Dispensa Corso Birra-1

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LA BIRRA NON è MAI STATA INVENTATA Breve Cronistoria della Birra PREISTORIA Come tanti dei prodotti alimentari che oggi mangiamo o beviamo, s’intuisce che anche la birra è nata da una combinazione più o meno fortuita di ingredienti ed eventi. Il primo evento è stato la coltivazione, il primo ingrediente l’orzo (il cereale più facile da coltivare). Entrambi hanno contribuito alla trasformazione dei popoli da principalmente nomadi a stanziali, si sono formati i primi villaggi e si sono poste le basi delle società contemporanee. La coltivazione ha portato poi alla necessità di immagazzinare e di conservare le riserve di cereali. Si presentarono allora delle difficoltà per la conservazione al fine di proteggere le riserve dai vermi e dai roditori. Essendo la necessità madre di tutte le invenzioni, la donna inventa una tecnica originale di conservazione cioè mantenere i grani in recipienti riempiti d'acqua che poi grazie ai lieviti selvaggi mettono in atto una fermentazione: la birra comincia così a delinearsi. Il secondo evento è stato il caso, il secondo ingrediente, l’acqua. Si narra, infatti, sebbene nessuno sappia con precisone cosa sia successo davvero, che il processo di fermentazione fu scoperto per puro caso. Si suppone del pane o del grano macinato fu lasciato per sbaglio a inumidire. In seguito il pane cominciò a fermentare trasformando la mollica in una pasta inebriante. Per i tempi questo processo era considerato frutto dell’intervento degli dei. SUMERI, BABILONESI ED EGIZI I Sumeri La prima traccia inconfutabile dell'esistenza della birra ci viene da una tavoletta di argilla dell'epoca predinastica sumera (circa 3.700 A.C.), il celebre "monumento blu" che descrive i doni propiziatori offerti alla dea Nin-Harra: capretti, miele e birra. Dai caratteri cuneiformi dei sumeri sappiamo inoltre che le "case della birra" sono tenute da donne, che la birra d'orzo é chiamata sikaru (pane liquido) mentre quella di farro é detta kurunnu e che altri tipi sono ottenuti mescolando in proporzioni diverse le prime due. Da ricordare almeno la niud addolcita con zucchero di datteri e la bi-du, la più "ordinaria" che serviva a calcolare il salario-base degli operai (3 litri al giorno!). Sulla base di questi rinvenimenti si suppone che i Sumeri siano stati la prima popolazione civilizzata della storia capace di produrre birra, bevanda che, oltre ad esser bevuta, era offerta in dono agli Dei; è stato scoperto, infatti, un vero e proprio inno alla dea della birra Ninkasi, il cui testo altro non è che la ricetta su come produrre birra. I Babilonesi Dopo la caduta dell'impero sumero nel 2000 A.C. la Mesopotamia divenne terra dei Babilonesi, che assorbirono la cultura e l'arte di produrre birra; le testimonianze ci dicono che questa popolazione ne produceva ben venti varietà. Di cui 8 di puro frumento, 8 di puro orzo e 4 derivate da una mistura di vari cereali. A quel tempo la birra era torbida e non filtrata, perciò la birra era bevuta con la cannuccia, per evitare che i residui molto amari si depositassero sulle labbra.

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LA BIRRA NON è MAI STATA INVENTATA Breve Cronistoria della Birra

PREISTORIA Come tanti dei prodotti alimentari che oggi mangiamo o beviamo, s’intuisce che anche la birra è nata da una combinazione più o meno fortuita di ingredienti ed eventi. Il primo evento è stato la coltivazione, il primo ingrediente l’orzo (il cereale più facile da coltivare).

Entrambi hanno contribuito alla trasformazione dei popoli da principalmente nomadi a stanziali, si

sono formati i primi villaggi e si sono poste le basi delle società contemporanee. La coltivazione ha

portato poi alla necessità di immagazzinare e di conservare le riserve di cereali. Si presentarono

allora delle difficoltà per la conservazione al fine di proteggere le riserve dai vermi e dai roditori.

Essendo la necessità madre di tutte le invenzioni, la donna inventa una tecnica originale di

conservazione cioè mantenere i grani in recipienti riempiti d'acqua che poi grazie ai lieviti selvaggi

mettono in atto una fermentazione: la birra comincia così a delinearsi.

Il secondo evento è stato il caso, il secondo ingrediente, l’acqua. Si narra, infatti, sebbene nessuno

sappia con precisone cosa sia successo davvero, che il processo di fermentazione fu scoperto per

puro caso. Si suppone del pane o del grano macinato fu lasciato per sbaglio a inumidire. In seguito

il pane cominciò a fermentare trasformando la mollica in una pasta inebriante. Per i tempi questo

processo era considerato frutto dell’intervento degli dei.

SUMERI, BABILONESI ED EGIZI

I Sumeri

La prima traccia inconfutabile dell'esistenza della birra ci viene da una tavoletta di argilla dell'epoca

predinastica sumera (circa 3.700 A.C.), il celebre "monumento blu" che descrive i doni propiziatori

offerti alla dea Nin-Harra: capretti, miele e birra. Dai

caratteri cuneiformi dei sumeri sappiamo inoltre che le "case della birra" sono tenute da donne, che

la birra d'orzo é chiamata sikaru (pane liquido) mentre quella di farro é detta kurunnu e che altri tipi

sono ottenuti mescolando in proporzioni diverse le prime due. Da ricordare almeno la niud

addolcita con zucchero di datteri e la bi-du, la più "ordinaria" che serviva a calcolare il salario-base

degli operai (3 litri al giorno!). Sulla base di questi rinvenimenti si suppone che i Sumeri siano stati

la prima popolazione civilizzata della storia capace di produrre birra, bevanda che, oltre ad esser

bevuta, era offerta in dono agli Dei; è stato scoperto, infatti, un vero e proprio inno alla dea della

birra Ninkasi, il cui testo altro non è che la ricetta su come produrre birra.

I Babilonesi Dopo la caduta dell'impero sumero nel 2000 A.C. la Mesopotamia divenne terra dei Babilonesi, che assorbirono la cultura e l'arte di produrre birra; le testimonianze ci dicono che questa popolazione ne produceva ben venti varietà. Di cui 8 di puro frumento, 8 di puro orzo e 4 derivate da una mistura di vari cereali. A quel tempo la birra era torbida e non filtrata, perciò la birra era bevuta con la cannuccia, per evitare che i residui molto amari si depositassero sulle labbra.

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L'importanza di questa bevanda nella società babilonese, era tale che il re Hammurabi inserì una

legge nel suo famoso codice che stabiliva:

- la quota massima di birra concessa giornalmente agli abitanti, che variava, secondo la classe

sociale, dai 2 ai 5 litri,

- condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati e chi apriva un locale di

vendita senza autorizzazione.

- Si stabilisce che la vendita della birra in cambio di oro e argento é proibita poiché il venditore

può esigere solo orzo in quantità uguale alla birra venduta, pena l'essere gettato nel fiume.

Si narra che Hammurabi condannò all'annegamento una donna per aver venduto la propria birra in

cambio d'argento. La pena dell'annegamento era destinata anche a chi servisse della birra non

buona.

Gli Egizi In Egitto la tradizione birraria fu coltivata migliorandone la tecnica ed affinando il gusto del prodotto. Le scuole superiori insegnano la fabbricazione della birra prima della scrittura e della lettura. Certe popolazioni del Nilo, chiamate Fellahs, producono tutt'oggi la birra secondo la tradizione. Gli scribi arrivarono a coniare un nuovo geroglifico che indicava il “mastro birraio”. Nella storia la birra divenne anche merce di scambio; veniva, infatti, barattata con orzo e altri cereali. Tuttavia non poteva essere venduta. Il salario giornaliero di chi costruiva le piramidi era di circa quattro litri di birra al giorno. Si calcola che siano serviti serviti circa 875 milioni di litri di birra per costruire una piramide. La birra egiziana era uno degli alimenti principali, se non l’unico, per la popolazione; con i suoi 3 gradi e la sua carica nutritiva. Gli Egizi attribuirono a Osiride, protettore dei morti, l'invenzione della birra ed essendo stretto il legame tra birra e immortalità, i più ricchi si facevano costruire delle birrerie in miniatura per le loro tombe. Per il viaggio nell’aldil{ servivano 100 anfore, in parte. Ai Faraoni erano dovuti come tasse dalle città, dai territori e dalle province, migliaia e migliaia di vasi di birra e, come per i Sumeri, il salario minimo era liquido (due anfore di birra al giorno). Non era solo l’unico pasto (liquido) degli egiziani; la birra era infatti usata per curare molti tipi di malattie. Gli egiziani avevano intuito che la birra avesse delle particolari proprietà, senza ovviamente scoprirne la ragione. In realtà avevano sfruttato inconsciamente la tetraciclina: un antibiotico naturale anticipando di 3000 anni le scoperte di Fleming. La prova è data dalla presenza di tetraciclina nelle ossa delle mummie. Gli Egizi chiamarono la birra "zythum" e i loro cugini d'oltre-mediterraneo, i greci se ne ispirarono

per chiamarla "zythos"e migliaia di anni dopo gli studiosi utilizzano la radice greca per designare

gli elementi della fermentazione: zymotechnia (1762), zymotico (1855), ecc.

Greci e romani

La birra continuò a esser prodotta anche dai Greci. Platone avrebbe scritto che "Deve essere stato

un uomo saggio a inventare la birra.” Sebbene preferissero il vino, i greci consumavano birra

soprattutto durante le Olimpiadi, periodo in cui era vietato il consumo di vino. In seguito furono

proprio i Greci ad insegnare ai Romani come fare la birra. I Romani chiamarono la propria birra

cerevisia, da Cerere (Ceres), la dea dell'agricoltura, e da vis, termine latino che significa "forza".

La birra ebbe un'importanza notevole per i primi Romani, ma durante il periodo repubblicano il

vino divenne la bevanda alcolica d'elezione; la birra cominciò ad essere considerata una bevanda

adatta solamente ai barbari. Tacito scrisse della birra prodotta dalle popolazioni germaniche del

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tempo con toni dispregiativi.

Gneo Giulio Agricola (40-93 d.C.), invece quando tornò a Roma dalla Britannia, si portò tre mastri

birrai di Glevum (Gloucester) e aprì il primo micro-birrificio della penisola.

Ad ogni modo, sebbene a Roma la birra fosse considerata una bevanda barbara e soppiantata dal

nettare degli dei, il vino (e dal suo dio, Bacco), questa continuò a esser prodotta negli altri territori

dell'Impero dove risultava difficile coltivare le viti ed ottenere vino.

I barbari, in particolare i Galli

La più antica testimonianza della produzione di birra sul suolo germanico risale all'800 A.C. ed è

costituita da un'anfora da birra rinvenuta vicino a Kulmbach. Lo stato d'alterazione creato dalla

birra fu considerato divino, al punto che si pensava fosse la rappresentazione della Dea Birra che

s’impossessava del corpo del bevitore.

La produzione di birra assunse un ruolo fondamentale nella quotidianità; la birra non fu più

considerata esclusivamente bevanda da offrire in sacrificio agli dei, bensì trovò spazio su gran parte

delle tavole degli antichi Germanici.

I Galli migliorano tre aspetti del fare la birra:

utilizzano pietre riscaldate per la cottura

inventano le botti per un più lungo periodo di conservazione (fino a otto mesi)

inventano una famosa pozione magica mescolando a una birra di frumento una parte di

idromele. Aromatizzano le loro birre con anice, assenzio e finocchio mentre i Druidi

preparano anch'essi un'infusione magica dai poteri curativi impiegando un ingrediente

segreto: la salvia.

In pratica i galli sono i primi a preoccuparsi di migliorare il sapore e la godibilità di questa bevanda.

La birra al tempo non era conservabile, era scura e non produceva schiuma. Tuttavia la non-

deperibilità della birra, data dalla presenza di alcool, contribuì all'innalzamento dell'età media e al

miglioramento della salute della popolazione, mentre le sue capacità automedicali alleviarono i

disagi di una vita in un mondo ostile.

Il Medio-evo

Nel Medio-Evo la libertà di fare e vendere birra costituisce un privilegio che é saldamente nelle

mani della Chiesa e dei nobili che ovviamente si arrogano il diritto di produrre e commerciare la

birra. Solo quando non saranno più in grado di far fronte alla crescente domanda, concederanno la

licenza ai privati in cambio di tasse alquanto salate. Con la nascita di sempre più potenti

corporazioni di commercianti, la birra diventa una delle principali forze economiche.

Nel 1376, ad esempio, ad Amburgo operano ben 457 birrai e si distinguono due differenti tipi di

birrerie: quelle gestite dai birrai "di mare" che esportano i loro prodotti e quelli "di terra"che

rispondono al mercato locale.

La birra continuava ad essere più salutare dell'acqua che, al tempo, era spesso contaminata e quasi

mai potabile. Dato che il processo di birrificazione elimina dall’acqua i batteri nocivi ciò permise

alle popolazioni di sopravvivere alle malattie, o per lo meno di limitarle. Da notare inoltre che fino

al Medioevo, il processo di birrificazione era appannaggio delle sole donne.

Lentamente questa prerogativa svanì man mano che la birra cominciò ad esser prodotta nei

monasteri; questa arte fu adottata dai monaci (belgi e olandesi in primis) e mantenne vivo il legame

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tra la birra e la religione. Le prime donne babilonesi che produssero birra erano infatti sacerdotesse

del tempio.

Era prodotta:

- la birra “leggera”, adatta a esser consumata quotidianamente

- la birra ad alto contenuto alcolico, destinata alle occasioni speciali.

Durante i matrimoni in Gran Bretagna, un tempo veniva prodotta la “birra della sposa” (bride ale).

I Monaci

La produzione di birra monastica debutta nell’epoca carolingia.

Già nel 770 nell’Abbazia di Gorze in Mosella, il mastro birraio opera per i suoi silenziosi fratelli.

I monaci perfezionano in modo significativo i metodi di brassaggio e diventano fino al XII° secolo

gli esclusivi detentori delle conoscenze e delle tecniche. Nella famosa Abbazia di S.Gallo in

Svizzera, nascono le geniali tecniche che permettono di dividere la stessa produzione in più mosti.

Pian piano la birrificazione divenne un'attività prettamente maschile; i monaci migliorarono il gusto

ed i valori nutritivi delle loro birre, che affiancavano a pasti frugali, essendo permessi fino a 5 litri

giornalieri a testa. Il primo mosto che si estrae, ricco di zuccheri e destrine, dà una birra forte e

prelibata. chiamata “prima melior”. Il malto utilizzato trattiene tuttavia una forte proporzione di

zuccheri “imprigionati” che, con l’aggiunta di acqua seguita da una filtrazione, permette di ottenere

una birra meno ricca di zuccheri e destrine, più leggera e di minor valore (“da tavola”) chiamata

“secunda” per il consumo dei monaci che potevano (a seconda delle regole del singolo monastero)

berne dai 5 agli 8 litri al giorno! Un’ulteriore diluizione poteva essere fatta per ottenere la

cosiddetta “tertia”, la birra offerta ai mendicanti.

In poco tempo i monaci cominciarono a produrre molto più del necessario, e cominciarono perciò a

vendere la propria eccedenza; con l'indebolimento della chiesa la birrificazione fu eseguita da

coloro che prima si limitavano a commerciare. Talune birre si guadagnarono il marchio reale e

l'approvazione delle classi dominanti. Purtroppo i regnanti del tempo intuirono i possibili guadagni

che si potevano fare sul commercio della birra, e cercarono di impedire ai monaci, che non

pagavano tasse, di operare in un campo talmente redditizio.

In Inghilterra, Enrico VIII mise brutalmente fine alle attività brassicole dei monasteri e a tutt’oggi

non si segnalano oltremanica cenni di ripresa.

Editto della purezza

Nasce nel 1516 il celeberrimo “Reinheitsgebot” (l’editto della purezza), tuttora in vigore, che

obbliga il birraio ad utilizzare solo acqua, malto d’orzo e luppolo.

Al tempo, l'uso del lievito era sconosciuto; la fermentazione era ancora un processo casuale. Si può affermare che la legge di Guglielmo IV sia la più antica regolamentazione in materia culinaria, ed i mastri birrai tedeschi si sono attenuti a questi dettami per 476 anni, sino al 1992, anno dell'unificazione economica-commerciale europea, con la quale l'Europa costrinse la Germania ad adeguarsi alle normative comunitarie, che imposero l'import di qualsiasi tipo di birra. In realtà Guglielmo IV di Baviera emanò questo decreto (che doveva essere temporaneo) per impedire, solo per quell’anno, l’impiego del frumento che aveva dovuto patire un raccolto disastroso.

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La Rivoluzione Industriale

Già prima delle grandi invenzioni contribuirono a migliorare i procedimenti medievali: il

termometro inventato nel 1714 da Fahreinheit e l’idrometro di M.Marin, datato 1768. Questi

strumenti sono all’origine dei primi “quaderni di brassaggio” che permettono di avere informazioni

precise sulle diverse fasi: un esempio significativo può essere rappresentato dall’inoculazione del

mosto il cui momento giusto veniva deciso immergendo la mano oppure quando si riusciva a vedere

la propria immagine riflessa. La rivoluzione industriale e quella scientifica si affermano in Europa

nel XIX° secolo, sconvolgendo irrimediabilmente il mondo della birra, trasformato da due fattori

fondamentali: da una parte la meccanizzazione che permette di aumentare il volume prodotto e

dall’altra la possibilità di controllare rigorosamente ogni tappa della produzione in modo scientifico.

La prima macchina a vapore utilizzata in campo birrario è attribuita a James Watt, nel 1785 ci si

serve della nuova tecnologia per produrre una “porter” a Londra.

Daniel Wheeler fa brevettare una macchina per tostare il malto nel 1817 e apre la strada ai malti

chiari e scuri, prima sconosciuti.

Jean-Louis Baudelot inventa nel 1856 il “raffreddatore del mosto” che permette di recuperare il

mosto raffreddato e passare subito alla fermentazione.

La macchina per il ghiaccio artificiale, inventata da Carrè tre anni più tardi, esercita un impatto

rilevante per la birrificazione non solo a livello del raffreddamento del mosto ma soprattutto per

molte altre operazioni come la bassa fermentazione e la possibilità di produrre lungo l’intera annata.

La scoperta del lievito

Leuwenhoeck nel 1680 identifica il lievito di birra ma non è in grado di spiegarne nè la natura nè

come agisce, cosa che riesce nel 1839 a Cagniard-Latour che attribuisce a una cellula di lievito il

processo di fermentazione. La sua teoria, basata su una cellula invisibile, è duramente contestata

dagli scienziati dell’epoca ma già l’anno dopo Anton Dreher e Gabriel Sedlmayr identificano il

lievito come l’ingrediente segreto che fa la gloria delle birre bavaresi. Questo lievito, esportato in

Boemia, fornisce l’occasione a Plzen nel 1842 di lanciare uno stile che sconvolge il mondo della

birra. La Pilsner Urquell (cioè “fonte originale”) diventa il punto di riferimento di moltissime

birrerie che si ispirano alla sua celebrata bionda per proporre nuovi prodotti ad un mercato sempre

più crescente. Nel 1850 Pasteur studiò i processi che portano la birra ad “andare a male” e scoprì

che le cause erano i batteri (che mai prima erano stati visti al microscopio) ed inventa la

pastorizzazione per preservare la birra. Estendendo i suoi studi scoprì che i batteri erano causa di

moltissime malattie e lavorò alle cure dettando anche delle fondamentali norme igieniche che

salvarono in poco tempo milioni di persone.

La birra è dunque la base della medicina moderna.

I lavori di Pasteur sulla fermentazione del 1876 spianarono la strada alla comprensione dell’azione

del lievito e a quella dei batteri responsabili dei problemi che portano al cattivo gusto. I risultati

delle sue ricerche spingono le birrerie ad equipaggiarsi di un laboratorio e nel 1883 Emil Hansen

della danese Carlsberg sviluppa la tecnica per isolare un’unica cellula di lievito che permetterà

finalmente si birrai di esercitare un controllo totale sulle birre che produce.

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Il XX secolo

La fabbrica diventa il simbolo del ventesimo secolo e dello sviluppo del genere umano.

Nel 1904 (dieci anni prima della Ford) nasceva la fabbrica negli Stati Uniti, e guarda caso per la

produzione di bottiglie di vetro per l’industria birraria. La birreria diventa un’impresa industriale

che deve affrontare una concorrenza sempre più feroce e deve migliorare la sua produttività

mantenendo prezzi bassi. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione e dei trasporti favoriscono gli

spostamenti delle birre e di conseguenza il loro confronto.

Si sviluppano pertanto dei “giganti” dell’industria birraria prima negli Stati Uniti poi via via in tutto

il mondo provocando la diminuzione in caduta verticale delle piccole birrerie. Alla fine del XIX°

secolo se ne contavano più di 3.000 in Belgio e più di 2.000 negli Stati Uniti, mentre meno di

cent’anni dopo il loro numero era vertiginosamente sceso a poco più di un centinaio in Belgio e a

qualche dozzina negli Stati Uniti.

Appendice: la birra in Italia

Viene attribuito agli Etruschi il merito di aver portato in Italia l’orzo, l’ingrediente fondamentale

per la preparazione della birra. Ben presto nell’Antica Roma e in tutto l’impero romano si cominciò

a consumare abitualmente birra anche se veniva considerata una bevanda “pagana e plebea” al

confronto del “divino e nobile” vino. Nell’anno 87 d.C., Tacito, infatti, parla della birra dei Germani

paragonandola al “vinus corruptus” cioè andato a male! Non la pensava così suo suocero, Agricola,

che portò tre mastri birrai da Glevum, l’odierna Gloucester e aprì a Roma nella sua villa, una

birreria privata. Augusto esentò la classe medica dalle tasse perché Musa, il suo medico, l’aveva

guarito dal mal di fegato ricorrendo alla “cervisia”. La birra fu, in seguito, una delle vittime delle

invasioni barbariche che distrussero gli impianti di produzione, sia pure artigianali, delle città. Del

periodo medievale, si ricordano solo degli episodi isolati legati alla vita monastica. Tra il 529 e il

543, manoscritti riportano che mentre San Benedetto da Norcia era presso l’Abbazia di

Montecassino, nel Lazio, si produceva birra e questa è la prima birra d’Abbazia Italiana e forse del

mondo. Nel 600 d.C. il futuro San Colombano, monaco di origine irlandese, fonda l’Abbazia di

Bobbio, nel piacentino, e tra il 612 e il 613 fa miracoli con la birra. La ripresa non avviene in Italia

nei secoli seguenti per l’influenza caratteristica del clima e delle credenze religiose. Infatti i cattolici

vedono nel vino la bevanda sacra, benedetta nell’ultima cena, e nella birra il simbolo del

paganesimo delle genti del Nord.

Il ritorno della birra nel nostro paese non avviene sotto buoni segni, portata, infatti, dai famigerati

lanzichenecchi che saccheggiano Roma nel 1527. Lo storico Massimo Alberini ci riferisce che uno

dei loro capi, Giorgio von Frundesberg, si faceva seguire, anche in battaglia, da un cavallo che

trasportava due barilotti di birra. Anche durante i moti risorgimentali si evidenziano le differenze di

mentalità tra gli oppressi bevitori di vino e gli oppressori austriaci bevitori di birra. Ma nulla poteva

ormai arrestare, anche nel nostro paese, la popolarità che questa fresca, dissetante e socializzante

bevanda ha saputo conquistare in ogni parte del pianeta. Dobbiamo arrivare alla metà del secolo

diciannovesimo perché finalmente anche in Italia sorgano le prime vere e proprie fabbriche, tutte a

carattere artigianale.

Il primo birrificio italiano è la Spluga di Chiavenna che inizia la sua attività nel 1840, seguita subito

da quelle formate da lungimiranti imprenditori austriaci che volevano entrare in un mercato nuovo,

come Wurher, Dreher, Paskowski, Metzger, Caratch, Von Wunster imitati ben presto da

commercianti italiani, come Peroni e Menabrea. Dopo varie vicissitudini collegate alle due guerre

mondiali e alle sempre più alte tassazioni, si è giunti ai giorni nostri all’inevitabile concentrazione

di grossi e potentissimi raggruppamenti internazionali che hanno rapidamente portato

all’acquisizione delle piccole fabbriche, facili prede, vittime di irreversibili crisi.

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Il consumo di birra in Italia per il 1999 è salito alla cifra record di circa 15,555 milioni di ettolitri.

La produzione interna è salita a circa 12,137 milioni di ettolitri. Salgono lievemente anche l’import

fino a 3,841 milioni di ettolitri e l’export fino a 0,423 milioni di ettolitri. Il consumo pro-capite

rimane costante intorno ai 27 litri. Questi aridi numeri parlano chiaro e sembrano incoraggianti se

teniamo in considerazione solo il parametro della quantità. Ma se consideriamo la qualità, la realtà è

ben diversa e lo sanno bene tutti coloro che si battono, ognuno nel proprio campo di competenza,

per poter in un immediato futuro intraprendere il cammino l’avventura degli americani, protagonisti

di una straordinaria e ben nota “renaissance”.

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UN PIZZICO DI QUESTO, UN PIZZICO DI QUEST’ALTRO, LUPPOLO QUANTO BASTA. LASCIARE LIEVITARE IN LUOGO CALDO E ASCIUTTO. IMBOTTIGLIARE MATURARE E….

SANT’AMANDO AIUTAMI TU!!! Ingredienti e processo produttivo della birra.

GLI INGREDIENTI

Quando pensiamo alla birra, ci vengono subito in mente il malto e il luppolo, due ingredienti base e fondamentali ma non i più importanti. Nel quartetto Acqua, Cereali, Luppolo, Lievito sono infatti l’acqua e il lievito, i due protagonisti immancabili le cui caratteristiche modificano il risultato finale molto di più di quello che pensiamo. L’acqua L’acqua rappresenta la base di tutto, non solo della birra, noi stessi siamo composti per più del 80% di acqua, la birra ne è composta per il 90-95%!!! In birrificazione le caratteristiche elettrochimiche e organolettiche dell’acqua sono molto importanti soprattutto durante la fase di “ammostamento” (vedremo più avanti in cosa consiste tecnicamente). Tra le varie sostanze disciolte nell’acqua, i bicarbonati svolgono una funzione molto importante perché in questa fase la loro presenza svolge una funzione di regolazione del ph del mosto. Se il ph è troppo acido o troppo basico ci saranno problemi durante la fermentazione. Il birraio esperto modula spesso le qualit{ dell’acqua secondo la birra che vuole ottenere sia come stile sia come sapore.

Pils Monaco Stout Pale Ale

West Flanders

Dortmunder

Ca2+ 7 75 115 295 114 250

Mg2+ 2 20 4 45 10 25

Na+ 2 10 4 55 125 70

SO42- 5 10 55 725 145 280

HCO3- 15 200 200 300 370 550

Cl- 5 2 19 25 139 100 Fonte: http://birradegliamici.blogspot.it/2012/04/acqua-birra-ipa.html

Anche la presenza di Solfato di Calcio è importante ed è controllata dai Mastri Birrai soprattutto quando si vogliono produrre birre in stile inglese. Il solfato di calcio infatti influisce sulla percezione dell’ amaro estratto dai luppoli durante la bollitura del mosto (altra fase del processo produttivo che affronteremo più avanti). L’acqua rappresenta la base, la tela bianca su cui i birrai dipingono la loro opera e ogni mastro deve il suo successo alla qualit{ dell’acqua che utilizza e a quanto ne conosce le caratteristiche. Produrre una birra discreta è relativamente facile…relativamente, ma per produrne un’ottima si deve senz’altro si deve conoscere molto bene l’acqua che si sta usando. Per i birrai l’acqua rappresenta anche un legame importante con il territorio, non è difficile infatti trovare una sorgente d’acqua nei pressi di un birrificio.

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Il lievito Un vecchio adagio bavarese recita: “ Non è il birraio a fare la birra. Lui mette solo insieme gli ingredienti, è il lievito fare il vero lavoro.” Senza voler togliere nulla a quelle figure benedette che sono i birrai (che dio li abbia in gloria! Ndr), la vera trasformazione del mosto in birra avviene grazie al sapiente lavoro dei lieviti. In effetti la birra, con versioni più o meno lontane da quella che beviamo oggi, è sempre stata prodotta unendo acqua e cereali (tipicamente orzo o farro) poi si aspettava del tempo finché il prodotto di questa unione diventava qualcosa di diverso. Anticamente questi cambiamenti erano attribuiti all’intervento divino e quest’opinione è rimasta più o meno la stessa fino a che non sono è stato inventato il microscopio e sono stati scoperti i batteri ed i funghi. Dopo questa scoperta i responsabili fino allora invisibile della fermentazione furono isolati selezionati e coltivati fino ad arrivare a due grandi ceppi di lieviti che sono quelli che ancora oggi sono usati. Il lievito adatto alla birrificazione fa parte della famiglia dei Saccaromyces cioè dei Funghi dello zucchero, in particolare i lieviti che si utilizzano sono il Saccaromyces Cerevisiae o Ovarum utilizzato nelle birre ad Alta Fermentazione e il Saccaromyces Calsbergensis utilizzato nelle birre a Bassa Fermentazione. - Il Saccaromyces Cervisiae fermenta a temperature alte tra i 18° e i 30° ed ha la caratteristica di posizionarsi sulla parte alta del tino di fermentazione. Dona alla birra parecchi aromi (esteri) spesso fruttati e speziati. - Il Saccaromyces Calsbergensis fermenta a temperature più basse tra i 5° ed i 15° circa si posiziona per fare il suo lavoro sul fondo del fermentatore. Rispetto a quello di alta fermentazione, il lievito di bassa fermentazione non dona aromi particolari alla birra. Gli stili a bassa fermentazione, sono infatti stili generalmente meno complessi e i loro aromi derivano soprattutto dalle materie prime di malto e luppolo. Per trasformare il mosto in birra, l’azione dei lieviti è diretta sui legami chimici che compongono le molecole di zuccheri presenti nel mosto. Questa scorpacciata di zucchero porta poi i lieviti a produrre alcool e anidride carbonica che sono i due elementi che in definitiva rendono la birra diversa dal mosto. I Cereali I cereali rappresentano il banchetto dei lieviti, sono la fonte degli zuccheri che il birraio miscela e prepara sapientemente prima di offrirli in pasto agli affamati funghetti dello zucchero. Per produrre birra possono essere utilizzati tutti i cereali in natura, il più usato fra questi è l’orzo distico, seguono il frumento, il farro, la segale e troviamo nelle ricette anche il grano saraceno, il miglio e il riso. Spesso sono utilizzati come fonte di zuccheri fermentiscibili anche fiocchi di cereali come l’avena e anche cereali non maltati come il frumento. I cereali sono miscelati in varie percentuali a seconda dello stile che si vuole produrre e al risultato finale che si vuole ottenere. Generalmente, all’interno della ricetta si utilizzano in percentuale più ampia, cereali che hanno subito il processo di maltazione. A cosa serve la maltazione ? La maltazione è un processo di preparazione dei cereali che serve principalmente:

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sintetizzare alcuni enzimi che serviranno successivamente, durante il processo, a disgregare le grosse catene molecolari dell’amido in zuccheri semplici;

disgregare gli amidi stessi rendendoli più solubili e accessibili agli enzimi; produrre sostanze nutritive che favoriranno la fermentazione; dare una tostatura più o meno accentuata ai grani,dalla quale derivaranno il colore egli

aromi della birra; rimuovere alcune sostanze che potrebbero dare aromi poco gradevoli al prodotto

finale. Come avviene la maltazione? La maltazione è un processo che avviene in tre fasi:

La bagnatura dei semi: i grani vengono immersi in acqua per alcuni giorni (solitamente tre), per essere lavati, e soprattutto per aumentare il livello di umidità e preparare la fase successiva. Il livello di umidità del seme viene portato introno al 45%.

La germinazione: in questa fase avvien lo sviluppo embrionale di un piccolo “germoglio”, che, nutrendosi delle sostanze contenute nell’endosperma (la parte centrale farinosa del chicco), ne determina la disgregazione e la formazione di enzimi. Il risultato di questa fase è la trasformazione dell’orzo in malto che però non è ancora pronto per essere utilizzato.

L’essicazione e tostatura: La germinazione viene interrotta al momento giusto con la fase di essiccazione che ha anche altre funzioni tra cui ridurre l’umidit{ del chicco per renderlo più conservabile, rendere il corpo del chicco più friabile per facilitare la macinazione, fornire al malto aroma e il colore desiderati e facilitare l’eliminazione delle radichette prodotte durante la fase di germinazione. L’essicazione avviene a temperature intorno ai 50-60°C e ha lo scopo di abbattere l’umidit{ dei chicchi portandola intorno al 10-12%. Dopo questa fase si procede con la rimozione meccanica delle radichette e in seguito la temperatura viene alzata fino a 80-85°C a seconda del tipo di malto che si vuole ottenere. L’umidit{ viene così abbattuta fino al 4% e per effetto del calore si ha la formazione di sostanze aromatiche e coloranti.

Mediamente un ciclo di maltazione avviene in circa sette giorni. Il Luppolo Il Luppolo (Humulus lupulus L.) appartiene alla famiglia delle Cannabinacee è cugino della Cannabis e ,sebbene non contenga principi attivi psicotropi, gli vengono attribuite blande doti calmanti. Il luppolo è una pianta rampicante che si sviluppa in altezza e ha bisogno di molta luce per crescere. E’ una pianta che cresce spontaneamente e non è difficile trovarla lungo i canali, le strade e le linee ferroviarie nel periodo di fine estate. Ovviamente si parla in questo caso di luppolo selvatico. Il luppolo è una pianta dioica cioè una pianta che ha sembianze e caratteristiche diverse a seconda che sia maschio o femmina. In birrificazione sono utilizzate le infiorescenze della pianta femmina dette coni. Durante la maturazione delle piantine, si forma alla base delle infiorescenze si formano degli accumuli resinosi di una sostanza chiamata luppolina. La luppolina contiene i principi attivi utili per fare la birra: gli alfa-acidi (AA%), i beta-acidi e gli oli essenziali. La pianta del luppolo è in grado di riprodursi per impianto, senza cioè bisogno di impollinazione, le piante maschio subiscono una vera e propria “caccia all’uomo” poiché l’impollinazione e la conseguente nascita di piante con semi modifica la produzione e la

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qualit{ dei principi attivi utili per la birra. Addirittura in alcuni stati degli USA come l’Oregon, dove la coltivazione del luppolo da birra rappresenta una delle voci di produzione economica maggiore, l’introduzione nello stato di piante maschio di luppolo viene punita severamente con il carcere. Le proprietà del luppolo sono:

aromatizzare e amaricare la birra per bilanciare la dolcezza dei malti; grazie ad alcune sue componenti, ha un ‘’azione sanitizzante, antibatterica,

antiossidante – in poche parole è un conservante. migliora la stabilità della schiuma agisce sui depositi di proteine estratte durante la produzione contribuendo a rendere

la birra più limpida. I luppoli da birra si distinguono in: luppoli da AMARO o copper hops e luppoli da AROMA o late hops. I luppoli da amaro si distinguono per un alto contenuto di AA% e vengono utilizzati per gran parte del tempo di bollitura (da qui il nome copper cioè rame, utilizzato per costruire le caldaie di bollitura). Tra i copper hops più famosi citiamo il Brewer’s Gold antichissimo luppolo britannico, l’ Hallertauer dalla Germania, il Nugget dagli USA. I luppoli da aroma vengono invece introdotti nella parte finale della bollitura e sono caratterizzati da un livello di alfa-acidi basso ma da maggiori caratteristiche aromatiche date dagli olii essenziali. Famosi luppoli da aroma sono l’americano Cascade caratterizzato dalle note agrumate di pompelmo e il Fuggle proveniente dalla Gran Bretagna famoso per le sue note fruttate per poi passare al nobile Sazz dalla Repubblica Ceca e utilizzato per il suo carattere spiccatamente erbaceo nelle Pilsner Esistono poi dei luppoli ambivalenti che hanno un tenore di AA abbastanza alto da poter garantire l’amaricatura della birra, si parla infatti di valori di AA% tra il 7% e il 10%, e allo stesso tempo un buon aroma. Di questa “famiglia” fa parte il Nelson Sauvin, di origine Neozelandese, che dona uno spiccato aroma di lichees alla birra e il prezioso Amarillo dagli USA, prezioso perché molto utilizzato dai birrai e di difficile reperimento.

IL PROCESSO PRODUTTIVO Sinteticamente possiamo dividere la produzione della birra in tre fasi:

1. Estrazione degli amidi dai cereali e la loro trasformazione in zuccheri fermentabili – fase di ammostamento;

2. Aromatizzazione attraverso il luppolo del mosto zuccherino ottenuto – fase di bollitura; 3. Trasformazione degli zuccheri in alcool da parte dei lieviti – fase di fermentazione.

Ammostamento o Mashing Il processo di produzione vero e proprio ha inizio con la macinazione dei grani di cereali maltati o no. A questi è aggiunta acqua calda creando un impasto della consistenza di un grosso minestrone. La temperatura dell’impasto viene alzata a determinate temperatura, e mantenuta per tempi prefissati a seconda dello stile e della ricetta che si sta realizzando. Queste pause, o step, hanno la funzione di produrre alcuni enzimi che sono necessari per la trasformazione delle complesse catene molecolari degli amidi in strutture zuccherine più semplici e attaccabili dai lieviti durante la fermentazione, inoltre i vari step di temperatura sono necessari anche per altri scopi come la creazione della schiuma e la sua stabilità.

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Filtrazione e Sparging (risciacuo) Finita la fase di ammostamento, che dura circa 60’ anche se il tempo è variabile a seconda dello stile che viene prodotto, le trebbie (i cereali ormai privati delle loro riserve di zuccheri) devono essere separate dal mosto cioè il mosto deve essere filtrato e i cereali risciacquati per non sprecare gli zuccheri utili alla fermentazione. La filtrazione avviene “semplicemente” aprendo delicatamente il rubinetto di scarico del tino –filtro facendo percolare lentamente il liquido all’ interno del letto di trebbie. Il mosto è raccolto e reimmesso nel tino di filtrazione e questo processo viene ripetuto finche il mosto che si raccoglie non diventa limpido. Questa fase viene anche chiamata running off e precede la fase di risciacquo. Il processo di risciacquo può avvenire in diversi modi a seconda del tipo di impianto che viene utilizzato, né citiamo brevemente le 2 modalità che vengono utilizzate:

1. Fly Sparge: in questo sistema il livello di liquido nel tino di filtrazione viene mantenuto costante: contemporaneamente all’estrazione del mosto dal rubinetto di scarico, viene introdotta delicatamente sulle trebbie per mezzo di una doccetta, acqua calda alla stessa temperatura del mosto. Discendendo nel letto di trebbie, l’acqua estrae altri zuccheri nella parte bassa del tino primo di essere scaricata nel tino di bollitura.

2. Batch Sparge: è il sistema più semplice e consiste nell’immettere nuova acqua calda nel tino-filtro, rimescolare l’impasto, attendere il deposito delle trebbie sul fondo, e riaprire il rubinetto di scarico raccogliendo il mosto. Questo mosto può essere reimmesso nel tino filtro (ripetizione del running off) e l’operazione può essere ripetuta più volte finche il mosto non risulta limpido.

Bollitura Una volta separate le trebbie, il mosto viene spostato nella caldaia di bollitura. Questa fase dura dai 60’ ai 120’ e in questo tempo il protagonista è il luppolo. Le funzioni (e gli effetti) della bollitura sono:

estrazione delle sostanze aromatiche e amaricanti dal luppolo che viene inserito in questa fase e bollito insieme al mosto;

formazione di coaguli proteici, la cui rimozione contribuisce alla limpidezza e alla stabilità della birra;

sterilizzazione del mosto; formazione e eliminazione attraverso l’evaporazione di alcuni composti che

potrebbero dare caratteristiche spiacevoli al gusto della birra; concentrazione del mosto stesso a causa dell’evaporazione.

La bollitura è una fase molto importante della produzione della birra, per capirlo basta pensare che è proprio durante la bollitura che è introdotto il luppolo che è, come abbiamo visto in precedenza, un ingrediente fondamentale per il gusto e la qualità del prodotto finale. Inoltre la bollitura stabilizza la birra e la rende più pulita da composti sgradevoli che si possono formare durante la produzione del mosto.

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Raffreddamento Finita la bollitura, la temperatura del mosto deve essere abbassata per avvicinarsi a quella del lavoro dei lieviti. Questa fase deve avvenire in maniera abbastanza veloce da evitare che il mosto si ossidi o possa essere attaccata da batteri vari. Il raffreddamento avviene grazie all’uso di serpentine in genere di rame, all’interno delle quali scorre acqua fredda, che sono inserite nel mosto bollente. Nei birrifici viene utilizzato lo scambiatore a piastre che è un macchinario formato da una serie di lamelle metalliche all’interno delle quali scorre il mosto caldo che sono montate vicine ad altre lamelle all’interno delle quali scorre , in contro flusso, acqua fredda. Inoculo dei lieviti e fermentazione Con l’inserimento del lievito o inoculo, inizia la fase più importante e significativa della produzione della birra cioè la fermentazione: qualsiasi cosa succeda da questo momento in poi è in grado di modificare tutte le operazioni eseguite in precedenza, un buon mashing può essere totalmente distrutto da una cattiva fermentazione. La fermentazione è la fase più difficile da controllare da parte del birraio che può solamente affidarsi alla protezione di Sant’ Amando da Maastricht (patrono dei birrai). La palla è totalmente a disposizione del lievito al quale il mastro birraio può dare un buon pasto ed una temperatura adeguata e il più possibile costante. Semplificando, la fermentazione è una reazione biochimica (in realtà una sequenza di reazioni) che, partendo dagli zuccheri presenti nel mosto, porta alla formazione di alcool etilico e anidride carbonica. In realtà la catena di reazioni è ben più complessa e i suoi prodotti non si limitano a CO2 e alcool – per fortuna poiché i composti che ne derivano sono responsabili di tutti gli aromi che vorremmo trovare nella birra. A grandi linee, il processo di fermentazione si può dividere in tre fasi:

Lag time o fase di preparazione, in cui le cellule di lievito utilizzano alcune sostanze presenti nel mosto per preparare la parete cellulare alle due fasi successive;

Respirazione aerobica o fermentazione, che coinvolge l’ossigeno e si protrae in genere fino all’esaurimento dell’ossigeno stesso;

Fermentazione anaerobica che è quella effettivamente responsabile della produzione di alcool.

Queste fasi si possono in parte sovrapporre, per cui non è possibile una netta divisione temporale del processo nel suo complesso, ma a livello di singole cellule questa distinzione è effettiva e si riferisce a funzioni differenti del lievito. La fermentazione porta alla formazione di diversi “sottoprodotti” oltre ad alcool e anidride carbonica, i quali sono molto importanti dal punto di vista pratico perché sono responsabili degli aromi (e a volte dei difetti) presenti nella birra. I composti forse più importanti per la caratterizzazione aromatica della birra sono gli esteri, formati dalla combinazione degli acidi grassi con alcoli che danno alla birra sensazioni fruttate. La fermentazione è influenzata positivamente da tre fattori:

La temperatura; La quantità di lievito inoculata; ossigenazione del mosto;

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Aggiungiamo anche il ceppo di lievito inoculato che dona sentori e aromi particolari e vieni utilizzato in maniera differente a seconda dello stile che si vuole produrre. Imbottigliamento e maturazione Terminata la fermentazione è arrivato il momento di imbottigliare o infustare quello che è già birra, ancorché giovane e “piatta” cioè non frizzante. È infatti necessario a questo punto fare anche in modo che la birra imbottigliata o infustata possa sviluppare naturalmente l’anidride carbonica necessaria a produrre la sua caratteristica frizzantezza. Questo processo si indica di solito con il termine “carbonazione naturale” e avviene grazie alla rifermentazione di piccole quantità di zuccheri nella birra che viene imbottigliata. Questa fermentazione avviene in un ambiente ermetico e quindi l’anidride carbonica prodotta non può fuoriuscire dal liquido ma solo disciogliersi nella birra, causandone l’effervescenza al momento dell’apertura. Gli zuccheri da rifermentare in bottiglia possono essere inseriti con diverse tecniche:

Priming: vengono introdotti zuccheri semplici come zucchero bianco o di canna, ma anche miele o estratto di malto;

Krausening: come sorgenti di zuccheri viene inserito mosto non fermentato, o birra parzialmente fermentata;

Spunding: consiste nell’uso di zuccheri residui di una fermentazione ancora non conclusa ma giunta a un dato livello di attenuazione;

In ognuna di queste tre tecniche la quantità di zuccheri che s’introducono dipende da quanto il mastro birraio vuole che la sua birra sia frizzante e anche in base allo stile che si è prodotto. Dopo questo procedimento la birra viene fatta riposare , prima alla stessa temperatura della fermentazione primaria per permettere la rifermentazione e poi viene portata ad una temperatura più bassa e tenuta a maturare per diverse settimane a seconda dello stile che è stato prodotto.

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5 SENSI PER 5 QUALITA’ Analisi sensoriale della birra

La degustazione o meglio l’analisi sensoriale serve per slegare i gusti personali da una valutazione tecnica della birra. Quando beviamo una birra tra amici quello che ci interessa è che sia buona e possibilmente tanta. Se invece abbiamo voglia di scoprire le caratteristiche della ricetta di una birra oppure le peculiarità di uno stile birrario piuttosto che di un altro dobbiamo concentrarci e affidare ai nostri sensi il giudizio sulla birra che abbiamo nel bicchiere. Durante l’analisi sensoriale è fondamentale distinguere e dividere gli aspetti oggettivi (aromi, gusti, difetti, equilibrio etc) da quelli soggettivi (mi piace, non mi piace) perché si possa giungere ad una conclusione che enuncia le caratteristiche di quella birra oltre che il gusto personale. Degustare non è solo godere ma anche capire quello che si ha nel bicchiere. Olfatto, e gusto sono i sensi in prima linea quando facciamo l’analisi sensoriale di una birra che però è completa solamente quando anche vista, tatto e udito hanno compiuto il loro dovere. L’analisi sensoriale basata su tre sotto-analisi: visiva, olfattiva e gustativa. Analisi visiva L’analisi sensoriale inizia guardando la birra. Si può dire molto di una birra anche dalla semplice vista della bottiglia chiusa! Uno spazio eccessivo occupato dall’aria nel collo della bottiglia può far supporre che il contenuto di ossigeno sia eccessivo e che ci si trovi davanti ad una birra ossidata. Se la bottiglia è di vetro trasparente e non marrone scuro o verde ci si può aspettare una birra che ha subito un “colpo di luce” per cui la birra potrebbe avere un difetto che lascia il caratteristico odore di puzzola. Un tappo mal posizionato può far supporre una birra sgasata, mentre un deposito di lievito eccessivo potrebbe farci sospettare ad una birra il cui aroma è sovrastato dall’aroma di crosta di pane legato al lievito. Anche all’atto dell’apertura della bottiglia la vista ci può dare indizi sullo stato della birra. Un effetto a fontana per esempio può far supporre un’infezione o una eccessiva carbonazione. Quando versiamo la birra nel bicchiere riceviamo le informazioni che sono importanti per l’analisi visiva vera e propria, che sono:

Analisi della schiuma secondo 5 elementi: tipologia (Assente, Scarsa, Presente, Abbondante), colore (Bianca, Bianco avorio, Crema, Bèige, da evitare indicazioni poco chiare come Cappuccino o Tonaca di frate), dimensioni delle bolle (Fini, Medie, Grossolane) persistenza o durevolezza della schiuma nel tempo (Evanescente, Mediamente persistente, Persistente), e l’aderenza al bicchiere (formazione dei tipici merletti di Bruges)

Analisi del liquido. Si analizza innanzitutto il colore partendo da: Giallo Paglierino, Giallo Dorato, Ambrato, Rosso, Mogano, Bruno, Nero, con tutte le ovvie sfumature intermedie. Il secondo parametro visivo è quello legato alla limpidezza del liquido e avremo quindi birre: da Brillante, Limpida, Velata, Torbida.

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Analisi olfattiva Rappresenta probabilmente l’80% dell’intera fase di degustazione e si analizzano gli aromi ed i profumi in termini sia quantitativi che qualitativi. L’olfatto di una birra può essere diretto, che riguarda tutti gli aromi che cogliamo mentre portiamo il bicchiere alla bocca, o retrolfativo, ossia coinvolgere gli aromi che emergono dopo avere bevuto e che risalgono dalla bocca alla cavità nasale. Analisi olfattiva quantitativa In questa fase si analizzano parametri di:

Intensità olfattiva. Avremo birre da Poco intense, Intense, a Molto Intense. Questo parametro riguarda la forza aromatica della birra e può essere definito quasi come un parametro tattile, cioè con quanta forza l’aroma della birra “colpisce” la nostra mucosa olfattiva. È un parametro molto importante perché ci da indicazioni su come la birra è stata prodotta e se questa birra segue lo stile di riferimento etc. Persistenza olfattiva. Riguarda appunto per quanto tempo l’impatto olfattivo continua a

stimolare la mucosa olfattiva e avremo birre di : Breve, Media, Lunga persistenza. Analisi olfattiva qualitativa Le caratteristiche qualitative possono essere tracciate seguendo un vasto elenco di descrittori. Negli anni settanta Morton Meilgaard, chimico danese che si occupava di produzione birraria, mette a punto un sistema di classificazione qualitativa degli odori e dei sapori detto appunto Ruota di Meilgaard. In questa “ruota dei sapori” le sensazioni olfattive e gustative variano da frutti a fiori sino a improbabili aglio e puzzola. Ovviamente la presenza di questi sentori non indica l’effettivo inserimento nella birra delle sostanze che stiamo cogliendo con il naso. Gli aromi della birra sono dati da composti chimici che derivano dalle materie prime, quindi malto e luppolo, oppure dall’opera dei lieviti (o dei batteri) e quindi dalla fermentazione. La descrizione dei profumi viene fatta usando le classi di profumi descritti nella ruota di Meilgaard per esempio useremo espressioni come: erbaceo, fruttato, floreale e speziato. Dopo questa prima classificazione cercheremo di entrare nel dettaglio di singole sostanze che i profumi della birra che stiamo degustando ci ricordano come per esempio la crosta di pane, il miele, la banana etc. Un errore che si fa comunemente è associare sensazioni gustative (acido, dolce, amaro, salato) a sensazioni olfattive dicendo per esempio che si sentono profumi acidi. L’errore è dovuto all’associare un profumo ad esempio il limone alla sensazione che ci da al gusto cioè l’acidit{. Un altro aspetto dell’analisi olfattiva riguarda la COMPLESSITA’ olfattiva dove dall’individuazione dei profumi e in particolare dal numero di profumi che si percepiscono si valuterà appunto la complessità della birra. Poco complessa (1-2 profumi), Abbastanza complessa (3-4), Complessa (5-6), Molto complessa (>6).

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Analisi gustativa Quando (finalmente) beviamo la birra passiamo all’analisi gustativa anche se più propriamente dovremmo parlare di sensazioni boccali in quanto non entrano in gioco solamente i sapori ma anche altri fattori come le sensazioni retro-olfattive, tattili e anche sensazioni legate alla percezione del calore. I sapori La lingua è in grado di distinguere quattro categorie principali di sapori: dolce, salto, amaro, acido. Ogni zona della lingua percepisce prevalentemente una di queste categorie di sapori. Le papille gustative sono distribuite uniformemente su tutta la lingua e hanno la capacità di distinguere tutti i sapori ma si specializzano a sentirne uno in particolare e si concentra in zone particolari della lingua:

PUNTA: Dolce PUNTA/LATI: Salato LATI: Acido Fondo: Amaro.

Per trovare in una birra uno, o più, di questi sapori è utile conoscere dove si possono percepire più facilmente in modo da riconoscerli più facilmente e senza dubbi. Solitamente il dolce è percepito per primo appena la birra entra in bocca, l’amaro invece viene percepito per ultimo dopo che si deglutisce. Nell’analisi gustativa la prima cosa da rilevare sar{ quindi il gusto dolce, oppure maro, acido o salato. Si definiranno meglio queste sensazioni con i sapori di: Secco, Poco-Abbastanza Amaro, Molto Amaro, oppure Abboccato, Dolce, Molto dolce fino anche a Stucchevole. Il corpo Dopo aver definito il sapore si passa alle sensazioni tattili giudicando il CORPO della birra. La birra contiene sostanze solide come gli zuccheri e la loro quantità, più o meno elevata, fornisce il corpo alla birra che viene valutato attraverso una descrizione di una sensazione tattile. Si valuta facendo passare un po’ di birra sulla lingua lateralmente da una guancia all’altra per tre quattro volte. Più il liquido tende a essere viscoso e a “foderare” la lingua, più significa che la birra ha corpo. Se invece scivola via senza lasciarvi nessuna sensazione di “rivestimento” la birra si definisce “watery” (acquosa). La scala del corpo è quindi magro o watery, debole, corposo, robusto e pesante. Tra le alte sensazioni tattili segnaliamo l’astringenza (“legatura” dei denti), la frizzantezza o carbonazione e il calore dato dall’alcool. Equilibrio L’equilibrio è un indicatore del fatto che nessuno dei 4 sapori prevale sugli altri. (Va valutato anche in base allo stile di produzione). Per fare un esempio, una birra dove si senta solo il dolce dei malti o l’amaro dei luppoli è sbilanciata. Avremo birre: Poco equilibrate, abbastanza equilibrate, equilibrate.

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Considerazioni finali Al termine della degustazione si tirano le somme e si valutano tutti gli aspetti insieme, da quello visivo a quello tattile: tutti gli elementi concorrono al carattere generale della birra. L’armonia, da non confondere con l’equilibrio che è solo gustativo, è un fattore di valutazione che prende in considerazione la corrispondenza e la coerenza tra le caratteristiche visive-olfattive-gustative. È una valutazione molto importante, quella che a maggior peso nei concorsi anche perché rappresenta quanto il birrario abbia sotto controllo il processo produttivo e la ricetta. Una birra giallo paglierino dagli aromi erbacei e dal gusto torrefatto non può essere armonica. Al contrario una birra scura con aromi di caffè e gusto torrefatto si può considerare armonica.