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Dispensa di diritto amministrativo 2

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Le fonti del diritto amministrativo

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Indice

1 - I REGOLAMENTI AMMINISTRATIVI TRA DISAPPLICAZIONE ED

INVALIDAZIONE: Consiglio di Stato, sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154; Consiglio di Stato,

sez. V, 24 luglio 1993, n. 799

2 - I BANDI DI GARA TRA ANNULLAMENTO E DISAPPLICAZIONE:

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1; Corte di giustizia delle Comunità

europee, Sez. VI, 27 febbraio 2003, C-327/00

3 - I RAPPORTI TRA RICORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE IN

MATERIA DI APPALTI PUBBLICI: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 25 febbraio

2014, n. 9

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Selezione giurisprudenziale

1 - I REGOLAMENTI AMMINISTRATIVI TRA DISAPPLICAZIONE ED

INVALIDAZIONE:

Consiglio di Stato, sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154;

Il contrasto tra norma legislativa e regolamentare si risolve sulla base del principio di sovraordinazione di una fonte ad un’altra. Deve ritenersi, quindi, inapplicabile la disposizione regolamentare ove contrastante con specifica norma di legge, pur in difetto di specifica doglianza di parte, essendo consentito al giudice sindacare gli atti di normazione secondaria al fine di accertarne l’idoneità ad innovare l’ordinamento e, in concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa. Il contrasto tra norma legislativa e norma regolamentare di esecuzione che incida su diritti soggettivi di terzi, comporta la disapplicazione della disposizione della fonte gradata.

1. L’appello è fondato in parte. 2. La questione sottoposta all’esame del collegio attiene alla risoluzione, in

funzione di determinazione della legittimità dei provvedimenti emessi dalla Provincia autonoma di Trento ed

impugnati in primo grado, di un conflitto di norme; una di carattere legislativo – l’art. 62, comma 1, T.U.L.RG.

sull’ordinamento dei comuni, approvato con decreto del Presidente della Giunta Regionale (D.P.G.RG.) del

Trentino Alto Adige 19 gennaio 1984 n. 6/L – e l’altra di carattere regolamentare – art. 53 del regolamento di

esecuzione del detto testo unico, approvato con D.P.G.RG. del Trentino Alto Adige 12 luglio 1984 n. 12/L.

L’art. 62 comma 1, D.P.G.RG. n. 6/L del 1984 così dispone: «Il Presidente della Giunta provinciale o l’assessore

delegato può chiedere all’Ente entro quindici giorni dal ricevimento della deliberazione e con richiesta motivata,

elementi integrativi di giudizio. In tal caso i termini per il controllo sono interrotti ed iniziano nuovamente a

decorrere dalla data dell’effettivo ricevimento dei chiarimenti richiesti, attestato come stabilito dal primo comma

dell’art. 56 del presente Testo Unico.». Tale disposizione va vista in stretto collegamento con il precedente art.

58, il quale prevede che le deliberazioni sottoposte a controllo divengono esecutive qualora la Giunta provinciale

competente «non ne pronuncia l’annullamento entro il termine perentorio di venti giorni dal loro ricevimento

…» e che detto termine può essere interrotto una sola volta da parte del Presidente della Giunta provinciale o

dell’assessore delegato, «richiedendo elementi integrativi di giudizio …» ai sensi del successivo art. 62. A norma,

invece, dell’art. 53, D.P.G.RG. n. 12/L del 1984, «la richiesta di elementi integrativi di giudizio, fatta a termini

dell’art. 63 del testo unico, interrompe i termini entro i quali deve essere esercitato il controllo di legittimità e/o

di merito sugli atti deliberativi. Dalla data del ricevimento dei chiarimenti richiesti, i termini riprendono a scorrere

per il tempo ancora mancante alla scadenza, come individuata ai sensi dell’art. 50 del presente regolamento».

Dall’esame delle due disposizioni legislativa e regolamentare è evidente il contrasto tra le stesse. Anche se

ambedue adoperano il concetto di interruzione per specificare la sorte dei termini per l’esercizio del potere di

annullamento in seguito della richiesta di chiarimenti disposta dall’organo di controllo, la prima fa decorrere

«nuovamente» gli stessi dalla ricezione dei chiarimenti mentre la seconda comporta che, da quest’ultimo

momento, «i termini riprendono a scorrere per il tempo ancora mancante alla scadenza». In sostanza, si

verifica che una norma regolamentare di esecuzione della legge non solo si discosta dalla stessa (che,

peraltro, è conforme anche a quanto disposto in tema di controlli dell’art. 59, 2° e 3° comma, della legge statale

10 febbraio 1953, n. 62), ma introduce una norma del tutto contraria, stabilendo che, una volta ricevuti i

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chiarimenti, il termine per l’esercizio del potere di annullamento non riprende il suo decorso ex novo

ma solo per quel numero di giorni mancante al 20°, contando il tempo già trascorso dal ricevimento

della deliberazione da controllare e sino al momento della richiesta di elementi integrativi.

3. Ciò premesso, e prima della risoluzione dell’esposto contrasto normativo, il Collegio ritiene che le

deliberazioni della Giunta della Provincia Autonoma di Trento, n. 569/6 – Comp. in data 11 luglio 1986 e n.

1216/4 – Comp. in data 7 agosto 1986 siano comunque illegittime per tardività, anche se si propendesse per la

tesi più favorevole all’appellante. Le stesse, infatti, hanno pronunciato l’annullamento, rispettivamente, delle

Deliberazioni della Giunta del Comprensorio Alta Valsugana – Unità Sanitaria Locale (USL) in data 27 marzo

1986 (n. prot. 236) e 22 maggio 1986 (n. prot. 348) nel 21° giorno della ricezione dei chiarimenti avvenuta, per il

primo atto, il 20 giugno 1986, e, per il secondo, il 17 luglio successivo. Indipendentemente, quindi,

dall’applicazione dell’art. 62, D.P.G.R. n. 6/L o dell’art. 53, D.P.G.R. n. 12/L, il potere di annullamento risulta

esercitato oltre i termini, decorrenti dalla data risultante dalla ricevuta di ritorno della raccomandata di spedizione

dei chiarimenti, come previsto dal combinato disposto degli artt. 56 e 62 D.P.G.R. n. 6/L. D’altronde su questo

punto, rilevato con precisione dalla sentenza impugnata, non vi è nemmeno contestazione da parte

dell’appellante. Conseguentemente è illegittimo in via derivata l’impugnato provvedimento presidenziale n.

569/86 – Comp. in data 3 settembre 1986, considerato che, diversamente da quanto ritenuto con lo stesso, la

deliberazione del detto Comprensorio n. 532 in data 31 luglio 1986 appare funzionalmente collegata alla

precedente deliberazione n. 236 del 27 marzo 1986, ormai divenuta esecutiva per mancato esercizio nei termini

del potere di annullamento in sede di controllo.

4. Diverso discorso è invece a farsi per le deliberazioni della Giunta provinciale in data 27 giugno 1986, in quanto

queste risultano rese 14 giorni dopo la ricezione dei chiarimenti (avvenuta il 13 giugno precedente). Residuavano

però solo 5 giorni per l’esercizio del controllo in ossequio al disposto dell’art. 53 D.P.G.R. n. 12/L del 1984,

detraendo i 15 giorni già maturati tra il ricevimento degli atti deliberativi del Comprensorio (5 maggio 1986) e le

richieste istruttorie (20 maggio successivo). Nel conflitto tra due norme di rango diverso il Collegio non può

che dare preminenza a quella legislativa, di livello superiore rispetto a quello regolamentare. Questo in

applicazione degli artt. 1, 3 e 4 delle disposizioni preliminari al codice civile e in ossequio ai principi generali sulla

gerarchia delle fonti per i quali non è consentito ad un regolamento di esecuzione dettare disposizioni in

contrasto con quelle, di carattere superiore e prevalente, contenute per la stessa materia in un provvedimento

legislativo, a meno che in questo non vi sia un’espressa previsione di deroga. Inerisce al rapporto di

sovraordinazione di una fonte ad un’altra l’idoneità dell’atto maggiore a determinare l’abrogazione delle

norme di minor forza (oltre che di quelle di pari rango) che racchiudono precetti incompatibili. Per

converso, ogni ordinamento non può non prevedere altresì un meccanismo invalidante delle norme di grado

inferiore che sopraggiungano e urtino contro precetti poziori dell’ordinamento medesimo. Per l’atto avente

forza di legge il meccanismo, nel nostro ordinamento, è dato dall’invalidazione a seguito di pronuncia

di incostituzionalità. Per l’atto normativo emanato dalla pubblica amministrazione il meccanismo è

rappresentato, innanzi al giudice civile e penale, dalla disapplicazione dell’atto stesso, anche se le parti

non controvertono sul punto. Ma se si tratta di un atto di normazione secondaria, e se quindi per esso possano

valere criteri analoghi a quelli recepiti in qualunque caso di concorso di norme, fra loro contrastanti pur se idonee

in astratto a regolare la medesima fattispecie, deve proporsi identica soluzione ove quell’atto (di normazione

secondaria) sia in conflitto con un atto di normazione primaria e non sia oggetto di impugnazione innanzi al

giudice amministrativo. Ne consegue che, qualora la norma primaria preesista all’atto amministrativo a

contenuto normativo, questo deve essere considerato non idoneo, a causa della maggiore forza della

norma primaria, ad innovare sulle statuizioni da essa recate. Anche nei giudizi amministrativi, quindi, l’atto

regolamentare sarà inapplicabile, come qualsiasi atto legislativo altrettanto inidoneo a regolare la fattispecie.

In tal modo – senza violare i principi che informano il processo amministrativo e sulla falsa riga di quanto

avviene per gli atti di normazione primaria per mezzo del sindacato di costituzionalità – al giudice

amministrativo è consentito, anche in mancanza di richiesta delle parti, sindacare gli atti di normazione

secondaria al fi ne di stabilire se essi abbiano attitudine, in generale, ad innovare l’ordinamento e, in

concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa. Va rilevato, inoltre, che la

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disposizione regolamentare di cui trattasi incide direttamente su di un diritto soggettivo di una persona giuridica

di diritto pubblico; tale diritto costituisce manifestazione di quella particolare posizione di supremazia nei

confronti della rispettiva comunità locale e del corrispondente territorio propria in via generale degli enti

territoriali a carattere locale ai quali l’art. 5 della Costituzione riconosce ampia autonomia. In sostanza, il potere di

controllo della Giunta provinciale, così come conferito e definito dalla legge (D.P.G.R. n. 6/L del 1984)

rappresenta una posizione di supremazia riconosciuta, nella rispettiva sfera di attribuzioni, all’Ente Provincia in

tal modo qualificato all’esercizio di potestà amministrative, e costituisce un diritto soggettivo (a carattere

costituzionale). Ne consegue che la disapplicazione di una norma regolamentare (emanata dalla Regione),

la quale ha in qualche modo limitato – anche se temporalmente – l’esercizio del detto potere di controllo

della Provincia in contrasto con la legge attributiva dello stesso, e resa possibile dal fatto che ci si trova

in presenza di un diritto soggettivo perfetto, non essendo consentito al giudice amministrativo

disapplicare soltanto atti amministrativi autoritativi, in applicazione della regola del giudizio di

impugnazione, con tutte le decadenze conseguenti, connesse a situazione di interesse legittimo. Ma nel

caso de quo si è in presenza di un rapporto paritetico (tra Regione e Provincia) e di diritti soggettivi il cui

contenuto è completamente riconducibile ad una norma di legge.

5. Sono in conclusione legittimi i provvedimenti della Giunta provinciale in data 27 giugno 1986, poiché emanati

entro i termini come previsti dall’art. 62 D.P.G.R. n. 6/L del 1984, e gli atti del dirigente del servizio

Comprensori in data 25 agosto 1986. Questi ultimi si giustificano, in particolare, con l’impossibilità da parte

dell’amministrazione controllata di confermare i disposti inquadramenti già (legittimamente) annullati dalla

Provincia appellante. Va invece disapplicata, incidenter tantum e limitatamente al caso deciso, la disposizione

regolamentare di cui all’art. 53 D.P.G.R. n. 12/L del 1984, in quanto contraria a norma di legge primaria. 6.

l’appello, pertanto, va accolto in parte.

Consiglio di Stato, sez. V, 24 luglio 1993, n. 799

2 - I BANDI DI GARA TRA ANNULLAMENTO E DISAPPLICAZIONE:

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1;

L’onere di immediata impugnazione del bando di gara deve, normalmente, essere riferito alle clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione. Non può tuttavia essere escluso un dovere di immediata impugnazione delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli oneri imposti all’interessato ai fini della partecipazione risultino, manifestatamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale.

1. Deve, innanzi tutto, essere osservato che con l’ordinanza n. 2406 del 6 maggio 1992 la Quinta Sezione,

investita della decisione dell’appello interposto dal Comune di Aversa avverso la sentenza del Tribunale

Amministrativo regionale della Campania, ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato una serie di

importanti questioni, concernenti la portata dell’onere di immediata impugnazione delle clausole dei

bandi di gara diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, la

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possibilità per il giudice amministrativo di disapplicare clausole del bando di gara o di concorso

eventualmente in contrasto con il diritto comunitario, e la rilevanza dell’intervenuta realizzazione

dell’opera pubblica oggetto dell’appalto ai fini della procedibilità del ricorso proposto avverso

l’esclusione od il diniego di aggiudicazione.

(omissis)

Con riferimento a tale doglianza ed alla relativa soluzione, la V Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che si

pone l’esigenza, di carattere generale, di procedere all’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a

pena di decadenza, l’immediata impugnazione dei bandi di gara (o di concorso) senza attendere gli atti

applicativi. In particolare, la Quinta Sezione, in riferimento ai due diversi argomenti con cui il Tribunale ha

disatteso l’eccezione di omessa tempestiva impugnazione della lex specialis della gara, di cui uno attinente alla

natura ed ai contenuti del bando, ed alla individuazione dell’interesse al ricorso, e l’altro attinente alla

interpretazione del bando, ha ritenuto che si pongono due questioni di massima:

- se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti di

partecipazione alle procedure selettive, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro

conoscenza legale, ovvero se possano essere impugnate contenstualmente all’atto applicativo che conclude la

procedura selettiva;

- se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito possano essere disapplicate per contrasto

con il diritto comunitario.

(omissis)

4. Ai fini della decisione sul primo motivo dell’appello proposto dal Comune di Aversa appare, invece, rilevante

la generale questione, individuata nell’ordinanza di rimessione concernente “l’esatta delimitazione dell’ambito

oggettivo dell’onere di immediata impugnazione dal bando di gara o di concorso”.

a) In proposito la Quinta Sezione, dopo avere provveduto ad un’ampia rassegna delle opinioni di recente

manifestatesi in giurisprudenza, ha segnalato che, accanto al consolidato indirizzo interpretativo volto a

richiedere l’immediata impugnazione del bando solo con riferimento alle clausole impeditive dell’ammissione

dell’interessato alla selezione, si sono sviluppati orientamenti di segno diverso e tra di loro contraddittori.

La Quinta Sezione ha fatto presente che la soluzione tradizionale appare preferibile, in quanto utile ad

individuare un criterio normalmente di facile applicazione, e che, tuttavia, i principi generali potrebbero

autorizzare un parziale ampliamento delle ipotesi di impugnazione immediata, con particolare ed esclusivo

riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara.

5. L’Adunanza condivide l’avviso espresso dalla V Sezione con l’ordinanza n. 2406 del 2002, e ritiene di

conseguenza, che l’onere di immediata impugnazione del bando di gara debba, normalmente, essere

riferito alle clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione. L’Adunanza ritiene, tuttavia, che,

non possa essere escluso un dovere di immediata impugnazione delle clausole del bando in quei

limitati casi in cui gli oneri imposti all’interessato ai fini della partecipazione risultino,

manifestatamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per

eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale.

In proposito, si osserva che i problemi affrontati e risolti dalle numerose decisioni richiamate dall’ordinanza della

Quinta Sezione, dai diversi indirizzi in cui le stesse possono essere inquadrate e sistematizzate, attengono tutti

alla più generale questione riguardante la determinazione del momento della tempestiva impugnazione degli atti

generali e delle clausole e prescrizioni in essa contenuti; problema questo che, in linea di principio si pone

proprio per la natura ed il contenuto degli atti in questione.

Per gli atti amministrativi a carattere generale, destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con

effetti nei confronti di una pluralità di destinatari, non determinati nei provvedimenti, ma chiaramente

determinabili, si pone il problema della loro lesività immediata prima dell’adozione degli atti

applicativi: prima cioè che gli atti puntuali che delle clausole degli atti generali fanno applicazione, identifichino

in concreto i destinatari da essi effettivamente lesi nella loro situazione soggettiva.

Poiché il problema è destinato ad avere rilievo specifico con riferimento alla tutela (giurisdizionale ed

amministrativa) nei confronti di tali tipi di provvedimenti, esso è stato tradizionalmente (e correttamente)

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risolto alla luce dei principi che regolano l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale (o amministrativo).

Tali principi richiedono che sia l’interesse sostanziale (a tutela del quale si agisce) che l’interesse ad agire siano

caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità. Tali interessi devono, cioè, essere propri del soggetto

ricorrente e devono avere riferimento ad una fattispecie già perfezionatasi; diversamente, infatti, si sarebbe di

fronte ad interessi meramente potenziali.

Anche la lesione subita dall’interesse sostanziale del ricorrente (ed in conseguenza della quale egli agisce in

giudizio) deve, in linea di stretta conseguenzialità, essere contrassegnata dai caratteri della immediatezza, della

concretezza e dell’attualità.

La lesione deve, cioè, costituire una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e

dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al

momento della decisione del ricorso.

Applicando tali principi consolidati al problema riguardante l’identificazione del momento della tempestiva

impugnazione degli atti generali, è stato, così affermato con indirizzo giurisprudenziale ormai risalente, che i

bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno, normalmente impugnati unitamente agli atti che

di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto

leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva

dell’interessato.

A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura

concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se

l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione

alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può

derivare. D’altra parte, ove l’esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l’atto

che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di

concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l’atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi,

ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo

astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del

provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva.

In questa prospettiva, ciò che, quindi, appare decisivo ai fini dell’affermazione dell’esistenza di un onere di

tempestiva impugnazione è la sussistenza di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva

dell’interessato, che determina, a sua volta, la sussistenza di un interesse attuale all’impugnazione; e

quindi, con riferimento al bando di gara o di concorso o alla lettera di invito, l’attitudine (sua o di alcune clausole

in essi contenute) a provocare una lesione di tal genere.

6. E’ per tale ragione che è stato, pertanto, tradizionalmente affermato che il bando di gara o di concorso, o la

lettera di invito, normalmente impugnabili con l’atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale,

devono tuttavia, essere considerati immediatamente impugnabili allorché contengano clausole impeditive

dell’ammissione dell’interessato alla selezione.

In tale ipotesi, infatti, la clausola del bando o della lettera di invito, precludendo essa stessa la partecipazione

dell’interessato alla procedura concorsuale, appare idonea a generare una lesione immediata, diretta ed attuale,

nella situazione soggettiva dell’interessato, ed a suscitare, di conseguenza, un interesse immediato alla

impugnazione, dal momento che l’interesse all’impugnazione sorge al momento della lesione (Cons. Stato, Sez.

V, 20 giugno 2001 n. 3264). E’ stato, così, correttamente affermato che l’onere dell’immediata impugnativa

degli atti preliminari costituenti la lex specialis della gara è ipotizzabile soltanto quando questa

contenga prescrizioni dirette a precludere la stessa partecipazione dell’interessato alla procedura

concorsuale (Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2001 n. 3507; Sez. VI, 18 dicembre 2001 n. 6260). In tale

prospettiva, è stato osservato che le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di

norma, quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alle gare per l’aggiudicazione, dal

momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì

nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l’amministrazione (Cons. Stato,

Sez. IV, 27 marzo 2002 n. 1747).

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Ciò che quindi, appare decisivo, ai fini dell’affermazione dell’onere di immediata impugnazione delle clausole che

prescrivono requisiti di partecipazione è pertanto non soltanto il fatto che esse manifestino immediatamente la

loro attitudine lesiva, ma il rilievo che le stesse, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto che ha

chiesto di partecipare alla gara, risultino esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara

stessa, e non condizionate dal suo svolgimento e, perciò, in condizioni di ledere immediatamente e

direttamente l’interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara od alla

procedura concorsuale.

Clausole così caratterizzate riguardano, in primo luogo, requisiti soggettivi degli aspiranti partecipanti al

concorso. Val quanto dire che esse riguardano direttamente ed immediatamente i soggetti stessi (e non le loro

offerte o le ulteriori attività connesse con la partecipazione alla gara), e per tale ragione producono nei loro

confronti effetti diretti, identificando immediatamente i soggetti che, in quanto privi dei requisiti richiesti, da tali

clausole sono immediatamente e direttamente incisi.

Esse fanno pure riferimento ad una situazione (di norma, una situazione di fatto) che è preesistente rispetto al

bando, e totalmente indipendente dalle vicende successive della procedura e dei relativi adempimenti, e non

richiede valutazioni o verificazioni particolari. Sotto questo profilo, non è la procedura concorsuale ed il suo

svolgimento a determinare l’effetto lesivo (come avviene nel caso della valutazione dell’anomalia dell’offerta), ma

direttamente il bando, che prende in considerazione una situazione storicamente ad esso preesistente e

totalmente definita.

In terzo luogo, le clausole ricollegano alla situazione di fatto presa in considerazione un effetto giuridico

diretto (l’impossibilità di prendere parte alla gara o alla procedura concorsuale) che appare immediatamente

lesivo dell’interesse sostanziale degli aspiranti. E’ quindi il bando, e non il successivo svolgimento della

procedura concorsuale, a determinare esso stesso la lesione dell’interesse degli aspiranti, escludendo per i

medesimi, con la partecipazione alla procedura concorsuale, la possibilità di conseguire l’aggiudicazione ovvero

(nel caso di concorso in materia di pubblico impiego) la collocazione utile in graduatoria.

Sotto questo profilo, acquista un rilievo significativo la tradizionale opinione dottrinale e giurisprudenziale che

vede nei bandi di gara e di concorso (e più ampiamente, negli atti generali) dei provvedimenti destinati (a

differenza degli atti normativi) alla cura concreta degli interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti dei

destinatari: e, in effetti, le clausole che identificano requisiti soggettivi di partecipazione degli interessati,

provvedono esse stesse direttamente alla cura dell’interesse pubblico per la realizzazione del quale il bando è

stato emanato, escludendo immediatamente dalla platea dei partecipanti – e quindi dalla possibilità

dell’aggiudicazione o della collocazione utile nella graduatoria del concorso - quei soggetti il cui esito positivo

nella procedura concorsuale non sembra realizzare, con una valutazione formulata direttamente con il bando,

l’interesse pubblico perseguito.

L’eventuale atto dell’Amministrazione procedente, volto ad escludere l’interessato privo dei requisiti previsti dal

bando dalla procedura concorsuale avrà, pertanto, valore meramente dichiarativo e ricognitivo di un effetto e di

una lesione già prodottasi nei confronti di chi, avendo comunque chiesto di partecipare alla procedura, attraverso

la presentazione della domanda, appare già identificato come destinatario direttamente inciso dal bando di gara o

di concorso. La presentazione della domanda di partecipazione, nell’evidenziare l’interesse concreto

all’impugnazione, fa del soggetto che ha provveduto a tale adempimento un destinatario identificato,

direttamente inciso del bando.

L’orientamento giurisprudenziale che prevede la normale impugnabilità del bando di gara o di concorso

unitamente agli atti applicativi, con l’eccezione del caso che si sia di fronte a clausole riguardanti requisiti di

partecipazione alla procedura concorsuale fa, pertanto, corretta applicazione, nell’ipotesi generale ed in quella

configurata come eccezione, dei principi in tema di interesse a ricorrere, dal momento che, sia con riferimento

all’una che all’altra, afferma l’esistenza dell’onere dell’impugnazione in relazione all’esistenza di una lesione

concreta ed attuale della situazione soggettiva dell’interessato, alla sua chiara ed immediata percepibilità, ed alla

correlativa sussistenza di un interesse (processuale) a ricorrere.

7. Anche gli altri orientamenti giurisprudenziali, diversi da quello che circoscrive l’onere di immediata

impugnazione del bando alle sole clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione, e ricordati

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nell’ordinanza di rimessione, intendono, peraltro, fare applicazione dei principi consolidati di tema di interesse a

ricorrere. Tali orientamenti operano o affermando che l’interesse ad impugnare il bando sorge sempre ed

unicamente con l’atto applicativo, perché solo esse genera una lesione attuale, ovvero (e secondo una

impostazione di segno opposto) postulando l’esistenza, in certe situazioni, e con riferimento esclusivo al

bando di gara, di un interesse, diverso dall’interesse a conseguire l’aggiudicazione o ad essere collocato

in posizione utile in graduatoria, che sarebbe immediatamente leso dal bando, senza necessità di atti

applicativi, e che giustificherebbe di conseguenza, l’onere di immediata impugnazione del bando. Così

è, ad esempio, quando si afferma la sussistenza di un autonomo interesse (eventualmente immediatamente leso

da alcune clausole del bando) delle ditte partecipanti a vedere limitato il numero delle ditte che possano prender

parte alla gara; così, ancora, quando si sottolinea l’autonomia dell’interesse dell’impresa alla preventiva

definizione dei parametri di valutazione delle offerte o si postula un autonomo interesse delle imprese (diverso da

quello all’aggiudicazione) a partecipare ad una gara le cui regole siano legittime; così, avviene, più in generale,

allorché si dà rilievo, ai fini dell’immediata impugnazione, ad interessi di carattere procedimentale e che

individuano utilità di tipo strumentale.

Alla postulazione di tali autonomi interessi (e dell’immediata lesione di essi che sarebbe operata dal bando) si

accompagna, talvolta - implicitamente o esplicitamente – un modo di intendere i rimedi giurisdizionali che fanno

di essi strumenti posti e riconosciuti a tutela dell’interesse generale alla legittimità dell’azione amministrativa o che

assegna, comunque, ai medesimi, scopi e finalità ulteriori e diversi rispetto a quello della soddisfazione della

situazione soggettiva fatta valere.

L’Adunanza Plenaria, pur apprezzando le esigenze che sono alla base della loro formazione, ritiene che non

possano essere condivisi gli esiti di tali indirizzi giurisprudenziali, dal momento che essi conducono ad una non

esatta applicazione del principio generale che connette l’onere di immediata impugnazione all’esistenza in capo al

ricorrente di una lesione non potenziale, ma concreta ed attuale, ed alla sussistenza di un altrettanto attuale

interesse ad impugnare. Essi, infatti, o posticipano erroneamente all’atto applicativo la sussistenza di una lesione

già, in certe specifiche situazioni, prodotta attualmente dal bando, ovvero si risolvono – quando affermano

l’onere di immediata impugnazione del bando anche con riferimento a clausole diverse da quelle concernenti i

requisiti di partecipazione – in una impropria frammentazione e polverizzazione, in una serie di interessi diversi,

dell’unico interesse sostanziale protetto.

8. Non può innanzi tutto, essere condiviso quell’orientamento, pure richiamato nell’ordinanza di rimessione della

Quinta Sezione che vorrebbe il bando sempre ed in ogni caso impugnabile unitamente all’atto applicativo, anche

nell’ipotesi in cui si sia di fronte a clausole riguardanti requisiti di partecipazione alla procedura concorsuale. Si è

visto sopra come tali clausole, in quanto riferentesi a presupposti di fatto indipendenti da ogni valutazione da

esprimersi nel corso della procedura concorsuale, appaiano idonee a produrre non una lesione potenziale, ma una

lesione già esistente ed efficace nei riguardi dei soggetti che hanno chiesto di prendere parte alla procedura

concorsuale. Il posticipare, in tali casi, l’impugnazione del bando all’atto ricognitivo dell’effetto lesivo già

prodottasi non apparirebbe, pertanto, giustificato e si porrebbe in contrasto con i principi generali sull’interesse a

ricorrere.

9. Non può, altresì, essere condivisa la tesi che postula la necessità dell’immediata impugnazione di tutte le

clausole del bando, in quanto incidenti nella lex specialis della gara o della procedura concorsuale. Tale

circostanza, infatti, non implica di per sé che tali clausole producano una lesione diretta ed immediata

dell’interesse protetto, senza necessità di attendere gli atti di gara che di tali clausole facciano applicazione.

Non vale a fondare un diverso avviso la circostanza che con le clausole del bando l’Amministrazione provveda a

predeterminare la propria discrezionalità, sicché, rispetto ad essa, la successiva attività procedimentale

apparirebbe come vincolata. Tale circostanza non esclude, peraltro, sia che nello svolgimento della gara

l’Amministrazione debba operare, in applicazione delle clausole del bando, accertamenti e valutazioni, sicché solo

in esito a questi e con riferimento ad essi si manifesta ed opera effettivamente l’astratta capacità lesiva della

clausola; sia il fatto che, comunque, la lesività delle clausole del bando, ove effettivamente ravvisabile prima

ancora dell’applicazione, appare al più meramente potenziale ed in quanto tale, non idonea a fondare l’onere di

immediata impugnazione.

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Né, in contrario, possono acquistare rilievo le osservazioni secondo cui la lesione provocata dal bando

all’interesse dei partecipanti sarebbe immediata perché riguardante la loro condizione di concorrenti, mentre

l’interesse differenziato che giustificherebbe il ricorso riguarderebbe la pretesa autonoma alla legittimità delle

regole e delle operazioni di gara, distinta dall’aspettativa all’aggiudicazione del contratto. Da una parte, infatti, la

“condizione di concorrenti” dei partecipanti alla gara può essere apprezzata e valutata esclusivamente con

riferimento all’unico interesse sostanziale di cui essi sono titolari, che è quello all’aggiudicazione e, comunque,

all’esito positivo della procedura concorsuale, sicché l’eventuale incidenza di clausole che conformino

illegittimamente la condizione di concorrenti dei singoli partecipanti, può acquistare rilievo esclusivamente se si

traduce in un diniego di aggiudicazione o, comunque, in un arresto procedimentale con riferimento al medesimo

obiettivo; dall’altra non appare configurabile un interesse autonomo alla legittimità delle regole e delle operazioni

di gara, distinto dalla pretesa all’aggiudicazione o alla stipula del contratto. L’interesse alla legittimità della

procedura costituisce un aspetto ed un riflesso dell’interesse all’aggiudicazione, ed è anzi quest’ultimo che può

fondare e sostenere il primo, sicché l’eventuale illegittimità della procedura acquista significato e rilievo soltanto

se comporta il diniego di aggiudicazione, in tal modo ledendo effettivamente l’interesse protetto, di cui è titolare

il soggetto che ha preso parte alla gara.

Quanto, infatti, all’interesse protetto, o comunque alla situazione soggettiva di cui è titolare il partecipante alla

gara, occorre ribadire che il suo contenuto è costituito non dall’astratta legittimità del comportamento

dell’Amministrazione, ma dalla possibilità di conseguire l’aggiudicazione. L’aggiudicazione costituisce il

bene della vita che l’interessato intende conseguire attraverso la gara; ed è il medesimo bene della vita che si

intende conseguire attraverso la tutela giurisdizionale, nell’ipotesi di illegittimo diniego di aggiudicazione.

L’affermazione talvolta operata in giurisprudenza secondo cui l’interesse al quale l’ordinamento garantirebbe

tutela non sarebbe quello di ottenere un risultato vantaggioso ma l’altro, “a che la scelta del contraente sia

effettuata nel rispetto delle norme che impongono all’amministrazione comportamenti obbligati nel disciplinare,

a mezzo del bando, il relativo procedimento” si risolve, oggettivamente, in una confusione tra l’oggetto

dell’interesse ed il tipo di protezione ad esso accordato. L’oggetto dell’interesse protetto riguarda, infatti,

l’aggiudicazione, mentre tale interesse è protetto dall’ordinamento – come esattamente si osserva nell’ordinanza

di rimessione – nei limiti della legittimità del procedimento di gara.

Alla base dell’indirizzo volto ad affermare l’immediata impugnabilità dei bandi di gara, sta, pertanto, - come già

accennato - una impropria e non condivisibile frammentazione dell’unico interesse protetto in un fascio diverso

di interessi, ai quali si vorrebbe fornire, attraverso l’immediata impugnazione del bando, tutela autonoma ed

anticipata, in situazioni nelle quali in realtà non si sa ancora se l’evento lesivo si verificherà ovvero se esso ha una

portata meramente potenziale.

Un tal modo di pensare opera, in via di stretta conseguenzialità, sullo stesso modo di intendere la tutela

giurisdizionale, attribuendo impropriamente ad essa finalità e connotati propri di una giurisdizione di tipo

obiettivo: esito questo, incompatibile con la configurazione dell’attuale sistema della giustizia amministrativa,

nella quale il processo amministrativo – ancor più dopo la legge n. 205 del 2000 – si configura esclusivamente

come un processo di parti, espressione di una giurisdizione di tipo subiettivo.

10. Non può, altresì, essere condivisa quella tesi volta ad imporre l’onere di immediata impugnazione delle

clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara. Non può, infatti, essere

configurato un autonomo interesse del ricorrente ad una certa composizione del seggio di gara ed a

certe sue modalità di funzionamento, diverso dall’interesse (sostanziale) all’aggiudicazione, e cioè al

conseguimento di quell’assetto degli interessi in gioco a lui favorevole che è lo scopo che l’interessato

intende perseguire con la presentazione della domanda di partecipazione. D’altra parte, una lesione

concreta ed attuale della situazione soggettiva del partecipante alla procedura concorsuale potrà derivare soltanto

dal diniego di aggiudicazione, dal momento che soltanto con esso diviene effettiva la potenziale illegittimità

connessa con la sua composizione e con le sue regole di funzionamento. E’ solo, infatti, con il diniego di

aggiudicazione che si verifica l’evento lesivo, e con esso, quel fenomeno in base al quale la possibile anomalia

della composizione e del funzionamento del seggio di gara si traduce in una certa ed effettiva anomalia dell’intera

procedura concorsuale e del suo esito.

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11. Non può, altresì, essere condiviso quell’indirizzo interpretativo che è volto ad estendere l’onere di

impugnazione alle prescrizioni del bando che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell’offerta

economica tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell’anomalia. Anche con

riferimento a tali clausole, infatti, l’effetto lesivo per la situazione del partecipante al procedimento concorsuale si

verifica con l’esito negativo della procedura concorsuale o con la dichiarazione di anomalia dell’offerta. L’effetto

lesivo è, infatti, conseguenza delle operazioni di gara, e delle valutazioni con essa effettuate, dal

momento che è solo il concreto procedimento negativo a rendere certa la lesione ed a trasformare

l’astratta potenzialità lesiva delle clausole del bando in una ragione di illegittimità concreta ed

effettivamente rilevante per l’interessato.

In tali ipotesi è il concreto svolgimento della gara e delle relative operazioni, nonché l’adozione delle valutazioni

all’uopo necessarie, a produrre l’effetto lesivo ricollegabile all’astratta previsione contenuta nel bando: devono

pertanto ritenersi impugnabili unitamente all’atto applicativo, le clausole riguardanti i criteri di aggiudicazione,

anche se gli stessi sono idonei ad influire sulla determinazione dell’impresa relativa alla predisposizione della

proposta economica o tecnica, ed in genere sulla formulazione dell’offerta, i criteri di valutazione delle prove

concorsuali, i criteri di determinazione delle soglie di anomalie dell’offerta, nonché le clausole che precisano

l’esclusione automatica dell’offerta anomala. L’effettiva – e non potenziale – lesività di tali clausole nei riguardi

della situazione soggettiva dell’interessato dipende, infatti, dalla loro effettiva applicazione e dalla loro concreta

incidenza nei confronti dell’impresa o del partecipante alla procedura concorsuale.

12. L’Adunanza Plenaria ritiene, poi, opportuno ribadire l’indirizzo tradizionale, che normalmente

esclude l’onere dell’immediata impugnazione del bando, anche nei riguardi delle clausole che

definiscono gli oneri formali di partecipazione.

A tale esito sembra necessario pervenire considerando che non sempre le cennate clausole appaiono, in

realtà assimilabili, quanto alla struttura ed al modo di operare, a quelle che, definendo requisiti

soggettivi di partecipazione sono tradizionalmente considerati immediatamente impugnabili.

Si è visto sopra come tali clausole riguardino direttamente qualità dei soggetti partecipanti e non le loro attività

connesse alla partecipazione alla gara, e come esse facciano riferimento a situazioni preesistenti rispetto al bando.

Al contrario, le clausole che introducono oneri formali di partecipazione sembrano riguardare proprio l’attività

dei soggetti interessati alla procedura concorsuale, devono essere poste in essere in vista della partecipazione alla

gara ed in relazione ad essa, non paiono fare riferimento a situazioni oggettive definite prima della gara e da essa

indipendenti, e possono richiedere – con riferimento soprattutto al loro effettivo rispetto, alla possibilità di

adempimenti equivalenti ed alla loro incidenza concreta rispetto alla conclusione negativa della procedura

concorsuale per l’interessato – accertamenti e valutazioni dall’esito non scontato.

Riguardate, poi, nel loro modo di operare, le clausole che richiedono adempimenti formali, quali la presentazione

di documenti, non sembrano agire in modo diverso dalle ordinarie clausole del bando, impugnabili insieme

all’atto applicativo.

Esse, infatti, possiedono una astratta potenzialità lesiva, la cui rilevanza e concreta capacità di provocare una

lesione attuale può essere valutata solo con l’atto applicativo. Si tratta, in particolare, di clausole che, imponendo

un certo comportamento alle imprese ed ai soggetti interessati alla procedura concorsuale, potranno produrre un

concreto effetto lesivo soltanto dopo che tale comportamento sia stato posto in essere e nei limiti della concreta

rilevanza di esso ai fini della determinazione dell’esito negativo della medesima procedura. Clausole del genere

potrebbero essere ritenute immediatamente impugnabili soltanto affermando l’esistenza di un autonomo

interesse dell’impresa a conformare le modalità di partecipazione alla gara indipendentemente dall’aggiudicazione

ed a prescindere da essa: esito questo, obiettivamente non condivisibile per le ragioni già diffusamente illustrate.

13. Non può, invece, essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di

invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partrecipazione, oneri

assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura

concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il

conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere

ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui, al quale, per i suoi

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intrenseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo

all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente

ed immediatamente la partecipazione.

L’esistenza in concreto di clausole del genere costituisce, come è ovvio, accertamento di fatto e non può che

essere rimesso all’apprezzamento del giudice della controversia. In ordine alle medesime, per altro, non può

essere negato, l’esistenza di un onere di immediata impugnazione proprio perchè esse sembrano sostanzialmente

comportarsi come le clausole riguardanti i requisiti soggettivi o di partecipazione, per le quali l’esistenza di tale

onere è tradizionalmente affermato.

Le clausole in questione, infatti, manifestano immediatamente la loro lesività, appaiono sostanzialmente idonee a

precludere immediatamente la stessa partecipazione alla procedura concorsuale e ricollegano alle prescrizioni

introdotte un effetto giuridico diretto (l’impossibilità di prendere atto alla gara) che appare immediatamente

lesivo dell’interesse sostanziale degli aspiranti.

14. Non appare, infine, rilevante ai fini della definizione della controversia, la questione – pure prospettata con

l’ordinanza di rimessione – attinente alla possibilità di disapplicare le disposizioni del bando di gara contrastanti

con norme inderogabili, quanto meno nell’ipotesi in cui esse siano di derivazione comunitaria ((par. 58, lett. C

dell’ordinanza di rimessione).

La rilevanza di tale questione suppone, infatti, che si sia di fronte ad una omessa o tardiva impugnazione della

clausola del bando: esito, questo, che non si verifica nel caso in esame, nel quale il bando di gara è stato

impugnato con un ricorso che appare tempestivo.

(omissis)

Corte di giustizia delle Comunità europee, Sez. VI, 27 febbraio 2003, C-327/00

La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, deve essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità.

(omissis)

Risulta dunque che il giudice a quo chiede che gli sia chiarito se, alla luce di quanto esposto, sia tenuto in forza

del diritto comunitario, a disapplicare le norme nazionali di decadenza, al fine di dichiarare ricevibile il motivo

relativo a una violazione del diritto comunitario da parte della clausola controversa, addotto a sostegno

dell'impugnazione di decisioni successivamente adottate dall'autorità aggiudicatrice sulla scorta di tale clausola.

Orbene, occorre rilevare al riguardo che la direttiva 93/36 non disciplina le forme di controllo giurisdizionale

delle decisioni adottate nell'ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, ma che si tratta di

materia disciplinata unicamente dalla direttiva 89/665. Quest'ultima stabilisce i requisiti minimi che le procedure

d'impugnazione previste dagli ordinamenti giuridici nazionali devono rispettare per garantire l'osservanza delle

disposizioni comunitarie in materia di appalti pubblici.

Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima questione va intesa come diretta a stabilire, in sostanza, se

la direttiva 89/665 debba essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità

aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei

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diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione

di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di

diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di

un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal

diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine

per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità.

Per rispondere alla questione così riformulata, occorre rammentare che la Corte ha già avuto occasione di

pronunciarsi in via generale sulla compatibilità con la direttiva 89/665 di norme nazionali che prevedono termini

di decadenza per le impugnazioni avverso decisioni delle autorità aggiudicatrici di cui alla detta direttiva.

Infatti, al punto 79 della sentenza 12 dicembre 2002, causa C-470/99, Universale-Bau e a. (non ancora pubblicata

nella Raccolta), la Corte ha statuito che la direttiva 89/665 non osta ad una normativa nazionale la quale preveda

che qualsiasi ricorso avverso una decisione dell'amministrazione aggiudicatrice vada proposto nel termine

all'uopo previsto e che qualsiasi irregolarità del procedimento di aggiudicazione invocata a sostegno di tale

ricorso debba essere sollevata nel medesimo termine, a pena di decadenza, di modo che, scaduto tale termine,

non è più possibile impugnare tale decisione o eccepire la suddetta irregolarità, a condizione che il termine in

parola sia ragionevole.

In particolare, la Corte ha constatato che, sebbene spetti all'ordinamento nazionale di ogni Stato membro

definire le modalità relative al termine di ricorso destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti

conferiti dal diritto comunitario ai candidati e agli offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni

aggiudicatrici, tali modalità non devono mettere in pericolo l'effetto utile della direttiva 89/665, la quale

è intesa a garantire che le decisioni illegittime di tali amministrazioni aggiudicatrici possano essere

oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile (sentenza Universale-Bau e a., cit., punti 71, 72

e 74).

È in tale contesto che la Corte ha rilevato che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza

risponde, in linea di principio, all'esigenza di effettività derivante dalla direttiva 89/665, in quanto costituisce

l'applicazione del principio della certezza del diritto (sentenza Universale-Bau e a., cit., punto 76).

Si deve pertanto verificare se il termine di decadenza di cui trattasi nella causa principale risponda alle esigenze

della direttiva 89/665, come elaborate dalla giurisprudenza ricordata ai punti 50-52 della presente sentenza.

A tale proposito occorre rilevare, da un lato, che il termine di decadenza di 60 giorni applicabile in materia di

appalti pubblici in forza dell'art. 36, n. 1, del regio decreto n. 1054/1924, come interpretato dal Consiglio di

Stato, risulta ragionevole sotto il profilo sia dell'obiettivo della direttiva 89/665 sia del principio della certezza del

diritto.

Dall'altro, occorre constatare che un tale termine, che decorre dalla data di notifica dell'atto o dalla data in cui

risulta che l'interessato ne ha avuto piena conoscenza, è conforme anche al principio d'effettività, in quanto non

è idoneo, di per sé, a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti

eventualmente riconosciuti all'interessato dal diritto comunitario.

Tuttavia, ai fini dell'applicazione del principio d'effettività, ciascun caso in cui si pone la questione se una norma

processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario

dev'essere esaminato tenendo conto, in particolare, del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento,

nonché dello svolgimento e delle peculiarità di quest'ultimo (v. sentenza 14 dicembre 1995, causa C-312/93,

Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 14).

Pertanto, se un termine di decadenza come quello della causa principale non è, di per sé, contrario al principio di

effettività, non si può escludere che, nelle particolari circostanze della causa sottoposta al giudice a quo,

l'applicazione di tale termine possa comportare una violazione del detto principio.

In tale prospettiva, occorre prendere in considerazione il fatto che, nel caso di specie, sebbene la clausola

controversa sia stata portata a conoscenza degli interessati all'atto della pubblicazione del bando di gara, l'autorità

aggiudicatrice, con il suo comportamento, ha creato uno stato d'incertezza in ordine all'interpretazione da dare a

tale clausola e che questa incertezza è stata dissipata solo con l'adozione della decisione di esclusione.

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Infatti, come risulta dalle informazioni fornite dal giudice a quo, l'USL all'inizio ha lasciato intendere che avrebbe

tenuto conto delle riserve espresse dalla Santex e che non avrebbe applicato nella fase dell'ammissione delle

offerte il requisito economico di cui alla clausola controversa. Soltanto con la decisione di esclusione, che ha

estromesso dalla procedura di gara tutti gli offerenti che non rispondevano al detto requisito, l'autorità

aggiudicatrice ha espresso la sua posizione definitiva sull'interpretazione della clausola controversa.

Si deve pertanto riconoscere che, nella fattispecie principale, l'offerente leso ha potuto conoscere l'effettiva

interpretazione della detta clausola del bando di gara da parte dell'autorità aggiudicatrice soltanto quando è stato

informato della decisione di esclusione. Orbene, tenuto conto del fatto che, a quel punto, il termine previsto per

l'impugnazione del detto bando era già scaduto, tale offerente è stato privato, per effetto delle norme di

decadenza, di qualsiasi possibilità di far valere in giudizio, nei confronti di successive decisioni arrecantigli

pregiudizio, l'incompatibilità di tale interpretazione con il diritto comunitario.

Nella fattispecie principale, si può affermare che il comportamento mutevole dell'autorità aggiudicatrice,

vista l'esistenza di un termine di decadenza, ha reso eccessivamente difficile per l'offerente leso

l'esercizio dei diritti conferitigli dall'ordinamento giuridico comunitario.

Poiché solamente il giudice a quo è competente a interpretare e applicare la normativa nazionale, spetta ad esso,

in circostanze quali quelle della causa principale, interpretare, per quanto possibile, le norme che prevedono tale

termine di decadenza in modo da garantire il rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva 89/665.

Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, infatti, spetta al giudice nazionale conferire alla legge

nazionale che è chiamato ad applicare un'interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del

diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 1994, causa C-165/91, Van Munster, Racc. pag. I-

4661, punto 34, e 26 settembre 2000, causa C-262/97, Engelbrecht, Racc. pag. I-7321, punto 39).

Se una tale applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare

integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente

disapplicando ogni disposizione nazionale la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie,

condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 5 marzo 1998, causa

C-347/96, Solred, Racc. pag. I-937, punto 30, e Engelbrecht, cit., punto 40).

Ne consegue che, in circostanze quali quelle della causa principale, spetta al giudice a quo assicurare il

rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva 89/665, applicando il proprio diritto

nazionale in modo tale da consentire all'offerente leso da una decisione dell'autorità aggiudicatrice,

adottata in violazione del diritto comunitario, di conservare la possibilità di addurre motivi di diritto

inerenti a tale violazione a sostegno di impugnazioni avverso altre decisioni dell'autorità aggiudicatrice,

ricorrendo, se del caso, alla possibilità, derivante secondo il suddetto giudice dall'art. 5 della legge n.

2248/1865, di disapplicare le norme nazionali di decadenza che disciplinano tali impugnazioni.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione pregiudiziale dichiarando

che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità

aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti

conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità -

impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati

sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione

proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale

di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il

bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità.

(omissis)

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3 - I RAPPORTI TRA RICORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE IN

MATERIA DI APPALTI PUBBLICI: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 25 febbraio

2014, n. 9

Il giudice ha il dovere di decidere la controversia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione. Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario, in quanto soggetto che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione; tuttavia, l’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile. Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere escludente; tale evenienza si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale. Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - estromesso per atto dell’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase procedimentale.

(omissis)

Con ordinanza n. 2681 del 17 maggio 2013, la VI Sezione del Consiglio di Stato, dopo aver disegnato un

affresco, in chiave storica e sistematica, degli istituti giuridici applicabili nella presente vicenda contenziosa, ha

sottoposto all’Adunanza plenaria le seguenti quattro questioni.

4.1. Se, ed eventualmente in che misura, nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 4, co. 2, lett. d), nn. 1 e

2, d.l. n. 70 del 2011 - Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia - che ha aggiunto l'inciso

<> nella rubrica dell'articolo 46 del codice dei contratti pubblici e nel corpo dello stesso ha inserito il comma 1-

bis, ai sensi del quale <> - possa già ritenersi vigente un principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare

per l’affidamento di contratti pubblici.

Si sostiene che la norma sancita dal riportato comma 1 bis abbia una natura non innovativa ma interpretativa e

dunque produca effetti naturalmente retroattivi.

4.2. Se debbano ritenersi illegittime, per la violazione dei principi di tassatività, del dovere del soccorso istruttorio

e di proporzionalità, le clausole che impongono, a pena di esclusione, adempimenti documentali o formali privi

di una base normativa espressa.

Si propone una lettura del comma 1-bis dell’art. 46 cit., non atomistica ma congiunta alla norma sancita dal primo

comma del medesimo articolo, secondo cui<>>; le due norme sarebbero il diretto precipitato di un istituto di

carattere generale – di cui costituirebbe espressione, in relazione alla disciplina generale del procedimento

amministrativo, l’art. 6, co.1, lett. b), l. n. 241 del 1990 secondo cui <> - che nel settore delle gare pubbliche

soddisfa la primaria esigenza di consentire la massima partecipazione alla selezione orientando l’Amministrazione

alla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e delle capacità dei concorrenti, correggendo l’eccessivo rigore

delle forme insito nella logica “della caccia all’errore”; tale esegesi, inoltre, si muoverebbe secondo l’autentico

Zeitgeist improntato a ridurre il peso degli oneri formali gravanti sui cittadini e le imprese ed a riconoscere

giuridico rilievo all’inosservanza di regole procedurali o formali solo in quanto siffatta inosservanza impedisce il

conseguimento del risultato verso cui l’azione amministrativa è diretta, atteso che la gara deve guardare alla

qualità della dichiarazione piuttosto che all’esclusiva correttezza della sua esternazione.

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4.3. Se, ed in che misura, ove si dovesse al contrario concludere per la validità di dette clausole “atipiche” di

esclusione, sia comunque onere per la stazione appaltante, alla luce del generale principio del soccorso istruttorio

di cui all’art. 46, co. 1, codice dei contratti pubblici, invitare il concorrente, prima di disporne l’esclusione, ad una

“regolarizzazione” documentale, consentendogli l’eventuale produzione tardiva del documento o della

dichiarazione mancante o la regolarizzazione della forma omessa, nei casi in cui l’omissione formale o

documentale non incida sulla sussistenza dei requisiti di partecipazione e sulla capacità tecnica ed economica del

concorrente.

Si suggerisce di superare il tradizionale orientamento di questo Consiglio - autentico diritto vivente improntato

ad una esegesi ed applicazione rigorosa del potere di soccorso – in favore del più recente minoritario indirizzo

sviluppatosi nei T.a.r., che valorizza invece il potere di regolarizzazione come strumento di correzione

dell’eccessivo rigore delle forme, donde la tendenza a privilegiare, proprio attraverso l’invito alla regolarizzazione,

il dato sostanziale su quello meramente formale in tutti in casi in cui non sia in discussione la sussistenza dei

requisiti di partecipazione e la capacità tecnica ed economica dell’impresa; si ammette, pertanto, che la mera

previsione (di adempimento cartolare), inserita nella lex specialis a pena di esclusione, non varrebbe di per sé ad

esonerare la stazione appaltante dall’onere del soccorso istruttorio, almeno in tutti i casi in cui i vizi di ordine

formale che inficiano la dichiarazione del concorrente non siano tali da pregiudicare, sotto il profilo sostanziale, il

conseguimento del risultato verso il quale l’azione amministrativa è diretta; la richiesta di regolarizzazione

documentale, privilegiando l’interesse pubblico alla più ampia partecipazione dei concorrenti, in tutti i casi in cui i

motivi di ordine formale non alterino la parità di condizioni tra gli stessi concorrenti e la carenza formale, non

impedirebbe il raggiungimento del risultato avuto di mira.

4.4. Se sussiste o meno la legittimazione del soggetto escluso dalla gara per atto dell’Amministrazione

(ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale), ad impugnare

l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, al fine di dimostrare che anche

questo (ed eventualmente gli altri concorrenti non vincitori ma utilmente graduati), doveva essere escluso

dalla gara e soddisfare in tal modo l’interesse strumentale alla eventuale ripetizione della procedura.

La Sezione VI sollecita un revirement dell’Adunanza plenaria rispetto alle acquisizioni dommatiche elaborate

dalla sentenza n. 4 del 2011.

A tal fine:

a) ha riproposto gli argomenti spesi dalla precedente sentenza dell’Adunanza plenaria 10 novembre 2008, n. 11,

basati sul presupposto che non esisterebbe un preciso ordine logico da seguire nell’esame delle questioni, così

che il giudice amministrativo potrebbe definire, sulla base del principio di economia processuale o di altri

principî, come il principio di parità delle parti, quali questioni esaminare per prime; in casi particolari, come

quello del rapporto tra il ricorso principale e il ricorso incidentale proposto dalle uniche due imprese partecipanti

a una gara d’appalto, ciò consentirebbe, proprio sulla base dell’asserita applicazione del principio di parità delle

parti, di esaminare entrambi i ricorsi, in modo da non condizionare l’esito della lite alla scelta della questione da

decidere per prima e da tutelare l’interesse strumentale di ciascuna impresa al rinnovamento dell’intera procedura

di gara;

b) ha richiamato il recente arresto delle Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza del 21 giugno 2012 n.

10294) che in un obiter dictum - pur rilevando che l’ordine di esame fra ricorso principale ed incidentale non

attiene ad una questione di giurisdizione ai fini dell’art. 111. u.c., Cost. – ha affermato che il principio di diritto

enunciato dalla sentenza della Adunanza plenaria n. 4 del 2011 suscita <>;

c) ha evidenziato la necessità di tenere conto dell’esito del giudizio pendente presso la Corte di giustizia

dell’Unione europea chiamata dal T.a.r. del Piemonte a stabilire, in sede di rinvio pregiudiziale interpretativo ai

sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (FUE), se il principio della necessaria

priorità di analisi del ricorso incidentale rispetto a quello principale sia in contrasto con le norme europee e, in

particolare, con i principi di parità delle parti e non discriminazione di cui alla direttiva n. 89/665/CEE del 21

dicembre 1989.

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A tal proposito, giova rilevare fin da ora che, successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione dell’affare

a questa Adunanza plenaria (in data 17 maggio 2013), la Corte di giustizia si è pronunciata sul quesito

interpretativo (cfr. sentenza Sez. X, 4 luglio 2013, C-100/12 Fastweb).

(omissis)

8. IL RAPPORTO FRA RICORSO INCIDENTALE E RICORSO PRINCIPALE NELLE

CONTROVERSIE IN MATERIE DI GARE PUBBLICHE.

Prima di affrontare nel merito la questione sottoposta all’Adunanza plenaria, è opportuno precisare che il

problema del rapporto fra ricorso principale (proposto dallo sconfitto), e ricorso incidentale (proposto dal

vincitore), anche se storicamente affermatosi nelle controversie aventi ad oggetto gare di appalto, si atteggia, nella

sostanza, in modo analogo per tutti i giudizi concernenti procedure selettive, anche per quelli in relazione ai quali

è certamente non applicabile il codice dei contratti pubblici ovvero il diritto dell’Unione europea.

Tale impostazione si spiega con l’esigenza, da sempre avvertita e praticata dalla prassi forense, che i principi di

carattere processuale elaborati dalla Corte di giustizia nella materia delle controversie sulle gare di appalto (pur

nei limiti che saranno oggetto di maggior approfondimento nel prosieguo), sebbene a rigore formalmente

riferibili alle sole fattispecie in cui trova applicazione necessaria il diritto europeo (c.d. contratti sopra soglia),

siano in realtà applicati a tutte le controversie, per manifeste ragioni di equità, semplicità e uguaglianza; ne

discende la rilevanza della questione sollevata dalla VI Sezione anche se la procedura oggetto del giudizio

riguarda la concessione di un bene demaniale (e dunque un rapporto contrattuale attivo per l’Amministrazione

che percepisce un canone annuo).

8.1. E’ necessario a questo punto riportare sinteticamente i principi elaborati dalla sentenza n. 4 del 2011 e i

sottostanti snodi argomentativi:

a) il principio di parità delle parti e di imparzialità del giudice presiedono alla norma positiva enucleabile dal

combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., che impone di risolvere le questioni processuali

e di merito secondo l’ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito

rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali

(nell’ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio,

estinzione), rispetto alle condizioni dell’azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito

dall’Adunanza plenaria 3 giugno 2011, n. 10); l’ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra

nella disponibilità delle parti e non subisce eccezioni neppure se venga impugnata, da parte del ricorrente

principale, la legge di gara;

b) l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta – sulla falsariga del processo civile – a tre

condizioni fondamentali che, valutate in astratto con riferimento alla causa petendi della domanda e non

secundum eventum litis, devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al

momento della decisione; tali condizioni sono: I) il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione - cioè la situazione

giuridica soggettiva qualificata in astratto da una norma, ovvero, come altri dice, la legittimazione a ricorrere

discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dalquisque de populo rispetto

all’esercizio del potere amministrativo -; II) l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (o interesse al ricorso, nel

linguaggio corrente del processo amministrativo); III) la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva,

discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal

lato attivo o passivo);

c) in termini generali trova ingresso nel sistema della giustizia amministrativa anche la tutela del c.d. interesse ad

agire strumentale, ma solo se ed in quanto collegato ad una posizione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento,

la cui soddisfazione sia realizzabile unicamente attraverso il doveroso rinnovo dell’attività amministrativa,

dovendosi rifiutare, a questi fini, il riferimento ad una utilità meramente ipotetica o eventuale che richiede per la

sua compiuta realizzazione il passaggio attraverso una pluralità di fasi e atti ricadenti nella sfera della più ampia

disponibilità dell’Amministrazione; pertanto <>;

d) in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è

declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque

meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di

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contestazione; chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque

legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res

inter alios acta – venga nuovamente bandita; a tale regola generale si può fare eccezione, per esigenze di

ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e cioè quando: I) si contesti in

radice l’indizione della gara; II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo ’amministrazione

disposto l’affidamento in via diretta del contratto; III) si impugnino direttamente le clausole del bando

assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti;

e) la mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso; la

situazione legittimante costituita dall’intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di

carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto

ricorrente alla procedura selettiva; pertanto, la definitiva esclusione o l’accertamento retroattivo della illegittimità

della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che

lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva; tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l’illegittimità

della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell’atto di esclusione, sia per

annullamento dell’atto di ammissione e, soprattutto, indipendentemente dal numero dei partecipanti alla gara;

f) l’ordine di esame delle questioni risente di tali presupposti, pertanto, non è subordinato alla veste formale

utilizzata per la loro deduzione, ma dipende dal loro oggettivo contenuto; ne discende che, qualora il ricorso

incidentale abbia la finalità di contestare la legittimazione al ricorso principale, il suo esame assume carattere

necessariamente pregiudiziale e la sua accertata fondatezza preclude, al giudice, l’esame del merito delle domande

proposte dal ricorrente principale;

g) tali conclusioni sono pienamente compatibili con la disciplina del ricorso incidentale recata dal codice del

processo amministrativo (art. 42): il dato più significativo riguarda la qualificazione formale del ricorso

incidentale come strumento per la proposizione di «domande», il cui interesse sorge solo in dipendenza della

proposizione del ricorso principale; si chiarisce, in questo modo, che il ricorso incidentale può assumere un

contenuto complesso, ancorché innestato nella matrice comune della «difesa attiva» della parte intimata,

rivestendo la fisionomia dell’atto con il quale la parte intimata: I) formula un’eccezione, eventualmente a carattere

riconvenzionale; II) propone una vera e propria domanda riconvenzionale, diretta all’annullamento di un atto;

III) articola una domanda di accertamento pregiudiziale, volta, comunque, ad ottenere una pronuncia che

precluda l’esame del merito del ricorso principale;

h) in ossequio al superiore principio di economia processuale, il giudice può, in concreto, ritenere preferibile

esaminare prioritariamente il ricorso principale, quanto meno nei casi in cui esso sia palesemente infondato,

irricevibile, inammissibile o improcedibile, sulla scorta del paradigma sancito dagli artt. 49, co. 2, e 74 c.p.a.;

questa facoltà non deve essere negata, a priori, sempre che il suo esercizio non incida sul diritto di difesa del

controinteressato e consenta un’effettiva accelerazione della definizione della controversia; in linea di principio

resta ferma la priorità logica della questione pregiudiziale, ma eccezionali esigenze di semplificazione possono

giustificare l’esame prioritario di altri aspetti della lite.

8.1.1. Per il forte impatto sistemico sulla gestione dei contenziosi in materia di gare, merita un approfondimento

il punto specifico concernente l’asserita necessità che il ricorso incidentale sia sempre esaminato prima

del ricorso principale (anche quando prospetti carenze oggettive dell’offerta della impresa non aggiudicataria o

vizi procedurali).

In proposito si osserva come dalla piana lettura della più volte menzionata sentenza n. 4 del 2011 (in particolare §

51), emerge in modo univoco che il discrimine è rintracciato nella introduzione, da parte del ricorso

incidentale, di censure che colpiscono la mancata esclusione, da parte della stazione appaltante, del

ricorrente principale (ovvero della sua offerta), a causa della illegittima partecipazione di quest’ultimo

alla gara o della illegittimità dell’offerta; tale situazione lato sensu di invalidità della posizione del

ricorrente principale, deve scaturire dalla violazione di doveri o obblighi sanzionati a pena di

inammissibilità, di decadenza, di esclusione (a titolo esemplificativo si pensi all’intempestività della domanda

di partecipazione alla gara, alla carenza di requisiti soggettivi generali, di natura tecnica o finanziaria, ovvero di

elementi essenziali dell’offerta).

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La situazione di contrasto fra la condotta dell’impresa che partecipa alla selezione e la legge di gara

effettivamente rilevante per stabilire la priorità dell’esame del ricorso incidentale, è solo quella che

produce, come ineluttabile conseguenza, la non ammissione ab origine alla gara del concorrente non

vincitore, ovvero l’estromissione successivamente deliberata in apposite fasi (anche solo in senso logico)

deputate all’accertamento della regolare partecipazione del concorrente: si pensi al caso classico in cui

l’amministrazione proceda al riscontro della tempestività della presentazione delle domande di

partecipazione cui seguono (soprattutto dal punto di vista logico, poiché sovente tali adempimenti sono

effettuati in unico contesto temporale e procedurale), le ulteriori fasi relative all’accertamento dei requisiti

soggettivi dell’imprenditore ovvero oggettivi dell’offerta.

Ne discende che tutte le criticità prospettate come incidenti su attività svolte a valle di quelle dedicate al riscontro

dei suddetti requisiti, non impongono l’esame prioritario del ricorso incidentale perché, in tale ipotesi, esso non

mira ad accertare l’insussistenza della condizione dell’azione rappresentata dalla legittimazione del ricorrente, in

quanto soggetto escluso o che avrebbe dovuto essere escluso dalla gara.

In questi casi, infatti, il ricorso incidentale si appunta su vizi della valutazione operata dall’organo tecnico a ciò

preposto e le relative censure presuppongono, in definitiva, il superamento di ogni questione inerente la regolare

presenza dell’impresa (o della sua offerta) nella gara.

Si pensi alla contestazione del punteggio tecnico o economico nonché alla valutazione di anomalia dell’offerta

che, secondo le approfondite conclusioni cui è giunta questa Adunanza, attiene a <<…scelte rimesse alla

stazione appaltante, quale espressione di autonomia negoziale in ordine alla convenienza dell’offerta ed alla

serietà e affidabilità del concorrente ….>> (cfr. Ad. plen. 29 novembre 2012, n. 36).

Alle medesime conclusioni si perviene (per le ragioni sviluppate dalla sentenza di questa Adunanza n. 7 del 30

gennaio 2014, § 5.8.), in tutti i casi in cui il ricorso incidentale prospetti vizi lato sensu procedurali, tali cioè da

imporre, se riconosciuti fondati, la caducazione totale (ad es. per incompetenza dell’organo che ha indetto la gara

o redatto il bando), o parziale (ad es. per l’erronea composizione della commissione), degli atti di gara.

8.2. Si passa a questo punto ad illustrare, sinteticamente, il quadro dei principi forgiati dalla Corte di giustizia

dell’UE relativamente ai processi aventi ad oggetto procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti.

8.2.1. Ma prima è indispensabile ricordare i limiti al cui interno tali principi sono originati (ed operano), in

considerazione del fatto che il diritto dell’UE non contiene una disciplina generale del processo.

E’ noto, infatti, che l’UE, si fonda, fra l’altro, sul principio delle tassative competenze di attribuzione (artt. 3,

comma 6, e 4, co. 1, TUE); fra queste, vi rientrano la facilitazione dell’accesso alla giustizia attraverso il

riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed extra giudiziarie (art. 67, co. 4, FUE), e la cooperazione giudiziaria

nelle materie civili transfrontaliere (art. 81 FUE, già art. 65 TCE).

L’UE, pertanto, mira all’armonizzazione e non all’unificazione del diritto processuale; (omissis)

In tali settori vale, dunque, il c.d. “principio di autonomia processuale nazionale”, cui la stessa Corte di

giustizia ha mostrato di aderire, riconoscendo e dunque lasciando, nei limiti della non discriminazione e della

effettività della tutela, agli ordinamenti dei singoli Stati la disciplina delle modalità procedurali dei ricorsi

giurisdizionali (cfr., ex plurimis, Corte giustizia UE, 22 dicembre 2010, C-507/08 Governo Slovacchia; 20

settembre 2010, C-314/09 Stadt Graz; sul versante italiano si vedano le conclusioni cui sono giunti Cons. St.,

Sez. V, 23 ottobre 2013, n. 51531; Sez. VI, 5 marzo 2012, n. 1244/ord.).

(omissis)

8.2.2. In materia di pubblici appalti di lavori, servizi e forniture, nonché di settori speciali, le direttive CEE 21

dicembre 1989, n. 665/89 e 25 febbraio 1992, n. 13/92 (modificate dalla direttiva n. 2007/66/CE), si sono

proposte il fine di assicurare garanzie giurisdizionali efficaci e rapide (onde evitare di scoraggiare le imprese

europee dal concorrere in paesi stranieri), attraverso l’introduzione dei seguenti vincolanti principi:

a) rapidità ed efficacia dei ricorsi;

b) assenza di discriminazioni basate sulla nazionalità;

c) accesso ai rimedi giurisdizionali a chiunque, avendo interesse all’aggiudicazione, sia stato leso, o rischi di essere

leso a causa di una violazione del diritto comunitario;

d) essenzialità della tutela cautelare ante causam;

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e) effetto sospensivo automatico della stipulazione del contratto, per un determinato lasso temporale, in caso di

ricorso avverso l’aggiudicazione (c.d. stand still);

f) essenzialità della tutela risarcitoria.

8.2.3. Le menzionate direttive sono state oggetto di una cospicua esegesi da parte della Corte di giustizia del

Lussemburgo che ha elaborato i seguenti principi che, in sintesi e nella parte di interesse, si riportano (cfr., ex

plurimis, Sez. X, 4 luglio 2013, C-100/12 Fastweb; Sez. III, 20 settembre 2010, C-314/09 Stadt Graz; 28 gennaio

2010, n. 406/08 Uniplex; Sez. VI, 12 febbraio 2004, C-230/02, Grossman; 19 giugno 2003, C-249/01

Hackermuller; 27 febbraio 2003, C-327/00 Santex):

a) lo scopo delle norme comunitarie in materia, è quello di realizzare il valore della massima rapidità nella

definizione del contesto procedimentale prima e processuale poi;

b) conseguentemente, l’impresa che non partecipa alla gara non può in nessun caso contestare l’aggiudicazione in

favore di ditte terze (in senso analogo cfr. Ad. plen., n. 4 del 2011 cit.; 27 gennaio 2003, n. 1);

c) è ammessa l’impugnativa diretta della legge di gara ma solo per le clausole discriminatorie escludenti (in senso

analogo cfr. Ad. plen. n. 1 del 2003 cit.);

d) sono ammessi termini processuali di impugnativa degli atti di gara particolarmente stringenti, salvo il limite

della eradicazione del diritto di difesa (in senso analogo cfr. Corte cost. 10 novembre 1999, n. 427, relativamente

all’art. 19, d.l. 25 marzo 1997, n. 67 norma fondamentale, dal punto di vista cronologico, in materia di

dimezzamento dei termini del processo in materia di appalti);

e) l’impresa che è stata esclusa (dalla stazione appaltante), ovvero che deve essere esclusa dalla gara (a tanto

pervenendosi in forza del rilievo officioso del giudice ovvero per il tramite della proposizione di un ricorso

incidentale), è priva di interesse ad agire contro l’aggiudicatario (in senso analogo cfr. Ad. plen. n. 4 del 2011 cit.).

8.2.4. La sentenza Fastweb, dopo aver richiamato e condiviso tutti i principi sopra riportati, ha così statuito:

<<31. Nel procedimento principale, il giudice del rinvio, all’esito della verifica dell’idoneità delle offerte

presentate dalle due società in questione, ha constatato che l’offerta presentata da Fastweb non era conforme

all’insieme delle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni. Esso è giunto peraltro alla stessa

conclusione in relazione all’offerta presentata dall’altro offerente, Telecom Italia.

32. Una situazione del genere si distingue da quella oggetto della citata sentenza Hackermüller, in particolare

per essere risultato che, erroneamente, l’offerta prescelta non è stata esclusa al momento della verifica delle

offerte, nonostante essa non rispettasse le specifiche tecniche del piano di fabbisogni.

33. Orbene, dinanzi ad una simile constatazione, il ricorso incidentale dell’aggiudicatario non può

comportare il rigetto del ricorso di un offerente nell’ipotesi in cui la legittimità dell’offerta di entrambi

gli operatori venga contestata nell’ambito del medesimo procedimento e per motivi identici. In una

situazione del genere, infatti, ciascuno dei concorrenti può far valere un analogo interesse legittimo

all’esclusione dell’offerta degli altri, che può indurre l’amministrazione aggiudicatrice a constatare

l’impossibilità di procedere alla scelta di un’offerta regolare.>>.

In buona sostanza la sentenza Fastweb, una volta investita da parte del giudice a quo (sebbene in

violazione della vincolante regola processuale che impone un rigido ordine di esame delle questioni –retro § 8.1. -

), di una fattispecie all’interno della quale era stata accertata in concreto l’illegittimità di entrambe le

offerte, non ha potuto fare a meno di somministrare la concreta regula iuris costruendola come una

evidente eccezione al compendio delle norme e dei principi di sistema. Tanto è vero questo che ha

limitato la possibilità dell’esame congiunto del ricorso incidentale e principale alle stringenti condizioni che: I) si

versi all’interno del medesimo procedimento; II) gli operatori rimasti in gara siano solo due; III) il vizio che

affligge le offerte sia identico per entrambe.

8.3. Da quanto fin qui esposto discende la conferma dell’impianto teorico costruito dall’Adunanza plenaria n. 4

del 2011, alla luce dei principi processuali europei in materia, al cui interno si innesta la particolare regula iuris

introdotta dalla sentenza Fastweb, di cui ovviamente si deve tenere conto, ma muovendo dalla constatazione

della sua circoscritta portata, trattandosi comunque di una eccezione.

8.3.1. Contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione, in casi del genere non si ravvisa

la lesione del principio della “parità delle armi” (la cui applicazione concreta, per altro, appare lontana da

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una chiara e stabile preventiva definizione del principio stesso e sembra spesso lambire l’ambito delle ragioni di

opportunità sottese al caso contingente).

L’Adunanza plenaria non intende discostarsi dalla nozione (e dai presupposti giustificativi), del principio

di “parità delle armi” che si è andata affermando nella giurisprudenza costituzionale ed europea relativamente

all’applicazione dei principi del giusto processo enucleabili dall’art. 6 della Cedu, secondo cui <> (cfr. da ultimo

Corte cost., 26 gennaio 2012, n. 15; Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, 7 giugno 2011, Agrati; per

un’analoga impostazione nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, cfr. Cons. St., Sez. VI, 14 giugno 2011,

n. 3655). Del resto a risultati analoghi è pervenuta la giurisprudenza costituzionale quando ha affrontato il tema

del principio della parità delle parti – sancito dall’art. 111, co. 2, Cost. e richiamato dall’art. 2 c.p.a. – nel processo

amministrativo: si è ammessa la presenza di “legittime dissimmetrie” fra le parti del processo purché sorrette da

una ragionevole giustificazione (cfr. Corte cost., 9 aprile 2009, n. 109).

8.3.2. Ebbene, il principio di “parità delle armi”, come declinato dal giudice delle leggi e dalla Corte di

Strasburgo:

a) non avendo una portata precettiva puntuale - in quanto si limita ad esprimere una previsione fondata su una

ragionevole possibilità di esternazione del proprio caso da parte di chi adisce il giudice - non comporta che il

fascio di posizioni attive e passive di natura processuale, ricollegabile a ciascuna parte, sia assolutamente identico;

b) non contrasta con una regola processuale di fonte legale che impone al giudice di rispettare la tassonomia

propria delle questioni; siffatta regola, al contrario, garantisce ed attua il principio di “parità delle armi” perché

predetermina, in astratto ed in via generale, per tutti i litiganti, le modalità di esercizio del potere giurisdizionale;

c) la regola del processo italiano esige che la parte che introduce il giudizio, inter alios, superi il filtro costituito

dalle condizioni dell’azione;

d) nella specie, la parte che introduce effettivamente il giudizio instaurando il rapporto processuale, ovvero

l’attore in senso sostanziale, è il ricorrente principale il soggetto, cioè, non risultato vincitore nella gara che, pur

essendo consapevole di aver commesso un errore che lo priva della legittimazione e quindi di non poter risultare

aggiudicatario della specifica gara cui ha partecipato (che costituisce il bene della vita immediato e diretto cui

possa aspirare), in violazione del divieto di abuso del processo, propone ugualmente la domanda di

annullamento;

e) ed è proprio la riconducibilità della negligenza - che ha provocato (o avrebbe dovuto provocare), l’esclusione

dalla gara - al ricorrente principale che costituisce una ragionevole giustificazione della dissimmetria processuale

la quale impedisce al giudice di pronunciarsi sulla illegittimità della mancata esclusione dell’aggiudicatario.

8.3.3. I principi di “effettività” e “parità delle armi”, pertanto, sebbene siano ricognitivi di preesistenti principi

costituzionali ed europei, per la loro collocazione in testa al codice (artt. 1 e 2, co. 1, c.p.a.), ne assumono il ruolo

di impalcatura e filo conduttore ma nei limiti del soddisfacimento della domanda di giustizia per i realmente

bisognosi, senza incoraggiamento di azioni emulative o pretestuose.

8.3.4. Come in precedenza illustrato (retro § 8.1.), l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è

soggetta – sulla falsariga del processo civile – a tre condizioni fondamentali (titolo, interesse ad agire,

legittimazione attiva/passiva), che devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere

fino al momento della decisione finale (sotto tale angolazione si esclude correttamente che sia possibile esperire

una c.t.u. al fine di affermare o negare la sussistenza della legittimazione al ricorso o di altra condizione

dell’azione, cfr. Cons. St., Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3404).

In aggiunta alle argomentazioni della sentenza n. 4 del 2011, sempre avuto riguardo alla prima delle condizioni

dell’azione (ovvero il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione o legittimazione al ricorso), si osserva che la

medesima non è configurabile allorquando ricorrano le seguenti condizioni:

a) soprattutto in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto e affidamenti di servizi, il tema della

legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata alla

circostanza che l’instaurazione del giudizio non solo sia proposta da chi è legittimato al ricorso, ma anche che

non appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto, pretese impossibili o contra ius (cfr. da ultimo,

sul principio generale e sulla sua applicazione in materia di gare di appalto, Cons. St., Sez. V, 27 dicembre 2013,

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n. 6256; Sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5247; Sez. V, 23 ottobre 2013, n. 5131; Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084; Sez.

V, 12 febbraio 2010, n. 746; Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5244);

b) nessuna posizione di interesse legittimo è enucleabile dall’esame della causa petendi di un ricorso principale

che si risolve, all’evidenza, nella richiesta di tutela di un interesse materiale contra ius, (vedersi aggiudicata una

gara cui non si aveva titolo a partecipare), se messo in relazione alle norme ed ai principi comunitari e nazionali

che tutelano i valori della legalità, del libero mercato e della concorrenza;

c) tale conclusione è coerente con la funzione svolta dalle condizioni dell’azione nei processi di parte, innervati

come sono dal principio della domanda e dal suo corollario rappresentato dal principio dispositivo; sul punto è

sufficiente ricordare la prevalente tesi (corroborata dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte

di cassazione, cfr. 22 aprile 2013, n. 9685), secondo cui tali condizioni (ed in particolare il c.d. titolo e l’interesse

ad agire), assolvono una funzione di filtro in chiave deflattiva delle domande proposte al giudice, fino ad

assumere l’aspetto di un controllo di meritevolezza dell’interesse sostanziale in gioco, alla luce dei valori

costituzionali ed internazionali rilevanti, veicolati dalle clausole generali fondamentali sancite dagli artt. 24 e 111

Cost.; tale scrutinio di meritevolezza, costituisce, in quest’ottica, espressione del più ampio divieto di abuso del

processo, inteso come esercizio dell’azione in forme eccedenti o devianti, rispetto alla tutela attribuita

dall’ordinamento, lesivo del principio del giusto processo apprezzato come risposta alla domanda della parte

secondo una logica che avversi ogni inutile e perdurante appesantimento del giudizio al fine di approdare

attraverso la riduzione dei tempi della giustizia ad un processo che risulti anche giusto (cfr. da ultimo, per il

processo civile, Cass., Sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553; per il processo amministrativo, Cons. St., Sez. V, 7

febbraio 2012, n. 656; Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6537; sul divieto di condotte processuali opportunistiche

violative del dovere di mitigazione del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c., cfr. Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3);

d) il punto di equilibrio fra la tutela dell’interesse pubblico e la tutela degli interessi privati, nel processo

amministrativo dominato dal principio della domanda (retro § 8.3.3.), si coglie nei limiti delle norme che ne

rappresentano il punto di emersione a livello positivo: non esiste una disposizione che esoneri l’attore dall’essere

assistito dalle su menzionate condizioni dell’azione; pertanto, non è possibile sostenere una esegesi della

disciplina delle condizioni dell’azione che dia vita ad una derogatoria giurisdizione di diritto oggettivo, contraria

all’ordinamento ed al principio di legalità; sul punto è sufficiente porre mente alla circostanza che, accedendosi

alla prospettazione dell’ordinanza di rimessione, si dovrebbe negare, in presenza dell’assodata invalidità

dell’offerta aggiudicataria, la possibilità che il ricorrente principale rinunci al ricorso; una tale eventualità potrebbe

ritenersi legittima solo in presenza di una espressa disposizione di legge capace di derogare al principio

dispositivo: a tal proposito, è emblematica sul piano storico, la vicenda dell’art. 146, del codice dei beni culturali

(d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), che, per un breve periodo (fino alla sostituzione del testo ad opera del d.lgs. 26

marzo 2008, n. 63), ha stabilito che il ricorso avente ad oggetto l’autorizzazione paesaggistica è deciso anche se

dopo la sua proposizione, ovvero in grado d’appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più

interesse; la breve esistenza della eccentrica disposizione conferma la necessità che la legge deroghi

espressamente agli immanenti principi della domanda e dispositivo.

8.3.5. La sentenza Fastweb, come in precedenza illustrato, ha introdotto una eccezione all’interno del quadro

unitario laboriosamente ricostruito dalla giurisprudenza (nazionale e comunitaria).

E’ indubbio che, se entrambe le offerte sono inficiate dal medesimo vizio che le rende inammissibili, apparirebbe

prima facie contrario all’uguaglianza concorrenziale escludere solo l’offerta del ricorrente principale,

dichiarandone inammissibile il ricorso, e confermare invece l’offerta dell’aggiudicatario ricorrente incidentale,

benché suscettibile di esclusione per la medesima ragione. Ma in realtà ciò avviene perché, essendo il vizio fatto

valere da entrambi i contendenti il medesimo, in concreto neppure si pone un problema di esame prioritario del

ricorso incidentale rispetto al ricorso principale: prioritario, in questo peculiare caso, è l’esame del vizio; se questo

sussiste, entrambi i ricorsi devono essere accolti, se non sussiste entrambi dovranno essere disattesi e

l’aggiudicazione sarà confermata.

In apparenza, potrebbe ritenersi che la sentenza Fastweb abbia introdotto una giurisdizione di tipo oggettivo

basata sul vizio dedotto e non sull’interesse a dedurlo. Al contrario, la ratio della decisione Fastweb si fonda sul

principio di “parità delle armi”: questo fa si che, nel caso in cui il ricorrente incidentale deduca il medesimo

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motivo escludente dedotto dal ricorrente principale, venga meno l’asimmetria di origine procedimentale tra la

legittimazione a resistere dell’aggiudicatario, certa perché fondata sul provvedimento impugnato, e la

legittimazione a ricorrere del concorrente pretermesso dall’aggiudicazione, incerta perché fondata su una

posizione legittimante che il ricorso incidentale può far venire meno.

L'identità del vizio, nella sua consistenza fattuale e nella sua speculare deduzione da ambedue le parti, comporta

che il suo accertamento e la relativa decisione di accoglimento siano automaticamente e logicamente predicabili

indifferenttemente per l'una o per l'altra parte del processo.

In altri termini, l'unicità del vizio e l'unicità della verifica della sua sussistenza (coniugati al principio immanente

della parità delle parti ex art. 111 Cost.), non consentono di trarre conseguenze opposte sia pure soltanto sul

piano processuale.

In tutte le altre ipotesi (quelle cioè non caratterizzate dalla comunanza del motivo escludente), la caduta

dell’interesse del ricorrente principale ad ottenere tutela, rende irrilevante esaminare (per lo meno in sede di

ricorso giurisdizionale ad istanza di parte, rimanendo fermo il potere di autotutela della stazione appaltante il cui

esercizio richiederà un vaglio rigoroso in presenza di una causa di esclusione dell’impresa aggiudicataria), se

l’intervenuta aggiudicazione sia, sotto altri profili, conforme o meno al diritto ovvero se sussistano vizi della

procedura (cui il ricorrente non aveva titolo a partecipare), capaci di travolgere l’intera gara.

8.3.6. Si tratta adesso di stabilire quando ricorre l’eccezione definita dalla sentenza Fastweb, ovvero

quando si configuri l’identità del vizio (e quindi del motivo) escludente che affligge entrambe le offerte

delle uniche due imprese rimaste in gara.

Sul punto l’Adunanza ritiene che si debba utilizzare un criterio che, nel rispetto delle vincolanti indicazioni

provenienti dalla Corte del Lussemburgo, contemperi la natura eccezionale della regula iuris forgiata dalla

sentenza Fastweb, le esigenze di uguaglianza ed equità sostanziali di cui sono portatrici le imprese in

gara, le ragioni di certezza del diritto e di pronta soluzione dell’accertamento demandato al giudice, le

caratteristiche dello sviluppo del procedimento amministrativo posto in essere dalla stazione appaltante

e gli interessi sostanziali presidiati dalle varie cause di esclusione.

8.3.6.1. Facendo applicazione dei menzionati criteri, deve escludersi che il <> possa essere individuato

equiparando l'identità della causa (del vizio escludente) all'identità dell'effetto (escludente).

In questa esegesi, infatti, non rileverebbe tanto il motivo o la causa per cui è stata disposta l'esclusione,

quanto la conseguenza che ne è derivata e cioè appunto l'esclusione.

Questa conclusione in pratica ricondurrebbe la questione nell'alveo della teoria (rifiutata dalla Corte di giustizia e

dall’Adunanza plenaria), dell'incondizionato riconoscimento dell'interesse strumentale.

Come in precedenza illustrato, l’esegesi basata sull'identità dell'effetto è da escludersi in base allo stesso testuale

tenore della sentenza Fastweb la quale - ripetesi - non ripudia i propri precedenti ma, al contrario, si limita ad

enunciare una singola eccezione.

L'eccezione è testualmente riconducibile quindi non già all'effetto (esclusione) bensì alla causa dell'esclusione,

causa che deve essere identica sia per il ricorrente principale che per l'incidentale.

Che si tratti della causa generatrice dell'effetto non pare dubbio e ciò si evince anche esaminando il testo della

decisione Fastweb in lingue diverse dall'italiano: nel testo francese si fa riferimento a <>; nel testo inglese si parla

di offerta contestata nello stesso procedimento <>; nel testo spagnolo si specifica <>.

Le parole <> fanno riferimento non già all'effetto bensì alla causa che ha dato luogo all'esclusione.

Resta da stabilire il significato dell'identità e cioè se si tratti di identità in senso stretto (quasi una

riproposizione speculare dello stesso motivo del ricorrente principale), ovvero se e in che misura possano

variare i presupposti di fatto o di diritto.

Il testo italiano potrebbe legittimare l'identità in senso stretto, ma non così le versioni nelle altre lingue che

sembrano ricollegare l'identità più che all'aspetto formale all'aspetto sostanziale ovvero alla <> ed all'interesse

sottostante alla disposizione che lo prevede.

Pertanto, deve ritenersi comune la causa di esclusione che afferisce alla medesima sub fase del

segmento procedimentale destinato all’accertamento del titolo di ammissione alla gara dell’impresa e

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della sua offerta, correlando le sorti delle due concorrenti in una situazione di simmetria invalidante: in

quest’ottica deve escludersi che si richieda l’assoluta identità causale del vizio.

Tale esegesi, da un lato, è conforme al tenore testuale della sentenza (anche nelle versioni in lingua francese,

inglese, spagnola), ed al contesto procedimentale all’interno del quale è stata resa (due offerte accomunate dalla

carenza di elementi tecnici essenziali, perché previsti a pena di esclusione, ma di differente contenuto); dall’altro,

è coerente, sotto il profilo diacronico ed organizzativo, con l’attività posta in essere dalla stazione appaltante nelle

sue varie articolazioni (in particolare responsabile del procedimento e commissione o seggio di gara).

8.3.6.2. Devono, in definitiva, considerarsi comuni, ai fini individuati dalla sentenza Fastweb, i vizi

ricompresi esclusivamente all’interno delle seguenti tre, alternative, categorie:

a) tempestività della domanda ed integrità dei plichi (trattandosi in ordine cronologico e logico dei primi

parametri di validazione del titolo di ammissione alla gara);

b) requisiti soggettivi generali e speciali di partecipazione dell’impresa (comprensivi dei requisiti

economici, finanziari, tecnici, organizzativi e di qualificazione);

c) carenza di elementi essenziali dell’offerta previsti a pena di esclusione (comprensiva delle ipotesi di

incertezza assoluta del contenuto dell’offerta o della sua provenienza).

Esemplificando, sono identici - e dunque consentono l’esame incrociato e l’eventuale accoglimento di entrambi i

ricorsi (principale ed incidentale), con la consequenziale esclusione dalla gara degli unici due contendenti – solo i

vizi che afferiscono alla medesima categoria.

Si pensi all’ipotesi in cui tali vizi (ed i correlati motivi di impugnazione), scaturiscano entrambi dalla

intempestività della domanda ovvero da quest’ultima e dalla non integrità del plico; all’ipotesi della mancanza

della qualificazione per la richiesta categoria di lavori dell’impresa ricorrente principale che si confronti con la

mancanza di un requisito di affidabilità morale dell’impresa aggiudicataria ricorrente incidentale.

Viceversa non soddisfano il requisito di simmetria escludente (perché non si pongono in una relazione di

corrispondenza biunivoca), come richiesto dalla sentenza Fastweb, e dunque impediscono l’esame congiunto del

ricorso principale ed incidentale, i vizi sussumibili in diverse categorie: ad esempio, la dedotta (nel ricorso

incidentale) intempestività della domanda dell’impresa non aggiudicataria, a fronte della dedotta (nel ricorso

principale) carenza di un requisito economico dell’impresa aggiudicataria.

8.3.7. Per completezza si evidenzia che nei casi come quello sottoposto alla Adunanza plenaria, non è

configurabile neppure l’interesse ad agire sancito dall’art. 100 c.p.c., da sempre considerato applicabile al

processo amministrativo ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall’art. 39, co. 1, c.p.a.

L’interesse ad agire è scolpito nella sua tradizionale definizione di “bisogno di tutela giurisdizionale”, nel senso

che il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo; è dunque

espressione di economia processuale, manifestando l’esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema

ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla concretezza ed attualità del danno (anche in termini di

probabilità), alla posizione soggettiva di cui si invoca tutela; esso resta logicamente escluso quando sia

strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte perché meramente ipotetiche.

In questi casi, posto che il ricorrente principale è privo della possibilità giuridica, per tutte le ragioni anzi dette, di

risultare aggiudicatario della specifica gara cui ha in concreto partecipato (anche in caso di rinnovo pedissequo

della medesima in quanto permarrebbe il medesimo sbarramento), egli dovrebbe auspicare che

l’Amministrazione indica una nuova gara, mutandone termini e condizioni, in modo tale da consentirgli di

partecipare; ma, di norma, la stazione appaltante non ha un obbligo di tal fatta anche in presenza

dell’annullamento di tutti gli atti della procedura, sicché tale pretesa si rivela per quello che è, ovvero, una mera

speranza al riesercizio futuro ed eventuale del potere amministrativo, inidonea a configurare l’interesse ad agire.

(omissis)