Dispensa di diritto amministrativo n. 10 - corsolexfor.it. AMMINISTRATIVO I nuovi... · crescita...

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1 A cura del cons. Francesco Caringella Dispensa di diritto amministrativo n. 10

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A cura del cons. Francesco Caringella

Dispensa di diritto amministrativo n. 10

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I nuovi contratti pubblici dopo la riforma: profili sostanziali e processuali

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Indice

1. Il parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice dei contratti

pubblici: Cons. St., comm. spec., parere 1 aprile 2016, n. 855

Parte I.b Le tre nuove direttive

Parte IV Esame dei singoli articoli ( 204 – 217)

2. Estratto da Il nuovo diritto dei contratti pubblici opera diretta da F. Caringella,

P. Mantini, M. Giustiniani, 2016.

Cap. 1 Principi generali e disposizioni comuni

Cap. 14 Contenzioso dinanzi al giudice amministrativo e rimedi alternativi

al ricorso giurisdizionale

Cap. 15 La governance dei contratti pubblici

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Selezione

1. Il parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice dei contratti

pubblici: Cons. St., comm. spec., parere 1 aprile 2016, n. 855

Parte I.b Le tre nuove direttive

l.b) Le tre nuove direttive l.b ).1. In tale contesto, le tre nuove direttive comunitarie (23, 24 e 25 del 2014), nell'ambito della e.cl. strategia Europa 2020, si pongono obiettivi ambiziosi che possono così sintetizzarsi: - rendere più efficiente l'uso dei fondi pubblici, che, come noto, vengono ordinariamente allocati attraverso contratti pubblici; per tale obiettivo occorrono procedure improntate a canoni di semplificazione, flessibilità, correttezza; - garantire la dimensione europea del mercato dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture, assicurando la tutela della concorrenza, vietando pratiche discriminatorie, tutelando anche le piccole e medie imprese; - fare un uso strategico degli appalti pubblici, come strumento di politica economica e sociale, promuovendo l'innovazione tecnologica, la crescita sostenibile, la tutela ambientale, obiettivi sociali, quali la tutela dei lavoratori impiegati nell'esecuzione dei contratti pubblici e l'impiego nel lavoro dei soggetti svantaggiati; - promuovere la lotta alla corruzione attraverso procedure semplici e trasparenti, rimuovendo le incertezze normative. l.b ).2. Tali obiettivi vengono declinati dalle tre nuove direttive, oltre che attraverso gli strumenti e gli istituti già contenuti nelle direttive del 2004, attraverso alcune significative novità: - una disciplina sistematica delle concessioni di beni e servizi, affidata a una specifica e autonoma direttiva; - strumenti di aggiudicazione innovativi e flessibili, quali il partenariato per l'innovazione e un più ampio impiego del dialogo competitivo; - strumenti elettronici di negoziazione e aggiudicazione; - utilizzo generalizzato di forme di comunicazione elettronica; - centralizzazione della committenza; - preferenza per il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa; ~ - suddivisione in lotti; - appalti relativi ai servizi sociali; - criteri di sostenibilità ambientale nell'affidamento e nell'esecuzione dei contratti; - rafforzata tutela dei subappaltatori; - introduzione del documento unico europeo di gara; - disciplina dei conflitti di interesse; - risoluzione dell'appalto, anche a distanza notevole di tempo, per stigmatizzare gravi violazioni commesse in sede di aggiudicazione.

IV Esame dei singoli articoli ( 204 – 217)

Si suggerisce pertanto la completa riformulazione dell'art. 204 e la connessa modifica dell'art. 76 come segue:

Art. 204

1. All'articolo 120 del codice del processo amm1mstrativo, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio

2010, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1 le parole "nonché i connessi

provvedimenti dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi, e forniture" sono

sostituite dalla parole "nonché i provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferiti"; b)

dopo il comma 2 è aggiunto il seguente 2-bis) 2-bis. Il provvedimento che determina le esclusioni dalla

procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi,

economico finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla

sua pubblicazione sul profitto del committente della stazione appaltante, ai sensi dell'articolo 29, comma

1, del codice degli appalti pubblici e delle concessioni. L 'omessa impugnazione preclude la facoltà di far

valere !'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso

incidentale. "; c) al comma 5, le parole: "Per l’impugnazione" sono sostituite dalle seguenti: "Salvo

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quanto previsto al comma 6-bis, per l’impugnazione"; d) dopo il comma 6 è inserito il seguente: "6-bis.

Nei casi previsti al comma 2-bis, il giudizio è definito in una camera di consiglio da tenersi entro trenta

giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su richiesta delle

parti il ricorso è definito, negli stessi ~ termini, in udienza pubblica. Il decreto di fissazione dell’udienza-

è comunicato alle ~parti quindici giorni prima dell'udienza. Le parti possono produrre documenti fino a

dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi prima e presentare repliche ai nuovi

documenti e alle nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi

prima. La camera di consiglio o l'udienza possono essere rinviate solo per esigenze istruttorie, per

integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale. L'ordinanza istruttoria

fissa per il deposito di documenti un termine non superiore a tre giorni salvi i casi in cui per la

complessità comprovata dell'adempimento sia necessario un termine maggiore, decorrente dalla

comunicazione o, se anteriore, notificazione dell'ordinanza che dispone rinvio per istruttoria, termini a

difesa o interazione del contraddittorio, fissa la nuova camera di consiglio o udienza non oltre quindici

giorni dopo la scadenza del termine assegnato per tali adempimenti, nel rispetto dei termini difensivi.

Non può 216 essere disposta la cancellazione della causa dal ruolo. L'appello deve essere proposto entro

trenta giorni dalla comunicazione, o, se anteriore, notificazione della sentenza e non trova applicazione il

termine lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza. ",· e) al comma 7, le parole: "I nuovi' sono

sostituite dalle seguenti: "Ad eccezione dei casi previsti al comma 2-bis, i nuovi'; f) --- f) dopo il comma

8-bis, è inserito il seguente: "8-ter. Nella decisione cautelare il giudice tiene conto di quanto previsto

dagli articoli 121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative connesse ad un interesse generale

all'esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione"; g) al comma 9 le parole 'ferma restando

la possibilità di chiedere l'immediata pubblicazione del dispositivo entro due giorni. "sono sostituite dalle

parole '~· le parti possono chiedere l'anticipata pubblicazj.one del dispositivo, che avviene entro due

giorni dall'udienza. "; è inserito, dopo il primo periodo del comma 9, il seguente: "Nei casi previsti al

comma 6-bis, il tribunale amministrativo regionale deposita la sentenza entro sette giorni dalla udienza,

pubblica o in camera di consiglio, di discussione; le parti possono chiedere l'anticipata pubblicazione del

dispositivo, che avviene entro due giorni dall'udienza."; h) al comma 11, le parole: "Le disposizioni dei

commi 3, 6, 8 e 10" sono sostituite dalle seguenti: "Le disposizioni dei commi 2-bis, 3, 6, 6-bis, 8, 8-bis,

8- ter 9, secondo periodo e 10"; i) dopo il comma 11 è inserito il seguente: "11-bis. Nel caso di

presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono

dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto. ". In via consequenziale e in coerenza con le

riformulazioni sopra proposte, nell'art. 76 dopo il comma 2 inserire il comma seguente e rinumerare i

commi successivi: "Fermo quanto previsto nell'articolo 29, comma 1, secondo e terzo periodo,

contestualmente alla pubblicazione ivi prevista è dato avviso ai conc01nnti, mediante PEC, del

provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa

all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi economico finanziari e tecnico-professionali~ indicando

l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti''

CAPO II RIMEDI ALTERNATIVI ALLA TUTELA GIURISDIZIONALE (ARTT. 205-211)

ARTICOLI 205 E 206 (ACCORDO BONARIO) Gli artt. 205 e 206 disciplinano l'accordo bonario,

rispettivamente per i lavori (oggi artt. 240 e 240-bis cod. contratti pubblici) e per i servizi e le forniture, in

attuazione del criterio direttivo contenuto nella legge delega finalizzato alla razionalizzazione dei metodi di

risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale [art. 1, comma 1, lett. aaa)]. Vanno svolti i

seguenti rilievi: - nel caso dei servizi e forniture la procedura il metodo di risoluzione alternativo in esame

diviene esperibile per tutte le controversie insorgenti nella fase esecutiva del contratto ed aventi ad oggetto

"la corretta valutazione dell'esattezza della prestazione pattuita" (art. 206); la formula è tuttavia ridondante,

essendo più corretto riferirsi all'"esatta esecuzione delle prestazioni dovute"; - in un contesto volto

all'ampliamento dell'ambito di operatività dell'istituto ne è precluso il suo impiego per gli aspetti progettuali

"che sono stati oggetto di verifica ai sensi dell'art. 26" (art. 205, comma 2. terzo periodo);

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ARTICOLO 207 (COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO) ~ L'art. 207, al fine di razionalizzazione dei

metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, introduce l'istituto del collegio

consultivo tecnico, con lo scopo di prevenire le controversie che potrebbero sorgere in sede di esecuzione

del contratto ed in particolare con "funzioni di assistenza per la rapida risoluzione delle dispute di ogni

natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto" (comma 1 ). Così definito, il

presupposto non risulta espresso in modo chiaro, non essendo agevolmente definibili i casi di dispute

(espressione atecnica) che si prevede possano nascere. La norma, in particolare, non chiarisce se ricorso al

collegio consultivo costituisca un sistema alternativo all'accordo bonario e come i due istituti si rapportino

tra loro. Infine tale previsione potrebbe influire sui compiti della Camera arbitrale e pone problemi di

compatibilità con il criterio di delega di cui alla lett. aaa), art. 1n.l.11/2016. 218 Alla luce di tali profili di

criticità si propone la soppressione della norma

ARTICOLO 208 (TRANSAZIONE) L'art. 208 conferma l'istituto della transazione, con carattere di

generalità per le controversie relative a diritti soggettivi, al di fuori dei casi definibili con accordo bonario ed

attraverso il collegio consultivo tecnico. Le soglie al superamento delle quali è richiesto il parere

dell'Avvocatura dello Stato (impropriamente definito "parere in via legale" anziché parere tout court) sono

graduate a seconda che si tratti di lavori o altri tipi di contratto (rispettivamente 200 e 100 mila euro). Il

parere dell'Avvocatura deve essere reso nei soli confronti delle amministrazioni centrali, mentre per le altre si

prevede il ricorso ai legali interni. Sotto questo profilo è ravvisabile un profilo di irragionevolezza della

norma perché, nonostante la ricorrenza di identica ratio, il parere dovrebbe essere escluso per le

amministrazioni diverse da quelle centrali nel caso in cui l'amministrazione non abbia al proprio interno un

servizio legale, e dunque verrebbe meno un apporto consultivo in base ad una scelta discrezionale di

carattere organizzativo. Sarebbe quindi opportuno prevedere che il parere, in questi casi, possa essere reso da

un legale esterno o, similmente a quanto previsto dall'attuale art. 239, terzo comma, dcl codice dei contratti

pubblici, dal funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso. Non è più prevista la forma

scritta a pena di nullità (comma 4 del citato art. 239), che invece sarebbe opportuno mantenere, quanto meno

per le amministrazioni aggiudicatrici, per l'esigenza di rispetto dei principi generali di diritto amministrativo

sulla forma dei contratti della pubblica amministrazione.

ARTICOLI 209 E 210 (ARBITRATO) Con gli artt. 209 e 210, in conformità al criterio direttivo enunciato

alla lett. aaa) dell'art. 1, comma 1, della legge delega, l'arbitrato in materia di contratti pubblici viene

ricondotto all'ANAC, attraverso la camera arbitrale istituita presso questa Autorità. Nella medesima linea, al

fine di garantire il possesso dei requisiti di integrità, imparzialità e responsabilità richiesti dal citato criterio

direttivo, rispetto all'abrogando art. 242 cod. contratti pubblici vengono richiamate le cause di

incompatibilità valevoli per il pubblico impiego 219 e si pone il divieto di assumere incarichi dalle parti dei

giudizi arbitrali, anche in via ultrattiva (tre anni dalla scadenza dell'incarico di arbitro). L'ambito di

applicazione dell'arbitrato amministrato dalla Camera presso l'ANAC viene ampliato ai contratti di

concessione ed appalto di cui sia parte una società a partecipazione pubblica, o da essa controllata o collegata

alla medesima, nonché ogniqualvolta il contratto sia finanziato con risorse pubbliche (art. 209, c01nma 1).

Tuttavia, per questa parte la norma è ripetitiva dell'art. 1, comma 20, della legge "anticorruzione" (n. 190 del

2012), pur richiamata, e non se ne comprende pertanto l'utilità. Rispetto alla disciplina abroganda si

introduce l'obbligo sanzionato a pena di nullità di ottenere l'autorizzazione per l'inserimento nel bando di

gara, nell'avviso o nell'invito a formulare l'offerta della clausola compromissoria e per il deferimento della

controversia ad arbitri (art. 209, comma 3). La disposizione è tuttavia ridondante e potrebbe essere formulata

nei seguenti termini, tenuto conto che la nullità della clausola si ripercuote sull'atto di deferimento: "E' nulla

la clausola compromissoria inserita senza autorizzazione nel bando o nell'avviso con cui è indetta la gara

ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito". Deve inoltre essere specificata la competenza a rilasciare

l'autorizzazione. Il comma 4 dell'art. 209 disciplina la nomina del collegio arbitrale, prevedendo che il

collegio di tre membri sia nominato dalla Camera ~ arbitrale, previa designazione di quelli di parte ad opera

di queste, mentre la scelta del presidente rimane riservata all'organismo (la norma è mal formulata dal punto

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di vista grammaticale: "Il Presidente del collegio arbitrale è nominato e designato dalla Camera arbitrale,

scegliendolo tra i soggetti iscritti all'albo . . . ": è sufficiente limitarsi ad enunciare la designazione, mentre va

espunto il gerundio "scegliendolo".

L'art. 11 del medesimo art. 209 specifica in modo superfluo che il mancato rispetto dei termini perentori

comporta la decadenza.

ARTICOLO 211 (PARERI DI PRECONTENZIOSO DELL'ANAC) L'art. 211 prevede due strumenti in

funzione deflattiva del contenzioso. Articolo 211, comma 1 220 Nel comma 1, una rilevante novità del

decreto delegato è rappresentata dalla riconduzione del parere di precontenzioso dell'ANAC nell'ambito dei

rimedi alternativi alla giurisdizione, relativamente alle "questioni insorte durante lo svolgimento delle

procedure di gara". Previa dichiarazione di consenso delle parti, si attribuisce al parere carattere vincolante

per le parti, stabilendosi che esso "obbliga le parti ad attenersi a quanto in esso stabilito", a condizione

tuttavia che tale parere sia "adeguatamente motivato" (comma 1). Questo metodo alternativo di risoluzione

delle controversie pone problemi e merita approfondimenti sul piano della compatibilità con la delega e sul

versante dell'armonizzabilità con il principio di indisponibilità dell'interesse legittimo, da ultimo confermato

dall'art. 12 del codice del processo (che limita alle posizioni aventi la consistenza di diritto soggettivo la

compromettibilità in arbitri delle controversie devolute al giudice amministrativo). Per assicurare la

compatibilità con la Costituzione e con la delega è necessario evitare la trasformazione di questa procedura in

un rimedio alternativo alla giurisdizione amministrativa. E' quindi opportuna la precisazione

dell'impugnabilità del parere vincolante, che in realtà è una decisione a dispetto del nomen, innanzi agli

organi della giustizia amministrativa. Si propone, pertanto, l'aggiunta del seguente periodo alla fine del primo

comma: "Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai

sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo''. Per rafforzare l'impegno delle parti al rispetto

del parere a cui esse stesse abbiano preventivamente acconsentito e scongiurare liti temerarie, potrà

prevedersi che in caso di rigetto del ricorso contro il parere dell'ANAC, il giudice valuta il comportamento

della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell'art. 26 del codice del processo amministrativo. Sul piano

della certezza del diritto è da valutare inoltre se sia opportuno far dipendere la vincolatività di tale decisione

da un giudizio di valore come la sussistenza di un'adeguata motivazione. E' evidente, infatti, l'anomalia di una

vincolatività a "geometria variabile", dipendente dallo spessore motivazionale. Occorre pertanto eliminare le

parole ", purché adeguatamente motivato,". Il parere, secondo l'art. 211 comma 1, vincola le parti che vi

abbiano preventivamente acconsentito: resta fermo che il vincolo non 221 riguarda altri concorrenti, che

potrebbero avere interesse a opporsi alla soluzione precontenziosa tra la stazione appaltante e un solo

concorrente (c.d. controinteressati). La norma, infine, difetta di una disciplina dei termini. Ciò potrebbe non

rendere agevole conciliare il procedimento finalizzato all'emissione del parere con le esigenze di speditezza

della procedura di gara. In conclusione, l'art. 211 comma 1 potrebbe essere sostituito come segue: "1. Su

iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti1 l'.ANA C esprime parere relativamente a

questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara1 entro il termine fissato dall'.ANAC con

proprie linee guida. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a

quanto in esso stabilito. Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia

amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del ricorso

contro il parere vincolante1 il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti

dell'articolo 26 del codice del processo amministrativo.". Articolo 2111 comma 2 Il secondo comma della

disposizione in esame attribuisce all'ANAC un potere di invito nei confronti delle stazioni appaltanti ad agire

in autotutela. Il potere di raccomandazione così introdotto è presidiato da una sanzione amministrativa

pecuniaria (da 250 a 25.000 euro) nei loro confronti del dirigente responsabile e dalla previsione della sua

incidenza sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti ex art. 36 dello schema di decreto. In questo caso

la "copertura" della legge delega è rappresentata dal criterio direttivo contenuto nella citata lett. t), secondo il

quale la vigilanza è esercitata attraverso "poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di

deterrenza e sanzionatorio" . Tuttavia la formulazione attuale presenta significative criticità: a) sul piano della

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compatibilità con il sistema delle autonomie, in quanto introduce un potere di sospensione immediata e uno

di annullamento mascherato che esorbitano dai meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta con la

sentenza 14 febbraio 2013, 20, pronunciatasi sull'art. 21 bis della legge n. 287/1990; b) sul crinale della

ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, in quanto la sanzione colpisce il

rifiuto di autotutela, 222 ossia un provvedimento amministrativo di cui è da presumere la legittimità fino a

prova contraria. Si crea in questo modo una sorta di responsabilità da atto legittimo. È da preferire allora una

riformulazione in chiave di controllo collaborativo, ispirata alla disciplina dettata dall'art. 21-bis della legge n.

287 /1990, compatibile con i principi costituzionali e con i limiti della legge delega, che parla di "controllo" al

fine di giustificare il potere dell'ANAC, usando una locuzione coincidente con la qualificazione usata dalla

Consulta con riguardo alla legittimazione processale conferita dall'art. 21 bis cit. all'Autorità garante della

concorrenza e del mercato [Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 20]. Nell'attuale formulazione del codice, il

meccanismo opera per qualsivoglia atto di gara. Valuterà il Governo se non sia preferibile limitarne

l'operatività ai soli atti più importanti, quali i bandi, gli altri atti generali, nonché atti di gara per appalti di

particolare rilevanza. Da un lato, si potrebbe ritenere che solo con riferimento ad atti di portata generale, o in

caso di appalti di importi particolarmente elevati, la lesione dei valori concorrenziali e delle regole di evidenza

pubblica giustifichi la "discesa in campo" dell'Autorità di settore con una impugnativa ~ giurisdizionale.

Tanto, anche in considerazione dei problemi organizzativi che può determinare un generalizzato potere di

sollecito all'autotutela e la conseguente sistematica presenza dell'Autorità in giudizio. Per contro, si potrebbe

rilevare che la mission dell'ANAC è la generale vigilanza sui contratti pubblici (come confermato dalla lett. t)

della delega), per cui si giustificherebbe la previsione di un generalizzato potere di sollecito dell'autotutela in

caso di atti di gara illegittimi, secondo il modello "generalista" già ora seguito dallo schema. In caso di

opzione per un potere di impugnazione generalizzato, va comunque considerata la facoltà dell'ANAC di

selezionare le procedure su cui intervenire. Tale potere selettivo potrebbe essere, se del caso, ulteriormente

definito in apposite linee guida dell'ANAC di individuazione ex ante, in via di autolimitazione, delle tipologie

di casi in cui il potere di raccomandazione viene esercitato. Si suggerisce pertanto la seguente formulazione

alternativa, la prima più restrittiva e la seconda più generale (il comma 3 della seconda formulazione è

puramente facoltativo): 1) "1 . L'Anac è legittimata ad agire in giudizio contro i bandi, gli altri atti generali e i

provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, di qualsiasi 223 stazione appaltante che violino le

norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori} servizi e forniture. 2. L'Anac se ritiene che un atto del

comma 1 sia affetto da un vizio di legittimità emette} entro sessanta giorni} un parere motivato nel quale

indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la stazione appaltante non si conforma nei sessanta

giorni successivi alla comunicazione del parere !'Autorità può presentare ricorso} entro i successivi trenta

giorni} innanzi al giudice amministrativo. Ai giudizi di cui al periodo precedente si applica all’articolo 120 del

codice del processo amministrativo". 2} "1 . L'Anac è legittimata ad agire in giudizio contro i bandi~ gli altri

atti generali e i provvedimenti di qualsiasi stazione appaltante che violino le nonne in materia di contratti

pubblici relativi a lavori servizi e forniture. 2. L'Anac} se ritiene che un atto del comma 1 sia affetto da un

vizio di legittimità emette} entro sessanta giorni un parere motivato nel quale indica gli specifici profili della

violazioni riscontrate. Se la stazione appaltante non si conforma nei sessanta giorni successivi alla

comunicazione del parere !'Autorità può presentare ricorso} entro i successivi trenta giorni} innanzi al

giudice amministrativo. Ai giudizi di cui al periodo precedente si applica l’articolo 120 del codice del

processo amministrativo. 3. L'Anac con proprie linee guida può individuare i casi} o le tipologie di

provvedimenti~ di cui al comma 1 in relazione ai quali esercitare i poteri di cui al comma 2 ".

ARTICOLO 212 (INDIRIZZO E COORDINAMENTO)

L'art. 212 istituisce presso la P.C.M. la Cabina di regia, affidandole rilevanti compiti di monitoraggio e

coordinamento. In conformità a quanto osservato nella parte generale, cui si rinvia, occorre implementare

nel presente articolo i poteri di monitoraggio della Cabina di regia in ordine alla fase attuativa della riforma,

attribuendole i compiti di impulso e coordinamento per l'adozione degli atti attuativi e dei decreti correttivi.

Pertanto si suggerisce, nel comma 1, di inserire, dopo la lettera a), le seguenti: "a-bis) provvedere} per le

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stesse finalità di cui alla lettera a) e anche in base alle risultanze della ricognizione ivi prevista al monitoraggio

e alla verifica dell’impatto delle disposizioni del presente codice e dei suoi atti attuativi} 224 integrando se del

caso le regole vigenti per la Valutazione dell'impatto della regolazione (VIR); a-ter) curare, se del caso con

apposito piano di azione, la fase di attuazione del presente codice coordinando l'adozione, da parte dei

soggetti competenti, di decreti e linee guida, al fine di assicurarne la tempestività, la coerenza reciproca, la

qualità della normazione, il rispetto del divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione

superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 e dal presente codice, la raccolta in testi unici

integrati, organici e omogenei'

ARTICOLO 213 (AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE)

L'art. 213 definisce le funzioni ed i poteri dell'ANAC nella materia dei contratti pubblici, attribuendo all'Autorità istituita con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, i compiti di vigilanza, controllo e di "regolazione" (comma 1). Per la realizzazione delle finalità fondamentali del settore - efficienza e qualità dell'attività delle stazioni appaltanti - sono tra l'altro attribuiti all'ANAC i poteri: - di emanare linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile", con possibilità di successiva trasmissione alle Camere degli atti "ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto della regolamentazione" (comma 2); ~h - di irrogare sanzioni nei confronti dei soggetti che rifiutano od omettono ~ senza giustificato motivo di collaborare nell'attività di acquisizione di informazioni e che non ottemperano alle richieste delle stazioni appaltanti di comprova dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento, o forniscono dati ed informazioni false; in entrambi i casi con la fissazione dei limiti edittali minimi e massimi (comma 13). Sulla natura delle linee guida dell'ANAC, questo parere si è già soffermato ampiamente nella parte generale, giungendo alla conclusione che esse non si possono configurare alla stregua di regolamenti (atti normativi) bensì alla stregua di atti di regolazione (atti amministrativi generali), con tutte le conseguenze in tema di garanzie sostanziali e procedimentali da osservare (in termini di obblighi di consultazione, di AIR e di VIR, di codificazione delle linee guida nella stessa materia), elencate ampiamente retro e da considerare qui come integralmente riportate nella veste di osservazioni all'art. 213. In sintesi, al fine di fissare un punto di equilibrio tra le esigenze di delegificazione e di flessibilità che permeano la nuova disciplina, da un lato, e i tradizionali canoni di certezza e coerenza del sistema delle fonti dall'altro lato, è opportuno che: a) nel caso di linee guida ministeriali contenenti norme generali e astratte si valuti l'attribuzione espressa del nome "regolamento" ed il richiamo all' art. 17 della citata legge n. 400 del 1988; b) per le materie di competenza regionale, sia inoltre prevista la cedevolezza a favore delle fonti normative di questi livelli di governo; c) le fonti di regolamentazione flessibile di carattere vincolante siano definite all'art. 213, comma 2, primo periodo, quali atti di "regolazione flessibile", e comunque, quando riferita all'ANAC, la parola: "regolamentazione" dovrebbe essere sempre sostituita da quella: " regolazione" (tali due diversi termini sono, invece, ancora utilizzati indifferentemente all'interno del codice); d) alla medesima disposizione, siano previsti successivi alinea nei quali si demandi all'ANAC di disciplinare il procedimento di formazione dei propri atti di regolazione secondo i principi di qualità della regolazione seguiti dalle autorità amministrative indipendenti e più ampiamente descritti nella parte generale (in termini di obblighi di consultazione, di AIR e di VIR, di codificazione delle linee guida nella stessa materia) e del divieto di gold plating, sopra richiamati, e siano sempre trasmessi alle Camere; sia quindi prevista un'adeguata disciplina in materia di pubblicità degli atti, anche mediante pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Una considerazione finale - non svolta nella parte generale - deve essere effettuata anche con riguardo al potere sanzionatorio dell'ANAC. Il citato comma 13 dell'art. 213 in esame conferma l'impianto normativo (pre)vigente (art. 6, comma 11, dell'abrogando codice n. 163/2006), ma ad esso si affiancano due disposizioni che operano un rinvio: a) in un caso (art. 83, comma 1 O: omessa o tardiva denuncia di richieste estorsive da parte degli appaltatori di lavori), "in bianco", ad atti dell'ANAC recanti la previsione di "misure sanzionatorie amministrative"; b) nell'altro caso (art. 84, comma 10, violazione delle linee guida in materia di organismi di attestazione SOA), indeterminato, alle sanzioni contenute nel comma 13 del medesimo art. 213, il quale contempla due fattispecie e due correlative sanzioni. Le disposizioni in esame vanno riconsiderate alla luce del principio di legalità vigente in materia di sanzioni amministrative (art. 1, 1. 24 novembre 1981, n. 689), rispettivamente nella duplice declinazione della riserva di legge e della determinatezza della sanzione applicabile. Occorre, inoltre rimarcare che per il potere sanzionatorio dell'ANAC i limiti edittali devono essere contenuti già nel codice, che deve anche tracciare i principi del procedimento sanzionatorio, se del caso con richiamo ai principi di 1. 689/ 1981. Va, infine, prevista una norma generale e di chiusura nell'art.

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213, che indichi il procedimento e i presupposti di legalità sostanziale delle linee guida ANAC, e del suo potere sanzionatorio. Si suggerisce la seguente riformulazione del comma 2 dell'art. 213: "2. L 'ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell'efficienza, della qualità dell'attività delle stazioni appaltanti cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche. Trasmette alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione gli atti di regolazione a carattere vincolante e gli altri atti di cui al precedente periodo ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti. Resta ferma l'impugnabilità delle decisioni e degli atti assunti dall'Autorità innanzi. ai competenti organi di giustizia amministrativa. L'ANAC, per l'emanazione degli atti di competenza, e in particolare per l'emanazione delle linee guida a carattere vincolante, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell'impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 e dal presente codice . ARTICOLO 216 (DISPOSIZIONI TRANSITORIE E DI COORDINAMENTO) Nell'art. 216, il comma 1 fissa un usuale regime transitorio generale, in virtù del quale le disposizioni del codice emanando saranno applicabili alle procedure e ai contratti i cui bandi ed avvisi siano pubblicati successivamente all'entrata in vigore di quest'ultimo (ed a quelli per i quali non siano stati ancora inviati gli inviti in caso di mancata pubblicazione. In deroga al criterio generale il comma 2 prevede specifici regimi transitori nelle more dell'emanazione di una serie di decreti ministeriali o linee guida dell'ANAC previsti dal codice. In particolare: - d.m. di cui all'art. 22, comma 3, relativo ai progetti di lavori pubblici da sottoporre a dibattito pubblico; - d.m. di cui all'art. 23, comma 3, quanto ai contenuti dei vari livelli della progettazione; - d.m. di cui all'art. 24, comma 2, quanto ai requisiti delle forme organizzate di professionisti esterni all'amministrazione; - d.m. di cui all'art. 38, comma 2, in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti; - linee guida dell'ANAC di cui all'art. 83, comma 2, quanto alla qualificazione degli operatori economici; - d.m. di cui all'art. 89, comma 11, in tema di opere superspecialistiche; - d.m. di cui all'art. 102, comma 9, in tema di collaudo; - d.m. di cui all'art. 111, comma 2, in tema di direzione dei lavori; - d.m. di cui all'art. 146 comma 2, relativo alla qualificazione per i lavori relativi a beni culturali.

Come si evince anche dall'inciso iniziale del comma 1 dell'art. 216, nel codice esistono molte altre disposizioni transitorie, e cioè: - art. 21, commi 8 e 9, in tema di programmazione di contratti pubblici; - art. 24, comma 11, quanto al d.m. della giustizia in tema di tariffe dei progettisti; - art. 36, comma 7, in tema di regi1ne degli appalti sotto soglia fino all'emanazione delle linee guida dell'ANAC; - art. 73, comma 1, in tema di pubblicità di bandi e avvisi sulla piattaforma dell'ANAC e sulla Gazzetta ufficiale; - art. 77 comma 12, sulle commissioni di gara; - d.m. di cui all'art. 81, comma 2, per i dati relativi ai requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento il cui inserimento nella Banca dati degli operatori economici è obbligatorio; - art. 102, comma 8, sull'albo dei responsabili lavori, direttori lavori e collaudatori in caso di affidamento a contraente generale; - art. 144, comma 2, concernente le linee di indirizzo nazionale per i servizi di ristorazione; - art. 159, comma 4, relativamente agli appalti nel settore della difesa. Ciò premesso, si rileva che il codice contiene anche altri rinvii a successivi atti attuativi; in particolare: - d.m. di cui all'art. 23, comma 13, relativo ai tempi di introduzione dell'obbligatorietà dell'utilizzo di metodi e strumenti elettronici nella progettazione; - d.m. di cui all'art. 25, comma 2, recante i criteri di tenuta dell'elenco degli 1stltuti universitari competenti m materia di verifica preventiva dell'interesse archeologico; - d.p.c.m. di cui all'art. 25, comma 13, recante procedimenti semplificati per la verifica preventiva dell'interesse archeologico; - linee guida dell'ANAC di cui all'art 36, comma 7, per il miglioramento della qualità delle procedure di affidamento di contratti "sotto soglia"; In talune di tali ipotesi non appare necessario un regime transitorio, specie laddove si tratti di atti attuativi facoltativi (ad esempio: il d.m. previsto dall'art. 34, comma 3, relativo a criteri di sostenibilità energetica e

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ambientale; le linee guida dell'ANAC concernenti le prove che le stazioni appaltanti possono utilizzare per l'inaffidabilità dei concorrenti alle procedure di affidamento). Ma vi sono alcune ipotesi in cui sembrerebbe necessario prevedere un regime transitorio, sicché si invita il Governo a una valutazione specifica. Si segnalano, in particolare: - art. 25, comma 2, prevede che con d.m. si fissano i criteri per l'albo ivi previsto; tuttavia, atteso che l'albo già esiste, occorrerebbe fare salvi, nelle more del d.m., l'albo esistente e i criteri per la sua tenuta; - art. 37, comma 5, prevede un d.p.c.m. relativo ai criteri di aggregazione , per l'affidamento di appalti da parte dei Comuni non capoluogo di Provincia; andrebbe chiarito il regime transitorio di affidamento degli appalti da parte di tali Comuni; - art. 81, comma 2, demanda a un d.m. l'individuazione dei dati da inserire nella Banca dati centralizzata presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; anche in tal caso sembra necessario prevedere un regime transitorio; - art. 209, comma 16, demanda a un d.m. i criteri per i compensi degli arbitri, mentre l'art. 209 fissa direttamente solo l'importo massimo complessivo del compenso per il collegio arbitrale; anche in tal caso sembrerebbe necessario, in via transitoria, un richiamo alla disciplina (pre)vigente (art. 10, commi 1-6, e tariffa allegata, d.m. 2 dicembre 2000 n. 398). In termini più generali, in ossequio al criterio di delega che richiede l'ordinata transizione dalla vecchia alla nuova disciplina (art. 1, comma 1, lett. b ), e considerato che nelle molte disposizioni transitorie si prevede la perdurante vigenza di disposizioni regolamentari esistenti nelle more dell'adozione degli atti attuativi del codice, occorre prevedere in termini generali che l'abrogazione del d.P.R. n. 207 / 2010, sebbene disposta in via diretta dal codice, abbia effetto dalla data di adozione degli atti attuativi, che recano una puntuale ricognizione delle disposizioni da essi sostituite (si rinvia sul punto alle osservazioni sub art. 217). Sul piano della tecnica di redazione normativa di un atto qualificato come "codice", poi, si segnala che è auspicabile che tutte le norme transitorie siano collocate in un articolo finale. Pertanto le sopra citate disposizioni transitorie (contenute negli artt. 21, 73, 77, 81, 102, 144 e 159) andrebbero collocate nel presente art. 216. Anche le disposizioni attualmente contenute nel comma 3 dell'art. 84, relativa a una revisione straordinaria delle SOA, andrebbe spostata tra le disposizioni transitorie. Analogamente, la prescrizione dell'art. 85 comma 1, che prescrive la forma esclusivamente elettronica del DGUE a partire dal 18 aprile 2018, andrebbe collocata nel presente articolo. Sempre sul piano del drafting, il comma 2, contenente otto periodi sintattici che fanno ognuno rinvio a disposizioni di legge o regolamento, risulta di difficile lettura. I singoli regimi transitori vanno inseriti in commi separati. ARTICOLO 217 (ABROGAZIONI) L'art. 217 reca l'abrogazione espressa del codice n. 163/ 2006, del suo regolamento di attuazione (d.P.R. n. 207 /2010) e di numerose disposizioni di leggi speciali che hanno inciso sulla materia dei contratti pubblici. In relazione all'abrogazione del d.P.R. n. 207 /2010, si rileva che dall'art. 216, comma 2, si desume che esso continuerà ad applicarsi non solo ai contratti i cui bandi siano stati pubblicati prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina, ma, in molte parti, anche a quelli i cui bandi siano pubblicati dopo, nelle more dell'adozione degli atti attuativi del nuovo codice. Sotto tale profilo, l'abrogazione integrale e con effetto immediato, sembra contraddire tali regimi transitori. Occorre pertanto prevedere che l'abrogazione del d.P.R. n. 207 / 2010, ancorché disposta in via diretta dal codice, sia differita alla data di entrata in vigore degli atti attuativi, a cui sia demandata l'elencazione ricognitiva delle disposizioni che si intendono abrogate, nonché, per le disposizioni non oggetto di ricognizione, a una data specificamente individuata. Tale data specifica può ragionevolmente essere fissata al 1° giugno 2018 (che corrisponde a circa due anni dopo l'entrata in vigore del codice), salvo un eventuale successivo riallineamento in sede di decreti correttivi laddove l'intervento correttivo fosse portato dal Parlamento a due anni - come auspicato nella parte generale di questo parere – sarebbe ragionevole fissare nella medesima data anche l'effetto abrogativo finale del regolamento del 2010). Si rinvia per maggior dettaglio alle considerazioni fatte nella parte generale sub II.i). Si suggerisce pertanto di integrare la lett. tt) dell'art. 217 come segue: "tt) il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 201 O, n. 20 7, con effetto: 1) dalla data di adozione degli atti attuativi del presente codice, i quali operano la ricognizione delle disposizioni del d.P.R n. 207 del 2010 da essi sostituite;

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2) per le disposizioni che non formano oggetto della ricognizione di cui al numero 1, dalla data del 1° giugno 2018 “ In ossequio al principio della preferenza dell'abrogazione espressa rispetto a quella tacita, ricordato nella parte generale del presente parere, l'elenco delle abrogazioni puntuali necessita delle seguenti integrazioni: - alla lett. cc), che prevede l'abrogazione di alcuni articoli del d.L n. 83/2012, andrebbe abrogato anche l'art. 8, comma 2-bis, d.l. n. 83/2012, che sembra aver perso attualità, essendo legato ai progetti EXPO; - alla lett. hh), con cui viene abrogato l'art. 4, comma 4, 1. 14 gennaio 2013 ("Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani"), andrebbe prevista l'abrogazione anche dei commi 5 e 6, strettamente connessi; - alla lett. oo), dovrebbe essere disposta l'abrogazione anche dei primi tre commi dell'art. 9, d.l. 24 aprile 2014, n. 66 ("Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l'adozione di un testo unico in materia di contabilità dello Stato e di tesoreria", conv. con 1. 23 giugno 2014, n. 89), poiché la materia delle centrali di committenza è destinata ad essere disciplinata in modo compiuto dal nuovo codice; - alla lett. rr), che prevede l'abrogazione di alcuni articoli del d.l. 11 settembre 2014, n. 133 ("Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive", conv. con l. 11 novembre 2014, n. 164), dovrebbe essere aggiunta l'abrogazione dell'art. 24, in quanto sostanzialmente riprodotto nell'art. 190 dello schema di decreto in esame. Andrebbe inoltre effettuata una ricognizione delle norme contenenti richiami al codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, come ad esempio l'art. 15 l. 11 novembre 2011, n. 180 ("Norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese"), eventualmente riformulando l'art. 105 dello schema di decreto, relativo al subappalto, istituto al quale rinvia l'art. 15 della citata l. n. 180 del 2011. Dovrebbe quindi essere aggiunta l'abrogazione dell'art. 10, commi da 1 a 6, d.m. 2 dicembre 2000, n. 398 ("regolamento recante le norme di procedura del giudizio arbitrale, ai sensi dell'art. 32, della legge 11 febbraio 1994, n. 109"), prevedendosene all'art. 216 la perdurante applicabilità fino all'approvazione della delibera della Camera arbitrale presso l'ANAC relativa ai compensi degli arbitri. Valuterà il Governo se, alla luce dei criteri di delega, della nuova disciplina degli appalti della protezione civile e del subappalto, sia giustificata la mancata abrogazione e la conseguente perdurante vigenza dell'art. 2, comma 9, d.l. 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 giugno 2009, n. 77, a tenore del quale "L'affidamento degli interventi avviene entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto con le modalità di cui all'articolo 57, comma 61 del codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi, e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in caso di ~ affidamento ai sensi dell'articolo 176 del medesimo decreto legislativo, compatibilmente con il quadro emergenziale e con la collaborazione, anche in ambito locale, degli ordini professionali e delle associazioni di categoria di settore. In deroga all'articolo 118 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, è consentito il subappalto delle lavorazioni della categoria prevalente fino al cinquanta per cento". Valuterà il Governo se, alla luce dei criteri di delega e della nuova disciplina degli appalti della protezione civile, sia giustificata la mancata abrogazione e la conseguente perdurante vigenza dell'art. 4, comma 5-ter, d.l. 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla l. 1° agosto 2012, n. 122, come modificato dall'art. 11, comma 8-bis, lett. b), d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 99, a tenore del quale "5-ter. Per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali danneggiati dagli eventi sismici del maggio 2012 i soggetti attuatori, in deroga all'articolo 91, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 20061 n. 1631 possono affidare gli incarichi di servizi tecnici, per quanto attiene a progettazione, coordinamento sicurezza lavori e direzione dei lavori di importo compreso tra euro 100. 000 e la soglia comunitaria per gli appalti di servizi, fermo restando l'obbligo di gara ai sensi dell'articolo 57, comma 6 del medesimo codice fra almeno dieci concorrenti scelti da un elenco di professionisti e sulla base del principio di rotazione degli incarichi". Valuterà il Governo se sia giustificata la mancata abrogazione e conseguentemente la perdurante vigenza dell'articolo l'art. 1-ter, comma 6-bis, d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 116, come modificato dall'art. 1, comma 21 1, 1. 23 dicembre 2014, n. 190, a tenore del quale "6-bis. Per la selezione degli organismi di consulenza aziendale le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono fare ricorso ad accordi quadro in deroga all'articolo 59 comma 1 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006} n. 163} e successive modificazioni".

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2. Estratto da Il nuovo diritto dei contratti pubblici opera diretta da F. Caringella,

P. Mantini, M. Giustiniani, 2016.

Cap. 1 Principi generali e disposizioni comuni

di Pierluigi Mantini

1. Una premessa e un’introduzione al nuovo codice

Il 19 aprile 2016, a seguito delle direttive europee del 2014 e della legge delega approvata il 28 gennaio 2016, è

stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale il decreto legislativo n. 50, contenente il nuovo “codice dei contratti

pubblici” .

Dopo due anni di intensi dibattiti, studi, lavori, si avvia una forte azione di cambiamento nel sistema degli appalti

e delle concessioni in Italia1.

Far correre i treni, realizzare grandi opere utili, mettere in sicurezza gli edifici e il territorio, deve tornare a essere

bello, per tutti, una grande sfida nazionale, in un tempo di riforme per l’Italia.

1 Per i primissimi commenti e note, si veda: V. A. BONANNO, Il ruolo dell’Anac nell’attuale sistema di regolazione

degli appalti pubblici. Il caso della delibera n. 157/2016 in materia di subappalto necessario e contratti esclusi e le

prospettive per l’attuazione della legge n. 11/2016, in www.lexItalia.it, 2016; F. BOTTEON, Sulla data dalla quale si

applica il nuovo codice degli appalti e su altre problematiche in materia di pubblicazione, in www.lexItalia.it, 2016; G.

CIVICO, Nuovo Codice degli appalti: se la domanda di partecipazione è incompleta la sanzione è dovuta soltanto

qualora l’impresa decida di regolarizzare, in www.lexItalia.it, 2016; C. CONTESSA, Dalla legge delega al nuovo

‘Codice’: opportunità e profili di criticità, in www.giustamm.it - Rivista internet di diritto pubblico, 2016; D.

GAGLIOTI, Prime note sull’istituto del responsabile unico del procedimento (RUP) nella bozza di decreto legislativo di

riforma dei contratti pubblici, in www.lexItalia.it, 2016; A. MIRABILE, I contratti pubblici di Poste Italiane. La

situazione attuale ed il futuro : fra liberalizzazione e quotazione, in www.giustamm.it - Rivista internet di diritto

pubblico, 2016; M. MACCHIA, Il regime delle spese di funzionamento delle centrali di committenza, in

www.giustamm.it - Rivista internet di diritto pubblico, 2016; P. QUINTO, In vigore il codice appalti fra trionfalismi ed

incognite, in www.lexItalia.it, 2016;

P. QUINTO, I ricorsi al Tar nel nuovo codice degli appalti, in www.lexItalia.it, 2016; P. QUINTO, I rilievi (critici)

dell’Adunanza del Consiglio di Stato al Codice degli appalti e qualche ulteriore riflessione, in www.lexItalia.it, 2016;

R. ROLLI, D. SAMMARO, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: l'ANAC e l'Uomo di Vitruvio, in www.giustamm.it -

Rivista internet di diritto pubblico, 2016; M.A. SANDULLI, Rito speciale in materia di contratti pubblici, in

www.lamministrativista.it.

Sommario: 1. Una premessa e un’introduzione al nuovo codice; 2. I principali

punti innovativi delle direttive; 3. I principali contenuti della legge delega; 4.

Principi generali e ambito di applicazione.

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Troppo spesso oggi gli appalti pubblici sono associati agli scandali, agli sprechi, alla corruzione. Occorre

cambiare verso.

Il recepimento delle nuove direttive europee sui contratti pubblici deve rappresentare un'occasione decisiva per

riformare in modo profondo il settore degli appalti e delle concessioni in Italia. Nella "Strategia Europa 2020 per

una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva" il contributo degli appalti pubblici è ritenuto essenziale. Saprà

l'Italia approfittarne per risolvere i suoi nodi storici, intricati in quel groviglio di leggi che già Massimo Severo

Giannini definì "enigmistica giuridica"? Molte norme ma scarsa legalità, troppe stazioni appaltanti inefficienti,

modesta attenzione per la qualità dei progetti, massimi ribassi e massimi aumenti dei costi in corso di opera, gare

opache, scarsa efficienza dei controlli pubblici, partenariato pubblico-privato da migliorare, contenzioso

giurisdizionale da contenere.

Naturalmente ci sono anche i punti di forza, le reti di Alta Velocità realizzate, il lavoro dell'ANAC, le recenti

norme su project bond e "sblocca cantieri", ma occorre non perdere il treno delle direttive europee per realizzare i

cambiamenti necessari.

Queste e altre formidabili questioni sono state sullo sfondo della complessa opera di recepimento e riordino che

ha condotto alla emanazione del nuovo Codice dei contratti pubblici in Italia.

L’approvazione del nuovo Codice, accompagnata da commenti largamente positivi, è stata il frutto dell’intenso

lavoro della Commissione di studio per il recepimento delle direttive comunitarie, coordinata da Antonella

Manzione, capo del dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La Commissione si è giovata del precedente lavoro svolto, a partire dalla primavera 2014, dalla prima

Commissione insediata presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha steso le prime bozze

contestualmente ai lavori in corso, in sede parlamentare, per l’approvazione della legge delega che si è avuta, con

un certo ritardo, solo con la legge n. 11 nel 2016.

Non si può dire che non vi sia stata la previsione della complessità tecnica dell’opera da svolgere anche se

occorre parimenti riconoscere che l’incertezza in sede legislativa sui principi della delega non ha giovato alla

celerità e alla coerenza dei lavori.

La prima questione apparsa subito evidente è costituita dalla sottile distinzione tra i concetti di “recepimento” e

di “riordino”.

Fino a che punto si doveva rimanere aderenti alle disposizioni delle tre direttive europee del 2014 e quanto si

doveva innovare rispetto ad esse, per meglio corrispondere alle esigenze nazionali? Il tema, solo apparentemente

accademico o di stile, è stato ed è tuttora dominante ai fini degli esiti della manovra complessiva.

La Commissione, tenendo conto delle pur contraddittorie indicazioni provenienti dal legislatore della delega, si è

orientata preferibilmente verso la prima soluzione, secondo il modello cd. del copy out, ma rivisitato, al fine di

segnare i caratteri di discontinuità e di innovazione nei confronti del codice vigente e, più in generale, del sistema

del public procurement in Italia, analogamente a quanto fatto da altri paesi europei.

Ciò anche in ossequio al principio del divieto di gold plating, radicato nelle direttive europee e nell’ordinamento

nazionale, già dal 2010, con l’intento di evitare sovraccarichi e appesantimenti burocratici e di perseguire il

fondamentale obiettivo della semplificazione normativa2.

È ben chiaro, però, che si è dovuto anche tener conto dei principi della legge delega, molto stringenti e precisi su

diversi punti, in quella ottica di “riordino” , e non solo di “recepimento”, tesa a superare e risolvere i “vizi

nazionali” del sistema.

Quanto il testo prodotto, certamente ancora suscettibile di cambiamenti attraverso l’emanazione delle linee guida

e dei decreti correttivi, riesca nel difficile equilibrio tra le due esigenze, è giudizio complesso affidato agli

interpreti e, per lo spazio residuo, ai decisori.

Analogamente complessa è la valutazione dei risultati sin qui perseguiti circa il fondamentale obiettivo della

semplificazione normativa.

2 Su questi temi, amplius, mi permetto rinviare a MANTINI P., Nel cantiere dei nuovi appalti pubblici, Milano,

2015.

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Il codice è stato ridotto nei suoi numeri, il regolamento del 2010 è stato soppresso e sostituito dalle linee guida

dell’ANAC.

Come noto, si è voluto sin dall’inizio usare l’espressione polisensa di soft law per connotare il passaggio da un

sistema di regolazione classicamente normativo e prescrittivo ad un altro, più improntato dalle “linee guida”

dell’ANAC, sebbene la legge delega abbia in definitiva curvato l’iniziale approccio in direzione di un approdo più

coerente con il diritto amministrativo, stabilendo l’approvazione delle linee guida tramite decreto ministeriale e la

ricorribilità degli atti dinanzi al giudice amministrativo.

Si aprono, a riguardo, formidabili questioni circa l’inquadramento dogmatico delle “linee guida” nel sistema delle

fonti3. Vi sono vari elementi e materiali che possono indurre a ritenere che debba essere riconosciuto un potere

normativo diffuso, interno alla società organizzata, che si esprime in forme nuove superando la classica

distinzione delle fonti indicata dall’art. 1 della legge generale del 1942.

È interessante a riguardo, sia il rapporto del Consiglio di Stato francese del 2013, nella parte dedicata a “le droit

souple” che, a certe condizioni, può trasformarsi in “droit dur”4 e sia la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 18

settembre 2015, n. 4358, che ha ritenuto che le linee guida «a prescindere dal loro inquadramento dogmatico,

assumono, in ogni caso, valenza di canoni oggettivi di comportamento per gli operatori del settore la cui

violazione integra un’ipotesi di negligenza (…) essendo all’Autorità riconosciuto il ruolo di garante dell’efficienza

e del corretto e trasparente funzionamento del mercato nel settore dei contratti pubblici (…)» .

Questa ultima considerazione ci riporta, peraltro, alle teorie neoistituzionaliste sui rapporti tra diritto ed

economia che pongono l’enfasi sulla centralità della nozione di istituzione, quale terreno di incontro e punto di

equilibrio, più che sul formalismo giuridico5 .

Non vi è dubbio che l’ANAC , che somma ora molteplici poteri non solo di vigilanza ma anche normativi,

amministrativi, gestionali, sanzionatori, paragiurisdizionali, ben al di là dell’opportunità di un mutamento del

nomen, costituisca l’istituzione di riferimento, la vera novità, il presidio pubblico, dell’intero sistema degli appalti e

dei contratti pubblici .

Un ruolo istituzionale “forte”, che era mancato sin qui in Italia.

Senza altro aggiungere, sembra a noi che le linee guida dell’ANAC, cui è affidata gran parte della manovra di

riordino, abbiano natura sostanzialmente regolamentare, sulla base delle espresse previsioni di legge e del disegno

istituzionale, e che, in quanto tali, vada ad esse riconosciuta efficacia vincolante nei confronti delle stazioni

appaltanti e degli operatori del settore.

Da questa (provvisoria) conclusione discende che l’approvazione delle linee guida dovrebbe essere preceduta

opportunamente dal parere del Consiglio di Stato.

Il tema sarà approfondito oltre, nel capitolo sulla governance dei lavori pubblici (cap. 15), tenendo conto della

“tripartizione” della natura giuridica delle linee guida ANAC, delineata dal parere del Consiglio di Stato 1 aprile

2016, n. 855, un parere pregevole e di grande utilità, in linea con il successo che il rinnovato corso dell’istituto sta

riscontrando in più campi.

Ma occorre sin da ora evidenziare che il testo finale del codice approvato non ha tenuto conto delle indicazioni

del Consiglio di Stato su due punti rilevanti: a) nella omessa previsione del parere preventivo del Consiglio di

Stato nell’emanazione delle linee guida generali dell’ANAC; b) nella riformulazione dell’art. 211, che in effetti

attribuisce ora all’ANAC un potere inusuale di gerarchia su tutte le stazioni appaltanti attraverso il meccanismo

raccomandazione/sanzione del RUP che non si adegua, che sembra alterare in modo significativo l’assetto

ordinamentale della materia

3 Per un approccio ad un tempo normativo e funzionalistico, nel senso che le linee guida sarebbero norme che

vincolano gli operatori che partecipano alle attività disciplinate si veda V. ITALIA, Le linee guida e le leggi, Milano,

2016, in particolare pp. 16 e ss.. Secondo l’Autore «le Linee Guida sono atti normativi particolari, emanati da

un’autorità amministrativa, hanno una forma specifica e stabiliscono un particolare vincolo giuridico. Esse sono

“norme”, ed hanno – come punti nodali del loro ciclo di vita – la determinazione, modificazione, abrogazione e

specialmente l’interpretazione e l’applicazione». 4 Amplius si rinvia a V. ITALIA, op. cit., pp. 26 e 27. 5 Per un’ampia e puntuale disamina, suffragata da copiosa letteratura internazionale, si rinvia a G. MONTEDORO,

Il giudice e l’economia, Roma, 2015, pp. 117 e ss..

16

Il decreto legislativo in commento, opportunamente definito “Codice dei contratti pubblici” delinea un più

avanzato contesto di qualificazione della domanda ossia delle stazioni appaltanti (oltre 36.000!), attraverso sistemi

di certificazione, di aggregazione e di centralizzazione della domanda6.

L’obiettivo è quello, fondamentale, della forte riduzione del numero delle stazioni appaltanti in Italia che è la

premessa per la riqualificazione dell’intero sistema pubblico degli appalti (come già invocato da Massimo Severo

Giannini nel noto “Rapporto sui principali problemi dello Stato”, del 1978).

Forse si poteva fare di più, ma la strada è tracciata con decisione, molto dipenderà dalle fasi dell’attuazione ed è

comprensibile la necessità di un tempo per la transizione.

Si tratta di un cambiamento epocale e decisivo per l’efficienza e la trasparenza del sistema pubblico.

Non abbastanza, forse, si è fatto sin qui per l’altro grande tema costituito dalla qualificazione dell’offerta, che dovrà

meglio essere sviluppato in sede di linee guida ANAC.

È tuttavia chiaro che l’affollatissimo mondo delle imprese di costruzione in Italia non può continuare ad essere

all’altezza delle sfide di competitività del Paese se accanto ai requisiti formali di legittimazione non si introducono

anche rating reputazionali e di efficienza, basati sul curriculum delle imprese e sulla valutazione dei risultati prodotti

nell’esecuzione delle opere pubbliche.

Anche in questo contesto occorre premiare il merito e le aggregazioni che producono efficienza.

In altri termini, va profondamente rivisto l’attuale sistema delle SOA, prevedendo requisiti che facciano leva sui

criteri reputazionali delle imprese.

La valutazione dei requisiti di carattere generale resta, invece, in capo alle stazioni appaltanti.

Viene fortemente implementato lo sviluppo delle procedure telematiche che costituiranno d’ora in poi la regola.

Migliori soluzioni, rispetto al codice vigente, sono state individuate nello schema del decreto in tema di

avvalimento7, con l’esclusione per i consorzi, e nella valutazione delle offerte anomale, con l’esclusione di criteri

di predeterminazione: anche in questo campo, potrebbe esserci spazio per soluzioni più avanzate e coraggiose.

Un certo dibattito, anche critico, si è sviluppato sulla cd. “liberalizzazione” del subappalto.

Si sono confrontate più tesi: l’esito è stato quello della previsione di un limite generale, su tutti i lavori, non solo

per la categoria prevalente, del trenta per cento.

Forse una soluzione di compromesso.

In linea con le direttive, risulta essere la determinazione di una soglia, nell’ambito del sottosoglia, entro cui

consentire alle stazioni appaltanti maggiore discrezionalità nelle procedure, nel rispetto dei principi europei di

pubblicità, trasparenza, concorrenza, anche attraverso la valorizzazione del principio di rotazione, che è diffuso

nelle prassi in Europa, e che può determinare nuove consuetudini (white list, albo certificato degli offerenti e dei

fornitori, ecc. ).

Si tratta di un atto di fiducia nei confronti delle amministrazioni pubbliche e degli enti aggiudicatori che, se ben

interpretato, anche con il sussidio delle linee guida, non avrà effetti negativi sulla concorrenza né sulla legittimità

dell’azione pubblica.

Nella fase dell’attuazione molta attenzione dovrà essere dedicata al regime delle opere a scomputo nel sottosoglia

in considerazione dell’innovativo principio stabilito dall’art. 20 del nuovo codice in tema di opere pubbliche

realizzate a cura e spese del privato.

6 Le nuove direttive rendono ancora più importanti l'organizzazione e la professionalità delle stazioni appaltanti

in quanto ne aumentano la discrezionalità e rendono necessarie nuove e più complesse valutazioni (impatto ambientale,

sociale, ciclo di vita del prodotto, “rischio operativo”, offerta economicamente più vantaggiosa, ecc.).

Per gestire una macchina di queste dimensioni occorrono una organizzazione e una strategia adeguate,

caratterizzate da un approccio sistemico e integrato.

La strategia di razionalizzazione della spesa deve basarsi su un insieme di azioni combinate e coordinate, che

agiscano sui tre livelli del sistema degli acquisti pubblici italiani: centrale di acquisto nazionale, centrali di acquisto

territoriali, direzione acquisti di enti/amministrazioni. 7 Come abbiamo sostenuto, occorre «una seria semplificazione amministrativa, degli oneri burocratici, dei

formalismi, favorendo il soccorso istruttorio senza trasformare però l’istituto dell’avvalimento nel market delle

qualifiche o nel rifugio degli incapaci», v. P. MANTINI, op. loc. cit., p. 243.

17

Analogamente occorre fare circa il regime particolare dei “servizi sociali”, coordinando la disciplina della legge

Madia sulla stessa materia, per dare certezza a problemi concreti sempre crescenti (si pensi al rinnovo delle

concessioni per la gestione delle strutture sportive e agli appalti di servizi alla persona, svolti da soggetti no profit).

Innovativa è la procedura prevista dall’art. 22 dello schema del decreto in tema di dibattito pubblico e di

partecipazione dei portatori di interessi alle scelte relative ai “grandi progetti infrastrutturali e di architettura di

rilevanza sociale”.

Viene introdotto un modello di “udienza pubblica” o, secondo la prassi anglosassone, di “examination in public”,

utile a rafforzare “la democrazia amministrativa” e a prevenire i conflitti, che dovrà essere coordinato con gli

attuali procedimenti di VIA e di VAS, anche tenuto conto della nuova disciplina della conferenza di servizi

stabilita dal decreto di attuazione della legge 124/2015 .

Un’intelligente previsione può ritenersi quella contenuta dall’art. 192 dello schema di decreto con cui si consente

la cessione di immobili inclusi in programmi di dismissione, a titolo di corrispettivo, ai privati che realizzano

opere pubbliche. Ove possa esser chiaro che la cessione avviene senza vincoli di destinazione urbanistica, ferma

l’approvazione pubblica del progetto di valorizzazione, si otterrebbe il duplice obiettivo di recuperare risorse per

le opere pubbliche e di finalmente valorizzare i beni dismessi, ora incagliati nelle “filiere decisionali”

dell’urbanistica locale.

Una novità assoluta, in tema di governance pubblica, è costituita dall’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio

dei Ministri, con D.P.C.M. da adottare entro tre mesi, della “Cabina di regia” che è definita come «la struttura

nazionale di riferimento per la cooperazione con la Commissione europea per quanto riguarda l’applicazione

della normativa in materia di appalti pubblici e di concessioni, e per l’adempimento degli obblighi di assistenza e

cooperazione reciproca tra gli Stati membri, onde assicurare lo scambio di informazioni sull’applicazione delle

norme contenute nel presente decreto e sulla gestione delle relative procedure».

Misure assai opportune sono contenute nello schema del nuovo codice in tema di razionalizzazione e riduzione

del contenzioso amministrativo con la previsione dell’anticipazione e della semplificazione della fase delle

impugnazioni nei confronti dei vizi soggettivi che comportano delle esclusioni (oggi circa il 70 per cento del

contenzioso dopo l’assegnazione!) e dei vizi di composizione della commissione di gara, spesso rilevati

strumentalmente ad anni di distanza. Un contenzioso spesso strumentale e pretestuoso che dovrebbe ora essere

depotenziato.

Vengono anche meglio chiarite le " sei vie alternative al contenzioso giudiziale" , ossia gli accordi bonari, il

(nuovo) collegio consultivo tecnico, la transazione, l'arbitrato, la camera arbitrale presso l'ANAC e i pareri di

precontezioso dell'Autorità che potranno ora essere richiesti dalla stazione appaltante , o da una o più delle altre

parti, "relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara", che potranno essere

vincolanti, d'intesa tra le parti.

Un’attenzione merita il principio di unitarietà della progettazione che tende, già nella fase del livello preliminare,

ora “studi di fattibilità”, ad individuare il progetto e il soggetto cui affidare la progettazione definitiva ed

esecutiva, con notevole risparmio di risorse e di tempi ed anche garantendo una migliore stabilità degli indirizzi

progettuali. Forse si poteva e si può fare di più su questo punto.

Il nuovo codice conferma un ampio favor per il concorso di progettazione delle opere pubbliche8, non solo da

parte delle stazioni appaltanti ma anche degli enti aggiudicatori.

è stato soppresso l’appalto integrato, in coerenza con il principio di limitazione espressamente stabilito nella

delega, e si è fatto di più: d’ora in poi gli appalti per l’esecuzione dovranno essere affidati solo sul progetto esecutivo,

una scelta rigorosa che ha lasciato perplesso qualcuno.

Una valutazione positiva occorre dare anche della disciplina dei settori speciali9, che è ora più organica e

compiuta, e tiene in certa misura conto delle peculiarità di settori ad alto contenuto tecnologico.

8 Già in sede di legge delega (lett. oo) viene affermato con chiarezza l'interesse pubblico alla “qualità

architettonica”, da perseguirsi “anche attraverso lo strumento dei concorsi di progettazione” (espressione forse un po'

timida) ma soprattutto viene limitato “radicalmente” il ricorso all'appalto integrato, che come è noto è preferito dalle

imprese perché unisce la proposta progettuale all'offerta di esecuzione, con ciò dischiudendo i mercati dei servizi

professionali di progettazione.

18

Forse si poteva fare meglio sui punti relativi allo stand still (abbreviandone i termini, come nella direttiva ricorsi

del 2007) e alla speciale peculiarità del settore anche in materia di riduzione del numero dei concorrenti da

invitare nelle procedure negoziate, ove il mercato non offra altre opportunità, come pure oggetto di riflessione è

la scelta dei commissari di gara, dall’albo ANAC, che dovrebbero possedere i requisiti specialistici del settore.

Naturalmente il nuovo codice introduce istituti nuovi come il partenariato per l’innovazione e, più in generale, il

partenariato pubblico-privato10 e delinea per la prima volta un contesto normativo unitario per le concessioni,

ove talune scelte essenziali sono state operate dal legislatore della delega: alle concessioni si applicano i principi

essenziali degli appalti ma l’art. 167 fa salvo, pur con limiti, il principio di libera amministrazione delle autorità

pubbliche, stabilito dalla direttiva europea.

Molto dipenderà dalla fase dell’attuazione e dell’interpretazione.

"Appalti, da 660 a 217 articoli :codice più leggero", così ha in prevalenza titolato la stampa nei primissimi

commenti del testo, ponendo giustamente l'enfasi sulla manovra di semplificazione. Ma, come si rileva anche

solo da queste poche note, i temi sono molti e assai rilevanti. Nei giorni finali, precedenti l’approvazione

l'attenzione si è comprensibilmente concentrata sulla disciplina del regime transitorio, dopo l'abrogazione del

regolamento, per evitare ritardi ma anche possibili stasi delle gare da shock normativo, come avvenne ai tempi

della riforma Merloni.

Si è trovata una soluzione equilibrata, secondo il parere del Consiglio di Stato, con l’indicazione specifica delle

parti del regolamento che restano in vigore fino all’emanazione dei decreti ministeriali e delle linee guida

sostitutive. Una soluzione chiara e sostenibile.

Inoltre, l’art. 216 precisa che « Fatto salvo quanto previsto nel presente articolo ovvero nelle singole disposizioni

di cui al presente codice, lo stesso si applica alle procedure e ai contratti per le quali i bandi o avvisi con cui si

indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore

nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai

quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le

offerte».

In claris non fit interpretatio.

2. I principali punti innovativi delle direttive

La direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici e la direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti

erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, hanno modificato e sostituito,

rispettivamente, la direttiva 2004/18/CE e la direttiva 2004/17/CE, allo scopo di realizzare una semplificazione

e una maggiore flessibilità delle procedure, nonché avvicinare la disciplina dei settori “speciali” a quella dei settori

classici. Naturalmente non tutti i principi sono stati ritenuti self executing ed anzi le circa duecento disposizioni

delle direttive, e i più numerosi “considerando”, sembrano tener conto delle differenti peculiarità degli

ordinamenti nazionali.

è stato osservato che le direttive producono effetti giuridici anche prima del recepimento.

Infatti « la direttiva [...] produce effetti giuridici anche prima della scadenza del termine » di recepimento11,

generando « l'obbligo del rispetto di leale collaborazione di cui all'art. 4, par. 3, TUE, di astenersi dall'adottare

misure che abbiano il risultato di rendere più difficile l'attuazione della direttiva o che possano compromettere il

risultato », sì che in tutte le loro emanazioni gli Stati membri nelle more della trasposizione devono interpretare il

diritto nazionale « alla luce della lettera e dello scopo della direttiva »12 .

9 Mi permetto rinviare a P. MANTINI, C. PANETTA, I settori speciali nel nuovo codice dei contratti, in

Osservatorio sugli appalti pubblici- Giustamm.it, n. 9, 2016. 10 In effetti, l'osservazione più diffusa è che vi è molta disponibilità di capitali sui mercati finanziari ed occorre...

trovare il modo di poterli convogliare (e remunerare) ai fini della realizzazione di opere di interesse generale. 11 A.TIZZANO, Trattati dell'Unione europea, Giuffrè, 2014, p. 2259. 12 Cfr. Corte giust. U.E. 8 ottobre 1987, Kolpinghuis Nijmegen, causa C-80/86.

19

Incombe cioè agli stessi « l'obbligo di stand still, che è poi il tradizionale obbligo di buona fede, nel senso che

devono astenersi dall'adottare disposizioni che possano comprometterne il risultato prescritto dalla direttiva »13 .

Come noto l'obbligo di stand still di matrice europea ha espresso riflesso in norme interne come l'art. 117, comma

1, Cost. (se il legislatore è vincolato a norme e principi europei, lo è tanto più chi deve applicare le norme ) e l'art.

1, comma 1, legge n. 241/1990, garanzia di costante conformità dell'azione amministrativa (e perciò del giudizio

su di essa) a norme e principi europei.

Dopo la formale approvazione del nuovo codice il tema ha perso gran parte del suo rilievo pratico.

Si possono, solo in estrema sintesi, ora richiamare i principali contenuti innovativi delle direttive del 2014.

Innanzitutto, il crescente ricorso all'autocertificazione, con l'introduzione del documento di gara unico europeo

(DGUE) che conterrà le informazioni relative all'azienda e l'autocertificazione dei requisiti necessari alla

partecipazione alle gare: si tratta di una novità a livello europeo, ma senza alcun tratto realmente rivoluzionario

per il nostro ordinamento in cui il processo di decertificazione è stato avviato da tempo.

In secondo luogo, l'introduzione di misure incentivanti l'accesso al mercato da parte delle piccole e medie

imprese, mediante la riduzione dei costi amministrativi di partecipazione alle gare. Occorre a riguardo non

trascurare che la struttura del mercato in Italia già vede un'ampia partecipazione delle piccole imprese,

diversamente che in altri paesi, con effetti non sempre positivi sul risultato finale.

Allo stesso fine è prevista l'incentivazione della suddivisione degli appalti in lotti; qualora il contratto non venga

suddiviso in lotti di dimensioni più piccole, l'amministrazione aggiudicatrice sarà tenuta a dare motivazione della

decisione assunta: un'impostazione questa, in parte corretta, a suo tempo, dalla legge Merloni per il rischio di

aumentare la frammentazione nell'esecuzione e i ritardi.

Vi è la previsione, in riferimento ai requisiti di fatturato, di una regola che impone alle stazioni appaltanti di non

introdurre nei bandi soglie minime di fatturato sproporzionate rispetto al valore del contratto (al massimo si

potrà richiedere un fatturato doppio rispetto all'importo a base di gara).

La riduzione dei tempi minimi per la presentazione delle offerte da parte delle imprese: nel caso di procedura

aperta il tempo minimo per la presentazione delle offerte passa da 52 a 35 giorni, in caso di procedura ristretta da

37 a 30 giorni.

Analogamente è previsto l'obbligo, entro un periodo di transizione di 30 mesi, di stabilire la comunicazione

integralmente elettronica tra la p.a. e le imprese in tutte le fasi della procedura, compresa la trasmissione di

richieste di partecipazione e, in particolare, la presentazione delle offerte: una misura che incentiva il mercato

telematico degli appalti.

Di particolare rilievo è l'introduzione, da parte delle direttive, di nuove procedure di affidamento che aumentano

le possibilità di negoziazione tra la p.a. e le imprese in corso di gara, come ad esempio i “partenariati per

l'innovazione”, che consentono alle autorità pubbliche di indire bandi di gara per risolvere un problema

specifico, lasciando spazio alle autorità pubbliche e all'offerente per trovare insieme soluzioni innovative:

naturalmente non occorre confonderli con le procedure di partenariato pubblico privato che costituiscono un

contesto più ampio.

Le direttive prevedono anche l'ampliamento delle possibilità di ricorso alla trattativa privata (procedura negoziata

senza bando) da parte delle stazioni appaltanti. Solo per i settori ordinari, viene introdotta la procedura

competitiva con negoziazione ad esempio, in risposta ad un bando, le imprese inviano un'offerta iniziale che

viene negoziata e progressivamente “limata” con la p.a. fino a pervenire all'offerta finale.

Altro punto significativo è costituito dalla possibilità per gli Stati membri di prevedere il pagamento dei

subappaltatori per le prestazioni affidate direttamente da parte dell'autorità aggiudicatrice, consentendo ai

subappaltatori di proteggersi efficacemente dal rischio di mancato pagamento.

Certamente innovativa è l'introduzione, in materia di subappalto, al fine di combattere il dumping sociale e

garantire che i diritti dei lavoratori siano rispettati, di disposizioni più severe sulle “offerte anormalmente basse”.

13 G. TESAURO, Diritto dell'Unione Europea, Cedam, 2012, p. 144. In giurisprudenza v. Corte giust. U.E., 18 dicembre

1997, Inter-Environnement Wallonie et al., causa C-129/96.

20

Coerentemente si stabilisce la preferenza, per quanto riguarda i criteri di aggiudicazione nell'assegnazione degli

appalti, del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

Viene incoraggiato, inoltre, l'uso strategico degli appalti per ottenere merci e servizi che promuovano

l'innovazione, rispettino l'ambiente e contrastino il cambiamento climatico, migliorando l'occupazione, la salute

pubblica e le condizioni sociali: un paragrafo assai opportuno che evidenzia l'impatto economico, ambientale e

sociale degli appalti e li collega ai temi centrali dello sviluppo economico.

Naturalmente i punti rilevanti sono molti altri ma su ciò si avrà modo di soffermarsi nelle pagine che seguono.

Del tutto nuova è invece la direttiva 2014/25/UE che disciplina, per la prima volta, la materia delle concessioni

facendo tesoro delle pronunce giurisprudenziali.

3. I principali contenuti della legge delega

La legge delega è stata approvata dal Parlamento, dopo un lungo anno di lavori e audizioni, solo il 28 gennaio

2016, con un complesso articolato di principi.

Come ben colto dal parere del Consiglio di Stato, rilasciato dall’Adunanza della Commissione speciale il 21

marzo 2016, i punti maggiormente innovativi sono i seguenti: a) la trasparenza, digitalizzazione e accessibilità

piena agli atti (art. 1, comma 1, lett. q), n. 2, legge delega); obiettivo coerente con le riforme in itinere del codice

dell’amministrazione digitale e del “decreto trasparenza” (il c.d. Freedom of information act italiano);

b) la centralizzazione obbligatoria della committenza, che muove dalla specificità del contesto italiano, connotato

dall’esistenza di oltre 32.000 stazioni appaltanti; in tale obiettivo la delega prosegue in una scelta politica avviata

già negli scorsi anni, senza trascurare l’esigenza di assicurare, a fronte delle grandi centrali di committenza, la

tutela delle piccole e medie imprese (art. 1, comma 1, lett. dd) e cc) legge delega);

c) la qualificazione obbligatoria per le amministrazioni che vogliono svolgere le funzioni di stazione appaltante

(art. 1, comma 1, lett. bb), legge delega);

d) la istituzione di un albo dei commissari di gara presso l’ANAC, a cui le stazioni appaltanti dovranno attingere

per la istituzione delle commissioni di gara (art. 1, comma 1, lett. hh), legge delega);

e) la separazione tendenziale tra progettazione ed esecuzione, la introduzione di istituti e strumenti volti a

garantire la qualità progettuale e la corretta verifica progettuale (art. 1, comma 1, lett. oo), lett. rr), e la necessità

che nelle forme di partenariato siano determinate “modalità e delle tempistiche per addivenire alla predisposizione di specifici

studi di fattibilità che consentano di porre a gara progetti con accertata copertura finanziaria” (art. 1, comma 1, lett. tt), legge

delega);

f) le regole specifiche per alcune tipologie di appalti, per ragioni

(i) di tutela dell’unicità del patrimonio artistico-culturale italiano (appalti relativi ai beni culturali; art. 1, comma 1,

lett. o), legge delega);

(ii) di carattere sociale (servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, servizi ad alta

intensità di manodopera) (art. 1, comma 1, lett. d) e art. 1, comma 1, lett. gg);

(iii) di lotta alla corruzione (appalti della protezione civile, art. 1, comma 1, lett. l), legge delega, e contratti

segretati, art. 1, comma 1, lett. m), legge delega).

g) il rating di legalità, i criteri reputazionali, il sistema di penalità e premialità per gli operatori economici (art. 1,

comma 1, lett. q), n. 5) e lett. uu);

h) i conti dedicati imposti agli operatori economici (art. 1, comma 1, lett. q), n. 4);

i) il soccorso istruttorio (art. 1, comma 1, lett. z), in ciò proseguendosi un percorso già avviato con il d.l. n.

90/2014;

l) le limitazioni ai poteri del contraente generale e il rafforzamento dei controlli pubblici (art. 1, comma 1, lett. ll)

e mm), legge delega);

m) il superamento della c.d. legge obiettivo (art. 1, comma 1, lett. sss), legge delega);

n) l’introduzione di principi concorrenziali per le concessioni, anche già affidate, mediante l’obbligo di

esternalizzazione di una elevata percentuale degli affidamenti e la scansione temporale per l’avvio delle gare in

relazione alle concessioni in scadenza;

21

o) l’introduzione del dibattito pubblico, per assicurare la partecipazione delle collettività locali alle scelte di

localizzazione delle grandi opere aventi rilevante impatto sull’ambiente e sul contesto socio-economico (art.1,

comma 1, lett. qqq), legge delega);

p) una governance efficiente ed efficace attraverso la cabina di regia presso la P.C.M. e il rafforzato ruolo

dell’ANAC che coniuga i compiti di autorità anticorruzione e di vigilanza e regolazione del mercato degli appalti

pubblici.

Come affermato dal Consiglio di Stato «la legge delega coglie il recepimento delle tre direttive come occasione e

sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia, in una nuova filosofia che

coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e

ambientali».

Naturalmente i principi, nel dettaglio, sono anche più numerosi, secondo alcune opinioni anche troppo

numerosi.

Il legislatore delegato si è così trovato, come osservato in precedenza, tra “recepimento” e “riordino”, in un

difficile compito.

4. Principi generali e ambito di applicazione

L’art. 1 del nuovo Codice è molto diverso dal precedente testo del Codice del 2006 avendo assunto, nel corso dei

lavori, il valore di un principio quadro, in certo senso riassuntivo del nuovo assetto della disciplina. Minori sono

le novità riguardanti il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, anche perché l’approvazione della

riforma costituzionale, ora in attesa di referendum conservativo, ha reso consigliabile una definizione più duttile

ed elastica della materia, da riconsiderarsi alla luce delle innovazioni della Costituzione.

L’art. 3 presenta un quadro delle definizioni ancora più ampio del precedente, arricchito da istituti di diretta

derivazione eurocomunitaria.

In particolare, l’articolo 1 recepisce gli articoli 1, 13 e 23 della direttiva 2014/24/UE, 1 e 41 della direttiva

2014/25/UE nonché 1 e 27 della direttiva 2014/23/U. Esso definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione del

codice, stabilendo che lo stesso disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni

aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché

i concorsi pubblici di progettazione. Si elencano, poi, particolari tipologie di contratti soggetti all’applicazione del

nuovo codice, anche in parte mutuando i contenuti della disciplina attualmente recata nell'aticolo 32 del decreto

legislativo n. 163 del 2006, e sistematizzandone la collocazione14.

14 Nel parere il Consiglio di Stato ha in particolare osservato che «l’art. dello schema di decreto, nel definire l’ambito di

applicazione della nuova normativa, riprende il contenuto di alcune disposizioni contenute nelle direttive (artt. 1, 13 e

23 della direttiva 2014/24/UE, nonché 1 e 27 della direttiva 2014/23/UE).

Articolo 1, comma 2, lettera d)

L’art. 1, comma 2, lett. d), dispone che il codice si applica anche ai “d) lavori, servizi e forniture affidati dalle società

con capitale pubblico, anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della

loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati

sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del

decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, fatto salvo quanto

previsto all’articolo 192”.

La qualificazione come soggetto tenuto al rispetto delle regole di scelta del contraente anche delle società appartenenti

alla tipologia descritta (che non sono né organismi di diritto pubblico ne soggetti in house) non è imposta dal diritto

europeo. La norma riprende il contenuto dell’art. 32, comma 1, lett. c), dell’abrogando d.lgs. n. 163 del 2016.

Il mantenimento di tale disposizione potrebbe presentare problemi di compatibilità con il riordino delle società

pubbliche in corso di definizione in attuazione della legge n. 124 del 2015, nel cui ambito tale tipologia societaria non

sembra collocarsi in modo sistematicamente coerente. Si segnala, inoltre, che la norma in esame rinvia a disposizioni

contenute nel d.lgs. n. 267 del 2000, che saranno “superate” dal nuovo testo unico sui servizi pubblici locali».

22

Per quanto concerne i contratti pubblici aggiudicati nei settori della difesa e della sicurezza, si chiarisce che esso

si applica anche ai suddetti contratti, salvo che per quelli rientranti nell’alveo della disciplina recata dal decreto

legislativo 15 novembre 2011, n. 208.

È, inoltre, previsto che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale adotti, d’intesa con

l’ANAC, direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l’esecuzione del contratto da

svolgersi all’estero, tenuto conto dei principi fondamentali del nuovo codice e delle procedure applicate

dall’Unione Europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l’Italia è parte. Resta ferma l’applicazione del

codice alle procedure di affidamento svolte in Italia. Infine, si dispone la salvezza di tutte le speciali disposizioni

vigenti in materia per le amministrazioni, gli organismi e gli organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e

contabile.

L’articolo 2, relativo alle competenze legislative di Stato, regioni e province autonome, delinea il riparto delle

competenze legislative di Stato, regioni e province autonome, nel modo elastico suggerito dallo stesso Consiglio

di Stato15.

L’articolo 3, riguardante le “definizioni”, recepisce gli articoli 2, 33, par. 1 della direttiva 2014/24/UE, 2, 3, 4, 29,

par. 1, 51, par. 1 della direttiva 2014/25/UE, 5, 6, 7 e 13, par. 1 della direttiva 2014/23/UE. Esso contiene le

definizioni contenute nel codice, che comprendono quelle contenute nelle direttive europee, con i necessari

adeguamenti in relazione all’assetto dell’ordinamento interno16. Rispetto al precedente codice, si tiene conto

15 Nel parere recepito il Consiglio di Stato ha osservato che «in primo luogo, l’attuale formulazione sembra riconoscere

uno spazio generale di intervento alle Regioni che la giurisprudenza costituzionale riconosce soltanto nei limiti già

indicati nella parte generale di questo parere.

In secondo luogo, la norma pone quale vincolo all’esercizio delle funzioni legislative regionali il rispetto di

“disposizioni di legge statale”. La dizione è eccessivamente generica in quanto non si comprende quali siano le

“disposizioni” che possono venire in rilievo. Il riferimento dovrebbe essere alle sole “disposizioni”, relative al settore

dei contratti pubblici, che sono adottate dal legislatore statale nell’esercizio di una funzione legislativa in una materia di

propria competenza costituzionale, non senza rilevare che nelle materie di competenza concorrente il vincolo per le

Regioni deriva dai soli “principi” e non da tutte le “disposizioni” della legge statale.

Si propone, in alternativa alla eliminazione della norma, la seguente formulazione.

“1. Le disposizioni contenute nel presente codice sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva

statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo

specifico contratto.

2. Le Regioni a statuto ordinario esercitano le proprie funzioni nelle materie di competenza ragionale ai sensi

dell’articolo 117 della Costituzione.

3. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione

secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione.”

ARTICOLO 3 (DEFINIZIONI)

L’art. 3 contiene richiami alle singole definizioni mediante un sistema di duplicazione delle lettere che rende di difficile

lettura il testo.

La lett f) dell’art. 3 reca la definizione di “soggetti aggiudicatori” ai soli fini della Parte III, e di “altri soggetti

aggiudicatori” intesi come soggetti privati tenuti all’osservanza del codice. Si segnala che la parte III riguarda le

concessioni e in essa non compare la figura dei soggetti aggiudicatori, che è invece propria degli istituti della finanza di

progetto, del

partenariato, del contraente generale e infrastrutture strategiche (v. anche il (pre)vigente codice appalti d.lgs. n.

163/2006, art. 3, comma 32). Pertanto, il corretto riferimento è alla parte IV, e non III, del codice. Inoltre, si segnala che

l’espressione soggetto aggiudicatore compare anche negli articoli 27 e 104, che non sono contenuti nella parte IV (né

nella parte III). Al fine di evitare confusioni definitorie e applicative si suggerisce di rivedere e chiarire la terminologia

utilizzata negli articoli 27 e 104». 16 Sul punto il Consiglio di Stato, nel citato parere, ha espresso diversi rilievi sullo schema di decreto, in larga misura

recepiti nel testo finale. In particolare ha osservato che « la lett. eee) dell’art. 3 reca una definizione di partenariato

pubblico privato che fa riferimento alle sole “opere fredde” e manca qualsiasi riferimento alle concessioni e al

partenariato istituzionale, presenti invece nel d.lgs. 163/2006 all’art. 3, comma 15-ter. Inoltre, lo stesso istituto trova una

definizione anche nell’art. 180 (partenariato pubblico-privato), dove si riscontra una definizione più corretta di

partenariato che considera anche le “opere calde”. La presenza di due definizioni, peraltro non univoche, per lo stesso

oggetto può creare rischi interpretativi; pertanto sarebbe opportuno riportare nell’art. 3 la definizione contenuta nel

citato art. 180, limitandosi in quest’ultimo a operare un rinvio all’art. 3.

23

anche della legislazione nazionale intervenuta medio tempore, e sono, altresì, inserite nuove definizioni, tra cui,

quella di joint venture, quale associazione tra due o più enti, finalizzata all’attuazione di un progetto o di una serie

di progetti o di determinate intese di natura commerciale e/o finanziaria. Merita di essere segnalato, inoltre, che

per la prima volta vengono introdotte le definizioni di: partenariato pubblico privato, lavori complessi e opere

incompiute, rischio operativo, rischio di costruzione, rischio di disponibilità, rischio di domanda.

Cap. 14 Contenzioso dinanzi al giudice amministrativo e rimedi alternativi al ricorso

giurisdizionale

di Pierluigi Mantini e Giovanni Caputi

Nella lett. uu) dell’art. 3, nella definizione delle concessioni, è opportuno sostituire le parole “gestire i lavori” e

“gestione dei lavori”, rispettivamente con “gestire le opere” e “gestione delle opere”. Infatti ciò che si gestisce nella

concessione sono le opere, non i lavori, come del resto si evince dalla versione francese delle direttive, che distinguono

tra ouvrage e travaux.

La lett. vvv) dell’art. 3 reca la definizione del dialogo competitivo, prevedendo come presupposto di ammissibilità che

si tratti di appalti “particolarmente complessi”. Si propone di eliminare l’inciso “in caso di appalti particolarmente

complessi” che è mutuato dalla definizione del dialogo competitivo contenuta nell’art. 3 dell’abrogando d.lgs. n.

163/2006, ma che era ritagliata sulla direttiva 18/2004, che circoscriveva il dialogo competitivo agli appalti

“particolarmente complessi”. Gli artt. 26, par. 4 e 30 direttiva 24, facendo riferimento ai diversi requisiti

dell’innovatività, della negoziazione e dell’esistenza di soluzioni disponibili, non contengono tale presupposto, né lo

contengono gli artt. 59 comma 2 e 64 del codice. Perciò la definizione non è in linea con il recepimento del dialogo

competitivo, né con la direttiva, né con la legge delega che pone il generale divieto di gold plating.

Sul piano del drafting, infine, si osserva che l’uso delle lettere per elencare le 83 definizioni contenute nell’art. 3 è

molto pesante e sacrifica la leggibilità della disposizione. Si suggerisce, pertanto di usare i numeri per ordinare le

definizioni ovvero, in conformità al metodo adoperato nell’art. 3 del (pre)vigente codice, di creare tanti commi quante

sono le definizioni».

I paragrafi 1 e 2 sono a cura di Pierluigi Mantini; I paragrafi 3 e 4 sono a cura di Giovanni Caputi.

Sommario: 1. La semplificazione dei riti in materia di appalti; 2. I rimedi alternativi al ricorso

giurisdizionale; 2.1 L’accordo bonario nel nuovo codice; 2.2. Il nuovo istituto del collegio consultivo

tecnico; 2.3 La transazione negli appalti; 2.4 L’arbitrato e le ulteriori forme di ADR nel nuovo codice;

3. La frammentazione della tutela giurisdizionale nel nuovo Codice dei contratti pubblici. 3.1

L’inquadramento concettuale della nuova previsione processuale. 3.2 Il parere del Consiglio di Stato;

3.3.1 Sull’impugnazione immediata di ammissioni, esclusioni e nomina commissione. 3.3.2. Sulle

regole di procedura del nuovo rito; 3.4 Le permanenti criticità del nuovo processo; 3.4.1

L’individuazione del “provvedimento di ammissione alla gara” e dei suoi presupposti ed il

coordinamento tra l’art. 29 comma 1, l’art. 53 e l’art. 32 del nuovo D.Lgs. 50/2016; 3.4.2 Il difficile

coordinamento con i principi di autodichiarazione e di effettiva conoscenza del vizio; 3.4.3. Il difficile

coordinamento con le fasi e la tempistica del procedimento; 3.4.4. La possibile inutile complicazione

delle operazioni di gara; 3.4.5. I principi della direttiva 2007/66; 3.4.6. La tutela risarcitoria nel

processo sulle ammissioni; 3.4.7. L’aumento del costo del processo; 3.4.8. I principi costituzionali ed

eurounitari e il processo sulle ammissioni; 3.5. Conclusioni.

3.5 Conclusioni.

24

1. La semplificazione dei riti in materia di appalti

Le note che seguono offrono un’esposizione semplice e ricostruttiva della disciplina del nuovo codice in materia

di processo amministrativo e di rimedi giustiziali alternativi, riflettendo, dall’interno della commissione tecnica

governativa, gli intenti innovativi dei redattori per lo più ispirati dall’esigenza di deflazione del contenzioso.

Dopo la stagione della “nuova accelerazione”17 dei riti sugli appalti il recente codice dei contratti pubblici

prevede numerose innovazioni sia al fine della riduzione del contenzioso (vero, grande problema del sistema

italiano degli appalti) e sia per favorire i rimedi alternativi al ricorso giurisdizionale.

In primo luogo, si riafferma il principio secondo cui gli atti delle procedure di affidamento di commesse

pubbliche, nonché i connessi provvedimenti dell'ANAC, sono impugnabili unicamente mediante ricorso

giurisdizionale. Ma, in particolare, al fine di razionalizzare il processo in materia di gare pubbliche, sono

apportate modifiche al codice del processo amministrativo. Si prevede che i vizi relativi alla composizione della

commissione di gara, all’ammissione e all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-

finanziaria e tecnico-professionali sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili dinanzi al giudice

amministrativo, precludendosi la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura di

gara, anche con ricorso incidentale.

Si dispone, inoltre, che il giudizio, ferma la possibilità della sua definizione immediata nell'udienza cautelare ove

ne ricorrano i presupposti, venga comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata

d'ufficio.

Al fine di razionalizzare il processo in materia di gare pubbliche, il giudizio è definito da una camera di consiglio

da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su

richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica. Le parti possono produrre

documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi e presentare repliche, ai

nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi.

Si dispone, inoltre, che il Tribunale amministrativo regionale depositi la sentenza con la quale definisce il giudizio

entro trenta giorni dall'udienza di discussione, ferma restando la possibilità di chiedere l'immediata pubblicazione

del dispositivo entro due giorni.

Si stabilisce, infine, che nel giudizio di appello la sentenza di rigetto possa essere motivata richiamando le

argomentazioni della sentenza del Tribunale amministrativo regionale. Sono, da ultimo, previste forme di

proposizione di ricorso cumulativo.

Sono tutti “aggiustamenti” espressamente mirati alla riduzione del contenzioso e alla maggiore celerità del

giudizio.

In particolare, l’idea di anticipare la tutela nel contenzioso sui requisiti soggettivi, che costituisce circa il 70 per

cento dei ricorsi sugli appalti, è stata a lungo discussa nell’ambito della giustizia amministrativa e della dottrina18.

Funzionerà? Con la riforma si ha la pubblicazione di un elenco degli ammessi e degli esclusi e chi vorrà ricorrere

contro gli ammessi non sarà nelle condizioni di conoscere il futuro aggiudicatario: ricorrerà contro tutti? Vi

saranno i presupposti dell’interesse legittimo a ricorrere avverso l’ammissione di meri concorrenti? Nei confronti

della esclusione propria senza dubbio.

17 Sia consentito rinviare, ex multiis a P. MANTINI, Nel cantiere dei nuovi appalti pubblici, Milano, 2015, pp. 181 ss.. 18 A. PAJNO, I contratti pubblici e il processo, in PAJNO A., TORCHIA L. (a cura di), La nuova disciplina dei contratti

pubblici: le regole, i controlli, il processo, Paper Astrid, 2015, pp. 51 ss.; P. MANTINI, Nel cantiere dei nuovi appalti

pubblici, op. cit., pp. 179 ss..

25

Oggi, invece, i ricorsi sulla presunta carenza di requisiti soggettivi sono indirizzati, quasi automaticamente, contro

il vincitore della gara o chi lo segue in posizione utile, spesso in modo strumentale.

Ma, dopo la riforma, tutto ciò non sarà più possibile19.

È anche significativo rilevare che con la “novella” del codice del processo amministrativo, determinata dall’art.

204, nella decisione cautelare, il giudice dovrà motivare in ordine alla sussistenza di esigenze imperative connesse

a un interesse generale alla esecuzione delle prestazioni contrattuali: in altri termini, se l’opera è urgente e

necessaria si dovrà propendere per il risarcimento del danno subito dal ricorrente (vittorioso) e non per la

sospensiva. Sarà interessante valutare come la giurisprudenza accoglierà questo nuovo principio ma è certo che si

è fatto un passo in avanti nella direzione della limitazione delle sospensive20 ed in favore del risarcimento del

danno per equivalente, aprendo nuove prospettive.

Naturalmente occorre ben evidenziare che, sotto il profilo del regime transitorio e degli effetti dello ius

superveniens, le innovazioni che incidono sul procedimento seguono le chiare regole dell’art. 216 (ossia non si

applicano alle procedure avviate, come previsto), le innovazioni che incidono sul processo amministrativo, in

particolare quelle relative all’anticipazione del giudizio prognostico in sede cautelare (sussistenza delle “esigenze

imperative” come presupposto per la tutela risarcitoria) devono a nostro avviso ritenersi applicabili ai processi

avviati dopo il 19 aprile 2016, anche in relazione a procedure di gara svolte anteriormente.

Secondo questo nostro assunto ciò non vale, però, per le controversie relative alle ammissioni e alle esclusione

dei concorrenti per difetto dei requisiti soggettivi poiché in tal caso prevale il diritto intertemporale che regola la

fase sostanziale, secondo le regole dell’art. 216 nuovo codice.

2. I rimedi alternativi al ricorso giurisdizionale

Sebbene i tempi della giustizia amministrativa siano lusinghieri, da più tempo è in corso una riflessione

sull'introduzione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie in cui sia parte la pubblica

amministrazione.

Nel diritto comunitario vi sono precise indicazioni di valorizzazione di forme di tutela non giurisdizionale o

amministrativa, per esempio, mediante affidamento ad organi esterni altamente specializzati.

Si tratta di un indirizzo che Governo e Parlamento hanno già intrapreso in campo civile e commerciale laddove

la valorizzazione di tali strumenti è avvenuta sulla base del recepimento di direttive comunitarie, favorito da un

sostrato comune.

19 Osserva a riguardo il Consiglio di Stato che «la sottoposizione dei concorrenti all’onere di un doppio giudizio (prima

quello preliminare sugli atti di ammissione ed esclusione, quindi quello finale sull’esito della gara) pone l’esigenza

equitativa di ridurre significativamente (si può pensare a un dimezzamento) l’entità del contributo unificato per il

contenzioso a valle», in Parere, cit. 20 A riguardo il Consiglio di Stato, nel parere più volte citato, osserva che in relazione al giudizio cautelare «l’art. 204

introduce, in ossequio alla legge delega, un comma 8-ter nell’art. 120 cod. proc. amm.: si tratta di previsione che

richiede al giudice, in sede di bilanciamento degli interessi in sede cautelare, di tener conto delle disposizioni degli artt.

121, comma 1, e 122 cod. proc. amm. La previsione può essere ritenuta una esplicitazione dei parametri già utilizzati in

sede di bilanciamento, attraverso un giudizio prognostico.

Quanto, invece, al rito “superspeciale” previsto per le ammissioni e le esclusioni, la tutela cautelare diventa, di fatto e

nella ordinarietà dei casi, superflua, attesi i tempi strettissimi in cui si perviene alla decisione di merito, di cui può anche

essere anticipata la pubblicazione del dispositivo. Sicché la funzione anticipatoria che è propria e tipica della tutela

cautelare non troverà ordinariamente possibilità di pratica esplicazione.

In tale prospettiva si comprende perché l’art. 204, nel novellare il comma 8 dell’art. 120 cod. proc. amm., relativo alla

tutela cautelare, fa “salvo quanto previsto al comma 6-bis”.

Tuttavia tale inciso, se rispondente alla ratio della ordinaria non necessità della tutela cautelare nel rito “superspeciale”,

dà luogo a dubbi sul piano dei principi comunitari e costituzionali in tema di indefettibilità della tutela cautelare. Difatti,

la tutela cautelare non può essere preclusa ex ante, in via generale, anche ove, di fatto, ed ordinariamente, ex post non

sia necessaria.

Sicché, potrebbe essere opportuno sopprimere la lett. f) del comma 2 dell’art. 204».

26

Le peculiarità che caratterizzano il diritto amministrativo, quali il concetto di atto amministrativo, le nozioni di

interesse legittimo e di risarcimento di tale posizione soggettiva, non hanno sin qui agevolato l'introduzione di

tale istituto.

A ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione secondo cui il fatto che una delle parti sia costituita da uno dei tre

poteri dello Stato, inteso come amministrazione, rende probabilmente più insidioso il ricorso a un “giudice”

diverso da quello statale.

Come è stato puntualmente ricostruito21 , storicamente si riconduce la nascita dei rimedi alternativi alla

giurisdizione al professore Frank Sander il quale, nel corso della Pound Conference, tenutasi nel 1976 negli Stati Uniti

e dedicata al tema dell'amministrazione della giustizia e alle sue criticità, introdusse il concetto della multidoor

courthouse ossia l'idea, già consolidata nella prassi, di una pluralità di soluzioni o strumenti che possono essere

utilizzati per gestire una lite22.

Nel tempo la dottrina nordamericana ha variamente spiegato la tendenza ad introdurre e valorizzare strumenti

alternativi delle controversie riconducendoli sostanzialmente ad obiettivi di efficienza ordinamentale e, dunque, al

fine di assicurare una tutela più celere e adeguata alla soddisfazione del diritto del cittadino23. L'ordinamento

comunitario, sin dagli anni Novanta, guarda con favore all'introduzione di tali strumenti deflattivi del

contenzioso24.

Da ultimo, il considerando (29) della dir. 2014/24/UE prevede che « ...i servizi d'arbitrato e di conciliazione e altre

forme analoghe di risoluzione alternativa delle controversie sono di norma prestati da organismi o persone approvati, o selezionati,

secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti. Occorre precisare che la presente

direttiva non si applica agli appalti di servizi per la fornitura di tali servizi indipendentemente dalla loro denominazione nel diritto

interno »25.

Un espresso criterio in questo senso è già contenuto nel disegno di legge delega per l'attuazione delle nuove

direttive nella materia dei contratti pubblici e delle concessioni ove si prescrive « la razionalizzazione dei metodi

di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del

contratto, limitando il ricorso alle procedure arbitrali, ma riducendone il costo »26.

La formulazione della legge delega, e in particolare il riferimento ivi contenuto alla razionalizzazione, lascia

pensare ad un'idea di giustizia intesa come bene finito, scarso tale da suggerirne un “impiego economico” 27.

Si tratta di una tesi da tempo autorevolmente sostenuta da Pajno secondo il quale « non può seriamente parlarsi di

politiche deflattive della giurisdizione se non si rilanciano con forza gli strumenti ad essa alternativi, pienamente coerenti con la

considerazione che la giurisdizione è una risorsa ed un servizio pubblico »28.

21 M. RAMAJOLI, Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie pubblicistiche, in Dir. Amm., 2014, 1-2, pp. 1

ss.. 22 A. L. LEVIN, R.R. WHEELER, The Pound Conference: Perspectives on Justice in the Future, West Publishing co., St

Paul Minnesota, 1979.

23 La previsione è stata introdotta attraverso la modifica dell'articolo 120 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.

Su questi temi sia consentito rinviare a P. MANTINI, Osservazioni minime sulla giustizia amministrativa e gli appalti nel

d.l. n. 90/2014, in Osservatorio sugli appalti pubblici, GiustAmm.it — Rivista Internet di diritto pubblico, 2014. 24 Le ADR sono infatti espressamente menzionate nel Libro Verde sull'accesso dei consumatori alla giustizia, del 1993,

nella direttiva 97/5/CE, sui bonifici transfrontalieri, nella direttiva 97/7/CE, sulla tutela dei consumatori nei contratti a

distanza, nonché oggetto di atti non vincolanti, quali la Comunicazione della Commissione sulla risoluzione

extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, del 1998 e la Raccomandazione della Commissione

98/257/CE, riguardante i principi applicabili agli organismi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle

controversie in materia di consumo, dello stesso anno. 25 Considerando (29), dir. 2014/24/UE.

26 Art. 1, comma 1, lettera pp), A. S. n. 1678 come approvato dal Senato. 27 Si veda Cass. civ., ord. 6 settembre 2010, n. 19051. 28 PAJNO A., Giustizia amministrativa e crisi economica, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 2013, 5-6, pp. 951 ss..

27

L'Autore osserva che, anche a seguito dell'introduzione dell'istituto della mediazione in materia civile e

commerciale, il ricorso a strumenti alternativi alla giurisdizione a fini deflattivi sembra ormai una via quasi

obbligata29.

A conforto di tale tesi egli richiama le considerazioni formulate dalla Corte di Cassazione in merito all'istituto del

c.d. filtro secondo cui «l'introduzione di norme volte a prevedere filtri all'accesso alla tutela giurisdizionale trova il proprio

fondamento nella convinzione che il principio di effettività della tutela postuli un adeguato bilanciamento tra diritto delle parti agli

strumenti processuali, e concreta possibilità di esercizio della funzione del giudice, garanzia a sua volta del principio di eguaglianza di

cui all'art. 3 Cost.; e che tale adeguato bilanciamento sia conseguibile soltanto con un “impiego economico” della risorsa costituita

dalla giurisdizione e da una sua articolazione»30 .

La riforma del Codice dei contratti pubblici razionalizza e favorisce il ruolo dei mezzi alternativi al ricorso

giurisdizionale attraverso i sei tipi dell’accordo bonario, sia per i lavori che per i servizi e le forniture, del collegio

consultivo tecnico, della transazione, dell’arbitrato e, anche, dei pareri di precontenzioso dell’ANAC.

2.1 L’accordo bonario nel nuovo codice

La nuova disciplina dell’accordo bonario per i lavori è coerente con quanto disposto dal criterio di delega di cui

all’articolo 1, comma 1, lettera aaa), della legge 28 gennaio 2016 n. 11, che richiede la razionalizzazione dei

metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizionale, anche in materia di esecuzione del

contratto, disciplinando il ricorso alle procedure arbitrali al fine di escludere il ricorso a procedure diverse da

quelle amministrate, garantendo trasparenza, celerità ed economicità e assicurando il possesso dei requisiti di

integrità, imparzialità e responsabilità degli arbitri e degli eventuali ausiliari. La disposizione prevede l’applicabilità

della fattispecie dell’accordo bonario per i lavori pubblici affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti

aggiudicatori, ovvero dai concessionari, nel caso in cui, a seguito dell’iscrizione di riserve sui documenti contabili,

l'importo economico dell'opera possa variare per un importo compreso tra il 5 e il 15 % dell’importo contrattuale

e non più per un importo non inferiore al 10% come disposto dall’articolo 240 del d.lgs. n. 163/2006. Il

procedimento dell’accordo bonario riguarda tutte le riserve iscritte fino al momento dell’avvio del procedimento

stesso e può essere reiterato per una sola volta quando le riserve iscritte, ulteriori e diverse rispetto a quelle già

esaminate, raggiungano nuovamente l'importo compreso tra il 5 e il 15 %, nell’ambito comunque di un limite

massimo complessivo del 15% dell’importo del contratto. Le domande che fanno valere pretese già oggetto di

riserva non possono essere proposte per importi maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse. Non

possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica. Prima dell’approvazione

del certificato di collaudo ovvero di verifica di conformità o del certificato di regolare esecuzione qualunque sia

l’importo delle riserve, il responsabile del procedimento attiva l’accordo bonario per la risoluzione delle riserve

iscritte.

Il direttore dei lavori o il direttore dell’esecuzione del contratto dà immediata comunicazione delle riserve al

responsabile del procedimento il quale valuta l'ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle riserve ai fini

dell'effettivo raggiungimento del limite di valore. Il responsabile del procedimento, entro 15 giorni dalla

comunicazione, acquisita la relazione riservata del direttore dei lavori e, ove costituito, dall’organo di collaudo,

richiede alla Camera arbitrale, l’indicazione di una lista di 5 esperti aventi competenza specifica in relazione

all’oggetto del contratto. Il responsabile del procedimento e il soggetto che ha formulato le riserve scelgono

d’intesa, nell’ambito della lista, l’esperto incaricato della formulazione della proposta motivata di accordo

bonario. Si evidenzia che l’articolo 240 del d.lgs. n. 163/2006 prevede, invece, che il responsabile del

procedimento, entro trenta giorni dal ricevimento del certificato di collaudo o di regolare esecuzione, promuova

la costituzione di una commissione composta da tre membri, indipendentemente dall'importo economico delle

riserve ancora da definirsi. In caso di mancata intesa tra il responsabile del procedimento e il soggetto che ha

formulato le riserve, entro 15 giorni dalla trasmissione della lista, l’esperto è nominato dalla Camera arbitrale. La

29 PAJNO A., Giustizia amministrativa e crisi economica, op.cit. 30 Cass. civ., ord. 6 settembre 2010, n. 19051.

28

proposta è formulata entro 90 giorni dalla nomina. L’esperto, tra l’altro, verifica le riserve in contraddittorio tra il

responsabile del procedimento e il soggetto che le ha formulate, istruisce la questione anche con la raccolta di

dati e informazioni e con l’acquisizione di eventuali altri pareri e quindi formula una proposta di accordo

bonario, che viene trasmessa al responsabile del procedimento e al soggetto che ha formulato le riserve. Se la

proposta è accettata entro 45 giorni dal ricevimento, l’accordo bonario è realizzato e viene redatto verbale a cura

dell’esperto, sottoscritto dalle parti e dall’esperto. Il verbale è inoltrato alla stazione appaltante per le valutazioni

definitive. L’accordo ha natura di transazione. Sulla somma riconosciuta in sede di accordo bonario sono dovuti

gli interessi al tasso legale a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla accettazione dell’accordo bonario

da parte della stazione appaltante. In caso di reiezione della proposta da parte del soggetto che ha formulato le

riserve, ovvero di inutile decorso del termine, possono essere aditi gli arbitri o il giudice ordinario.

L’art. 206 del nuovo codice dei contratti (d.lgs. n. 50/2016) detta previsioni anche in materia di accordo bonario

per i servizi e le forniture adattando le disposizioni previste per l’accordo bonario in materia di affidamento di

lavori pubblici, in quanto compatibili, ai contratti di fornitura di natura continuativa o periodica, e di servizi31

2.2 Il nuovo istituto del collegio consultivo tecnico

Il collegio consultivo tecnico è un nuovo istituto giuridico per la risoluzione stragiudiziale delle controversie in

materia di affidamento di commesse pubbliche. A tal fine, le parti possono convenire che, prima dell’avvio

dell’esecuzione, sia costituito un collegio consultivo tecnico con funzioni di assistenza per la rapida risoluzione

delle dispute di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto stesso. L’articolo 207

definisce, altresì, la relativa procedura per la composizione della controversia.

Questo nuovo istituto è stato mantenuto nonostante le diverse voci che ne suggerivano la soppressione dal testo

finale.

a. La transazione negli appalti

L’art. 208, in tema di transazione, in aderenza al criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera aaa), della

legge 28 gennaio 2016 n. 11, dispone che le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei

contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possano essere risolte mediante transazione, nel rispetto del codice

civile, solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi. Ove il valore

dell’importo oggetto di rinuncia sia superiore a 100.000,00 euro, ovvero 200.000 euro in caso di lavori pubblici, si

dispone l’obbligo di acquisire il necessario parere legale, in base alla normativa vigente. La proposta di

transazione può essere formulata dal soggetto aggiudicatario e dal dirigente competente, sentito il RUP.

2.4 L’arbitrato e le ulteriori forme di ADR nel nuovo codice

In coerenza a quanto disposto dal criterio di delega di cui alle lettere pp) e aaa), della legge 28 gennaio 2016, n. 11,

l’art. 209 nuovo Codice prevede che le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti

pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al

mancato raggiungimento dell'accordo bonario possono essere deferite ad arbitri. Aggiunge, altresì, rispetto al

disposto dell’articolo 241 del d.lgs. n. 163/2006, che l’arbitrato, ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 6

novembre 2012, n. 190, si applica anche alle controversie relative a concessioni, appalti pubblici di opere, servizi

e forniture in cui sia parte una società a partecipazione pubblica ovvero una società controllata o collegata a una

società a partecipazione pubblica, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, o che comunque abbiano ad oggetto

31 A riguardo, il parere del Consiglio di Stato muove i seguenti rilievi: «nel caso dei servizi e forniture la procedura il

metodo di risoluzione alternativo in esame diviene esperibile per tutte le controversie insorgenti nella fase esecutiva del

contratto ed aventi ad oggetto “la corretta valutazione dell’esattezza della prestazione pattuita” (art. 206); la formula è

tuttavia ridondante, essendo più corretto riferirsi all’”esatta esecuzione delle prestazioni dovute”;

- in un contesto volto all’ampliamento dell’ambito di operatività dell’istituto ne è precluso il suo impiego per gli aspetti

progettuali “che sono stati oggetto di verifica ai sensi dell’art. 26” (art. 205, comma 2. terzo periodo)».

29

opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici. Il deferimento ad arbitri è sempre

subordinato alla preventiva autorizzazione, motivata, da parte dell'organo di governo dell'amministrazione. La

norma prevede che la stazione appaltante indica nel bando o nell'avviso con cui indice la gara ovvero, per le

procedure senza bando, nell'invito, se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria. L'aggiudicatario

può ricusare la clausola compromissoria, che in tale caso non è inserita nel contratto, comunicandolo alla

stazione appaltante entro venti giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione. È vietato in ogni caso il

compromesso. L’articolo introduce una nuova disposizione secondo cui l'inclusione della clausola

compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le

procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli. Il

collegio arbitrale è composto da tre membri ed è nominato, a differenza di quanto previsto dall’articolo 241

secondo cui i membri sono solo scelti dalle parti, dalla Camera arbitrale. Ciascuna delle parti, nella domanda di

arbitrato o nell'atto di resistenza alla domanda, designa l'arbitro di propria competenza scelto tra soggetti di

provata esperienza e indipendenza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce. Il Presidente del

collegio arbitrale è nominato e designato dalla Camera arbitrale, scegliendolo tra i soggetti iscritti all’albo e in

possesso di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce. Viene introdotta

una nuova disposizione secondo cui la nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali è parte

una pubblica amministrazione avviene nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione, oltre che nel rispetto

delle disposizioni del presente codice. Qualora la controversia si svolga tra due pubbliche amministrazioni, gli

arbitri di parte sono individuati tra i dirigenti pubblici. Qualora la controversia abbia luogo tra una pubblica

amministrazione e un privato, l’arbitro individuato dalla pubblica amministrazione è scelto, preferibilmente, tra i

dirigenti pubblici. In entrambe le ipotesi, qualora l’Amministrazione con atto motivato ritenga di non procedere

alla designazione dell’arbitro nell’ambito dei dirigenti pubblici, la designazione avviene nell’ambito degli iscritti

all’albo.

La rimanente disciplina segue principi noti.

Infine viene rafforzato il ruolo dei pareri di precontenzioso dell’ANAC .

L’art. 211 prevede che su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprima

parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Qualora l’altra parte

acconsenta preventivamente, il parere purché adeguatamente motivato, obbliga le parti ad attenersi a quanto in

esso stabilito.

Ma l’analisi dei singoli “rimedi alternativi” non è sufficiente ed occorre allargare lo sguardo anche ad altre misure

previste dal nuovo codice in grado di incidere sostanzialmente sulle dinamiche del controllo di legalità.

Si può far riferimento, ad esempio, al secondo comma dell’art. 211 che attribuisce all’ANAC il sostanzioso potere

di stand still nei confronti della stazione appaltante rafforzato da una rilevante sanzione pecuniaria a carico del

dirigente che non si adegui alla “raccomandazione” dell’Autorità32.

È difficile non intravedere, nel nuovo regime normativo, una seria criticità e ciò sia sul versante dell’effetto

sospensivo e sia per la “centralizzazione” in capo all’ANAC di valutazioni anche dell’interesse pubblico e non

solo di legittimità, tipiche delle funzioni di amministrazione attiva.

A ben vedere il mantenimento in capo all’ANAC, nonostante il contrario parere del Consiglio di Stato sul punto

di un generale potere di supremazia gerarchica su tutte le stazioni appaltanti che oggettivamente destabilizza

l’assetto ordinamentale in materia di appalti.

32 Recita, infatti, il secondo comma dell’art. 211 che «qualora l’Autorità, nell’esercizio delle proprie funzioni, accerti

violazioni che determinerebbero l’annullabilità d’ufficio di uno dei provvedimenti ricompresi nella procedura ai sensi

degli articoli 21-opties e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n.241, invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine

non superiore a sessanta giorni. La raccomandazione ha effetto sospensivo sul procedimento di gara in corso per il

medesimo termine di sessanta giorni, qualora dal provvedimento possa derivare danno grave. Il mancato adeguamento

della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione

amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del

dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 36

del presente decreto».

30

Dinanzi alla già radicata “paura della firma” quale sarà il responsabile unico del procedimento che, nel ricevere la

“raccomandazione” dell’ANAC33, non si atterrà ad essa essendo tale condotta sanzionabile fino a 25.000 euro,

oltre che ai fini della carriera?

3. La frammentazione della tutela giurisdizionale nel nuovo Codice dei contratti pubblici.

Il d.lgs. n. 50/2016, il nuovo testo normativo che sostituisce il Codice dei contratti pubblici, reca, tra le altre cose,

all’art. 204, la riforma dell’art. 120 del Codice del processo amministrativo (di seguito c.p.a.), attraverso

l’introduzione di un nuovo rito che si aggiunge a quelli già esistenti e porta il numero dei riti del processo

amministrativo al non esiguo numero di 834.

In buona sostanza, al comma 2 del menzionato articolo del c.p.a. viene aggiunto un comma 2 bis, prevedendosi

che “Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della valutazione

dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua

pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, del codice degli appalti

pubblici e delle concessioni. L'omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle

procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. E' altresì inammissibile l'impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove

disposta, e degli altri atti endoproceclimentali privi di immediata lesività.”

Le regole di procedura che questo speciale rito su ammissioni ed esclusioni da procedimenti di evidenza pubblica

deve seguire è poi disciplinato attraverso l’introduzione di un nuovo comma 6 bis sempre all’art. 120 c.p.a.: “Nei

casi previsti al comma 2-bis, il giudizio è definito in una camera di consiglio da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine

per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza

pubblica. Il decreto di fissazione dell’udienza è comunicato alle parti quindici giorni prima dell’udienza. Le parti possono produrre

documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi e presentare repliche ai nuovi documenti e alle

nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi prima. La camera di consiglio o l’udienza possono

essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie, per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale.

33 «In pratica, con l’applicazione generalizzata dell’art. 211, comma secondo, sono state messe sotto tutela le

Amministrazioni, sia quelle centrali che quelle periferiche ed anche quelle specificatamente qualificate per il ruolo di

stazioni appaltanti. La qualcosa suscita non poche perplessità in ordine al giudizio di affidabilità dell’apparato

amministrativo nell’esercizio di una importante funzione, tant’è che si è previsto un intervento diretto e vincolante

affidato ad un organismo indipendente in parallelo agli ordinari controlli istituzionali della Magistratura

amministrativa, penale e contabile. Non è una bella prospettiva per l’affermazione di quel principio di responsabilità,

che dovrebbe governare le regole di un efficiente sistema democratico. Ma è anche lo specchio di ciò che si sta

verificando il linea più generale nel sistema Paese. (…) In disparte la violazione del sistema delle Autonomie – rilevata

dalla Commissione Normativa del Consiglio di Stato – in termini fattuali la «raccomandazione» di ANAC può

intervenire in qualsiasi momento del procedimento di gara, in contrasto con i principi di ragionevolezza e

proporzionalità, nonché di certezza delle situazioni giuridiche. L’invito, secondo la previsione dell’art. 211, può

riguardare qualsiasi atto del procedimento, anche dopo la sua conclusione, se è vero che l’autotutela è imposta anche

per «rimuovere gli eventuali effetti degli atti illegittimi». L’iniziativa di ANAC è riferita oltre che ai tradizionali vizi di

legittimità anche ai nuovi parametri definiti dalle direttive attuative del Codice, non è condizionata da eventuali

vicende giurisdizionali su impulso di parte, prescinde da scansioni temporali e può assumere quindi la natura di

supplenza o surrogazione degli interessi di parti private decadute dal termine per agire in sede giurisdizionale», così P.

QUINTO, Il nuovo codice dei contratti pubblici e le “raccomandazioni vincolanti” di Cantone, in www.lexItalia.it, 2016.

34 Senza pretesa di esaustività e pur considerando che alcuni riti presentano significative somiglianze (omettendo però

di computare, per esempio, il processo in tema di infrastrutture strategiche ed il ricorso straordinario): 1) Ordinario, 2)

Accesso 3) Silenzio 4) Elettorale 5) Ottemperanza 6) Abbreviato per determinate materie 7) Speciale Abbreviato appalti

8) Super speciale abbreviato ammissione/esclusione appalti.

31

L'ordinanza istruttoria fissa per il deposito dl documenti un termine non superiore a tre giorni decorrenti dalla comunicazione o, se

anteriore, notificazione della stessa. La nuova camera di consiglio deve essere fissata non oltre quindici giorni. Non può essere

disposta la cancellazione della causa dal ruolo. L'appello deve essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore,

notificazione della sentenza e non trova applicazione il termine lungo decorrente dalla sua pubblicazione”.

3.1 L’inquadramento concettuale della nuova previsione processuale.

Da una analisi preliminare, sembra di poter dire che la novità normativa si inserisce nella corrente, dottrinale e

giurisprudenziale, che propugna una anticipazione del momento della verifica giurisdizionale, dal provvedimento

finale a qualificati passaggi endoprocedimentali, tutte le volte in cui il procedimento raggiunge un grado

consistente di avanzamento, tale da far ritenere, almeno in una sua parte, l’esito del procedimento

sostanzialmente già maturato o irreversibile.

Si tratta di considerare praticabile una impugnazione autonoma dei singoli atti endoprocedimentali laddove

ciascuno di essi evidenzi il raggiungimento di una composizione degli interessi sufficientemente definita, tale da

poter radicare, in capo al partecipante, un interesse sostanziale e, dunque, l’interesse ad impugnare una parte

soltanto di quel rapporto posto in essere con la pubblica amministrazione35.

In giurisprudenza possono ricordarsi, senza la benché minima pretesa di esaustività: (i) TAR Brescia sentenza n.

853/2009 sull’affidamento della concessione di gestione dell’aeroporto di Brescia che riconosce l’interesse, da

parte di un operatore concorrente, ad impugnare la convenzione accessiva al provvedimento di concessione,

convenzione che era stata stipulata prima della aggiudicazione definitiva della concessione, la quale ultima però

tardava a intervenire prolungando la gestione del concessionario di fatto (o del concessionario precario); tuttavia,

il Consiglio di Stato (sentenza n. 1250/2010) ha poi ritenuto che si dovesse aspettare la aggiudicazione definitiva

della concessione prima di poter contestare la posizione dell’allora concessionario precario o di fatto che aveva

ottenuto la convenzione accessiva, pur essendo evidente che una volta che interviene la convenzione accessiva

con un operatore, propedeutica alla stipula della concessione, vuol dire che tutti gli altri operatori sono stati

esclusi dalla procedura e dalla possibilità di aggiudicarsi quella concessione; (ii) Consiglio di Stato sentenza n.

1243/2014, in cui viene riconosciuta (o confermata e in parte estesa) la possibilità di impugnare il bando di gara

non solo nelle sue parti escludenti, ma anche nelle parti in cui non disciplina in modo sufficientemente chiaro

alcuni profili della concessione, nella misura in cui le parti del bando contestate non fossero più emendabili nel

prosieguo della gara (ma in realtà nel caso di specie potevano forse ancora essere precisate) e nella misura in cui

dovessero impedire la formulazione di una offerta consapevole; in particolare viene affermato il diritto-obbligo di

impugnare le prescrizioni puntuali del bando di gara lesive ed insuscettibili di essere

emendate/modificate/corrette in sede di successiva lettera-invito; (iii) Consiglio di Stato, ordinanza di rimessione

alla Corte Costituzionale n. 3167/2015, riguardante un caso in cui si chiedeva l’annullamento dei provvedimenti

relativi all’adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma, nella parte in cui prevedevano un

contributo straordinario per alcuni interventi urbanistici, che però non erano ancora stati attuati dal ricorrente;

nell’ordinanza citata, è stato ritenuto che vi fossero profili di incostituzionalità nel principio di attualità

dell’interesse inteso nel senso tradizionale e che la Costituzione imporrebbe di consentire l’accertamento

giurisdizionale anche ove il pregiudizio non abbia una attualità “sicura”.

Al di là di alcune aperture giurisprudenziali e dottrinali, tuttavia, l’idea che l’interesse a ricorrere debba essere

attuale e che per essere tale debba avere ad oggetto un provvedimento definitivo, o comunque una posizione

giuridica ormai conformata formalmente ed in via irreversibile dall’azione della p.a., è sempre rimasta molto

forte (si vedano in merito, per esempio, le sentenze sull’inammissibilità della immediata impugnazione degli

impegni ex art. 14-ter della l. 10 ottobre 1990, n. 287, presentati in sede di procedimento antitrust; cfr. Consiglio

di Stato n. 4393/2011, sostanzialmente confermata, con interessanti indicazione in merito al rapporto tra atto

endoprocedimentale e provvedimento finale, da Consiglio di Stato n. 743/2016).

35 Per i riferimenti dottrinali si veda A. Romeo, L'impugnabilità degli atti amministrativi, Napoli, 2008.

32

3.2 Il parere del Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato, nel parere espresso sullo schema di decreto legislativo, aveva evidenziato più di una criticità

della norma in esame come originariamente concepita, sia con riguardo alla immediata impugnazione dei vizi

afferenti ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dei concorrenti, nonché della nomina commissione di

gara, sia con riferimento alle regole di procedura di tale nuovo rito.

Il testo definitivo del D.Lgs. 50/2016 accoglie alcuni dei rilievi segnalati in sede consultiva, di ciò si darà conto

nel prosieguo.

3.3.1 Sull’impugnazione immediata di ammissioni, esclusioni e nomina commissione.

Il Consiglio di Stato aveva individuato innanzitutto un potenziale eccesso di delega, dal momento che

quest’ultima non prevedeva la predisposizione del rito anticipato-accelerato anche con riferimento alla nomina

della commissione giudicatrice, mentre nello schema di D.Lgs. tale atto era assoggettato al menzionato nuovo

rito. Nel parere si sottolineava che, avendo tale procedura carattere derogatorio, essa doveva essere considerata

eccezionale, e quindi la delega avrebbe dovuto essere utilizzata in maniera particolarmente restrittiva o,

comunque, non in maniera estensiva con inclusione di casi non indicati espressamente, anche alla luce del divieto

di gold plating che rappresentava uno dei criteri direttivi della delega.

La versione definitiva del D.Lgs. 50/2016 non contiene più tale previsione, la nomina della Commissione rimane

dunque un atto che, almeno di regola, non può considerarsi immediatamente impugnabile.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato rilevava che la norma prevista dallo schema di decreto avrebbe avuto, tra

le altre cose, l’effetto di eliminare il vigente secondo comma dell’art. 120 c.p.a., che fissa un limite di sei mesi per

ricorrere contro le aggiudicazioni di procedure non precedute da previa pubblicazione di un bando di gara. In

caso di espunzione della norma, l’eventuale impugnazione avrebbe potuto essere promossa entro trenta giorni

dalla conoscenza del bando non pubblicato, quindi anche molto tempo dopo l’aggiudicazione, con evidenti

ricadute sotto il profilo della certezza delle situazioni giuridiche.

Tale profilo critico è stato corretto nella versione definitiva del D.Lgs. 50/2016.

Ancora, secondo il parere in discorso, l’art. 204 dello schema di decreto non era coordinato con il diritto di

accesso agli atti della procedura, né con la disciplina delle informazioni ai candidati, mentre soltanto attraverso la

possibilità di avere effettiva conoscenza, non solo delle ammissioni e delle esclusioni, ma anche delle relative

motivazioni e della afferente documentazione sarebbe stato possibile garantire una tutela giurisdizionale piena e

l’effettiva velocizzazione del rito. In particolare, sarebbe stata insufficiente la previsione della pubblicità data sulla

sezione Amministrazione trasparente del profilo di committente degli elenchi di ammessi e esclusi (art. 29,

comma 1, dello schema e anche del D.Lgs. 50/2016).

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

Un ulteriore punto della relazione in parola contiene una disapprovazione del divieto di ricorso cumulativo in

caso di gare a più lotti, con la sola eccezione della proposizione di censure identiche. È ritenuto eccessivo il

sacrificio a scapito del diritto di difesa (art. 24 Cost.) anche tenuto conto del naturale corollario in termini di

maggior peso del contributo unificato, già oggetto di numerose critiche.

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

Sempre in materia di costi del giudizio, il Consiglio di Stato evidenzia che l’obbligatorietà dell’immediata

impugnazione, nei casi appena descritti, comporterebbe un significativo aumento dei costi del giudizio, stante la

necessità di impugnare la procedura in tempi diversi e sotto diversi profilo con ricorsi non cumulabili. Per

questo, nel parere, si propongono dei correttivi che tengano conto della criticità, anche riducendo, fino a

dimezzarla, l’entità del contributo unificato.

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

Infine, il Consiglio di Stato affidava al legislatore delegato la valutazione circa la opportunità che fosse inserita

una previsione per cui la stazione appaltante dovrebbe indicare già nel bando la data entro la quale comunica

l’ammissione o l’esclusione degli offerenti.

Questo rilievo non pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016.

33

3.3.2. Sulle regole di procedura del nuovo rito.

Stante la previsione di un nuovo rito super accelerato, il parere prende atto del fatto che un velocissimo giudizio

di merito (che teoricamente dovrebbe essere reso in 3-4 mesi) quasi esclude la possibilità che gli interessati

facciano ricorso alla tutela cautelare, stante la sostanziale omogeneità dei tempi per ottenere, invece, una

decisione definitiva, oltre alla possibilità che il dispositivo venga reso immediatamente entro due giorni

dall’udienza di discussione.

Al tempo stesso però il parere sottolinea come non può escludersi la possibilità che detto interesse ad ottenere

una misura cautelare possa sussistere, e pertanto essa dovrebbe essere opportunamente prevista.

Questo rilievo pare essere stato oggetto di considerazione nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016, che adesso

non sembra escludere la possibilità di richiedere la tutela cautelare anche nel processo “ammissioni”.

La previsione, poi, nello schema di decreto, della motivazione per relationem delle pronunzie di appello, ad avviso

del Consiglio di Stato, presentava delle criticità. La norma appariva, infatti, violativa di fondamentali principi in

tema di diritto di difesa, e rischiava di essere addirittura controproducente rispetto al preteso interesse a

velocizzare la risoluzione del contenzioso, dal momento che, a quel punto, le parti avrebbero potuto attivare più

facilmente gli ulteriori rimedi previsti dall’ordinamento (e.g. revocazione, opposizione di terzo, ricorso per

Cassazione) per ottenere una revisione della decisione di primo grado “confermata” in appello. Tutto ciò senza

considerare che uno strumento utile a tale scopo era già previsto nelle forme della sentenza in forma semplificata

ex art. 120 c.p.a..

Questo rilievo pare essere stato considerato nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016, che sembra non più

contenere la motivazione per relationem delle sentenze d’appello.

Sempre con riguardo alle questioni attinenti alle regole di procedura del nuovo rito, il parere evidenziava la

opportunità di ridurre i termini di appello, eliminando la possibilità di avvalersi del termine c.d. lungo di tre mesi

dalla pubblicazione.

Questo rilievo è stato considerato nel testo definitivo del D.Lgs. 50/2016, che contiene ora, in relazione a tale

genere di ricorsi, la eliminazione del termine lungo, per cui le sentenze di primo grado dovranno essere

impugnate entro trenta giorni dalla pubblicazione o dalla notifica se antecedente.

Tra le modifiche suggerite in sede consultiva, ma non accolte nel testo definitivo, è di interesse la richiesta di dare

avviso ai concorrenti, mediante PEC, dell’adozione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione.

3.4 Le permanenti criticità del nuovo processo.

Fatta la premessa che precede in termini di inquadramento generale e di risultanze del parere consultivo, sembra

si possa dire che, anche nel testo definitivo della nuova norma, permangono significative criticità, alcune delle

quali potrebbero essere definite sostanziali o procedimentali, in quanto relative alla logica ed al funzionamento

del nuovo rito nel contesto intrinseco della materia dei contratti pubblici, ed altre processuali o estrinseche

(rispetto a detta materia), attinenti cioè alla difficile collocazione della novella nell’ambito dei principi consolidati

del processo amministrativo, nazionale e del diritto comunitario.

3.4.1. L’individuazione del “provvedimento di ammissione alla gara” e dei suoi presupposti ed il

coordinamento tra l’art. 29 comma 1, l’art. 53 e l’art. 32 del nuovo D.Lgs. 50/2016.

Il provvedimento che il nuovo Codice impone di impugnare non pare avere, nel diritto sostanziale, le

caratteristiche di un provvedimento “tipico”. Sarebbe stato quindi utile, forse indispensabile, una sua definizione,

al fine di chiarire quale sia l’oggetto del nuovo ricorso.

Nel nuovo D.Lgs. 50/2016, l’art. 29 dispone la pubblicazione dell’elenco dei soggetti “ammessi” entro due giorni

dalla data di adozione dei relativi atti mentre l’art. 53 contiene la disciplina del diritto di accesso ed una serie di

ipotesi di differimento allo stesso. In tale scenario occorre notare che il nuovo art. 120 c.p.a. si riferisce ad un

termine per l’impugnazione di trenta giorni dalla pubblicazione dell’elenco degli esclusi e degli ammessi sul

profilo del committente della stazione appaltante, pubblicazione che sembrerebbe essere disciplinata dall’art. 29.

Tuttavia, nel medesimo tempo, l’art. 53 sembra implicare una richiesta di accesso del concorrente in relazione alla

documentazione alla base di ammissioni ed esclusioni, per cui in molti casi non sarà possibile disporre

34

effettivamente di trenta giorni per valutare la documentazione pertinente (che peraltro non è chiaro quale debba

essere). Sempre nel nuovo D.Lgs. 50/2016 non sembra si dica da qualche parte come e quando le stazioni

appaltanti debbano emanare il “provvedimento di ammissione alla gara”, che dovrebbe essere pubblicato entro

due giorni dalla emanazione.

Dal canto suo, l’art. 32, che delinea le fasi della procedura, non sembra contemplare un provvedimento del

genere.

Appare quindi inopportuno collegare un termine di decadenza così importante alla pubblicazione di un

provvedimento che non è “tipico”, i cui contenuti ed i cui (eventuali) presupposti documentali sono evanescenti,

forse non conoscibili, o non immediatamente conoscibili dagli interessati, e che oltretutto le stazioni appaltanti

potrebbero decidere liberamente di formalizzare immediatamente all’inizio oppure a ridosso della fine del

procedimento, o addirittura di non formalizzare. Non sembra infatti che il solo fatto di aprire la busta tecnica

e/o quella economica possa significare senz’altro la “ammissione” del concorrente alla gara a seguito della

mancata sollevazione di censure esplicite rispetto alla busta amministrativa, o che tali aperture possano essere

disposte solo a seguito di un formale provvedimento di “ammissione”, visto che la “ammissione” potrebbe

anche essere con riserva e che l’apertura di una busta diversa da quella amministrativa non pare debba

necessariamente essere preceduta da una formale deliberazione di “ammissione”. Peraltro, potrebbero essere

viziate parti delle offerte tecniche, quindi, almeno fino all’apertura delle buste economiche, non v’è alcun

provvedimento di ammissione definitivo e stabile (a volte nemmeno a tale stadio della procedura, visto che anche

la configurazione della offerta economica potrebbe presentare dei vizi, e considerando che alle volte le leggi di

gara riservano alla stazione appaltante verifiche o prove del prodotto acquistato post aggiudicazione provvisoria o

emanazione della graduatoria).

3.4.2. Il difficile coordinamento con i principi di autodichiarazione e di effettiva conoscenza del vizio.

Possono poi essere rilevati diversi problemi di coordinamento con i principi in tema di dimostrazione dei

requisiti tramite autodichiarazioni e di effettiva conoscenza del vizio36.

In effetti appare difficile armonizzare, se non nel momento finale della procedura quando i requisiti vengono

documentalmente verificati, il principio di autocertificazione dei requisiti con il principio per cui l’interessato

deve poter conoscere effettivamente il vizio di cui deve dolersi.

In realtà, di regola, le ammissioni, salvo casi particolari, avvengono sulla base delle autodichiarazioni (a regime

con il nuovo documento unico europeo, il DGUE), ma è possibile che poi l’aggiudicatario, quando produce i

documenti, non dimostri la sussistenza del requisito che ha dichiarato, quindi appare difficile impugnare una

ammissione che è stata determinata sulla base delle sole autodichiarazioni. I concorrenti potrebbero avere

comunque il diritto di impugnare il provvedimento di aggiudicazione per motivi attinenti ai vizi dei requisiti

dell’aggiudicataria, se questi vizi (come sembra possa accadere in molti casi) sono stati conosciuti o resi

conoscibili anche alla stazione appaltante in un momento successivo.

Può poi darsi il caso di vizi nei requisiti (per esempio soggettivi) sopravvenuti dopo l’ammissione alla gara, e

anche in questo caso è nel momento della aggiudicazione che il concorrente danneggiato può conoscere i vizi e

dolersene.

Va aggiunto che non è chiaro quali sarebbero i documenti relativi alla ammissione a cui sarebbe possibile

accedere.

36 Su cui la Corte di Giustizia CE si è pronunciata, tra l’altro, con la decisione della V Sezione, 8 maggio 2014, in causa

C-161/13, nella quale, in particolare, ha affermato che “ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili

in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali

ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a

conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni” (punto 37) e che «una possibilità, come quella prevista

dall’articolo 43 del decreto legislativo n. 104/2010, di sollevare “motivi aggiunti” nell’ambito di un ricorso iniziale

proposto nei termini contro la decisione di aggiudicazione dell’appalto non costituisce sempre un’alternativa valida di

tutela giurisdizionale effettiva. Infatti, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, gli offerenti

sarebbero costretti a impugnare in abstracto la decisione di aggiudicazione dell’appalto, senza conoscere, in quel

momento, i motivi che giustificano tale ricorso” (punto 40).

35

Non possono essere solo documenti della P.A. perché non sarebbe tutelato il diritto di difesa, e, se sono inclusi

anche i documenti dell’offerente, va compreso di quali documenti deve trattarsi. Quanto ai documenti

amministrativi potrebbero esserci delle parti non pubblicabili sul profilo del committente (per esempio la

dichiarazione dei conviventi di un amministratore). Quanto ai documenti tecnici, vi sarebbe un evidente

contrasto con i limiti del diritto di accesso, che, se troppo esteso, consentirebbe a concorrenti scaltri di acquisire

progetti e proposte a volte di notevole valore. Anche l’accesso indiscriminato alla offerta economica potrebbe

talvolta dar modo ai concorrenti scaltri di acquisire informazioni riservate.

Sicché sembrerebbe che il processo sulle ammissioni potrebbe risolversi in una verifica formale sulla correttezza

delle autocertificazioni, mentre il successivo processo sulla aggiudicazione potrebbe avere ad oggetto la effettiva

sussistenza del requisito. Il punto però andrebbe quantomeno chiarito, in disparte ogni valutazione in merito alla

utilità o meno di tale processo “meramente formale”, anche alla luce del principio del soccorso istruttorio che

dovrebbe consentire l’emenda dei vizi meramente formali.

3.4.3. Il difficile coordinamento con le fasi e la tempistica del procedimento.

Nell’esperienza del vecchio Codice, tranne in caso di appalti molto complessi, le operazioni che vanno dalla

verifica dei requisiti dei concorrenti sorteggiati (verifica che adesso non pare obbligatoria nel nuovo Codice,

potendosi – sembrerebbe – proseguire la gara in presenza delle sole autodichiarazioni) fino all’aggiudicazione

possono facilmente avvenire nell’arco di tre, quattro, mesi che equivalgono grossomodo alla durata (prevista) per

il nuovo processo.

Ma una volta che nelle more del processo “ammissioni” sopraggiunga la aggiudicazione, tutti i ricorsi contro chi

non sia vincitore divengono improcedibili per carenza di interesse, il che determina una situazione a dir poco

curiosa.

3.4.4. La possibile inutile complicazione delle operazioni di gara.

Collegato al rilievo che precede ve ne è un altro. Se ad un dato momento viene pubblicato un provvedimento

con gli operatori ammessi alla gara, e da quel momento in poi parte il contenzioso sulle ammissioni, questo

contenzioso meno di quattro mesi in primo grado è difficile possa durare (sempre che il caso non sia complesso,

ad esempio per la presentazione di un ricorso incidentale, motivi aggiunti oppure per la necessità di una verifica

tecnica o istruttoria per esempio se un macchinario possiede caratteristiche equivalenti a quelle richieste nelle

specifiche tecniche della gara). È quindi facile che, come sopra visto, si determini una sovrapposizione del

processo su ammissioni/esclusioni rispetto al processo sull’aggiudicazione. In tale scenario, è difficile

comprendere cosa è opportuno che la stazione appaltante faccia nelle more del processo.

In sostanza, una volta che viene proposto il ricorso, la P.A. può continuare ed aggiudicare oppure fermarsi.

Se si ferma perde (almeno) tre - quattro mesi a causa di questo contenzioso anticipato e inutile avente ad oggetto

la mera formalità delle autodichiarazioni, se va avanti, oltre alla difficoltà di andare avanti in pendenza di dubbi

sulla ammissione o meno di alcuni dei concorrenti, dovrà decidere se aprire solo la busta tecnica o anche la busta

economica. Nel primo caso analizzerà una offerta tecnica che potrebbe poi essere esclusa, nel secondo caso, ove

un concorrente fosse riammesso in gara, ovvero uno di essi fosse escluso a seguito del processo sulle ammissioni,

la commissione di gara dovrebbe riunirsi di nuovo ed effettuare valutazioni inquinate dalla conoscenza della

offerta economica.

Inoltre, nel caso in cui non venga disposta la sospensione della procedura, c’è il concreto rischio che la gran parte

dei ricorsi sulle ammissioni diventino improcedibili per carenza di interesse, per cui torna la domanda: perché

l’ordinamento costringe ad iniziare una azione giurisdizionale che può facilmente non portare da nessuna parte?

3.4.5. I principi della direttiva 2007/66.

Come accennato, sembrano sussistere anche alcuni problemi di natura squisitamente processuale, cioè di

incardinamento della nuova norma nel sistema esistente, nonché di rispetto delle norme di rango costituzionale

e/ comunitario.

36

Anzitutto, la Direttiva 2007/66/CE non sembra prevedere ipotesi di immediata lesività del genere di quelle in

parola, ma anzi dispone che:

– “Il termine sospensivo (cfr. per la stipula del contratto) dovrebbe concedere agli offerenti interessati sufficiente tempo per

esaminare la decisione d’aggiudicazione dell’appalto e valutare se sia opportuno avviare una procedura di ricorso. Quando la decisione

di aggiudicazione è loro notificata, gli offerenti interessati dovrebbero ricevere le informazioni pertinenti, che sono loro indispensabili

per presentare un ricorso efficace. Lo stesso vale di conseguenza per i candidati se l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente

aggiudicatore non hanno messo tempestivamente a disposizione informazioni circa il rigetto della loro domanda” (considerando n.

6);

– “Una procedura di ricorso dovrebbe essere accessibile almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione

di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione” (considerando n. 17);

– “le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace” (art. 1, paragrafo 1,

secondo capoverso);

– “Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono

determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di

essere leso a causa di una presunta violazione” (art. 1, paragrafo 3);

– “Se gli organi responsabili delle procedure di ricorso non sono organi giudiziari, le loro decisioni sono sempre motivate per iscritto.

In questo caso inoltre devono essere adottate disposizioni mediante cui ogni misura presunta illegittima presa dall’organo di ricorso

competente oppure ogni presunta infrazione nell’esercizio dei poteri che gli sono conferiti possa essere oggetto di un ricorso

giurisdizionale o di un ricorso presso un altro organo che sia una giurisdizione ai sensi dell’articolo 234 del trattato e che sia

indipendente dall’amministrazione aggiudicatrice e dall’organo di ricorso” (art. 2, paragrafo 9);

La Direttiva in parola, quindi, sembra esigere il rispetto del principio di effettività della tutela, e sembra implicare

che la lesività dell’azione amministrativa può vagliarsi, di norma, solo a seguito dell’avvenuta aggiudicazione

dell’appalto, una volta che il soggetto interessato sia messo nella condizione di valutare il proprio interesse e di

verificare in modo adeguato le decisioni della stazione appaltante.

Inoltre, la medesima Direttiva sembra implicare la necessità che sussista un interesse soggettivo valutato

personalmente dall’operatore economico a presentare un ricorso, mentre nel nuovo processo l’interesse non è

valutato dall’operatore ma è stabilito per legge.

Si aggiunga che nella giurisprudenza europea sinora intervenuta è stato affermato che il termine per impugnare o

chiedere il risarcimento del danno deve comunque decorrere dalla comunicazione della aggiudicazione o

comunque dalla effettiva conoscenza del vizio (sentenza Medeval, Corte di Giustizia UE, Sez. V, 26 novembre

2015, in causa C-166/14, negli stessi termini la sentenza Uniplex, Sez. III, 28 gennaio 2010, in causa C-406/08).

Per questo il Consiglio di Stato ha evidenziato la necessità che il termine di impugnazione delle ammissioni

prenda le mosse solo successivamente alla piena conoscenza dei possibili vizi delle stesse. Il problema è che fino

all’aggiudicazione la dimostrazione dei requisiti è per definizione sub iudice, instabile e soggetta a successiva

verifica documentale.

Sicché i dubbi di compatibilità eurounitaria emergono prepotentemente.

3.4.6. La tutela risarcitoria nel processo sulle ammissioni.

Almeno sotto il profilo risarcitorio, poi, è tutta da verificare la compatibilità con il diritto comunitario e

costituzionale della nuova norma.

In particolare occorre riflettere su due profili.

Il primo è la possibilità che l’impugnazione delle ammissioni possa non essere ritenuta un comportamento

dovuto per eliminare o mitigare il danno ai sensi dell’art. 1227 c.c., dell’art. 30 del c.p.a. e dell’art. 124 del c.p.a.

(che secondo taluni orientamenti è norma speciale rispetto al 30), anche alla luce della sentenza dell’Adunanza

Plenaria del Consiglio di Stato 3/2011. Potrebbe forse pretendersi, ai fini dell’art. 1227 c.c., in sede

procedimentale una richiesta di autotutela oppure una segnalazione all’ANAC, ma richiedere, pena la decadenza

del diritto al risarcimento del danno, l’impugnazione di un “elenco degli ammessi”, senza peraltro in molti casi

avere comunicazione o poter accedere ai documenti su cui tale ammissione si basa, pare piuttosto forzato. E

quindi la preclusione del nuovo comma 2bis dell’art. 120 c.p.a. potrebbe impedire la presentazione di una

37

domanda di annullamento relativamente a quella fase di gara, ma non la domanda risarcitoria (alcuni spunti in

questo senso sono forse rinvenibili nella giurisprudenza eurounitaria “(44) Occorre di conseguenza considerare che, in

applicazione del principio della certezza del diritto, in caso di irregolarità asseritamente commesse prima della decisione di

aggiudicazione dell’appalto, un offerente è legittimato a proporre un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione

soltanto entro il termine specifico previsto a tal fine dal diritto nazionale, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia

di tale diritto di ricorso, conformemente al diritto dell’Unione.

(45) Per converso, un offerente è legittimato a proporre un ricorso per risarcimento danni entro il termine generale di prescrizione

previsto a tal fine dal diritto nazionale.”; sentenza, sez. V, 8 maggio 2014, in causa C-161/13, Idrodinamica Spurgo

Velox)

Il secondo punto riguarda il fatto che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, le infrazioni al diritto

comunitario devono essere sempre accertate dal giudice che ne venga investito. Nemmeno il giudicato maturato

su una questione esime tout court il giudice dal valutare la violazione del diritto europeo (sentenze Köbler,

Kempter, Kühne & Heitz, Traghetti del Mediterraneo, Lucchini, Olimpiclub, Cartiera dell’Adda37), ove sia

possibile accedere a tale scrutinio con applicazione, anche molto estesa, dei principi di interpretazione conforme,

parità di trattamento, accessibilità dei ricorsi, risarcimento dei danni.

Questo vuol dire che il giudicato sulle ammissioni potrebbe non rappresentare una barriera insormontabile allo

scrutinio di un motivo afferente alla violazione del diritto europeo, in particolare in caso di richiesta di

risarcimento danni, e soprattutto in caso di richiesta di risarcimento per violazione del diritto comunitario da

parte di organi dello Stato membro.

Inoltre, a rigor di logica, se nemmeno il giudicato può ostacolare tout court l’accertamento di una infrazione al

diritto comunitario, non si vede come tale ostacolo possa rinvenirsi nella “acquiescenza” alla ammissione di un

concorrente che, di per sé, non è lesiva, è ancora soggetta a verifica finale post aggiudicazione, e potrebbe quindi

essere ancora disposta dalla stazione appaltante procedente. In effetti, la P.A., nel nostro ordinamento, almeno

fino alla fine del procedimento, non perde mai il potere di autotutela rispetto agli atti endoprocedimentali e, in

alcune delle sentenze prima citate (in particolare Kühne & Heitz, Kempter e Lucchini), la Corte ha affermato

che il diritto europeo impone ad un organo amministrativo di riesaminare una decisione amministrativa (anche)

definitiva per tener conto dell’interpretazione delle pertinenti disposizioni comunitarie eventualmente

sopravvenute a seguito di sentenze della Corte di giustizia.

Pertanto, pur non potendosi generalizzare la possibilità di riaprire una questione risolta, o non sollevata, in sede

di procedimento o di processo contro le “ammissioni”, e pur dovendosi allo stato circoscrivere detta possibilità

ai casi di sopravvenienze nella giurisprudenza europea, non sembra che il processo sulle “ammissioni” possa

avere quel grado di solidità che il nuovo Codice sembra pretendere. Non sembra improbabile la possibile

affermazione di un principio eurounitario per cui, sin quando la stazione appaltante può disporre l’esclusione di

un concorrente per vizi attinenti ai requisiti, nessuna preclusione può maturare per alcuno dei concorrenti,

giacché essi sembrerebbero avere il diritto che, in sede di aggiudicazione, la P.A. riesamini tutti i provvedimenti

presi in corso di procedura valutandone la conformità al diritto comunitario.

3.4.7. L’aumento del costo del processo.

Nella sentenza “Orizzonte Salute” della Corte di Giustizia UE, riguardante gli importi dei contributi unificati,

sembra affermarsi, al punto 58, che un contributo di oltre il 2% del valore dell’appalto rende la tutela

giurisdizionale eccessivamente difficile. Ebbene tale importo può facilmente essere raggiunto se gli operatori

sono costretti a presentare ricorsi contro provvedimenti endoprocedimentali senza averne interesse.

3.4.8. I principi costituzionali ed eurounitari e il processo sulle ammissioni.

37 Sentenze del 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Köbler; 13 gennaio 2004, in causa C-453/00 Kühne & Heitz; 12

febbraio 2008, in causa C-2/06, Kempeter KG; 13 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; 18

luglio 2008, in causa C-119/05, Lucchini S.p.A.; 3 settembre 2009, causa C-2/08, Olimpiclub; 6 novembre 2014, in

causa C-42/13, Cartiera dell’Adda.

38

Si aggiunga che i principi processuali europei di equivalenza e non eccessiva difficoltà della tutela giurisdizionale

potrebbe essere vulnerati sotto vari profili. Infatti, come visto, né il “mezzo” processo sulle ammissioni né il

“mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire pienezza ed efficacia della tutela. Il primo processo di

certo non è efficace, perché non consente di conseguire il bene della vita ambito, il secondo processo di certo

non è pieno, perché non ha ad oggetto tutti i possibili vizi della procedura.

Identici problemi sorgono sotto il profilo dei principi processuali previsti dagli artt. 1 e 2 del c.p.a.: effettività

della giurisdizione, parità delle parti, contraddittorio, giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma,

della Costituzione, leale collaborazione tra le parti per la realizzazione della ragionevole durata del processo. Si

tratta peraltro di canoni che, in buona misura, rappresentano precipitati dei principi in tema di processo recati da

norme europee, queste ultime derivanti sia dal diritto dell’UE sia dal diritto CEDU, e dalle disposizioni di cui

all'art 24 ed all’art. 113 della Costituzione38.

3.5 Conclusioni.

In definitiva, la grave alterazione del principio di concentrazione della tutela giurisdizionale e di personalità ed

attualità dell’interesse che la nuova norma presenta è suscettibile di determinare una violazione delle garanzie

costituzionali ed eurounitarie nel processo in materia di appalti, perché, come visto, né il “mezzo” processo sulle

ammissioni né il “mezzo” processo sull’aggiudicazione sembrano garantire efficacia e pienezza della tutela, e la

necessità di adirli entrambi può rendere eccessivamente difficile la tutela dei diritti.

Cap. 15 La governance dei contratti pubblici

di Pierluigi Mantini

1. Premessa

38 Queste ultime come è noto prevedono: (a) che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed

interessi legittimi”; (b) che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost.); (c) che

contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi

legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa; (d) che detta tutela non può essere esclusa o

limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; ed infine (e) la (tendenzialmente

necessaria, salvi i casi e gli effetti previsti dalla legge) previsione della possibilità di tutela per mezzo dell’annullamento

degli atti della pubblica amministrazione (art. 113 Cost.).

Sommario: 1. Premessa; 2. Il modello europeo dei soggetti e delle funzioni di controllo; 3. Le scelte di governance nel nuovo codice; 3.1 L’Autorità nazionale anticorruzione; 3.2 Inquadramento e valore giuridico delle linee guida; 3.3 Il Consiglio superiore dei lavori pubblici nel nuovo Codice.

39

Si fa presto a dire “semplificazione” e “divieto di gold plating”, il sistema del public procurement è complesso e le

direttive europee non fanno nulla per nasconderlo incidendo anche sugli assetti istituzionali nazionali.

Indicazioni rilevanti, in tal senso, sono le disposizioni che pongono agli Stati membri precisi obblighi di

monitoraggio, controllo e trasparenza degli appalti e delle concessioni, anche al fine dello scambio di

informazioni con la Commissione.

Le direttive non si accontentano delle garanzie e degli stili nazionali ma stabiliscono misure ben determinate

implementando gli stessi sistemi nazionali di governance.

Si consideri l’art. 83 della direttiva 2014/24/UE, che può essere considerato “la norma madre” anche per le

concessioni e i settori speciali, che delinea una architettura istituzionale sufficientemente precisa.

2. Il modello europeo dei soggetti e delle funzioni di controllo

Infatti, il legislatore europeo ha stabilito che al fine di garantire in maniera effettiva un’attuazione corretta ed

efficace, gli Stati membri debbano assicurare che almeno i compiti principali siano svolti da uno o più organismi,

autorità o strutture.

Gli Stati membri devono espressamente indicare alla Commissione tutte le autorità, gli organismi o le strutture

competenti preposti a questi compiti.

Gli Stati membri, infatti, hanno il dovere di garantire il controllo dell’applicazione delle norme sugli appalti

pubblici e la Commissione intende vigilare direttamente sull’attuazione del diritto europeo.

Se le autorità o le strutture di controllo individuano di propria iniziativa, o sulla base di informazioni pervenute,

violazioni specifiche o problemi sistemici, hanno il potere di segnalare queste criticità «ad autorità nazionali di

controllo, organi giurisdizionali e altre autorità o strutture idonee quali il Mediatore, i parlamenti nazionali o le relative

commissioni».

I risultati delle attività di controllo sono poi messi a disposizione del pubblico mediante idonei strumenti di

informazione e sono resi disponibili anche alla Commissione.

La direttiva inoltre prevede, per dare maggiore continuità all’informazione e alle attività di controllo, che «entro il

18 aprile 2017, e successivamente ogni tre anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione di controllo contenente,

se del caso, informazioni sulle cause più frequenti di scorretta applicazione o di incertezza giuridica, compresi possibili problemi

strutturali o ricorrenti nell’applicazione delle norme, sul livello di partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e sulla prevenzione,

l’accertamento e l’adeguata segnalazione di casi di frode, corruzione, conflitto di interessi e altre irregolarità gravi in materia di

appalti».

La Commissione può chiedere, inoltre, agli Stati membri, al massimo ogni tre anni, informazioni sull’attuazione

pratica delle politiche strategiche nazionali in materia di appalti strategici. Non solo vigilanza sul rispetto del

diritto alla concorrenza, dunque, ma anche monitoraggio di risultati conseguiti in termini di efficienza.

Sulla base delle informazioni ricevute, la Commissione pubblica, a intervalli regolari, una relazione sull’attuazione

delle politiche nazionali in materia di appalti e sulle relative migliori prassi nel mercato interno.

Gli Stati membri provvedono affinché:

a) siano disponibili gratuitamente orientamenti e informazioni per l’interpretazione e l’applicazione del diritto

dell’Unione sugli appalti pubblici, al fine di assistere le amministrazioni aggiudicatrici e gli operatori economici, in

particolare le PMI, nella corretta applicazione della normativa dell’Unione in materia;

b) sia disponibile il sostegno alle amministrazioni aggiudicatrici per quanto riguarda la pianificazione e la

conduzione delle procedure d’appalto.

Fatte salve le procedure generali, e i metodi di lavoro fissati dalla Commissione per le sue comunicazioni e per i

suoi contatti con gli Stati membri, questi ultimi indicano un punto di riferimento per la cooperazione con la

Commissione per quanto riguarda l’applicazione della normativa in materia di appalti pubblici.

Le amministrazioni aggiudicatrici conservano, almeno per la durata del contratto, copie di tutti i contratti

conclusi aventi un valore pari o superiore a:

a) euro 1.000.000 in caso di appalti pubblici di forniture o di servizi;

40

b) euro 10.000.000 in caso di appalti pubblici di lavori.

Le amministrazioni aggiudicatrici devono garantire l’accesso a questi contratti; tuttavia, è possibile negare

l’accesso a informazioni e documenti specifici nella misura e alle condizioni previste dalle disposizioni nazionali o

dell’Unione applicabili in materia di accesso ai documenti e protezione dei dati.

Come si può agevolmente comprendere, si tratta di un insieme di previsioni che implicano una certa complessità

organizzativa.

E ciò è ben confermato dalla indicazione, da parte del legislatore comunitario, degli specifici adempimenti

riguardanti l’esercizio delle funzioni di controllo e trasparenza.

L’art. 84 della stessa direttiva, anch’esso punto di riferimento pure per le concessioni e i settori speciali, sebbene

in forma leggermente semplificata, stabilisce che «per ogni appalto od ogni accordo quadro contemplato dalla presente

direttiva e ogniqualvolta sia istituito un sistema dinamico di acquisizione, l’amministrazione aggiudicatrice redige una relazione

contenente almeno le seguenti informazioni:

a) il nome e l’indirizzo dell’amministrazione aggiudicatrice, l’oggetto e il valore dell’appalto, dell’accordo quadro o del sistema

dinamico di acquisizione;

b) se del caso, i risultati della selezione qualitativa e/o della riduzione dei numeri a norma degli articoli 65 e 66, ossia:

i) i nomi dei candidati o degli offerenti selezionati e i motivi della selezione;

ii) i nomi dei candidati o degli offerenti esclusi e i motivi dell’esclusione;

c) i motivi del rigetto delle offerte giudicate anormalmente basse;

d) il nome dell’aggiudicatario e le ragioni della scelta della sua offerta nonché, se è nota, la parte dell’appalto o dell’accordo quadro che

l’aggiudicatario intende subappaltare a terzi; e, se noti al momento della redazione, i nomi degli eventuali subappaltatori del

contraente principale;

e) per le procedure competitive con negoziazione e i dialoghi competitivi, le circostanze di cui all’articolo 26 che giustificano il ricorso a

tali procedure;

f) per quanto riguarda le procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando di gara, le circostanze di cui all’articolo 32 che

giustificano il ricorso a tali procedure;

g) eventualmente, le ragioni per le quali l’amministrazione aggiudicatrice ha deciso di non aggiudicare un appalto, concludere un

accordo quadro o istituire un sistema dinamico di acquisizione;

h) eventualmente, le ragioni per le quali per la presentazione delle offerte sono stati usati mezzi di comunicazione diversi dai mezzi

elettronici;

i) eventualmente, i conflitti di interesse individuati e le misure successivamente adottate.

La relazione non è richiesta per gli appalti basati su accordi quadro.

Nella misura in cui l’avviso di aggiudicazione dell’appalto contiene le informazioni richieste, le amministrazioni aggiudicatrici

possono fare riferimento a tale avviso.

Inoltre, le amministrazioni aggiudicatrici devono documentare lo svolgimento di tutte le procedure di aggiudicazione,

indipendentemente dal fatto che esse siano condotte con mezzi elettronici o meno. A tale scopo, garantiscono la conservazione di una

documentazione sufficiente a giustificare decisioni adottate in tutte le fasi della procedura di appalto, quali la documentazione relativa

alle comunicazioni con gli operatori economici e le deliberazioni interne, la preparazione dei documenti di gara, il dialogo o la

negoziazione se previsti, la selezione e l’aggiudicazione dell’appalto. La documentazione deve essere conservata per almeno tre anni a

partire dalla data di aggiudicazione dell’appalto.

La relazione o i suoi principali elementi sono comunicati alla Commissione o alle autorità, agli organismi o alle strutture competenti

di cui all’articolo 83 quando essi ne fanno richiesta».

La norma appena richiamata, come è evidente, fa da pendant con il precedente art. 83, delineando un sistema

complesso di adempimenti, report, obblighi di informazione finalizzati al controllo ma anche

all’implementazione delle politiche europee in materia di appalti e concessioni.

Tutto ciò potrebbe essere semplicemente ascrivibile agli “eccessi dell’euroburocrazia” ma, a ben vedere, è

impensabile che attività economiche che valgono in media il 16-18 per cento del PIL dei Paesi europei siano

prive di indirizzi e controlli pubblici.

41

Se il ruolo degli Stati nazionali conforma l’Europa, altrettanto avviene nella fase “discendente”39.

3. Le scelte di governance nel nuovo Codice

Il Codice degli appalti del 2006 prevedeva gli obblighi di comunicazione alla Commissione europea, ma non un

richiamo essenziale degli organismi di governance in materia.

Il nuovo Codice, viceversa, prevede l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di una Cabina di

regia con il compito di: effettuare una ricognizione sullo stato di attuazione del presente codice; di esaminare le

proposte di modifiche normative nella materia di interesse valutandone il relativo impatto sul sistema normativo

vigente; di promuovere la realizzazione, in collaborazione con i soggetti competenti, di un piano nazionale in

tema di procedure telematiche di acquisto, al fine della diffusione dell'utilizzo degli strumenti informatici e della

digitalizzazione delle fasi del processo di acquisto. Si stabilisce, inoltre, che la Cabina di regia segnali eventuali

specifiche violazioni o problemi sistemici all’ANAC per gli interventi dì competenza. Entro il 18 aprile 2017 e

successivamente ogni tre anni, la Cabina di regia, anche avvalendosi dell’ANAC, deve presentare alla

Commissione una relazione di controllo contenente, se del caso, informazioni sulle cause più frequenti di non

corretta applicazione o di incertezza giuridica, compresi possibili problemi strutturali o ricorrenti

nell'applicazione delle norme, sul livello di partecipazione delle microimprese e delle PMI.

In sostanza, la Cabina di regia, che costituisce in materia la novità del Codice, è «la struttura nazionale di riferimento

per la cooperazione con la Commissione europea per quanto riguarda l'applicazione della normativa in materia di appalti pubblici e

di concessioni, e per l'adempimento degli obblighi di assistenza e cooperazione reciproca tra gli Stati membri, onde assicurare lo

scambio di informazioni sull'applicazione delle norme contenute nel presente decreto e sulla gestione delle relative procedure».

La composizione e le modalità di funzionamento della Cabina di regia sono stabiliti con decreto del Presidente

del Consiglio dei ministri, da adottare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, sentita l'ANAC

e la Conferenza unificata, entro tre mesi dall'entrata in vigore del Codice.

Come si evince anche da questo ultimo richiamo, in sostanza, le politiche delle infrastrutture in Italia si

conformano su un modello “a tre punte”: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Cabina di regia presso la

Presidenza del Consiglio dei Ministri, ANAC, cui si aggiungono i compiti istituzionali propri del CIPE e della

Conferenza unificata.

Per quanto sia esplicita la vocazione della Cabina di regia quale organismo di cooperazione comunitaria non può

sottacersi che solo la prassi dell’implementazione potrà offrire risposte agli interrogativi sull’equilibrio e l’efficacia

del nuovo assetto istituzionale.

3.1 L’Autorità nazionale anticorruzione

Abbiamo già osservato la notevole espansione del ruolo dell’Autorità nazionale anticorruzione, che diviene

l’istituzione “regina” del sistema degli appalti, anche per la problematicità dei poteri c.d. di soft law che

completano, in modo coessenziale, la disciplina del Codice e il sistema delle fonti. Come noto, si è voluto sin

dall’inizio usare l’espressione polisensa di soft law per connotare il passaggio da un sistema di regolazione

classicamente normativo e prescrittivo ad un altro, più improntato dalle “linee guida” dell’ANAC, sebbene la

legge delega abbia in definitiva curvato l’iniziale approccio in direzione di un approdo più coerente con il diritto

amministrativo, stabilendo l’approvazione delle linee guida tramite decreto ministeriale e la ricorribilità degli atti

dinanzi al giudice amministrativo.

Si aprono, a riguardo, formidabili questioni circa l’inquadramento dogmatico delle “linee guida” nel sistema delle

fonti40. Vi sono vari elementi e materiali che possono indurre a ritenere che debba essere riconosciuto un potere

39 In generale, sul tema, si veda R. BIN, P. CARETTI, G. PITRUZZELLA, Profili costituzionali dell'Unione Europea.

Processo costituente e governance economica, Bologna, 2015; R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione

europea, Torino, 2014; M. P. CHITI, G. GRECO (a cura di) , Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2007. 40 Per un approccio ad un tempo normativo e funzionalistico, nel senso che le linee guida sarebbero norme che

vincolano gli operatori che partecipano alle attività disciplinate si veda V. ITALIA, Le linee guida e le leggi, Milano,

42

normativo diffuso, interno alla società organizzata che si esprime in forme nuove superando la classica

distinzione delle fonti indicata dall’art. 1 della legge generale del 1942.

È interessante a riguardo, sia il rapporto del Consiglio di Stato francese del 2013, nella parte dedicata a “le droit

souple” che, a certe condizioni, può trasformarsi in “droit dur”41 e sia la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 18

settembre 2015, n. 4358, che ha ritenuto che le linee guida «a prescindere dal loro inquadramento dogmatico, assumono, in

ogni caso, valenza di canoni oggettivi di comportamento per gli operatori del settore la cui violazione integra un’ipotesi di negligenza

(…) essendo all’Autorità riconosciuto il ruolo di garante dell’efficienza e del corretto e trasparente funzionamento del mercato nel

settore dei contratti pubblici (…)» .

Questa ultima considerazione ci riporta, peraltro, alle teorie neoistituzionaliste sui rapporti tra diritto ed

economia che pongono l’enfasi sulla centralità della nozione di istituzione, quale terreno di incontro e punto di

equilibrio, più che sul formalismo giuridico42 .

Non vi è dubbio che l’ANAC, che somma ora molteplici poteri non solo di vigilanza ma anche normativi,

amministrativi, gestionali, sanzionatori, paragiurisdizionali, ben al di là dell’opportunità di un mutamento del

nomen, costituisca l’istituzione di riferimento, la vera novità, il presidio pubblico, dell’intero sistema degli appalti e

dei contratti pubblici .

Abbiamo già osservato43 che le linee guida dell’ANAC, cui è affidata gran parte della manovra di riordino, hanno,

a nostro avviso, natura sostanzialmente regolamentare, sulla base delle espresse previsioni di legge e del disegno

istituzionale, e che, in quanto tali, vada ad esse riconosciuta efficacia vincolante nei confronti delle stazioni

appaltanti e degli operatori del settore.

Da questa (provvisoria) conclusione discende che l’approvazione delle linee guida dovrebbe essere preceduta

opportunamente dal parere del Consiglio di Stato.

In particolare, si può osservare che l’art. 213 del nuovo Codice attribuisce all'ANAC i poteri di vigilanza e di

controllo sui contratti pubblici e l'attività di regolazione degli stessi, al fine di prevenire e contrastare la

corruzione. La stessa disposizione riconosce all'ANAC la gestione del sistema di qualificazione delle stazioni

appaltanti e delle centrali di committenza, nonché la gestione della banca dati nazionale dei contratti pubblici e

del casellario informatico. Infine, è stabilito il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie da parte della

stessa ANAC sia nei confronti dei soggetti che rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le

informazioni o di esibire i documenti richiesti sia nei confronti degli operatori economici che non ottemperano

alla richiesta della stazione appaltante o dell'ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di

partecipazione alla procedura di affidamento. Tale disciplina rafforza di molto il ruolo dell'ANAC rispetto alle

vigenti norme44.

2016, in particolare pp. 16 e ss.. Secondo l’Autore «le Linee Guida sono atti normativi particolari, emanati da

un’autorità amministrativa, hanno una forma specifica e stabiliscono un particolare vincolo giuridico. Esse sono

“norme”, ed hanno – come punti nodali del loro ciclo di vita – la determinazione, modificazione, abrogazione e

specialmente l’interpretazione e l’applicazione». 41 Amplius si rinvia a V. ITALIA, op. cit., pp. 26 e 27. 42 Per un’ampia e puntuale disamina, suffragata da copiosa letteratura internazionale, si rinvia a G. MONTEDORO,

Il giudice e l’economia, Roma, 2015, pp. 117 e ss.. 43 Mi permetto rinviare a P. MANTINI, Introduzione al nuovo codice dei contratti pubblici, in Il nuovo diritto

amministrativo, 1/2, 2016. 44 In sostanza, l’ANAC finisce per sommare funzioni di vigilanza, di regolazione, di gestione, di amministrazione, di

sanzione nonché poteri semi-giurisdizionali:

«… 2. L'ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione

flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell'efficienza, della qualità dell'attività delle stazioni

appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti

amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche. Trasmette alle Camere, immediatamente dopo la loro

adozione, gli atti di cui al precedente periodo ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto della

regolamentazione, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni

anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti. Resta ferma l'impugnabilità

delle decisioni e degli atti assunti dall'Autorità innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa.

3. Nell'ambito dei poteri ad essa attribuiti, l'Autorità:

43

La materia ora ha trovato un assetto più maturo nella versione finale del Codice che ha in sostanza recepito

l’impostazione del parere del Consiglio di Stato.

3.2 Inquadramento e valore giuridico delle linee guida ANAC

Nella fase finale dei lavori per il nuovo Codice, anche sulla base di un positivo e costruttivo dialogo tra i soggetti

implicati, si è pervenuti ad un più preciso e condiviso inquadramento sistematico della natura giuridica delle linee

guida ANAC, che ha trovato nel parere dell’Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo del Consiglio di

Stato, la più chiara e autorevole espressione.

Sulla base dei principi della legge delega, e delle fonti del diritto in generale, sono state identificate tre diverse

tipologie di atti attuativi:

a) quelli adottati con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta dell’ANAC, previo parere

delle competenti commissioni parlamentari;

b) quelli adottati con delibera dell’ANAC a carattere vincolante erga omnes, e in particolare le linee guida;

c) quelli adottati con delibera dell’ANAC a carattere non vincolante.

Come evidenziato dal Consiglio di Stato, appare necessario individuare in questa sede la natura giuridica di tali

provvedimenti (ministeriali e dell’ANAC), nonché la loro collocazione nella gerarchia delle fonti del diritto.

Ciò sia per individuare una chiara disciplina sul piano procedimentale e delle garanzie per gli stakeholders, sia per

evitare inutili, anzi onerose e defatiganti incertezze applicative (che possono derivare anche dal riferimento

improprio, operato dai primi commentatori, al concetto di soft regulation, estraneo all’ordinamento nazionale e

comunque troppo generico, in assenza di una definizione della sua disciplina sostanziale e procedimentale).

In altri termini, tale operazione interpretativa è necessaria proprio per assicurare al quadro regolatorio, che

Ministero e ANAC dovranno comporre sulla base della cornice legislativa in esame, quella necessaria organicità,

“razionalizzazione” e “chiarezza” richieste dallo stesso legislatore delegante, alla lett. d).

Osserva il Consiglio di Stato che, dal punto di vista sostanziale, la delega riconduce le linee guida e gli atti in

questione al genere degli “atti di indirizzo” (lett. t) e li qualifica come strumenti di “regolamentazione flessibile”

(termine anch’esso estraneo al nostro sistema delle fonti, di cui va qui identificata la disciplina applicabile).

Dal punto di vista procedimentale, la delega non reca alcuna disciplina, né rinvia ad atti-fonte del Ministero o

della stessa ANAC. L’unica disposizione specifica al riguardo è quella (lett. u) che prevede la trasmissione alle

Camere di apposite relazioni nei casi individuati dal codice, oltre a quella prevista dal citato comma 5 dell’art. 1

della legge delega per le linee guida “ministeriali”. L’art. 213, comma 2, secondo periodo dello schema di codice

identifica (non senza genericità) gli atti da trasmettere in quelli “ritenuti maggiormente rilevanti in termini di

impatto della regolamentazione”.

a) vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e nei settori

speciali e sui contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza ai sensi dell'articolo I, comma 2, lettera f-

bis), della legge 6 novembre 2012, n. 190, nonché sui contratti esclusi dall'ambito di applicazione del codice;

b) vigila affinché sia garantita l'economicità dell'esecuzione dei contratti pubblici e accerta che dalla stessa non derivi

pregiudizio per il pubblico erario;

c) segnala al Governo e al Parlamento, con apposito atto, fenomeni particolarmente gravi di

inosservanza o di applicazione distorta della normativa di settore;

d) formula al Governo proposte in ordine a modifiche occorrenti in relazione alla normativa vigente di settore;

e) predispone e invia al Governo e al Parlamento una relazione annuale sull'attività svolta

evidenziando le disfunzioni riscontrate nell'esercizio delle proprie funzioni;

f) vigila sul sistema di qualificazione degli esecutori dei contratti pubblici di lavori ed esercita i correlati poteri

sanzionatori;

g) vigila sul divieto di affidamento dei contratti attraverso procedure diverse rispetto a quelle

ordinarie ed opera un controllo sulla corretta applicazione della specifica disciplina derogatoria prevista per i casi di

somma urgenza e di protezione civile di cui all' articolo 164 del presente codice;

h) per affidamenti di particolare interesse, svolge attività di vigilanza collaborativa attuata previa

stipula di protocolli di intesa con le stazioni appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le

medesime nella predisposizione degli atti e nell'attività di gestione dell'intera procedura di gara.

4. L'Autorità gestisce il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza. …»

44

Le conclusioni di questo inquadramento sono riportate nel parere, nel modo testualmente seguente «alla stregua di

quanto esposto, questo Consiglio di Stato ritiene che le linee guida e gli altri decreti ‘ministeriali’ (ad esempio, in tema di requisiti di

progettisti delle amministrazioni aggiudicatrici: art. 24, comma 2; e direzione dei lavori: art. 111, commi 2 e 3) o ‘interministeriali’

(art. 144, comma 5, relativo ai servizi di ristorazione) abbiano una chiara efficacia innovativa nell’ordinamento, che si accompagna

ai caratteri di generalità e astrattezza delle disposizioni ivi previste.

Pertanto, anche indipendentemente dal nomen juris fornito dalla delega e dallo stesso codice (che potrà comunque precisarlo in sede di

approvazione definitiva, nei singoli articoli di riferimento), tali atti devono essere considerati quali ‘regolamenti ministeriali’ ai sensi

dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con tutte le conseguenze in termini di:

- forza e valore dell’atto (tra l’altro: resistenza all’abrogazione da parte di fonti sotto-ordinate, disapplicabilità entro i limiti fissati

dalla giurisprudenza amministrativa in sede giurisdizionale);

- forma e disciplina procedimentale stabilite dallo stesso comma 3 (ad esempio: comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri

prima della loro emanazione) e dal successivo comma 4 della legge da ultimo citata;

- implicazioni sulla potestà regolamentare costituzionalmente riconosciuta a favore delle Regioni (art. 117, sesto comma, Cost.),

tenuto conto dell’esistenza nella materia dei contratti pubblici di titoli di competenza di queste ultime (cfr. Corte Cost., sentenza 23

novembre 2007, n. 401);

- rispetto alle regole codificate nell’art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 per i regolamenti ministeriali, la legge delega

“rafforza” il procedimento, prescrivendo in aggiunta – nell’evidente considerazione dell’importanza e delicatezza della materia – il

parere delle competenti commissioni parlamentari».

Nello specifico delle linee guida dell’ANAC, il parere precisa quanto segue «mentre quelle a carattere “non vincolante”

appaiono pacificamente inquadrabili come ordinari atti amministrativi, qualche considerazione in più richiedono le linee guida a

carattere “vincolante” (ad esempio: art. 83, comma 2, in materia di sistemi di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici; art.

84, comma 2, recente la disciplina degli organismi di attestazione SOA; art. 110, comma 5, lett. b), concernente i requisiti

partecipativi in caso di fallimento; art. 197, comma 4, relativo ai requisiti di qualificazione del contraente generale), e gli altri atti

innominati aventi il medesimo carattere (art. 31, comma 5, relativo ai requisiti e ai compiti del r.u.p. per i lavori di maggiore

complessità; art. 197, comma 3, di definizione delle classifiche di qualificazione del contraente generale) e comunque riconducibili

all’espressione “altri atti di regolamentazione flessibile”.

Il riconoscimento per tali provvedimenti di una vera e propria natura normativa extra ordinem – pure proposta da taluno – suscita

non poche perplessità di tipo sistematico e ordinamentale, soprattutto in assenza di un fondamento chiaro per un’innovazione così

diretta del nostro sistema delle fonti.

Questo Consiglio di Stato ritiene, invece, preferibile l’opzione interpretativa che combina la valenza certamente generale dei

provvedimenti in questione con la natura del soggetto emanante (l’ANAC), la quale si configura a tutti gli effetti come un’Autorità

amministrativa indipendente, con funzioni (anche) di regolazione. Pertanto, appare logico ricondurre le linee guida (e gli atti a esse

assimilati) dell’ANAC alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio

ma atti amministrativi generali e, appunto, ‘di regolazione’.

Tale ricostruzione consente di chiarire e di risolvere una serie di problemi sul piano applicativo.

In primo luogo, essa non pregiudica, ma anzi riconferma, gli effetti vincolanti ed erga omnes di tali atti dell’ANAC, come disposto

dalla delega (in particolare dalla lett. t), che come si è detto parla di “strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia

vincolante”.

In secondo luogo, tale assimilazione consente di assicurare anche per questi provvedimenti dell’ANAC tutte le garanzie

procedimentali e di qualità della regolazione già oggi pacificamente vigenti per le Autorità indipendenti, in considerazione della

natura ‘non politica’, ma tecnica e amministrativa, di tali organismi, e della esigenza di compensare la maggiore flessibilità del

‘principio di legalità sostanziale’ con un più forte rispetto di criteri di ‘legalità procedimentale’. Tra queste, se ne segnalano in

particolare tre:

- l’obbligo di sottoporre le delibere di regolazione ad una preventiva fase di ‘consultazione’, che costituisce ormai una forma necessaria,

strutturata e trasparente di partecipazione al decision making process dei soggetti interessati e che ha anche l’ulteriore funzione di

fornire ulteriori elementi istruttori/motivazionali rilevanti per la definizione finale dell’intervento regolatorio;

- l’esigenza di dotarsi – per gli interventi di impatto significativo – di strumenti quali l’analisi di impatto della regolazione-AIR e la

verifica ex post dell’impatto della regolazione-VIR, strumenti per i quali occorrerà sviluppare modelli ad hoc per l’ANAC, sulla

45

scorta di quanto già attualmente fanno le Autorità di regolazione (e secondo quanto già prevedeva l’art. 8, comma 1, d.lgs. n.

163/2006 per l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici);

- la necessità di adottare tecniche di codificazione delle delibere di regolazione tramite la concentrazione in “testi unici integrati” di

quelle sulla medesima materia (best practice ormai diffusa presso le principali Autorità di regolazione, in primis quella per l’energia

elettrica, il gas e il sistema idrico): tale strumento appare significativamente necessario per il settore degli appalti allo scopo di evitare il

rischio di proliferazione delle fonti che si volevano ridurre e di perdita di sistematicità ed organicità dell’ordinamento di settore,

violando in sede attuativa il vincolo a una “drastica riduzione” dello stock normativo imposto dalla lett. d) della delega.

In terzo luogo, tale ricostruzione consente anche la realizzazione, per gli “atti di regolazione” dell’ANAC, di forme di adeguata

pubblicità: certamente sul sito della stessa Autorità, che andrà appositamente strutturato, ma anche per una pubblicità sulla

Gazzetta Ufficiale, non richiesta per le autorità amministrative indipendenti ma altamente opportuna, ad avviso di questo Consiglio

di Stato, in ragione della trasversalità della materia dei contratti pubblici e della latitudine dell’ambito applicativo dei provvedimenti

de quibus. Una chiara previsione sulla pubblicità di tali delibere – da inserire, nel caso, all’art. 213 dello schema – rende meno

delicata (e comunque lascia impregiudicata) la questione se debba o meno essere disposta la successiva comunicazione alle Camere

(come pure sarebbe preferibile ai fini della conoscibilità del quadro regolatorio da parte degli operatori del settore), che in base allo

schema di decreto sussiste solo in virtù di un requisito sostanziale di tipo rinforzato (rilevante impatto regolatorio), ancorché privo di

una definizione oggettiva.

In quarto luogo, pur in assenza del parere obbligatorio del Consiglio di Stato ex art. 17 della l. n. 400 del 1988, si rileva che tale

sostegno consultivo resta pur sempre possibile in via facoltativa, sotto forma di quesito, sia in ragione della generalità delle questioni e

dell’impatto erga omnes dei provvedimenti, sia per analogia con l‘art. 17, comma 25, della l. 15 maggio 1997, n. 127, che prevede il

parere obbligatorio del Consiglio sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni dei Ministeri.

Per ultimo, ma non da ultimo, resta confermata la piena giustiziabilità delle linee guida dell’ANAC di fronte al giudice

amministrativo, peraltro affermata chiaramente già dalla legge delega (lett. t).

In conclusione, la esposta ricostruzione appare compatibile, oltre che con il dettato della delega e con il sistema delle fonti, anche con

l’esigenza inderogabile di un riformato contesto di ‘qualità’ e ‘certezza regolatoria’, con valenza erga omnes (che le Authorities di

regolazione già oggi garantiscono, nei loro settori, quando si attengono agli indicati principi di better regulation)»45.

L’ampio riferimento dell’analisi del parere del Consiglio di Stato sul punto è a conferma dell’ampia condivisione

sin qui registrata.

Occorre, tuttavia, rilevare che il testo finale approvato non segue del tutto il parere del Consiglio di Stato, in

particolare per quanto concerne l’omessa previsione dell’obbligatorietà del parere ai fini dell’emanazione delle

linee guida di carattere generale .

La circostanza non può non destare qualche preoccupazione poiché nel corso dei lavori si era manifestato un

ampio consenso sull’inquadramento giuridico riferito e perché è altresì chiaro che il parere preventivo del

Consiglio di Stato sulle linee guida generali ha lo scopo di dare certezza ed efficacia, attraverso il massimo organo

di consulenza giuridico-amministrativa dello Stato, alle regole per gli operatori.

Nondimeno, come già osservato, il mantenimento in capo all’ANAC, stabilito dall’art. 211 del nuovo codice, di

un generale potere di supremazia gerarchica su tutte le stazioni appaltanti attraverso il meccanismo di

raccomandazione/stand still/sanzione pecuniaria nei confronti del responsabile del procedimento che non si

adegua alla raccomandazione, rischia davvero di snaturare gli equilibri nel sistema ordinamentale degli appalti

pubblici.

Si tratta, tuttavia, di un terreno innovativo in materia di regolazione e gran parte della “tenuta” concettuale di

questo inquadramento è pur sempre affidata alla valutazione degli esiti della prassi e degli eventuali decreti

correttivi.

3.3 Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e struttura tecnica di missione nel nuovo Codice

45 Cons. St., comm.spec., par. 1 aprile 2016 n. 855, pp. 39 ss..

46

Nell’ambito della governance in materia l’articolo 214 prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

promuova le attività tecniche e amministrative occorrenti ai fini della adeguata e sollecita progettazione e

approvazione delle infrastrutture e degli altri interventi ed effettui, con la collaborazione delle regioni o province

autonome interessate, le attività di supporto necessarie per la vigilanza sulla realizzazione delle infrastrutture. In

particolare il Ministero: promuove e riceve le proposte delle regioni o province autonome e degli altri enti

aggiudicatori; promuove e propone intese quadro tra Governo e singole regioni o province autonome, al fine del

congiunto coordinamento e realizzazione delle infrastrutture; promuove la redazione dei progetti delle

infrastrutture da parte dei soggetti aggiudicatori; provvede, eventualmente in collaborazione con le regioni, le

province autonome e gli altri enti interessati con oneri a proprio carico, alle attività di verifica dello stato della

realizzazione delle infrastrutture; ove necessario, collabora alle attività dei soggetti aggiudicatori o degli enti

interessati alle attività istruttorie con azioni di indirizzo e supporto. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

si avvale della Struttura tecnica di missione, per le attività di indirizzo e pianificazione strategica, ricerca, supporto

e alta consulenza, valutazione, revisione della progettazione, monitoraggio e alta sorveglianza delle infrastrutture.

è importante evidenziare che la Struttura svolge, altresì, le funzioni del Nucleo di valutazione e verifica degli

investimenti pubblici, previste ai sensi dell'articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144 e dall'articolo 7 del

decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 228. L'art. 214 prevede, infine, che il Ministero anche per le esigenze di

detta struttura di missione, possa avvalersi, quali advisor, di Università statali e non statali legalmente riconosciute,

di Enti di ricerca e società specializzate nella progettazione e gestione di lavori pubblici e privati.

Qui prescindendo da valutazioni ulteriori, circa l’inquadramento del MIT nell’ambito dell’ordinamento di

governo, è opportuno invece evidenziare il ruolo innovativo della Struttura tecnica di missione che potrebbe inter

alia assumere il ruolo di advisor collaborativo anche nella fondamentale azione di riqualificazione e riduzione delle

stazioni appaltanti in Italia.

3.4 Il Consiglio superiore dei lavori pubblici nel nuovo Codice

Il Consiglio superiore dei lavori pubblici nasce in Italia nel 1859, su ispirazione delle riforme francesi di matrice

illuministica, quale suprema istituzione tecnica dello Stato.

Esso può dunque ritenersi una gloriosa istituzione, di quelle, che hanno fatto l’Unità d’Italia.

Per l’alto grado di competenze in esso presente si è per decenni ritenuto che una circolare del Consiglio superiore

valesse in effetti più di una legge.

Con il processo di dispersione del potere pubblico (Cassa per il Mezzogiorno, ANAS, Ferrovie, Regioni, enti

locali…) e l’ordinamento costituzionale ad impronta “federalista” del 2001, il Consiglio superiore dei lavori

pubblici ha finito per perdere nel tempo gran parte della sua autorevolezza e centralità.

Il Codice non compie una scelta netta in favore del suo rilancio (ove pure opportuno), ma ne conferma il ruolo

nell’ambito delle (ormai scarne) organizzazioni tecniche dello Stato. L'articolo 215 prevede che sia garantita la

piena autonomia funzionale e organizzativa, nonché l'indipendenza di giudizio e di valutazione del Consiglio

superiore dei lavori pubblici quale massimo organo tecnico consultivo dello Stato. Si demanda ad un decreto del

Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa deliberazione del

Consiglio dei Ministri, l'attribuzione al Consiglio superiore dei lavori pubblici, su materie identiche o affini a

quelle già di competenza del Consiglio medesimo, di poteri consultivi, i quali, dalle disposizioni vigenti alla data

di entrata in vigore del presente codice, siano stati affidati ad altri organi istituiti presso altre amministrazioni

dello Stato, anche ad ordinamento autonomo. Si stabilisce che il Consiglio superiore dei lavori pubblici esprima

parere obbligatorio sui progetti definitivi di lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per

almeno il 50 per cento dallo Stato, di importo superiore ai 25 milioni di euro, nonché parere sui progetti delle

altre stazioni appaltanti che siano pubbliche amministrazioni, sempre superiori a tale importo, ove esse ne

facciano richiesta. Per i lavori pubblici di importo inferiore a 25 milioni di euro, le competenze del Consiglio

superiore sono esercitate dai comitati tecnici amministrativi presso i Provveditorati interregionali per le opere

pubbliche.

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Si può forse concludere che, a fronte di posizioni radicalmente opposte, favorevoli o alla soppressione del

Consiglio Superiore o ad un suo pieno rilancio, il legislatore delegato abbia scelto la “terza via”, quella della

“manutenzione” in un più articolato sistema di governance degli appalti e delle politiche infrastrutturali in Italia.