Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE...

51
1 A cura del cons. Francesco Caringella Dispensa di diritto civile 4

Transcript of Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE...

Page 1: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

1

A cura del cons. Francesco Caringella

Dispensa di diritto civile 4

Page 2: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

2

Obbligazioni pecuniarie, solidali e di garanzia.

Page 3: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

3

Indice

1. LA NUOVA ESSENZA VALORISTICA DELLE OBBLIGAZIONI

PECUNIARIE (SU ASSEGNO CIRCOLARE): Cass. Sez. Un. 18 dicembre 2007, n.

26617

2. IL LUOGO DI ADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE.

RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE: Cass. ord. 17 novembre 2015, n. 23527

3. IL NUOVO REGIME PROBATORIO DI CUI ALL'ARTICOLO 1224,

COMMA 2 C.C.

3.1 Cass. Sez. Un. 16 luglio 2008, n. 19499

3.2 Cass.24 gennaio 2014, n.1506

4. LE SEZIONI UNITE FANNO IL PUNTO SULL'ANATOCISMO: Cass. Sez.

Un. 4 novembre 2004, n.21095

5. USURA E INTERESSI MORATORI

5.1 Cass. 9 gennaio 2013, n. 350

5.2 Trib. Parma 25 luglio 2014

5.3 Trib. Napoli 15 aprile 2014

6. OBBLIGAZIONI SOLIDALI E CONDOMINIO

6.1 Cass. Sez. Un. 8 aprile 2008 n.9148

Page 4: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

4

6.2 Cass. 29 gennaio 2015, n. 1674

7. LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI

ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009, n. 16503

8. TRANSAZIONE E OBBLIGAZIONI SOLIDALI: Cass. Sez. Un. 30 dicembre

2011, n. 30174

9. LE COORDINATE DEL CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA:

Cass. Sez. Un. 18 febbraio 2010, n. 3947

Page 5: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

5

Selezione giurisprudenziale

1. LA NUOVA ESSENZA VALORISTICA DELLE OBBLIGAZIONI

PECUNIARIE (SU ASSEGNO CIRCOLARE): Cass. Sez. Un. 18 dicembre

2007, n. 26617

Nelle obbligazioni pecuniarie, il cui importo sia inferiore a 12.500 euro o per le quali non sia imposta per

legge una diversa modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente

corso legale nello Stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può

rifiutare il pagamento, come, invece, può nel secondo solo per giustificato motivo da valutare secondo la

regola della correttezza e della buona fede oggettiva; l'estinzione dell'obbligazione con l'effetto liberatorio

del debitore si verifica nel primo caso con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore

acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio

dell'inconvertibilità dell'assegno.

2. Il motivo pone la questione se nelle obbligazioni pecuniarie abbia efficacia estintiva solo il pagamento

in moneta contante, oppure anche mediante consegna di assegni circolari.

La questione si risolve in quella se il creditore possa rifiutare senza giustificato motivo il pagamento che il

debitore intenda effettuare con assegni circolari e pretendere che avvenga con la corresponsione di

denaro contante, pena l'inadempimento e gli effetti conseguenti di "mora debendi".

Il tema dell'indagine è quindi il carattere obbligatorio della modalità del pagamento con dazione di

moneta avente corso legale e correlativamente la rifiutabilità di mezzi alternativi di pagamento.

(omissis)

3. Secondo l'orientamento largamente prevalente nella giurisprudenza di questa Corte l'invio di assegni

circolari o bancari da parte del debitore obbligato al pagamento di somme di denaro si configura come

"datio in solutum" o più precisamente come proposta di "datio pro solvendo", la cui efficacia

liberatoria dipende dal preventivo assenso del creditore (che può manifestarsi anche con comportamento

concludente) ovvero dalla sua accettazione che è ravvisabile quando trattenga e riscuota l'assegno; in tale

ipotesi la prestazione diversa da quella dovuta è da ritenere accettata con riserva, quanto al definitivo effetto

liberatorio, dell'esito della condizione "salvo buon fine" o "salvo incasso" inerente all'accettazione di un credito

anche cartolare, in pagamento dell'importo dovuto in numerario.

3.1. L'orientamento risale alla sentenza 22.7.1973, n. 2200, ed è stato seguito dalle sentenze 14.4.1975, n. 1412;

3.7.1980, n. 4205; 5.1.1981, n. 24; 16.2.1982, n. 971; 8.1.1987, n. 17; 19.7.1993, n. 8013; 3.2.1995, n. 1326;

3.4.1998, n. 3427; 21.12.2002, n. 18240; 10.2.2003, n. 1939; 10.6.2005, n. 12324; 14.2.2007, n. 3254.

La sua più completa espressione è nella sentenza 10.6.2005, n. 12324, il cui "iter" argomentativo si articola nelle

seguenti proposizioni.

Il dato letterale dell'art. 1277, comma 1, c.c. comporta che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente

corso legale; sebbene l'assegno sia bancario che circolare costituisca, a differenza della cambiale, mezzo di

pagamento, la consegna o trasmissione di esso, salva diversa volontà delle parti, si intende fatta "pro solvendo" e

non "pro soluto" con esclusione dell'immediato effetto estintivo del debito; l'invio di assegno circolare in luogo

della somma di denaro configura violazione sia degli artt. 1277 e 1197 c.c. (rappresentando una "datio pro

solvendo" in assenza di consenso del creditore) che dell'art. 1182 c.c. (secondo il quale l'obbligazione avente ad

Page 6: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

6

oggetto denaro deve essere adempiuta al domicilio del creditore) in quanto comporta la sostituzione del

domicilio del creditore con la sede dell'istituto bancario presso cui è riscuotibile l'assegno; l'art. 1277 c.c. è norma

derogabile che cessa di operare, rendendo inapplicabile il principio secondo cui il creditore di somme di denaro

non è tenuto ad accettare in pagamento titoli di credito anche se assistiti da particolari garanzie di solvibilità

dell'emittente come gli assegni circolari, quando esista una manifestazione di volontà espressa o presunta del

creditore in tale senso; non si può ritenere che la consegna di assegni circolari, pur non equivalendo al pagamento

in contanti, estingue l'obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che

gli impongono di prestare la sua collaborazione ai sensi dell'art. 1175 c.c. in quanto la collaborazione è dovuta

solo per ricevere l'oggetto della prestazione e non un oggetto diverso; i principi sopra esposti valgono se il debito

pecuniario non supera l'importo di euro 12.500; se lo supera vige una particolare disciplina (d.l. 143/1991

convertito in L. 197/1991) che conserva, tuttavia, piena valenza all'art. 1227.

3.2. Il concetto fondamentale è che l'adempimento dell'obbligazione pecuniaria avviene attraverso il

trasferimento della moneta contante attuato con la consegna materiale di pezzi monetari nelle mani del creditore.

L'obbligazione pecuniaria è assimilata al debito di dare una quantità di cose fungibili (i pezzi

monetari).

La titolarità della disponibilità monetaria è collegata al possesso e la sua circolazione importa la dazione di pezzi

monetari considerati quali cose da trasferire in proprietà al creditore.

Come è stato osservato, l'adempimento con denaro contante realizza l'attribuzione della moneta al creditore con

gli strumenti del terzo libro del codice civile attraverso le categorie del possesso e della proprietà.

4. Secondo altro orientamento assolutamente minoritario nella giurisprudenza di questa Corte la consegna

di assegni circolari, pur non equivalendo a pagamento a mezzo somme di denaro, estingue

l'obbligazione quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole di correttezza che gli

impongono di prestare collaborazione all'adempimento dell'obbligazione a norma dell'art. 1175 c.c.

Sono espressive di questo orientamento le sentenze 16.2.1998, n. 1351; 7.7.2003, n. 10695.

L'orientamento è motivato considerando che gli assegni circolari in ragione delle modalità di emissione

assicurano al legittimo portatore il conseguimento della somma di denaro indicata. Sebbene essi non siano

denaro né possano svolgerne la funzione, la facilità della circolazione e la sicurezza della convertibilità in denaro

possono rendere contrario a buona fede e quindi illegittimo il loro rifiuto da parte del creditore.

Pertanto, se il creditore non ha un apprezzabile interesse a ricevere il denaro contante né ha ragione di

dubitare della regolarità ed autenticità degli assegni, la consegna di essi estingue l'obbligazione di

pagamento sia pure con la clausola implicita del buon fine.

L'obiezione che il creditore deve recarsi presso la banca per riscuotere l'assegno, mentre di regola ha

diritto di ricevere la prestazione al suo domicilio, è superata con il riferimento alla crescente considerazione

sociale degli assegni circolari e con il fatto che normalmente il creditore ha un conto bancario sul quale deposita

denaro e titoli.

4.1. La valutazione si sposta dal comportamento del debitore a quello del creditore ed ha come oggetto la verifica

della legittimità del rifiuto del pagamento a mezzo assegno circolare alla luce del principio della correttezza e della

buona fede oggettiva.

Il principio, desunto dall'art. 1175 (che impone l'obbligo di comportarsi secondo le regole della correttezza) e

dall'art. 1375 c.c. (che stabilisce che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede), costituisce il limite

oltre il quale il rifiuto del creditore diventa illegittimo ed il pagamento con assegno circolare spiega efficacia

solutoria salvo buon fine.

Con tale impostazione si introduce nel meccanismo estintivo dell'obbligazione pecuniaria il principio

della correttezza e della buona fede nella prospettiva di adeguare il dato normativo alle esigenze della

realtà concreta dove la circolazione del denaro a mezzo assegni circolari garantisce maggiore sicurezza

e celerità, svincolandola da un aggancio a substrati fisici.

4.2. In dottrina si è osservato che sulla base del criterio della correttezza dell'adempimento si possono

raggiungere i medesimi risultati dell'ordinamento tedesco che al § 362 del BGB stabilisce il principio che il

rapporto obbligatorio si estingue quando la prestazione dovuta ha efficacia per il creditore e, cioè, quando si è

Page 7: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

7

definitivamente consolidata nel patrimonio dello stesso; questo principio ha consentito alla giurisprudenza

tedesca di affermare che il pagamento eseguito mediante mezzi alternativi (nel caso mediante bonifico bancario)

diventa definitivamente efficace per il creditore quando la somma di denaro entra nella sua piena e libera

disponibilità (BGH 28.10.1998 in Neue Juristiche Wochenschrift, 1999, 210).

4.3. Costituisce riflesso dell'orientamento minoritario l'affermazione contenuta nella sentenza di questa Corte

6.9.2004, n. 17961, secondo la quale l'assegno circolare è considerato a tutti gli effetti equivalente al denaro

contante, per cui il pagamento effettuato tramite la consegna di tale assegno estingue immediatamente

l'obbligazione.

Si tratta, peraltro, di un "obiter" privo di supporto giustificativo.

Contiene una chiara esposizione dell'orientamento la sentenza 19.5.2006, n. 11851, laddove rileva che questa

Corte non ha affermato che l'assegno circolare costituisce un mezzo di pagamento, ma soltanto che il rifiuto di

esso nei rapporti tra debitore e creditore può essere contrario al principio di buona fede, stante la sicurezza del

buon fine ed il minimo aggravio per il creditore, pur senza prendere posizione sulla questione ed anzi

confermando che l'assegno circolare rimane un titolo di credito con tutte le conseguenze che ne derivano in base

alla legge sulla circolazione del titolo.

Condivide l'orientamento minoritario la sentenza 19.12.2006, n. 27158, secondo la quale, se è vero che la

consegna di un assegno circolare al creditore non equivale alla consegna di denaro contante, è altrettanto vero

che, costituendo l'assegno circolare un mezzo di pagamento e non sussistendo alcun pericolo di mancanza della

provvista presso la banca obbligata al pagamento, la "datio" di tale assegno secondo gli usi negoziali, come è

prassi per i pagamenti delle società di assicurazione o, comunque, come accettata dal creditore, è sicuramente

idonea ad estinguere l'obbligazione senza che occorra un preventivo accordo delle parti in tale senso o il rilascio

di una quietanza liberatoria.

5. Nella dottrina più recente prevale la tesi che la regola, secondo la quale il denaro contante è l'unico mezzo

legale di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, va "scardinata" e va riconosciuta efficacia solutoria a mezzi

alternativi di pagamento che eliminano il trasferimento materiale di moneta, come l'assegno circolare, dovendosi

intendere per "somma di denaro" la funzione ideale del mezzo monetario.

In questo ambito si distingue fra moneta scritturale incentrata sulle scritturazioni bancarie, che riposa in

definitiva sulla garanzia che offrono le banche, ed altri sistemi di pagamento, come la cambiale, precisandosi che

l'effetto satisfattorio si realizza con la creazione della disponibilità monetaria a favore del creditore.

L'idea di fondo è la smaterializzazione del denaro con trasformazione del diritto reale sui pezzi monetari

in diritto di credito ad una determinata somma di denaro.

Nella prospettiva della smaterializzazione il principio nominalistico (in base al quale il debitore si libera dal

proprio debito con una quantità di moneta corrispondente a quella "nominalmente" dovuta a prescindere dalle

variazioni del suo potere di acquisto) riguarda la disciplina dei mezzi di pagamento e, cioè, la determinazione

della quantità della somma da offrire in pagamento e non la qualità dei mezzi di pagamento.

La linea di tendenza è verso l'eliminazione degli spostamenti di moneta contante, oltre che per esigenze

di semplificazione della tecnica dei pagamenti (evitando l'impiego di notevoli quantità di numerario), perché la

custodia, la circolazione e lo scambio attraverso moneta contante sono valutati inefficienti ed insicuri

specialmente per importi rilevanti.

L'adempimento dell'obbligazione pecuniaria è inteso non come atto materiale di consegna della

moneta contante, bensì come prestazione diretta all'estinzione del debito, nella quale le parti debbono

collaborare osservando un comportamento da valutare per il creditore secondo la regola della

correttezza e per il debitore secondo la regola della diligenza.

Ove avvenga con mezzi diversi, l'adempimento si può considerare efficace e liberatorio solo quando realizza i

medesimi effetti del pagamento per contanti e, cioè, quando pone il creditore nelle condizioni di disporre

liberamente della somma di denaro, senza che rilevi se la disponibilità sia riconducibile ad un rapporto di credito

verso una banca presso la quale la somma sia stata accreditata.

Page 8: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

8

Si è osservato che nell'ordinamento manca una regola di parificazione della moneta avente corso legale a quella

scritturale; tale regola si può, però, desumere da un'abbondante legislazione speciale che si inserisce nella generale

tendenza alla decodificazione caratteristica dell'epoca attuale.

6.1. Nell'interpretazione della normativa codicistica sul sistema di pagamento dei debiti pecuniari non si può

prescindere dai numerosi interventi legislativi infittitisi negli ultimi tempi che hanno introdotto sistemi

alternativi, rendendoli frequentemente obbligatori.

In questo ambito assumono particolare rilievo il d.l. 3.5.1991, n. 143, convertito con modificazioni in L. 5.7.1991,

n. 197, che pone il divieto di effettuare pagamenti mediante trasferimento di denaro contante e titoli al portatore

per somme superiori ad euro 12.500, ed il d. l. 4.7.2006, n. 223, convertito con modificazioni in L. 4.8.2006, n.

248, secondo cui i compensi in denaro per l'esercizio di arti e professioni sono riscossi esclusivamente mediante

assegni non trasferibili o bonifici o altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di

pagamento elettronici, salvo che per importi inferiori ad euro 100.

A seguito di questi interventi l'area di applicazione della normativa codicistica si è a tal punto ristretta che il

sistema di pagamento da essa previsto è diventato addirittura marginale.

Né vale l'osservazione che siccome il d.l. 143/1991 conserva valenza all'art. 1277 c.c. il creditore ha il diritto di

pretendere il pagamento in moneta avente corso legale, sia pure attraverso l'intermediario abilitato che subentra

nella posizione del debitore (Cass. 10.6.2005, n. 12324), in quanto la convertibilità in denaro è tipica di qualsiasi

sistema alternativo di pagamento, con la precisazione che il rischio di convertibilità e, cioè, l'eventualità che la

banca non sia in grado di garantire la conversione in moneta legale dipende in definitiva dal grado di affidabilità

della banca.

6.2. La disciplina del sistema codicistico di pagamento delle obbligazioni pecuniarie è contenuta negli artt. 1277,

1182, 1197 c.c.

6.3. Come già detto, l'interpretazione dell'art. 1277 privilegiata dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte è

che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato ed il creditore può rifiutare

qualsiasi altro mezzo di pagamento, compreso l'assegno circolare che pure è assistito da una particolare

affidabilità e sicurezza in relazione alle modalità di emissione.

In dottrina si è osservato che l'art. 1277 non riguarda le modalità di pagamento, ma il sistema valutario nazionale

e la necessità, quindi, che i mezzi monetari impiegati si riferiscano ad esso, evidenziando che secondo la

concezione moderna il denaro è unità ideale di valore cui l'ordinamento attribuisce la funzione di unità di misura

dei valori monetari o secondo una concezione più raffinata "ideal unit", astratta unità ideale monetaria creata

dallo Stato.

6.4. Considerato che nell'ambiente socio-economico l'assegno circolare e quello bancario costituiscono

mezzi normali di pagamento; che la circolazione del denaro tende a realizzarsi con strumenti sempre più

sofisticati affrancati dalla consegna materiale di numerario per ragioni di sicurezza e velocizzazione dei rapporti;

che collateralmente alla disciplina codicistica è cresciuta una legislazione che ha introdotto sistemi alternativi di

pagamento, rendendoli spesso obbligatori, si impone un'interpretazione evolutiva, costituzionalmente orientata,

dell'art. 1277 che superi il dato letterale e, cogliendone l'autentico senso, lo adegui alla mutata realtà.

6.5. Si ritiene, pertanto, che l'espressione "moneta avente corso legale nello Stato al momento del

pagamento" significa che i mezzi monetari impiegati si debbono riferire al sistema valutario nazionale,

senza che se ne possa indurre alcuna definizione della fattispecie del pagamento solutorio.

Ed in altri termini la moneta avente corso legale non è l'oggetto del pagamento che è rappresentato dal valore

monetario o quantità di denaro.

6.6. Con questa interpretazione dell'art. 1277 risultano ammissibili altri sistemi di pagamento, purché

garantiscano al creditore il medesimo effetto del pagamento per contanti e, cioè, forniscano la disponibilità della

somma di denaro dovuta.

Tale effetto sicuramente produce l'assegno circolare con il quale, stante la precostituzione della provvista, tramite

l'intermediazione di una banca si realizza il trasferimento della somma di denaro con la messa a disposizione del

creditore.

Page 9: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

9

Il rischio di convertibilità e, cioè, l'eventualità che per qualsiasi ragione la banca non sia in grado di assicurare la

conversione dell'assegno in moneta legale rimane a carico del debitore, il quale si libera solo con il buon fine

dell'operazione.

6.7. Occorre precisare che lo schema della "datio pro solvendo" con l'applicazione della regola stabilita dall'art.

1197 c.c. rimane estraneo all'impiego del mezzo alternativo di adempimento in quanto la moneta avente corso

legale non è l'oggetto del pagamento, costituito dal valore monetario o quantità di denaro, per cui tale mezzo non

è niente altro che una diversa modalità di adempimento.

Diversamente opinando, si perverrebbe alla inaccettabile conclusione che sistemi diversi di pagamento, imposti

per somme superiori a 12.500 euro, non siano ammessi per somme inferiori.

6.8. La raggiunta conclusione non trova ostacolo nell'art. 1182 c.c. sul luogo dell'adempimento.

Vale in proposito considerare che l'obbligazione pecuniaria non è assimilabile all'obbligazione di dare cose

fungibili, sicché non risulta perfettamente adattabile lo schema di tale tipo di obbligazione, mentre assume

rilevanza l'interesse del creditore alla giuridica disponibilità della somma invece che al possesso dei pezzi

monetari.

In questa prospettiva il concetto di domicilio del creditore non coincide con il suo domicilio anagrafico

soggettivamente riconducibile alla persona fisica, ma deve essere oggettivizzato e può individuarsi nella sede

(filiale, agenzia o altro) della banca presso la quale il creditore ha un conto.

6.9. Mentre se il debitore paga in moneta avente corso legale il debito pecuniario di importo inferiore ad euro

12.500 o per il quale non sia imposta una diversa modalità di pagamento, il creditore non può rifiutare il

pagamento e l'effetto liberatorio si verifica al momento della consegna della somma di denaro, se il debitore paga

con assegno circolare o con altro sistema che assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta, il creditore

può rifiutare il pagamento solo per giustificato motivo che deve allegare ed all'occorrenza anche provare; in

questo caso l'effetto liberatorio si verifica quando il creditore acquista la concreta disponibilità della somma.

La valutazione del comportamento del creditore va fatta in base alla regola della correttezza e della buona fede

oggettiva.

7. Il contrasto va, pertanto, risolto nel senso che "nelle obbligazioni pecuniarie, il cui importo sia inferiore a

12.500 euro o per le quali non sia imposta per legge una diversa modalità di pagamento, il debitore ha

facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante consegna di

assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento, come, invece, può nel

secondo solo per giustificato motivo da valutare secondo la regola della correttezza e della buona fede

oggettiva; l'estinzione dell'obbligazione con l'effetto liberatorio del debitore si verifica nel primo caso

con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità

giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell'inconvertibilità dell'assegno".

2. IL LUOGO DI ADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE.

RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE: Cass. ord. 17 novembre 2015, n. 23527

La Sezione Sesta ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un

ricorso involgente la questione – oggetto di contrasto – se, ai fini della competenza territoriale, ove il

contratto non predetermini l’importo del corrispettivo e questo sia autodeterminato dal creditore nell’atto

introduttivo del giudizio, il “forum destinatae solutionis” sia presso il domicilio del creditore (art. 1182,

comma 3, c.c.) o presso il domicilio del debitore (art. 1182, comma 4, c.c.).

Page 10: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

10

Il Collegio non può che rilevare l'esistenza di un contrasto, nella giurisprudenza delle sezioni civili, a proposito

dell'applicazione del criterio di competenza fissato nei commi 3 e 4 dell'art. 1182 c.c., disposizione secondo la

quale “L'obbligazione avente per oggetto una somma, di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il

creditore ha, al tempo della, scadenza. Se tale domicilio è diverso da quello che il creditore aveva quando è sorta

l'obbligazione e ciò rende più gravoso l'adempimento, il debitore, previa dichiarazione al creditore, ha diritto di

eseguire il pagamento al proprio domicilio.

Negli altri casi l'obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza”.

È infatti innegabile che secondo la giurisprudenza citata dalla requisitoria e dal ricorso è irrilevante che la

prestazione richiesta non sia convenzionalmente prestabilita, essendo sufficiente che l'attore abbia agito per il

pagamento di una somma da esso puntualmente indicata.

Altra parte della giurisprudenza considera invece che quando la somma deve essere ancora determinata dalle

parti, o, in loro sostituzione, liquidata dal giudice, mediante indagini ed operazioni diverse dal semplice calcolo

aritmetico, trova applicazione il quarto comma dell'art. 1182, secondo cui l'obbligazione deve essere adempiuta al

domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza (Cass. 22326/07).

Il foro del creditore ex art. 1182 terzo comma potrebbe operare solo nel caso di somma già contrattualmente

determinata nel suo ammontare.

Il Collegio ritiene che sia insita in queste posizioni una linea di contrasto circa il concetto di obbligazione

pecuniaria rilevante ex art. 1182 terzo comma, linea di contrasto che ha trovato talora una via di fuga nel rilievo

che ai fini della competenza occorre avere riguardo ai fatti per come prospettati dall'attore, prescindendo della

fondatezza delle contestazioni formulate dal convenuto o comunque concernenti il merito della causa.

Pare opportuno che la questione sia rimessa alle Sezioni Unite affinché, su una questione di massima che involge

un contenzioso di considerevole portata, venga fatta chiarezza, stabilendo se sia applicabile l'art. 1182 c.c. comma

terzo qualora nel contratto non risulti predeterminato l'importo del corrispettivo di una prestazione, ma tale

importo venga autodeterminato dall'attore nell'atto con cui fa valere la propria pretesa creditoria.

3. IL NUOVO REGIME PROBATORIO DI CUI ALL'ARTICOLO 1224,

COMMA 2 C.C.

3.1 Cass. Sez. Un. 16 luglio 2008, n. 19499

Nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno

di cui all'art. 1224, comma 2, cod. civ. (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali

che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi

il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo

tempo individuate -, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del

rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi

legali determinato per ogni anno ai sensi del primo comma dell'art. 1284 cod. civ.;

è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo

ha subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della

somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata;

il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza è tenuto ad

offrire la prova del danno effettivamente subito, quand'anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e

completa documentazione, e ciò sia che faccia riferimento al tasso dell'interesse corrisposto per il ricorso al credito

bancario sia che invochi come parametro l'utilità marginale netta dei propri investimenti;

Page 11: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

11

in entrambi i casi la prova potrà dirsi raggiunta per l'imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni

dell'impresa ed all'entità del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito

bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell'inadempimento, ovvero che l'adempimento tempestivo si

sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche; e, nel secondo, che la somma

sarebbe stata impiegata utilmente nell'impresa.

2. Conviene allora, in vista della soluzione del problema del quale queste sezioni unite sono investite, ripercorrere

la storia dell'evoluzione della giurisprudenza in ordine alla prova del danno da svalutazione monetaria nelle

obbligazioni pecuniarie.

Con la fondamentale sentenza n. 3776/79 (pres. Novelli, est. Scanzano, seguita dalla conforme n. 5572/79) le

sezioni unite predicarono la liberalizzazione più ampia possibile nel rispetto dei principi tradizionali un anno

prima affermati da Cass., n. 4463/77; principi intanto disattesi da Cass., n. 5670/78, la quale aveva

sostanzialmente ritenuto - secondo i commenti fortemente critici della dottrina prevalente - che, insorta la mora

debendi, le obbligazioni di valuta dovessero essere trattate come quelle di valore, sicché la somma

originariamente dovuta "andava necessariamente rivalutata alla stregua di indici pubblicizzati di sicura

attendibilità".

Fu dunque ribadito che nei debiti originariamente pecuniari, per i quali vale il principio nominalistico, la

svalutazione monetaria verificatasi durante la mora non giustifica alcun risarcimento automatico che

possa essere attuato con la rivalutazione della somma dovuta. Ma si affermò anche che non ha bisogno di

essere provato il fatto che il denaro è destinato ad essere impiegato nell'acquisto di beni o servizi o comunque in

forme remunerative; che risponde infatti alla natura della moneta che essa è non solo la misura dei valori ma è

strumento di scambio, dotata appunto di valore nella misura in cui viene adoperata a questo scopo; che il

prudente apprezzamento del giudice in ordine alle presumibili modalità di impiego può essere formato

eventualmente anche con valutazioni equitative, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ.; che, infine, l'orientamento

tradizionale andava rimeditato anche "perché non dà adeguato rilievo a presunzioni di ordine oggettivo", che

furono ricollegate all'appartenenza del creditore ad una delle categorie creditorie di cui appresso.

Le sezioni unite si pronunciarono nuovamente negli anni successivi con le sentenze nn. 2318/83, 2564/84 e

2368/86 (pres. Tamburrino, est. Cantillo), l'ultima delle quali dette spazio ai cosiddetti "criteri personalizzati di

normalità", riaffermando che nelle obbligazioni pecuniarie il danno da svalutazione non si identifica col

fenomeno inflattivo e che incombe pertanto al creditore dimostrare che il pagamento tempestivo lo avrebbe

messo in condizione di evitare o limitare gli effetti economici depauperatori che l'inflazione produce per tutti i

possessori di denaro; ma chiarendo anche che tanto il creditore può fare avvalendosi di presunzioni e dati

economici acquisiti dalla comune esperienza e riferiti a categorie economiche socialmente significative

("imprenditore", risparmiatore abituale", "creditore occasionale", "modesto consumatore" "o altre

enucleabili in relazione a più particolari modalità di impiego del denaro").

Con specifico riguardo alla categoria del creditore esercente attività imprenditoriale si affermò che possono

essere fatte valere presunzioni di due tipi: a) quelle connesse con il normale impiego del denaro nel ciclo

produttivo, per cui l'esistenza e l'ammontare approssimativo del danno possono essere desunti dal risultato

medio dell'attività in un certo periodo, come suggerito dalle sentenze del 1979; b) quelle connesse al costo del

denaro, precisamente allo scarto fra interesse legale e tasso di mercato dell'interesse praticato dalle banche alla

migliore clientela per il credito a breve termine (prime rate), con la precisazione che tale criterio ha carattere

primario, perché attiene al danno emergente, è altresì ancorato ad un parametro certo di facile rilevazione e,

soprattutto, è l'unico possibile per un'azienda che non produca utile, ma sia in pareggio o in perdita, non

essendovi allora un guadagno cui commisurare la presumibile entità della somma mancata (così la motivazione,

sub 9).

Conclusero le Sezioni unite che, pertanto, l'altro criterio risulta applicabile solo quando l'imprenditore

espressamente deduca il mancato guadagno; ed affermarono "che l'onere probatorio, pur non potendosi attestare

alla qualità professionale, si atteggia diversamente per ciascuno dei due criteri ritenuti più appropriati per questa

Page 12: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

12

figura: in relazione al criterio del maggior costo del denaro, il creditore deve dimostrare di trovarsi in condizioni

atte a presumere, secondo la normale gestione dell'impresa, il ricorso al mercato del credito; in relazione al

criterio del mancato guadagno, invece, è tenuto a fornire gli elementi necessari a stabilire la redditività del denaro

investito nell'impresa, sicché la prova - basata in gran parte su vicende proprie della singola impresa - spesso

presenta maggiore complessità" (sub. 13, lettera b, della motivazione). Non affermarono, dunque, che

l'imprenditore era tenuto a provare di aver fatto ricorso al finanziamento delle banche durante la mora, ma si

riferirono genericamente alla dimostrazione di "condizioni atte a presumere".

Criteri specifici furono fissati anche per il "risparmiatore abituale", per il "creditore occasionale" e per il

"modesto consumatore":

- si disse che al primo faceva carico l'onere di allegare e dimostrare la qualità degli investimenti abitualmente

effettuati, sicché la presunzione operava in riferimento all'uguale destinazione che egli avrebbe dato alla somma

non pagata ed all'ammontare del relativo reddito (interessi di titoli di Stato, rendimento di azioni, etc.);

- si ritenne che, per il secondo, era consentito presumere l'impiego mediante deposito presso istituti di credito,

con conseguente commisurazione del danno alla remunerazione media dei depositi nel periodo di mora;

- si affermò per il terzo che, essendo presumibile che egli avrebbe destinato la somma alla immediata

soddisfazione dei propri bisogni familiari e personali, così realizzando la moneta al suo valore attuale e

conseguentemente sottraendosi agli effetti depauperativi della svalutazione, era del tutto appropriato il

riferimento agli indici Istat per la determinazione forfettaria del (maggior) danno.

Ancora al criterio personalizzato di normalità le sezioni unite si riferirono con sentenza n. 5299/89, con la quale

fu ribadita la possibilità di una presunzione generalizzata di spesa immediata da parte del semplice consumatore e

della determinabilità del danno da ritardato pagamento in riferimento agli indici Istat delle variazioni dei prezzi al

consumo, "così semplificandosi al massimo l'assolvimento dell'onere della prova ... ed ancorando, al tempo

stesso, la liquidazione del danno a parametri oggettivi e di agevole liquidazione".

Può dunque dirsi che, nella seconda metà degli anni ’80, il regime probatorio relativo al maggior danno da

svalutazione monetaria per il ritardato pagamento dei debiti pecuniari (ex art. 1224, comma 2, cod. civ.) risultò

governato dalle seguenti regole:

a) il creditore imprenditore era gravato da un particolare onere probatorio solo in caso di richiesta di un maggior

danno corrispondente ai risultati utili della sua impresa (lucro cessante), mentre poteva avvalersi di una

presunzione di tipo, quasi oggettivo, fondata su criteri personalizzati di normalità, in ordine al maggior danno

ancorato allo scarto tra il tasso degli interessi legali ed il prime rate (danno emergente), essendo comunque tenuto

a dimostrare di trovarsi in condizioni atte a presumere, secondo la normale gestione dell'impresa, il ricorso al

mercato del credito;

b) il semplice consumatore poteva pretendere un maggior danno corrispondente alle differenze tra indici Istat e

tasso legale di interesse, nel periodo della mora, indipendentemente da ogni specifica prova di impiego;

c) per il creditore occasionale si aveva senz'altro riguardo al tasso medio sui depositi bancari;

d) il risparmiatore abituale era invece tenuto a provare come normalmente investiva il denaro ed a quale tasso.

Senonché - osservò criticamente la dottrina - soltanto l'imprenditore ed il consumatore (e quest'ultimo solo in

ragione del censo o della modesta entità della somma dovutagli) erano, se pur non senza gravi difficoltà,

astrattamente suscettibili di essere inseriti in una categoria determinata, mentre apparivano difficilmente

etichettabili i creditori occasionali ed i risparmiatori abituali. Soprattutto perché il creditore sovente non è in

grado egli stesso di stabilire, ex post, cosa avrebbe davvero fatto del denaro che gli era dovuto ma che non aveva

tempestivamente avuto, in quanto il problema dell'impiego si sarebbe posto, in relazione alle contingenze ed alle

propensioni del momento, solo se e quando lo avesse davvero ricevuto; sicché si dava in tal modo la stura ad una

serie di complicazioni processuali destinate ad offrire risultati di scarsissima attendibilità, data l'ovvia propensione

del creditore ad evitare un inquadramento sfavorevole o nel quale la prova si presentasse complessa e, per

converso, quello del debitore a prospettare l'inserimento del creditore in una categoria nella quale il maggior

danno fosse più difficile da provare o di entità meno gravosa per il convenuto.

Negli anni successivi la prevalente giurisprudenza si attestò comunque sulla posizione secondo la quale, in caso di

ritardato pagamento di un debito pecuniario ad un imprenditore commerciale, ai fini del riconoscimento del

Page 13: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

13

maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria non si rende necessario che egli fornisca la prova

concreta di un danno causalmente ricollegabile all'indisponibilità dell'importo, ben potendosi dedurre in tale

situazione, in base all'id quod plerumque accidit, che in caso di tempestivo adempimento la somma dovuta

sarebbe stata reimpiegata in modo tale da essere sottratta agli effetti della svalutazione (cfr., ex plurimis, Cass.,

nn. 600/86, 742/86, 809/86, 6483/87, 4666/90, 1403/98 e 5732/99 della I sezione civile; nn. 35/85, 1492/87,

2161/87, 12343/97 e 4184/98 della II sezione, n. 6231/86 della III sezione, nn. 1244/88, 3014/89 e 12381/91

della Sezione lavoro).

Una giurisprudenza minoritaria ritenne, per contro, che il pur legittimo ricorso al notorio ed alle

presunzioni da parte del giudice non può prescindere dall'assolvimento da parte del creditore,

quantunque imprenditore commerciale, di un onere quantomeno di allegazione che consenta al giudice

di merito di verificare se il particolare danno allegato (anche da svalutazione) possa essersi verosimilmente

prodotto (così Cass., nn 1212/86, 2368/86, 2690/87, 4344/93, 5517/97, 5678/99).

Più numerose le sentenze che hanno affrontato il tema negli anni 2000, ancora una volta prevalentemente risolto

nel senso che è sufficiente che non sia controversa la qualità di imprenditore del creditore perché possa essere

riconosciuto il richiesto maggior danno da svalutazione monetaria (tra le altre, Cass., nn. 15059/00, 2816/06, 4885/06

e 19927/07 della I sezione; nn. 409/00, 1770/01, 13133/03 e 5860/06 della II sezione; nn. 317/02, 14909/02, 58/04,

20807/04, 13829/04, 5008/05 e 22986/05 della III sezione; nn. 14089/00, 6420/01, 10304/02 e 2113/03 della sezione

lavoro; hanno per contro ritenuto che occorrano allegazioni specifiche, pur nell'ambito della categoria di appartenenza, tra le

altre, Cass., sez. I, n. 4919/03; sez. II, n. 6327/00; nonché le sentenze della sezione lavoro nn. 14970/02, 9910/03,

12634/04, 2613/06, 6153/06; oltre a Cass. Sez. un., n. 16871/07, della quale si dirà specificamente più avanti).

Emblematiche dei due contrapposti indirizzi, per le argomentazioni addotte, sono le sentenze n. 14089/2000 da

un lato, e 14970/02 e 12634/04 dall'altro, tutte della Sezione lavoro.

2.1. La prima, pronunciata in fattispecie pressoché identica a quella ora in scrutinio, s'è fatta puntuale carico

dell'argomento secondo il quale il ricorso a categorie tipiche finirebbe anch'esso col determinare un automatismo

di rivalutazione del credito contrario al principio nominalistico e farebbe venir meno la distinzione tra

obbligazioni di valuta ed obbligazioni di valore.

Ha tuttavia rilevato che il rispetto del principio nominalistico non è affatto incompatibile con la rilevanza delle

variazioni del potere di acquisto della moneta; che, infatti, mentre nei debiti di valore la considerazione di quella

variazione è insita nel procedimento di determinazione quantitativa della prestazione, nei debiti di valuta essa può

invece rilevare esclusivamente sub specie damni e pone problemi di esclusiva natura probatoria; che ritenere

notoria l'entità del fenomeno inflattivo e probabilisticamente rilevante la destinazione del danaro allo scambio

non significa affatto derogare al principio nominalistico, ma solo adottare un criterio di valutazione che tiene

conto degli interessi delle parti ed è conforme alla comune esperienza ed al comune sentire.

Ha dunque ricordato che, in base a tali principi, alcune decisioni di questa Corte avevano conseguentemente

affermato che il danno da inadempimento dell'obbligazione pecuniaria è per qualsiasi creditore, per la parte che

non sia già coperta dagli interessi legali, non inferiore alla misura dell'inflazione della moneta, che ne costituisce

l'elementare dato probatorio, salvo che esso assuma un diverso, maggiore valore per il singolo creditore in

relazione al comprovato uso che della somma oggetto dell'obbligazione intendeva fare. Pertanto, salvo questa

prova diversa, il danno da svalutazione può essere determinato sulla base degli indici ufficiali dell'inflazione in

relazione al costo della vita (sono citate Cass. nn. 123/83, 651/84, 3356/85). Ed ha concluso che, in effetti, "non

è dubbio che la mancata disponibilità del danaro da parte del creditore costituisce obiettivamente un danno e non

ha bisogno di alcuna prova di carattere soggettivo, salva la possibilità da parte del debitore di provare il concorso

del fatto colposo del creditore, ai sensi dell'art. 1227 del codice civile. Di conseguenza, il creditore che intenda

ottenere la rivalutazione nella misura ufficiale deve solo allegare gli indici ufficiali dell'Istat. Il creditore, invece,

che ritenga che la mancata disponibilità del danaro abbia inciso sul suo patrimonio in misura superiore agli

interessi legali e alla svalutazione ufficiale, dovrà provare il maggiore danno: dovrà provare, ad esempio, di aver

dovuto rinunciare a investimenti particolarmente vantaggiosi o di essere dovuto ricorrere a prestiti

particolarmente onerosi".

2.2. Opposte le conclusioni di Cass. 14970/02, pronunciata anch'essa in fattispecie di domanda di restituzione di

contributi indebitamente versati all'Inps. Con tale sentenza la stessa Sezione lavoro, dichiaratasi a sua volta

Page 14: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

14

pienamente consapevole dell'orientamento appena illustrato, ha tuttavia ritenuto (richiamando Cass., nn.

11870/92, 5517/97, 5678/99, 9965/01):

a) che collegare alla sola qualità di imprenditore la presunzione di un impiego antinflattivo del denaro e, dunque,

di un maggior danno da svalutazione monetaria durante la mora, finirebbe per stravolgere il criterio

fondamentale dell'onere della prova di cui all'art. 2697 cod. civ., risolvendosi in un'ingiustificata soluzione di

favore per il creditore il quale, per beneficiare del risarcimento, dovrebbe solo provare di appartenere ad una

determinata categoria economica;

b) che una tale conseguenza avrebbe ben poca giustificazione anche sotto il profilo sistematico, comportando

l'introduzione di un meccanismo di automatica rivalutazione analogo a quello di cui all'art. 429 cod. proc. civ.

senza alcun fondamento normativo e, anzi, nel contesto di un'opposta tendenza legislativa, in cui il divieto di

cumulo rappresenta la regola ed in cui una sostanziale valorizzazione dei crediti pecuniari, anche contrattuali, in

relazione a particolari caratteristiche del creditore, necessiterebbe ancor più di un'esplicita previsione normativa.

Le conclusioni della citata sentenza 14970/02 sono state condivise dalla successiva 12634/04 che, ancora una

volta relativa al danno da ritardo nella restituzione di somme indebitamente versate all'Inps, contrapponendosi a

Cass. 14089/00, ha ribadito che il maggior danno da svalutazione nelle obbligazioni pecuniarie non può essere

riconosciuto indipendentemente dall'osservanza di uno specifico onere di allegazione e prova da parte del

creditore (quantunque imprenditore) per due sostanziali ordini di ragioni:

c) perché si deve escludere che la svalutazione costituisca danno di per sé, stante l'operatività del principio

nominalistico (art. 1277 c.c.) derogato specificamente dal legislatore soltanto per particolari crediti pecuniari,

come i crediti di lavoro, ai sensi dell'art. 429, comma terzo, c.p.c.;

d) perché osta alla identificazione del danno mora-torio nella diminuzione di valore della moneta il rilievo che "il

denaro, per le illimitate possibilità di opzione tra i diversi impieghi, è metro di misura totalmente astratto; tale

danno, quindi, può derivare esclusivamente dall'impiego che il creditore avrebbe fatto della somma se ne avesse

conseguito la disponibilità tempestivamente (es. autofinanziamento e reimpiego nella produzione, acquisto di

valori mobiliari, interessi bancari, ecc.), cosicché deve ritenersi indispensabile (non potendo il giudice determinare

autonomamente il tipo di impiego) che siano forniti elementi che consentano al giudice di ritenere, anche in via

presuntiva, alcune forme di impiego più verosimili di altre".

3. Allo stato, dunque, le principali tesi in materia sono tre:

1) quella secondo la quale nei debiti di valuta, quale che sia la categoria cui appartiene il creditore, il maggior

danno da svalutazione monetaria rispetto a quello che non sia già assorbito dagli interessi legali moratori, va

riconosciuto in via generalizzata e presunta, fermo l'onere del creditore che assuma di aver subito un danno

ancora maggiore di provare che avrebbe fatto un uso del denaro tale da garantirgli un rendimento superiore al

tasso di inflazione (lucro cessante), ovvero che a causa dell'inadempimento ha dovuto procurarsi denaro a tassi

più onerosi (danno emergente); e salva la facoltà del debitore di offrire comunque la prova contraria;

2) quella secondo la quale il maggior danno da svalutazione va correlato alla sola categoria creditoria cui il

creditore appartiene in relazione alla più probabile forma di impiego del denaro;

3) quella secondo la quale l'appartenenza ad una categoria creditoria non è comunque sufficiente a giustificare il

riconoscimento del maggior danno correlabile alle forme di impiego tipiche della categoria nella quale il creditore

è iscrivibile (soprattutto se imprenditore), essendo egli comunque gravato da uno specifico onere quantomeno di

allegazione in ordine al verosimile impiego che avrebbe fatto della somma dovutagli, che consenta al giudice di

verificare se, tenuto conto di dette qualità personali e professionali, il danno denunziato possa essersi

effettivamente prodotto (in difetto di quella allegazione, alcune sentenze affermano che non possono

riconoscersi che gli interessi legali, come la citata n. 12634/04; altre, che tale tipo di conseguenza va tratto solo

per il danno eccedente il tasso di svalutazione, come Cass., sez. lavoro, n. 6153/06).

Va osservato che nessuna delle tre è in tutto conforme ai principi enunciati da queste Sezioni unite nel 1986, il

cui trasparente scopo fu quello di semplificare, mediante il ricorso a presunzioni di tipo generalizzato in relazione

alla categoria di appartenenza del creditore, le modalità della prova del maggior danno da svalutazione. Si trattò

di una soluzione intermedia tra quella che richiedeva la rigorosa e quasi sempre impossibile prova dell'avvenuta

Page 15: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

15

predisposizione di un impiego alternativo del denaro non tempestivamente pagato e quella di chi invece riteneva

che, in caso di mora, il maggior danno da svalutazione è in via generale presunto in misura pari al tasso di

inflazione in relazione alle caratteristiche proprie del denaro, destinato per sua natura ad essere speso o investito

in impieghi tali da mettere chi lo possegga al riparo, quantomeno, dalla svalutazione.

La terza tesi, che formalmente ne segue gli enunciati letterali, finisce infatti col non assecondarne lo spirito,

segnatamente nella sua più rigorosa versione; la seconda è a questo conforme, ma ne disattende le prescrizioni

testuali in relazione al creditore imprenditore; la prima è quella che maggiormente se ne discosta, ma è anche

quella che, a parere del collegio, tiene in maggior conto i non appaganti risultati applicativi della soluzione

dell'inquadramento dei creditori in categorie, cui collegare in via presuntiva il tipo di impiego che del denaro

avrebbero fatto se fosse stato loro tempestivamente dato e, dunque, l'entità del maggior danno durante la mora

del debitore.

A parte, invero, la categoria dell'imprenditore (per la quale pure, come s'è rilevato, non vengono adottate

soluzioni univoche), l'inquadramento del creditore in una qualsiasi delle altre, o in quelle ulteriori che le sezioni

unite del 1986 pure prospettarono potessero essere in seguito configurate e che non sono state invece mai

elaborate, si è rivelata di assai problematica praticabilità, non sussistendo parametri di riferimento

sufficientemente univoci per definire i caratteri propri di ogni categoria.

E la stessa categoria degli imprenditori - per la quale, invece, i parametri per una qualificazione palesemente

sussistono - non vale, a ben vedere, ad offrire criteri di maggiore attendibilità delle possibili inferenze induttive,

posto che a quello che pretendesse come maggior danno la differenza tra il tasso legale d'interesse ed il prime

rate (peraltro non più rilevato a partire dal 2004 e, secondo le sezioni unite del 1986, ottenibile quasi sulla base

della sola appartenenza alla relativa categoria) poterebbe obiettarsi che già alla data di insorgenza della mora la

redditività marginale media dei propri investimenti era inferiore al tasso praticato dalle banche alla migliore

clientela nei prestiti a breve termine; ovvero, se superiore, che male il creditore aveva fatto a non ricorrere al

credito bancario (con conseguente applicazione dell'art. 1227, comma 2, cod. civ.), ovvero che non era

comunque prevedibile dal debitore che non lo facesse (con conseguente irrisarcibilità del danno differenziale ex

art. 1225 cod. civ.).

I bisogni ed i desideri che il denaro vale a soddisfare sono d'altronde troppi e troppo intimamente

connessi anche al modo d'essere di ognuno, nonché agli eventi di cui ciascuno è nella vita

protagonista, spettatore o vittima, perché l'uno o l'altro creditore sia suscettibile di essere tout court

qualificato -come consumatore, o risparmiatore, o creditore occasionale, essendo vero invece che

ognuno è o può essere l'una o l'altra cosa, o l'altra ancora, o tutte insieme in relazione a ciascuna

frazione dell'importo ed a seconda delle contingenze economiche generali e personali del momento,

dell'entità del credito, dei propri progetti e così via.

Per altro verso, le prorompenti esigenze di semplificazione dell'istruzione probatoria impongono, a distanza

di circa un quarto di secolo, soluzioni più snelle, anche alla luce dei dati costituiti dall'incessante aumento del

contenzioso civile, dall'allungamento dei tempi medi di definizione del processo, dal nuovo principio della sua

ragionevole durata, proclamato dall'art. 111, comma 2, Cost. (nel testo introdotto con legge costituzionale n. 2

del 1999). Si verte, del resto, in situazioni che recano in se stesse il germe dell'inevitabile approssimazione della

statuizione giudiziale, come avvertivano le stesse Sezioni unite del 1986; nelle quali, dunque, l'equazione

"categoria creditoria = presunta, oggettivamente personalizzata modalità di impiego del denaro" presenta

incognite non inferiori, in prima battuta, a quelle proprie dell'equazione "creditore = maggior danno da

svalutazione corrispondente all'incremento dei prezzi al consumo, ovvero alla redditività delle più comuni forme

di impiego alternative alla spesa".

4. Non sussistono d'altro canto i paventati pericoli che i debiti di valuta ricevano in tal modo una disciplina

identica a quella propria dei debiti di valore, con sostanziale pretermissione del principio nominalistico di cui

all'art. 1277 cod. civ.; o che le conseguenze dell'inadempimento finiscano per divenire, per qualsiasi credito di

denaro, identiche a quelle "speciali" che l'art. 429, comma 3, cod. proc. civ. contempla per i crediti di lavoro;

ovvero che sia sostanzialmente disapplicato il principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 cod. civ..

Page 16: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

16

4.1. Sul primo punto va infatti osservato che il rispetto del principio nominalistico non è affatto

incompatibile con la rilevanza delle variazioni del potere d'acquisto della moneta. Solo che, mentre nei

debiti di valore la considerazione di quella variazione è insita nel procedimento di determinazione quantitativa

della prestazione in quanto il denaro vale solo a misurare e ad esprimere un valore necessariamente attuale, nei

debiti di valuta essa può invece rilevare esclusivamente sub specie damni. La circostanza che una somma di

denaro, come quantità di pezzi monetari dedotta in obbligazione, conservi integra la propria idoneità solutoria

quale che sia l'alterazione nel tempo del suo valore in termini di potere d'acquisto (non altro è il 'significato e non

altra la conseguenza del nominalismo monetario), non esclude che la diminuzione del suo valore durante il

periodo di mora debendi si risolva in un danno tutte le volte che il creditore agli effetti della svalutazione si

sarebbe sottratto, spendendo o investendo il denaro non tempestivamente versatogli in impieghi con

remuneratività superiore al tasso di inflazione. Facendone, cioè, l'uso connaturale alla sua intima essenza, volta

che se il denaro è l'unico bene intrinsecamente insuscettibile di offrire qualunque utilitas diretta è anche il solo

che consente, mediante lo scambio, di procurare immediatamente quelle ricavabili da qualsiasi altro bene (è

questa la giustificazione economica del rendimento del denaro dato a mutuo), sicché è del tutto contraria ai dati

di comune esperienza l'ipotesi della mera conservazione improduttiva da parte del creditore di un bene

ontologicamente destinato allo scambio o all'investimento. Se ne mostrò d'altronde consapevole lo stesso

legislatore del 1942 all'atto della redazione del codice civile; al punto n. 592 (in fine) della relazione al re del

ministro guardasigilli si legge infatti testualmente: "L'alterazione del valore della moneta dovuta può verificarsi

durante la mora del debitore. Il caso non è previsto espressamente, perché esso si risolve in un danno, che è

risarcibile secondo gli artt. 1218 e 1224, 2° comma".

Neppure è possibile che si creino confusioni di sorta sul piano processuale, posto che nei debiti di valore (tipica

l'obbligazione di risarcimento del danno) la rivalutazione non va neppure domandata, essendo il giudice tenuto

d'ufficio alla liquidazione in valori monetari attuali; mentre nei debiti di valuta vanno chiesti sia gli interessi

moratori sia il maggior danno (anche da svalutazione, secondo l'impreciso ma corrente lessico giudiziario; e

tuttavia, più esattamente, da intervenuta impossibilità, per fatto del debitore, che il creditore si sottraesse agli

effetti della svalutazione) , risultando altrimenti inficiata da vizio di ultrapetizione la sentenza che riconoscesse gli

uni o l'altro.

4.2. Quanto alla temuta possibilità che i crediti pecuniari ordinari e quelli di lavoro finiscano con

l'essere trattati allo stesso modo, s'è già rilevato che per i crediti di cui all'art. 429, comma 3, cod. proc. civ.

interessi e svalutazione si cumulano, mentre nei debiti di valuta il maggior danno (anche da svalutazione) è

dovuto, ex art. 1224, comma 2, cod. civ., solo per la parte che non sia già coperta dagli interessi moratori.

4.3. Quanto alla pretesa disapplicazione dell'art. . 2697 cod. civ. che deriverebbe dal ritenere presunta (ma,

rectius, normale), una modalità di impiego del denaro tale da consentire al creditore di sottrarsi agli effetti della

svalutazione, è stato da tempo chiarito come, in definitiva, è nel rapporto tra normalità ed anormalità, tra regola

ed eccezione che si rinviene il criterio teorico e pratico della ripartizione dell'onere della prova, il quale non

costituisce un istituto giuridico in sé concluso, ma un modo di osservare l'esperienza giuridica. E la

giurisprudenza ha quindi fatto ricorso, tutte le volte che il modello legale prefissato non risultava appagante in

relazione alle posizioni delle parti riguardo ai singoli temi probatori, allo schema della presunzione in modo talora

così tipico e costante da creare, in definitiva, vere e proprie regole di giudizio. Col risultato non già di invertire

l'onere della prova, ma di distribuirlo in senso conforme alla realtà dell'esperienza positiva.

Ebbene, è senz'altro conforme alla realtà dell'esperienza positiva che il denaro sia speso in relazione

alla sua primaria destinazione allo scambio, ovvero impiegato in rassicuranti forme remunerative tali da

garantire un rendimento superiore al tasso di inflazione, qual è quello dei titoli di stato, costantemente

eccedente l'incremento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevati dall'Istat.

4.4. Quanto, infine, all'argomento- (addotto da Cass. Sez. lav. n. 12634/04) che "il denaro, per le illimitate

possibilità di opzione tra i diversi impieghi, è metro di misura totalmente astratto", deve rilevarsi che

l'osservazione si attaglia ai debiti di valore, nei quali il denaro viene appunto in considerazione come strumento di

misura di un valore (mensura), ma non è conferente in ordine ai debiti di valuta, nei quali il denaro è dedotto in

obbligazione come ammontare di pezzi monetari (mensuratum). Sicché, come la variazione del valore di una cosa

Page 17: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

17

si misura comparando fra loro le diverse quantità di moneta necessarie per scambiarla in tempi diversi con

denaro, così la variazione del "valore" del denaro si misura comparando tra loro le diverse quantità di pezzi

monetari necessari, in tempi diversi, per procurarsi la medesima cosa o le medesime cose. Cose e pezzi monetari

dovuti e non dati, il cui valore sia mutato durante la mora, possono o meno aver prodotto un danno da

diminuzione di valore a seconda dell'impiego che ne avrebbe fatto il creditore: "possono" (non "devono"),

giacché se la loro destinazione era la mera conservazione, il danno da diminuzione di valore durante la mora sarà

in ogni caso insussistente; ma se la destinazione era lo scambio o l'investimento, il danno andrà commisurato alla

diminuzione di valore, o al costo affrontato dal creditore per procurarsi quel che gli era dovuto (cose o denaro), o

ancora alle conseguenze economiche negative subite per non esserci riuscito.

5. Tanto precisato in linea di principio, va qui detto che le vicende che connotarono gli anni '70 e '80, durante i

quali il tasso di svalutazione monetaria fu pressoché costantemente superiore a quello degli interessi legali, talora

in misura assai rilevante, con una differenza che toccò i 16.1 punti percentuali nel 1980, indussero il legislatore a

modificare l'art. 1284, comma 1, cod. civ., dapprima elevando il tasso degli interessi legali dal 5 al 10% in ragione

di anno (art. 1, 1. 26.11.1990, n. 353), e poi riportandolo al 5% ma stabilendo che esso può essere annualmente

modificato dal Ministro del tesoro "sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non

superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell'anno" (art. 2, comma 185, 1.

23.12.1996, n. 662).

Da allora, fatta eccezione per una pressoché insignificante differenza nell'anno 2000 , il tasso di interesse è stato

costantemente superiore al tasso ufficiale di aumento dei prezzi al consumo, sicché la svalutazione è risultata

normalmente assorbita per intero dagli interessi legali, con conseguente perdita di rilevanza del problema relativo

al risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria; (omissis).

L'effetto di disincentivazione dell'inadempimento (e, di riflesso, la positiva ricaduta sulla diminuzione del

contenzioso civile e sulla semplificazione del processo) è appunto collegato ad una soluzione che renda il

debitore consapevole del fatto che la promozione di una causa da parte del creditore insoddisfatto si

risolverebbe, comunque, nel riconoscimento a suo favore di un maggior importo corrispondente quantomeno

all'utile economico minimo che il debitore ha tratto o che avrebbe potuto trarre dalla conservazione, medio

tempore, del denaro che doveva dare e che non ha dato. Ed è qui appena il caso di ricordare come, senza

eccezione alcuna, tutte le istituzioni del Paese da tempo annoverino la inappagante funzionalità della giustizia

civile (la quale dipende soprattutto dai lunghi tempi di definizione, a sua volta correlati alla variabile niente affatto

indipendente del numero delle cause promosse) fra le ragioni di uno sviluppo economico inferiore a quello

possibile, segnatamente sotto il profilo dell'abbassamento della propensione agli investimenti.

Tutto insomma concorre all'adozione di un'interpretazione che si risolva nel riconoscere al creditore di

somme di denaro non corrisposte dal debitore in mora un maggior danno - ex art. 1224, comma 2, cod.

civ. - corrispondente alla differenza tra il tasso di rendimento netto (dedotta l'imposta) dei titoli di Stato

di durata non superiore ai dodici mesi (o tra il tasso di inflazione se superiore) e quello degli interessi legali

(se inferiore).

E tanto del tutto in linea con la ratio legis del novellato art. 1284, comma 1, cod. civ., il quale prevede un

meccanismo che sconta l'inevitabile riferibilità al futuro dell'eventuale intervento adeguatore del Ministro del

tesoro ("con decreto da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica non oltre il 15 dicembre dell'anno

precedente a quello cui il saggio si riferisce", ex art. 1284, comma 1, cod. civ.), le cui conseguenze vanno tuttavia,

in linea di principio, sopportate non già dal creditore insoddisfatto, ma dal debitore che versi anche in quella

situazione di qualificato ritardo nell'adempimento qual è la mora (ex art. 1219 cod. civ.): quanto si va osservando

è infatti estraneo agli interessi corrispettivi di cui all'art. 1282 c.c. ed a quelli compensativi di cui all'art. 1499 c.c.,

per i quali non è configurabile un danno da ritardo fino alla data di insorgenza della mora debendi.

Tale conclusione risulta, poi, definitivamente corroborata dalla lettera dell'art. 1284, comma 1, cod. civ., nel testo

novellato nel 1996, laddove espressamente vincola il Ministro del tesoro a determinare il saggio d'interesse "sulla

base" del rendimento annuo lordo dei titoli di Stato non ultrannuali e "tenuto conto" del tasso d'inflazione

registrato nell'anno: la differenza tra le due espressioni è invero significativa del primario rilievo che il legislatore

Page 18: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

18

ha conferito al parametro di riferimento costituito dal rendimento dei titoli di Stato ai fini dell'apprezzamento

della normale redditività del denaro.

Le considerazioni fin qui svolte comportano il superamento della suddivisione dei creditori in categorie, a

ciascuna delle quali si attagli la presunzione di una personalizzata modalità di impiego del denaro,

restando invece l'ambito della possibile personalizzazione affidato, esso solo, alla prova. Sarà così

consentito al debitore di provare - pur con le difficoltà connesse alla raffigurabilità di un ipotetico ed

economicamente inefficiente comportamento altrui - che dal proprio ritardo nell'adempimento il creditore non

ha subito un danno, o che lo ha subito in misura inferiore al saggio degli interessi legali, sicché nulla gli è dovuto,

in aggiunta a quelli, per maggior danno (perché, ad esempio, dedito al deposito del denaro in conto corrente, la

cui remuneratività è notoriamente assai bassa, ovvero perché i suoi investimenti nel periodo si sono risolti in una

perdita, etc.); così come sarà consentito al creditore di provare che il danno da ritardo è stato invece maggiore del

rendimento netto dei titoli di Stato (perché costretto a ricorrere al credito bancario, o per mancati investimenti

remunerativi, o per altre particolari vicende). Ma ciò non in quanto il creditore appartenga ad una categoria; il che

si risolverebbe tra l'altro - quantomeno in epoche connotate, come quella attuale, da un aumento dei prezzi al

consumo normalmente inferiore al saggio degli interessi legali - nel paradossalmente deteriore trattamento dei

meno abbienti, quale il modesto o mero o semplice consumatore. Non dunque per questo, ma perché il

risarcimento va sempre tendenzialmente adeguato al danno effettivamente subito, nei limiti in cui tale risultato

sia perseguibile; limiti di cui il legislatore s'è fatto del resto consapevole carico dettando la disposizione di cui

all'art. 1226 cod. civ., ormai costantemente interpretata nel senso che alla valutazione equitativa nella liquidazione

del danno è possibile ricorrere non solo quando il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare,

ma anche quando quella prova si presenti, per l'una o per l'altra parte, particolarmente complessa o costosa,

anche in riferimento al livello degli interessi dedotti in giudizio, oppure quando sia destinata ad offrire risultati di

assai scarsa attendibilità.

Anche il creditore imprenditore, al pari di ogni altro creditore ed indipendentemente da qualsivoglia

allegazione, avrà dunque titolo a pretendere il maggior danno nei limiti sopra indicati, salva la prova

contraria, da offrirsi dal debitore, che esso è inferiore o inesistente. Ove invece lamenti un danno

superiore a quei livelli e ne domandi il risarcimento, dovrà offrirne la prova, come ogni altro creditore.

A tal fine sarà in linea di massima sufficiente la produzione di documentazione dalla quale si evinca che, durante

la mora del debitore, egli aveva fatto ricorso al credito bancario (con saggio di interesse passivo oggi attestantesi,

a quanto consta, sull'Euribor maggiorato tra circa 0,20 e 2,5 punti) o ad altre forme di approvvigionamento di

liquidità, con la dimostrazione dei relativi costi; e sempre che, in relazione alle dimensioni dell'impresa ed

all'entità del credito, sia effettivamente presumibile che il ricorso al credito esterno sia stato conseguenza

dell'inadempimento, ovvero che l'adempimento tempestivo avrebbe comportato la destinazione della somma alla

parziale estinzione del debito assunto verso il finanziatore (si incoraggerebbe altrimenti il possibile ricorso

strumentale al credito bancario in funzione probatoria dell'entità del danno nel successivo giudizio di

adempimento e risarcimento).

Se invece sia domandato un risarcimento del danno correlato all'utilità marginale netta dell'impresa durante la

mora, perché il maggior danno possa essere rapportato ai mancati utili sarà necessario che il creditore

imprenditore produca il bilancio contenente il conto economico (se tenuto a redigerlo) ovvero altre idonee

scritture contabili; e sempre che, in relazione all'importo dovutogli e con riguardo al tipo ed al rilievo economico

dell'attività stessa, sia effettivamente presumibile che la somma di cui era creditore sarebbe stata impiegata

nell'impresa con il medesimo risultato utile.

(omissis)

7. Possono conclusivamente enunciarsi i seguenti principi di diritto:

« - nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di

cui all'art. 1224, comma 2, cod. civ. (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali

che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne

domandi il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle

categorie a suo tempo individuate -, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra

Page 19: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

19

il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio

degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi del primo comma dell'art. 1284 cod. civ.;

- è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha

subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della

somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata;

- il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza è tenuto ad offrire

la prova del danno effettivamente subito, quand'anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e

completa documentazione, e ciò sia che faccia riferimento al tasso dell'interesse corrisposto per il ricorso al

credito bancario sia che invochi come parametro l'utilità marginale netta dei propri investimenti;

- in entrambi i casi la prova potrà dirsi raggiunta per l'imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni

dell'impresa ed all'entità del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito

bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell'inadempimento, ovvero che l'adempimento tempestivo

si sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche; e, nel secondo, che la

somma sarebbe stata impiegata utilmente nell'impresa ».

3.2 Cass.24 gennaio 2014, n.1506

In tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, nel caso in cui il creditore – del quale non sia controversa la

qualità di imprenditore commerciale – deduca di aver subito dal ritardo del debitore nell’adempimento un

pregiudizio conseguente al diminuito potere di acquisto della moneta, non è necessario, ai fini del riconoscimento del

maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria, che egli fornisca la prova di un danno concreto causalmente

ricollegabile all’indisponibilità del credito per effetto dell’inadempimento, dovendosi presumere, in base all’id quod

plerumque accidit, che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in

impieghi antinflattivi per il finanziamento dell’attività imprenditoriale e, quindi, sottratta agli effetti della svalutazione.

Nell'unico motivo di ricorso incidentale viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art 1224 e 2697 cod

civ. nonché dell'art. 2729 cod. civ. per non aver riconosciuto il maggior danno nella misura della svalutazione

monetaria o secondo i criteri presuntivi desumibile dalla sentenza delle S.U. n. 19499 del 2008, non essendo

contestabile la qualità d'imprenditore commerciale dell'Elmi. Il motivo viene prospettato anche sotto il profilo

del vizio di motivazione.

Il motivo è fondato.

La Corte d'Appello, dopo aver esattamente qualificato il credito come di valuta, ha escluso il riconoscimento del

maggior danno ex art. 1224 cod. civ. non ritenendo fornita la prova delle modalità d'investimento dell'importo.

Peraltro gli incassi, per comune volontà delle parti, dovevano rimanere sui conti bancari e non essere finalizzati

ad investimenti. Così decidendo la sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi consolidati

elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riconoscimento del maggior danno ex art. 1224 cod. civ.

nei debiti di valuta, ed in particolare sull'utilizzazione del regime probatorio delle presunzioni semplici. Pur

negandone l'automatismo, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la naturale fruttuosità del denaro affermando

che "Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all'art. 1224,

secondo coma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, 11 saggio

medio di rendimento netto del titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al

saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque

creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l'attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto

nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del

maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà

l'onere di provare l'esistenza e l'ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il

Page 20: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

20

creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l'onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario

sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero - attraverso la produzione dei bilanci - quale fosse la produttività

della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l'onere di dimostrare,

anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto

impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al

saggio legale.(S.U. 19499 del 2008). L'orientamento indicato, ampiamente e costantemente condiviso negli anni

successivi (4402, 17813, 20753 del 2009; 12609 del 2010) è stato di recente ribadito proprio con riferimento

all'imprenditore commerciale nella pronuncia n. 22096 del 2013 alla luce della quale "In tema di inadempimento

delle obbligazioni pecuniarie, nel caso in cui il creditore - del quale non sia controversa la qualità di imprenditore

commerciale - deduca di aver subito dal ritardo del debitore nell'adempimento un pregiudizio conseguente al

diminuito potere di acquisto della moneta, non è necessario, ai fini del riconoscimento del maggior danno

ragguagliato alla svalutazione monetaria, che egli fornisca la prova di un danno concreto causalmente ricollegabile

all'indisponibilità del credito per effetto dell'inadempimento, dovendosi presumere, in base all'"id quod

plerumque accidit", che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in

impieghi antinflattivi per il finanziamento dell'attività imprenditoriale e, quindi, sottratta agli effetti della

svalutazione. Nella specie, di conseguenza, non poteva essere radicalmente escluso il riconoscimento del maggior

danno da ritardato adempimento di obbligazione pecuniaria ex art. 1224 cod. civ., senza aver verificato,

preliminarmente ed in mancanza di allegazioni specifiche sul presumibile impiego del denaro, se il tasso legale

degli interessi attivi, fosse inferiore al rendimento medio dei titoli di . stato, alla data del 7 maggio 1991, tenuto

conto della incontestata qualità d'imprenditore commerciale dell'Elmi e della verosimile utilizzazione in senso

antinflattivo del denaro della categoria di appartenenza del creditore. In conclusione deve essere respinto il

ricorso principale ed accolto quello incidentale, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Il giudice del rinvio dovrà attenersi al principio di diritto sopra indicato.

4. LE SEZIONI UNITE FANNO IL PUNTO SULL'ANATOCISMO: Cass. Sez.

Un. 4 novembre 2004, n.21095

La Suprema Corte, pronunciandosi a Sezioni Unite, ha stabilito che "le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dal correntista devono considerarsi nulle anche se contratte prima dell'orientamento giurisprudenziale che nella primavera del 1999 ne ha negato la legittimità". In sostanza, la Suprema Corte ha attribuito valore retroativo all'inesistenza dell'uso normativo della capitalizzazione triestrale degli interessi. Fino al 1999, l'art. 1283 del codice civile, il quale prevede che "in mancanza di usi contrari, gli interessi passivi scaduti possono produrre interessi (anatocisti) solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi", era stato interpretato, da pronunzie giurisprudenziali filobancarie, nel senso di poter attribuire alla locuzione "salvo usi contrari" un valore quasi negoziale. Le Banche, pertanto, capitalizzavano trimestralmente gli interessi, sfruttando il bisogno dei correntisti di porre in essere una serie di operazioni bancarie, principalmente prestiti e scopertura di conto corrente. Con le sentenze n. 2374 e n. 3096 del 1999, il Supremo Giudice aveva già stabilito che "gli usi contrari, suscettibili di derogare al precetto di cui all'art. 1283 c.c., sono non i meri usi negoziali ex art. 1340 c.c. ma esclusivamente i veri e propri usi normativi, di cui agli articoli 1 e 8 disp. Prel. C.c., consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompaganato dalla convinzione che si tratta di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo) ma giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico". Gli "usi" cui fa riferimento l'art. 1283 cod. civ. sono, dunque, esclusivamente, quelli normativi in senso tecnico.

Page 21: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

21

1. La questione di massima, in ragione della cui particolare importanza gli atti della presente causa sono stati

rimessi a queste Su, ai sensi dell’articolo 374, cpv, Cpc si risolve nello stabilire se - incontestata la non

attualità di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista

bancario - sia o non esatto escludere anche che un siffatto uso preesistesse al nuovo orientamento

giurisprudenziale (Cassazione 2374/99 e successive conformi) che lo ha negato, ponendosi in consapevole

e motivato contrasto con la precedente giurisprudenza.

(omissis)

4.1. Il parametro di riferimento è costituito dall’articolo 1283 del Cc (Anatocismo) e, in particolare, dall’inciso

“salvo usi contrari” che, in apertura della norma, circoscrive la portata della regola, di seguito in essa enunciata,

per cui «gli interessi scaduti possono produrre interessi [(a)] solo dalla domanda giudiziale o [(b)] per effetto di

convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre, che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi».

4.2. Come è noto, in sede di esegesi della predetta norma, le richiamate sentenze (2374, 3096, 3845) della

primavera del 1999, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con pronunzie del ventennio precedente

(6631/81; 5409183; 4920/87; 3804/88; 2444/89; 7575/92; 9227/95; 3296/97; 12675/98), hanno enunciato il

principio - reiteratamente, poi, confermato dalle successive sentenze 12507/99; 6263/01; 1281, 4490, 4498,

8442/02; 2593, 12222, 13739/03, ed al quale ha dato comunque immediato riscontro anche il legislatore (che,

con l’articolo 25 del D.Lgs 342/99 ha, all’uopo, ridisciplinato le modalità di calcolo degli interessi su base

paritaria tra banca e cliente) – (principio) per cui gli “usi contrari”, idonei exarticolo 1283 Cc a derogare il

precetto ivi stabilito, sono solo gli usi “normativi” in senso tecnico; desumendone, per conseguenza, la nullità

delle clausole bancarie anatocistiche, la cui stipulazione risponde ad un uso meramente negoziale ed incorre

quindi nel divieto di cui al citato articolo 1283.

4.3. Al di là di varie ulteriori argomentazioni, di carattere storico e sistematico, rinvenibili nelle pronunzie del

nuovo corso, destinate più che altro ad avvalorare il “revirement” giurisprudenziale, emerge dalla motivazione

delle pronunce stesse come, nel suo nucleo logico-giuridico essenziale l’enunciazione del principio di nullità delle

clausole bancarie anatocistiche si ponga come la conclusione obbligata di un ragionamento di tipo sillogistico. La

cui premessa maggiore è espressa, appunto, dalla affermazione che gli “usi contrari”, suscettibili di

derogare al precetto dell’articolo 1283 Cc, sono non i meri usi negoziali di cui all’articolo 1340 Cc ma

esclusivamente i veri e propri “usi normativi”, di cui agli articoli 1 e 8 disp. prel. Cc, consistenti nella

ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus),

accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento (non dipendente da un mero arbitro

soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si

ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis).

E la cui premessa minore è rappresentata dalla constatazione che «dalla comune esperienza emerge

che i clienti si sono nel tempo adeguati all’inserimento della clausola anatocistica non in quanto

ritenuta conforme a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile fossero esistenti

nell’ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità

con le direttive dell’associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui

sottoscrizione costituiva al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari.

Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui,

sostanzialmente, consiste l’opinio juris ac necessitatis, se non altro per l’evidente disparità di

trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal

cliente».

4.4. Ora di questo sillogismo, che costituisce la struttura portante del nuovo indirizzo, del quale si sollecita il

riesame, neppure la banca ricorrente mette in discussione la premessa maggiore, mentre quanto alla sua premessa

minore la contestazione che ad essa si muove, attiene, sul piano diacronico, al solo profilo della portata

retroattiva che il nuovo indirizzo ha inteso attribuire alla rilevata inesistenza di un uso normativo in materia di

capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari. Si sostiene, infatti, in contrario che la giurisprudenza del ‘99

abbia correttamente accertato l’inesistenza attuale, ma erroneamente escluso l’esistenza pregressa della

consuetudine in parola.

Page 22: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

22

E si auspica per ciò, dunque, che essa vada superata nel senso di constatare che «la convinzione degli

utenti del servizio bancario della normatività dell’uso di capitalizzazione trimestrale degli interessi,

originariamente sussistente, è venuta meno dopo lungo tempo» [id est: la consuetudine si è estinta per

desuetudine in relazione al venire meno della opinio iuris del comportamento sottostante] «proprio a seguito di

quello stesso processo di mutamento di prospettiva che ha indotto la Cassazione medesima a mutare il

proprio precedente orientamento».

Ed a sostegno di tale assunto la difesa della ricorrente argomenta: a) che l’opinio iuris della prassi di

capitalizzazione degli interessi dovuti dal cliente sarebbe stata esclusa dalla criticata giurisprudenza assumendo a

parametro un quadro normativo, come evolutosi a partire dai primi anni ‘90, non certo retrodatabile all’epoca in

cui, in un contesto radicalmente diverso, quella prassi si era instaurata, con adesione degli utenti dei servizi

bancari, che ne avrebbero pienamente presupposto la normatività; b) che, comunque, la stessa precedente

giurisprudenza che per un ventennio aveva reiteratamente ritenuto, ove pur erroneamente, l’esistenza di un uso

normativo di capitalizzazione degli interessi bancari avrebbe, per ciò stesso, costituito “elemento di fondazione o

consolidazione dell’uso stesso”. Nessuno dei riferiti, pur suggestivi, argomenti si lascia però condividere.

4.5. L’evoluzione del quadro normativo - impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni ‘90, in

direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela

specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell’usura ha innegabilmente

avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione

al revirement giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzzione trimestrale degli

interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal

contraente forte in danno della controparte più debole.

Ma ciò non vuole dire (e il dirlo sconterebbe un evidente salto logico) che, in precedenza, prassi siffatte

fossero percepite come conformi a ius e che, sulla base di una tale convinzione (opinio iuris), venissero

accettate dai clienti. Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e

non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di

categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva.

quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la

riconducibilità, ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione,

ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque con il precetto dell’articolo

1283 Cc), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive.

4.6. Né è in contrario sostenibile che la “fondazione” di un uso normativo, relativo alla capitalizzazione degli

interessi dovuti alla banca, sia in qualche modo riconducibile alla stessa giurisprudenza del ventennio antecedente

al revirement del 1999. Anche in materia di usi normativi, così come con riguardo a norme di condotta

poste da fonti-atto di rango primario, la funzione assolta dalla giurisprudenza, nel contesto di sillogismi

decisori, non può essere altra che quella ricognitiva, dell’esistenza e dell’effettiva portata, e non dunque

anche una funzione creativa, della regola stessa.

Discende come logico ed obbligato corollario da questa incontestabile premessa che, in presenza di una

ricognizione, pur reiterata nel tempo, che si dimostri poi però erronea nel presupporre l’esistenza di

una regola in realtà insussistente, la ricognizione correttiva debba avere una

portata naturaliter retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione medio tempore di una regola

che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenza che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero

con ciò stesso creata.

Ciò vale evidentemente, nel caso di specie, anche con riguardo alla giurisprudenza (costituita, per altro, da solo

dieci tralaticie pronunzie nell’arco di un ventennio) su cui fa leva l’istituto ricorrente. La quale - a prescindere

dalla sua idoneità (tutta da dimostrare e in realtà indimostrata) ad ingenerare nei clienti una “opinio iuris” del

meccanismo di capitalizzazione degli interessi, inserito come clausola insuscettibile di negoziazione nei controlli

stipulati con la banca - non avrebbe potuto, comunque, conferire normatività ad una prassi negoziale (che si è

dimostrato essere) contra legem.

Page 23: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

23

4.7. Della insuperabile valenza retroattiva dell’accertamento di nullità delle clausole anatocistiche, contenuto nelle

pronunzie del 1999, si è mostrato subito, del resto, ben consapevole anche il legislatore. Il quale - nell’intento di

evitare un prevedibile diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito - ha dettato, nel comma 3

dell’articolo 25 del già citato D.Lgs 342/99, una norma ad hoc, volta appunto ad assicurare validità ed

efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla

entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, di cui ai precedenti commi primo e secondo del

medesimo articolo 25.

Quella norma di sanatoria è stata, però, come noto, dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega e

conseguente violazione dell’articolo 77 Costituzione, dal Giudice delle leggi, con sentenza n. 425 del

2000.

L’eliminazione ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole già

stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore

delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere

dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell’articolo 1283 Cc (cfr. Cassazione 4490/02).

(omissis)

5. USURA E INTERESSI MORATORI

5.1 Cass. 9 gennaio 2013, n. 350

Ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., co. 2, si intendono usurari gli interessi che superano il

limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi

anche a titolo di interessi moratori. Infatti il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, co. 1, agli interessi

a qualunque titolo convenuti rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - tale assunto.

3.2.- Quanto al profilo sub b) (usurarietà dei tassi) va rilevato che parte ricorrente deduce che l'interesse pattuito

(inizialmente fisso e poi variabile) era del 10.5%, in contrasto con quanto è previsto dal D.M. 27 marzo 1998, che

indica il tasso praticabile per il mutuo nella misura dell'8.29%.

Tale tasso dovrebbe ritenersi usurario a norma della L. n. 108 del 1996, art. 1, comma 4, tanto più ove si

consideri che fu richiesto per l'acquisto di un bene primario quale la casa di abitazione e che dovrebbe tenersi

conto della prevista maggiorazione di 3 punti in caso di mora.

La censura sub b), nella parte in cui ripete l'assunto - già correttamente disatteso dalla Corte di merito - secondo

cui la natura usuraria discenderebbe dalla finalità del mutuo, contratto per l'acquisto della propria casa, è

infondata in quanto, ai sensi del nuovo testo dell'art. 644 c.p., comma 3, sono usurari gli interessi che

superano il limite stabilito dalla legge ovvero "gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri

vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per

operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra

utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di

difficoltà economica o finanziaria".

E, a tale scopo, non è sufficiente dedurre che il mutuo è stato stipulato per l'acquisto di un'abitazione.

La stessa censura (sub b), invece, è fondata in relazione al tasso usurario perchè dalla trascrizione dell'atto di

appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il

tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini

dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il

Page 24: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

24

limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo,

quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cost. 25 febbraio 2002 n. 29: "il riferimento, contenuto nel D.L.

n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile - senza necessità di

specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso

soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori"; Cass., n. 5324/2003).

(omissis)

4.- Quanto al secondo motivo, la censura è infondata, posto che, pur trattandosi di questione (di diritto)

rilevabile d'ufficio (nullità della convenzione di interessi usurari), gli elementi in fatto sui quali la questione era

fondata e, dunque, l'indicazione del tasso applicato contenuta (soltanto) nella comparsa conclusionale non poteva

che essere ritenuta tardiva, tenuto conto della necessità che i motivi di appello, ex art. 342 c.p.c., siano specifici e

che con la comparsa conclusionale non possono essere dedotte nuove circostanze di fatto che non siano state già

dedotte con l'atto di appello.

E' vero, infatti, che la deduzione della nullità delle clausole che prevedono un tasso d'interesse usurario è

rilevabile anche d'ufficio, non integrando gli estremi di un'eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, che

può essere avanzata anche in appello, nonchè formulata in comparsa conclusionale, ma ciò a condizione che "sia

fondata su elementi già acquisiti al giudizio" (Sez. 1, Sentenza n. 21080 del 28/10/2005).

5.2 Trib. Parma 25 luglio 2014

Se il contratto statuisce che la mora si aggiunge al tasso corrispettivo e si calcola sull'intera rata, è ammessa la

sommatoria tra tassi corrispettivi e tassi moratori, ai fini del calcolo del TEG

Premesso che la L. 24/2001 stabilisce che "si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla

legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal

momento del loro pagamento".

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 350/2013 ha ribadito questo concetto, poggiando la propria

interpretazione anche sulla sentenza della Corte Costituzionale 29/2002 e seguendo una precedente pronuncia

dello stesso tenore (Cass. 5324/2003): tutte le voci contrattuali [escluse imposte e tasse] devono essere

conteggiate nel calcolo del TEG (o ISC: indicatore sintetico di costo), compresi gli interessi di mora.

Da ultimo, tra le tante, è stato stabilito come "la giurisprudenza si era in gran parte orientata nel senso di

ricomprendere nel calcolo del TEG qualsiasi onere effettivamente sopportato dal cliente quale costo economico

dell'operazione, indipendentemente dalle istruzioni della Banca d'Italia.

"La portata normativa della Legge 2/09 ... si risolve in realtà in una mera conferma della "disciplina vigente" e

cioè nel richiamo dell'art 644 c.p. e non delle circolari della Banca d'Italia, pacificamente prive di portata

normativa" (C. d'A. Cagliari, 31/03/2014).

- Definita la norma di riferimento, in punto di diritto, occorre verificare il singolo contratto. Ossia verificare se il

contratto preveda interessi di mora in caso di inadempimento e se gli stessi siano "sostitutivi" dell'interesse

corrispettivo. Infatti:

- se la previsione contrattuale statuisce che la Banca debba applicare al cliente inadempiente solo e soltanto gli

interessi di mora sul capitale, sostituendo questi agli interessi corrispettivi, non si farà la sommatoria tra tassi

corrispettivi e tassi moratori ai fini del calcolo del TEG e si verificherà lo sforamento del tasso soglia solo con

riferimento al tasso moratorio sommato a tutte le spese accessorie;

- se invece il contratto prevede che il tasso moratorio si applichi in aggiunta a quello corrispettivo, allora i due

indici andranno valutati congiuntamente ed il risultato andrà confrontato con i limiti normativamente imposti

(legge n. 108/96 e succ. modifiche).

Nella fattispecie in esame, l'art. 5 del contratto stabilisce che "l'importo complessivamente dovuto alla scadenza

di ciascuna rata (..) e non pagato, produce interessi di mora (...) La parte finanziata approva specificatamente il

diritto del Banco di imputare gli interessi di mora sull'intero importo delta rata scaduta e non pagata". Pertanto,

Page 25: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

25

prevedendo il contratto che gli interessi moratori non si sostituiscano a quelli corrispettivi ma si sommino a

questi (quindi su ogni rata già formata da quota capitale e quota interessi corrispettivi] si può concludere che,

applicando la normativa al contratto de quo, anche gli interessi di mora siano da computarsi ai fini del TEGM e

pertanto quest'ultimo sfora il tasso soglia (vigente alla data della stipula] ed il contratto di mutuo sia usurato ab

origine, quindi trova applicazione la sanzione civilistica ex art. 1815 u.c. cc

5.3 Trib. Napoli 15 aprile 2014

Nella sentenza Cass. 350/2013 viene affermato niente altro se non che la disciplina relativa al tasso soglia, con le relative sanzioni, riguarda anche gli interessi moratori in sé considerati, con la conseguenza che anche rispetto ad essi deve verificarsi attentamente l'eventuale superamento del tasso soglia, e conseguentemente dichiararsi la nullità delle relative previsioni per il caso del suo superamento. Laddove, invece, nella indicata sentenza della Suprema Corte si fa riferimento alla "maggiorazione di tre punti a titolo di mora" non vuole intendersi l'affermazione di principio circa la necessità di effettuare una sommatoria tra i tassi corrispettivi e i tassi moratori in relazione al limite del tasso soglia, ma si ha semplicemente riguardo ad una modalità di pattuizione di quello specifico tasso di mora contrattuale, che così come contrattato, nella fattispecie esaminata dal Giudice di legittimità, risultava moratorio, in sé e per sé considerato, ed a prescindere da qualsivoglia sommatoria con il tasso relativo agli interessi corrispettivi.

la violazione denunciata da parte ricorrente troverebbe la propria ragion d'essere, nella prospettazione difensiva

di parte ricorrente, nell'avvenuta pattuizione, in sede di contratto di mutuo, di due differenti tassi di interesse a

titolo rispettivamente di corrispettivo del prestito, nella misura del 5,50%, (art. 1 del contratto di mutuo), e a

titolo di interesse moratorio, nella misura del 6,795 % (art. 5 del contratto) per l'ipotesi di inadempimento.

Sostiene, infatti, il ricorrente che con la sommatoria dei detti interessi si perverrebbe ad un tasso del 12,295 %

che sarebbe un tasso ben al di sopra del tasso soglia d'usura come rilevabile avuto riguardo al tempo della

rilevazione della Banca di Italia, fissato all'epoca del contratto nella misura del 6,795 %, ovvero nella misura del

tasso effettivo globale medio su base annua dell'epoca, aumentato della metà.

Ritiene questo Giudicante che una siffatta ricostruzione dei fatti sia il frutto di una fuorviante interpretazione

della statuizione assunta dalla Corte di Cassazione con la nota pronuncia n. 350/2013 nella quale è stato

testualmente sostenuto che "risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso

pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora,

laddove, invece, ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli

interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque

convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cost. 25 febbraio 2002 n. 29: "il

riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende

plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di

legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori". Cass., n. 5324/2003).

Tale motivazione merita una interpretazione adeguata e coerente con il sistema, laddove, pure affermando e

ribadendo la stessa un principio ormai riconosciuto e già sancito anche in un'altra importante sentenza della

Corte Costituzionale, (25-2-2002 n. 29) non puo' ritenersi che in essa risulti affermato niente altro se non che la

disciplina relativa al tasso soglia, con le relative sanzioni, riguarda anche gli interessi moratori in sé considerati,

con la conseguenza che anche rispetto ad essi deve verificarsi attentamente l'eventuale superamento del tasso

soglia, e conseguentemente dichiararsi la nullità delle relative previsioni per il caso del suo superamento.

Laddove, invece, nella indicata sentenza della Suprema Corte si fa riferimento alla "maggiorazione di tre punti a

titolo di mora" non vuole intendersi l'affermazione di principio circa la necessità di effettuare una sommatoria tra

i tassi corrispettivi e i tassi moratori in relazione al limite del tasso soglia, ma si ha semplicemente riguardo ad una

Page 26: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

26

modalità di pattuizione di quello specifico tasso di mora contrattuale, che così come contrattato, nella fattispecie

esaminata dal Giudice di legittimità, risultava moratorio, in sé e per sé considerato, ed a prescindere da

qualsivoglia sommatoria con il tasso relativo agli interessi corrispettivi.

Procedere, invece, addizionando il tasso moratorio al tasso corrispettivo, e sottoponendo al vaglio del

superamento del tasso soglia il dato derivante dalla detta somma aritmetica significherebbe non cogliere la

differente natura delle due previsioni pattizie, che restano autonome l'una dall'altra e solo occasionalmente

interdipendenti, atteso che, come evidenziato in analoga fattispecie dal Collegio di Napoli dell'arbitro bancario

finanziario, "in materia finanziaria l'interesse, nel momento stesso in cui si rende disponibile (ovvero alla

scadenza di pagamento), diventa capitale".

Pertanto, fondamentale è la necessità di considerare, nella interpretazione del dato oggettivo del tasso soglia, e

degli elementi che lo compongono, la esatta composizione dello stesso, nel quale non è data la possibilità di

assimilazione, alle altre voci che compongono il TEG del finanziamento ovvero alle altre voci considerate dalle

Circolari della Banca d'Italia, anche dell'interesse moratorio in quanto tale.

A cadere sotto la scure della sanzione della nullità, con conseguente obbligo di restituzione dell'indebito, e invece,

anche nella ribadita interpretazione della Suprema Corte, solo la previsione di un tasso moratorio che, in sé

considerato, e non in forma additiva rispetto al tasso corrispettivo ed alle altre voci considerate nel T.E.G., sia

tale da oltrepassare il tasso soglia.

Non trascurabile è il dato essenziale, ai fini dell'indagine, che, proprio per la menzionata differente natura

dell'interesse corrispettivo e di quello moratorio, al secondo vada attribuita natura sostitutiva e non additiva del

tasso corrispettivo, venendo lo stesso in rilievo in via eventuale solo per l'ipotesi di inadempimento e su di una

somma complessivamente considerata, ove la parte cui si è tenuti per la quota, originariamente prevista quale

interesse si è ormai inglobata nel capitale perdendo la propria originaria vocazione e natura di interesse.

6. OBBLIGAZIONI SOLIDALI E CONDOMINIO

6.1 Cass. Sez. Un. 8 aprile 2008 n.9148

Ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà. Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

Page 27: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

27

2.1 La questione di diritto, che la Suprema Corte deve risolvere per decidere la controversia, riguarda la natura

delle obbligazioni dei condomini.

Secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le

obbligazioni assunte dal "condominio" verso i terzi ha natura solidale, avuto riguardo al principio generale

stabilito dall'art. 1294 cod. civ. per l'ipotesi in cui più soggetti siano obbligati per la medesima prestazione:

principio non derogato dall'art. 1123 cod. civ., che si limita a ripartire gli oneri all'interno del condominio (Cass.,

Sez. II, 5 aprile 1982, n. 2085; Cass., Sez. II, 17 aprile 1993, n. 4558; Cass., Sez. II, 30 luglio 2004, n. 14593; Cass.,

Sez. II, 31 agosto 2005, n. 17563).

Per l'indirizzo decisamente minoritario, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio dalla parziarietà: in

proporzione alle rispettive quote, ai singoli partecipanti si imputano le obbligazioni assunte nell'interesse del

"condominio", relativamente alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio,

per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le

obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ. per le

obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditali i coeredi concorrono in proporzione alle

loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori si ripartisce tra gli eredi in proporzione alle quote

ereditarie (Cass., Sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530).

2.2 Per determinare i principi di diritto, che regolano le obbligazioni (contrattuali) unitarie le quali vincolano la

pluralità di soggetti passivi - i condomini - occorre muovere dal fondamento della solidarietà.

L'assunto è che la solidarietà passiva scaturisca dalla contestuale presenza di diversi requisiti, in difetto

dei quali - e di una precisa disposizione di legge - il criterio non si applica, non essendo sufficiente la

comunanza del debito tra la pluralità dei debitori e l'identica causa dell'obbligazione; che nessuna

specifica disposizione contempli la solidarietà tra i condomini, cui osta la parziarietà intrinseca della prestazione;

che la solidarietà non possa ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo, in quanto il condominio non raffigura

un "ente di gestione", ma una organizzazione pluralistica e l'amministratore rappresenta immediatamente i singoli

partecipanti, nei limiti del mandato conferito secondo le quote di ciascuno.

La disposizione dell'art. 1292 cod. civ. - è noto - si limita a descrivere il fenomeno e le sue conseguenze. Invero,

sotto la rubrica "nozione della solidarietà", definisce l'obbligazione in solido quella in cui "più debitori sono

obbligati tutti per la medesima prestazione" e aggiunge che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la

totalità (con liberazione degli altri). L'art. 1294 cod. civ. stabilisce che "i condebitori sono tenuti in solido, se dalla

legge o dal titolo non risulta diversamente". Nessuna delle norme, tuttavia, precisa la ratio della solidarietà,

ovverosia ne chiarisce il fondamento (che risulta necessario, quanto meno, per risolvere i casi dubbi).

Stando all'interpretazione più accreditata, le obbligazioni solidali, indivisibili e parziarie raffigurano le risposte

dell'ordinamento ai problemi derivanti dalla presenza di più debitori (o creditori), dalla unicità della causa

dell'obbligazione (eadem causa obbligandi) e dalla unicità della prestazione (eadem res debita).

Mentre dalla pluralità dei debitori e dalla unicità della causa dell'obbligazione scaturiscono questioni che, nella

specie, non rilevano, la categoria dell'idem debitum propone problemi tecnici considerevoli: in particolare, la

unicità della prestazione che, per natura, è suscettibile di divisione, e la individuazione del vincolo della solidarietà

rispetto alla prestazione la quale, nel suo sostrato di fatto, è naturalisticamente parziaria.

Semplificando categorie complesse ed assai elaborate, l'indivisibilità consiste nel modo di essere della

prestazione: nel suo elemento oggettivo, specie laddove la insussistenza naturalistica della indivisibilità

non è accompagnata dall'obbligo specifico imposto per legge a ciascun debitore di adempiere per

l'intero. Quando la prestazione per natura non è indivisibile, la solidarietà dipende dalle norme e dai

principi. La solidarietà raffigura un particolare atteggiamento nei rapporti esterni di una obbligazione

intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Altrimenti, la

struttura parziaria dell'obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro

connesse.

È pur vero che la solidarietà raffigura un principio riguardante i condebitori in genere. Ma il principio generale è

valido laddove, in concreto, sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge per la attuazione congiunta del

condebito. Sicuramente, quando la prestazione comune a ciascuno dei debitori è, allo stesso tempo, indivisibile.

Page 28: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

28

Se invece l'obbligazione è divisibile, salvo che dalla legge (espressamente) sia considerata solidale, il principio

della solidarietà (passiva) va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall'art. 1314 cod. civ., secondo

cui se più sono i debitori ed è la stessa la causa dell'obbligazione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il

debito che per la sua parte.

Poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di una obbligazione

intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell'obbligazione come solidale e,

contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente, divisibile viene meno uno

dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell’obbligazione prevale.

Del resto, la solidarietà viene meno ogni qual volta la fonte dell'obbligazione comune è intimamente collegata

con la titolarità delle res.

Le disposizioni di cui agli artt. 752, 754 e 1295 cod. civ. - che prevedono la parziarietà delle obbligazioni dei

coeredi e la sostituzione, per effetto dell'apertura della successione, di una obbligazione nata unitaria con una

pluralità di obbligazioni parziarie - esprimono il criterio di ordine generale del collegamento tra le obbligazioni e

le res.

Per la verità, si tratta di obbligazioni immediatamente connesse con l'attribuzione ereditaria dei beni: di

obbligazioni ricondotte alla titolarità dei beni ereditari in ragione dell'appartenenza della quota. Ciascun erede

risponde soltanto della sua quota, in quanto è titolare di una quota di beni ereditari. Più in generale, laddove si

riscontra lo stesso vincolo tra l'obbligazione e la quota e nella struttura dell'obbligazione, originata dalla

medesima causa per una pluralità di obbligati, non sussiste il carattere della indivisibilità della prestazione, è

ragionevole inferire che rispetto alla solidarietà non contemplata (espressamente) prevalga la struttura parziaria

del vincolo.

2.3 Le direttive ermeneutiche esposte valgono per le obbligazioni facenti capo ai gruppi organizzati, ma

non personificati.

Per ciò che concerne la struttura delle obbligazioni assunte nel cosiddetto interesse del "condominio" - in realtà,

ascritte ai singoli condomini - si riscontrano certamente la pluralità dei debitori (i condomini) e la ‘eadem causa

obbligandi’, la unicità della causa: il contratto da cui l'obbligazione ha origine. È discutibile, invece, la unicità della

prestazione (idem debitum) che certamente è unica ed indivisibile per il creditore, il quale effettua una

prestazione nell'interesse e in favore di tutti condomini (il rifacimento della facciata, l'impermeabilizzazione del

tetto, la fornitura del carburante per il riscaldamento etc.). L'obbligazione dei condomini (condebitori), invece,

consistendo in una somma di danaro, raffigura una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile.

Orbene, nessuna norma di legge espressamente dispone che il criterio della solidarietà si applichi alle

obbligazioni dei condomini.

Non certo l'art. 1115 comma 1 cod. civ. Sotto la rubrica "obbligazioni solidali dei partecipanti", la norma

stabilisce che ciascun partecipante può esigere che siano estinte le obbligazioni contratte in solido per la cosa

comune e che la somma per estinguerle sia ricavata dal prezzo di vendita della stessa cosa. La disposizione, in

quanto si riferisce alle obbligazioni contratte in solido dai comunisti per la cosa comune, ha valore meramente

descrittivo, non prescrittivo: non stabilisce che le obbligazioni debbano essere contratte in solido, ma regola le

obbligazioni che, concretamente, sono contratte in solido. A parte ciò, la disposizione non riguarda il

condominio negli edifici e non si applica al condominio, in quanto regola l'ipotesi di vendita della cosa comune.

La disposizione, infatti, contempla la cosa comune soggetta a divisione e non le cose, gli impianti ed i servizi

comuni del fabbricato, i quali sono contrassegnati dalla normale indivisibilità ai sensi dell'art. 1119 cod. civ. e,

comunque, dalla assoluta inespropriabilità.

D'altra parte, nelle obbligazioni dei condomini la parziarietà si riconduce all'art. 1123 cod. civ., interpretato

valorizzando la relazione tra la titolarità della obbligazione e la quella della cosa. Si tratta di obbligazioni propter

rem, che nascono come conseguenza dell'appartenenza in comune, in ragione della quota, delle cose, degli

impianti e dei servizi e, solo in ragione della quota, a norma dell'art. 1123 cit., i condomini sono tenuti a

contribuire alle spese per le parti comuni. Per la verità, la mera valenza interna del criterio di ripartizione raffigura

un espediente elegante, ma privo di riscontro nei dati formali.

Page 29: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

29

Se l'argomento che la ripartizione delle spese regolata dall'art. 1123 comma 1 cod. civ. riguardi il mero profilo

interno non persuade, non convince neppure l'asserto che il comma 2 dello stesso art. 1223 - concernente la

ripartizione delle spese per l'uso delle parti comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, in

proporzione all'uso che ciascuno può fame - renda impossibile l'attuazione parziaria all'esterno: con la

conseguenza che, quanto all'attuazione, tutte le spese disciplinate dall'art. 1223 cit. devono essere regolate allo

stesso modo.

Entrambe le ipotesi hanno in comune il collegamento con la res. Il primo comma riguarda le spese per la

conservazione delle cose comuni, rispetto alle quali l'inerenza ai beni è immediata; il secondo comma concerne le

spese per l'uso, in cui sussiste comunque il collegamento con le cose: l'obbligazione, ancorché influenzata nel

quantum dalla misura dell'uso diverso, non prescinde dalla contitolarità delle parti comuni, che ne costituisce il

fondamento. In ultima analisi, configurandosi entrambe le obbligazioni come obligationes propter rem, in quanto

connesse con la titolarità del diritto reale sulle parti comuni, ed essendo queste obbligazioni comuni

naturalisticamente divisibili ex parte debitoris, il vincolo solidale risulta inapplicabile e prevale la struttura

intrinsecamente parziaria delle obbligazioni. D'altra parte, per la loro ripartizione in pratica si può sempre fare

riferimento alle diverse tabelle millesimali relative alla proprietà ed alla misura dell'uso.

2.5 Né la solidarietà può ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo dei condomini.

Dalla giurisprudenza, il condominio si definisce come "ente di gestione", per dare conto del fatto che la

legittimazione dell'amministratore non priva i singoli partecipanti della loro legittimazione ad agire in giudizio in

difesa dei diritti relativi alle parti comuni; di avvalersi autonomamente dei mezzi di impugnazione; di intervenire

nei giudizi intrapresi dall'amministratore, ecc..

Ma la figura dell'ente, ancorché di mera gestione, suppone che coloro i quali ne hanno la rappresentanza non

vengano surrogati dai partecipanti. D'altra parte, gli enti di gestione in senso tecnico raffigurano una categoria

definita ancorché non unitaria, ai quali dalle leggi sono assegnati compiti e responsabilità differenti e la disciplina

eterogenea si adegua alle disparate finalità perseguite (art. 3 legge 22 dicembre 1956, n. 1589). Gli enti di gestione

operano in concreto attraverso le società per azioni di diritto comune, delle quali detengono le partecipazioni

azionarie e che organizzano nei modi più opportuni: in attuazione delle direttive governative, razionalizzano le

attività controllate, coordinano i programmi e assicurano l'assistenza finanziaria mediante i fondi di dotazione.

Per la struttura, gli enti di gestione si contrassegnano in ragione della soggettività (personalità giuridica pubblica)

e dell'autonomia patrimoniale (la titolarità delle partecipazioni azionarie e del fondo di dotazione).

Orbene, nonostante l'opinabile rassomiglianza della funzione - il fatto che l'amministratore e l'assemblea

gestiscano le parti comuni per conto dei condomini, ai quali le parti comuni appartengono - le ragguardevoli

diversità della struttura dimostrano la inconsistenza del ripetuto e acritico riferimento dell'ente di gestione al

condominio negli edifici.

Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei

diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi

condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le

obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma

nell'interesse dei singoli partecipanti.

Secondo la giurisprudenza consolidata, poi, l'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto

privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra

l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato.

Orbene, la rappresentanza, non soltanto processuale, dell'amministratore del condominio è circoscritta alle

attribuzioni - ai compiti ed ai poteri - stabilite dall'art. 1130 cod. civ..

In giudizio l'amministratore rappresenta i singoli condomini, i quali sono parti in causa nei limiti della loro quota

(art. 1118 e 1123 cod. civ.). L'amministratore agisce in giudizio per la tutela dei diritti di ciascuno dei condomini,

nei limiti della loro quota, e solo in questa misura ognuno dei condomini rappresentati deve rispondere delle

conseguenze negative. Del resto, l'amministratore non ha certo il potere di impegnare i condomini al di là del

diritto, che ciascuno di essi ha nella comunione, in virtù della legge, degli atti d'acquisto e delle convenzioni. In

proporzione a tale diritto ogni partecipante concorre alla nomina dell'amministratore e in proporzione a tale

Page 30: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

30

diritto deve ritenersi che gli conferisca la rappresentanza in giudizio. Basti pensare che, nel caso in cui

l'amministratore agisca o sia convenuto in giudizio per la tutela di un diritto, il quale fa capo solo a determinati

condomini, soltanto i condomini interessati partecipano al giudizio ed essi soltanto rispondono delle

conseguenze della lite.

Pertanto, l'amministratore - in quanto non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti dei suoi poteri, che

non contemplano la modifica dei criteri di imputazione e di ripartizione delle spese stabiliti dall'art. 1123 c.c. -

non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti della rispettiva quota.

2.5 Riepilogando, ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non

soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità

della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa

disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che

l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di

danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che

l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non

distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura

unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle

obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue

attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la

susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà. Ai singoli si

imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del

condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni

dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla

maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati

dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al

pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei

condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

2.6 Il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini

rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei

rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei

condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo

la quota di ciascuno.

Per concludere, la soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni

contrattuali comuni con pluralità di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale

emergenti dalla realtà economica e sociale del condominio negli edifici.

Per la verità, la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l'amministratore del

condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il

criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla

scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di

opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla

al momento dell'adempimento.

6.2 Cass. 29 gennaio 2015, n. 1674

La responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c.

Page 31: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

31

3. - Il primo motivo del ricorso principale (che sebbene genericamente intitolato è chiaramente riferito, nello

svolgimento e nel quesito di diritto, alla violazione dell'art. 1294 c.c.) è fondato nei termini che seguono.

3.1. - La natura delle obbligazioni dei singoli condomini verso i terzi è i stata oggetto, vigente la disciplina

anteriore alla legge n. 220/12 (in vigore dal 18.6.2013), di un intervento delle S.U. di questa Corte, le quali con

sentenza n. 9148/08 hanno affermato, in rapporto a obbligazioni assunte dall'amministratore in rappresentanza

del condominio nei confronti di terzi, che in difetto di un'espressa previsione normativa che stabilisca il principio

della solidarietà, la responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della

parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti

soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c..

Ciò in quanto, si legge in motivazione, la solidarietà configura, nei rapporti esterni tra creditore e debitori, il

modo di essere di un'obbligazione intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della

prestazione. Diversamente, in assenza, cioè di un'espressa previsione normativa che stabilisca la solidarietà nel

debito, la struttura parziaria dell'obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro

connesse. Sebbene la solidarietà raffiguri un principio riguardante i condebitori in genere, tale principio generale

è valido laddove, in concreto, sussistano tutti i presupposti previsti dalla legge per l'attuazione congiunta del

condebito. E poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di

un'obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell'obbligazione come solidale

e, contemporaneamente, in presenza di un'obbligazione comune, ma naturalisticamente divisibile, viene meno

uno dei requisiti della solidarietà, la quale, del resto, viene meno ogni qual volta la fonte dell'obbligazione

comune è intimamente collegata con la titolarità delle res.

3.1.1. - Tale pronuncia delle S.U., emessa con riguardo ad un'obbligazione contrattuale che un

condominio tramite il suo amministratore aveva assunto verso un terzo, ricollega dunque la solidarietà

nelle obbligazioni divisibili ad una previsione legislativa che imponga l'esecuzione congiunta della

prestazione.

In disparte il delicato problema dell'esportabilità del principio anzi detto oltre gli stretti limiti di corrispondenza

alla fattispecie concreta posta all'esame delle S.U. (per un'argomentata negativa cfr. in motivazione Cass. n.

21907/11, che osserva come la decisione delle S.U. si basi essenzialmente su considerazioni ulteriori che

eccedono il fondamento dell'art. 1294 c.c. e la sua applicabilità alla comunione), va osservato che in materia di

responsabilità per fatto illecito l'espressa previsione della solidarietà passiva è contenuta nell'art. 2055,

primo comma c.c., in base al quale se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate

in solido al risarcimento del danno.

3.1.2. - L'applicabilità dell'art. 2055 c.c. (che opera un rafforzamento del credito evitando al creditore di dover

agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota) ai danni da cosa condominiale in custodia trova una

prima conferma, innanzi tutto, in alcuni precedenti di questa Corte, come Cass. n. 6665/09, che ha ritenuto il

condomino danneggiato quale terzo rispetto allo stesso condominio cui è ascrivibile il danno stesso (con

conseguente inapplicabilità dell'art. 1227, primo comma c.c.); Cass. n. 4797/01, per l'ipotesi di danni da omessa

manutenzione del terrazzo di copertura cagionati al condomino proprietario dell'unità immobiliare sottostante;

Cass. n. 6405/90, secondo cui i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio

condominiale, sono a norma dell'art. 1117 c.c. (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti

comuni, tra Le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la

conseguenza, nel caso di danni a terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale

di tutti i condomini, a norma degli artt. 2051 e 2055 c.c..

3.1.3. - Ciò premesso a giustificazione di una linea di tendenza che appare già presente, va osservato che

premesse storiche, ragioni sistematiche e considerazioni particolari alla fattispecie della responsabilità per danni

derivanti da cose in custodia, confortano la tesi dell'applicabilità dell'art. 2055, 1 comma c.c. anche in

ambito condominiale.

Nel codice civile del 1865, che come tutti i codici liberali dell'800 richiedeva, essendo ispirato al favor debitoris,

una specifica fonte convenzionale o legale della solidarietà (v. l'art. 1188 c.c. 1865), la previsione della solidarietà

passiva nelle ipotesi di delitto o quasi-delitto (v. l'art. 1156 c.c. 1865) impediva che l'opposto principio della

Page 32: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

32

parziarietà dell'obbligazione, concepito come una sorta di beneficio, potesse operare anche a vantaggio di chi,

essendo autore di un illecito aquiliano, non ne era ritenuto degno.

Invertita nel codice vigente la regola generale sulla solidarietà passiva, l'art. 2055 c.c. può ritenersi mera norma di

rimando all'art. 1294 c.c. solo a patto di riespandere quella portata generale e autoreferenziale di quest'ultima

disposizione, che il citato arresto delle S.U. ha inteso comprimere.

Diversamente, minore è la pervasività della regola generale nelle singole ipotesi di obbligazioni soggettivamente

complesse nel lato passivo, maggiore, di riflesso, è l'autonoma incidenza fondativa delle norme che prevedono la

solidarietà in ambiti particolari, tra cui appunto l'art. 2055, 1 comma c.c. per quanto concerne la responsabilità

extracontrattuale. Non può ipotizzarsi, infatti, che il sistema ponga allo stesso modo, con disposizioni

ugualmente generiche e necessitanti d'integrazione, tanto la regola generale quanto quella di settore.

A ciò va aggiunto che la stessa struttura della responsabilità per danni prevista dall'art. 2051 c.c. presuppone

l'identificazione di uno o più soggetti cui sia imputabile la custodia. Il custode non può essere identificato né nel

condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condomini, ma pur sempre ente

di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condomini. Solo

questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e

ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 c.c. (sui requisiti in

generale della custodia ai fini dell'applicazione dell'art. 2051 c.c., cfr. Cass. S.U. n. 12019/91).

Se ne deve trarre, pertanto, che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale

non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, 1 comma c.c., individuati nei singoli

condomini i soggetti solidalmente responsabili.

7. LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI

ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009, n. 16503

In contrapposizione all'art. 2043 c.c., che fa sorgere l'obbligo del risarcimento dalla commissione di un «fatto» doloso o colposo, il successivo art. 2055 considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento stesso, il «fatto dannoso», sicché, mentre la prima norma si riferisce all'azione del soggetto che cagiona l'evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in cui favore è stabilita la solidarietà. Deriva, da quanto precede, che l'unicità del fatto dannoso richiesta dal ricordato art. 2055 per la legittima predicabilità di una responsabilità solidale tra gli autori dell'illecito deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, ricorrendo, pertanto, tale forma di responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, ed anche diversi, sempreché le singole azioni o omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno. In altri termini, per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti l'art. 2055, comma 1, c.c. richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano tra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale e extracontrattuale, atteso che l'unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate.

10. Con il primo motivo il ricorrente S. R. censura la sentenza impugnata denunziando “violazione e falsa

applicazione degli artt. 1306, 2° comma e 2909 c.c. e dell'art. 112 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.)”.

Assume, in particolare, il ricorrente che la deroga al principio dei limiti soggettivi del giudicato, di cui all'art. 1306,

comma 2, c.c. può operare solo con riferimento alle obbligazioni solidali nascenti da uno stesso titolo.

11. Nei limiti di cui appresso il motivo è fondato.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

Page 33: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

33

11.1. In tema di obbligazioni solidali, giusta la puntuale previsione di cui all'art. 1306 c.c. “la sentenza pronunziata

tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli

altri debitori o contro gli altri creditori” (comma 1).

“Gli altri debitori - peraltro - possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al

condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può

opporre a ciascuno di essi” (comma 2).

11.2. In applicazione della disposizione da ultimo trascritta la sentenza ora oggetto di ricorso per cassazione, ha

rigettato la domanda proposta da S. R. nei confronti del Ministero osservando:

- il giudizio (tra il danneggiato e il T. nonché la compagnia assicuratrice del veicolo dallo stesso condotto),

conclusosi con sentenza passata in giudicato 8 luglio 1987 ha avuto a oggetto lo stesso fatto generatore del

danno, ossia l'investimento di S. R. a opera dell'auto condotta dal T. e di sua proprietà, dedotto in questa sede al

fine di estendere la responsabilità del Ministero quale soggetto autore di una condotta autonoma, antecedente

che avrebbe concorso, mediante omissione di doverose cautele, a provocare il sinistro;

- da ciò discende che il Ministero, chiamato a rispondere quale condebitore solidale in relazione al medesimo

fatto generatore del danno, ancorché con ruolo causale autonomo per condotta antecedente, e rimasto estraneo

al giudizio, ha facoltà - ai sensi dell'art. 1306, comma 2 c.c. - di opporre allo S., quale creditore, la sentenza

passata in giudicato, così giovandosi dell'accertamento, ormai irretrattabile, fatto nei rapporti con gli altri

condebitori solidali, in forza del quale il danno, per metà, deve restare a carico della vittima, senza possibilità di

rivalsa nei confronti degli altri condebitori.

11.3. L'interpretazione data, dalla sentenza gravata, al combinato disposto di cui agli artt. 1306, comma 2 e 2909

c.c. non merita - a parere di queste Sezioni Unite - conferma.

11.3.1. Come noto, in contrapposizione all'art. 2043 c.c., che fa sorgere l'obbligo del risarcimento dalla

commissione di un «fatto» doloso o colposo, il successivo art. 2055 considera, ai fini della solidarietà nel

risarcimento stesso, il «fatto dannoso», sicché, mentre la prima norma si riferisce all'azione del soggetto

che cagiona l'evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in cui favore è

stabilita la solidarietà.

Deriva, da quanto precede, che l'unicità del fatto dannoso richiesta dal ricordato art. 2055 per la

legittima predicabilità di una responsabilità solidale tra gli autori dell'illecito deve essere intesa in senso

non assoluto, ma relativo al danneggiato, ricorrendo, pertanto, tale forma di responsabilità pur se il

fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, ed

anche diversi, sempreché le singole azioni o omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla

produzione del danno (Cass. 15 luglio 2005, n. 15030).

In altri termini, per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti l'art. 2055, comma 1, c.c.

richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano tra

loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, anche nel caso

in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale e extracontrattuale, atteso che l'unicità del

fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va

intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27713; Cass. 14

gennaio 1996, n. 418).

11.3.2. Certo quanto sopra, osserva la Corte che nella specie la sentenza del 1987, coperta da giudicato, ha

ritenuto - in esito a un giudizio al quale non ha partecipato il Ministero odierno controricorrente - che il fatto

dannoso denunziato (le lesioni riportate da S. R.) fosse ascrivibile alla concorrente responsabilità de il T., che ha

investito lo S. (per il 50 %) e dello stesso S. (per il restante 50%) che non ha prestato la dovuta attenzione

nell'attraversare la carreggiata stradale percorsa dal T..

11.3.3. È evidente, pertanto, che il giudicato formatosi in quella sede [e opponibile al creditore da parte del

Ministero, condebitore solidale] riguarda, oltre che la misura del danno conseguente all'evento (cfr. Cass. 11

giugno 2008, n. 15462) non - come implicitamente ritenuto dalla sentenza impugnata - tutte le autonome, e

distinte, condotte poste in essere da tutti coloro che - almeno in tesi - possono ritenersi responsabili solidali

dell'evento, ma unicamente il comportamento colposo di uno di questi, e, in particolare, del T..

Page 34: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

34

Non essendo stato oggetto di indagine, in quel giudizio, la diversa, e autonoma, condotta del Ministero che ha

omesso di vigilare sul comportamento dello S., all'epoca dei fatti minore, è evidente che nessun giudicato, si è

formato - ex art. 2909 c.c. - su tale omessa (o insufficiente) vigilanza.

11.3.4. Certo quanto sopra, e certo che nella specie il danneggiato non ha ottenuto - in esito al precedente

giudizio - l'integrale risarcimento del pregiudizio patito (e già accertato) è palese che non sussisteva alcuna

preclusione, perché il danneggiato - dopo il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del T. - agisca, per

ottenere il residuo risarcimento, nei confronti del Ministero per la verifica di tale diversa colpa in vigilando.

A fronte di tale domanda, correttamente - in applicazione dell'art. 1306, comma 2, c.c. - il Ministero (al fine di

paralizzare almeno in parte, l'accoglimento della domanda avversaria) ha opposto che era oramai irretrattabile sia

il quantum debeatur del fatto dannoso, sia che di questo il T. era responsabile al 50%.

È certo - infatti - che in questo secondo giudizio lo S. non può pretendere danni ulteriori né il pagamento, dal

coobbligato solidale delle somme già riscosse in forza del precedente titolo dall'altro coobbligato (cfr. Cass. 2

luglio 2004, n. 12174).

11.3.5. Deve escludersi, peraltro, come anticipato, che sia precluso in questo nuovo giudizio il diverso

accertamento - ora sollecitato dallo S. - quanto alla rilevanza della condotta negligente della scuola, e quindi del

Ministero, per avere omesso i dovuti controlli prima di lasciare libero il minore.

Infatti, a prescindere dal rilevare che nessun accertamento, con forza di giudicato, è stato mai compiuto

al riguardo, non può considerarsi favorevole al debitore solidale - per gli effetti di cui all'art. 1306,

comma 2, c.c. - il capo della sentenza che abbia affermato la sussistenza del concorrente apporto

causale dello stesso creditore al verificarsi dell'evento lesivo (a norma dell'art. 1227, comma 1, c.c.) qualora

il creditore nel secondo giudizio intenda imputare al terzo, non convenuto nel precedente giudizio, la

responsabilità proprio di quell'apporto causale che il primo giudice abbia ritenuto scriminante della

responsabilità del primo convenuto.

8. TRANSAZIONE E OBBLIGAZIONI SOLIDALI: Cass. Sez. Un. 30 dicembre

2011, n. 30174

Il debitore che non sia stato parte della transazione stipulata dal creditore con altro condebitore in solido non può profittarne se, trattandosi di un'obbligazione divisibile ed essendo stata la solidarietà prevista nell'interesse del creditore, l'applicazione dei criteri legali d'interpretazione dei contratti porti alla conclusione che la transazione ha avuto ad oggetto non l'intero debito ma solo la quota di esso riferibile al debitore che ha transatto; in caso contrario, il condebitore ha diritto a profittare della transazione senza che eventuali clausole in essa inserite possano impedirlo. Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l'accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto.

4. Il quarto ed il quinto motivo del ricorso sono collegati e possono perciò essere esaminati congiuntamente.

Si tratta della già accennata questione se il creditore ed uno dei debitori in solido, nel transigere la lite tra

loro insorta, possano impedire agli altri debitori in solido di profittare degli effetti della transazione,

come previsto dall'art. 1304, primo comma, c.c. (omissis)

4.1. A tal riguardo è opportuno anzitutto rilevare come l'apparente contrasto riscontrabile nella lettura di alcune

massime estratte da sentenze di questa corte (Cass. n. 5108 del 2011 e n. 4257 del 1991, da un lato, Cass. n. 1873

del 1997 e n. 24 del 1968, dall'altro) sembra in realtà agevolmente componibile in base alla diversa portata

che, di volta in volta, può assumere la transazione intervenuta tra il creditore ed uno di più condebitori

Page 35: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

35

solidali. Decisiva in tal senso, come è stato sottolineato anche dalla dottrina maggioritaria, appare la

circostanza che la transazione riguardi l'intero debito o che invece abbia ad oggetto unicamente la

quota del debitore con cui è stipulata. Ipotesi, quest'ultima, certamente configurabile - sempre che, beninteso,

l'obbligazione sia per sua natura scindibile e che non si tratti di solidarietà pattuita nell'interesse di uno dei

condebitori - quando vi consenta il creditore nel cui interesse il vincolo della solidarietà passiva è concepito,

senza che sia necessario postulare un preventivo scioglimento della solidarietà, che ben può invece realizzarsi nel

contesto medesimo della transazione. Né occorre a tal fine postulare un'indispensabile diversità dei titoli da cui

dipendono le diverse obbligazioni legate dal vincolo della solidarietà, volta che tale vincolo sia unicamente

funzionale ad una migliore realizzazione del credito e nulla perciò valga ad ostacolare la libera esplicazione

dell'autonomia negoziale delle parti che intendono escluderlo per una quota parte del credito stesso.

La transazione pro quota, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto

al debitore che vi aderisce, non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali dunque nessun titolo

avrebbero per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in

conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente. La previsione dell'art. 1304, primo comma, c.c.

non si riferisce a questa fattispecie (in tal senso si vedano anche Cass. n. 16050 del 2009, Cass. n. 14550 del

2009, Cass. n. 7485 del 2007, Cass. n. 9396 del 2006 e Cass. n. 8946 del 2006).

È la transazione riguardante l'intero debito quella cui, viceversa, detta norma si riferisce, perché è la

comunanza dell'oggetto della transazione a far si che di questa possa avvalersi il condebitore in solido,

pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e quindi in deroga al principio secondo cui il contratto

produce effetto solo tra le parti. La riduzione dell'ammontare del debito eventualmente pattuita in via

transattiva con uno solo dei debitori opererà, in tal caso, anche per gli altri che dichiarino di volersene avvalere,

non diversamente da quel che sarebbe accaduto se anch'essi avessero sottoscritto la medesima transazione. Né

tale conseguenza potrebbe essere evitata introducendo nella transazione per l'intero debito una clausola di

contrario tenore, per l'ovvia considerazione che una simile clausola sarebbe destinata ad incidere su un diritto

potestativo che la legge attribuisce ad un soggetto terzo, rispetto ai contraenti, e del quale perciò questi ultimi

non sarebbero legittimati a disporre.

Lo stabilire poi se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto

l'intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un'indagine sul contenuto del

contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del

giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 e segg. c.c..

4.2. Giova però ancora interrogarsi, ove l'indagine sopra menzionata conduca alla conclusione che le parti hanno

inteso focalizzare la transazione unicamente su una determinata quota di debito, su quale sia il residuo

credito azionabile nei confronti degli altri debitori rimasti estranei.

La risposta della giurisprudenza a questo interrogativo non sempre è stata chiara. In taluni casi si è affermato che

il credito verso gli altri condebitori si riduce in proporzione alla quota transatta (cfr. Cass., n. 16050 del 2009,

Cass. n. 7485 del 2007, Cass. n. 8946 del 2006, Cass. n. 7212 del 2002, Cass. n. 2931 del 1999 e Cass. 7413 del

1991); in altri casi si è detto che esso si riduce in misura pari all'ammontare di quanto il creditore ha già percepito

a seguito della transazione (cfr. Cass. n. 5108 del 2011, Cass. n. 14550 del 2009 e Cass. n. 4820 del 1979).

Il risultato non è però necessariamente il medesimo. Qualora, infatti, la transazione porti all'uscita di scena

di uno dei debitori solidali, ma al tempo stesso alla soddisfazione del credito in misura minore rispetto

alla quota ideale gravante su quel debitore (si faccia l'esempio di un credito verso tre condebitori

solidali, d'importo pari a 90, e si ipotizzi che la transazione sulla quota di uno dei debitori abbia

determinato il pagamento di 20), un conto è affermare che gli altri condebitori restano tenuti per

l'ammontare non soddisfatto del credito (pari, nell'esempio fatto, a 70), altro dire che il loro debito si

riduce in misura proporzionale alla quota ideale del condebitore venuto meno (ciò che, nel suddetto

esempio, legittimerebbe il creditore a pretendere dai condebitori esclusi dalla transazione solo 60).

Considerato allora che la transazione parziaria non può né condurre ad un incasso superiore rispetto

all'ammontare complessivo del credito originario, né determinare un aggravamento della posizione dei

condebitori rimasti ad essa estranei, neppure in vista del successivo regresso nei rapporti interni, è

Page 36: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

36

giocoforza pervenire alla conclusione che il debito residuo dei debitori non transigenti è destinato a

ridursi in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo

se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito. In caso contrario, se

cioè il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al transigente, il debito

residuo che resta tuttora a carico solidale degli altri obbligati dovrà essere necessariamente ridotto (non

già di un ammontare pari a quanto pagato, bensì) in misura proporzionale alla quota di chi ha

transatto, giacché altrimenti la transazione provocherebbe un ingiustificato aggravamento per soggetti

rimasti ad essa estranei.

(omissis)

5. L'impugnata sentenza deve perciò essere cassata, con rinvio alla Corte d'appello di Roma (in diversa

composizione), che giudicherà attenendosi al seguente principio di diritto:

'Il debitore che non sia stato parte della transazione stipulata dal creditore con altro condebitore in

solido non può profittarne se, trattandosi di un'obbligazione divisibile ed essendo stata la solidarietà

prevista nell'interesse del creditore, l'applicazione dei criteri legali d'interpretazione dei contratti porti

alla conclusione che la transazione ha avuto ad oggetto non l'intero debito ma solo la quota di esso

riferibile al debitore che ha transatto; in caso contrario il condebitore ha diritto a profittare della

transazione senza che eventuali clausole in essa inserite possano impedirlo.

Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata,

il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente

all'ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma

pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che

faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l'accordo transattivo, il debito residuo gravante

sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto'.

5. Al giudice di rinvio si richiede anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

9. LE COORDINATE DEL CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA:

Cass. Sez. Un. 18 febbraio 2010, n. 3947

La polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore assurge a garanzia atipica, a cagione dell'insostituibilità della obbligazione principale, onde il creditore può pretendere dal garante solo un risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto. Con la precisazione, peraltro, della invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto all'inadempimento delle obbligazioni garantite.

1. La giurisprudenza di questa corte ha seguito, nel tempo, itinerari interpretativi non sempre univoci sul tema dei

rapporti tra fideiussione e cd. Garantievertrag, pur avendo di recente manifestato una sempre maggiore

consonanza di pensiero nella strutturazione di una sempre più indispensabile actio finium regundorum tra le due

fattispecie.

Già all'indomani della pronuncia di Cass. ss. uu. n. 7341 del 1987, nella quale ancora nebulosa apparve, ai

commentatori e agli interpreti più accorti, la distinzione tra contratto autonomo di garanzia e fideiussione con

clausola solve et repete, le linee portanti dei due istituti verranno più pensosamente esplorate al sempre più nitido

delinearsi dei caratteri tipici del contratto autonomo di garanzia, che (sorto alla fine dell'800 in Inghilterra e in

Germania per soddisfare evidenti e pressanti esigenze di semplificazione del commercio internazionale), approda,

non senza contrasti, nel nostro Paese con indiscutibile ritardo, attesa la problematica compatibilità della nuova

Page 37: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

37

fattispecie con i tradizionali parametri cui dottrina prevalente e giurisprudenza pressochè unanime erano avvezzi

a far riferimento in materia negoziale: da un lato, il dogma della accessorietà "necessaria" del negozio di garanzia

titolato, dall'altro, il requisito della causa negotii tralaticiamente intesa come funzione "economico sociale" del

negozio - quantomeno fino alla recente svolta di questa corte di legittimità di cui alla sentenza 10490/2006,

autorevolmente confermata dalle sezioni unite, con la sentenza n. 26972/2008.

Incertezze e disarmonie interpretative trassero linfa dalla peculiarità di una fattispecie felicemente definita (Trib.

Torino, 29 agosto 2002), come "un articolato coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il

destinatario della prestazione (e beneficiario della garanzia), il garante (sovente una istituto di credito), e il

debitore della prestazione (ordinante la garanzia atipica)", in attuazione di una complessa operazione economica

destinata a dipanarsi, sotto il profilo della struttura negoziale, attraverso una scansione diacronica di rapporti, il

primo (di valuta), corrente tra debitore e creditore, tra cui viene originariamente pattuito l'adempimento di una

certa prestazione del primo nei confronti dell'altro, il secondo (di provvista), destinato a intervenire tra debitore e

futuro garante, con esso pattuendosi l'impegno di quest'ultimo a garantire il creditore del primo rapporto, il terzo

nascente, infine, tra creditore e garante, con quest'ultimo senz'altro obbligato ad adempiere alla prestazione del

debitore a semplice richiesta del primo nel caso di inadempimento del secondo (rapporti ai quali non risulterà poi

inusuale l'aggiunta di una quarta convenzione negoziale collegata, quella tra un secondo istituto di credito

controgarante e banca prima garante, avente lo stesso contenuto del primo rapporto di garanzia).

L'elemento caratterizzante della fattispecie in esame viene individuato nell'impegno del garante a

pagare illico et immediate, senza alcuna facoltà di opporre al creditore/beneficiario le eccezioni relative

ai rapporti di valuta e di provvista, in deroga agli artt. 1936, 1941 e 1945 c.c., caratterizzanti, di converso,

la garanzia fideiussoria.

Elisione del vincolo di accessorietà e scissione della garanzia dal rapporto di valuta caratterizzano sul

piano funzionale il Garantievertrag, la cui causa concreta viene correttamente individuata in quella di

assicurare la libera circolazione dei capitali e il pronto soddisfacimento dell'interesse del beneficiario

(ovvero ancora in quella di sottrarre il creditore al rischio dell'inadempimento, trasferito nei fatti su di un altro

soggetto, "istituzionalmente" solvibile), il quale può così porre affidamento su di una rapida e sollecita

escussione di una controparte affidabile, senza il rischio di vedersi opporre, in sede processuale, il

regime tipico delle eccezioni fideiussorie.

E' in tali sensi che par lecito discorrere, a proposito del contratto atipico di garanzia, di una funzione di tipo

"cauzionale" - mentre la sua più frequente utilizzazione rispetto al deposito di una vera e propria cauzione trae

linfa proprio in ragione della sua minore onerosità e della possibilità di evitare una lunga e improduttiva

immobilizzazione di capitali (conseguenza ineludibile del deposito cauzionale): è in conseguenza di tali aspetti

funzionali che la garanzia muta "geneticamente" da vicenda lato sensu fideiussoria in fattispecie atipica che, ai

sensi dell'art. 1322 c.c., comma 2, persegue un interesse certamente "meritevole di tutela", identificabile

nell'esigenza condivisa di assicurare l'integrale soddisfacimento dell'interesse economico del beneficiario

vulnerato dall'inadempimento del debitore originario e, di conseguenza, di conferire maggiore certezza allo

scorrere dei rapporti economici (specie transnazionali).

2. Emerge così, in via definitiva, sotto il profilo causale, la disarmonia morfologica e funzionale con la

fideiussione (volta a garantire l'adempimento di un debito altrui), sopravvivendo resti di omogeneità tra i due

"tipi" negoziali soltanto nella misura in cui, attorno alle due le fattispecie, orbiti ancora il concetto di garanzia,

pur nelle non riconciliabili differenze di gradazioni "che il rapporto con la garanzia stessa può assumere lungo lo

spettro, unico, che conduce dalla accessorietà alla autonomia e che delinea il Garantievertrag entro ben

determinati limiti di operatività: da un lato, un limite iniziale, costituito (soltanto) dalla illiceità della causa del

rapporto di valuta, dall'altro, un limite funzionale, rappresentato dall'abuso del diritto da parte del beneficiario, la

cd. exceptio doli generalis seu presentis, che si verifica qualora la richiesta appaia fraudolenta e con esclusione

della buona fede del beneficiario", come, di recente, un'attenta dottrina non ha mancato di osservare,

aggiungendo ancora come l'indagine sulla volontà dei contraenti andrebbe più propriamente condotta lungo il

sentiero ermeneutico dell'accertamento della carenza dell'elemento dell'accessorietà, destinato ad emergere, in

concreto, attraverso l'adozione di un complesso di regole interpretative, testuali ed extratestuali, ritenendosi, in

Page 38: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

38

particolare, che la clausola "a prima richiesta" o "a semplice richiesta" possa alternativamente rappresentare

diversi "tipi" funzionali, a grado di intensità crescente: il primo, rigorosamente procedimentale, volto alla sola

inversione dell'onere probatorio; il secondo, determinativo dell'effetto di solve et repete, per ciò solo del tutto

inscritto (ancora) nell'orbita del negozio fideiussorio; il terzo, di sostanziale separazione del diritto

all'adempimento della autonoma obbligazione di garanzia rispetto al contratto sottostante.

Largamente prevalente, in proposito, appare l'orientamento giurisprudenziale (avallato dalla dottrina

maggioritaria), predicativo della decisiva rilevanza di clausole che sanciscano l'impossibilità, per il

garante, di opporre al creditore le eccezioni relative al rapporto di base che spettano al debitore

principale (così, tra le altre, Cass. 31 luglio 2002, n. 11368; Cass. 20 luglio 2002, n. 10637; Cass. 7 marzo 2002, n.

3326; Cass. 19 giugno 2001, n. 8324; Cass. 17 maggio 2001, n. 6757; Cass. 1 ottobre 1999, n. 10684; Cass. 21

aprile 1999, n. 3964; Cass. 6 aprile 1998, n. 3552), mentre alcune pronunce di merito fondano la ricostruzione del

Garantievertrag su altri elementi del tessuto negoziale, quali la previsione di un termine breve entro cui il garante

è obbligato al pagamento, la decorrenza di tale termine dal ricevimento della richiesta del beneficiario, l'espressa

esclusione del beneficio della preventiva escussione (ex aliis, Trib. Milano 22 ottobre 2001).

Criterio interpretativo utile ad orientare l'interprete verso l'autonomia della vicenda di garanzia divisata dalle parti

riposa ancora sull'individuazione - nell'ambito di una lettura complessiva delle singole convenzioni negoziali - di

una sua eventuale funzione "cauzionale": la peculiarità propria del Garantievertrag è difatti quella di

consentire al creditore di escutere il garante con la stessa, tempestiva efficacia con cui egli potrebbe far

proprio un versamento cauzionale. La funzione cauzionale sarebbe soddisfatta, e l'autonomia della garanzia

sarebbe conseguentemente rinvenuta, secondo alcune pronunce di questa corte, tutte le volte che la relativa

convenzione attribuisca al creditore la facoltà di procedere ad immediata riscossione delle somme, a prescindere

dal rapporto garantito, realizzando così una funzione del tutto simile a quella dell'incameramento di una somma

di denaro a titolo di cauzione (Cass. 17 maggio 2001, n. 6757; Cass. 21 aprile 1999, n. 3964; Cass. 6 aprile 1998,

predicative di un principio di diritto condiviso da autorevole dottrina).

Con particolare riguardo alle polizze fideiussorie (sulle quali, funditus, tra le altre, Cass. 11 ottobre 1994, n.

8295, pres. Rossi, rel. Bibolini, mentre l'orientamento tradizionale, che le inquadrava tout court nell'ambito della

fideiussione, sembra risalire a Cass. 17 giugno 1957, n. 2299), si è più volte sottolineato come esse concretino un

rapporto di un soggetto (una compagnia di assicurazioni o un istituto bancario) che, dietro pagamento di un

corrispettivo, si impegna a garantire in favore di altro soggetto l'adempimento di una determinata obbligazione

assunta dal contraente della polizza, strumento contrattuale che, pur non essendo espressamente disciplinato dal

codice del '42, è menzionato in molte leggi speciali che lo prevedono come forma di garanzia sostitutiva della

cauzione reale, normalmente richiesta per chi stipula - come nel caso di specie - contratti con la P.A..

Disattesa pressochè unanimemente la ricostruzione volta a riconoscere natura essenzialmente assicurativa alla

fattispecie (risulta essersi pronunciata in tal senso la sola, peraltro assai risalente, Cass. 9 luglio 1943), la

giurisprudenza di questa corte, sia pure nell'ambito dell'orientamento (che appare ormai minoritario) applicativo

delle norme di cui agli artt. 1936 e ss. c.c. ha in passato ritenuto che la polizza de qua costituisse un sottotipo

innominato di fideiussione, giudicando decisivo a tal fine il permanere della funzione di garanzia

dell'adempimento di una altrui obbligazione, pur in presenza di elementi caratteristici idonei a distinguerla

all'interno della fattispecie tipica della fideiussione come disciplinata dal codice (l'assunzione, cioè, della garanzia

secondo modalità tecnico-economiche dell'assicurazione: tra le meno recenti, Cass. 8 febbraio 1963, n. 221; 9

giugno 1975, n. 2297; 17 novembre 1982, n. 6155). La maggior parte delle pronunzie, di converso (Cass. 11

ottobre 1994, n. 8295, poc'anzi citata; Cass. 9 gennaio 1975, n. 1709, in Giust. civ. Mass., 1975; Cass. 14 marzo

1978, n. 1292, ivi, 1978; Cass. 25 ottobre 1984, n. 5450) avrebbe viceversa posto l'accento sul carattere

decisamente atipico della polizza, separando la questione della determinazione della disciplina applicabile al

contratto da quella dell'individuazione del tipo nominato cui la polizza stessa appaia in sè riconducibile - ma

circoscrivendo pur sempre il tema della atipicità alla alternativa tra causa assicurativa e causa fideiussoria

(entrambe compenetrate in parte qua nel contratto); gli aspetti prevalenti, e tendenzialmente assorbenti

resteranno, però, quelli tipici della fideiussione, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 1936 e

ss. c.c..

Page 39: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

39

La dottrina, dal suo canto, ha ritenuto di poter individuare tre tipi di polizze fideiussorie: quelle in cui l'obbligo

del garante dipende dall'esistenza dell'obbligo del debitore principale; quelle in cui l'obbligo del garante è

indipendente da quello del debitore principale; quelle, infine, in cui il beneficiario, per ottenere il pagamento della

garanzia, deve provare, in genere mediante documenti indicati nella polizza stessa, alcuni fatti attinenti al

rapporto principale (in tal guisa ritenendo applicabile la disciplina della fideiussione alle sole polizze del primo

tipo, per effetto della permanenza del carattere accessorio dell'obbligo assunto dal garante, e iscrivendo le altre

nell'orbita dei contratti autonomi di garanzia).

Quanto alla giurisprudenza più recente, va in limine osservato come, tra le sentenze citate dall'odierno

controricorrente, quelle di cui a Cass. 4 luglio 2003, 10574 (Pres. Genghini, rel. Marziale) e a Cass. 7.1.2004, n. 52

(Pres. Fiducia, est. Finocchiaro), pur contenendo alcune tra le più chiare distinzioni tra le fattispecie della

fideiussione e del contratto autonomo di garanzia, non esplorino specificamente il terreno delle polizze

fideiussorie: nella prima pronuncia si legge, difatti, che la deroga all'art. 1957 cod. civ. non può ritenersi implicita

nell'inserimento, nella fideiussione, di una clausola di "pagamento a prima richiesta" o di altra equivalente, sia

perchè detta norma è espressione di un'esigenza di protezione del fideiussore, che prescinde dall'esistenza di un

vincolo di accessorietà tra l'obbligazione di garanzia e quella del debitore principale e può essere considerata

meritevole di tutela anche nelle ipotesi in cui tale collegamento sia assente, sia perchè, comunque, la presenza di

una clausola siffatta non assume rilievo decisivo ai fini della qualificazione di un negozio come "contratto

autonomo di garanzia" o come "fideiussione", potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate

dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di

accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell'obbligazione garantita, sia infine a clausole, il cui

inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, (non all'esclusione,

ma) a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad esempio limitata alla previsione che una

semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l'estinzione della garanzia, esonerando il creditore dall'onere

di proporre azione giudiziaria. Ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento a prima richiesta di per sè

incompatibile con l'applicazione della citata norma codicistica, spetta al giudice di merito accertare, di volta in

volta, la volontà in concreto manifestata dalle parti con la stipulazione della detta clausola; nella seconda, ancora,

che, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia oppure di un contratto di fideiussione, non

è decisivo l'impiego o meno delle espressioni "a semplice richiesta" o "a prima richiesta" del creditore, ma la

relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione principale e l'obbligazione di garanzia. Ne consegue che

la carenza dell'elemento dell'accessorietà, che caratterizza il contratto autonomo di garanzia ("performance

bond") e lo differenzia dalla fideiussione, deve necessariamente essere esplicitata nel contratto con l'impiego di

specifica, clausola idonea ad indicare l'esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni

spettanti al debitore principale, ivi compresa l'estinzione del rapporto (con riguardo, peraltro, a vicenda inerente

ad un preliminare di vendita con fideiussione bancaria).

3. Passando, allora, alla analisi specifica dei più significativi, precedenti di legittimità in subiecta materia, deve

essere considerato:

- Da un canto:

1) il dictum di cui a Cass. 2 aprile 2002, n. 4637 (Pres. Giustiniani, rel. Di Nanni), la quale, dopo la generale

premessa secondo cui il contratto atipico di garanzia autonoma si differenzia dalla fideiussione per la

mancanza dell'elemento dell'accessorietà, nel senso che il garante si impegna a pagare al beneficiario,

senza opporre eccezioni fondate sulla validità o efficacia del rapporto di base, ha poi escluso, nella

specie, che valessero a snaturare il contratto tipico di fideiussione ed a qualificarlo come garanzia

autonoma le diverse previsioni contrattuali di un termine per il pagamento decorrente dalla richiesta,

dell'esclusione del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, della non necessità del

consenso di quest'ultimo al pagamento da parte del garante, del divieto per il garantito a sollevare

obiezioni sullo stesso pagamento (nella motivazione della sentenza, si legge ancora che in particolari rapporti,

specie quelli di appalto, nella pratica da tempo è invalso l'uso che l'appaltatore, per evitare l'immobilizzazione di

somme dovute a scopo cauzionale, presti al committente garanzie bancarie o assicurative di pagamento

incondizionato ed irrevocabile di quanto è da lui dovuto: ciò consente all'appaltatore di non versare la cauzione e

Page 40: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

40

garantisce l'appaltante che conseguirà le sonane a semplice richiesta, purchè siano rispettate le forme previste,

specificandosi, subito dopo, che questo risultato, peraltro, può essere realizzato anche attraverso una

fideiussione, quando il contratto è articolato in modo atipico, prevedendo, ad esempio, deroghe diverse rispetto

alla disciplina della fideiussione, come quella dell'esclusione del beneficio della preventiva escussione, ex art. 1944

cod. civ., oppure quella dell'esclusione per il fideiussore di opporre al creditore principale le eccezioni

appartenenti al debitore principale, ex art. 1945 c.c.);

2) Le affermazioni di cui a Cass. 6 aprile 1998, n. 3552 (Pres. Iannotta, rel. Preden), ove si legge che, al contratto

cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato

dall'assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare

un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a

lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizione della fideiussione, salvo che sia stato

diversamente disposto dalle parti. Riveste carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione, la

clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il

pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni". In tal caso, in deroga all'art. 1945, è

preclusa al fideiussore l'opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale,

restando in ogni caso consentito al garante di opporre al beneficiario "l'exceptio doli", nel caso in cui la richiesta

di pagamento immediato risulti "prima facie" abusiva o fraudolenta.

3) I principi di cui a Cass. 18 maggio 2001 n. 6823 (Pres. Fiducia, rel. Manzo), secondo cui la cosiddetta

assicurazione fideiussoria costituisce una figura contrattuale intermedia tra il versamento cauzionale e

la fideiussione ed è contraddistinta dall'assunzione dell'impegno, da parte (di una banca o) di una

compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso

di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente. E', poi, caratterizzata, dalla stessa funzione

di garanzia del contratto di fideiussione, per cui è ad essa applicabile la disciplina legale tipica di questo contratto,

ove non derogata dalle parti;

Dall'altro:

1) I principi di diritto affermati da Cass. 21 aprile 1999, n. 3964 (Pres. Iannotta, rel. Lupo) e 19 giugno 2001, n.

8324 (Pres. Greco, rel. Macioce), a mente della quali, ai fini della configurabilità di un contratto autonomo

di garanzia, oppure di un contratto di fideiussione, non è decisivo l'impiego o meno delle espressioni

"a semplice richiesta" o a "prima richiesta del creditore", ma la relazione in cui le parti hanno inteso

porre l'obbligazione principale e l'obbligazione di garanzia. Infatti la caratteristica fondamentale che

distingue il contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione è l'assenza dell'elemento dell'accessorietà della

garanzia, insito nel fatto che viene esclusa la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che spettano

al debitore principale, in deroga alla regola essenziale della fideiussione, posta dall'art. 1945 cod. civ. (in entrambi

i casi la fattispecie, analoga a quella oggetto del presente ricorso, aveva a sua volta ad oggetto una polizza

fideiussoria cauzionale: i giudici di merito, con consonanti decisioni, confermate in punto di diritto da questa

corte, ritennero di dover qualificato in termini di autonomia la convenzione di garanzia stipulata, valorizzando la

clausola secondo cui la società garante avrebbe dovuto pagare entro un breve termine dalla richiesta del creditore,

dopo semplice avviso al debitore principale, di cui non era richiesto il consenso e che nulla avrebbe potuto

eccepire in merito al pagamento, anche in sede di rivalsa del garante, e opinando, in particolare, che la stessa

apposizione di un termine breve precludesse a priori qualsiasi possibilità, per il garante, di sollevare eccezioni in

ordine al rapporto sottostante, non essendo immaginabile, in tempi estremamente ristretti, lo svolgimento delle

necessarie indagini per l'accertamento in concreto dell'inadempimento dell'appaltatore e della legittimità della

richiesta dell'amministrazione garantita).

2) Il recente dictum di cui a Cass. 2008, n. 2377, ove si legge che la polizza fideiussoria prestata a garanzia

dell'obbligazione dell'appaltatore costituisce una garanzia atipica in quanto essa, non potendo

garantire l'adempimento di detta obbligazione, perchè connotata dal carattere dell'insostituibilità, può

semplicemente assicurare la soddisfazione dell'interesse economico del beneficiario compromesso

dall'inadempimento, risultando, quindi, estranea all'ambito delle garanzie di tipo satisfattorio proprie

delle prestazioni fungibili, caratterizzate dall'identità della prestazione, dal vincolo della solidarietà e

Page 41: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

41

dall'accessorietà, ed essendo, invece, riconducibile alla figura della garanzia di tipo indennitario -

cosiddetta "fideiussio indemnitatis" -, in forza della quale il garante è tenuto soltanto ad indennizzare,

o a risarcire, il creditore insoddisfatto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva

ritenuto che la polizza fideiussoria oggetto di controversia dovesse qualificarsi come garanzia atipica in quanto

non finalizzata a garantire la restituzione di un credito erogato dalla Provincia autonoma di Bolzano a fondo

perduto per un progetto di riconversione industriale finalizzato al raggiungimento dei livelli occupazionali ed

economici preventivati, giacchè detta restituzione sarebbe stata richiesta dalla medesima Provincia unicamente

nel caso in cui il mutuatario non fosse stato in grado di adempiere al promesso piano di riconversione

industriale).

Un ulteriore passo avanti verso la automaticità dell'equazione Polizza fideiussoria dell'appaltatore =

Garantievertrag sembrerebbe implicitamente potersi rinvenire nella sentenza (ritenuta, in dottrina, "una

inspiegabile rottura, o quantomeno una forzatura, rispetto al precedente indirizzo giurisprudenziale") di cui a

Cass. 27.5.2002, n. 7712 (Pres. Giuliano, est. Durante), a mente della quale, ove sia prestata a garanzia

dell'obbligazione dell'appaltatore, la polizza fideiussoria non è configurabile come fideiussione, bensì come

garanzia atipica, in quanto l'insostituibilità della prestazione fa venire meno la solidarietà

dell'obbligazione del garante e comporta che il creditore possa pretendere da lui soltanto un indennizzo

o un risarcimento, che è prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (nella specie la Suprema

Corte riconoscerà la validità della polizza fideiussoria, a mezzo della quale una società assicuratrice aveva

garantito l'adempimento delle obbligazioni dell'appaltatore, sebbene la sua stipulazione fosse stata addirittura

posteriore al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligazione garantita. In sede di commento alla pronuncia, non

si è mancato di osservare come quest'ultima ancori la propria ratio decidendi al sillogismo per cui: 1) la polizza

fideiussoria - a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore - assurge a garanzia atipica, a cagione

dell'insostituibilità della obbligazione principale (premessa maggiore); 2) il creditore può pretendere dal garante

solo un indennizzo o risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (premessa minore); 3) la

polizza fideiussoria è valida anche se intervenuta successivamente rispetto all'inadempimento delle obbligazioni

garantite (conclusione), sillogismo del quale si dicono condivisibili le premesse (sia quella maggiore che quella

minore), ma non la conclusione.

Va infine ricordato come, ancora più di recente, Cass. 21 febbraio 2008, n, 4446 (Pres. Velia, rel. Mensitieri),

abbia avuto modo di operare una sorta di "sintesi" riepilogativa delle posizioni assunte da questa corte in tema di

polizze fideiussorie, alla luce della quale: al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione

fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato dall'assunzione di un impegno, da parte di una

banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde

garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le

disposizioni della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. La clausola con la

quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento

immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni" riveste carattere derogatorio rispetto alla

disciplina della fideiussione. Siffatta clausola, risultando incompatibile con detta disciplina, comporta

l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c.,

consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/beneficiario (Cass. 1/6/2004 n.

10486); in tema di garanzia personale, la cosiddetta assicurazione fideiussoria o cauzione fideiussoria o

assicurazione cauzionale, è una figura intermedia tra il versamento cauzionale e la fideiussione ed è caratterizzata

dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un

determinato importo al beneficiario, onde garantirlo in caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal

terzo. Poichè infatti le norme contenenti la disciplina legale tipica della fideiussione sono applicabili se non sono

espressamente derogate dalle parti, portata derogatoria deve riconoscersi alla clausola legittima in virtù del

principio di autonomia negoziale - con cui le parti abbiano previsto la possibilità per il creditore garantito di

esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" o "senza eccezioni", in quanto

preclude al garante l'opponibilità al beneficiario delle eccezioni altrimenti spettanti al debitore principale ai sensi

dell'art. 1945 c.c.. Siffatta clausola, risultando incompatibile con la disciplina della fideiussione, comporta

Page 42: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

42

l'inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali, ad esempio, quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c.,

consentendo l'applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/beneficiario (Cass. 14/2/2007. n.

3257); nella ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza della obbligazione principale

ma al suo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di

decadenza previsto dall'art. 1957 c.c., (Cass. 27/11/2002 n. 16758; 19/7/1996 n. 6520; 24/3/1994 n. 2827);

la clausola con la quale il fideiussore si impegni a soddisfare il creditore a semplice richiesta del medesimo

configura una valida espressione di autonomia negoziale e da vita ad un contratto atipico di garanzia, che pur

derogando al principio dell'accessorietà, non fa venir meno la connessione tra rapporto fideiussorio e quello

principale (Cass. 12/1/2007 n. 412).

4. Sulla scorta di tali premesse, l'intervento delle sezioni unite deve, da un canto, definitivamente chiarire i tratti

differenziali, sul piano morfologico, funzionale e interpretativo, tra le fattispecie della fideiussione e del

contratto autonomo di garanzia; dall'altro, risolvere il contrasto circa la natura delle polizze assicurative cd.

"fideiussorie", sia su di un piano generale, sia nella specifica dimensione, più propriamente oggetto di dubbi

ermeneutici, delle convenzioni negoziali stipulate dall'appaltatore di opere pubbliche, con particolare riguardo, in

quest'ultima ipotesi, e per quanto di interesse a fini interpretativi:

(omissis)

5. Il ricorso è fondato.

Avverso la sentenza della corte d'appello di Perugia la ATER propone quattro motivi di impugnazione,

chiedendo all'adita corte di legittimità di interpretare la convenzione negoziale per la quale è processo in termini

di contratto autonomo di garanzia alla luce sia della previsione di un obbligo di pagamento entro un breve

termine (dalla richiesta scritta) - non rilevando, in senso contrario, il mancato uso di espressioni quali "a

semplice" o "a prima richiesta", atteso che l'interpretazione della convenzione negoziale de qua andrebbe

viceversa desunta dalla relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione principale e quella di garanzia -;

sia dell'impegno assunto dalla ditta debitrice di rimborsare al garante tutte le somme versate, con espressa

rinuncia a sollevare qualsiasi eccezione; sia della normativa pubblicistica all'uopo richiamata - che considera(va) la

polizza come sostitutiva di una cauzione dovuta dall'appaltatore in favore dello Stato o di altro ente pubblico.

La ricorrente deduce, di conseguenza, l'inapplicabilità, alla fattispecie, della decadenza di cui all'art. 1957 c.c.,

ovvero la deroga a tale disposizione, dovendo ritenersi che la proposizione dell'istanza scritta di pagamento sia

indice inequivoco della volontà dell'ente creditore di avvalersi della garanzia.

I motivi di ricorso appaiono meritevoli di accoglimento, per quanto di ragione.

E' opportuno premettere, ad avviso del collegio, alcune più generali premesse in ordine ai rapporti tra negozio

tipico di fideiussione e negozio atipico di garanzia (cd. Garantievertrag) che consentano di pervenire a

soddisfacente soluzione in diritto con riguardo alla vicenda processuale di cui queste sezioni unite

risultano oggi investite.

6. E' prassi ormai sempre più frequente, nel sottosistema civilistico delle garanzie personali, che contratti di

identico contenuto siano indicati con nomi diversi, come accade, in particolare, in tema di polizza fideiussoria,

denominata, di volta in volta, "assicurazione cauzionale", "cauzione fideiussoria", "polizza cauzionale",

"fideiussione assicurativa".

La polizza fideiussoria è, sotto il profilo genetico, un negozio stipulato dall'appaltatore su richiesta del

committente e in suo favore, strutturalmente articolato secondo lo schema del contratto a favore di

terzo, funzionalmente caratterizzato dall'assunzione dell'impegno, da parte di una banca o di una

compagnia di assicurazione, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso

di inadempimento della prestazione a lui dovuta dal contraente (così, ex aliis, Cass. n. 11261/2005); il

terzo non è parte, nè in senso sostanziale nè in senso formale, del rapporto, e si limita a ricevere gli

effetti di una convenzione già costituita ed operante, sicchè la sua adesione si configura quale mera

condicio iuris sospensiva dell'acquisizione del diritto, rilevabile per facta concludentia, risultando la

dichiarazione di volerne profittare necessaria soltanto per renderla irrevocabile ed immodificabile ex

art. 1411 c.c., comma 3 (Cass. n. 23708/2008 e n. 13661/1992); non rileva, difatti, che il contratto sia stato

eventualmente stipulato anche con la partecipazione del creditore garantito, derivandone l'esclusivo

Page 43: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

43

effetto di obbligare direttamente la compagnia assicuratrice nei confronti del creditore stesso ed

impedire che quest'ultimo, quale beneficiario della prestazione negoziata a suo favore dal debitore,

possa dichiarare di non aderire alla stipulazione secondo la disciplina del contratto a favore del terzo

(Cass. n. 7766/1990), anche se, alla forma giuridica bilaterale della stipulazione - in relazione alla quale il

committente è terzo - corrisponde un'operazione economica sostanzialmente trilatera, in cui l'unica

parte effettivamente interessata alla validità del contratto è il beneficiario della polizza, che ad essa

condiziona l'erogazione delle sue prestazioni, potendo lo stipulante appaltatore anche non avere

interesse all'effettiva validità ed efficacia dell'assicurazione (così, ancora, Cass. n. 23708/2008).

Deve, pertanto, convenirsi con la più attenta dottrina che ricostruisce la fattispecie riconoscendo al debitore

principale la qualità di parte del contratto - per assumerne la veste di stipulante -, al garante la veste di

promittente, al creditore principale quella di (terzo) beneficiario (con la precisazione che, nella normalità dei casi,

il testo della garanzia viene in realtà imposto dal beneficiario, il quale non lascia al debitore ordinante margini di

negoziazione in ordine alle condizioni contrattuali: nè è escluso che il garante, su incarico del cliente-debitore,

stipuli il contratto direttamente con il creditore).

E' questa una prima, essenziale differenza morfologica rispetto allo schema tipico delle convenzioni fideiussorie,

che, caratterizzate dalla funzione di garantire un'obbligazione altrui, intercorrono esclusivamente tra il fideiussore

e il creditore (così, tra le tante, Cass. n. 1525/1984, che non manca di sottolineare come, ai sensi dell'art. 1936

c.c., comma 2, la fideiussione sia efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza: la differenza parrebbe

attenuarsi nel dictum di cui a Cass. n. 3940/1995, a mente della quale la fideiussione "può anche essere stipulata

con l'intervento del debitore o tra quest'ultimo ed il garante, in modo da configurare un contratto a favore del

terzo creditore che, dichiarando di voler profittarne, rende irrevocabile la stipulazione, ai sensi dell'art. 1411 c.c.",

secondo una ricostruzione strutturale della fattispecie che parrebbe peraltro evocare, più propriamente, l'istituto

dell'accollo cumulativo esterno, oltre che confliggere con il preciso dictum normativo di cui all'art. 1936 c.c., che

identifica le parti del contratto nel creditore e nel garante).

Altra differenza funzionale rispetto alla fideiussione è costituita dall'essere la polizza o assicurazione

fideiussoria "necessariamente onerosa" in quanto assunta dall'assicuratore in corrispettivo del

pagamento di un premio (Cass. n. 221/1963), mentre la fideiussione può essere anche a titolo gratuito

(nel qual caso il contratto, ponendo obbligazioni a carico di una sola parte, si perfeziona in forza del

disposto dell'art. 1333 c.c.(Cass. n. 9468/1987).

7. Quanto alla natura giuridica delle polizze, la giurisprudenza di questa corte le ha diacronicamente

considerate, sotto l'aspetto tipologico, di volta in volta come sottotipo innominato di fideiussione (Cass. n.

221/1963), come figura contrattuale intermedia fra il versamento cauzionale e la fideiussione, come contratto

atipico, come contratto misto risultante dalla fusione di elementi propri di vari contratti (tra le tante: Cass. n.

2899/1968; n. 1292/1978; n. 6155/1982; n. 5981/1986; n. 6499/1990; n. 13661/1992; n. 3940/1995; n.

6823/2001; n. 11261/2005; n. 3257/2007; n. 14853/2007; n. 11890/2008, in motivazione; n. 12871/2009).

In particolare, diversamente dalla cauzione, la prestazione viene assunta da un terzo (garante) e non dallo stesso

debitore obbligato, mentre manca il versamento anticipato di una somma di denaro, così evitandosi l'effetto

negativo di una lunga e improduttiva immobilizzazione di capitali; diversamente dalla fideiussione, l'impegno del

garante è di estensione tale da consentire al creditore principale di soddisfarsi in via di autotutela, cioè di

realizzare il suo credito sui beni oggetto della garanzia (seppur non tramite l'incameramento della cauzione ma)

mediante un atto unilaterale costituito da una richiesta della somma assicurata (in caso di inserimento della

clausola "a semplice" o "prima richiesta"), all'esito di un accertamento unilaterale ed insindacabile dello stesso

creditore in ordine alla ricorrenza delle condizioni previste per l'escussione.

Va altresì sottolineato che, pur essendo prestata spesso da un'impresa di assicurazione, la funzione della polizza

non consiste nel trasferimento o nella copertura di un rischio - che assume un rilievo assai marginale, essendo la

prestazione del garante svincolata da un preciso ed obiettivo accertamento del suo presupposto (il quale è

demandato allo stesso beneficiario) - ma in quella di garantire al beneficiario l'adempimento di obblighi assunti

dallo stesso contraente, anche quando l'inadempimento sia dovuto a volontà dello stesso e questi sia solvibile.

Page 44: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

44

8. Secondo un primo orientamento della giurisprudenza di questa corte, poichè la causa del negozio de quo

consiste sostanzialmente nel garantire l'adempimento ("sostitutivo o di regresso": Cass. n. 1292/1978 cit.) della

prestazione dovuta al creditore da un terzo, troverebbe applicazione la disciplina legale tipica della fideiussione,

ove non espressamente derogata, potendo le parti, nella loro autonomia contrattuale, richiamare le norme

sull'assicurazione per quanto riguarda i rapporti tra il debitore contraente e l'assicuratore (Cass. n. 5450/1984

ritiene, pertanto, applicabili le norme sulla fideiussione, considerata come rapporto tipico "prevalente", e in

particolare l'art. 1941 c.c. secondo cui la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore nè può

essere prestata a condizioni più onerose; mentre Cass. n. 11038/1991 e n. 6757/2001 si esprimono nel senso che,

nelle ipotesi di dichiarazioni inesatte o reticenti del contraente-debitore in ordine alla formazione del rapporto

principale, non trovi applicazione la disciplina dell'art. 1892 c.c. sull'assicurazione, dovendo la validità del

contratto essere piuttosto valutata alla stregua delle regole dell'annullabilità per errore o dolo.

Peraltro, in senso opposto, Cass. n. 2297/1975, n. 3457/1981, n. 7028/1983, n. 14656/2002 si esprimono nel

senso dell'applicabilità della normativa sull'assicurazione, in particolare dell'art. 2952 c.c., comma 1, quanto alla

prescrizione annuale delle rate di premio).

8.1. - Di segno speculare, invece, l'orientamento secondo il quale (pur ritenendosi la convenzione in parola -

tanto se diretta a garantire al beneficiario l'adempimento dell'obbligazione originariamente assunta verso di lui dal

contraente della polizza quanto se volta ad assicurargli la somma dovuta per inadempimento o inesatto

adempimento funzionale a garantire un obbligo altrui secondo lo schema previsto dall'art. 1936 cod. civ.,

affiancando al primo un secondo debitore di pari o diverso grado), la polizza fideiussoria, se prestata a garanzia

dell'obbligazione dell'appaltatore, non ripete i caratteri morfologici della fideiussione, ma si configura come

garanzia atipica (cd. fideiussio indemnitatis), in quanto l'infungibilità della prestazione dell'appaltatore fa venir

meno la solidarietà dell'obbligazione del garante e comporta che il creditore può pretendere da lui solo un

indennizzo o un risarcimento, che è prestazione diversa da quella alla quale aveva diritto (così, tra le altre, Cass. n.

7712/2002; Cass. n. 2377/2008).

Questo secondo orientamento trae linfa dalla considerazione per cui elemento "normale ed essenziale" del

vincolo fideiussorio è pur sempre l'identità con l'obbligazione principale nella sua stessa quantità e nelle sue

stesse condizioni. Dal suo canto, autorevole dottrina evidenzia che la polizza non mira a garantire l'adempimento

dell'obbligazione del debitore principale (come accade nella fideiussione), ma ad assicurare al creditore la

presenza di un soggetto solvibile in grado di tenerlo indenne dall'eventuale inadempimento del medesimo, ciò

che dimostrerebbe il venir meno di uno degli elementi strutturali della fideiussione, vale a dire l'accessorietà

dell'obbligazione del garante rispetto a quella del debitore principale, con conseguente slittamento verso il

modello del contratto autonomo di garanzia e inadeguatezza del modello legale fideiussorio (erroneamente

applicato secondo la teoria della prevalenza o dell'assorbimento, ove la disciplina normativa viene individuata

attraverso l'incorporazione del contratto nel tipo prevalente o che più gli assomiglia). La medesima dottrina

propone, così, l'applicazione del cd. metodo "tipologico", che consentirebbe di rintracciare, nella trama del

contratto in questione, sotto- strutture negoziali differenti mediante un'opera di destrutturazione del contratto

che offra all'interprete l'opportunità di individuare diverse caratteristiche tipologiche che solo successivamente

verranno utilizzate al fine di determinare (sempre senza valicare i limiti dell'incompatibilità) il mix disciplinare che

meglio risponde all'esigenza di regolare il rapporto (mentre da altra parte si invita a considerare la naturale

propensione delle polizze a modellarsi in funzione delle diverse esigenze di garanzia di volta in volta soddisfatte e

a cogliere e valorizzare il quid proprium delle diverse configurazioni assunte nella prassi, rifuggendo da

aprioristici tentativi di generalizzazione e di riduzione a un "tipo").

Sulla polizza fideiussoria si riverbera così l'eco del dibattito sul contratto autonomo di garanzia (Garantievertrag)

e sulla sua causa.

8.2. Pur non essendo questa la sede per approfondire gli esiti di tale questione, pare sufficiente considerare che,

secondo una diffusa opinione, la funzione del Garantievertrag è quella di tenere indenne il creditore

dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che

non sempre consiste in un dare ma può anche riguardare un fare infungibile, contrariamente a quanto

accade per il fideiussore, il quale garantisce l'adempimento della medesima obbligazione principale

Page 45: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

45

altrui (attesa l'identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante). In altri termini,

mentre con la fideiussione è tutelato l'interesse all'esatto adempimento dell'(unica) prestazione

principale - per cui il fideiussore è un "vicario" del debitore -, l'obbligazione del garante autonomo è

qualitativamente altra rispetto a quella dell'ordinante - sia perchè non necessariamente sovrapponibile

ad essa, sia perchè non rivolta al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore

insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva

della mancata o inesatta prestazione del debitore.

Ne consegue che polizze fideiussorie e fideiussione, pur accomunate dal medesimo (generico) scopo di

offrire al creditore-beneficiario la garanzia dell'esito positivo di una determinata operazione economica,

si distinguono perchè le prime (se prestate a garanzia di obbligazioni infungibili) appartengono alla

categoria delle cd. garanzie di tipo indennitario, potendo il creditore tutelarsi (rispetto

all'inadempimento del debitore) soltanto tramite il risarcimento del danno, mentre la fideiussione

appartiene alle cd. garanzie di tipo satisfattorio, caratterizzate dal rafforzamento del potere del creditore

di conseguire il medesimo bene dovuto, cioè di realizzare specificamente il soddisfacimento del proprio

diritto.

8.3 Ancora con specifico riguardo alle polizze fideiussorie, l'introduzione, nelle condizioni generali di contratto,

di clausole di pagamento con diciture "a semplice" o "a prima richiesta (o domanda) ", "senza eccezioni" o

analoghe ("incondizionatamente", "a insindacabile giudizio del beneficiario" e così via), se ne ha di fatto

evidenziato l'impredicabilità di qualsivoglia natura assicurativa e l'indiscutibile avvicinamento al modello

cauzionale, ne ha specularmente posto il problema della compatibilità con il modello tipico fideiussorio.

La previsione di siffatte clausole di pagamento manifesta, difatti, una rilevante deroga alla disciplina legale della

fideiussione, che si sostanzia nell'attribuzione, al creditore-beneficiario, del potere di esigere dal garante il

pagamento immediato, a prescindere da qualsiasi accertamento (e dalla prova da parte del creditore) in ordine

all'effettiva sussistenza di un inadempimento del debitore principale (ciò vale, in particolare, per l'incameramento

della cauzione da parte dell'ente appaltatore di opere pubbliche, il quale non è tenuto a dimostrare la sussistenza

di un danno in concreto, proprio in ragione della determinazione forfettaria dello stesso che consegue alla

previsione della cauzione: così Cass. n. 8295 del 1994, in motivazione). A tale riguardo, questa corte ha avuto

modo di affermare che, se è consentito alle parti di concedere (o far concedere da un terzo) una somma di

denaro al creditore a garanzia dell'adempimento della prestazione dovutagli, allo stesso modo deve poter

rientrare nei poteri riconosciuti all'autonomia negoziale la sostituzione della somma di denaro con l'impegno di

un terzo di provvedere a quella prestazione o a quel pagamento a semplice richiesta del creditore, dovendosi

pertanto riconoscere in dette clausole una "una valida espressione di autonomia negoziale".

9. Di tali clausole, secondo un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 6499/1990, n.

10486/2004, n. 4446/2008 in motivazione), si predica la incompatibilità con la disciplina della fideiussione, e la

conseguente inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali quelle fondate sull'art. 1947 c.c.

(compensazione opposta dal garante con un debito del creditore verso il debitore principale), art. 1956

(liberazione del fideiussore per obbligazione futura assunta dal creditore), art. 1957 (decadenza prevista per

l'ipotesi che il creditore non coltivi dopo la scadenza dell'obbligazione la propria pretesa nei confronti del

debitore principale).

9.1. Secondo un diverso orientamento, dette clausole sarebbero invece idonee a valere anche come osservanza

dell'onere di cui all'art. 1957 prescindendo dalla proposizione dell'azione giudiziaria (Cass. n. 7345/1995, cit.),

sicchè non si tratterebbe di un'esclusione ma di una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad

esempio limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l'estinzione della

garanzia, esonerando il creditore dall'onere di proporre azione giudiziaria (Cass. n. 10574/2003, n. 27333/2005,

n. 13078/2008, quest'ultima sulla limitata funzione, che può essere svolta da una clausola di pagamento a prima

richiesta, di evitare al creditore la decadenza di cui all'art. 1957 non solo iniziando l'azione giudiziaria verso il

debitore principale, ma anche soltanto rivolgendo al fideiussore la richiesta di adempimento).

9.2. E' dunque opportuno approfondire le ragioni che hanno indotto la giurisprudenza di questa corte a ravvisare

nelle clausole di pagamento in oggetto una deroga (seppur variamente atteggiata) alla disciplina legale della

Page 46: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

46

fideiussione onde chiarire se di semplice deroga si tratti, ovvero di una così rilevante alterazione del "tipo"

negoziale fideiussorio tale da provocarne un exodus che conduca all'approdo al modello del Garantievertrag così

come comunemente praticato nel commercio internazionale e, di recente, anche nazionale (nelle forme del Bid

Bond o Bietungsgarantie, a garanzia del rispetto o del mantenimento di un'offerta contrattuale; del Performance

Bond o Leistungsgarantie e del Vertragserfullungsgarantie, quale garanzia di buona esecuzione di un contratto;

del Repayment Bond e dell'Advance payment Bond o Anzahlungsgarantie, a copertura del rischio che

l'appaltatore non rimborsi al committente il pagamento degli anticipi ricevuti in caso di mancata esecuzione dei

lavori; del Retention money Bond, la cui origine è nella prassi in base alla quale il committente trattiene una parte

dei pagamenti in occasione dei diversi stati di avanzamento dei lavori, al fine di costituire un fondo di copertura

per le spese eventuali da sostenere per riparare errori dell'appaltatore nell'esecuzione dei lavori).

Quelle ragioni risiedono nell'essere le suddette clausole volte a precludere al garante l'opponibilità al creditore

garantito delle eccezioni spettanti al debitore principale (siano esse relative al rapporto di valuta tra quest'ultimo e

il creditore o al rapporto di provvista tra il debitore principale e il garante), in deroga alla regola essenziale della

fideiussione posta dagli artt. 1945 e 1941 c.c., con l'effetto di svincolare (in tutto o in parte) la garanzia dalle

vicende del rapporto principale e di precludere la proponibilità delle eccezioni fideiussorie.

9.3. Sotto l'aspetto morfologico, il contratto autonomo di garanzia costituisce espressione di quella autonomia

negoziale riconosciuta alle parti dall'art. 1322 c.c., comma 2, che si configura come un coacervo di rapporti

nascenti da autonome pattuizioni fra il destinatario della prestazione (beneficiario della garanzia), il garante (di

solito una banca straniera), l'eventuale controgarante (soggetto non necessario, che solitamente si identifica in

una banca nazionale che copre la garanzia assunta da quella straniera) e il debitore della prestazione (l'ordinante).

Caratteristica fondamentale di tale contratto, che vale a distinguerlo da quello di fideiussione di cui agli artt. 1936

e seguenti cod. civ., è la carenza dell'elemento dell'accessorietà: il garante s'impegna a pagare al beneficiario, senza

opporre eccezioni in ordine alla validità e/o all'efficacia del rapporto di base, e identico impegno assume il

controgarante nei confronti del garante (così Cass. n. 1420/1998; sulla controgaranzia autonoma, Cass. n.

12341/1992 specifica che l'obbligo di pagamento del garante secondo il meccanismo dell'adempimento "a prima

richiesta", tanto della "garanzia" che della "controgaranzia", si attiva a seguito dell'inadempimento

dell'obbligazione principale, restando irrilevante l'avvenuto adempimento del contratto collegato a catena).

La diversità di struttura e di effetti rispetto alla fideiussione si riflette sulla causa concreta (in argomento,

funditus, Cass. 10490/06) del Garantievertrag, la quale risulta essere quella di trasferire da un soggetto ad un altro

il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da

inadempimento colpevole oppure no: infatti, la prestazione dovuta dal garante è qualitativamente diversa da

quella dovuta dal debitore principale, essendo (non quella di assicurare l'adempimento della prestazione dedotta

in contratto ma) semplicemente quella di assicurare la soddisfazione dell'interesse economico del beneficiario

compromesso dall'inadempimento (Cass. n. 2377/2008 cit., proprio con riguardo alle polizze fideiussorie); per la

sua indipendenza dall'obbligazione principale, esso si distingue, pertanto, dalla fideiussione, giacchè mentre il

fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore principale e si obbliga direttamente ad adempiere, il garante

si obbliga (non tanto a garantire l'adempimento, quanto piuttosto) a tenere indenne il beneficiario dal nocumento

per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente

corrispondente a quella dovuta (Cass. n. 27333/2005; n. 4661/2007): ne consegue, in definitiva, la sua fuoriuscita

dal modello fideiussorio, essendo il rapporto affidato per intero all'autonomia privata nei limiti fissati dall'art.

1322 c.c., comma 2 ed essendo la causa del contratto quella di coprire il rischio del beneficiario mediante il

trasferimento dello stesso sul garante.

Il riferimento, come oggetto della garanzia de qua, al rischio contrattuale da preservare (ovvero all'interesse

economico sotteso all'obbligazione principale) ha rappresentato una soluzione funzionale a superare l'apparente

ossimoro celato nel sintagma "garanzia autonoma" (atteso che il concetto di garanzia presuppone

ontologicamente una relazione di accessorietà con un quid che dev'essere garantito), con la conseguenza che la

garanzia sarebbe autonoma rispetto all'obbligazione principale ma pur sempre accessoria rispetto all'interesse

economico ad essa sottostante, così evitandosi la (preoccupante) conseguenza di individuare nel rapporto

principale il termine della relatio e di assimilare in tal modo la garanzia autonoma a quella accessoria.

Page 47: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

47

9.4. Sotto il profilo funzionale, il regime "autonomo" del Garantievertrag trova un limite quando:

le eccezioni attengano alla validità dello stesso contratto di garanzia (Cass. n. 3326/2002 cit.) ovvero al rapporto

garante/beneficiario (Cass. n. 6728/2002, sul diritto del garante di opporre al beneficiario la compensazione

legale per un credito vantato direttamente nei suoi confronti); il garante faccia valere l'inesistenza del rapporto

garantito (Cass. n. 10652/2008, in motivazione, "trattandosi pur sempre di un contratto (di garanzia) la cui

essenziale - quindi inderogabile - funzione è quella di garantire un determinato adempimento"); la nullità del

contratto- base dipenda da contrarietà a norme imperative o illiceità della causa ed attraverso il contratto di

garanzia si tenda ad assicurare il risultato che l'ordinamento vieta (Cass. n. 3326/2002; n. 26262/2007; n.

5044/2009); sia proponibile la cd. exceptio doli generalis seu presentis, perchè risulta evidente, certo ed

incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell'obbligazione principale per

adempimento o per altra causa (nel senso che il garante non è autorizzato ad effettuare pagamenti

arbitrariamente intimatigli, a pena di perdita del regresso nei confronti del debitore principale: Cass. n.

10864/1999; n. 917/1999; n. 5997/2006; in generale, sull'obbligo del garante di opporre l'exceptio doli a

protezione del garantito dai possibili abusi del beneficiario, Cass. n. 10864/1999; n. 5997/2006; n. 23786/2007;

n. 26262/2007; sull'obbligo del garante di fornire la prova certa ed incontestata dell'esatto adempimento del

debitore ovvero della nullità del contratto garantito o illiceità della sua causa: Cass. n. 3964/1999; n.

10652/2008), mentre discussa è la conseguenza della impossibilità sopravvenuta della prestazione principale non

imputabile al debitore (che, secondo una recente giurisprudenza di merito - App. Genova 25 luglio 2003 -

sarebbe a sua volta causa di estinzione della garanzia).

La più rilevante differenza operativa tra la fideiussione e il contratto autonomo di garanzia non riguarda, peraltro,

il momento del pagamento - cui (anche) il fideiussore "atipico" può essere tenuto immediatamente a semplice

richiesta del creditore -, ma attiene soprattutto al regime delle azioni di rivalsa dopo l'avvenuto pagamento.

9.5. Se, difatti, il pagamento non risulti dovuto per motivi attinenti al rapporto di base, il garante (dopo aver

pagato a prima/semplice richiesta) che agisce in ripetizione con l'actio indebiti ex art. 2033 c.c. nei confronti

dell'accipiens, cioè del creditore beneficiario, facendo valere le eccezioni di cui dispone il debitore principale,

risponde in realtà come un fideiussore, atteggiandosi la clausola di pagamento in questione come una ordinaria

clausola solve et repete ex art. 1462 c.c.. Il garante "autonomo", invece, una volta che abbia pagato nelle mani del

creditore beneficiario, non potrà agire in ripetizione nei confronti di quest'ultimo (salvo nel caso di escussione

fraudolenta), rinunciando, per l'effetto, anche alla possibilità di chiedere la restituzione di quanto pagato

all'accipiens nel caso di escussione illegittima della garanzia, ma potrà esperire l'azione di regresso ex art. 1950 c.c.

unicamente nei confronti del debitore garantito (il più delle volte mediante il cosiddetto "conteggio automatico"

a carico del debitore, quando questi ha anticipato alla banca le somme necessarie per il pagamento o quando

sussista la possibilità di addebitare le somme su un conto corrente), senza possibilità per il debitore di opporsi al

pagamento richiesto dal garante nè di eccepire alcunchè, in sede di rivalsa, in merito all'avvenuto pagamento (così

Cass. n. 8324/2001; n. 7502/2004; n. 14853/2007).

L'effetto è di "autonomizzare" il rapporto di garanzia rispetto al rapporto base, contrariamente a quanto accade

per la fideiussione tipica: è a quest'ultima, infatti, che si riferisce il principio secondo il quale "quando si estingue

l'obbligazione principale, si estingue anche quella accessoria di garanzia. Pertanto, se il fideiussore paga un debito

già estinto, per remissione, per pagamento o per altra causa, non può esercitare azione di regresso nei confronti

del debitore principale" (così Cass. n. 2334/1967).

Sarà il debitore principale ordinante, vittoriosamente escusso dal garante che abbia pagato al beneficiario, ad agire

in rivalsa, se il pagamento non era dovuto alla stregua del rapporto di base (ad esempio, per il pregresso e

puntuale adempimento della medesima obbligazione), sulla base del rapporto di valuta, nei confronti del

beneficiario, il quale ha ricevuto dal garante una prestazione non dovuta, mentre la stessa azione di rivalsa del

garante verso il debitore-ordinante viene esclusa quando il primo abbia adempiuto nonostante disponesse di

prove evidenti della malafede del beneficiario, salva in tal caso la possibilità di agire contro il beneficiario stesso

con la condictio indebiti, ai sensi dell'art. 2033 c.c. (Va in proposito ricordato che l'art. 20 della Convenzione

UNCITRAL, sulle garanzie autonome e sulle lettere di credito, elaborata dalla Commissione delle Nazioni Unite

sul commercio internazionale, tra le alternative riconosciute all'ordinante per neutralizzare il pericolo di

Page 48: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

48

un'abusiva escussione, prevede sia la possibilità di inibire al garante di trattenere o recuperare presso l'ordinante

le somme pagate in base alla garanzia sia la possibilità di richiedere un provvedimento giudiziario che impedisca

al beneficiario di riscuotere la garanzia).

10. Chiarite così le differenze operative tra fideiussione (eventualmente resa atipica dall'inserimento delle clausole

in questione) e Garantievertrag, va affrontato e risolta la speculare questione dell'idoneità o sufficienza della

clausola di pagamento a prima o semplice richiesta (o senza eccezioni) a trasformare un contratto di

fideiussione (pur atipico) in un Garantievertrag. A tale riguardo, si segnalano due non omogenei

orientamenti della giurisprudenza di questa Corte che - pur nella consonanza delle affermazioni secondo cui, da

un lato, la qualificazione della garanzia come contratto autonomo di garanzia o di fideiussione (eventualmente

atipica) si risolve in un apprezzamento dei fatti e delle prove da parte del giudice di merito, incensurabile in sede

di legittimità se congruamente motivato (Cass. n. 4981/2001; n. 10637/2002; n. 11368/2002; n. 13001/2006; n.

2464/2004), essendo privo di valore il nomen iuris utilizzato dalle parti per designare la garanzia; dall'altro, a

fronte della qualificazione della garanzia come fideiussoria, soggetta, in quanto tale, alla sorte del debito

principale, la parte che faccia valere la diversa configurazione di detta garanzia come autonoma, e, quindi,

svincolata dal debito principale, ha l'onere di dedurre gli elementi oggettivi sui quali tale configurazione si fonda

(Cass. n. 8540/2000) - appare, sul punto, contrastante: - un primo indirizzo è nel senso che l'inserimento di

clausole del genere valga di per sè a qualificare il negozio de quo come contratto autonomo di garanzia, essendo

incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza la fideiussione (Cass. n. 3552/1998, in motivazione;

n. 6757/2001; n. 3257/2007 cit.; n. 14853/2007; n. 11890/2008, in motivazione; in particolare, Cass. n.

8248/1998 ha qualificato la garanzia come autonoma in presenza di una clausola di pagamento "a prima

richiesta", con esclusione del beneficium excussionis e dell'accertamento dell'inadempienza da parte dello stesso

creditore garantito sulla base della contabilità dell'appalto); - un secondo filone interpretativo è invece nel senso

che il contratto non assume i connotati del contratto autonomo di garanzia per il solo fatto di presentare un

patto che obblighi il garante a pagare, sulla richiesta del beneficiario, il quale gli dichiari essersi verificati i

presupposti per l'esigibilità della garanzia, e senza poter opporre eccezioni attinenti al rapporto di base: la

distinzione tra fideiussione e Garantievertrag andrebbe tratta, infatti, anche dalla considerazione dei profili

funzionali della garanzia, e nel secondo caso la funzione sarebbe non già quella di garantire l'adempimento

dell'obbligazione altrui o l'integrale soddisfacimento della pretesa risarcitoria traente origine dall'inadempimento

del debitore, quanto quella, prossima a quella della cauzione, di assicurare al beneficiario la disponibilità almeno

di una determinata somma di danaro, a bilanciamento di rischi tipici di determinati contratti. Un patto di rinunzia

del fideiussore a far valere subito determinate eccezioni non altererebbe, peraltro, il tipo contrattuale, che resta

caratterizzato, come la fideiussione, dal principio di accessorietà (artt. 1939 e 1945 cod. civ.): la clausola è dunque

in sè valida, giacchè, pur con riguardo alla causa del contratto di fideiussione ed alla relativa disciplina, essa

costituisce una manifestazione di autonomia contrattuale, che resta nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 cod.

civ.), dalla quale si trae, insieme, che clausole limitative della possibilità di proporre eccezioni sono in certa misura

ed a determinate condizioni consentite dall'ordinamento (art. 1341 c.c., comma 2), e che una clausola del tipo di

quella di cui si discute non è in contrasto con l'aspetto essenziale del contratto di fideiussione, aspetto

rappresentato dall'accessorietà (così Cass. n. 2909/1996, in motivazione; nel senso che, ai fini della distinzione

del contratto autonomo di garanzia dalla fideiussione, non è decisivo l'impiego o meno di espressioni quali "a

prima richiesta" o "a semplice richiesta scritta", ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l'obbligazione

principale e quella di garanzia, ancora di recente, Cass. n. 5044/2009 cit.).

Pur se non direttamente investite della questione, vertendo il contrasto di giurisprudenza oggi sotto posto

all'esame del collegio sulla natura e sulla disciplina applicabile alle polizze fideiussorie, queste sezioni unite

ritengono che debba essere data continuità al primo degli orientamenti citati, che ha l'ineliminabile pregio di

consentire, ex ante, la necessaria prevedibilità della decisione giudiziaria in caso di controversia, restringendo le

maglie di aleatori spazi ermeneutici sovente forieri di poco comprensibili disparità di decisioni a parità di

situazioni esaminate, così che la clausola "a prima richiesta e senza eccezioni" dovrebbe di per sè orientare

l'interprete verso l'approdo alla autonoma fattispecie del Garantievertrag, salva evidente, patente, irredimibile

discrasia con l'intero contenuto "altro" della convenzione negoziale.

Page 49: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

49

10.1. Così ricostruiti i caratteri strutturali ed effettuali del contratto autonomo di garanzia, pare innegabile che, in

difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, ad esso non possa applicarsi la norma dell'art. 1957

cod. civ. sull'onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del

debitore principale, poichè tale disposizione, collegata al carattere accessorio della obbligazione

fideiussoria (così Cass. n. 3964/1999 cit., ancora in tema di polizza fideiussoria; Cass. n. 11368/2002, in

motivazione) instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell'obbligazione di

garanzia e quella dell'obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda

l'accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un'obbligazione di garanzia

autonoma.

10.2. Per ciò che più specificamente concerne l'oggetto della questione sottoposta al collegio, è opportuno

ripercorrere, in sintesi, le divergenze manifestatesi nella giurisprudenza di questa corte sui profili di seguito

indicati.

10.3. Quanto ai caratteri morfologici della polizza fideiussoria, prevalente appare l'orientamento predicativo della

sua natura fideiussoria, con conseguente applicazione della disciplina legale tipica ex art. 1936 ss. c.c. ove non

derogata dalle parti; un diverso, minoritario indirizzo, ne esclude, viceversa, la configurabilità in termini di

fideiussione laddove essa sia prestata a garanzia dell'obbligazione dell'appaltatore: in tal caso, la convenzione

integrerebbe gli estremi della garanzia atipica in quanto, non potendo surrogare l'adempimento "specifico" di

detta obbligazione (connotata dal carattere dell'insostituibilità), ha la funzione di assicurare, sic et simpliciter, il

soddisfacimento dell'interesse economico del beneficiario, compromesso dall'inadempimento. Essa risulta,

pertanto, vicenda del tutto disomogenea rispetto al sistema delle garanzie di tipo satisfattorio proprie delle

prestazioni fungibili caratterizzate dall'identità della prestazione e dal vincolo della solidarietà

(sussidiarietà)/accessorietà -, riconducibile di converso alla figura della garanzia di tipo indennitario, in forza della

quale il garante è tenuto soltanto ad indennizzare, o a risarcire, il creditore insoddisfatto (Cass. n. 2377/2008 cit.;

n. 7712/2002).

10.4. Queste sezioni unite intendono dare continuità al secondo degli orientamenti poc'anzi ricordati.

Non appaiono decisive, difatti, le riserve che dottrina e giurisprudenza attestate sul fronte dell'equiparazione della

polizza de qua alla convenzione fideiussoria (quantunque atipica) hanno diacronicamente manifestato in subiecta

materia. Si obbietta, difatti, che la banca garantisce non già la prestazione primaria (cioè l'esecuzione dell'opera o

della fornitura), bensì quella secondaria, che consiste nel pagamento di una somma di denaro prestabilita (la quale

spesso assume i caratteri della clausola penale): ciò consentirebbe di ritenere che vi sia identità tra l'oggetto della

prestazione garantita e quello dell'obbligazione di garanzia, trattandosi in entrambi i casi di una (anzi della stessa)

somma di denaro. Si è anche osservato che, da questo punto di vista, la differenza con la fideiussione è meno

marcata, giacchè l'indennità non solo può essere in certi casi omogenea alla prestazione pecuniaria ed originaria

del debitore, ma è comunque omogenea rispetto alle prestazioni pecuniarie secondarie del debitore (derivino esse

da un risarcimento del danno o da una clausola penale). Con specifico riguardo alla garanzia (cd. definitiva)

dovuta all'Amministrazione appaltante, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 30, comma 2, si è poi rilevato che, se

è vero che la garanzia ha carattere indennitario, in quanto il fideiussore non è obbligato ad adempiere in luogo del

debitore principale, essendo tenuto a rifondere il creditore degli oneri affrontati in conseguenza del mancato o

inesatto adempimento del debitore, è altrettanto vero che la diversità della prestazione dell'assicuratore non

esclude la funzione di garanzia in quanto la fideiussione sostituisce non la esecuzione dell'obbligazione principale

ma la cauzione, cioè la garanzìa reale dell'obbligazione dell'esecutore: ad essere garantito non sarebbe tanto un

qualsiasi adempimento, bensì la prestazione della cauzione.

Non si è mancato poi di sottolineare, per altro verso, che il concetto di fungibilità e infungibilità della prestazione

appare qualificazione giuridica tra le più sfuggenti, cui, del resto, non sempre è riconosciuto un autonomo

significato, trattandosi di un problema di interpretazione in senso lato, di talchè la fungibilità di un'obbligazione

non dipenderebbe tanto dal tipo di prestazione o dalla natura del suo oggetto secondo criteri astratti, ma avrebbe

da esser valutata in concreto, tenuto conto anche dell'interesse del creditore, ex art. 1173 c.c. (ciò che ha

consentito alla moderna dottrina di considerare fungibile anche l'adempimento delle obbligazioni di fare - così

superandosi la tradizionale impostazione, figlia del codice del 1865, propensa a ritenere che soltanto

Page 50: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

50

l'obbligazione pecuniaria potesse essere garantita da fideiussione -, coerentemente con il disposto dell'attuale art.

1936 c.c. - il cui pendant è costituito dal 765, comma 1, del BGB -, il quale non contiene alcuna distinzione

esplicita in argomento, indicando solo che la fideiussione garantisce "l'adempimento di un'obbligazione altrui",

così venendo meno qualsivoglia argomento letterale a favore dell'idea di un'identità di contenuto

dell'obbligazione principale e dell'obbligazione fideiussoria, mutando il precedente richiamo dell'art. 1898 c.c.

abrogato alla "stessa obbligazione"). Si è infine rilevato che l'accessorietà dell'obbligazione fideiussoria non

implicherebbe una assoluta ed univoca dipendenza del rapporto di garanzia dal rapporto garantito, in quanto la

fideiussione, al pari di qualsiasi altro rapporto obbligatorio, vive e si mantiene in questa relazione funzionale con

una individualità propria, e che il nostro ordinamento non conosce una nozione tecnica di accessorietà, ossia una

disciplina unitaria del fenomeno, onde la "relativizzazione" del requisito in parola, intesa come conseguenza

dell'acquisita autonomia causale della fideiussione, manifestandosi nell'ordinamento il riconoscimento di una

certa indipendenza dell'obbligazione di garanzia rispetto a quella garantita, con un'implicita retrocessione del

requisito dell'accessorietà a un livello non essenziale.

11. Le considerazioni che precedono non appaiono decisive al fine di predicare una non realistica consonanza tra

polizza fideiussoria e convenzione di garanzia tipica ex art. 1936 c.c.. Al di là della osservazione (di per sè

decisiva) secondo la quale esse non appaiono sufficienti a far superare il principio secondo cui rimangono fuori

dalla possibilità di essere garantite per il tramite di una fideiussione le obbligazioni di fare infungibile, nelle quali

c'è comunque un interesse del creditore alla personale esecuzione del debitore - non potendosi, in questo caso,

realizzarsi in alcun modo la sostituzione del fideiussore al debitore principale, poichè il garante non deve (nè può)

adempiere, in rapporto di solidarietà con il debitore principale, un debito identico a quello su di lui gravante -

non sembra seriamente contestabile che si discorra di fideiussio indemnitatis con riferimento a fattispecie nella

quale la funzione di garanzia viene piuttosto a porsi in via (succedanea e secondaria sì, ma) del tutto autonoma

rispetto all'obbligo primario di prestazione, onde garantire il risarcimento del danno dovuto al creditore per

l'inadempimento dell'obbligato principale e, quindi, per un'obbligazione non soltanto futura ed eventuale (ciò che

non costituirebbe di per sè ostacolo alla configurabilità di una fideiussione, avendo l'attuale art. 1938 c.c. posto

termine ad un dibattito dottrinale e giurisprudenziale formatosi nel vigore del precedente codice con l'ammettere

esplicitamente la legittimità della fideiussione "anche per un'obbligazione condizionale o futura"), ma

essenzialmente diversa rispetto a quella garantita, con l'ulteriore conseguenza che l'obbligazione del garante non

diviene attuale prima dell'inadempimento della (diversa) obbligazione principale, verificatosi il quale sorge

l'obbligo secondario del "risarcimento" del danno (rectius, dell'indennizzo conseguente all'inadempimento): viene

irredimibilmente vulnerato, in tal guisa, proprio quel meccanismo della solidarietà che attribuisce al creditore la

libera electio, cioè la possibilità di chiedere l'adempimento così al debitore come al fideiussore, a partire dal

momento in cui il credito è esigibile.

Venendo così meno la funzione di garantire, in senso preventivo, l'adempimento, la cd. fideiussio indemnitatis

pare definitivamente espunta dall'orbita della garanzia fideiussoria, per acquisire una funzione reintegratoria (non

del tutto aliena da un modello assicurativo).

Nè decisiva appare, ancora, l'obiezione secondo la quale, nel nostro ordinamento, un'astrazione assoluta

dell'elemento causale, in cui la sorte o i difetti dell'obbligazione sottostante non abbiano mai alcuna ripercussione

sull'obbligazione astratta di garanzia, non pare a tutt'oggi legittimamente predicabile.

Va premesso, in proposito, che, tra astrazione assoluta e accessorietà (intesa nel senso tradizionale) si stagliano

orizzonti che abbracciano diverse gradazioni di strutture negoziali che il legislatore di volta in volta legittima,

secondo un giudizio di valore rispetto ai vari interessi coinvolti: l'accessorietà dell'obbligazione autonoma di

garanzia rispetto al rapporto debitorio principale assume un carattere certamente più elastico, di semplice

collegamento/coordinamento tra obbligazioni, ma non viene del tutto a mancare, come dimostrato, da un lato,

dalla rilevanza delle ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il

rapporto sottostante (supra, sub 6.2);

dall'altro, dal meccanismo di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso il sistema delle rivalse.

Va inoltre considerato che, come condivisibilmente affermato dalla terza sezione di questa corte con la sentenza

10490/06 (e poi ribadito, sia pur in obiter, da queste stesse sezioni unite con le 4 pronunce dell'11 novembre del

Page 51: Dispensa di diritto civile 4 - corsolexfor.it. CIVILE - Obbligazioni... · LE SEZIONI UNITE SULLE OBBLIGAZIONI SOLIDALI IN TEMA DI ILLECITO AQUILANO: Cass. Sez. Un. 15 luglio 2009,

51

2008, rese in tema di danno non patrimoniale), appaia oggi predicabile una ermeneutica del concetto di causa

che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che la configurava come strumento di controllo

della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale

del negozio (che, a tacer d'altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale

elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello,

anche tipico, adoperato).

Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti.

Causa, dunque, ancora oggettivamente iscritta nell'orbita della dimensione funzionale dell'atto, ma, questa volta,

funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto,

secondo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla

cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l'uso che di ciascuno di essi hanno

inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale.

E' innegabile, pertanto, che di causa negotii sia lecito discorrere, in termini di sua concreta esistenza, anche con

riferimento al contratto autonomo di garanzia e alla polizza fideiussoria, ad esso assimilabile quoad effecta. E'

altresì innegabile, nel caso di specie, che la forma di garanzia prescelta dalle parti, in alternativa al deposito

cauzionale in denaro o titoli, non sia stata quella della fideiussione, bensì quella della polizza fideiussoria,

alternativa e, per l'effetto, sostituiva forma di prestazione della cauzione stessa, "consentita" (così, letteralmente,

il testo negoziale rilevante in parte qua) dall'amministrazione appaltante senza essere accompagnata da alcuna

dichiarazione abdicativa di tutti gli altri poteri e facoltà spettatile sulla base della normativa di settore vigente

ratione temporis. La funzione individuale del singolo, specifico negozio (id est della polizza fideiussoria) è stata

dunque quella di sostituire la traditio del denaro tipica della cauzione con l'obbligazione di corrispondere una

somma di denaro, da parte del garante, a richiesta del creditore, senza alcuna possibilità, per il primo, di invocare

il meccanismo, tipicamente fideiussorio, di cui all'art. 1957 c.c..

Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: la polizza fideiussoria stipulata a garanzia delle obbligazioni

assunte da un appaltatore assurge a garanzia atipica, a cagione dell'insostituibilità della obbligazione principale,

onde il creditore può pretendere dal garante solo un risarcimento, prestazione diversa da quella alla quale aveva

diritto. Con la precisazione, peraltro, della invalidità della polizza stessa se intervenuta successivamente rispetto

all'inadempimento delle obbligazioni garantite.