Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che...

30
1 Dispensa di diritto amministrativo n. 7

Transcript of Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che...

Page 1: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

1

Dispensa di diritto amministrativo n. 7

Page 2: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

2

Potere amministrativo e riparto di giurisdizione

Page 3: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

3

Indice

IL RIPARTO ORDINARIO

1. L'ENTE IN HOUSE È SOGGETTO ALLA GIURISDIZIONE CONTABILE DI

RESPONSABILITÀ: Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806;

2. DIRITTI INAFFIEVOLIBILI: QUANDO C’E’ DIRITTO NON C’E’ POTERE: C.Cost. n.

140/2007;

3. SPETTA AL G.O. IL DANNO DA PROVVEDIMENTI FAVOREVOLI ANNULLATI:

Cass. S.U., 23.03.2011, ord. n. 6594.

IL RIPARTO PER MATERIA

1. I LIMITI GENERALI ALLA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA: C. Cost. 204/2004 e 191/2006;

2. L'ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DOPO L'AGGIUDICAZIONE COMPETE AL

G.A.: Cons. Stato, sez. V, n. 5032/2011;

3. RIPARTO E CONCESSIONE DI CONTRIBUTI: Cons. Stato, Ad. Pl., 6/2014;

4. L'INDENNIZZO EX ART. 42-BIS T.U.: LE SEZIONI UNITE AFFERMANO LA

GIURISDIZIONE ORDINARIA: Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 25 luglio 2016,n. 15283

Page 4: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

4

Selezione giurisprudenziale

IL RIPARTO ORDINARIO

1. L'ENTE IN HOUSE È SOGGETTO ALLA GIURISDIZIONE CONTABILE DI

RESPONSABILITÀ: Cass. S.U., 19.12.2009, n. 26806;

La questione analizzata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione attiene alla possibilità di applicare le

norme di diritto societario agli amministratori e dipendenti di una s.p.a. cosiddetta "in mano pubblica" o se

dalla presenza di capitali pubblici consegua invece l'assoggettamento di questi soggetti alle norme proprie della

responsabilità amministrativa, con la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti.

Sulla disciplina delle società per azioni a partecipazione pubblica il codice civile detta solo alcune scarne

disposizioni dal che si desume che la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in

società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.

In difetto di norme esplicite sul punto occorre guardare ai principi generali.

In quest’ottica bisogna distinguere tra la responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere nei confronti

della società e la responsabilità che essi possono assumere direttamente nei confronti di singoli soci o terzi. In

tale ultimo caso la configurabilità dell'azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità

dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico quando

questo sia stato direttamente danneggiato dall'azione illegittima. Tipico esempio di questa situazione è il

danno all'immagine dell'ente pubblico che derivi da atti illegittimi posti in essere dagli organi della società

partecipata.

Ad opposta conclusione si deve invece pervenire nel caso in cui l'azione sia proposta per reagire ad un danno

cagionato al patrimonio della società.

Non solo non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l'ente pubblico partecipante e l'amministratore (o

componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall'atto di

mala gestio, ma neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso come

pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata società

sia socio. La ben nota distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e

la piena autonomia patrimoniale dell'una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio

pubblico il danno che l'illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al

patrimonio dell'ente: patrimonio che è e resta privato.

E' certo vero che il danno sofferto dal patrimonio della società è per lo più destinato a ripercuotersi anche sui

soci, incidendo negativamente sul valore o sulla redditività della loro quota di partecipazione; ma il sistema del

diritto societario impone di tener ben distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo)

da quelli che siano il mero riflesso di danni sofferti dalla società.

Dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico - patrimoniale del socio e che

non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è legittimato a

dolersi; di quelli sociali, invece, solo alla società compete il risarcimento, di modo che per il socio anche il

ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è prodotto il suo

pregiudizio.

(omissis)

Page 5: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

5

Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di una s.p.a.

cosiddetta "in mano pubblica" si applichino le norme di diritto societario o se dalla presenza di capitali

pubblici consegua invece l'assoggettamento di questi soggetti alle norme proprie della responsabilità

amministrativa, con la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti.

Il problema non è quello di definire se, come e quando una s.p.a. "pubblica" risponda, come persona giuridica

per danno erariale ad una P.A., ma si tratta di stabilire sulla base di quale statuto gli amministratori o i

dipendenti di una s.p.a. "pubblica" rispondano dei danni ad essa direttamente prodotti ed

indirettamente riflessi sulla p.a., in quanto titolare della partecipazione azionaria.

La differenza è rilevante, se si considera che nel primo caso la s.p.a. "pubblica" è il soggetto responsabile del

danno che deve risarcire con il proprio patrimonio sociale, nel secondo caso essa diviene il soggetto danneggiato

il cui patrimonio deve essere reintegrato.

Vanno, quindi, fissati alcuni principi generali.

3.1. Com'è noto, il limite esterno della giurisdizione della Corte dei conti, sul quale le sezioni unite della Corte di

cassazione sono chiamate a pronunciarsi, ha rilevanza costituzionale: discende dal disposto dell'art. 103 Cost.,

comma 2, a tenore del quale "la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre

specificate dalla legge".

Al di fuori delle materie di contabilità pubblica, e quindi anche in tema di responsabilità, occorre

dunque che la giurisdizione della Corte dei conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione

di legge.

In termini generali, il contenuto ed i limiti della giurisdizione della Corte dei conti in tema di responsabilità

trovano la loro base normativa nella previsione del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13, secondo cui la corte

giudica sulla responsabilità per danni arrecati all'erario da pubblici funzionari nell'esercizio delle loro

funzioni.

Tali limiti sono stati successivamente ampliati della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4, che ha esteso il

giudizio della Corte dei conti alla responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per

danni cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza. La giurisdizione di

detta corte non è quindi circoscritta alla sola ipotesi di responsabilità contrattuale dell'agente, ma può esplicarsi

anche in caso di responsabilità aquiliana.

3.2. In passato i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, al pari di quella del giudice amministrativo,

erano però (relativamente) più agevoli da tracciare: la più netta distinzione tra l'area del pubblico e quella del

privato, la normale corrispondenza tra la natura pubblica dell'attività svolta dall'agente ed il suo organico

inserimento nei ranghi della pubblica amministrazione, la conseguente più agevole demarcazione di confini tra

l'agire dell'amministrazione in forza della potestà pubblica ad essa spettante e per le finalità tipicamente a questa

connesse ed il suo agire invece iure privatorum: erano tutti elementi che facilitavano anche l'individuazione dei

limiti esterni della giurisdizione in esame.

La più recente evoluzione dell'ordinamento ha reso ora questi confini assai meno chiari, (omissis)

In quest'ottica anche le sezioni unite della Cassazione, per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento - o

almeno di un grave indebolimento - della giurisdizione della corte contabile in punto di responsabilità, ha teso a

privilegiare un approccio più "sostanzialistico", sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che

identificava l'elemento fondante della giurisdizione della Corte dei conti nella condizione giuridica pubblica

dell'agente, un criterio oggettivo che fa leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse

finanziarie a tal fine adoperate.

Si è perciò affermato che, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario,

occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l'agente e la pubblica amministrazione, ma che per tale può

intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un

soggetto, altrimenti estraneo all'amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece

un'attività, senza che rilevi nè la natura giuridica dell'atto di investitura - provvedimento, convenzione o

contratto - nè quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o

Page 6: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

6

pubblica (Sez. un. 3 luglio 2009, n. 15599; 31 gennaio 2008, n. 2289; 22 febbraio 2007, n. 4112; 20 ottobre 2006,

n. 22513; 5 giugno 2000, n. 400; Sez. un., 30 marzo 1990, n. 2611, ed altre conformi).

L'affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un

servizio pubblico integra quindi una relazione funzionale incentrata sull'inserimento del soggetto

medesimo nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e ne implica, conseguentemente,

l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale, a prescindere dalla natura

privatistica dello stesso soggetto e dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il

rapporto (Sez. un. 27 settembre 2006, n. 20886; 1 aprile 2008, n. 8409; 1 marzo 2006, n. 4511; 19 febbraio 2004,

2004, n. 3351), anche se l'estraneo venga investito solo di fatto dello svolgimento di una data attività in favore

della pubblica amministrazione (Sez. un. 9 settembre 2008, n. 22652) ed anche se difetti una gestione del danaro

secondo moduli contabili di tipo pubblico o secondo procedure di rendicontazione proprie della giurisdizione

contabile in senso stretto (Sez. un. 12 ottobre 2004, n. 20132).

(omissis). Si è sottolineato che si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni

e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali

proprie dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato; con

la conseguenza - si è precisato - che, nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la

giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una

pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca

la condotta produttiva del danno (Sez. un., 25 maggio 2005, n. 10973; 20 giugno 2006, n. 14101; 1 marzo

2006, n. 4511; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3367).

3.3. Se quanto appena osservato vale certamente per gli enti pubblici economici, i quali restano nell'alveo della

pubblica amministrazione pur quando eventualmente operino imprenditorialmente con strumenti privatistici, è

da stabilire entro quali limiti alla medesima conclusione si debba pervenire anche nel diverso caso della

responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico. Le quali non

perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti

provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.

Il codice civile dedica alla società per azioni a partecipazione pubblica solo alcune scarne disposizioni, (omissis)

Ma siffatte residue disposizioni del codice non valgono a configurare uno statuto speciale per dette società

(spesso, viceversa, interessate da norme speciali, non sempre tra loro ben coordinate), (omissis) Se ne è desunto -

anche alla luce di quanto espressamente indicato nella relazione ("E' lo Stato medesimo che si assoggetta alla

legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità

realizzatrici") - che la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private

implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.

Dall'identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a

partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente perciò discende la

responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi

termini - contemplati dagli artt. 2392 c.c. e segg. - in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono

configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.

3.4. (omissis) Entra allora in gioco un ulteriore importante elemento normativo, cui finora non si è fatto

riferimento ma che occorre adesso prendere in considerazione. Si allude alla disposizione della L. 28 febbraio

2008, n. 31, art. 16 bis, (che ha convertito il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248), così concepita: "Per le società con

azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni

o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonchè per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e

dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla

giurisdizione del giudice ordinario".

Tale norma, (omissis) lascia chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e

dipendenti di società a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da

quella ordinaria.

Page 7: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

7

Non si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che, per l'avvenire (e

limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione pubblica inferiore al 50%), la

giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario.

Resta però da verificare entro quali limiti, al di fuori del ristretto campo d'applicazione della

disposizione da ultimo richiamata, sia davvero configurabile la giurisdizione del giudice contabile che

il legislatore ha in tal modo presupposto in rapporto ad atti di mala gestio degli organi di società a

partecipazione pubblica.

In difetto di norme esplicite in tal senso (e fatta salva la specificità di singole società a partecipazione pubblica il

cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis, come nel caso della Rai), è ai principi generali ed alle linee

portanti del sistema che occorre aver riguardo. Ed è proprio in quest'ottica che assume rilievo decisivo la già

accennata distinzione tra la responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere nei confronti della

società (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dagli artt. 2393 e segg. e, per le società a responsabilità

limitata, dell'art. 2476 c.c., commi 1, 3, 4 e 5) e la responsabilità che essi possono assumere direttamente

nei confronti di singoli soci o terzi (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dall'art. 2395 c.c., per le

società a responsabilità limitata, del cit. art. 2476 c.c., comma 6).

3.6. In tale ultimo caso la configurabilità dell'azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità

dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico quando

questo sia stato direttamente danneggiato dall'azione illegittima, non incontra particolari ostacoli (nè si pongono

difficoltà derivanti dalla possibile concorrenza di siffatta azione con quella ipotizzata in sede civile dai citati art.

2395 c.c. e art. 2476 c.c., comma 6, poichè l'una e l'altra mirerebbero in definitiva al medesimo risultato).

(omissis)

Quel che appare certo è che la presenza dell'ente pubblico all'interno della compagine sociale ed il fatto

che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed abbia implicato

l'impiego di pubbliche risorse non può sfuggire agli organi della società e non può non comportare, per

loro, una peculiare cura nell'evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di detta

partecipazione sociale dell'ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un

pregiudizio al patrimonio di quest'ultimo.

Tipico esempio di questa situazione è il danno all'immagine dell'ente pubblico (su cui si veda Sez. un. 20

giugno 2007, n. 14297) che derivi da atti illegittimi posti in essere dagli organi della società partecipata:

danno che può eventualmente prodursi immediatamente in capo a detto ente pubblico, per il fatto stesso di

essere partecipe di una società in cui quei comportamenti illegittimi si siano manifestati, e che non s'identifica

con il mero riflesso di un pregiudizio arrecato al patrimonio sociale (indipendentemente dall'essere o meno

configurabile e risarcibile anche un autonomo e distinto danno all'immagine della medesima società).

(omissis)

3.7. Ad opposta conclusione si deve invece pervenire nel caso in cui l'azione sia proposta per reagire ad un

danno cagionato al patrimonio della società.

Non solo, come detto, non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l'ente pubblico partecipante e

l'amministratore (o componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato

leso dall'atto di mala gestio, ma neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso

come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata

società sia socio. La ben nota distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei

singoli soci e la piena autonomia patrimoniale dell'una rispetto agli altri non consentono di riferire al

patrimonio del socio pubblico il danno che l'illegittimo comportamento degli organi sociali abbia

eventualmente arrecato al patrimonio dell'ente: patrimonio che è e resta privato.

E' certo vero che il danno sofferto dal patrimonio della società è per lo più destinato a ripercuotersi anche sui

soci, incidendo negativamente sul valore o sulla redditività della loro quota di partecipazione; ma - fatte salve le

limitate eccezioni oggi introdotte dall'art. 2497 c.c. (come modificato dal D.Lgs. n. 6 del 2003), in tema di

responsabilità dell'ente posto a capo di un gruppo di imprese societarie, che qui non rilevano - il sistema del

Page 8: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

8

diritto societario impone di tener ben distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo) da

quelli che siano il mero riflesso di danni sofferti dalla società.

Dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico - patrimoniale del socio e

che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è

legittimato a dolersi; di quelli sociali, invece, solo alla società compete il risarcimento, di modo che per

il socio anche il ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è

prodotto il suo pregiudizio (principio pacifico: si vedano, ex multis, Cass. 5 agosto 2008, n. 21130; 3 aprile

2007, n. 8359; 27 giugno 1998, n. 6364; e 28 febbraio 1998, n. 2251).

Si capisce, allora, come il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice

civile può dar vita all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo

a configurare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti: perchè non implica

alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al

patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono

unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originar conferimenti restano confusi ed

assorbiti nell'unico patrimonio sociale.

(omissis)

3.7. Giova ancora aggiungere che l'esclusione dell'ipotizzata giurisdizione del giudice contabile per l'azione di

risarcimento di danni cagionati al patrimonio della società partecipata da un ente pubblico neppure provoca, a

ben vedere, il rischio di una lacuna nella tutela dell'interesse pubblico coinvolto nella descritta situazione.

Nell'attuale disciplina della società azionaria - ed in misura ancor maggiore in quella della società a responsabilità

limitata - l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, in caso di mala gestio imputabile agli organi della società,

non è più monopolio dell'assemblea e non è più, quindi, unicamente rimessa alla discrezionalità della

maggioranza dei soci. Una minoranza qualificata dei partecipanti alla società azionaria (art. 2393 - bis c.c.) ed

addirittura ciascun singolo socio della società a responsabilità limitata (art. 2476 c.c., comma 3) sono infatti

legittimati ad esercitare tale azione (anche nel proprio interesse, ma a beneficio della società) eventualmente

sopperendo all'inerzia della maggioranza.

Ne consegue che, trattandosi di società a partecipazione pubblica, il socio pubblico è di regola in grado

di tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante l'esercizio delle suindicate azioni civili. Se ciò

non faccia e se, in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico abbia a subire un pregiudizio

derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del

procuratore contabile nei confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno arrecato

al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque

titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di

socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione.

Ed è ovvio che, con riguardo ad un'azione siffatta, vi sia piena competenza giurisdizionale della Corte

dei conti.

4.1. (omissis)

2. DIRITTI INAFFIEVOLIBILI: QUANDO C’E’ DIRITTO NON C’E’ POTERE: C.Cost. n.

140/2007;

E’ legittima la norma censurata che ha riconosciuto esclusivamente al giudice naturale della legittimità

dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela per il danno asseritamente

sofferto anche in violazione di diritti fondamentali in dipendenza dell’illegittimo esercizio del potere pubblico

da parte della pubblica amministrazione.

Essa è conforme all’orientamento espresso nelle sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006 di questa Corte

secondo cui l’art. 103 Cost. ha riconosciuto al legislatore il potere di indicare «particolari materie» nelle quali

la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe «anche» diritti soggettivi. Detta giurisprudenza

Page 9: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

9

esclude che la giurisdizione possa competere al giudice ordinario per il solo fatto che la domanda abbia ad

oggetto esclusivo il risarcimento del danno (sentenza n. 191 del 2006). Il giudizio amministrativo, infatti, in

questi casi assicura la tutela di ogni diritto anche di quelli costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio

della funzione amministrativa.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Civitavecchia dubita, in riferimento agli articoli 103 e 25 della Costituzione, della

legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005), nella parte in cui devolve alla

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i

provvedimenti in materia di impianti di energia elettrica di cui al decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure

urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 9

aprile 2002, n. 55 e le relative questioni risarcitorie.

2. – Sulle eccezioni di carattere preliminare sollevate da più parti si osserva quanto segue.

(omissis)

3. – Con riferimento all’altro parametro, costituito dall’art. 103, primo comma, Cost., il rimettente ricorda

che l’art. 1, comma 552 della legge n. 311 del 2004 – nella parte in cui dispone che «Le controversie aventi ad

oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al

decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2003 [recte: 2002], n. 55, e

le relative questioni risarcitorie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» – consente

di ricomprendere la fattispecie in esame, pur in considerazione delle peculiarità degli interessi fatti valere con il

ricorso introduttivo del giudizio cautelare. Ciò, sia perché la norma censurata include espressamente le azioni

risarcitorie (rispetto alle quali l’azione inibitoria promossa dal Comune ricorrente si colloca in posizione

anticipatoria), sia perché l’ambito delle controversie riservate alla giurisdizione esclusiva del TAR risulta definito

da una «endiadi (procedure e provvedimenti in materia di impianti) non agevolmente delimitabile». In tal modo –

a giudizio del rimettente - la norma finisce con l’includere, in modo del tutto indipendente dalla natura degli

interessi lesi, qualsiasi controversia interferente con la progettazione, la realizzazione, l’esistenza e il

funzionamento di un impianto di energia elettrica. E ciò, in violazione dell’art. 103, primo comma Cost.

La questione non è fondata.

(omissis)

Il procedimento seguito nel caso di specie s’inquadra perfettamente nella formulazione della norma

denunciata che parla di «procedure e […] provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia

elettrica», proprio per indicare quel procedimento complesso, in ragione del coinvolgimento di più soggetti

pubblici, il quale si conclude con i provvedimenti specifici riguardanti le singole modalità attuative degli interventi

inerenti gli impianti in questione.

La norma censurata, d’altronde, è conforme all’orientamento espresso nelle sentenze n. 204 del 2004 e,

soprattutto, n. 191 del 2006 di questa Corte. Secondo tali pronunce, l’art. 103 Cost., pur non avendo conferito al

legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di

materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, gli ha riconosciuto il potere di indicare «particolari materie» nelle

quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe «anche» diritti soggettivi. Deve trattarsi

tuttavia, di materie determinate nelle quali la pubblica amministrazione agisce nell’esercizio del suo potere.

La richiamata giurisprudenza di questa Corte esclude, poi, che la giurisdizione possa competere al giudice

ordinario per il solo fatto che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno (sentenza n. 191

del 2006). Il giudizio amministrativo, infatti, in questi casi assicura la tutela di ogni diritto: e ciò non soltanto per

effetto dell’esigenza, coerente con i princípi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti

ad un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma

anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti,

coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa.

Page 10: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

10

Nella fattispecie disciplinata dal censurato comma 552 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004 ricorrono tutti i

presupposti che questa Corte ha ritenuto sufficienti a legittimare il riconoscimento di una giurisdizione esclusiva

al giudice amministrativo. L’oggetto delle controversie è rigorosamente circoscritto alle particolari «procedure e

provvedimenti», tipizzati dalla legge (decreto-legge n. 7 del 2002), e concernenti una materia specifica (gli

impianti di generazione di energia elettrica).

Né osta - va ribadito - alla validità costituzionale del «sistema» in esame la natura «fondamentale» dei

diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus, su cui pure insiste il rimettente, non essendovi

alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario -

escludendone il giudice amministrativo - la tutela dei diritti costituzionalmente protetti. Peraltro,

l’orientamento – espresso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione – circa la sussistenza della giurisdizione del

giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui quello alla salute) risulta enunciato

in ipotesi in cui venivano in considerazione meri comportamenti della pubblica amministrazione, e pertanto esso

è coerente con la sentenza n. 191 del 2006, con la quale questa Corte ha escluso dalla giurisdizione esclusiva la

cognizione del risarcimento del danno conseguente a meri comportamenti della pubblica amministrazione. Nel

caso in esame, invece, si tratta di specifici provvedimenti o procedimenti «tipizzati» normativamente.

Deve, dunque, concludersi che legittimamente la norma censurata ha riconosciuto esclusivamente al giudice

naturale della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi

anche una tutela risarcitoria, per equivalente o in forma specifica, per il danno asseritamente sofferto anche in

violazione di diritti fondamentali in dipendenza dell’illegittimo esercizio del potere pubblico da parte della

pubblica amministrazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, della legge 30

dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge

finanziaria 2005), sollevata, in riferimento all’art. 25 della Costituzione, dal Tribunale di Civitavecchia, con

l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 1, comma 552, della legge n.

311 del 2004 sollevata, in riferimento all’art. 103 della Costituzione, dal Tribunale di Civitavecchia, con

l’ordinanza indicata in epigrafe.

3. SPETTA AL G.O. IL DANNO DA PROVVEDIMENTI FAVOREVOLI ANNULLATI: Cass. S.U.,

23.03.2011, ord. n. 6594.

Le Sezioni Unite affermano che la domanda risarcitoria formulata dal soggetto destinatario del provvedimento

favorevole e relativa al danno subito per l’affidamento in esso ingenerato dalla decisione amministrativa non

sarebbe collegata all’esercizio, neppure mediato, del potere amministrativo per cui la giurisdizione spetterebbe al

giudice ordinario.

(omissis)

Con riferimento alla questione di giurisdizione sottoposta all'esame di questa Suprema Corte, si osserva:

se la pubblica amministrazione procede alla emanazione di provvedimenti illegittimi - contro i quali, ai sensi

dell'articolo 113 Cost., comma 1, e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi

lesi dinanzi agli organi di giustizia ordinaria o amministrativa - determina la lesione dei diritti o degli interessi in

maniera diversa a seconda che l'interesse leso rientri nella categoria generale degli interessi pretensivi o in quella

degli interessi oppositivi. Se l'interesse e' pretensivo la sua lesione si concretizza nello illegittimo diniego o nella

ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo (legittimo); se l'interesse e' oppositivo la sua lesione si

Page 11: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

11

concretizza nello illegittimo sacrificio di un bene o di una situazione di vantaggio. Il Decreto Legislativo 31

marzo 1998, n. 80, articolo 35, come sostituito dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 7, dispone che "il

giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la

reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.".

La Corte Costituzionale, nelle sentenze n. 292 del 2000 e 281 del 2004, ha chiarito che con tale disposizione il

legislatore ha inteso rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione,

concentrando innanzi al giudice amministrativo non solo la fase del controllo di legittimita' dell'azione

amministrativa, ma anche (ove configurabile) quella della riparazione per equivalente, ossia il

risarcimento del danno, evitando per esso la necessita' di instaurare un successivo e separato giudizio innanzi al

giudice ordinario; ha chiarito, pero', che il risarcimento del danno ingiusto non costituisce una nuova materia

attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma esclusivamente uno strumento di tutela ulteriore e di

completamento rispetto a quello classico demolitorio, da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti

della pubblica amministrazione.

In altre parole il legislatore ha inteso realizzare la unificazione della tutela avanti al giudice

amministrativo, concentrando dinanzi allo stesso sia i poteri di annullamento dell'atto illegittimo che la

tutela risarcitoria consequenziale alla pronuncia di legittimita' dell'atto o provvedimento contro cui si

ricorre (argomenta anche dal succitato articolo 113 Cost.), prima riservata al giudice ordinario.

Ne deriva che la attrazione della tutela risarcitoria nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo puo' verificarsi esclusivamente qualora il danno, patito dal soggetto che ha proceduto alla

impugnazione dell'atto, sia conseguenza immediata e diretta (articolo 1223 c.c.) della illegittimita' dell'atto

impugnato; pertanto, qualora si tratti di atto o provvedimento rispetto al quale l'interesse tutelabile e' quello

pretensivo, il soggetto che puo' chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo, perche' vittima di

danno ricollegabile con nesso di causalita' immediato e diretto al provvedimento impugnato, e' colui che si e'

visto, a seguito di una fondata richiesta, ingiustamente negare o adottare con ritardo il provvedimento

amministrativo richiesto; qualora si tratti di atto o provvedimento amministrativo rispetto al quale l'interesse

tutelabile si configura come oppositivo, il soggetto che puo' chiedere la tutela risarcitoria dinanzi al giudice

amministrativo e' soltanto colui che e' portatore dello interesse alla conservazione del bene o della situazione di

vantaggio, che vengono direttamente pregiudicati dall'atto o provvedimento amministrativo contro il quale ha

proposto ricorso. Soltanto in queste situazioni la tutela risarcitoria si pone come tutela consequenziale e

comporta, quindi, la concentrazione della fase del controllo di legittimita' dell'azione amministrativa e quella della

riparazione per equivalente, ossia il risarcimento del danno, dinanzi all'unico giudice amministrativo.

Tra gli atti rispetto ai quali e' configurabile un interesse pretensivo rientra la concessione edilizia. Appare

opportuno precisare che la concessione edilizia prevista dalla legge n. 10/77 in sostituzione della licenza edilizia,

nonostante il nomen iuris, non e' una concessione. La Corte Costituzionale nella sentenza 5/1980 ha chiarito che

la concessione edilizia ha struttura e funzione di autorizzazione. In detta sentenza si afferma che il diritto di

edificare inerisce alla proprieta' dell'area da edificare (ius aedificandi), e che tale diritto, pero', puo' essere

esercitato solo entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici; che sussistendo le condizioni

richieste solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale, che legittimi a costruire, puo' edificare, non essendo

consentito dal sistema che altri possa, autoritativamente, essere a lui sostituito per la realizzazione dell'opera; che,

quindi, la concessione a edificare non e' attributiva di diritti nuovi, ma presuppone facolta' preesistenti, sicche'

sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo

scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del diritto, nei limiti in

cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la consistenza.

Il proprietario del suolo o il titolare di altro diritto reale, che legittimi a costruire, hanno, quindi, un interesse

pretensivo al rilascio della concessione edilizia; se il richiedente che si trova nelle condizioni previste dalla legge

per il rilascio di detta li concessione, se la veda ingiustamente negare, puo' insorgere contro l'illegittimo

provvedimento di diniego chiedendo al giudice amministrativo sia il controllo della legittimita' dell'atto sia il

conseguente risarcimento del danno. In questo caso e' ammissibile la concentrazione di entrambe le tutele

dinanzi allo stesso giudice, potendo l'avente diritto al rilascio della licenza invocare entrambe le tutele. Diversa e'

Page 12: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

12

la situazione del proprietario o di altro titolare dello ius aedificandi che ottenuta la concessione edilizia

ed iniziata l'attivita' di edificazione sul fondo facendo affidamento (incolpevole) sulla (apparente)

legittimita' dell'atto, venga successivamente privato del diritto ad edificare a seguito di annullamento di

ufficio della concessione o di annullamento giurisdizionale della stessa su ricorso di un soggetto (in tal

caso titolare di un interesse oppositivo), che assuma la intervenuta lesione di un suo diritto da parte del

provvedimento impugnato.

In questo caso, intervenuto l'annullamento d'ufficio o giurisdizionale per la riscontrata illegittimita' della

concessione, il proprietario ed il titolare di altro diritto che lo legittima ad edificare, venendo giustamente privati

del diritto ad edificare, non possono invocare, adducendo la perdita di tale facolta', il risarcimento del danno.

Sulla base di questa situazione non possono invocare ne' la tutela demolitoria di un qualche atto (a meno che non

si ritenga di impugnare il provvedimento di ufficio, che, una volta riconosciuto legittimo non consente piu' di

invocare lo ius aedificandi quale fondamento di una ulteriore tutela) ne' quella risarcitoria alla possibilita' di quel

tipo di tutela strettamente collegata. La legittima privazione del diritto ad edificare non autorizza nessuna

delle due tutele e non consente, quindi, (non costituendo la tutela risarcitoria una autonoma ipotesi di

giurisdizione esclusiva) che possa essere invocata dinanzi al giudice amministrativo la tutela

risarcitoria.

Una volta intervenuto legittimamente l'annullamento della concessione edilizia puo' rilevare

esclusivamente una diversa situazione, sulla quale fondare il risarcimento del danno.

Il titolare dello ius aedificandi, cui sia venuto meno tale diritto, a seguito di annullamento della concessione

edilizia o d'ufficio o su ricorso di un altro soggetto, che sia insorto contro detto provvedimento (soggetto che, in

quanto portatore di un interesse oppositivo all'annullamento dell'atto puo' chiedere dinanzi al medesimo giudice

amministrativo sia la tutela demolitoria che la correlata tutela risarcitoria), una volta che sia stata definitivamente

accertata la illegittimita' della concessione, si trova privato dello ius aedificandi, senza che sussista un qualche

altro provvedimento amministrativo contro il quale possa insorgere.

Si ha soltanto che il provvedimento che aveva concesso il diritto ad edificare e che, perche' illegittimo,

legittimamente e' stato posto nel nulla e che non rileva, quindi, piu' come provvedimento che rimuove un

ostacolo all'esercizio di un diritto, continua a rilevare per il proprietario del fondo o il titolare di altro diritto, che

lo abiliti a costruire sul fondo, esclusivamente quale mero comportamento degli organi che hanno

provveduto al suo rilascio, integrando cosi', ex articolo 2043 c.c., gli estremi di un atto illecito per

violazione del principio del neminem laedere, imputabile alla pubblica amministrazione in virtu' del

principio di immedesimazione organica, per avere tale atto con la sua apparente legittimita' ingenerato

nel suo destinatario l'incolpevole convincimento (avendo questo il diritto di fare affidamento sulla

legittimita' dell'atto amministrativo e, quindi, sulla correttezza dell'azione amministrativa) di poter

legittimamente procedere alla edificazione del fondo.

In mancanza di un atto impugnabile il proprietario o il titolare di altro diritto che lo abiliti a costruire sul fondo

hanno la esclusiva possibilita' di invocare un'unica tutela (che non essendo collegata alla impugnabilita' di

un atto non puo' essere attratta nell'ambito di applicazione della giurisdizione esclusiva, atteso che, appare

opportuno ribadirlo, la autonoma tutela risarcitoria non costituisce una ulteriore ipotesi di giurisdizione

esclusiva): quella risarcitoria fondata sull'affidamento; viene in considerazione un danno che oggettivamente

prescinde da valutazioni sull'esercizio del potere pubblico, fondandosi su doveri di comportamento il cui

contenuto certamente non dipende dalla natura privatistica o pubblicistica del soggetto che ne e' responsabile,

atteso che anche la pubblica amministrazione, come qualsiasi privato, e' tenuta a rispettare nell'esercizio della

attivita' amministrativa principi generali di comportamento, quali la perizia, la prudenza, la diligenza, la

correttezza. Di quanto si e' osservato sin qui si puo' offrire questa sintesi.

In base agli articoli 103 e 113 Cost., il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno

giurisdizione per la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione.

La giurisdizione amministrativa e' dunque ordinata ad apprestare tutela - cautelare, cognitoria ed

esecutiva - contro l'agire della pubblica amministrazione, manifestazione di poteri pubblici, quale si e'

Page 13: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

13

concretato nei confronti della parte, che in conseguenza del modo in cui il potere e' stato esercitato ha

visto illegittimamente impedita la realizzazione del proprio interesse sostanziale o la sua fruizione.

Dei poteri che al giudice amministrativo e' stato dato di esercitare per la tutela degli interessi sacrificati dall'agire

illegittimo della pubblica amministrazione, dal Decreto Legislativo n. 80 del 1998, in poi, ha iniziato a far parte

anche il potere di condanna al risarcimento del danno, in forma di completamento o sostitutiva: risarcimento che

e' percio' volto a contribuire ad elidere le conseguenze di quell'esercizio del potere che si e' risolto in sacrificio

illegittimo dell'interesse sostanziale del destinatario dell'atto.

Casi, come quello in esame, non prospettano un'esigenza di tutela quale quella appena delineata.

La parte che agisce in giudizio non e' stata destinataria di un provvedimento ablatorio, di un comportamento

silenzioso mantenuto su una domanda di provvedimento favorevole o del diniego di un tale procedimento, atti o

comportamenti di cui avrebbe potuto avere ragione di postulare l'illegittimita' e sollecitare di tale illegittimita'

l'affermazione con l'ulteriore eventuale ristoro del danno che quella illegittimita' gli avesse provocato.

Nel caso in esame, la parte ha ottenuto il rilascio di una concessione edilizia e ha iniziato a realizzare il manufatto

oggetto della concessione.

Questa situazione di fatto non era tale da sollecitare alcuna esigenza di tutela contro un agire illegittimo della

pubblica amministrazione.

L'esigenza di tutela - risarcitoria e solo di tale tipo - affiora in questo come in analoghi casi solo per

l'affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole e non richiede che per ottenere il risarcimento la

parte domandi al giudice amministrativo un accertamento a proposito della illegittimita' del

comportamento tenuto dall'amministrazione, perche' questo accertamento essa ha invece interesse a

contrastarlo nel giudizio di annullamento del provvedimento summenzionato da altri provocato e puo'

solo subirlo.

La parte che invoca la tutela risarcitoria non postula dunque un esercizio illegittimo del potere,

consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che

connota un comportamento consistito per contro nella emissione di atti favorevoli, poi ritirati per

pronunzia giudiziale o in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimita' ed

orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare.

La possibilita' di questa sola e, quindi, autonoma tutela porta ad escludere la giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo, invocata dalle controparti in applicazione del Decreto Legislativo n. 80 del 1998, articolo 34,

come sostituito dalla Legge n. 205 del 2000, articolo 7, non solo, ma anche quella generale di legittimita', stante la

consistenza di diritto soggettivo della situazione, nel caso di specie, fatta valere. Va dichiarata, pertanto, la

giurisdizione del giudice ordinario, compensando integralmente tra le parti, data la complessita' della questione, le

spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; compensa le spese.

IL RIPARTO PER MATERIA

1. I LIMITI GENERALI ALLA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA: C. Cost. 204/2004 e 191/2006;

Corte Costituzionale, sentenza n. 204 del 2004 (estratto)

L’art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata

discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva,

ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica

amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi». Le materie particolari, e pertanto assoggettabili alla

giurisdizione esclusiva del g.a., sono tali rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità,

Page 14: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

14

partecipando, cioè, della loro natura in quanto contrassegnate dalla circostanza che la pubblica

amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al

giudice amministrativo», sicché, «da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica

amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo […]

e, dall'altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella

controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo» .

..."Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove

disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione

nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4,

della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall’art. 7, lettera a, della legge 21 luglio 2000, n. 205

(Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui prevede che sono devolute alla

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi

quelli» anziché «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse

quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica

amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge

7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo

nei confronti del gestore, nonché»;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80,

come sostituito dall’art. 7, lettera a, della legge 21 luglio 2000, n. 205;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del medesimo decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80,

come sostituito dall’art. 7, lettera b, della legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui prevede che sono

devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto «gli atti, i

provvedimenti e i comportamenti» anziché «gli atti e i provvedimenti» delle pubbliche amministrazioni e dei

soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia."

Corte costituzionale, sentenza n. 191 del 2006

Deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

delle controversie relative a “comportamenti” (di impossessamento del bene altrui) collegati all'esercizio, pur se

illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione

alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.

L'attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria si fonda sull'esigenza,

coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico

giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica (così Corte di

cassazione, sez. un., 22 luglio 1999, n. 500 ), ma non si giustifica quando la pubblica amministrazione non

abbia in concreto esercitato, nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura

dell'interesse pubblico.

Considerato in diritto

(omissis)

Entrambe le ordinanze – emesse nel corso di giudizi nei quali era stata proposta domanda di risarcimento dei

danni per avere subìto, il fondo di proprietà dei ricorrenti, radicali trasformazioni durante il periodo di

Page 15: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

15

occupazione disposta per la realizzazione di un'opera pubblica senza che fosse intervenuto il decreto di

esproprio – osservano che l'art. 53, comma 1, prevede la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo delle controversie aventi ad oggetto (anche) «i comportamenti» delle pubbliche

amministrazioni, e cioè la medesima ipotesi che questa Corte – con la sentenza n. 204 del 2004 – ha espunto,

ritenendola costituzionalmente illegittima, dall'art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80

(Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di

giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo

11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come sostituito dall'art. 7, comma 1, lettera b), della legge 21

luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa).

L'ordinanza n. 36 del 2005 precisa che il dubbio circa la conformità a Costituzione della norma de qua non

avrebbe ragion d'essere ove la dichiarazione di pubblica utilità ed urgenza fosse stata pronunciata dopo

l'entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001 (e cioè dopo il 30 giugno 2003: art. 1 del decreto legislativo n.

302 del 2002), dal momento che in tal caso opererebbe (ex art. 57 del d.P.R. n. 327, come modificato dal

citato art. 1 del decreto legislativo n. 302 del 2002) anche l'art. 43 del medesimo d.P.R., il quale attribuisce

alla pubblica amministrazione il potere (certamente sindacabile dal giudice amministrativo) di acquisire

l'immobile, «modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della

pubblica utilità», al patrimonio indisponibile con «condanna al risarcimento del danno e con esclusione della

restituzione del bene senza limiti di tempo»; poiché nel caso sottoposto al suo esame la dichiarazione di

pubblica utilità è intervenuta «ben prima del 30 giugno 2003», la previsione (che sarebbe certamente di diritto

sostanziale) dell'art. 43 non potrebbe operare e, pertanto, ci si troverebbe in una situazione perfettamente

analoga a quella che era disciplinata dall'art. 34 (dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 204 del 2004),

del quale l'art. 53, comma 1, riproduce (aggiungendovi soltanto «gli accordi») il contenuto.

2.– Va rilevato che mentre una ordinanza (n. 425 del 2005) vede nella dichiarazione di illegittimità

costituzionale dell'art. 53, comma 1, una sorta di completamento di quanto, ex art. 27 della legge n. 87 del

1953, già con la sentenza n. 204 del 2004 questa Corte avrebbe potuto fare; l'altra (n. 36 del 2005) osserva

che il mancato utilizzo da parte della Corte dello strumento della dichiarazione consequenziale di illegittimità

costituzionale si giustificherebbe per il collegamento, sopra ricordato, della previsione di cui all'art. 53,

comma 1, con quella di cui all'art. 43: sicché, ove tale collegamento ratione temporis non operi, il riferimento

ai “comportamenti” dovrebbe essere cassato come lo fu quello contenuto nell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del

1998.

Ne discende che il petitum delle due ordinanze diverge in ciò, che l'una (n. 425) sollecita una pronuncia che

definitivamente espunga dalla norma censurata la locuzione “i comportamenti”, mentre l'altra (n. 36) chiede

che la Corte ciò faccia relativamente ai giudizi nei quali non potrebbe trovare applicazione la norma

(ritenuta) di diritto sostanziale (art. 43), che, sola, giustifica la giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo in quanto contempla un potere della pubblica amministrazione sindacabile da parte di quel

giudice.

3.– Questa Corte, con la sentenza n. 204 del 2004, ha giudicato di questioni di legittimità costituzionale che

investivano, da un lato, l'art. 33 (relativo ai pubblici servizi) e, dall'altro, l'art. 34 (relativo all'edilizia ed

urbanistica) del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall'art. 7 (lettere a e b) della legge n. 205 del 2000, in

quanto con tali norme il legislatore aveva «sostituito al criterio di riparto della giurisdizione fissato in

Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio dei “blocchi di

materie”» (punto 2.1. del Considerato in diritto).La Corte ha osservato che le censure mosse dai giudici

rimettenti «colgono nel segno nella parte in cui denunciano l'adozione, da parte del legislatore

ordinario del 1998-2000, di un'idea di giurisdizione esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza,

in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse», laddove «è evidente che il

vigente art. 103, primo comma, Cost., non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed

incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla

sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali

“la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi». «Tale

Page 16: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

16

necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal

Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso

dall'art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle

devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima

natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come

autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo»,

sicché, «da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio

sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo […] e, dall'altro lato, è

escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia

perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo» (punto 3.2.).

Sulla base di tali premesse, questa Corte – dopo aver distinto nell'ambito dell'art. 33 le ipotesi in cui la

materia dei servizi pubblici era legittimamente devoluta al giudice amministrativo in quanto «la pubblica

amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo» da quelle prive di tale connotato (punto 3.4.2.)

– ha osservato che «analoghi rilievi investono la nuova formulazione dell'art. 34», la quale «si pone in

contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva – oltre “gli atti e

i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni […] svolgono le loro funzioni pubblicistiche

in materia urbanistica ed edilizia – anche “i comportamenti”, la estende a controversie nelle quali la pubblica

amministrazione non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare

strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere» (punto 4.3.3. del Considerato in diritto).

3.1.– Discende, dalla sommaria esposizione dell'iter argomentativo seguito dalla sentenza n. 204 del 2004,

che non è corretta la premessa dalla quale implicitamente muovono entrambe le ordinanze di rimessione, e

cioè che, avendo questa Corte espunto dalla disposizione di cui all'art. 34 la locuzione “i comportamenti”,

tale espunzione non possa non estendersi all'identica locuzione impiegata nell'art. 53, comma 1, del d.P.R. n.

327 del 2001.

Tale tesi, infatti, si fonda esclusivamente sulla circostanza che, con il suo dispositivo, la sentenza n. 204 del

2004 ha inciso sul testo dell'art. 34, ma trascura del tutto non soltanto la motivazione che è alla base di quel

dispositivo, ma anche, e soprattutto, la valenza che la locuzione espunta aveva, specie in relazione alla

questione di legittimità costituzionale allora sottoposta alla Corte, nella disposizione dell'art. 34 del d.lgs. n.

80 del 1998.

Ed infatti, nell'affrontare la questione del se fosse costituzionalmente legittimo devolvere alla giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo “blocchi di materie” ed in particolare l'intera “materia urbanistica ed

edilizia” (comprensiva, la prima, di “tutti gli aspetti dell'uso del territorio”), questa Corte ha ravvisato – come

risulta dalla motivazione della sentenza – nella locuzione “i comportamenti” lo strumento utilizzato dal

legislatore per operare l'indiscriminata devoluzione che si andava a censurare: sicché l'espunzione di tale

locuzione, per la funzione “di chiusura” assegnatale dal legislatore nell'art. 34, valeva a ribadire che la

“materia edilizia ed urbanistica” non poteva essere devoluta “in blocco” alla giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo, ma poteva esserlo nei limiti precisati nella motivazione.

3.2.– La questione di legittimità costituzionale sulla quale questa Corte è ora chiamata a pronunciarsi investe

(non più la pretesa del legislatore ordinario di attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

“in blocco” la materia edilizia ed urbanistica, ma) specificamente la conformità a Costituzione – e,

segnatamente, agli artt. 25, 102, comma secondo, e 103 – della norma che, in tema di espropriazione

per pubblica utilità, devolve «alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie

aventi per oggetto», oltre che «gli atti, i provvedimenti, gli accordi», anche «i comportamenti delle

amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati»; questione che, per quanto si è fin qui

osservato, non può essere risolta attraverso la semplice e meccanica estensione a questa

disposizione dell'espunzione (solo perché, allora, operata) della locuzione de qua dall'art. 34 del d.lgs.

n. 80 del 1998.

(omissis)

Page 17: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

17

4.– Le questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.

4.1.– Entrambe le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus sono riconducibili alle ipotesi tradizionalmente

denominate (in giurisprudenza e dottrina) di occupazione appropriativa (ovvero, anche, di accessione

invertita o espropriazione sostanziale): il che si verifica quando il fondo è stato occupato a seguito di

dichiarazione di pubblica utilità, e pertanto nell'ambito di una procedura di espropriazione, ed ha subìto una

irreversibile trasformazione in esecuzione dell'opera di pubblica utilità senza che, tuttavia, sia intervenuto il

decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l'effetto traslativo della proprietà.

Tale fenomeno viene contrapposto a quello cosiddetto di occupazione usurpativa, caratterizzato

dall'apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza universalmente ravvisata nell'ipotesi di assenza

ab initio della dichiarazione di pubblica utilità, e da taluni anche nell'ipotesi di annullamento, con efficacia ex

tunc, della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per inutile decorso dei termini

previsti per l'esecuzione dell'opera pubblica.

Nel caso dell'occupazione appropriativa, perfezionandosi con l'irreversibile trasformazione del fondo la

traslazione in capo all'amministrazione del diritto di proprietà, il proprietario del fondo non può che chiedere

la tutela per equivalente, laddove, nel caso dell'occupazione usurpativa (rectius: nelle ipotesi – in relazione a

taluna delle quali non v'è unanimità di consensi – ad essa riconducibili) il proprietario può scegliere tra la

restituzione del bene e, ove a questa rinunci così determinando il prodursi (dei presupposti) dell'effetto

traslativo, la tutela per equivalente.

4.2.– È evidente che la soluzione della questione di legittimità costituzionale in esame non può che muovere

da quanto questa Corte, con la più volte citata sentenza n. 204 del 2004, ha statuito riguardo all'art. 35 (come

modificato dall'art. 7, lettera c, della legge n. 205 del 2000) del d.lgs. n. 80 del 1998; statuizione, va precisato,

e non già obiter dictum, in quanto la Corte – investita della questione di legittimità costituzionale della

devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dei “blocchi di materie” relative ai servizi

pubblici ed all'edilizia ed urbanistica e del potere, altresì, di giudicare di azioni risarcitorie riconosciutogli

come attributo della giurisdizione esclusiva – non poteva non considerare, quanto meno con riferimento al

disposto dell'art. 35, comma 1, se anche la tutela risarcitoria fosse configurabile come una “materia” devoluta

in blocco alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In proposito questa Corte ha statuito che «il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche

attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun

profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto

a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti

della pubblica amministrazione».

4.3.– I principi appena ricordati impongono di escludere che, per ciò solo che la domanda proposta dal

cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione competa al giudice ordinario:

ciò dicendo non intende questa Corte prendere posizione sul tema della natura della situazione soggettiva

sottesa alla pretesa risarcitoria, ovvero sulla natura (di norma secondaria, id est sanzionatoria di condotte

aliunde vietate, oppure primaria) dell'art. 2043 cod. civ., ma esclusivamente ribadire che laddove la legge –

come fa l'art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998 – costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto di

giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, come strumento di tutela affermandone – come

è stato detto – il carattere “rimediale”, essa non viola alcun precetto costituzionale e, anzi, costituisce

attuazione del precetto dell'art. 24 Cost. laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e sia

resa in tempi ragionevoli.

In altri termini, al precedente sistema che, in considerazione della natura intrinseca di diritto soggettivo della

situazione giuridica conseguente all'annullamento del provvedimento amministrativo, attribuiva al giudice

ordinario «le controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi»

(così l'art. 35, comma 5, del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall'art. 7, lettera c della legge n. 205 del

2000), il legislatore ha sostituito (appunto con l'art. 35 cit.) un sistema che riconosce esclusivamente al

giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela,

e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per

Page 18: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

18

l'illegittimo esercizio della funzione.

Da ciò consegue che, ai fini del riparto di giurisdizione, è irrilevante la circostanza che la pretesa risarcitoria

abbia – come si ritiene da alcuni –, o non abbia, intrinseca natura di diritto soggettivo: avendo la legge, a

questi fini, inequivocabilmente privilegiato la considerazione della situazione soggettiva incisa dall'illegittimo

esercizio della funzione amministrativa, a questa Corte competeva (e

compete) solo di valutare se tale scelta del legislatore – di collegare, cioè, quanto all'attribuzione della

giurisdizione, la tutela risarcitoria a quella della situazione soggettiva incisa dal provvedimento

amministrativo illegittimo – confligga, o non, con norme costituzionali; ciò che, con la più volte ricordata

sentenza n. 204 del 2004, questa Corte ha escluso.

5.– Le considerazioni fin qui esposte rendono palese che la questione di legittimità costituzionale sollevata

dalle ordinanze de quibus non può risolversi in base al solo petitum, id est alla domanda di risarcimento del

danno, bensì considerando il fatto, dedotto a fondamento della domanda, che si assume causativo del danno

ingiusto.

Con espressione ellittica l'art. 53, comma 1, individua (anche) nei “comportamenti” della pubblica

amministrazione il fatto causativo del danno ingiusto, in parte qua riproducendo il contenuto dell'art. 34 del

d.lgs. n. 80 del 1998 (come modificato dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000).

Tale previsione è costituzionalmente illegittima là dove la locuzione, prescindendo da ogni qualificazione di

tali “comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle

quali sia parte - e per ciò solo che essa è parte - la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice

amministrativo il giudice dell'amministrazione piuttosto che l'organo di garanzia della giustizia

nell'amministrazione (art. 100 Cost.).

Viceversa, nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la

realizzazione dell'opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di

pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere

dell'amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali

“comportamenti” esercizio, ancorché viziato da illegittimità,

della funzione pubblica della pubblica amministrazione.

In sintesi, i principi sopra esposti – peraltro già enunciati da questa Corte con la sentenza n. 204 del 2004 –

comportano che deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva

del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” (di impossessamento del

bene altrui) collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere

dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di

“comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.

L'attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della tutela risarcitoria – non a caso con

la medesima ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario, e

con la previsione di mezzi istruttori, in primis la consulenza tecnica, schiettamente “civilistici” (art. 35,

comma 3) – si fonda sull'esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111

Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di

esercizio della funzione pubblica (così Corte di cassazione, sez. un., 22 luglio 1999, n. 500 ), ma non si

giustifica quando la pubblica amministrazione non abbia in concreto esercitato, nemmeno

mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura dell'interesse pubblico.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo

unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B), trasfuso

nell'art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle

Page 19: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

19

disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), nella

parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i

comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i

comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere.

2. L'ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DOPO L'AGGIUDICAZIONE COMPETE AL

G.A.: Cons. Stato, sez. V, n. 5032/2011;

Il collegio si sofferma, in via preliminare, sulla natura giuridica dei provvedimenti impugnati. Ci si

interroga, in particolare, se essi costituiscano manifestazione del potere pubblicistico di provvedere, anche in

autotutela, sussistendo su di essi il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, quale giudice del

corretto esercizio della funzione pubblica, ovvero se essi siano atti di gestione/esecuzione dei contratti stipulati

(di strumenti finanziari derivati), ipotesi che invece radicherebbe la giurisdizione del giudice ordinario.

In caso di riconosciuta natura giuridica pubblicistica, occorre poi stabilire se in astratto esista in capo

all’amministrazione, e quali ne siano eventualmente i limiti, un potere amministrativo idoneo a togliere effetto

all’attività svolta nell’ambito della serie procedimentale inerenti ai contratti pubblici, ancorchè essa si sia

esaurita con l’aggiudicazione definitiva ed il contratto sia stato stipulato e sia in corso di esecuzione, e, per

altro verso, qualora tale potere sussista, se esso sia stato in concreto correttamente esercitato

dall’amministrazione provinciale.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, anche in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica

per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, l’amministrazione conserva il potere di annullare il bando, le

singole operazioni di gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di gravi

vizi dell’intera procedura, dovendo tener conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse.

"E’ stato più volte ribadito che, anche se nei contratti della pubblica amministrazione l’aggiudicazione, quale

atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna normalmente il momento dell’incontro delle

volontà dell’amministrazione e del privato in ordine alla conclusione del contratto (volontà che per quanto

riguarda la posizione dell’amministrazione si è manifestata con la individuazione dell’offerta ritenuta

migliore), non è tuttavia precluso all’amministrazione di procedere con successivo atto (e con un richiamo ad

un preciso e concreto interesse pubblico) all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione".

Quanto alla verifica, in concreto, del potere esercitato dall’amministrazione con i provvedimenti impugnati,

deve osservarsi che, secondo il dominante indirizzo giurisprudenziale, in linea generale, la legittimità di un

provvedimento di autotutela è subordinata, oltre che alla comunicazione di avvio del procedimento, anche ad

una adeguata motivazione circa la natura e la gravità delle anomalie verificatesi, la sussistenza di un interesse

pubblico attuale alla sua eliminazione, la comparazione tra quest’ultimo e la contrapposta posizione

consolidata dell’aggiudicatario e la ragionevole durata del tempo intercorso tra l’atto illegittimo e la sua

rimozione.

(omissis)

VI.1.1. Il corretto ed esaustivo esame del motivo impone innanzitutto l’individuazione e l’esatta

qualificazione giuridica degli impugnati provvedimenti, se cioè essi costituiscono manifestazione del

potere pubblicistico di provvedere, anche in autotutela, sussistendo su di essi il sindacato

giurisdizionale del giudice amministrativo, quale giudice del corretto esercizio della funzione pubblica,

ovvero se essi siano atti di gestione/esecuzione dei contratti stipulati (di strumenti finanziari derivati),

ipotesi che invece radicherebbe la giurisdizione del giudice ordinario.

Page 20: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

20

Peraltro, in relazione alla eventuale natura giuridica pubblicistica dei predetti provvedimenti, occorre poi stabilire

se in astratto esista in capo all’amministrazione, e quali ne siano eventualmente i limiti, un potere

amministrativo idoneo a togliere effetto all’attività svolta nell’ambito della serie procedimentale inerenti

ai contratti pubblici, ancorchè essa si sia esaurita con l’aggiudicazione definitiva ed il contratto sia stato

stipulato e sia in corso di esecuzione, e, per altro verso, qualora tale potere sussista, se esso sia stato in

concreto correttamente esercitato dall’amministrazione provinciale di Pisa.

VI.1.2. Deve innanzitutto premettersi che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è

motivo alcun per discostarsi, anche in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica per l’affidamento di

lavori, servizi e forniture, l’amministrazione conserva il potere di annullare il bando, le singole

operazioni di gara e lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di

gravi vizi dell’intera procedura, dovendo tener conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del

pubblico interesse (ex pluribus, C.d.S., sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7273; sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5374;

sez. VI, 6 dicembre 2010, n. 8554).

E’ stato più volte ribadito che, anche se nei contratti della pubblica amministrazione l’aggiudicazione, quale atto

conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna normalmente il momento dell’incontro delle volontà

dell’amministrazione e del privato in ordine alla conclusione del contratto (volontà che per quanto riguarda la

posizione dell’amministrazione si è manifestata con la individuazione dell’offerta ritenuta migliore), non è tuttavia

precluso all’amministrazione di procedere con successivo atto (e con un richiamo ad un preciso e concreto

interesse pubblico) all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione.

Tale potere di autotutela trova fondamento nei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, cui deve

essere improntata l’attività della pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, in

attuazione dei quali l’amministrazione deve adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire (fermo

l’obbligo nell’esercizio di tale delicato potere, anche in considerazione del legittimo affidamento eventualmente

ingeneratosi nel privato, di rendere effettive le garanzie procedimentali, di fornire un’adeguata motivazione in

ordine alle ragioni che giustificano la differente determinazione e di una ponderata valutazione degli interessi,

pubblici e privati, in gioco (C.d.S., sez. V, 4 gennaio 2011, n. 11; 10 settembre 2009, n. 5427; sez. IV, 31 ottobre

2006, n. 6456; sez. VI, 26 luglio 2010, n.4864).

Poiché pertanto il provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce di per sé ostacolo

giuridicamente insormontabile al suo stesso annullamento, anche in autotutela, oltre che

all’annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto, non può accogliersi la

tesi propugnata dalle appellanti secondo cui le sole (peraltro pacifiche) circostanze dell’intervenuta

stipulazione del contratto e della sua attuale esecuzione, costituirebbero elementi sufficienti ad

escludere nella fattispecie in esame la giurisdizione del giudice amministrativo e a radicare quella del

giudice ordinario.

Di fronte all’esercizio del potere di annullamento la situazione del privato è di interesse legittimo, a

nulla rilevando che tale esercizio, in ultima analisi, produca effetti indiretti su di un contratto stipulato

da cui sono derivati diritti.

(omissis)

VI.1.3. Quanto alla verifica in concreto del potere esercitato dall’amministrazione provinciale con i

provvedimenti impugnati, deve osservarsi che, sempre secondo il già ricordato consolidato indirizzo

giurisprudenziale, in linea generale la legittimità di un provvedimento di autotutela è subordinata, oltre che alla

comunicazione di avvio del procedimento, anche ad una adeguata motivazione circa la natura e la gravità delle

anomalie verificatesi, la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla sua eliminazione (che tuttavia non può

giammai ridursi all’esigenza del mero ripristino della legalità violata, C.d.S, 24 settembre 2010, n. 7125), la

comparazione tra quest’ultimo e la contrapposta posizione consolidata dell’aggiudicatario e la ragionevole durata

del tempo intercorso tra l’atto illegittimo e la sua rimozione (ex multis, C.d.S., sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7273; 7

aprile 2010, n. 1946; 7 gennaio 2009, n. 1; sez. VI, 16 aprile 2010, n. 2178; 11 gennaio 2010, n. 4; 18 agosto 2009,

n. 4958).

Page 21: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

21

VI.1.3.1. Orbene, tralasciando per il momento la problematica concernente la sussistenza nel caso di specie di tali

presupposti (questione che attiene alla verifica del corretto esercizio del potere e che costituisce oggetto del

secondo, terzo e quarto motivo degli appelli in trattazione) e focalizzando invece l’attenzione sulla qualificazione

giuridica da attribuire ai provvedimenti impugnati, occorre evidenziare che, come pure emerge dalla lettura della

determinazione dirigenziale n. 2799 del 29 giugno 2009, l’amministrazione provinciale di Pisa non ha inteso

esercitare un potere negoziale di recesso unilaterale dai contratti stipulati in data 4 luglio 2007, avendo

piuttosto esercitato il potere amministrativo di annullare in autotutela l’aggiudicazione in favore di Depfa

Bank Plc e Dexia Crediop S.p.A. dell’operazione di ristrutturazione del proprio debito, nella parte relativa

all’operazione in strumenti finanziari derivati, con effetto caducante sui contratti già stipulati.

(omissis)

VI.1.3.2. (omissis)

In definitiva il potere di autotutela culminato nella ricordata determinazione dirigenziale non è stato

esercitato per sottrarsi puramente e semplicemente ad un contratto economicamente squilibrato,

quanto piuttosto a causa della mancata corretta valutazione della convenienza economica che

legittimava l’operazione di ristrutturazione del debito, ai sensi dell’articolo 41 della legge 28 dicembre

2001, n. 448, e che, come tale, non rientrava nella “causa” del contratto di swap, costituendone piuttosto

il presupposto logico – giuridico.

Che questo, e solo questo, sia effettivamente il fondamento del potere esercitato è confermato anche dal

richiamo operato nella motivazione della determinazione impugnata all’articolo 1, comma 136, della legge

finanziaria del 2006, che consente di provvedere anche all’annullamento di atti amministrativi legittimi al fine di

conseguire risparmi o minori oneri finanziari.

IV. 1.3.4. Del resto, a fronte della così delineata “causa” del potere concretamente esercitato

dall’amministrazione provinciale, la tesi sostenuta dalle banche appellanti, secondo cui si sarebbe invece in

presenza di un illegittimo esercizio di potere unilaterale di recesso dai contratti stipulati, non risultata confortata

da alcun elemento probatorio.

(omissis)

E’ pertanto priva di qualsiasi fondamento la tesi della negoziazione (del contenuto) dei contratti swap, che si

sarebbe svolta successiva all’aggiudicazione e prima della loro stipulazione, in ragione della quale la mancata

conoscenza dei “costi impliciti” dell’operazione configurerebbe un vizio della volontà negoziale, con

conseguente natura negoziale (con valore di unilaterale dichiarazione di invalidità del contratto) degli atti

impugnati.

VI. 1.4. Sulla scorta di tali osservazioni non sussiste nella controversia in esame l’eccepito difetto di giurisdizione

del giudice amministrativo.

(omissis)

VI.1.5. Esigenze sistematiche inducono la Sezione ad esaminare di seguito la questione concernente la

sussistenza o meno della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine agli effetti

dell’annullamento dell’aggiudicazione del contratto di derivati finanziari, anche se tale questione in

realtà costituisce oggetto dei motivi di gravame dei due appelli proposti dall’amministrazione

provinciale di Pisa.

Secondo i primi giudici la decisione sull’efficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione

spetterebbe al giudice ordinario; la Sezione tuttavia non condivide tale assunto.

VI.1.5.1. Invero, posto che, come si è già rilevato, non vi è dubbio circa l’effettiva configurabilità del

potere della pubblica amministrazione di procedere in via di autotutela all’annullamento degli atti di un

procedura ad evidenza pubblica, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione definitiva

dell’appalto (di lavori, di servizi o di fornitura) e fermo restando quanto si dirà in seguito sul corretto esercizio

nel caso di specie del predetto potere di autotutela, occorre rilevare che, come per altro già puntualmente

sottolineato dalla giurisprudenza di questo consesso, l’annullamento dell’aggiudicazione “…in virtù

della stretta consequenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto,

l’annullamento giurisdizionale ovvero l’annullamento a seguito di autotutela della procedura

Page 22: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

22

amministrativa comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto

successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti” (C.d.S,, sez. V, 14 gennaio

2011, n. 11; 20 ottobre 2010, n. 7578), con attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo.

Ciò in virtù della disciplina introdotta dal decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, poi trasfusa nell’articolo 122

del codice del processo amministrativo, imperniata sulle esigenze di semplificazione e concentrazione delle tutele

ai fini della loro effettività, dovendo precisarsi al riguardo che le disposizioni contenute negli articoli 121 e 122,

riferiti alle modalità di esercizio di un potere di decisione del giudice, trovano piena applicazione anche in

relazione ai contratti stipulati sulla base di aggiudicazioni annullate in epoca anteriore all’entrata in vigore del

citato decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, purché, come nel caso di specie, sia ancora controversa l’efficacia

del contratto, stante la loro pacifica natura processuale (così C.d.S., sez. III, 11 marzo 2011, n. 1570).

Non ha pregio la tesi che pretende di distinguere tra annullamento giurisdizionale e annullamento in autotutela.

Ciò che rileva, infatti, è il collegamento sostanziale tra i due atti, l’aggiudicazione e il contratto, i quali simul

stabunt, simul cadent, qualunque sia la sede dell’annullamento (illegittimità dichiarata dal giudice a seguito di

ricorso ovvero illegittimità o inopportunità, conseguente dell’esercizio del potere di autotutela da parte

dell’amministrazione).

D’altra parte, anche a non voler condividere la tesi dell’effetto immediatamente caducante dell’annullamento

dell’aggiudicazione sul contratto successivamente stipulato, così che l’inefficacia conseguirebbe solo all’esito di

una specifica decisione dell’organo giurisdizionale competente, deve osservarsi che i ricordati articoli 121 e 122

attribuiscono esclusivamente al giudice amministrativo tali poteri di decisione (e valutazione) dell’efficacia del

contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione; né può ammettersi una (peraltro) irragionevole

diversificazione della disciplina in esame, con la reviviscenza del potere del giudice ordinario sulla sorte del

contratto, allorquando l’annullamento dell’aggiudicazione (o degli atti ad essa presupposti) sia effetto

dell’esercizio del potere di autotutela.

(omissis)

Né d’altra parte può dubitarsi della ragionevolezza della scelta del legislatore di affidare la decisione di tali

controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, laddove si tenga effettivamente conto che

esse, come del resto emerge dagli atti di causa, sono caratterizzate da una inestricabile commistione di interessi,

pubblici e privati, tra i quali è quanto meno problematico, se non impossibile, individuare con assoluta certezza

posizioni di interesse legittimo e/o di diritto soggettivo che, com’è noto, costituiscono il discrimine

fondamentale della giurisdizione ordinaria e di quella generale di legittimità del giudice amministrativo.

VI.1.5.2. (omissis).

VI.1.5.3. In definitiva va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo anche in ordine agli effetti

sul contratto dell’annullamento in via di autotutela dell’aggiudicazione (e degli atti ad essa presupposti).

(omissis)

3.. RIPARTO E CONCESSIONE DI CONTRIBUTI: Cons. Stato, Ad. Pl., 6/2014;

1. Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in materia di controversie

riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche, deve essere attuato sulla base del

generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che:

- sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente

dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva

esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il

quomodo dell’erogazione;

- qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un

addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento

dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si

Page 23: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

23

faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino

sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il

privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la

controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato

il concreto provvedimento di attribuzione;

- è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice

amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento

discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il

provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico

interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.

2. E’ esclusa l’equiparabilità tra concessione di beni ed erogazione del denaro, in quanto, anche se il denaro è

annoverabile nella categoria dei beni, non va confusa la figura della concessione a privati di benefici pubblici,

che presuppone l’uso temporaneo da parte dei privati di detti bene per una finalità di pubblico interesse, con

quella del finanziamento, che implica un tipo di rapporto giuridico del tutto diverso, in forza del quale il

finanziato acquisisce la piena proprietà del denaro erogatogli ed eventualmente assume l’obbligo di restituirlo

in tutto o in parte ad una determinata scadenza.

3. Salvo deroghe normative espresse, vige nell’ordinamento processuale il principio generale dell'inderogabilità

della giurisdizione per motivi di connessione, potendosi risolvere i problemi di coordinamento posti dalla

concomitante operatività della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa su rapporti diversi, ma

interdipendenti, secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato.

4. Ricorre lo speciale potere di autotutela privatistica (di cui peraltro l’ordinamento conosce altre tassative

ipotesi, le più importanti delle quali si riscontrano nell’esecuzione dei contratti pubblici: cfr. le ipotesi di

recesso e risoluzione di cui agli artt. 134-136 d.lgs. 12 aprile 2006 recante Codice dei contratti pubblici relativi

a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) quando, nell’ambito di un

rapporto ormai paritetico, l’Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti dall’inadempimento del

privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione, come nel caso di declaratoria della sopravvenienza

di un fatto cui la legge ricollega l’effetto di determinare la decadenza dal diritto di godere del beneficio e trova

ragione non già in una rinnovata ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato, ma nell’asserito

inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario e nella verifica dei presupposti di esigibilità del credito.

Ne deriva che le contestazioni che investono l’esercizio di tale forma di autotutela, sono sottratte alla

giurisdizione del giudice amministrativo e sono devolute a quella del giudice ordinario.

(omissis)

3. Gli appellanti contestano la decisione, evidenziando che la revoca costituisce esercizio di un pubblico potere,

sindacabile perciò dal giudice amministrativo.

4. La Sesta Sezione, con ordinanza 15 luglio 2013, n. 3789, ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa

alla individuazione del giudice avente giurisdizione sulla domanda relativa all’impugnazione della revoca dei

contributi o agevolazioni concesse alle imprese.

L’ordinanza di rimessione richiama la consolidata giurisprudenza (delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

del Consiglio di Stato) secondo cui sussiste la cognizione del giudice ordinario quanto alle controversie

instaurate per contrastare l’Amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza

o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso

inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi

del contributo in esame, mentre è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con

conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, se, a seguito della concessione del beneficio, il

Page 24: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

24

provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il

pubblico interesse.

5. La Sezione remittente, pur riconoscendo che in fattispecie corrispondenti a quella ora in esame l’indirizzo

giurisprudenziale appena richiamato ravvisa pacificamente la sussistenza di un diritto soggettivo e, quindi, la

giurisdizione civile, ritiene, tuttavia, che i principi espressi da tale giurisprudenza circa l’individuazione del giudice

competente a pronunciarsi sulla legittimità della revoca (basata su considerazioni generali circa la nascita di un

diritto soggettivo a seguito del rilascio del contributo o della sovvenzione, e sulla qualificazione in termini di

provvedimento obbligato della revoca del finanziamento a causa della mancata conformità alle norme che lo

consentono: cfr. Cass. Sez. Un. 21 novembre 2011, n. 24409) possano essere oggetto di una rimeditazione

generale, che valga alla riconduzione sistematica delle diverse questioni alla sola giurisdizione amministrativa.

6. A sostegno del superamento del precedente indirizzo giurisprudenziale, la Sezione, in parte anche richiamando

le considerazioni svolte nella precedente ordinanza di rimessione n. 517 del 2013, indica i seguenti argomenti:

a) il potere di autotutela dell’Amministrazione, esercitato con un atto di revoca (o di decadenza), in base ai

principi del contrarius actus, incide di per sé sempre su posizioni d’interesse legittimo (come si evince dalla

pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato attinente ai casi in cui una concessione

di un bene pubblico o di un servizio pubblico sia ritirata per qualsiasi ragione, anche nell’ipotesi

d’inadempimento del concessionario);

b) l’art. 7 del codice del processo amministrativo dispone che il giudice amministrativo ha giurisdizione nelle

controversie “riguardanti provvedimenti, atti […] riconducibili anche mediatamente all’esercizio” del potere

pubblico, fra i quali rientrerebbe anche il provvedimento di ritiro di un precedente atto a sua volta di natura

autoritativa;

c) la configurabilità di un potere autoritativo e di un correlativo interesse legittimo, in presenza dell’esercizio del

potere di autotutela, risulta più rispondente alle esigenze di certezza del diritto pubblico (divenendo l’atto di

revoca inoppugnabile, nel caso di mancata tempestiva impugnazione) ed a quelle di corretta gestione del denaro

pubblico, poiché l’esercizio del medesimo potere autoritativo agevola non solo il rapido recupero della somma in

ipotesi non dovuta, ma anche la conseguente erogazione dei relativi importi ad altri soggetti, con ulteriori atti

aventi natura autoritativa (onde neppure si giustificherebbe sul piano della logica giuridica l’attribuzione alla

giurisdizione civile della controversia riguardante la legittimità dell’atto di ritiro, mentre indubbiamente sussiste

quella amministrativa per le controversie riguardanti la fase di ulteriore attribuzione delle risorse recuperate a

seguito dell’atto di ritiro);

d) la sussistenza della giurisdizione amministrativa potrebbe anche essere affermata, in via esclusiva, in

considerazione dell’art. 12 della legge n. 241 del 1990, riguardante i “provvedimenti attributivi di vantaggi

economici”, che disciplina la “concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari”, attribuendo il

nomen iuris di concessione a qualsiasi provvedimento che disponga l’erogazione del denaro pubblico. Sotto tale

profilo, potrebbe, allora, risultare rilevante l’art. 133, comma 1, lettera b), cod. proc. amm. sulla sussistenza della

giurisdizione esclusiva per le “controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di

concessione di beni pubblici”.

e) la portata applicativa delle disposizioni di legge sopra richiamate non sarebbe riducibile in via interpretativa,

per il rilievo da attribuire all’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha condotto all’approvazione del codice

del processo amministrativo, disponendo che il riassetto del medesimo dovesse avvenire “al fine di adeguare le

norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le

norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione

delle tutele”). Infatti, la finalità di adeguamento alla giurisprudenza della Corte costituzionale ha consentito

l’elaborazione dell’art. 7 del codice, ripetitivo di espressioni contenute nelle sentenze della Corte stessa 6 luglio

2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191.

Inoltre, la distinta, e parimenti rilevante, finalità di “assicurare la concentrazione delle tutele” può aver giustificato

l’attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie riguardanti - per il tramite dell’esercizio del

potere di autotutela - il ritiro dei provvedimenti “attributivi di vantaggi economici”, aventi ex lege natura

concessoria, e dunque delle controversie che peraltro già di per sé potevano essere riferite ai rapporti inerenti alla

Page 25: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

25

concessione di un bene pubblico (il denaro), prima ancora delle modificazioni disposte dal codice del processo

amministrativo.

7. Alla camera di consiglio del 20 novembre 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

8. L’Adunanza Plenaria ritiene di dover confermare il tradizionale e consolidato indirizzo

giurisprudenziale, condiviso sia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. Un., ordinanza 25

gennaio 2013, n. 1776; Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710; Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150; Cass. Sez.

Un. 20 luglio 2011, n. 15867; Cass. Sez. Un. 18 luglio 2008, n. 19806; Cass. Sez. Un. 26 luglio 2006, n. 16896;

Cass. Sez. Un. 10 aprile 2003, n. 5617), sia dal Consiglio di Stato (cfr., da ultimo, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 13),

secondo cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di

controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere

attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva

azionata, con la conseguenza che:

- sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto

direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di

verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento

discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione (cfr. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150);

- qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto

di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o

dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al

giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o

risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla

concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come

tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di

sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di

attribuzione (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776);

- viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente

giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale

precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della

concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per

contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. Sez. Un.

24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 17).

9. Le pur suggestive ed articolate argomentazioni invocate nell’ordinanza di rimessione al fine di superare tale

indirizzo giurisprudenziale non possono essere condivise.

10. Anzitutto, deve essere disatteso l’argomento che – muovendo dalla qualificazione del denaro come bene

pubblico e, di conseguenza, dell’atto di erogazione come provvedimento di natura concessoria – sostiene che le

controversie in materia di attribuzione (e, quindi, di revoca) di contributi o agevolazioni finanziarie

rientrerebbero nella giurisdizione esclusiva di cui il giudice amministrativo dispone in materia di concessioni di

beni pubblici ai sensi dell’art. 133, lett. b) cod. proc. amm. (tesi sostenuta, oltre che dall’ordinanza di remissione,

anche da una parte minoritaria della giurisprudenza amministrativa: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 1993, n.

727; Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4255; Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2005, n. 516).

Come hanno bene evidenziato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 19 maggio 2008, n.

12641, deve essere esclusa l’equiparabilità tra concessione di beni ed erogazione del denaro, in quanto, anche se il

denaro è annoverabile nella categoria dei beni, non va confusa la figura della concessione a privati di benefici

pubblici, che presuppone l’uso temporaneo da parte dei privati di detti bene per una finalità di pubblico interesse,

con quella del finanziamento, che implica un tipo di rapporto giuridico del tutto diverso, in forza del quale il

finanziato acquisisce la piena proprietà del denaro erogatogli ed eventualmente assume l’obbligo di restituirlo in

tutto o in parte ad una determinata scadenza. Ben altrimenti, infatti, nell'uno e nell'altro caso, le finalità pubbliche

s'intrecciano con l'interesse del concessionario o del finanziato, e le ragioni di non agevole distinguibilità tra

posizioni di diritto soggettivo e d’interesse legittimo, che sottostanno alla scelta legislativa di attribuire alla

Page 26: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

26

cognizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di concessione di beni o servizi pubblici,

non necessariamente ricorrono nei rapporti di finanziamento. Né, d’altronde, il carattere eccezionale della

giurisdizione esclusiva ne consente l’applicazione al di là dei casi indicati dalla legge (in questi termini Cass. Sez.

Un. 19 maggio 2008, n. 12641, par. 3 della motivazione).

10.2. Inoltre, anche a prescindere dalla possibilità di riconoscere natura concessoria all’atto di erogazione del

contributo, va ulteriormente evidenziato che alla sussistenza della giurisdizione amministrativa osterebbe,

comunque, la riserva, prevista dallo stesso art. 133, lett. b) cod. proc. amm., a favore della giurisdizione ordinaria

di tutte le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, qualunque sia il nomen in

concreto utilizzato (“canoni, indennità ed altri corrispettivi”) (in tal senso cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. IV, 11

aprile 2002, n. 1989; Cass. Sez. Un. 11 gennaio 1994, n. 215; Cass. Sez. Un. 10 dicembre 1993, n. 12164).

10.3. L’insussistenza di una giurisdizione esclusiva afferente, in generale, alla materia di contributi pubblici risulta,

inoltre, confermata, argomentando a contrario, dalla recente introduzione, ad opera della legge 24 dicembre

2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e

delle politiche dell'Unione europea), nel testo dell’art. 133 del codice del processo amministrativo della lettera z-

sexies. La disposizione in esame ha espressamente devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

“le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell'articolo 108,

paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i

provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n.

659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma dell'aiuto e dal soggetto che l’ha concesso”.

In questo modo, la “concessione” di aiuti non notificati e il “recupero” di aiuti incompatibili diventano, per

tabulas, materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Nell’ambito della variegata categoria dei

contributi pubblici, il legislatore ha, dunque, selezionato una species, (quella dei contributi che costituiscono aiuti

di Stato), attribuendoli espressamente alla giurisdizione esclusiva, realizzando così una reductio ad unitatem, con

l’effetto di escludere le altre giurisdizioni nazionali (ordinaria e tributaria) e di superare le diversità delle molteplici

discipline sostanziali.

Appare evidente come una tale previsione, interferendo con la questione oggetto del presente giudizio, si

giustifichi proprio sul presupposto che, in assenza di norme speciali, la giurisdizione in materia di contributi e

agevolazioni finanziarie è soggetta agli ordinari criteri di riparto, con il conseguente possibile concorso, a seconda

del tipo di controversia e di situazione soggettiva dedotta, delle giurisdizioni ordinaria, amministrativa e tributaria.

11. L’esclusione della sussistenza di una giurisdizione esclusiva consente di superare anche l’argomento fondato

sull’art. 7 cod. proc. amm., laddove tale disposizione richiama, attraverso la formula “atti […] riconducibili anche

mediatamente all’esercizio del potere amministrativo” le espressioni contenute nelle note sentenze della Corte

costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191.

Nella citata giurisprudenza costituzionale, invero, il riferimento alla riconducibilità della controversia, anche in via

mediata o indiretta, all’esercizio del potere viene utilizzato non come criterio generale di riparto della

giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ma come criterio legittimante, sotto il profilo della

compatibilità con il vincolo costituzionale delle “particolari materie” di cui all’art. 103 Cost., la stessa

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In altri termini, dalla richiamata giurisprudenza costituzionale non può ricavarsi che ogni controversia

comunque riconducibile, sia pure in via indiretta o mediata, all’esercizio del potere pubblico possa

essere ricondotta alla giurisdizione amministrativa di legittimità, involgendo, per ciò solo, posizioni di

interesse legittimo. La Corte costituzionale, al contrario, ha individuato nella riconducibilità all’esercizio, pure

se in via indiretta o mediata, del potere pubblico, il criterio che legittima la scelta legislativa di introdurre una

ipotesi di giurisdizione esclusiva, escludendo, per converso, tale possibilità ove detto collegamento sia assente.

Ne deriva che il criterio della riconducibilità all’esercizio del potere opera all’interno della giurisdizione esclusiva,

come condizione in assenza della quale la controversia avente ad oggetto diritti soggettivi, nonostante l’afferenza

degli stessi alla materia oggetto della giurisdizione esclusiva, deve comunque essere devoluta al giudice ordinario.

L’art. 7 cod. proc. amm. che tale espressione ha recepito deve, quindi, essere interpretato nel senso che, ferma la

vigenza del generale criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla dicotomia tra diritti soggettivi e interessi

Page 27: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

27

legittimi, nelle materie di giurisdizione esclusiva è comunque necessario che il diritto soggettivo sia stato leso da

atti, accordi o comportamenti riconducibili, sia pure in via diretta o mediata, all’esercizio del potere.

12. Non può essere enfatizzata, per derogare a detto assetto, neanche la finalità “di assicurare la concentrazione

delle tutele”, pur richiamata dall’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

Quello della concentrazione delle tutele è, infatti, in primo luogo, un criterio direttivo che la legge delega ha

posto all’esercizio del potere legislativo delegato da parte del Governo e che ha legittimato, fra l’altro, la scelta

(già avallata dalla sopra citata giurisprudenza costituzionale) di concentrare in campo al giudice amministrativo

ogni forma di tutela dell’interesse legittimo, ivi compresa quella risarcitoria. Esso, tuttavia, non consente di

attrarre, in via meramente interpretativa e senza base normativa, nell’ambito della giurisdizione amministrativa

controversie relative a diritti soggettivi, pure a prescindere dall’individuazione di una disposizione legislativa

fondante un’ipotesi di giurisdizione esclusiva.

Ciò a maggior ragione se si considera che nel caso di specie la domanda proposta ha ad oggetto esclusivamente

diritti soggettivi (il diritto soggettivo al mantenimento del finanziamento già erogato) e non vi è alcuna

connessione con domande contestualmente proposte relative ad interessi legittimi.

13. Non può, peraltro, non ricordarsi come le Sezioni Unite, nella loro veste di giudice del riparto,

hanno in più occasioni disatteso la tesi dello spostamento della giurisdizione per motivi di connessione

(anche in presenza di connessione tra domande contestualmente proposte di fronte ad un unico giudice, ma

devolute a diverse giurisdizioni), affermando l’opposto principio secondo cui “salvo deroghe normative

espresse, vige nell’ordinamento processuale il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione

per motivi di connessione, potendosi risolvere i problemi di coordinamento posti dalla concomitante

operatività della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa su rapporti diversi, ma

interdipendenti, secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato” (cfr., da ultimo,

Cass. Sez. Un. 19 aprile 2013, n. 9534; Cass. Sez. Un. 7 giugno 2012, n. 9185).

È vero che alcune sentenze delle Sezioni Unite, in presenza di controversie rimesse alla giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo ed interessate parallelamente da domande consequenzialmente nascenti da pretese di

diritto privato, di fronte all’esigenza di decisione unitaria, hanno ritenuto che le norme costituzionali sul giusto

processo e sulla sua ragionevole durata di esso (art. 111 Cost.) e sul diritto di difesa (art. 24 Cost.), coordinate con

l’art. 103 Cost., hanno escluso la possibilità di scindere il processo in tronconi affidati a giurisdizioni diverse ed

hanno imposto il giudizio unitario, di modo che è stata ritenuta prevalente la giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo e si è rimessa allo stesso anche la decisione sulle domande accessorie su cui avrebbe dovuto

pronunziarsi il giudice ordinario (Cass. Sez. Un. 28 febbraio 2007 n. 4636 e 27 luglio 2005 n. 15660).

La giurisprudenza successiva ha, tuttavia, definitivamente chiarito che la prevalenza del potere cognitivo del

giudice amministrativo presuppone, oltre che la contestuale proposizione delle domande, che egli sia titolare di

giurisdizione esclusiva, a fronte della giurisdizione sui soli diritti propria del giudice ordinario. In questo caso,

infatti, il giudice amministrativo è titolare di poteri maggiori che non quelli riconosciuti al giudice ordinario (cfr.

Cass. Sez. Un. 24 giugno 2009, n. 14805; Cass. Sez. Un. 7 giugno 2012, n. 9185).

Nel caso di specie, oltre alla già rilevata circostanza dell’assenza di domande propriamente “connesse”, è

assorbente la considerazione che il giudice amministrativo non è titolare di giurisdizione esclusiva, il che esclude

ulteriormente la possibilità di invocare la concentrazione delle tutele per giustificare deroghe all’assetto del riparto

della giurisdizione normativamente delineato.

15. A favore della tesi secondo cui il codice del processo amministrativo non abbia inteso, né direttamente, né

indirettamente, innovare il criterio di riparto della giurisdizione previgente (quale desumibile dal “diritto vivente”

delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione) deve ancora richiamarsi quanto affermato dalla Corte

costituzionale nella sentenza 27 giugno 2012, n. 162, che ha dichiarato incostituzionali, per eccesso di delega, gli

articoli 133, comma 1, lett. l); 134., comma 1, lett. c) e 135, comma 1, lett. c) del codice del processo

amministrativo, nella parte in cui attribuiscono al giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, con

competenza funzionale del T.a.r. Lazio, le controversie in materia di sanzioni amministrative applicate dalla

Consob.

Page 28: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

28

La Corte costituzionale ha ravvisato la violazione dell’art. 76 Cost. nella circostanza che il legislatore delegato,

disattendendo l’obbligo previsto dalla legge delega (art. 44 legge n. 69 del 2009) di “tenere conto della

giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori”, ha attribuito le sanzioni irrogate dalla

Consob alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, discostandosi dalla giurisprudenza delle Sezioni

Unite della Corte di cassazione formatasi sul tema (che, invece, avrebbe dovuto orientare l’intervento del

legislatore delegato, secondo quanto previsto dalla legge delega).

È evidente, quindi, che, anche alla luce dei principi affermati nella sentenza costituzionale n. 162 del 2012, deve

escludersi una interpretazione delle norme del codice del processo amministrativo volta a riconoscere al giudice

amministrativo spazi di giurisdizione innovativi rispetto a quelli già ad esso attribuiti in base all’assetto normativo

previgente come risultante dall’interpretazione univocamente fornitane dalle Sezioni Unite della Corte di

Cassazione.

16. Non risulta, del resto, condivisibile neanche l’argomento secondo cui gli atti di ritiro di cui si discute, in

quanto espressione di “autotutela”, sarebbero per ciò solo atti di esercizio di un potere autoritativo, a fronte del

quale non potrebbe che configurarsi una posizione di interesse legittimo del privato. Nel caso di specie, al

contrario, non viene in rilievo il generale potere di autotutela pubblicistica (fondato sul riesame della legittimità o

dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di attribuzione del contributo e sulla valutazione dell’interesse

pubblico), ma lo speciale potere di autotutela privatistica dell’Amministrazione (di cui peraltro l’ordinamento

conosce altre tassative ipotesi, le più importanti delle quali si riscontrano nell’esecuzione dei contratti pubblici:

cfr. le ipotesi di recesso e risoluzione di cui agli artt. 134-136 d.lgs. 12 aprile 2006 recante Codice dei contratti

pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), con il

quale, nell’ambito di un rapporto ormai paritetico, l’Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti

dall’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la sovvenzione. L’atto in questione si

configura come declaratoria della sopravvenienza di un fatto cui la legge ricollega l’effetto di determinare la

decadenza dal diritto di godere del beneficio e trova ragione non già in una rinnovata ponderazione tra l’interesse

pubblico e quello privato, ma nell’asserito inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario e nella verifica

dei presupposti di esigibilità del credito. Ne deriva che le contestazioni che investono l’esercizio di tale forma di

autotutela, sono sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono devolute a quella del giudice

ordinario.

17. Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto, in quanto nel caso di specie la

revoca del contributo finanziario è stato disposto assumendo l’inadempimento da parte del beneficiario delle

obbligazioni assunte, per avere realizzato un programma di investimento (servizi di manutenzione) diverso da

quello approvato per l’ottenimento delle agevolazioni (produzione di mobili metallici).

Ed invero, l’erogazione del contributo – anche se avvenuto, come nella specie, in via provvisoria – crea un

credito dell’impresa all’agevolazione, che viene adempiuto, senza margini di discrezionalità,

dall’Amministrazione erogante, sussistendo già, per effetto di una siffatta concessione, un diritto

soggettivo (relativamente alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento e alla

conservazione degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere), con la conseguenza che il giudice

ordinario è competente a conoscere le controversie instaurate per ottenere gli importi dovuti o per

contrastare l'Amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della

risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione concessi, adducendo l’inadempimento, da

parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo.

4. L'INDENNIZZO EX ART. 42-BIS T.U.: LE SEZIONI UNITE AFFERMANO LA

GIURISDIZIONE ORDINARIA: Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 25 luglio 2016,n. 15283

Sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, ed alla competenza in unico grado della corte di

appello operante in materia di indennità di esproprio, le controversie relative alla determinazione degli

indennizzi previsti in caso di adozione di provvedimento di “acquisizione sanante” ex art. 42 bis del

Page 29: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

29

d.P.R. n. 327 del 2001, incluse le somme dovute per il periodo di occupazione senza titolo del bene – a

norma del comma 3 di detto articolo – nella misura del 5 per cento annuo del valore venale dello stesso.

(omissis) 2. — Conviene premettere, per maggiore chiarezza dell'esposizione, il testo dei commi 1, 3 e 4

del richiamato art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001, introdotto dall'art. 34 d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con

modif., in 1. 15 luglio 2011, n. 111: (omissis) Partendo, quindi, dalla questione di giurisdizione, va detto

che essa è stata già risolta da queste Sezioni Unite in favore del giudice ordinario con l'ordinanza

n. 22096 del 2015. In tale ordinanza si afferma, anche sulla scorta di condivise considerazioni svolte dalla

Corte costituzionale nella sentenza n. 71 del 2015 (…) che «nella fattispecie delineata dall'art. 42 bis del

d.P.R. n. 327 del 2001, l'illecita o l'illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte

dell'amministrazione per scopi di interesse pubblico costituisce soltanto il presupposto indispensabile,

unitamente alle altre specifiche condizioni previste da tale articolo, per l'adozione — si noti: nell'ambito di

un apposito procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa

amministrazione (...) — del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto (...), con la conseguenza

che, ove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente

promosso, attuato e concluso, «indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale», in quanto

previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire

all'indennizzo medesimo natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l'ulteriore corollario che

le controversie aventi ad oggetto la domanda di «determinazione [o di] corresponsione delle

indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa» sono attribuite

alla giurisdizione del Giudice ordinario» ai sensi dell'art. 53, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001 e

dell'art. 133, lett. ult. parte, c.p.a. Tale precedente, tuttavia, riguarda una fattispecie in cui la pretesa

degli espropriati era limitata alla liquidazione del valore venale del suolo, onde in esso si parla, come si è

visto, di «indennizzo ... per la perdita della proprietà» dell'immobile; nel caso ora in esame, invece, la

domanda è estesa anche all'interesse sul valore venale, da corrispondere «a titolo di risarcimento», come

recita il comma 3, ult. parte, dell'art. 42 bis. Sorge perciò il dubbio se l'espressa indicazione di detto titolo

nel testo della norma valga ad attribuire al corrispondente diritto dell'espropriato natura non più

indennitaria, bensì propriamente risarcitoria, con conseguente ribaltamento delle precedenti conclusioni in

punto di giurisdizione e attribuzione, quindi, della relativa controversia alla giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, lett. g), c.p.a., non operando più la salvezza prevista per le

"indennità" dall'ultima parte di tale disposizione e all'art. 53, comma 2, d.P.R, n. 327 del 2001. Il dubbio

va risolto in senso negativo. Dalla lettura coordinata dei commi 1, 3 e 4 dell'art. 42 bis, sopra trascritti,

emerge infatti che l'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell'immobile, menzionato al

comma 3, non è che una voce del complessivo "indennizzo per il pregiudizio patrimoniale" previsto dal

comma 1 e da liquidarsi, appunto, ai sensi del comma 3; indennizzo il diritto al quale (nella sua integralità,

comprensiva delle voci valore venale, pregiudizio non patrimoniale e interesse del cinque per cento annuo

per il periodo di occupazione) sorge solo a seguito dell'adozione del provvedimento di espropriazione c.d.

sanante, che deve peraltro contenerne la liquidazione, e il versamento del quale all'espropriato condiziona

sospensivamente lo stesso prodursi dell'effetto ablativo. Deve quindi concludersi che l'uso

dell'espressione "a titolo risarcitorio" nel comma 3 dell'art. 42 bis, riferita all'interesse, sia una

mera imprecisione lessicale, che non altera la natura della corrispondente voce dell'indennizzo, il

quale essendo unitario non può che avere natura unitaria. Tale interpretazione, peraltro, è imposta

anche dai principi di concentrazione ed effettività della tutela giurisdizionale, coerenti con gli artt. 24 e 111

Cost., con cui mal si concilierebbe l'onere dell'espropriato di richiedere davanti al giudice ordinario

l'indennizzo per la perdita della proprietà e davanti al giudice amministrativo il "risarcimento" per

l'occupazione dell'immobile, la quale costituisce peraltro non un mera eventualità, bensì un indefet tibile

presupposto della fattispecie espropriativa in questione. 3. — Dalla corretta individuazione della natura

del diritto dell'espropriato occorre muovere anche in vista della soluzione della questione di

competenza. Una volta qualificato l'indennizzo di cui all'art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001 come

Page 30: Dispensa di diritto amministrativo n. 7 - corsolexfor.it. Amministrativo.pdf · 5 Il problema che si pone è quello relativo alla questione se agli amministratori e dipendenti di

30

«indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa», ai sensi dell'art. 133, lett.

g), ult. parte, c.p.a., si pone la questione se sia applicabile il disposto di cui all'art. 29, commi 1 e 2,

digs. 1° settembre 2011, n. 150, per il quale sulle «controversie aventi ad oggetto l'opposizione alla

stima di cui all'art. 54 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327... è

competente la corte d'appello nel cui distretto si trova il bene espropriato», ovvero se la relativa

domanda sia soggetta alla disciplina ordinaria, che prevede la competenza del tribunale e il

doppio grado di giurisdizione di merito: infatti nessuna norma espressa collega l'indennizzo di cui

all'art. 42 bis al giudizio di opposizione alla stima di cui all'art. 54 (che ha riferimento all'ordinario

procedimento espropriativo), oggetto di richiamo testuale nel menzionato art. 29 d.lgs. n. 150 del 2011.

Evidenti esigenze di coerenza del sistema depongono per la prima soluzione, alla quale tuttavia i

ricorrenti oppongono il carattere eccezionale della previsione della competenza in unico grado della corte

d'appello, che deroga alla regola generale della competenza del tribunale e del doppio grado di

giurisdizione di merito e osterebbe, quindi, all'interpretazione analogica o estensiva della disposizione

normativa, considerata anche la peculiarità dell'istituto della c.d. acquisizione sanante, di cui all'art. 42 bis,

che postula la mancanza di un legittimo ordinario procedimento espropriativo, alla quale è intesa appunto

a porre rimedio. Sennonché, nello specifico settore delle espropriazioni per pubblica utilità, e segnatamente

della determinazione delle indennità in favore dell'espropriato, la legge espressamente prevede altre ipotesi

di competenza in unico grado della corte d'appello, oltre a quella della opposizione alla stima ai sensi

dell'art. 54 d.P.R. n. 327 del 2001. Si tratta della determinazione dell'indennità per la reiterazione di vincoli

preordinati all'esproprio o sostanzialmente espropriativi, di cui all'art. 39 d.P.R. cit., e dell'indennità di

occupazione, di cui all'art. 50 del medesimo decreto. Da tali espresse previsioni, che coprono l'intera

gamma delle indennità collegate a provvedimenti espropriativi note all'epoca in cui sono entrate in vigore,

è lecito trarre la conclusione — analoga a quella già tratta dalla giurisprudenza di questa Corte nell'assetto

normativo precedente al d.P.R. n. 327 del 2001 (cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. 7191/1997) — che quella

della competenza della corte d'appello in unico grado è in realtà la regola generale prevista

dall'ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità dovute, nell'ambito di

un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale

dell'espropriato. L'applicazione della medesima regola anche alla determinazione dell'indennità per la c.d.

occupazione sanante, di cui all'art. 42 bis, cit., consegue, dunque, alla interpretazione estensiva dell'art. 29

dIgs. n. 150 del 2011, il quale non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto introdotto

nell'ordinamento solo in epoca successiva. Né infine rileva in senso contrario la caratteristica della c.d.

espropriazione sanante, sottolineata dai ricorrenti, di rimedio alla mancanza di un valido provvedimento di

esproprio. Tale particolarità, infatti, nulla toglie alla natura certamente espropriativa del relativo

provvedimento e alla natura certamente indennitaria del ditino dell'espropriato . 4. — Il ricorso va

pertanto rigettato e va dichiarata la competenza della Corte d'appello di Roma. (omissis)