, si realizza una cessione forzosa delle azioni a cui segue una fuoriuscita forzata dei soci

di minoranza: in realtà, a ben vedere, non si tratta di un meccanismo volto a negare il diritto dell'azionista di

“restare in gioco”, ma di un meccanismo che si realizza automaticamente per il fatto che, con la scomparsa

di un mercato liquido, viene proprio meno la causa del rapporto originario tra l'azionista e la società.

Capitolo 17 – l'informazione societaria, l'insider trading e gli abusi di mercato

Il buon funzionamento del mercato mobiliare richiede la diffusione continua di informazioni, complete e

attendibili, sugli strumenti finanziari e gli emittenti quotati, anche al fine di reprimere il fenomeno

dell'Insider Trading, che si riferisce a tutti quei comportamenti che si sostanziano nello sfruttamento

abusivo delle informazioni che non siano ancora state rese pubbliche, da parte di chi ne sia venuto in

possesso a causa dei rapporti intrattenuti con l'emittente. Pertanto, gli emittenti quotati sono soggetti a degli

specifici obblighi di informazione societaria volti a contrastare gli abusi di mercato: così, nell'ambito

dell'Unione Europea si è sviluppata una disciplina che si muove essenzialmente su due piani – di cui, il

primo è costituito dalla disciplina delle informazioni privilegiate, mentre il secondo vieta la “manipolazione

del mercato”. Infatti, la normativa di riferimento è la Direttiva di primo livello 2003/6, che giustifica

l'emanazione delle direttive di secondo livello da parte della Commissione Europea.

Comunque, gli articoli dal 113 al 117 del TUF sono interamente dedicati alla disciplina delle comunicazioni

al pubblico; infatti, l'articolo 114 stabilisce che: “gli emittenti quotati e i soggetti che li controllano devono

comunicare al pubblico le informazioni privilegiate, stabilite dall'art.181, che riguardino anche le società

controllate”

Quindi: l'obbligo di informazione continua non si riferisce solo all'emittente quotato, ma a tutti i soggetti

che lo controllino o che siano da questo controllati. Inoltre, il soggetto che viene colpito per primo

dall'obbligo si ricava dal 2°comma, che, da un lato, stabilisce che gli emittenti quotati abbiano l'obbligo di

impartire alle Controllate le disposizioni necessarie per adempiere agli obblighi di comunicazione, e,

dall'altro, pone a carico delle società controllate l'obbligo di trasmettere tempestivamente le notizie richieste.

Poi, per quanto riguarda il rapporto tra l'art.114 e l'art.181, c'è da considerare che il divieto di abuso di

informazioni privilegiate copre un ambito più vasto di quello delle informazioni soggette agli obblighi di

informazione. Infatti, l'art.181 dispone che l'informazione privilegiata dev'essere un'informazione precisa,

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che non è stata resa pubblica, e che deve essere capace di influire direttamente o indirettamente sul prezzo

degli strumenti finanziari – e quest'ultimo profilo può essere provato mediante il ricorso al “test

dell'investitore ragionevole” , con cui si valuta la probabilità che un investitore ragionevole possa sfruttare

quell'informazione per le future decisioni di investimento. Proprio per questo, nella nozione di informazione

privilegiata rientra anche la conoscenza di un ordine rilevante trasmesso da un cliente, a cui si connette il

divieto di abuso dell'informazione: tuttavia, questo divieto di abuso non può spingersi fino al rifiuto di dare

esecuzione all'ordine per il solo fatto che questo possa avere un impatto rilevante sui prezzi degli strumenti

finanziari; infatti, lo scopo della norma è solo quello di evitare che gli intermediari possano sfruttare

indebitamente l'informazione di cui sono in possesso per effettuare operazioni nell'interesse proprio o di

soggetti diversi dal cliente che abbia trasmesso l'ordine!

L'adempimento dell'obbligo di informare il pubblico si realizza mediante la predisposizione di un

comunicato, che dev'essere diffuso secondo le modalità stabilite dalla Consob nel Regolamento Emittenti,

che prevede il ricorso ai cosiddetti “SDIR”. Tuttavia, uno dei temi più dibattuti è quello che attiene alla

possibilità che gli emittenti possano ritardare la diffusione delle informazioni nel caso in cui questa possa

pregiudicare gli interessi legittimi del pubblico: pertanto, questa soluzione può essere adottata quando ci sia

una trattativa ancora in corso, il cui normale andamento potrebbe essere compromesso dalla divulgazione

dell'informazione. Tuttavia, spetta alla Consob stabilire le ipotesi e le condizioni che legittimino il ricorso al

ritardo, che comunque è ammissibile soltanto quando i soggetti siano in grado di garantire la riservatezza

dell'informazione e a patto che il ritardo stesso non sia capace di fuorviare il pubblico.

Poi, la comunicazione a terzi delle informazioni privilegiate è possibile soltanto quando essa avvenga nel

normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio; tuttavia, gli effetti della

selective disclosure sono diversi a seconda che il terzo sia o meno tenuto ad un obbligo di riservatezza,

perchè, infatti, se il terzo non è soggetto ad alcun obbligo, la norma impone l'immediato ripristino delle

condizioni di parità informativa con il pubblico – e questa comunicazione deve essere simultanea, nel caso

di divulgazione intenzionale al terzo; e, fatta senza indugio, in caso di divulgazione non intenzionale.

Comunque, la repressione del fenomeno dell'Insider Trading si accompagna all'introduzione di nuove forme

di prevenzione delle condotte illecite, che hanno l'obiettivo di assicurare una maggior tracciabilità di queste

condotte (mediante il registro delle persone in possesso delle informazioni privilegiate) e quello di

assicurare la trasparenza delle operazioni che vengano realizzate da potenziali insiders (mediante obblighi di

comunicazione delle informazioni). In pratica, gli emittenti quotati e i soggetti che con essi abbiano un

rapporto di controllo devono istituire ed aggiornare un registro che consenta di identificare preventivamente

le persone che siano in possesso di informazioni privilegiate; inoltre, gli obblighi di comunicazione vanno

adempiuti sia nei confronti del pubblico che della Consob, ma hanno una portata episodica rispetto a quelli

sanciti dal 1°comma dell'art.114. Infatti, questi obblighi sono relativi ad alcune materie specifiche, come le

operazioni straordinarie – a cui, ad esempio, si aggiungono i verbali assembleari, le modifiche del capitale o

l'offerta di diritti di opzione. In particolare, le operazioni straordinarie sono: le fusioni, le scissioni, gli

aumenti di capitale mediante conferimenti in natura, l'acquisto e la vendita di azioni proprie, l'emissione di

obbligazioni e così via.

Invece, l'articolo 115 elenca gli obblighi di comunicazione alla Consob; infatti, quest'ultima può chiedere

notizie e documenti, assumere notizie mediante l'audizione dei soci, procedere ad ispezioni ed esercitare

ulteriori poteri al fine di vigilare sulla correttezza delle informazioni che devono essere fornite al pubblico.

D'altro canto, non esistono solo misure di prevenzione, ma anche di repressione; infatti, per quanto riguarda

le sanzioni penali, l'articolo 184 prevede la reclusione da 1 a 6 anni e una multa compresa tra 20.000 euro e

3 milioni per chi, sfruttando le informazioni privilegiate:

– acquisti, venda o compia altre operazioni su strumenti finanziari, direttamente o indirettamente, per

conto proprio o per conto di terzi;

– per chi comunichi tali informazioni a terzi estranei al normale esercizio del lavoro, della professione,

della funzione o dell'ufficio;

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– e per chi raccomandi o induca altri al compimento di acquisti, vendite o altre operazioni facendo leva

sulle informazioni privilegiate.

Inoltre, la stessa pena si applica a chiunque compia tali atti per preparare o eseguire delle attività delittuose

(allo scopo di contrastare il coinvolgimento di organizzazioni criminali e gruppi terroristici in attività di

manipolazione del mercato). Da ciò si ricava che l'insider può essere tanto un socio, quanto un soggetto che

abbia acquisito l'informazione in relazione alla carica ricoperta.

Oltre alle sanzioni penali (che in realtà erano facoltative), la Direttiva 2003/6 aveva imposto l'adozione di

sanzioni amministrative per le stesse condotte che configurano il reato di abuso di informazioni

privilegiate; tuttavia, le fattispecie rilevanti sul pano delle sanzioni amministrative contemplano anche

l'ipotesi dell'abuso commesso da chiunque compia uno degli atti vietati per il solo fatto di conoscere o

riconoscere il carattere privilegiato delle informazioni sulla base dell'ordinaria diligenza = quindi, in questa

categoria rientrano i cosiddetti “insider secondari”.

La manipolazione del mercato comprende tutti i comportamenti atti a perturbare il funzionamento normale

del mercato mobiliare, di cui possono essere esempio: la diffusione di informazioni false sugli strumenti

finanziari; il compimento di operazioni fuorvianti sulla situazione di mercato di uno specifico strumento

finanziario; o il compimento di ordini che utilizzino artifizi o raggiri. Tuttavia, questa materia non era ignota

al sistema italiano, perchè poteva essere ricondotta al reato di aggiotaggio – che ora vale per gli strumenti

non quotati.

Comunque, a volte non è semplice tracciare il confine tra la manipolazione del mercato e l'attività

speculativa, per cui un criterio discretivo – sul piano penale – può essere rintracciato nel fatto che queste

condotte devono essere concretamente idonee a provare “una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti

finanziari”; sul piano amministrativo, invece, l'impostazione risulta più vaga, sicché spetta alla Consob

individuare gli elementi e le circostanze da prendere in considerazione per la valutazione dei comportamenti

che configurino manipolazioni del mercato, prendendo in considerazione gli esempi elaborati a livello

comunitario.

E, infatti, il CESR ha individuato alcune esemplificazioni di pratiche manipolative.

E ne sono esempi: il Painting the Tape (che consiste nel realizzare un'operazione che viene mostrata al

pubblico su strutture telematiche al fine di creare l'apparenza del movimento di prezzo di uno specifico

strumento finanziario), il Marking the Close (che consiste nell'acquistare o vendere strumenti finanziari

verso la fine delle negoziazioni, così da alterarne il prezzo finale), l'Abusive Squeeze (che, in sostanza,

costituisce un abuso di posizione dominante), il Trash and Cash (che si realizza quando un soggetto prenda

una posizione ribassista su uno strumento finanziario, diffondendo informazioni negative false, così da

ridurne il prezzo e acquistare gli strumenti a prezzi sensibilmente più bassi) e il Pump and Dump (che è un

comportamento speculare al T&C).

Tuttavia, la disciplina europea ha voluto considerare come “legittime” alcune prassi che normalmente

vengono adottate nei mercati, e che, in effetti, sono solo potenzialmente manipolative - però è chiaro che non

possano beneficiare dell'esenzione tutte quelle operazioni che richiedano artifizi, inganni e notizie

palesemente false o fuorvianti. Comunque, ai fini del riconoscimento dell'esenzione è necessaria

un'omologazione da parte dell'Autorità di Vigilanza, mediante un procedimento consultivo che coinvolge

emittenti, intermediari, consumatori e altre autorità, sia italiane, che estere.

La direttiva 2003/6 tratta anche della disciplina degli studi e delle ricerche, allo scopo di assicurare una certa

trasparenza nelle raccomandazioni di investimento – dove quest'ultime sono informazioni volte a proporre o

raccomandare una specifica strategia d'investimento. Pertanto, la linea di demarcazione rispetto al servizio di

consulenza sta nel fatto che le raccomandazioni devono essere rivolte al pubblico, mentre il servizio di

consulenza offre consigli personalizzati.

D'altro canto, anche i giornalisti e le agenzie di rating sono state oggetto di una precisa disciplina: infatti,

l'agenzia di rating (o agenzia di valutazione) è una persona giuridica che assegna un giudizio sulla solidità e

la solvibilità di una società che emetta dei titoli sul mercato finanziario; quindi, i rating sono dei voti che

vengono assegnati su una scala prestabilita. In pratica, nell'Unione Europea, queste agenzie devono

registrarsi: cioè, devono presentare la domanda al CESR, e quest'ultimo deve darne informazione alle

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competenti Autorità degli Stati Membri, esprimendosi sulla completezza della domanda. Ovviamente, le

agenzie di rating sono tenute ad adottare tutte le misure necessarie per garantire che l'emissione dei voti non

sia influenzata da relazioni d'affari o da conflitti di interesse.

Ancora, i divieti sull'abuso di mercato rischiano di rendere del tutto irrealizzabili alcune operazioni

legittime, come le operazioni di acquisto di azioni proprie e le operazioni stabilizzazione (cioè le operazioni

di compravendita di strumenti finanziari svolte in concomitanza con l'ammissione alla quotazione degli

strumenti stessi): e queste operazioni sono oggetto del cosiddetto Safe Harbour, cioè sono escluse dai

divieti della Direttiva 2003/6.

Nell'ambito della prevenzione, la Direttiva 2003/6 prevede anche che gli Stati Membri debbano adottare

delle disposizioni volte ad imporre agli intermediari abilitati dei precisi obblighi di segnalazione delle

operazioni sospette, che risponde all'obiettivo di coinvolgere direttamente i soggetti nella prevenzione delle

condotte illecite. Tuttavia, qui si può porre un problema di bilanciamento tra l'obbligo di segnalazione e

l'obbligo di esecuzione degli ordini, ma la questione non è stata risolta né sul fronte comunitario né sul

fronte interno.

Infine, con il recepimento della Direttiva 2003/6 sono stati rafforzati anche i poteri della Consob, che, infatti

può irrogare direttamente le sanzioni amministrative stabilite per la violazione della disciplina sugli abusi di

mercato. Inoltre, può avvalersi di altre amministrazioni e richiedere la comunicazione di dati personali anche

in deroga alle disposizioni in tema di privacy; e, infine, ulteriori attribuzioni derivano anche dall'interazione

tra il procedimento penale e il procedimento amministrativo, perchè, infatti: se il PM abbia notizia di uno dei

reati previsti dalla disciplina sull'abuso di mercato è tenuto ad informare senza ritardo il Presidente della

Consob, così che quest'ultimo possa trasmettergli la documentazione da cui possa evincersi l'esistenza di un

reato – fermo restando che la Consob sia sempre legittimata a costituirsi parte civile nel processo penale.

Infine, le fattispecie di abuso del mercato rientrano tra i “reati presupposto” in tema di responsabilità

amministrativa degli enti – e la responsabilità dell'ente può essere esclusa solo se gli autori materiali del

reato abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, o se l'ente provi di aver adottato dei modelli

organizzativi e di gestione idonei a prevenire il reato commesso.

Capitolo 18 – disciplina degli emittenti e disciplina del mercato mobiliare

La riforma delle società quotate ha aperto la strada ad una riforma più generale del diritto societario,

culminata nel decreto legislativo del 2003, a cui ha fatto seguito la legge 262/2005, che ha modificato

diversi istituti del TUF. Così, nella la rubrica “assetti proprietari” si trovano le norme relative alle

partecipazioni rilevanti e ai patti parasociali.

La disciplina delle partecipazioni rilevanti è stata modificata con il decreto legislativo 195/2007.

Infatti, ai sensi dell'articolo 120 del TUF, coloro che partecipino in un emittente azioni quotate in misura

superiore al 2% del capitale sono tenuti a darne comunicazione alla società partecipata e alla Consob –

perchè, altrimenti, il diritto di voto per le relative azioni non potrà essere esercitato.

Poi, spetta alla Consob stabilire le variazioni delle soglie, i criteri di calcolo, il contenuto, i termini e le

modalità delle comunicazioni e le eventuali ipotesi di esenzione. E quindi, la Consob deve pubblicare le

informazioni che abbia ottenuto entro 3 giorni di mercato aperto.

Lo scopo della comunicazione è sostanzialmente quello di ridurre il rischio che le partecipazioni reciproche

vengano utilizzate come strumento per rafforzare il controllo dei gruppi di comando; infatti, l'articolo 121

dispone che, in caso di partecipazioni reciproche, la società che abbia superato il limite non potrà esercitare

il diritto di voto relativamente alle azioni eccedenti, e, pertanto, dovrà alienarle entro 12 mesi, altrimenti la

sospensione del diritto di voto si estenderà all'intera partecipazione. E se non sia possibile accertare quale

delle due società abbia superato il limite, la sospensione si applica ad entrambe, salvo diverso accordo delle

parti. Inoltre, le soglie previste per le partecipazioni reciproche possono essere elevate al 5%, nel caso in cui

l'assemblea abbia autorizzato la conclusione di un apposito accordo. E, infine, le limitazioni alle

partecipazioni reciproche non si applicano quando le soglie rilevanti vengano superate in seguito ad un OPA

diretta a conseguire almeno il 60% delle azioni ordinarie della società bersaglio: cioè, la disciplina delle

partecipazioni reciproche era, in effetti, uno strumento di difesa dalle scalate ostile.

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I patti parasociali, cioè le convenzioni tra soci che non risultano dall'atto costitutivo, sono dei fenomeni che

possono interferire enormemente sul funzionamento della società, anche perchè sono nulli soltanto quando

costituiscano un negozio in frode alla legge. Per altro verso, i patti parasociali possono avere ad oggetto

l'esercizio del diritto di voto, così da realizzare i cosiddetti sindacati di voto, cioè degli accordi con cui i soci

si impegnano a concordare preventivamente il modo in cui votare in assemblea; oppure, possono costituire

dei sindacati di blocco, che pongono dei limiti alla circolazione delle azioni, allo scopo di evitare l'ingresso

in società di terzi non graditi; o, ancora, possono consistere in patti che prevedano l'acquisto concentrato

delle azioni, al fine di incrementare la propria partecipazione in una data società; o, infine, possono essere

patti che abbiano per oggetto o per effetto l'esercizio di un'influenza dominante su tali società.

Pertanto, gli obiettivi perseguiti dall'articolo 122 sono fondamentalmente due: garantire degli obblighi di

comunicazione e assicurare che i patti parasociali non contrastino con le esigenze di efficienza del mercato

societario. Quindi, sotto il primo profilo è previsto che:

1. i patti parasociali debbano essere comunicati alla Consob entro 5 giorni dalla stipulazione, pubblicati

per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni dalla stipulazione, depositati presso l'ufficio del

registro delle imprese entro 15 giorni dalla stipulazione e comunicati alla società quotata. La

violazione di tali obblighi di trasparenza comporta l'applicazione di sanzioni amministrative

pecuniarie e la nullità dei patti. Scaduti i termini, non sarà più possibile una sanatoria, e il diritto di

voto connesso alle azioni sindacate non potrà essere esercitato. Infine, la delibera assunta con il voto

determinante delle azioni interessante è sempre annullabile, e l'impugnazione può essere proposta

anche dalla Consob.

2. Invece, per quanto riguarda le interferenze provocabili dai patti parasociali, l'articolo 123 del TUF

persegue l'obiettivo di limitare la durata dei patti e di assicurarne la caducazione in caso di lancio di

un'OPA. Pertanto, se i patti parasociali sono a tempo determinato, la loro durata non può eccedere i 3

anni, salvo rinnovo; mentre, se sono a tempo indeterminato, ogni contraente ha diritto di recesso con

un preavviso di 6 mesi – fermo restando che l'obbligo di preavviso non sussiste in caso adesione

all'OPA. Tuttavia, in questo caso, la dichiarazione di recesso è inefficace se non si perfezioni il

trasferimento delle azioni (ovviamente, nel caso in cui l'OPA sia condizionata e la condizione non si

sia verificata).

In pratica, il diritto dell'azionista di aderire all'OPA prevale sugli obblighi assunti mediante il patto

parasociale.

Per quanto riguarda le deleghe di voto, il decreto legislativo 27/2010, prevede che, nelle società quotate: la

società sia tenuta a designare per ogni assemblea un soggetto al quale gli azionisti possano conferire

gratuitamente una delega; la soppressione dei limiti quantitativi al cumulo di deleghe da parte del medesimo

rappresentante; e che il rappresentante debba comunicare per iscritto al socio le circostanze da cui derivi una

sua condizione di conflitto di interessi.

La disciplina delle società quotate contempla anche altri 2 istituti volti ad agevolare la raccolta delle

deleghe, agli articoli 136 e 144 del TUF; vale a dire la sollecitazione e la raccolta delle deleghe.

La sollecitazione delle deleghe è la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta a tutti gli azionisti

che abbiano diritto di voto nell'assemblea, da parte di uno o più soggetti interessati al rilascio, che

richiedono l'adesione a specifiche proposte di voto, che possono riguardare anche solo alcuni degli

argomenti all'ordine del giorno. Per assicurare il corretto svolgimento della sollecitazione, questa non può

essere effettuata direttamente dal committente: costui deve necessariamente rivolgersi ad un intermediario,

che operi su suo incarico e per suo conto, mediante la diffusione di un prospetto e di un modulo di delega, il

cui contenuto è determinato dalla stessa Consob con proprio regolamento.

La sollecitazione delle deleghe, perciò, coinvolge necessariamente due soggetti: il committente e

l'intermediario. Per entrambi sono stabiliti specifici requisiti. Infatti, il committente deve già possedere

almeno l'1% delle azioni con diritto di voto nell'assemblea per cui sia richiesta la delega e inoltre deve essere

già iscritto da 6 mesi nel libro dei soci. In pratica, potranno avvalersi della sollecitazione: l'attuale gruppo di

comando minoritario e gli azionisti di minoranza stabili.

Il ruolo di intermediario può essere svolto solo da soggetti operanti nel mercato mobiliare o da apposite

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società di capitali, aventi per oggetto esclusivo l'attività di sollecitazione e la rappresentanza dei soci in

assemblea, e che posseggano i requisiti di onorabilità previsti per le Sim.

La raccolta di deleghe, invece, è la richiesta di conferimento di deleghe di voto, effettuata dalle associazioni

di piccoli azionisti, esclusivamente nei confronti dei propri associati.

Le azioni di risparmio costituiscono la risposta all'esigenza di incentivare l'investimento in azioni, offrendo

titoli a degli specifici risparmiatori. Le azioni di risparmio sono state introdotte dalla Legge 216/1974, al

fine di distinguere gli azionisti imprenditori dagli azionisti risparmiatori. Infatti, le azioni di risparmio sono

del tutto prive di diritto di voto. Tuttavia, esse si differenziano dalle azioni senza voto emesse dalla società

non quotata, perchè:

– devono essere necessariamente dotate di privilegi di natura patrimoniale;

– possono essere emesse al portatore, assicurando l'anonimato;

– e possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie siano quotate in mercati regolamentati

italiani o di altri paesi dell'Unione Europea.

Le azioni di risparmio non possono superare la metà del capitale sociale; sono prive del diritto di voto nelle

assemblee ordinarie e straordinarie, e di esse non si tiene conto per il calcolo dei relativi quorum costitutivi o

deliberativi o delle aliquote di capitale richieste per l'esercizio dei diritti attribuiti alle minoranze. Gli

azionisti di risparmio non hanno il diritto di intervento in assemblea né il diritto di impugnare le delibere

assembleari invalide, ma, essendo soci a tutti gli effetti, sono sostanzialmente equiparati agli azionisti

ordinari. Inoltre, le azioni di risparmio sono privilegiate sotto il profilo patrimoniale, e la loro disciplina è

completata dalla previsione di un'organizzazione di gruppo, che si articola in: assemblea speciale e

rappresentante comune.

L'assemblea speciale delibera sugli oggetti d'interesse comune, ed in particolare: sull'approvazione delle

delibere assembleari societarie che pregiudichino i diritti della categoria; sulla nomina e sulla revoca del

rappresentante comune; e sull'azione di responsabilità nei suoi confronti.

Il rappresentante comune, invece, tutela gli interessi comuni degli azionisti di risparmio, nei confronti

della società. E, per questo, ha il diritto: di esaminare il libro dei soci e il libro delle adunanze dell'assemblea

generale; di assistere all'assemblea della società; e di impugnare le deliberazioni.

L'art.147 del TUF richiede che gli statuti delle società quotate prevedano un sistema di nomina del Consiglio

di Amministrazione basato sul “voto di lista”, per il quale la legge fissa un limite (pari al 2,5% del capitale)

come soglia massima per la presentazione delle liste; inoltre, almeno un membro del Consiglio di

Amministrazione deve essere espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti.

Il C.d.A. si compone di 7 membri, di cui almeno uno deve possedere i requisiti di indipendenza previsti per i

membri del Collegio Sindacale: e questa disposizione serve per istituzionalizzare la figura

dell'amministratore indipendente.

Le funzioni del Collegio Sindacale consistono nel vigilare sulla gestione dell'impresa, con l'obbligo di

scambiare informazioni con la Società di Revisione, perchè spetta a quest'ultima informare la Consob dei

fatti censurabili, dei casi di giudizio negativo sul bilancio e dei relativi effetti.