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1.1. L’ATTIVITÀ ECONOMICA 1.1.1. LA CENTRALITÀ DELLA PERSONA Le persone perseguono molteplici fini, i quali suscitano in queste dei bisogni. Per soddisfare i loro bisogni le persone svolgono, tra l’altro, l’attività economica, ossia l’attività di produzione e consumo di beni economici. Gran parte dell’attività economica si svolge nell’ambito di società umane, soprattutto in istituti (famiglie, imprese, Stato). L’attività economica si manifesta principalmente nel lavoro: lavoro che è di persona e di persona intesa come parte di un istituto. L’attività economica è svolta dalle persone e per le persone, le quali si uniscono in società umane. La persona umana è al centro degli studi economici, le cui teorie sono fortemente influenzate da ipotesi circa la natura e i comportamenti umani. Ne consegue, quindi, che non possano esistere modelli economici statici, bensì modelli puramente descrittivi e che evolvono nel tempo. Se si considerano quindi le persone che non sono solo spinte da motivazioni economiche ed egoistiche (homo oeconomicus) bisogna elaborare una teoria multidisciplinare (che inglobi anche elementi di psicologia, sociologia ed etica) che aiuti concretamente a comprendere e a guidare l’attività economica in relazione ai valori delle persone. 1.1.2. I BISOGNI E I BENI L’attività economica è svolta per il soddisfacimento dei bisogni. Questi sono suscitati dal perseguimento di fini delle persone, viste anche come membri di istituti. Un bisogno è l’esigenza di un bene necessario agli scopi di vita e si manifesta soggettivamente come un desiderio, come la sensazione dell’insoddisfazione dovuta a una mancanza. Si distinguono in: - bisogni naturali: sono suscitati dalla componente biologica delle persone (alimentazione, protezione) e sono universali, ovvero uniformi per tutte le persone. - bisogni sociali: comprendono i bisogni sociali etici, religiosi ed estetici, vengono suscitati dalla componente spirituale delle persone e dalla loro interazione con le società umane. Si dividono in bisogni radicali (libertà, giustizia) e bisogni non-radicali (sicurezza, amicizia). Entrambi possono essere distinti in: - bisogni essenziali: sono i bisogni primari. - bisogni voluttuari: sono i bisogni secondari influenzati dei processi imitativi e dalle mode. Le varie categorie di bisogni si manifestano secondo una sequenza: le persone percepiscono e soddisfano in primo luogo i bisogni naturali e sociali elementari per poi passare a bisogni più complessi e secondari. Esempio: Teoria di MASLOW
AUTOREALIZZAZIONE
STIMA SOCIALITÀ
SICUREZZA
BISOGNI ELEMENTARI
Secondo questa teoria le persone partono dai bisogni elementari (che a seconda della classe sociale vengono soddisfatti in modo diverso), per poi passare al bisogno di sicurezza (che la situazione non si modifichi), di socialità (come si predispone un soggetto all’interno del gruppo sociale di riferimento oppure come cerca di modificarlo), di stima (bisogni legati a simboli che portano l’uomo ad essere riconosciuto) e di autorealizzazione (contentezza di sé). Una teoria dei bisogni è essenziale per comprendere l’origine ed i fini delle scelte compiute nell’ambito delle famiglie.
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Rilevanti per l’analisi economica sono le dinamiche dei bisogni. I bisogni delle persone si dispongono in una gerarchia, cioè in un ordine di priorità che si manifesta nelle variazioni delle scelte di consumo al variare dei redditi disponibili. I bisogni manifestano forti gradi di dinamismo e nuovi bisogni e nuovi beni si influenzano reciprocamente. Il soddisfacimento dei bisogni richiede la disponibilità dei beni, questi si dividono in due grandi classi, entrambe utilizzate delle persone: - beni economici: sono le merci e i servizi utili per il soddisfacimento dei bisogni delle persone, ma scarsi rispetto alle esigenze delle persone. - beni liberi o non economici: sono beni utili e liberamente disponibili in quantità e qualità. I beni economici vengono a loro volta distinti in: - beni primari: sono beni che soddisfano i bisogni essenziali o primari. - beni voluttuari: sono beni che soddisfano i bisogni secondari o superficiali. - beni complementari: quando due o più beni devono essere usati insieme per soddisfare un bisogno. - beni fungibili: quando un bisogno può essere soddisfatto da beni alternativi. - beni differenziabili: sono beni che possono essere prodotti da una certa impresa con caratteristiche particolari diverse da quelle di prodotti analoghi offerti da imprese concorrenti. - commodities: sono beni che vengono offerti con caratteristiche analoghe da tutte le imprese. - beni di consumo: sono beni tangibili utilizzati direttamente dalle persone. - beni strumentali: sono i beni utilizzati per produrre altri beni. Questi ultimi due tipi di beni, a loro volta possono essere: - beni da utilizzo singolo: sono beni che cedono la loro attività totalmente in occasione di un impiego. - beni durevoli: sono beni che cedono la loro attività progressivamente in impieghi ripetuti. - beni a consumo individuale: sono beni utilizzati dal singolo. - beni a consumo collettivo: sono beni per i quali l’atto del consumo è unico per diversi consumatori. Inoltre si distingue tra: - beni pubblici: sono beni o servizi erogati dallo Stato o da enti pubblici. - beni privati: sono beni prodotti da soggetti privati (imprese, famiglie). 1.1.3. LE ATTIVITÀ ECONOMICHE DI PRODUZIONE E DI CONSUMO L’attività economica consiste nelle operazioni di produzione e di consumo dei beni economici. Questa si svolge secondo una vasta gamma di operazioni: - trasformazione tecnica: queste si svolgono, sia per la produzione che per il consumo, in tutti gli istituti e consistono in operazioni di trasformazione fisica, spaziale e logica delle materie prime, degli impianti, dei dati e delle conoscenze. - negoziazioni: poiché gli istituti no sono economicamente isolati, ma collegati da fitti reti di scambi, svolgono tra loro questo tipo di operazioni. Queste si classificano in ragione dell’oggetto scambiato (beni privati, disponibilità di mezzi monetari, copertura di rischi, lavoro, beni pubblici) e si svolgono secondo molteplici condizioni di scambio e forme contrattuali, ai cui possono sovrapporsi relazioni di cooperazione o di competizione (insiemi omogenei di scambi formano i mercati). - configurazione e organizzazione: riguardano l’attività di governo degli istituti e comprendono operazioni di configurazione dell’assetto istituzionale, di organizzazione e di gestione del personale, di rilevazione e di informazione. 1.1.4. LA PRODUZIONE ECONOMICA, LA PRODUZIONE DI BENI E LA PRODUZIONE DI REDDITI
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La produzione economica comprende tutte le attività che un’impresa svolge. Non comprende solo la produzione di beni (merci e servizi) ma anche l’attività di negoziazione, in ogni caso questa non è il fine dell’impresa, bensì la funzione caratteristica che essa svolge nell’economia di mercato. Il fine delle imprese è la produzione di remunerazioni, di redditi, in particolare di rimunerazioni del lavoro e del capitale di rischio, che viene perseguito dai prestatori di lavoro e dai conferenti di capitale proprio, attraverso la produzione economica (mezzo). 1.1.5. LE CONDIZIONI DI PRODUZIONE
L’attività economica di produzione si attua con l’impiego di condizioni di produzione. Il complessivo insieme delle condizioni di produzione include ogni elemento o circostanza che direttamente o indirettamente contribuisce a rendere possibile, a facilitare od ostacolare la produzione economica d’impresa (materie prime, immobili, attrezzature, lavoro operativo, direttivo o di governo economico, beni pubblici e beni liberi). Rilevanti sono le condizioni primarie di produzione ovvero le condizioni di produzione fondamentali per ogni impresa e le condizioni, la cui natura e le cui modalità di apporto all’impresa, suscitano nelle persone che le conferiscono interessi economici primari nei confronti dell’impresa. Queste sono il lavoro che le persone prestano all’interno dell’impresa e il capitale risparmio o capitale proprio conferito a titolo di rischio; entrambe fanno capo all’insieme di persone che hanno interessi economici primari nell’impresa. 1.2. LE PERSONE E I GRUPPI DI PERSONE 1.2.1. LA PERSONA UMANA VS L’HOMO OECONOMICUS L’homo oeconomicus è il soggetto principale dell’economia; egli è autonomo ed egoista, orientato esclusivamente alla massimizzazione dei propri redditi e della propria ricchezza, dotato di una razionalità assoluta. La persona umana è il soggetto principale dell’attività economica; egli è membro di una società umana, tende ad essere altruista, condivide i valori della solidarietà, della lealtà e del progresso, il suo fine è la massimizzazione del benessere che cerca di realizzare tramite l’attività economica ed è dotato di una razionalità limitata. 1.2.2. LA MASSIMIZZAZIONE DEL BENESSERE INDIVIDUALE Le persone agiscono in modo da massimizzare il proprio benessere individuale come esse lo percepiscono e la ricchezza diventa quindi un mezzo per raggiungere obiettivi anche di natura non economica. Il loro comportamento è previdente e coerente nel tempo, poiché fanno del loro meglio per prevedere le conseguenze incerte delle loro azioni (comportamento razionale). Le azioni delle persone sono soggette a vincoli di reddito, di tempo, di memoria, dalla disponibilità di risorse e sono influenzate dalle loro preferenze, dai loro gusti. Preferenze che a loro volta sono influenzate dai bisogni umani fondamentali, dalle caratteristiche dei beni, dal capitale personale (esperienze personali passate, vissuto) e dal capitale sociale (influenze esterne). 1.2.3. RAZIONALITÀ ASSOLUTA VS RAZIONALITÀ LIMITATA L’attività economica comporta continue scelte e decisioni. Esistono tre modelli decisionali:
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- il modello della razionalità assoluta: il soggetto, che deve prendere una decisione da solo, stabilisce degli obiettivi, dispone di fonti di informazione gratuite ed illimitate, valuta tutte le possibili alternative e alla fine la sua decisione è l’alternativa migliore in assoluto. - il modello della razionalità limitata: concetto elaborato da Herbert Simon, è un modello di rappresentazione dei processi decisionali in cui le decisioni scaturiscono da processi interattivi e sequenziali, per poi giungere ad una scelta soddisfacente. Il soggetto definisce degli obiettivi, accede a fonti di informazione, che sono però limitate, valuta le varie alternative, rivede le sue analisi e modifica il proprio obiettivo e alla fine arriva alla soluzione migliore possibile in relazione alle proprie risorse. - il modello delle scelte a più attori nei contesti organizzati secondo razionalità limitata.
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1.2.4. I GRUPPI SOCIALI, LE NORME E I RUOLI
Per perseguire i loro fini, le persone umane interagiscono tra di loro in società umane. L’azione individuale integrata nell’ambito di società umane produce benefici individuali e collettivi e ciò richiede comportamenti appropriati. Il gruppo sociale è composto da un piccolo numero di persone e si forma spontaneamente; queste condividono gli stessi valori di fondo e intendono perseguire un obiettivo comune. Un gruppo ha una propria struttura sociale interna, sviluppa regole di comportamento (norme implicite, la cui trasgressione comporta però sanzioni), è coeso e permane nel tempo se si realizza un equilibrio tra ciò che ciascun membro fornisce al gruppo e ciò che ciascuno ottiene dal gruppo e se i vari ruoli sono coerenti e complementari, in caso contrario si scioglie o si creano tensioni. Un gruppo è formato da pari e la sua organizzazione è spontanea ed implicita, la sua struttura è però forte, soprattutto se c’è un leader che lo guida. Il comportamento di una persona è influenzato dall’appartenenza ad un gruppo, essa diventa infatti centro di un sistema di attese di comportamento da parte degli altri soggetti membri del gruppo (ruolo). La maggior parte delle persone fa parte contemporaneamente di una pluralità di società umane (situazione di inclusione parziale in più gruppi), il loro comportamento è quindi influenzato da più insiemi di attese allo stesso tempo e per incompatibilità tra le attese di ruoli diversi possono nascere tensioni. 1.2.5. I PROCESSI DECISIONALI COLLETTIVI I processi decisionali si svolgono nelle società umane, le persone sono coinvolte in una molteplicità di processi decisionali che si intersecano, ai limiti della razionalità si sommano quindi le causalità e le ambiguità dei processi umani. Per esempio in un’impresa le decisioni da prendere devono essere coordinate e coerenti tra di loro, ma spesso sono in concorrenza tra di loro. Questo perché le risorse da investire nei processi decisionali sono sempre limitate (alcuni problemi risolti, altri no) e perché le scelte prese comportano un impiego di risorse limitate (scelte possono essere incompatibili con altre). Anche le soluzioni possono essere in concorrenza tra di loro, uno stesso problema può avere più soluzioni. Esempio: GARBAGE CAN MODEL Cohen, March e Olsen hanno cercato di spiegare come funzionano le decisioni collettive attraverso il Garbage Can Model. Secondo questo modello le decisioni si prendono in luoghi e tempi chiamati “occasioni di decisione” alle quali partecipano persone dotate di poteri decisionali diversi, ruoli diversi, ma anche con personalità diverse. Devono risolvere problemi o prendere decisioni la cui scelta viene influenzata da chi ha maggior potere decisionale e le soluzioni non sempre sono le migliori possibili. I processi decisionali che si svolgono nelle imprese, quindi, solo parzialmente sono strutturati razionalmente, ampio spazio viene infatti dato alla soggettività e al caso. All’interno di un’impresa bisogna che tutte le decisioni individuali siano coerenti con gli obiettivi dell’organizzazione, vengono elaborate, perciò, regole organizzative, procedure e routine (meno decisioni). Le decisioni prese all’interno di istituti sono frutto della combinazione di sistemi di valori individuali e collettivi, di schemi mentali, di strutture di ruoli, di regole e di routine. 1.2.6. COOPERAZIONE, OPPORTUNISMO, FIDUCIA E ALTRUISMO La cooperazione tra le persone che fanno parte di una società umana è condizione necessaria per il suo funzionamento. Questa consente di ottenere risultati non conseguibili operando individualmente, produce una rendita, che dovrà essere ridistribuita. Ciascuno dovrebbe essere ricompensato in proporzione all’impegno di cooperazione, in realtà né i contributi individuali, né i risultati complessivi realizzati sono perfettamente conoscibili e ciò dà spazio a
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comportamenti opportunistici, egoistici che consentono alle persone di godere dei vantaggi della cooperazione senza fornire i dovuti contributi. Questo modo di comportarsi è causa ed effetto di relazioni di sfiducia tra le parti. Per costruire un rapporto di fiducia serve un atteggiamento leale e cooperativo. Esempio: TEORIA DI McGREGOR Il formarsi e il deteriorarsi di relazioni di fiducia si realizzano secondo un tipico meccanismo di profezie auto-verificanti. Egli, infatti, sostiene che le persone possano seguire due modalità di comportamento opposte: - teoria X: se si adotta una visione negativa della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento opportunistico. - teoria Y: se si adotta una visione positiva della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento positivo, altruista. L’adozione della Teoria Y è condizione essenziale per la realizzazione di assetti aziendali che favoriscano la congiunzione di risultati di efficienza e soddisfazione. Le relazioni interpersonali fanno registrare anche comportamenti altruistici, che, grazie a un sacrificio di chi agisce, producono un vantaggio agli altri. Questi non sono contrari al principio di massimizzazione del benessere individuale perché i valori o gli obiettivi di una persona possono essere tali per cui un comportamento altruistico è funzionale massimizzazione del benessere personale, consente di soddisfare importanti attese personali. 1.2. LE PERSONE E I GRUPPI DI PERSONE 1.2.1. LA PERSONA UMANA VS L’HOMO OECONOMICUS L’homo oeconomicus è il soggetto principale dell’economia; egli è autonomo ed egoista, orientato esclusivamente alla massimizzazione dei propri redditi e della propria ricchezza, dotato di una razionalità assoluta. La persona umana è il soggetto principale dell’attività economica; egli è membro di una società umana, tende ad essere altruista, condivide i valori della solidarietà, della lealtà e del progresso, il suo fine è la massimizzazione del benessere che cerca di realizzare tramite l’attività economica ed è dotato di una razionalità limitata. 1.2.2. LA MASSIMIZZAZIONE DEL BENESSERE INDIVIDUALE Le persone agiscono in modo da massimizzare il proprio benessere individuale come esse lo percepiscono e la ricchezza diventa quindi un mezzo per raggiungere obiettivi anche di natura non economica. Il loro comportamento è previdente e coerente nel tempo, poiché fanno del loro meglio per prevedere le conseguenze incerte delle loro azioni (comportamento razionale). Le azioni delle persone sono soggette a vincoli di reddito, di tempo, di memoria, dalla disponibilità di risorse e sono influenzate dalle loro preferenze, dai loro gusti. Preferenze che a loro volta sono influenzate dai bisogni umani fondamentali, dalle caratteristiche dei beni, dal capitale personale (esperienze personali passate, vissuto) e dal capitale sociale (influenze esterne). 1.2.3. RAZIONALITÀ ASSOLUTA VS RAZIONALITÀ LIMITATA L’attività economica comporta continue scelte e decisioni. Esistono tre modelli decisionali:
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- il modello della razionalità assoluta: il soggetto, che deve prendere una decisione da solo, stabilisce degli obiettivi, dispone di fonti di informazione gratuite ed illimitate, valuta tutte le possibili alternative e alla fine la sua decisione è l’alternativa migliore in assoluto. - il modello della razionalità limitata: concetto elaborato da Herbert Simon, è un modello di rappresentazione dei processi decisionali in cui le decisioni scaturiscono da processi interattivi e sequenziali, per poi giungere ad una scelta soddisfacente. Il soggetto definisce degli obiettivi, accede a fonti di informazione, che sono però limitate, valuta le varie alternative, rivede le sue analisi e modifica il proprio obiettivo e alla fine arriva alla soluzione migliore possibile in relazione alle proprie risorse. - il modello delle scelte a più attori nei contesti organizzati secondo razionalità limitata. 1.2.4. I GRUPPI SOCIALI, LE NORME E I RUOLI Per perseguire i loro fini le persone umane interagiscono tra di loro in società umane. L’azione individuale integrata nell’ambito di società umane produce benefici individuali e collettivi e ciò richiede comportamenti appropriati. Il gruppo sociale è composto da un piccolo numero di persone e si forma spontaneamente; queste condividono gli stessi valori di fondo e intendono perseguire un obiettivo comune. Un gruppo ha una propria struttura sociale interna, sviluppa regole di comportamento (norme implicite, la cui trasgressione comporta però sanzioni), è coeso e permane nel tempo se si realizza un equilibrio tra ciò che ciascun membro fornisce al gruppo e ciò che ciascuno ottiene dal gruppo e se i vari ruoli sono coerenti e complementari, in caso contrario si scioglie o si creano tensioni. Un gruppo è formato da pari e la sua organizzazione è spontanea ed implicita, la sua struttura è però forte, soprattutto se c’è un leader che lo guida. Il comportamento di una persona è influenzato dall’appartenenza ad un gruppo, essa diventa infatti centro di un sistema di attese di comportamento da parte degli altri soggetti membri del gruppo (ruolo). La maggior parte delle persone fa parte contemporaneamente di una pluralità di società umane (situazione di inclusione parziale in più gruppi), il loro comportamento è quindi influenzato da più insiemi di attese allo stesso tempo e per incompatibilità tra le attese di ruoli diversi possono nascere tensioni. 1.2.5. I PROCESSI DECISIONALI COLLETTIVI I processi decisionali si svolgono nelle società umane, le persone sono coinvolte in una molteplicità di processi decisionali che si intersecano, ai limiti della razionalità si sommano quindi le causalità e le ambiguità dei processi umani. Per esempio in un impresa le decisioni da prendere devono essere coordinate e coerenti tra di loro, ma spesso sono in concorrenza tra di loro. Questo perché le risorse da investire nei processi decisionali sono sempre limitate (alcuni problemi risolti, altri no) e perché le scelte prese comportano un impiego di risorse limitate (scelte possono essere incompatibili con altre). Anche le soluzioni possono essere in concorrenza tra di loro, uno stesso problema può avere più soluzioni. Esempio: GARBAGE CAN MODEL Cohen, March e Olsen hanno cercato di spiegare come funzionano le decisioni collettive attraverso il Garbage Can Model. Secondo questo modello le decisioni si prendono in luoghi e tempi chiamati “occasioni di decisione” alle quali partecipano persone dotate di poteri decisionali diversi, ruoli diversi, ma anche con personalità diverse. Devono risolvere problemi o prendere decisioni la cui scelta viene influenzata da chi ha maggior potere decisionale e le soluzioni non sempre sono le migliori possibili. I processi decisionali che si svolgono nelle imprese, quindi, solo parzialmente sono strutturati razionalmente, ampio spazio viene infatti dato alla soggettività e al caso. All’interno di un’impresa bisogna che tutte le decisioni individuali siano coerenti con gli obiettivi dell’organizzazione, vengono elaborate, perciò, regole organizzative, procedure e routine (meno decisioni).
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Le decisioni prese all’interno di istituti sono frutto della combinazione di sistemi di valori individuali e collettivi, di schemi mentali, di strutture di ruoli, di regole e di routine. 1.2.6. COOPERAZIONE, OPPORTUNISMO, FIDUCIA E ALTRUISMO La cooperazione tra le persone che fanno parte di una società umana è condizione necessaria per il suo funzionamento. Questa consente di ottenere risultati non conseguibili operando individualmente, produce una rendita, che dovrà essere ridistribuita. Ciascuno dovrebbe essere ricompensato in proporzione all’impegno di cooperazione, in realtà né i contributi individuali, né i risultati complessivi realizzati sono perfettamente conoscibili e ciò dà spazio a comportamenti opportunistici, egoistici che consentono alle persone di godere dei vantaggi della cooperazione senza fornire i dovuti contributi. Questi modo di comportarsi è causa ed effetto di relazioni di sfiducia tra le parti. Per costruire un rapporto di fiducia serve un atteggiamento leale e cooperativo. Esempio: TEORIA DI McGREGOR Il formarsi e il deteriorarsi di relazioni di fiducia si realizzano secondo un tipico meccanismo di profezie auto-verificanti. Egli, infatti, sostiene che le persone possano seguire due modalità di comportamento opposte: - teoria X: se si adotta una visione negativa della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento opportunistico. - teoria Y: se si adotta una visione positiva della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento positivo, altruista. L’adozione della Teoria Y è condizione essenziale per la realizzazione di assetti aziendali che favoriscano la congiunzione di risultati di efficienza e soddisfazione. Le relazioni interpersonali fanno registrare anche comportamenti altruistici, che, grazie ad un sacrificio di chi agisce, producono un vantaggio agli altri. Questi non sono contrari al principio di massimizzazione del benessere individuale perché i valori o gli obiettivi di una persona possono essere tali per cui un comportamento altruistico è funzionale massimizzazione del benessere personale, consente di soddisfare importanti attese personali. 2.1. GLI ISTITUTI 2.1.1. LE SOCIETÀ UMANE, IL BENE COMUNE, LE ISTITZIONI E GLI ISTITUTI Le persone tendono naturalmente a far parte di gruppi e di società umane sia per produrre risultati non attuabili singolarmente sia per soddisfare i bisogni di socialità. Ogni società persegue il bene comune dei suoi membri, questo è il prodotto della cooperazione societaria che condiziona i singoli nella società, è un bene funzionale per tutti che agevola l’attività del singolo. Un istituto è un gruppo di persone, che uniscono conoscenze, energie, risorse personali e materiali, governato da istituzioni, ovvero da regole e strutture di comportamento comunemente condivise e codificate a livello sociale. Le caratteristiche fondamentali di un istituto sono: la durabilità nel tempo, l’autonomia (affinché la capacità di scelta non sia limitata e si riescano a perseguire obietti vi di crescita), la dinamicità (capire la mutevolezza della realtà, esser capaci di adattarsi, prevenire o proporre un cambiamento) l’ordine (organizzato secondo proprie leggi) e l’unità (affinché siano perseguiti obiettivi condivisi dalle persone che lo compongono). Ciò consente il perseguimento di un fine comune, che a sua volta produce due fenomeni: - la rendita organizzativa: è un vantaggio anche economico che si riesce ad ottenere lavorando insieme, che risulta maggiore della somma di tutti i vantaggi che otterrebbero le singole persone lavorando in modo
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separato. in linea di principio, la rendita organizzativa, frutto della cooperazione, deve essere ripartita tra tutti coloro che hanno cooperato. Es. Consorzio. - il risultato residuale: è frutto della cooperazione e dell’incertezza, può essere positivo o negativo, ma viene in ogni caso diviso tra chi governa l’istituto (è quanto residua ex-post dopo aver remunerato tutti sulla base dei patti ex-ante). Es. Consorzio. 2.1.2. GLI ISTITUTI, LE AZIENDE E GLI AGGREGATI DI AZIENDE L’attività economica si svolge prevalentemente in istituti e per relazioni tra istituti. Questa è particolarmente rilevante in quattro tipi di istituto: - le famiglie - le imprese - lo Stato e gli enti pubblici - gli istituti non-profit L’ economia aziendale si occupa principalmente delle aziende, ovvero l’ordine strettamente economico di un istituto, l’insieme degli accadimenti economici disposti ad unità secondo le proprie leggi. Agli istituti corrispondono quattro classi di aziende: - l’azienda di consumo e di gestione patrimoniale familiare - l’azienda di produzione - l’azienda composta pubblica - l’azienda non-profit Queste sono accumunate dal fine generale del soddisfacimento dei bisogni umani e dal mezzo costituito dall’attività economica; si differenziano nei fini immediati (strutture caratteristiche in termini di assetto istituzionale, di combinazioni produttive, di organismo personale, di assetto tecnico e organizzativo e di patrimonio), nei portatori degli interessi economici istituzionali, ossia degli interessi economici primari, nei portatori degli interessi economici non istituzionali e nei processi economici caratteristici. L’economia aziendale si occupa anche degli aggregati di aziende, ossia gli insiemi di aziende avvinte da forti relazioni istituzionali che sono soggette a un indirizzo strategico unitario (consorzi).
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2.2. LE AZIENDE, ORDINE ECONOMICO DEGLI ISTITUTI 2.2.1. LE AZIENDE FAMIGLIARI DI CONSUMO E DI GESTIONE PATRIMONIALE La famiglia è l’istituto primario della società umana ed è caratterizzata da finalità dominanti di ordine sociale, etico e religioso, essa genera, alleva educa e assiste le persone. Essa è anche un’unità economica in quanto ai fini precedenti si aggiungono anche fini economici immediati che consistono nell’appagamento dei bisogni delle persone che la compongono. Gli interessi economici istituzionali (dei membri della famiglia) sono il soddisfacimento adeguato dei bisogni attuali e futuri dei membri della famiglia. L’azienda familiare è innanzitutto azienda di consumo combinato con la produzione di energia di lavoro e di studio. A essa appartengono una proprietà dei beni di consumo e un patrimonio, formato da beni conferiti al momento della costituzione della famiglia, dalle eredità e dal risparmio (dal patrimonio si attua poi una gestione patrimoniale). La famiglia inoltre partecipa al finanziamento delle produzioni e dei consumi degli istituti pubblici attraverso il pagamento di tributi (S = RT – (CT + T)). 2.2.2. LE AZIENDE DI PRODUZIONE L’impresa è un istituto economico-sociale con dominanti caratteri e finalità di tipo economico, è parte rilevante della società umana generale e secondo condizioni proprie partecipa al raggiungimento del bene comune della stessa. Essa è l’istituto fondamentale per la produzione di beni economici immediati, le relazioni che intrattiene con altri istituti non sono solo di tipo economico. Il suo fine economico immediato è la produzione di rimunerazioni monetarie. Gli interessi economici istituzionali fanno capo ai prestatori di lavoro e ai conferenti di capitale di risparmio sotto forma di capitale di rischio, anche se non sono da sottovalutare nemmeno gli interessi economici non istituzionali (soggetti non membri dell’istituto). L’ordine strettamente economico dell’impresa è l’azienda di produzione. Tra i processi economici dell’impresa ci sono le trasformazioni tecniche, le negoziazioni di beni, di credito e di rischi, inoltre è caratterizzata dalla combinazione di prestazione di lavoro con capitale di risparmio e dal pagamento dei tributi. 2.2.3. LE AZIENDE COMPOSTE PUBBLICHE Lo Stato è l’ordinamento politico, sociale, giuridico ed economico che cura il perseguimento del bene comune della comunità nazionale e promuove anche il progresso morale e sociale della comunità internazionale. Rilevanti ma non dominanti sono le finalità economiche, l’intersezione tra finalità economiche e non economiche, intatti, si riflette anche nella struttura degli organi di governo di questi istituti. L’ordine strettamente economico dello Stato è l’azienda composta pubblica (di produzione e di consumo), nella quale si attuano principalmente processi economici di produzione di beni pubblici e di consumo degli stessi, con i connessi processi di raccolta dei tributi. I fini economici immediati sono l’appagamento dei bisogni pubblici della collettività attraverso la produzione di beni pubblici e il loro consumo, e la rimunerazione dei prestatori di lavoro. I portatori di interessi economici istituzionali sono tutti i membri corrispondenti alle unità politiche, inoltre si manifestano rilevanti interessi economici non istituzionali. 2.2.4. LE AZIENDE NON-PROFIT
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Si qualificano come istituti non-profit quelli che sono di natura privata, che prevedono il divieto di distribuire il risultato reddituale e il patrimonio tra le persone che esercitano il controllo sull’istituto. In genere questi si ispirano a finalità di ordine sociale, morale e culturale e si differenziano sulla base dei soggetti coinvolti e dei loro ruoli economici. La componente economica degli istituti non-profit ha peso vario, può essere trascurabile così come può essere determinante. Il fine economico immediato è quello del soddisfacimento di bisogni di alcune categorie di persone (associati, classi di fornitori terzi, intera collettività). È varia la configurazione sia dei portatori di interessi economici istituzionali sia di quelli non istituzionali. I processi economici caratteristici sono quelli della produzione dei beni, del loro consumo e la raccolta di contributi privati sotto forma di donazioni e di lavoro volontario. 2.2.5. LA DIFFERENZIAZIONE DEGLI ISTITUTI L’attività economica si svolge in istituti di natura molto varia, fortemente differenziati tra loro: le famiglie, le imprese grandi e piccole, le imprese pubbliche e private, gli istituti pubblici di ogni specie, le associazioni. Come mai? 1. Perché l’attività economica non è totalmente svolta all’interno delle famiglie? per via del fenomeno elle economie di specializzazione e delle limitate dimensioni economiche della famiglia (persone specializzate sono più efficienti di persone che non lo sono, i volumi di produzione sono maggiori del consumo della famiglia). 2. Come mai le singole persone tendono ad aggregarsi in istituti anziché operare indipendentemente scambiandosi lavoro, beni e capitali? l’integrazione attraverso il mercato comporta costi di transazione, che diventano elevati quando la razionalità limitata delle persone si somma a situazioni di incertezza oppure se c’è il rischio del verificarsi di comportamenti opportunistici. Perciò le parti si accordano e si aggregano sotto una stessa autorità, entrando a far parte dello stesso istituto e abbassando così i costi di transazione. 3. Perché l’intera attività economica non si svolge nell’ambito di una sola grande “organizzazione” che suddivida a coordini l’attività di ciascuno? se si attuasse un modello economico di questo tipo si disperderebbero enormi volumi di conoscenze, di capacità individuali e sociali, adottando soluzioni sovrasemplificanti e si diffonderebbe un senso di iniquità. 4. Perché gli istituti esterni alle famiglie si differenziano in macro classi quali le imprese, lo Stato, gli istituti non-profit? per l’opportunità di sfruttare l’efficienza e l’innovazione tipiche delle imprese che operano nei mercati, per la necessità di interventi dello Stato per evitare le iniquità o le inefficienze che produrrebbe la sola azione privata e per l’opportunità di dare spazio ad attività organizzate ispirate anche da motivazioni altruistiche. 5. Perché le imprese sono così diverse tra di loro (dimensione, proprietà, integrazione)? per la pluralità di fattori concomitanti, alcuni spingono alla varietà (le diverse caratteristiche dei prodotti e dei mercati, la ricerca di vantaggi competitivi, l’innovazione, le differenti competenze delle varie persone), altri all’uniformità (l’imitazione, l’adattamento a modelli di impresa, l’uniformità delle regole formali, l’integrazione tecnica dei mercati). Esistono quattro modelli alternativi di configurazione dei sistemi economici: - il modello dell’autoconsumo: modello di economia primitiva, il modello è formato esclusivamente da gruppi primari di persone che svolgono al proprio interno e in autonomia, ciò che è prodotto è destinato all’autoconsumo; mancano le forme di specializzazione economica, mentre vi è la ripartizione dei compiti tra i vari membri. - il modello atomistico di mercato: modello astratto, le persone singole svolgono in autonomia la propria attività di lavoro specializzata, che viene poi coordinata dai meccanismi del mercato.
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- il modello della gerarchia totale: modello di economie socialiste, esiste un’organizzazione statale centrale che pianifica l’intera attività economica, al posto delle imprese ci sono unità operative che eseguono i piani statali. - il modello della pluralità di istituti specializzati: nel sistema economico ci sono vari e numerosi istituti, all’interno delle imprese il comportamento degli individui è definito e controllato da una gerarchia, mentre le relazioni tra le imprese sono regolate dal mercato.
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2.3. LA SPECIALIZZAZIONE ECONOMICA 2.3.1. TRE LIVELLI DI SPECIALIZZAZIONE Una caratteristica molto evidente dei sistemi economici moderni è la specializzazione. Questa si manifesta a tre livelli: - 1° livello: specializzazione per macroclassi di istituti (imprese = produzione di beni privati, famiglie = consumi, Stato = produzione e consumo di beni pubblici, istituti). - 2° livello: specializzazione tra gli istituti di ciascuna macroclasse (imprese e istituti pubblici). - 3° livello: specializzazione all’interno di ciascun istituto, dove le varie unità organizzative e le singole persone svolgono compiti particolari, usando speciali risorse e competenze. 2.3.2. LE ECONOMIE DI SPECIALIZZAZIONE La specializzazione comporta dei vantaggi, detti economie di specializzazione: le attività si svolgono più efficientemente, più rapidamente, con minor fatica e con risultati di migliore qualità. Questi derivano da: - l’apprendimento da ripetizione (destrezza, scoperta, repertorio di soluzioni) - l’impiego “ottimale” delle limitate e disomogenee competenze individuali - la differenziazione degli orientamenti manageriali e tecnici in relazione ad attività disomogenee (per perseguire gli obiettivi prefissati) - la riduzione dei costi di apprestamento e di passaggio tra le fasi (costi di setting) - le migliori performance degli impianti specializzati (svolgono solo una lavorazione ma ad altissima efficienza e qualità) - l’identificazione e la motivazione al lavoro (effetti positivi sulla motivazione, si tende ad identificarsi con la propria attività, da un senso di padronanza della situazione) 2.3.3. GLI SVANTAGGI DELLA SPECIALIZZAZIONE La specializzazione produce anche degli svantaggi, ed è quindi dal bilanciamento tra vantaggi e svantaggi che deriva il grado opportuno di specializzazione. Questi sono: - i maggiori costi di coordinamento (possono sorgere tensioni e conflitti comportamenti opportunistici, rischi di break down, sono i costi degli strumenti di coordinamento da mettere in atto e i costi delle disfunzionalità residue, non evitate dagli strumenti di coordinamento) - i costi di rigidità e gli investimenti specifici/specializzati (le persone e gli impianti specializzati sono rigidi perché se occorre modificare l’attività da svolgere, tempi e costi sono particolarmente alti; inoltre il valore di investimenti specifici può andare in larga misura perso al cessare dell’attività) - la demotivazione da parcellizzazione (effetti negativi sulla motivazione quando la specializzazione porta ad attribuire alle persone compiti isolati e ripetitivi) 2.3.4. SPECIALIZZAZIONE E DIMENSIONI CONVENIENTI Il fenomeno delle economie di specializzazione ha effetti forti sui volumi convenienti di produzione dei beni e sulle dimensioni convenienti degli istituti che producono beni. Quanto più grandi sono le economie di specializzazione, più numerosi sono i nuclei di attività che conviene specializzare e maggiore è la capacità produttiva che conviene istallare. Ma perché nascono le imprese? Mentre le famiglie creano l’archetipo delle economie di autoconsumo, le economie di specializzazione fanno si che la dimensione conveniente per la produzione di molti beni sia superiore alla dimensione corrispondente ai consumi della singola famiglia. Le imprese, quindi, sono istituti
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che organizzano la produzione di beni specializzando e coordinando una pluralità di attività umane e di risorse. 2.3.5. L’AMPIEZZA DEI MERCATI E DELLE CONOSCENZE Lo sviluppo economico è legato ai gradi di specializzazione economica e all’accumulo di conoscenza. Questo perché: - la specializzazione può crescere in proporzione all’ampiezza dei mercati, in termini di volume di produzione e di consumo dei beni. - la crescita delle aziende può essere franata da problemi organizzativi, ma l’invenzioni di nuovi strumenti di integrazione permette di passare a dimensioni più ampie e di realizzare economie di specializzazione. - maggiori sono le previste dimensioni del mercato e le potenziali economie di specializzazione, maggiori sono la disponibilità di risorse e gli incentivi per investire nella ricerca e nello sviluppo. 2.3. LA SPECIALIZZAZIONE ECONOMICA 2.3.1. TRE LIVELLI DI SPECIALIZZAZIONE Una caratteristica molto evidente dei sistemi economici moderni è la specializzazione. Questa si manifesta a tre livelli: - 1° livello: specializzazione per macroclassi di istituti (imprese = produzione di beni privati, famiglie = consumi, Stato = produzione e consumo di beni pubblici, istituti). - 2° livello: specializzazione tra gli istituti di ciascuna macroclasse (imprese e istituti pubblici). - 3° livello: specializzazione all’interno di ciascun istituto, dove le varie unità organizzative e le singole persone svolgono compiti particolari, usando speciali risorse e competenze. 2.3.2. LE ECONOMIE DI SPECIALIZZAZIONE La specializzazione comporta dei vantaggi, detti economie di specializzazione: le attività si svolgono più efficientemente, più rapidamente, con minor fatica e con risultati di migliore qualità. Questi derivano da: - l’apprendimento da ripetizione (destrezza, scoperta, repertorio di soluzioni) - l’impiego “ottimale” delle limitate e disomogenee competenze individuali - la differenziazione degli orientamenti manageriali e tecnici in relazione ad attività disomogenee (per perseguire gli obiettivi prefissati) - la riduzione dei costi di apprestamento e di passaggio tra le fasi (costi di setting) - le migliori performance degli impianti specializzati (svolgono solo una lavorazione ma ad altissima efficienza e qualità) - l’identificazione e la motivazione al lavoro (effetti positivi sulla motivazione, si tende ad identificarsi con la propria attività, da un senso di padronanza della situazione) 2.3.3. GLI SVANTAGGI DELLA SPECIALIZZAZIONE La specializzazione produce anche degli svantaggi, ed è quindi dal bilanciamento tra vantaggi e svantaggi che deriva il grado opportuno di specializzazione. Questi sono: - i maggiori costi di coordinamento (possono sorgere tensioni e conflitti comportamenti opportunistici, rischi di break down, sono i costi degli strumenti di coordinamento da mettere in atto e i costi delle disfunzionalità residue, non evitate dagli strumenti di coordinamento)
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- i costi di rigidità e gli investimenti specifici/specializzati (le persone e gli impianti specializzati sono rigidi perché se occorre modificare l’attività da svolgere, tempi e costi sono particolarmente alti; inoltre il valore di investimenti specifici può andare in larga misura perso al cessare dell’attività) - la demotivazione da parcellizzazione (effetti negativi sulla motivazione quando la specializzazione porta ad attribuire alle persone compiti isolati e ripetitivi) 2.3.4. SPECIALIZZAZIONE E DIMENSIONI CONVENIENTI Il fenomeno delle economie di specializzazione ha effetti forti sui volumi convenienti di produzione dei beni e sulle dimensioni convenienti degli istituti che producono beni. Quanto più grandi sono le economie di specializzazione, più numerosi sono i nuclei di attività che conviene specializzare e maggiore è la capacità produttiva che conviene istallare. Ma perché nascono le imprese? Mentre le famiglie creano l’archetipo delle economie di autoconsumo, le economie di specializzazione fanno si che la dimensione conveniente per la produzione di molti beni sia superiore alla dimensione corrispondente ai consumi della singola famiglia. Le imprese, quindi, sono istituti che organizzano la produzione di beni specializzando e coordinando una pluralità di attività umane e di risorse. 2.3.5. L’AMPIEZZA DEI MERCATI E DELLE CONOSCENZE Lo sviluppo economico è legato ai gradi di specializzazione economica e all’accumulo di conoscenza. Questo perché: - la specializzazione può crescere in proporzione all’ampiezza dei mercati, in termini di volume di produzione e di consumo dei beni. - la crescita delle aziende può essere franata da problemi organizzativi, ma l’invenzioni di nuovi strumenti di integrazione permette di passare a dimensioni più ampie e di realizzare economie di specializzazione. - maggiori sono le previste dimensioni del mercato e le potenziali economie di specializzazione, maggiori sono la disponibilità di risorse e gli incentivi per investire nella ricerca e nello sviluppo.
LE COMBINAZIONI ECONOMICHE DI ISTITUTO 3.1. IL SISTEMA DEGLI ACCADIMENTI E LE COMBINAZIONI ECONOMICHE L’insieme delle operazioni economiche svolte dalle persone di un istituto forma le combinazioni economiche generali dell’istituto stesso. Queste sono parte del sistema degli accadimenti, ossia l’insieme delle azioni e dei fenomeni che si manifestano nell’azienda e nel suo ambiente (una speciale categoria del sistema degli accadimenti è costituita dal sistema delle operazioni, ossia il sistema delle attività svolte dalle persone che compongono l’organismo personale dell’azienda). 3.2. L’ARTICOLAZIONE DELLE COMBINAZIONI ECONOMICHE NELLE IMPRESE Le combinazioni economiche delle imprese si articolano in: - coordinazioni economiche parziali (dette anche “funzioni”) - combinazioni economiche parziali ed elementari (dette anche, nelle imprese, “aree di affari”) - negoziazioni 3.2.1. LE COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI E LE NEGOZIAZIONI
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Le coordinazioni economiche parziali sono un insieme di processi caratterizzati da una funzione e da un insieme di competenze specialistiche applicate al loro svolgimento. Le coordinazioni economiche parziali di tutte le imprese sono riconducibili alle seguenti classi e sottoclassi: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: che comprende le operazioni che determinano la nascita, la configurazione di base, le trasformazioni e la cessazione dell’istituto. Questo è dato dalla costituzione dell’istituto, dalla compagine iniziale dei “soci” e dalle successive trasformazioni, dalla prima scelta e dalle trasformazioni di forma giuridica, dalla configurazione degli organi di governo, dalle acquisizioni, fusioni, scissioni, dalla stipulazione di alleanze e dalla liquidazione dell’istituto. Tutte le altre classi di operazioni sono fortemente influenzate dalle scelte di fondo che si compiono con la configurazione dell’assetto istituzionale. - GESTIONE: è il vasto insieme di operazioni attraverso cui l’impresa attua direttamente la produzione economica (progetta, acquista, trasforma e vende). Si compone di cinque sottoinsiemi: a. gestione caratteristica: è composta dall’insieme delle operazioni di gestione che identificano la funzione economico-tecnica tipica di ciascuna azienda e che suscitano la gran parte dei costi e dei ricavi dell’impresa. La gestione caratteristica è una gestione attiva quando è ben condotta e produce un risultato reddituale positivo (reddito operativo della gestione caratteristica). Si articola nelle seguenti coordinazioni e.p. che sono tra loro fortemente interdipendenti: - operazioni di ricerca e sviluppo: attività volte a configurare le caratteristiche del prodotto e le modalità di svolgimento dei processi di fabbricazione. - operazioni di acquisto merci e servizi destinati alla produzione: acquisto di impianti, materie prime e servizi. - operazioni di fabbricazione: attività di lavorazione e assemblaggio delle materie prime e dei componenti acquistati, attività di programmazione della produzione, di controllo intermedio e finale della qualità. - operazioni di commercializzazione: vendita dei prodotti dell’impresa massimizzando la sua convenienza economica (vendita e marketing). - operazioni di logistica: svolte per trasportare, immagazzinare e movimentare le materie prime, i semi-lavorati o i prodotti finiti. b. gestione finanziaria: comprende l’insieme delle operazioni volte a coprire il fabbisogno finanziario, ossia il fabbisogno di mezzi monetari necessari per avviare l’impresa e per sostenerne lo sviluppo. Questo nasce perché di regola nelle imprese gli incassi derivanti dalle vendite si manifestano successivamente ai pagamenti derivanti dagli acquisti; può essere coperto ricorrendo al capitale proprio (o capitale di rischio) oppure al capitale di prestito (mutui, obbligazioni). La gestione finanziaria è una gestione passiva, in quanto comporta interessi passivi sul capitale di terzi e remunerazioni del capitale proprio. Si compone di quattro attività: la previsione e l’analisi del fabbisogno finanziario, la valutazione in merito alla combinazione ottimale di ricorso al capitale di rischio e al capitale di prestito, la pianificazione e attuazione delle negoziazioni di capitale di rischio e di prestito e infine la gestione di relativi contratti. c. gestione patrimoniale: può accadere che, per un certo periodo di tempo,un’impresa disponga di mezzi monetari eccedenti rispetto a quanto richiesto dalla gestione caratteristica; in questi casi, si attiva la gestione patrimoniale che consiste nell’investimento di tali mezzi monetari (surplus) al fine di trarne un reddito. L’investimento può consistere, ad esempio, nell’acquisto di titoli di Stato o di azioni di altre imprese o nell’acquisto di immobili. La gestione patrimoniale è in linea di principio una gestione attiva, ma talvolta può provocare perdite (quotazioni decrescenti delle azioni acquistate). d. gestione assicurativa: ciascun istituto è soggetto sia ad un rischio economico generale (possibilità che le combinazioni economiche complessive producano utili o perdite che ne sostengono o ne minacciano la vita), sia a rischi particolari che possono essere oggetto di copertura mediante la sottoscrizione di contratti di assicurazione (furti, incendi, danni a terzi). I rischi coperti possono derivare sia dalla gestione caratteristica sia dalle gestioni patrimoniale e finanziaria. E’ una gestione tipicamente passiva comportando il costo dei premi assicurativi e indennizzi solo a fronte di equivalenti danni. e. gestione tributaria: consiste nella liquidazione e nel pagamento della vasta gamma di tributi che le imprese devono versare allo Stato e ad altri enti pubblici a fronte dei beni pubblici ricevuti. Gli oneri tributari
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sono suscitati sia dalla gestione caratteristica sia dalle gestioni patrimoniale e finanziaria. Differenti scelte d’impresa (relative, ad esempio, alla forma giuridica, alle modalità di finanziamento, alla localizzazione) determinano differenti combinazioni e livelli di tributi da corrispondere. La gestione tributaria è tipicamente una gestione passiva comportando solo oneri tributari. Il profilo reddituale e monetario delle gestioni: - analizzare la gestione secondo il profilo reddituale significa indagare il formarsi dei costi e dei ricavi, cioè come ciascuna delle cinque gestioni contribuisce al formarsi del risultato reddituale (utile o perdita). - analizzare la gestione secondo il profilo monetario significa studiare i flussi di entrate e di uscite, ossia delle riscossioni e dei pagamenti suscitati dalle varie classi di negoziazioni. Ciò serve per capire se e come l’impresa è sistematicamente in grado di far fronte, con le entrate, alle proprie uscite (grado di solvibilità) Il profilo reddituale e il profilo monetario sono strettamente connessi, ma non coincidono. - ORGANIZZAZIONE: disegna la struttura organizzativa dell’impresa ed è alla base della motivazione delle persone e dell’efficienza aziendale. Si compone di due classi di attività: a. progettazione dell’assetto organizzativo: consiste nella progettazione della struttura organizzativa dell’impresa (chi deve fare che cosa, chi dipende da chi) e nella progettazione dei sistemi operativi (sistemi di pianificazione, di programmazione e di gestione del personale). b. gestione dei prestatori di lavoro: è l’attuazione dei sistemi operativi di gestione del personale in modo che l’azienda disponga di un organismo personale adatto, che queste persone vengano ricompensate equamente e che siano motivate. - RILEVAZIONE: consistono nella raccolta, nell’elaborazione, nella conservazione e nella diffusione dei dati e delle informazioni e servono per supportare le scelte dei decisori, sia interni sia esterni all’azienda. Sono una classe particolare di accadimenti aziendali, infatti sono operazioni che si sostanziano nella variazione di valori componenti il capitale di funzionamento dell’azienda. Tutte le classi di attività (progettazione degli assetti istituzionali, gestione, organizzazione, rilevazione) comportano lo svolgimento sia di attività interne sia di attività esterne, ossia di relazioni con altri istituti. Tra le attività esterne sono di primaria importanza le negoziazioni che servono per acquisire da terzi le condizioni di produzione e per cedere i prodotti e le condizioni di produzione. Le negoziazioni reali non si svolgono mai in condizioni di perfetta trasparenza, conoscenza, lealtà e di equilibrio di potere delle parti, non si svolgono cioè in condizioni di razionalità assoluta e in mercati perfetti. Si tengono perciò in considerazione: - i costi di transazione - l’asimmetria informativa - gli investimenti specifici - la forza contrattuale Le grandi classi di negoziazioni svolte dalle imprese sono: a. negoziazioni di beni privati: operazioni di acquisto e di vendita di merci e servizi che sono ceduti da soggetti privati, si svolgono sotto forma di scambio monetario. Gli elementi di scambio sono il bene scambiato, il volume, il prezzo unitario, il prezzo complessivo e il tempo di pagamento. Inoltre comprendono l’acquisto di beni da reddito e da rivalutazione. b. negoziazioni di beni pubblici c. negoziazioni di lavoro d. negoziazioni di capitale di rischio: consiste nell’acquisto la disponibilità di mezzi monetari a titolo di capitale proprio, i conferenti danno all’impresa mezzi monetari attendendosi una rimunerazione correlata ai risultati reddituali dell’impresa, e quindi incerta; nel caso si ceda la propria quota il conferente capitale di rischio realizza un guadagno in conto capitale (g.f.). Inoltre comprendono l’acquisto di azioni (g.p.). e. negoziazioni di capitale di prestito: hanno per oggetto l’acquisizione e la cessione di mezzi monetari destinati alla copertura dei fabbisogni finanziari delle aziende, chi lo riceve si impegna a rimborsarlo in un
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determinato periodo di tempo e di pagare interessi passivi in proporzione alla quantità di denaro ricevuta e al livello di rischio. Inoltre comprendono l’acquisto di titoli di stato, o di obbligazioni (g.p.). f. negoziazioni di rischi particolari: o contratti di assicurazione volti a coprire i danni derivanti da possibili eventi negativi nell’ambito delle varie gestioni. 3.2.10. LE COMBINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Per combinazione economica parziale (aree d’affari) si intende una combinazione prodotto-mercato con propri caratteri distinti rispetto alle altre combinazioni prodotto-mercato attuate da una stessa impresa (questo tipo di imprese, dette imprese diversificate, hanno deciso di compiere mosse di diversificazione). Le combinazioni economiche parziali sono però avvinte da un rapporto di complementarietà e di comunanza, si possono, quindi, apprezzare compiutamente solo se osservate insieme. 3.2.11. LE VARIANTI PER DIFFERENTI CLASSI DI IMPRESE Le combinazioni economiche delle imprese sono riconducibili a: operazioni che servono per acquisire gli input necessari per la produzione, operazioni che servono per trasformare gli input in output cedibili ai clienti, operazioni che servono per cedere ai clienti i beni offerti dall’impresa e operazioni di impostazioni e di governo della complessiva attività aziendale.
3.3. COMBINAZIONI ECONOMICHE NELLO STATO 3.3.1. IL RUOLO DELLO STATO Lo Stato svolge un ruolo essenziale nei sistemi economici intervenendo secondo più modalità: producendo direttamente o indirettamente beni pubblici o privati, regolamentando la produzione o il consumo di altri beni, imponendo tributi e ridistribuendo la ricchezza. Esso interviene quando: un bene economico e considerato politicamente critico e quando lasciando la sua produzione a imprese private si otterrebbero esiti negativi dal punto di vista politico. Lo Stato interviene se il mercato è inefficiente e quindi perché: 1. esistono beni pubblici puri: sono beni senza rivalità nei consumi e non escludibili (difesa nazionale). 2. si formano mercati non concorrenziali: in particolare i monopoli naturali, infatti senza controlli le imprese private ne trarrebbero vantaggi indebiti, perciò interviene lo Stato come produttore o come regolatore. 3. esistono esternalità positive/negative: quando un soggetto compie un’azione che ha effetti positivi o negativi su un altro soggetto senza che quest’ultimo paghi per tale effetto o riceva un indennizzo. Le imprese private tendono ad appropriarsi di esternalità positive e a scaricare esternalità negative, lo Stato interviene come produttore o come regolatore. 4. esistono mercati incompleti: quando spazi di mercato sono lasciati vuoti dalle imprese che li giudicano non attraenti (troppo piccoli o rischiosi) e che invece secondo lo Stato sono critici. 5. esistono asimmetrie informative: quando i beni sono complessi e difficili da giudicare ex-ante (sanità, istruzione), il consumatore può preferire un fornitore pubblico. Oppure anche se esistono mercati perfetti per: 6. ridistribuire il reddito: se la distribuzione dei redditi è giudicata politicamente non valida dallo Stato, questo può rendere accessibili beni critici a prezzi non di mercato, o producendoli direttamente o distribuendo sussidi o incentivi. 7. imporre il consumo di beni di merito: lo Stato incentiva il consumo di beni giudicati politicamente importanti ma che i cittadini non percepiscono come tali. 8. garantire uno Stato di diritto: in generale, lo Stato interviene con le leggi per far sì che l’attività economica si svolga correttamente.
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3.3.1. COMBINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI La struttura delle combinazioni economiche può essere rappresentata attraverso l’incrocio di due dimensioni: - le aree di intervento: combinazioni parziali corrispondenti ad insiemi di bisogni pubblici, definibili anche come finalità o prodotti dello Stato. - le aree di gestione: insieme delle attività di varia natura svolte dallo Stato per il perseguimento delle finalità. Le tipiche aree di intervento dello Stato sono: difesa nazionale, giustizia, sicurezza pubblica, relazioni internazionali, istruzione e cultura, assistenza e previdenza, sanità, trasporti e comunicazioni, sviluppo economico. In ciascuna di queste interviene offrendo una pluralità di prodotti destinati a varie categorie di cittadini (prodotti, destinatari, aree geografiche). 3.3.2. COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Le coordinazioni economiche parziali dello Stato sono riconducibili a: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: il suo assetto istituzionale si evolve ogni volta che cambiano le aree nelle quali deve intervenire, i rapporti da configurare con i prestatori di lavoro, le forme dirette e indirette con cui realizzare la produzione e l’erogazione dei beni pubblici, l’interazione con altre pubbliche amministrazioni, l’impostazione del sistema fiscale, le relazioni con i cittadini attraverso gli organi elettivi ed amministrativi. - GESTIONE: a. gestione caratteristica: la gestione caratteristica dello Stato si svolge in tre classi di operazioni: - produzione diretta o indiretta di beni: può decidere di produrre sia beni pubblici puri, sia beni privati o misti, sia in maniera diretta (proprio lo Stato) sia in maniera indiretta (attraverso imprese che possiede). I costi possono essere coperti attraverso tasse o tariffe correlate all’utilizzo del bene, imposte non correlate o tariffe proporzionate ai costi. - emanazione di leggi e regolamenti: in generale può essere considerata come l’attività essenziale degli istituti pubblici ed influenza il soddisfacimento dei bisogni pubblici, si distinguono le norme che impongono divieti, autorizzazioni, e regole di comportamento e le norme che impongono la produzioni di beni pubblici da parte di soggetti privati. - trasferimenti di mezzi monetari: assegnazione di una parte di mezzi monetari raccolti dallo Stato ad istituti che non fanno parte della pubblica amministrazione, sia volti ad attuare ridistribuzioni di ricchezza sia volti a finanziare attività o ad adottare comportamenti giudicati di interesse pubblico. b. gestione finanziaria: è molto rilevante, spesso lo Stato e gli istituti pubblici non riescono a coprire i loro costi con le entrate tributarie e devono coprire i loro deficit ricorrendo all’indebitamento. Il fabbisogno finanziario dello Stato può essere soddisfatto con varie forme di debiti di finanziamento (emissione di titoli di debito pubblico). c. gestione patrimoniale: si compone di operazioni di investimento e di disinvestimento in beni da reddito e rivalutazione finalizzate alla produzione di ricavi addizionali a quelli della gestione caratteristica. Di solito lo Stato e gli altri istituti pubblici sono in deficit, ossia non dispongono di risorse da dedicare alla gestione patrimoniale. d. gestione assicurativa: si svolge con modalità analoghe a quelle delle imprese dovendo coprire numerose classi di rischi particolari. In alcuni casi lo Stato diviene anche l’assicuratore a favore di famiglie, imprese, istituti non-profit a fronte di particolari eventi dannosi quali le calamità naturali. e. gestione tributaria: svolge due gestioni tributarie: una gestione tributaria passiva, nella quale lo Stato paga varie categorie di tributi, e una gestione tributaria attiva. Questa si compone dei processi di definizione delle caratteristiche e dei livelli dei tributi, di accertamento, di prevenzione e repressione dell’evasione fiscale, di riscossione. Può anche essere vista come parte della gestione caratteristica, costituendo il corrispettivo (nelle diverse forme nelle quali si possono classificare i tributi: prezzi, tariffe, imposte) della produzione ed erogazione dei servizi pubblici.
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- ORGANIZZAZIONE: queste operazioni sono simili a quelle delle imprese, si tratta di impostare la struttura organizzativa e i sistemi operativi in modo da assicurare efficienza, motivazione e flessibilità. Due importanti differenze rispetto alle imprese sono: il delicato rapporto tra organi politici eletti dai cittadini e gli organi amministrativi formati da tecnici, il prevalere del principio della legalità (applicazione uniforme della legge) rispetto a quello dell’imprenditorialità (soluzioni varie e sempre nuove). - RILEVAZIONE: sono più complesse rispetto a quelle delle imprese in quando devono rappresentare anche le dimensioni politiche e sociali degli obiettivi e dei risultati dello Stato. 3.4. COMBINAZIONI ECONOMICHE NELLA FAMIGLIA 3.4.1. IL RUOLO DELLA FAMIGLIA Le famiglie sono i protagonisti essenziali dell’attività economica, sono gli istituti nei quali si compie la gran parte dell’attività economica di consumo, inoltre è l’istituto nel cui ambito si svolgono alcune parti essenziali della produzione economica, e dove si predispongono le condizioni necessarie per il soddisfacimento dei bisogni delle persone. Nei sistemi economici evoluti, le famiglie esternalizzano molte attività di produzione precedentemente svolte dai propri membri, mentre si svolgono all’interno della famiglia le attività che dal punto di vista morale ed etico sono considerate critiche (educazione, assistenza), dal punto di vista tecnico non comportano rilevanti diseconomie di specializzazione e di dimensione. 3.4.2. COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Le coordinazioni economiche parziali delle famiglie sono riconducibili a: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: in quanto istituto sociale e primario, la famiglia non comporta fondamentali scelte di configurazione dell’assetto istituzionale; tuttavia, alcune scelte critiche riguardano il regime patrimoniale tra i coniugi, le relazioni economiche con le famiglie di parenti e affini, eventuali affidamenti e adozioni, la suddivisione del lavoro interno ed esterno, le relazioni con coloro che prestano lavoro domestico. - GESTIONE: a. gestione caratteristica: è composta essenzialmente da: - attività di produzione di redditi mediante il lavoro esterno - attività di lavoro interno alla famiglia - attività di consumo: comprende un complesso insieme di operazioni di produzione a cui si applicano grandi volumi di lavoro interno: negoziazioni di acquisto di beni, operazioni di trasformazione tecnica dei beni di consumo, negoziazioni di beni pubblici e operazioni di pagamento. b. gestione finanziaria: è formata dalle operazioni di negoziazione di credito di prestito (mutui, credito al consumo) che fanno sorgere i debiti di finanziamento e dai connessi pagamenti di quote capitale ed interessi. c. gestione patrimoniale: consiste nell’impiego di risparmio in investimenti (titoli, immobili da reddito) destinati a produrre redditi addizionali rispetto a quelli derivanti dal lavoro esterno, dipende fortemente dalle scelte di consumo e risparmio (in questo caso può essere considerata come parte della gestione caratteristica). Si attua come combinazione di una vasta gamma di operazioni: operazioni di investimento di mezzi monetari, acquisti di beni di uso durevole da reddito e da rivalutazione, operazioni di negoziazioni di rischi particolari connessi agli investimenti, operazioni di pagamento e riscossione, operazioni di impiego e amministrazione degli investimenti e operazioni di fruizione dei beni pubblici. d. gestione assicurativa: sia sulla vita dei singoli membri sia a copertura di danni particolare alle cose (abitazione, furti, responsabilità civile) è spesso presente nella gestione familiare. e. gestione tributaria: consiste nelle operazioni di accertamento, di liquidazione e di pagamento di vari tipi di tributi (imposte, tasse e contributi a fronte del diritto di accedere ai beni prodotti dallo Stato).
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- ORGANIZZAZIONE: dato in numero di persone componenti la famiglia non si presentano particolari problemi di progettazione organizzativa. - RILEVAZIONE: possono essere utili dei sistemi elementari atti a supportare alcune scelte di gestione familiare. 3.5. COMBINAZIONI ECONOMICHE NEGLI ISTITUTI NON-PROFIT 3.4.1. IL RUOLO DEGLI ISTITUTI NON-PROFIT Nei sistemi economici evoluti una parte rilevante dell’attività economica si svolge in istituti non-profit. Questi sono istituti privati (anche se spesso finanziati anche dallo Stato) nei quali è vietata la ridistribuzione dei risultati reddituali e del patrimonio a favore dei soggetti che li controllano. Quando nasce un istituto non-profit? Un istituto non-profit nasce quando uno o più soggetti privati ritengono che sia utile o doveroso che certi insiemi di persone (loro stessi o categorie disagiate o l’intera collettività) dispongano di beni che gli altri tipi di istituti (famiglie, imprese, Stato) non offrono nei modi (qualità e prezzi) ritenuti opportuni. Questi agiscono come produttori privati di beni pubblici per soddisfare la domanda che non viene coperta dallo Stato, intervengono in situazioni di forte asimmetria informativa, inoltre godono di taluni vantaggi normativi e fiscali (lo Stato favorisce il formarsi di istituti non profit che con risorse prevalentemente private offrono beni pubblici). 3.3.2. COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Le coordinazioni economiche parziali degli istituti non-profit sono riconducibili a: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: è rilevante soprattutto nei casi nei quali coloro che forniscono contributi non usufruiscono dei servizi erogati. In questo caso nasce l’esigenza da parte dei primi di controllare il buon uso delle risorse e diventano problematiche anche le scelte collettive di governo economico. La progettazione degli assetti istituzionali deve tenere presente due finalità: costruire e proteggere l’immagine di affidabilità dell’istituto e garantire elevati livelli autonomia. - GESTIONE: a. gestione caratteristica: è molto eterogenea perché sono di natura molto varia, si possono distinguere i seguenti casi: - INP assimilabili a istituti di produzione (sanità, istruzione) nei quali avvengono processi di acquisto, trasformazione e cessione a clienti che pagano corrispettivi assimilabili ai prezzi. Il carattere non-profit deriva dalla destinazione del risultato reddituale. - INP assimilabili a istituti di produzione e consumo nei quali i destinatari della produzione sono i membri stessi dell’istituto. - INP di pura erogazione (enti di beneficenza) in cui prevalgono i processi di trasferimento delle disponibilità finanziarie raccolte rispetto ai processi di trasformazione tecnica. Molti INP sono accumunati da uno stesso nucleo di attività che consiste nella raccolta dei contributi, delle donazioni e delle agevolazioni necessari a coprire il disequilibrio tra i costi sostenuti e i ricavi ottenuti a fronte delle singole prestazioni (contributi, lavoro volontario, donazioni, condizioni favorevoli di prestito, contributi statali, agevolazioni fiscali e amministrative). Questo argomento è critico perché è indispensabile per la durabilità dell’istituto, ma allo stesso tempo ne determina l’assetto istituzionale (contributo = governo). b. gestione finanziaria: assume caratteri particolari in questi istituti, l’incertezza di redditi costanti infatti limita di molto la loro capacità di assumere debiti di finanziamento che richiedono rimborsi tempificati, inoltre è strettamente connessa a quella parte della gestione caratteristica che consiste nel fund raising, ossia nella raccolta di contributi non corrispondenti a specifiche prestazioni dell’INP. c. gestione patrimoniale: può essere del tutto trascurabile in diversi INP in quanto difficilmente generano risparmio, tuttavia alcuni godono di importanti patrimoni sia finanziari sia immobiliari; in questi casi la
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gestione patrimoniale assume grande rilevanza in quanto capace, se ben gestita, di produrre redditi importanti per l’equilibrio economico dell’INP. d. gestione assicurativa: assume varia rilevanza in relazione all’attività svolta dagli INP. Nel caso di INP che svolgono attività in settori rischiosi quali quello sanitario o ospedaliero, della protezione civile, oppure agli INP proprietari di patrimoni immobiliari di elevato valore artistico. e. gestione tributaria: è strettamente connessa alla gestione caratteristica. Lo Stato, infatti, accorda agli INP agevolazioni fiscali sia in termini di minori o nulli carichi fiscali sia in termini di contributi pubblici. La presenza di INP riduce l’intervento diretto da parte dello Stato e quindi le agevolazioni fiscali vanno a compensare i costi che altrimenti lo Stato dovrebbe sostenere per la propria presenza diretta. - ORGANIZZAZIONE: deve realizzare buoni risultati di efficienza basati anche su alti livelli di motivazione del personale e deve tenere conto di due fattori: bisogna tenere alta la tensione rispetto all’efficienza, poiché negli INP mancano forti attese di produzione di risultati reddituali e bisogna garantire correttezza nei comportamenti al fine di salvaguardare l’immagine di affidabilità; se l’immagine dell’INP si degrada, il fund raising diventa problematico. - RILEVAZIONE: sono più complesse rispetto a quelle delle imprese in quando devono rappresentare anche la dimensione sociale degli obiettivi e dei risultati raggiunti e rafforzare l’affidabilità e l’accountability dell’istituto. 3.6. RELAZIONI ECONOMICHE TRA ISTITUTI: LO SCAMBIO Le aziende in quanto ordine economico di istituti sono tra loro legate da molteplici relazioni di varia natura. L’ambiente economico nel quale un’azienda opera è in larga parte definito dall’insieme delle aziende con cui essa interagisce e delle relazioni che si instaurano. Tra tutte le classi di aziende si da una generale relazione di complementarietà per il comune concorso all’attuazione dei complessivi processi economici di produzione e consumo (necessaria a realizzare il bene comune). Le relazioni tra insiemi di aziende sono poi determinate della partecipazione contemporanea di ciascuna persona alle aziende di più istituti. Le aziende si riuniscono in aggregati variamente formalizzati (varie relazioni interaziendali). Lo scambio origina vaste classi di relazioni interaziendali, permette di effettuare trasferimenti di beni privati a titolo oneroso e origina relazioni di credito, di prestito e di assicurazione. Forme differenti di scambio sono le negoziazioni istituzionali comprendenti i trasferimenti di capitale di rischio, di lavoro e di beni pubblici, dei trasferimenti di beni privati a titolo non oneroso e dei trasferimenti impliciti. Lo scambio monetario caratterizza le economie di mercato fondate sulla specializzazione economica e sula proprietà privata e pubblica (il suo corrispettivo è moneta o credito monetario). Gli scambi vengono attuati tra aziende e fanno parte delle combinazioni economiche delle stesse. Il prezzo è il valore monetario attribuito a alle condizioni di produzione e di consumo acquisite da un’azienda compratrice da una venditrice: si parla di prezzo unitario se si considera l’unità di misura delle condizioni di produzione e di consumo acquistate (prezzo-costo o prezzo-ricavo), mentre si parla di prezzo complessivo se si considera la quantità di moneta. I valori numerari sono tutti i valori d’azienda che esprimono strumenti di regolamento degli scambi, mezzi cioè che caratteristicamente sorgono per la funzione tipica della moneta, assumono appunto l’attributo numerario (crediti o debiti di regolamento, disponibilità di cassa). I valori non numerari sono tutti i valori che, al contrario, non ineriscono a strumenti di regolamento (costi e ricavi, crediti o debiti di prestito). Le operazioni di scambio originano varie forme di credito, ovvero quando le prestazioni fondamentali dell’azienda compratrice e dell’azienda venditrice non sono eseguite contestualmente (se la prestazione differita ha per oggetto un bene = credito in natura, se ha per oggetto il pagamento della quantità di moneta corrispondente a un prezzo = credito monetario).
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Quando il credito monetario è mezzo temporaneo di regolamento dello scambio si dice credito di regolamento (v.n.), si parla invece di credito di prestito quando sorge come corrispettivo della disponibilità di una data quantità di moneta per un certo periodo di tempo (v.n.n.).
GLI ASSETTI ISTITUZIONALI 4.1. UN MODELLO GENERALE Secondo uno schema di analisi generale ogni istituto è visto come un insieme di soggetti, che offrono contributi, e che per tale motivo ricevono ricompense o traggono benefici: tali soggetti configurano i portatori di interessi. L’analisi dell’assetto istituzionale è importante per valutare la capacità di un istituto di perdurare nel tempo. Per la vita duratura di un istituto è essenziale che si abbia un governo unitario, ovvero deve rispettare due condizioni: i contributi di tutti i soggetti devono essere combinati secondo un disegno unitario (che assicuri la complementarietà delle risorse e dei comportamenti, e l’efficace perseguimento del bene comune) e la responsabilità delle decisioni ultime deve essere attribuita ad uno ed un solo organo, secondo un principio di unità di comando. Per realizzare un efficace governo di un istituto occorre operare tre insiemi di scelte fondamentali: - occorre decidere il soggetto d’istituto, ovvero a quali insiemi di soggetti assegnare il diritto e il dovere di governare, direttamente o tramite propri rappresentanti. - occorre esplicitare i fini istituzionali, ovvero a quali finalità e obiettivi debba ispirarsi l’azione del soggetto d’istituto. - occorre configurare la struttura di governo, ovvero gli organi e i meccanismi di governo che consentano un’efficace azione dei soggetti deputati a governare. L’assetto istituzionale è la configurazione dei portatori di interessi nei confronti dell’istituto, dei contributi che tali soggetti forniscono all’azienda, delle ricompense e dei benefici che ne ottengono, del soggetto d’istituto, dei fini istituzionali e delle strutture di governo che regolano in equilibrio dinamico di lungo periodo, le relazioni tra i portatori di interessi, i contributi e le ricompense. Questo è l’elemento sovraordinato della struttura dell’azienda. 4.2. I SISTEMI DI INTERESSI CONVERGENTI NEGLI ISTITUTI 4.2.1. SCHEMA GENERALE Bisogna innanzitutto individuare i portatori di interessi e individuare i rapporti che ciascuna categoria instaura con l’istituto. - attorno a ciascun istituto si configura sempre una vasta gamma di interessi di varia natura: interessi economici, sociali, morali. - i vari insiemi di interessi sono parzialmente in competizione tra di loro. - i contributi provenienti dai vari soggetti sono complementari, ma si possono manifestare anche parziali fungibilità. - le condizioni di scambio non sono sempre simmetriche, in alcuni casi si ha una strutturale asimmetria tra ciò che il soggetto da e ciò che il soggetto riceve.
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- le varie relazioni sono caratterizzate dai rapporti di forza contrattuale che dipendono dal grado di concentrazione della domanda e dell’offerta, dagli investimenti specifici eventualmente in atto, dall’asimmetria informativa tra le parti. - molte delle attese dei soggetti in gioco sono implicite e non dichiarate, ma sottintese ai valori e alle consuetudini in essere.
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4.2.2. SISTEMA DI INTERESSI CONVERGENTI NELL’IMPRESA - prestatori di lavoro: conferiscono il loro lavoro qualificabile in termini di tempo, competenze, impegno, imprenditorialità, creatività e risultati. In cambio si aspettano dall’impresa una rimunerazione periodica, stabilità, prospettive di carriera e buone condizioni di lavoro. L’impresa si aspetta lealtà, obbedienza, impegno, disponibilità e rispetto delle leggi. I contratti assicurano al lavoratore ampi diritti e tutela, ma allo stesso tempo è possibile che possa perdere il posto, la loro retribuzione è legata al contenuto della mansione svolta, che può variare nel tempo. I rapporti di lavoro sono regolati da vari insiemi di norme di leggi, regolamenti, contratti aziendali, contratti collettivi e contratti individuali; tali contratti regolano numerosi aspetti del rapporto di lavoro, definendo gli standard minimi di riferimento e le integrazioni particolari. - conferenti di capitale di rischio: conferiscono mezzi monetari a titolo di capitale proprio soggetto al rischio generale di impresa. Essi hanno diritto agli utili prodotti dall’impresa e possono cedere liberamente i loro diritti vendendo le proprie quote del capitale di rischio (guadagno in conto capitale); se l’impresa cessa l’attività ciascuno di loro ha diritto a una quota del patrimonio che residua dopo aver soddisfatto tutti gli obblighi nei confronti delle altre parti (guadagno in conto capitale). Ovviamente la rimunerazione è incerta e può configurarsi anche sottoforma di perdita. Essi hanno anche il diritto-dovere di esercitare il governo economico dell’impresa. - fornitori: apportano all’impresa condizioni di produzione di varia natura secondo una pluralità di condizioni di scambio (qualità, prezzi, volumi, tempi). Le relazioni tra clienti e fornitori assumono caratteri particolari quando i rapporti di forza sono particolarmente sbilanciati in favore di una o dell’altra parte. - conferenti capitale di prestito: apportano mezzi monetari che sono messi a disposizione dell’impresa per un dato periodo di tempo a fronte dell’impegno di rimborso del capitale e del pagamento di interessi nella misura e nei tempi stabiliti. - imprese di assicurazione: coprono rischi particolari delle imprese clienti a fronte di premi. Il rapporto tra assicuratore e assicurato varia notevolmente in relazione al grado di prevedibilità dei sinistri. - clienti: acquistano i beni prodotti dall’impresa e gestiscono il loro rapporto secondo le molteplici condizioni di scambio. La numerosità, l’intensità e la stabilità dei rapporti con i clienti rappresenta parte fondamentale del patrimonio di tutte le imprese. - alleati istituzionali: sono imprese partner in aggregati quali i gruppi di imprese, i consorzi, le joint ventures. I flussi di contributi e di ricompense variano a seconda del tipo di alleanza. - concorrenti: sono le imprese che offrono prodotti analoghi a quelli di una certa impresa nello stesso mercato. - Stato: è legato alle imprese da molteplici relazioni che danno luogo a differenti insiemi di contributi, di ricompense e di attese. Lo Stato può essere sia produttore ed erogatore di beni pubblici. - collettività locali: instaurano relazioni particolarmente significative. 4.2.3. SISTEMA DI INTERESSI CONVERGENTI NELLA FAMIGLIA I primari portatori di interesse in una famiglia sono i membri della famiglia stessa. Per quanto riguarda le attese economiche, queste consistono nell’attuazione di consumi di beni privati e pubblici; il fine immediato dei consumi è direttamente connesso a quello del conseguimento di redditi di lavoro e di gestione patrimoniale atti a coprire i consumi e i tributi e tali da consentire un risparmio da destinare alla conservazione e all’incremento del patrimonio da reddito e da rivalutazione (formazione risparmio è indice di soddisfacimento dei bisogni economici). 4.2.4. SISTEMA DI INTERESSI CONVERGENTI NELLO STATO I primari portatori di attese nei confronti dello Stato sono i cittadini, che si aspettano di poter disporre di beni pubblici atti, per volume e qualità, a soddisfare i loro bisogni. Per contro lo Stato si aspetta che tutti i
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cittadini contribuiscano alla copertura dei costi di produzione dei beni pubblici attraverso il pagamento dei tributi. La gestione di questi sistemi da parte dello Stato è problematica perché: differenti categorie di cittadini hanno differenti attese non sempre compatibili, i vari servizi pubblici sono in competizione tra loro (risorse investite) e per la propensione dei cittadini all’evasione fiscale. Tra Stato e cittadini si instaurano importanti relazioni economiche per ciò che riguarda il capitale di prestito; inoltre lo Stato impiega numerosi prestatori di lavoro. Un sistema di attese lega anche Stato ed entità parziali e locali in cui esso stesso si articola, e anche numerose organizzazioni politiche sopranazionali. Infine lo Stato può decidere di produrre beni privati attraverso imprese di cui detiene la totalità o la maggioranza del capitale di rischio. 4.2.5. SISTEMA DI INTERESSI CONVERGENTI NEGLI ISTITUTI NON-PROFIT Se l’istituto non-profit è impegnato nella valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale, fondatori e finanziatori sentono la necessità di tutelarne una determinata parte, conferendo mezzi monetari ed energie personali. Si aspettano che l’istituto riesca a compiere interventi importanti per la tutela di tale patrimonio e che questi risultino visibili e siano apprezzati. La collettività e lo Stato, in quanto fornitori di contributi, si aspettano che le risorse fornite siano utilizzate per le finalità dichiarate e con la massima trasparenza ed efficienza. 4.3. L’INTEGRAZIONE DEI CONTRIBUTI: IL SOGGETTO ECONOMICO 4.3.1. L’INTEGRAZIONE DINAMICA DEI CONTRIBUTI L’integrazione tra i diversi portatori di interessi, ovvero l’instaurazione di relazioni di relazioni di cooperazione tra tutti i soggetti, è condizione necessaria per garantire agli istituti una vita economica duratura. L’integrazione dinamica dei contributi è una condizione di economicità. La cooperazione, l’integrazione armonica dei soggetti, dei contributi e delle ricompense sono condizioni essenziali di efficienza. L’integrazione dinamica dei contributi dei vari soggetti si caratterizza per alcuni vantaggi: - bassi costi di transazione con i soggetti esterni - bassi costi di coordinamento interno - bassi prezzi-costo degli input - migliore qualità, personalizzazione e flessibilità degli input - elevato impegno di tutti i soggetti - maggiore soddisfazione dei bisogni di socialità - processi di apprendimento collettivo L’integrazione tra i soggetti presenta anche ostacoli: - obiettivi differenti in merito alla combinazione ottimale di risorse, competenze e attività - i soggetti sono in competizione per ottenere le rimunerazioni; - l’adesione dei soggetti al disegno complessivo è subordinata alle condizioni di informazione incompleta e incertezza - molti dei risultati ottenuti sono frutto di un lavoro congiunto, per cui è difficile decidere a chi attribuire i risultati residuali - i vari soggetti hanno diverse propensioni al rischio Perciò, per cercare di realizzare l’obiettivo dell’integrazione si agisce su vari insiemi di leve: - definizione degli organi massimi di governo - definizione dei soggetti cui attribuire i risultati residuali (sia positivi che negativi)
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- progettazione attenta dell’assetto organizzativo (definire e condividere fini, strategie e politiche d’istituto, progettare la struttura organizzativa, mettere in atto un sistema retributivo, favorire la socializzazione) - messa in atto di meccanismi di integrazione con soggetti esterni (contratti, sistemi di comunicazione e di controllo, stipulazione di alleanze). Tutto ciò presupponendo l’analisi dei potenziali contributi e delle attese di tutti i soggetti messi a confronto con le alternative strategiche dell’istituto e la formulazione di strategie integrate che configurano le soluzioni più sinergiche di soggetti contributi e ricompense.
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4.3.2. IL SOGGETTO D’ISTITUTO, IL SOGGETTO ECONOMICO E I FINI ISTITUZIONALI Le scelte che definiscono l’assetto di istituto sono: l’identificazione del soggetto d’istituto e la definizione dell’assetto di governo. In linea di principio, tutti i portatori di interessi dovrebbero partecipare al governo dell’istituto, tuttavia ciò determinerebbe elevati costi di governo e complessità organizzativa, qualità e tempi delle decisioni inadeguati alla vita dell’istituto e il mancato riconoscimento della maggiore criticità di alcuni contributi. Per tale motivo, una o poche categorie di portatori di interessi partecipano direttamente al governo di istituto, andando a formare il soggetto di istituto, mentre le altre categorie partecipano attraverso meccanismi indiretti di rappresentanza o di controllo. Al soggetto d’istituto fanno capo due insiemi fondamentali di diritti-doveri: il diritto-dovere di governare, ossia di guidare l’istituto e di prendere le decisioni ultime e il diritto di godere di risultati residuali positivi o di farsi carico degli eventuali risultati residuali negativi. Il soggetto di istituto è quindi colui che decide e che si assume il rischio generale connesso all’attività dell’istituto. Egli deve essere scelto in modo tale da massimizzare la probabilità che l’istituto perduri nel tempo in condizioni di autonomia. a. per la famiglia il soggetto di istituto è sempre l’insieme di tutti i membri della famiglia stessa. b. per le imprese il soggetto di istituto sono i conferenti capitale di rischio e dei prestatori di lavoro. c. per lo Stato il soggetto di istituto è l’insieme di tutti i cittadini più i prestatori di lavoro d. per le imprese non-profit il soggetto di istituto è l’insieme degli associati e dai soggetti che forniscono contributi all’istituto. I fini istituzionali coincidono con le attese primarie delle persone che compongono il soggetto d’istituto; si denominano anche interessi istituzionali, mentre gli interessi degli altri soggetti sono interessi non istituzionali. In tutti gli istituti convergono interessi sia economici sia non economici, si configurano pertanto quattro classi di interessi convergenti negli istituti: - interessi istituzionali economici - interessi istituzionali non economici - interessi non istituzionali economici - interessi non istituzionali non economici L’insieme dei portatori di interessi istituzionali (economici e non) forma il soggetto d’istituto, mentre l’insieme dei portatori di interessi istituzionali economici forma il soggetto economico. 4.3.3. LE PREROGATIVE, I PRINCIPI E LE STRUTTURE DI GOVERNO ECONOMICO Il soggetto economico (che di regola coincide con il soggetto d’istituto) esercita le prerogative di governo economico (parte del governo d’istituto), che essenzialmente consistono nel diritto-dovere di: - fissare gli obiettivi, le strategie e le politiche dell’istituto - scegliere i soggetti che contribuiranno alla vita economica dell’istituto e stipulare con questi patti e contratti - progettare e mettere in atto le strutture di governo e di controllo - sorvegliare il funzionamento dell’istituto Quando il soggetto di istituto e il soggetto economico sono formati da molte persone, si rende necessario configurare strutture e meccanismi che rappresentino adeguatamente tutti gli interessi e diano luogo a
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processi decisionali efficienti. Nell’ipotesi che il soggetto economico coincida con una sola categoria di portatori di interessi si avrà una struttura di governo economico basata essenzialmente su tre organi: - un’assemblea dei membri del soggetto economico, quale organo supremo di indirizzo generale e di nomina sia dei membri dell’organo decisionale di governo economico, sia dell’organo di controllo; - un organo decisionale di governo economico, composto da una o poche persone con specifiche competenze tecniche e manageriali che configura e indirizza l’attività della struttura organizzativa; - un organo di controllo che verifica l’operato dell’organo decisionale. Il governo economico deve ispirarsi ad alcuni principi generali tra cui vi sono: - il principio di economicità (o vita duratura economica), ossia la capacità dell’istituto di svolgersi in autonomia economica, senza il ricorso sistematico a coperture di perdite da parte di altre economie. - il principio del contemperamento degli interessi, ossia l’adozione di strutture e processi, e soprattutto di atteggiamenti e comportamenti, ispirati alla logica della partecipazione e del confronto. 4.4. GLI ASSETTI DI GOVERNO DEGLI ISTITUTI 4.4.1. L’ASSETTO DI GOVERNO DELLE FAMIGLIE Sono membri del soggetto d’istituto della famiglia (che equivale al soggetto economico) tutte le persone che la compongono. Gli interessi economici di persone di altre famiglie (con rapporti di parentela) devono considerarsi non istituzionali, a meno che non si configuri un gruppo economico di aziende familiari. Il governo economico dell’azienda familiare comporta un articolato insieme di decisioni complesse poiché implicano significati non solo economici (ripartizione del lavoro tra soggetti, lavoro interno e esterno, livelli di consumo e di risparmio, modalità di impiego del risparmio, eredità e donazioni). Le prerogative di governo economico spettano a tutte le persone della famiglia in funzione di età, esperienza e competenza, anche se spesso il governo economico è delegato al capofamiglia, mentre molte decisioni avvengono in forma collegiale. Non sempre il contemperamento degli interessi risulta agevole. 4.4.2. L’ASSETTO DI GOVERNO DELLE IMPRESE Differenti imprese richiedono differenti assetti di governo (una o più categorie di portatori di interessi), e differenti assetti di governo attribuiscono rilevanza a differenti categorie di portatori di interessi. Si prende come riferimento un’impresa nella quale il soggetto d’istituto ed il soggetto economico sono formati dall’insieme dei conferenti di capitale di rischio e dei prestatori di lavoro. Qualunque sia la scelta sulla struttura di governo, alcuni temi hanno svolgimento uniforme in tutte le imprese: - il fine immediato delle imprese è rappresentato dalla produzione di rimunerazioni e di altre connesse condizioni per i membri del soggetto economico. - le prerogative di governo economico nelle imprese riguardano: le scelte di assetto istituzionale (organi di governo e loro struttura, scelte di fusioni, scorpori, concentrazioni, accordi, relazioni interaziendali), le scelte di configurazione delle combinazioni produttive (oggetto sociale, dimensione, diversificazione, integrazione, internazionalizzazione) e le scelte di assetto tecnico, assetto organizzativo e organismo personale. - il soggetto economico è unico e unitario. - il principio generale di governo è quello del contemperamento degli interessi, infatti chi governa l’impresa deve sempre tenere conto delle attese di tutti i portatori di interessi e deve ricercare soluzioni adeguate. Nella realtà accade spesso che, l’insieme delle persone che dovrebbero esercitare il governo economico (il soggetto economico), non coincida con l’insieme di persone che, di fatto, esercitano il governo economico, si parla in questo caso di soggetto economico improprio. I casi più frequenti nelle imprese sono quando:
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- il governo è esercitato da insiemi di persone che non rappresentano l’intero soggetto economico, ma solo una parte di esso (azionisti di controllo trascurando quelli di minoranza); - il governo è esercitato da insiemi di persone che non fanno parte del soggetto economico (esponenti politici che vogliono interferire nelle strategie di un’impresa). 4.4.3. L’ASSETTO DI GOVERNO DELLO STATO Lo Stato si articola in complesse strutture di istituti pubblici, tra cui hanno particolare rilievo le articolazioni territoriali: Stato, regioni, province e comuni. L’ordine economico di tali istituti è definito azienda composta pubblica. Sono membri dell’istituto e portatori di interessi istituzionali tutti i cittadini membri dello Stato, sono membri del soggetto economico tutti i membri della collettività e coloro che prestano lavoro nelle aziende composte pubbliche. I fini economici istituzionali delle aziende composte pubbliche sono: il soddisfacimento dei bisogni pubblici di tutti i membri della collettività e la rimunerazione del lavoro dei prestatori di lavoro. Il governo economico si esercita in via indiretta per mezzo di organi collegiali i cui membri sono scelti tramite elezione (ruolo politico). La distinzione e l’integrazione di ruoli politici e ruoli economici si attua sia a livello di una struttura complessiva dell’amministrazione pubblica sia a livello di singoli istituti dell’amministrazione pubblica. 4.4.4. L’ASSETTO DI GOVERNO DEGLI ISTITUTI NON-PROFIT Negli istituti non-profit il soggetto d’istituto può far capo a tre categorie di soggetti: gli associati delle associazioni chiuse ed aperte, i donatori privati e pubblici e i prestatori di lavoro. Sono interessi istituzionali economici sia le attese di soddisfacimento dei bisogni comuni degli associati sia le attese di rimunerazione dei prestatori di lavoro non volontario, mentre sono interessi istituzionali non economici quelli dei donatori. In definitiva, negli istituti non-profit, l’insieme delle persone che compone il soggetto d’istituto può essere notevolmente diverso, ovvero molto più ampio, rispetto a quello che compone il soggetto economico.
L’ECONOMICITÀ 5.1. L’ECONOMICITÀ COME PRINCIPIO E OBIETTIVO 5.1.1. L’EQUILIBRIO ISTITUZIONALE E L’EQUILIBRIO ECONOMICO L’economicità o equilibrio economico di un istituto è una delle condizioni fondamentali dell’equilibrio istituzionale. Si ha equilibrio istituzionale quando tutti i membri del soggetto di istituto: - condividono i valori e gli obiettivi che ispirano la vita dell’istituto, le sue strutture, le modalità di governo e le logiche organizzative. - ricevono ricompense e benefici giudicati equi rispetto ai contributi forniti. L’equilibrio istituzionale è un equilibrio di lungo periodo ed è caratterizzato da: - durabilità: le persone che partecipano alla vita degli istituti si attendono che l’istituto perduri nel tempo e gli istituti nel tempo accumulano patrimoni di relazioni e di competenze che sono relativamente indipendenti dalle persone. - autonomia: la libertà di scegliere i propri fini e le proprie modalità di governo, senza sottostare alla volontà di altri istituti fatte salve le norme di legge e le gerarchie interaziendali concordate al momento della formazione di un aggregato interaziendale.
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Si ha equilibrio economico, ossia economicità, quando l’istituto nel suo insieme è in grado di attrarre risorse sufficienti per remunerare tutte le condizioni di produzione e di consumo utilizzate per svolgere le proprie combinazioni economiche (operare senza produrre perdite). L’equilibrio istituzionale e l’equilibrio economico sono interconnessi, ma non sincroni. In quanto condizione di vita degli istituti di ogni ordine, l’economicità è contemporaneamente un principio e un obiettivo fondamentale di buon governo degli istituti. 5.1.2. DURABILITÀ E AUTONOMIA I caratteri di durabilità e autonomia degli istituti si riflettono sul concetto di azienda e sull’economicità. L’azienda, ordine economico di istituto, deve svolgersi secondo condizioni di vita e di funzionamento tali da consentire di durare nel tempo in un ambiente mutevole. L’azienda, infatti, essendo rivolta a soddisfare le finalità economiche, strumentali per il perseguimento dei fini generali di istituto, le può considerare solo in un’ottica di lungo periodo. La continuità e lo sviluppo di un istituto hanno un valore non solo per i suoi membri attuali, ma anche per i suoi membri potenziali futuri e per la collettività generale. Per quanto riguarda l’autonomia, si verifica quando un’azienda non ricorre sistematicamente a interventi di sostegno o di copertura delle perdite da parte di altri istituti. Le coperture di perdite e gli interventi di sostegno realizzati anche per via indiretta (esenzione fiscale, manovre di debito pubblico, protezioni), sono tutte soluzioni precarie, provvisorie. 5.1.3. I FINI E LE CONDIZIONI DI SVOLGIMENTO DELLE AZIENDE Il principio di economicità si declina in due forme complementari: a. come perseguimento di fini economici istituzionali: - imprese: rimunerazioni monetarie e di altra specie per i prestatori di lavoro e per i conferenti di capitale di rischio. - famiglie: appagamento dei bisogni delle persone che le compongono. - Stato: appagamento dei bisogni di beni pubblici dei cittadini e remunerazione dei prestatori di lavoro. - istituti non-profit: appagamento dei bisogni di varie categorie di associati e fruitori e remunerazione dei prestatori di lavoro. b. come rispetto simultaneo di un insieme di condizioni di svolgimento dell’attività economica: nelle imprese tale principio si declina in quattro condizioni fondamentali da rispettare: l’equilibrio reddituale, l’efficienza e la flessibilità, la congruità delle remunerazioni e l’equilibrio monetario. 5.2. L’ECONOMICITÀ DELLE IMPRESE 5.2.1. L’EQUILIBRIO REDDITUALE Nell’azienda di produzione si svolgono una serie di accadimenti, tra i quali hanno particolare rilievo quelli di scambio con terze economie; da questi scaturiscono, infatti, componenti positivi e componenti negativi di reddito connessi rispettivamente al collocamento nel mercato dei beni e all’acquisizione di fattori produttivi. L’equilibrio reddituale è l’equilibrio tra componenti positivi e negativi di reddito, ovvero esprime l’attitudine della gestione di rimunerare, con i componenti positivi di reddito, alle condizioni di mercato, tutti i fattori produttivi compresi il capitale di prestito e il capitale di rischio. Esso deve essere valutato in funzione: - del tempo di riferimento: si può parlare di breve o di lungo periodo. - dell’oggetto di riferimento: se si considera un’azienda si parla di equilibrio aziendale, mentre se si considera un gruppo aziendale si parla di equilibrio superaziendale. 5.2.2. L’EFFICIENZA, LE RENDITE MONOPOLISTICHE E LE ECONOMIE ESTERNE, LA FLESSIBILITÀ
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Una seconda condizione da rispettare simultaneamente all’equilibrio reddituale è il mantenimento di un livello accettabile di efficienza, espressa in termini di rendimento fisico-tecnico dei processi produttivi. Solo in condizioni particolari e temporanee le inefficienze possono essere trasferite all’esterno, senza danneggiare l’equilibrio reddituale dell’azienda (monopolio, monopsonio, realizzazione di economie esterne scaricando oneri sulla collettività), ma penalizzando altre aziende. In generale, per efficienza s’intende la relazione che intercorre tra risultati conseguiti e mezzi impiegati e viene riferito a sfere operative diverse, dalla combinazione aziendale, ai processi di produzione o a quelli commerciali o amministrativi. Una particolare espressione dell’efficienza sono i rendimenti fisico-tecnici (relazioni tra volumi e qualità ottenute e volumi e qualità delle condizioni produttive impiegate). L’efficienza si persegue anche cercando l’innovazione dei processi, solo così si riesce a rimanere nel mercato. L’azienda in economicità è quella che ricerca anche flessibilità, ossia la predisposizione di strutture e di combinazioni produttive efficienti e in grado di adeguarsi prontamente all’ambiente. 5.2.3. LA CONGRUITÀ DELLE RIMUNERAZIONI Una terza condizione da perseguire è la congruità dei prezzi-costi sostenuti e dei prezzi-ricavi conseguiti e, in particolare, congruità delle rimunerazioni del capitale-risparmio e del lavoro. In aziende in cui tale congruità non viene rispettata, l’economicità aziendale viene perseguita grazie anche al concorso e a scapito di altre aziende familiari o di altre aziende di produzione. Il giudizio di adeguatezza o di congruità dei prezzi-costo e dei prezzi-ricavo comporta un esame delle condizioni di ambiente che caratterizzano i diversi mercati in cui le imprese operano. 5.2.4. L’EQUILIBRIO MONETARIO Una quarta condizione da soddisfare contemporaneamente alle altre tre, affinché l’azienda possa svolgersi in condizioni di economicità, è il conseguimento dell’equilibrio monetario, ossia alla capacità di far fronte agli impegni di pagamento. La diversa manifestazione temporale di costi e ricavi e dei relativi flussi monetari si traduce in fabbisogno finanziario; il compito della gestione finanziaria è ricercare la copertura di tale fabbisogno, raccogliendo mezzi finanziari con vincolo di credito sufficiente a garantire lo svolgimento dell’azienda. La gestione finanziaria gioca così da cuscinetto tra la dinamica reddituale e la dinamica monetaria, compensando i periodi in cui si determinano squilibri monetari con quelli in cui si manifestano eccedenze di cassa. N.B. i giudizi di economicità sono complessi non solo per le numerose condizioni che devono essere rispettate simultaneamente, ma anche perché essi sono incerti e rischiosi dal momento che investono il futuro svolgersi delle operazioni. In un ambiente dinamico e mutevole, la dimensione di rischio, intesa come volatilità dei flussi reddituali, è di grande importanza. 5.2.5. LA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO Il principio di economicità non si identifica con il criterio della massimizzazione del profitto: il principio di economicità non si identifica con un criterio massimizzante, limitato e rivolto esclusivamente a una classe di soggetti, ovvero i conferenti di capitale proprio. Esso, infatti, si traduce nel rispetto simultaneo delle condizioni favorevoli al durevole mantenimento e allo sviluppo dell’azienda, intesa come mezzo per conseguire i complessi fini di istituto. 5.3. L’ECONOMICITÀ DELLE FAMIGLIE
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Nella azienda familiare, l’economicità viene conseguita se la produzione di redditi da lavoro e da gestione patrimoniale (al netto dei tributi da corrispondere allo Stato) consente i consumi in misura adeguata alla posizione sociale e al progresso del tenore di vita della famiglia. Questa produzione di redditi dovrebbe anche generare un risparmio in grado di alimentare un conveniente patrimonio. L’equilibrio monetario può giocare un ruolo importante, anche se si risolve molto spesso con la creazione di un fondo di mezzi liquidi sufficiente a fronteggiare le uscite monetarie concentrate in dati periodi dell’anno. 5.4. L’ECONOMICITÀ DELLO STATO E DEGLI ISTITUTI PUBBLICI Nello Stato e negli istituti della pubblica amministrazione si ha economicità se si realizzano i fini e si rispettano le condizioni seguenti: - la produzione e il consumo di beni pubblici soddisfacenti per il funzionamento e lo sviluppo sociale ed economico di una collettività. - la corresponsione di rimunerazioni “adeguate” ai collaboratori e ai finanziatori. - l’elevata efficienza delle combinazioni economiche realizzata mediante l’adozione di tecniche progredite di gestione, di organizzazione e di rilevazione. - l’imposizione di tributi che siano ripartiti secondo criteri di equità condivisi dalla collettività. - l’attuazione di una gestione patrimoniale che produca redditi convenienti. - la realizzazione di un risultato sintetico di risparmio o di un disavanzo contenuto. 5.5. L’ECONOMICITÀ DEGLI ISTITUTI NON-PROFIT In molte classi di istituti non-profit solo una parte limitata dei costi è coperta da ricavi provenienti da cessione di beni a terzi; l’equilibrio reddituale si realizza facendo conto su elargizioni volontarie, donazioni o lasciti provenienti prevalentemente da soggetti privati ma anche da enti pubblici. Lo snodo critico in materia è rappresentato dalla stabilità nel tempo di tali flussi di contributi: il difficile equilibrio reddituale rende fragile anche l’equilibrio monetario e l’insieme di queste condizioni mette a repentaglio la vita dell’istituto o la sua autonomia. In particolare, ogni crisi reddituale o monetaria può diventare l’occasione per il formarsi di soggetti economici impropri o per l’alterarsi della natura privatistica dell’istituto non-profit. In molti istituti non-profit si presentano problematiche complesse con riguardo alla valutazione dell’efficienza e alla valutazione del grado di soddisfazione degli utenti. Il divieto di distribuire i risultati reddituali riduce la tensione alla minimizzazione dei costi (quando l’istituto è governato da persone che non sono allo stesso tempo i finanziatori o gli utenti). Gli istituti non-profit mostrano una notevole inerzia nel rispondere alla crescente domanda di beni da loro offerti: ciò si spiega, oltre che per la mancanza di incentivi connessi al profitto, per le difficoltà strutturali nella raccolta di risorse finanziarie. La ricerca di nuove donazioni da parte di un istituto non-profit equivale a una campagna di promozione del proprio prodotto. 9.1. IL SISTEMA DI SCELTE E LA STRUTTURA DELLE AZIENDE 9.1.1. L’AZIENZA COME SISTEMA DECISIONALE L’azienda può essere osservata come un sistema decisionale (quali decisioni vengono prese, da chi, quali tempi e sequenze, quali logiche e procedure). L’esigenza di decidere è dettata dal continuo dinamismo interno ed esterno all’impresa; infatti condizioni sempre nuove mettono in crisi o in discussione gli equilibri in atto al suo interno, perciò i tempi di decisione e il contenuto più o meno originale ne qualificano i processi decisionali.
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Le decisioni in campo economico: - sono sempre soggette al vincolo di scarsità delle risorse (l’innovazione rimuove questo vincolo infatti una nuova idea può produrre o migliori risultati a parità di risorse o pari risultati con minor risorse); - impongono attente e rigorose analisi di convenienza economica comparata che possono essere svolte ricorrendo a modelli di analisi economica per le decisioni; - si svolgono in condizioni di incertezza e, dunque, comportano rischi (l’innovazione può produrre sia vantaggi che danni); - si svolgono in condizioni di razionalità limitata, anche se sono intenzionalmente razionali, inoltre sono soggetti a rischi di ritualizzazione; - producono conseguenze più o meno ampie e stabili sulle condizioni di futuro svolgimento dell’impresa. L’impresa si ispira a due principi: compiere scelte decise ma che consentano adeguati gradi di flessibilità e rinnovare le basi per il futuro sviluppo. 9.1.2. LA STRUTTURA DELL’AZIENDA COME FRUTTO DI SCELTE AZIENDALI Il sistema di governo strategico delle imprese da un lato determina i componenti del reddito di esercizio (performance corrente dell’azienda), dall’altro determina la struttura dell’azienda (configurazione delle variabili fondamentali che sono le basi per la performance futura dell’azienda e che la compongono). È articolato in grandi classi di scelte di: - configurazione del sistema prodotto: attraverso cui ci si presenta nei mercati per sollecitare la domanda e per far fronte alla concorrenza. - dimensionamento della capacità produttiva - estensione interfunzionale ed estensione verticale: l’azienda decide quali attività svolgere al proprio interno e quali invece far svolgere ad altri soggetti. - estensione orizzontale: l’azienda decide se attivare una o più combinazioni economiche parziali. - gestione patrimoniale, gestione finanziaria e gestione tributaria - formazione e sviluppo del patrimonio: riguardanti il patrimonio materiale e immateriale dell’azienda e la sua configurazione fisica e spaziale. - relative all’assetto organizzativo e all’organismo personale - assetto istituzionale La struttura dell’azienda si compone di 5 macrovariabili tra loro interconnesse e immerse nell’ambiente: - assetto istituzionale: è la configurazione generale delle relazioni con le varie classi di portatori di interessi, si scelgono i vari insiemi di soggetti chiamati a comporre l’istituto e a interagire con esso. Comprende inoltre la distribuzione dei diritti di proprietà e la forma giuridica, la partecipazione ad aggregati interaziendali e al loro governo e le strutture di governo e di controllo aziendali, la loro composizione e le modalità di funzionamento. - configurazione delle combinazioni economiche: è l’assetto complessivo delle attività svolte dall’azienda attraverso i suoi membri o prestatori di lavoro (sistemi di prodotto, dimensioni delle capacità produttive, estensione verticale e orizzontale, il ruolo delle varie gestioni). - patrimonio: è formato dalle varie classi di condizioni produttive materiali e immateriali utilizzate dall’istituto per svolgere la propria attività economica (importante è al collocazione geografica). Queste devono essere oggetto di specifiche decisioni o indirizzi strategici. - organismo personale: è l’insieme delle persone che prestano il loro lavoro nell’istituto. Comprende la dimensione e l’articolazione del personale, le variabili individuali (valori, bisogni) le variabili sociali (cultura, clima organizzativo). - assetto organizzativo: definisce la struttura interna e le modalità di svolgimento dei processi aziendali. Risulta dalla configurazione della struttura organizzativa, della distribuzione del potere e dei sistemi operativi, ciascuna delle quali frutto di complesse decisioni aziendali.
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Queste macrovariabili sono collegate tra loro da forti relazioni di complementarietà e interdipendenza (coerenza interna): - ogni configurazione complessiva ha una propria coerenza interna; - la variazione di una macrovariabile produce effetti sulle altre componenti del modello; - ogni intervento di riprogettazione di una macrovariabile può richiedere adattamenti nelle altre componenti per assicurare nuova coerenza. Inoltre le cinque macrovariabili sono fortemente influenzate dall’ambiente nel quale l’azienda opera (coerenza esterna). 9.1.3. L’UNITARIETÀ DEGLI ISTITUTI E DEL LORO GOVERNO Ogni istituto è una realtà unitaria e unitario deve essere il suo governo economico (principio della unitarietà del governo economico) e tutte le sue decisioni devono far parte di un disegno unitario e coerente. L’unitarietà del governo economico è realizzata con la formulazione e la realizzazione di una strategia aziendale (unifica le politiche delle singole aree funzionali e collega le competenze distintive dell’impresa con le caratteristiche del suo ambiente di riferimento). La strategia aziendale si compone di due elementi fondamentali: - l’orientamento strategico di fondo (OSF): è l’insieme di idee-guida, di valori e di atteggiamenti che definiscono l’identità, effettiva o ricercata, dell’impresa e che riguardano che cosa questa fa, perché lo fa e come lo fa. - gli indirizzi strategici in cui l’OSF si concretizza: sono rappresentati da scelte strategiche che definiscono in quali arene competitive l’azienda intende operare e in che modo intende affrontare la concorrenza, come intende gestire gli attori istituzionali, quali decisioni strategiche prenderà a livello finanziario, tecnologico, di marketing… 9.1.4. L’UNITARIETÀ DELLE COMBINAZIONI ECONOMICHE I caratteri di unitarietà delle combinazioni economiche sono: - complementarietà: è il fattore di unitarietà più diffuso e si manifesta tra i fattori produttivi e tra gli insiemi di operazioni. Queste relazioni devono essere gestite in modo tale da garantire che i vari elementi comlementari si presentino nei tempi, nei volumi e nelle quantità adeguate ad attuare le combinazioni economiche dell’istituto. - fungibilità: si manifesta tra differenti fattori produttivi e differenti classi di operazioni. - comunanza: uno stesso fattore di produzione o un insieme di operazioni può concorrere ad ottenere più risultati. Alle risorse e ai processi comuni corripondono costi comuni da attribuire per quote ai risultati a cui contribuiscono. - congiunzione: quando da uno stesso processo produttivo escono contemporaneamente e necessariamente più risultati, detti risultati congiunti. - uniformità: si parla di uniformità dei fattori di produzione, dei processi produttivi e dei prodotti. Si manifesta nei fenomeni di: a. standardizzazione: è l’elemento più evidente della produzione di massa e lo snodo principale del passaggio dalle produzioni artigianali a quelle industriali. b. uniformazione: quando la standardizzazione non riguarda più una singola azienda, ma tutte le aziende che adottano quindi standard comuni per svolgere certe attività. c. modularità: è la progettazione di componenti (moduli) che possono concorre alla produzione di differenti prodotti complessi. - interdipendenza: si verifica tra le unità che compongono l’azienda (organi e persone). Analizza in termini organizzativi i precedenti caratteri di unitarietà delle combinazioni economiche. Tanto più forti sono questi caratteri, tanto più elevata sarà l’interdipendenza tra unità, ossia l’esigenza che ciascuna unità adatti i propri comportamenti a quelli delle altre unità.
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12.1. LE SCELTE DI ESTENSIONE DELLE COMBINAZIONI ECONOMICHE 12.1.1. DIMENSIONE SINGOLE PRODUZIONI E L’ESTENSIONE DELLE COMBINAZIONI ECONOMICHE L’estensione complessiva delle combinazioni economiche di un’impresa è determinata da un vasto insieme di scelte che riguardano: l’estensione interfunzionale, l’estensione orizzontale e l’estensione verticale. 12.1.2. L’ESTENSIONE INTERFUNZIONALE L’impresa deve decidere sia quante risorse investire in ciascuna funzione svolta oltre i livelli minimi imposti giuridicamente sia quali funzioni internalizzare, ovvero svolgere al suo interno, e quali invece esternalizzare, ovvero quali far svolgere ad altre imprese. Questo tipo di scelte si ispirano principalmente ai criteri di: - efficienza ed economicità di produzione: esternalizzando una certa attività il fornitore può sia realizzare economie di scala non possibili all’azienda sia permetterle di risparmiare. - costi di transazione: l’impresa internalizza le attività che, se esternalizzate, comporterebbero alti costi di transazione (attività dai contenuti e risultati scarsamente definibili e attività legate ad altre da interdipendenza). - criticità strategica: l’impresa internalizza le attività che costituiscono competenze distintive di rilevanza strategica e che devono quindi essere protette. 12.1.3. L’ESTENSIONE ORIZZONTALE Ogni impresa deve decidere in merito alla numerosità e alla disomogeneità delle aree strategiche di affari (ASA), ossia le combinazioni economiche parziali nelle quali vuole operare. In altri termini, deve scegliere il proprio grado di estensione orizzontale, o di diversificazione. Queste scelte dipendono da numerose valutazioni: - attitudine a generare o assorbire mezzi monetari: bisogna cercare di combinare ASA che assorbono risorse finanziarie con altre che invece ne generano (legate alla fase del ciclo di vita del business, al ciclo monetario, alle strategie e agli obiettivi di crescita), per non sbilanciare troppo la vita patrimoniale dell’impresa. - fase di ciclo di vita del prodotto: questo influenza la dinamica finanziaria, l’attrattività del settore in termini di tassi di sviluppo della domanda e le modalità competitive. Bisogna cercare di combinare ASA che si trovano in diverse fasi della vita di un prodotto per favorire uno sviluppo dimensionale graduale e continuo. - attrattività del mercato: dipende dalla configurazione del sistema competitivo e dalla fase di ciclo del ciclo di vita del prodotto. - posizione competitiva dell’impresa nell’ASA: la redditività si una ASA dipende anche dalla strategia competitiva perseguita, dalla quota di mercato e dal raggruppamento nel quale si è deciso di operare. - sinergie non finanziarie: possono essere materiali (condivisione della rete distributiva, della struttura commerciale) o immateriali (condivisione del marchio e dell’immagine aziendale). - attitudine a generare un know-how strategico: quando la gestione di una certa ASA consente di sviluppare conoscenze e tecnologie utili anche ad altre ASA all’interno dell’impresa. 12.1.4. L’ESTENSIONE VERTICALE La filiera produttiva è l’insieme di tutte le fasi e dei processi che parte dalla produzione delle materie prime fino ad arrivare alla vendita del prodotto finito. L’estensione verticale (o integrazione verticale) delle combinazioni economiche dell’impresa esprime il numero e la disomogeneità delle fasi della filiera produttiva volte al proprio interno. Le imprese possono decidere di integrarsi a monte (controllo materie prime) oppure di integrarsi a valle (controllo prodotto). Motivazioni all’integrazione:
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- maggior controllo sui mercati di approvvigionamento e di sbocco - creare delle barriere all’entrata ovvero ridurre l’accesso ai concorrenti a risorse strategiche - economizzare in termini di costi di transazione/ottimizzare le integrazioni tecnologiche - interiorizzare competenze e risorse strategiche - presenza di economie di scala e di apprendimento (spingono ad esternalizzare una lavorazione non strategicamente rilevante perché specializzandosi su un singolo settore si abbattono i costi di produzione). Freni all’integrazione verticale: - gli investimenti finanziari richiesti per aggiungere nuove combinazioni economiche - disomogeneità di dimensione minima economica e le conseguenti diseconomie di scala o di saturazione. - rigidità strategica e la concentrazione del rischio - creazione di barriere all’uscita (difficile e costoso uscire dal settore). 12.2. LE SCELTE DI DIVERSIFICAZIONE E LE ECONOMIE RAGGIO D’AZIONE 12.2.1. LE ECONOMIE RAGGIO D’AZIONE L’estensione dei confini dell’impresa ad attività diverse può essere fonte di vantaggi economici e competitivi. Le economie di raggio d’azione (o di scopo, o sinergie) sono i vantaggi economici che conseguono dall’ampliamento della varietà di beni prodotti, per esempio dalla produzione di due beni tra loro diversi ma che comportano una condivisione delle risorse impiegate nella loro produzione. Si hanno economie raggio d’azione (ERA) quando producendo unitariamente (produzione integrata) due o più beni diversi si realizzano vantaggi economici rispetto al caso della loro produzione disgiunta: Cnint < Σ Cndis
si misurano anche come: ERA = (Σ Cndis - Cnint)/ Σ Cndis Le strategie di ampliamento della gamma di prodotti e di servizi offerti sono dette strategie di diversificazione e indicano le combinazioni economiche che comprendono la realizzazione di prodotti diversi. Per poter ottenere un vantaggio bisogna che le diverse attività utilizzino risorse: - risorse materiali: presentano il vincolo della CP, è necessario quindi che esista capacità produttiva insatura e che l’introduzione di un nuovo output ne consenta uno sfruttamento migliore. - risorse immateriali: possono essere utilizzate potenzialmente all’infinito (marchio, know-how tecnologico, creatività), presentano però un vincolo di coerenza e spesso risiedono nelle persone. 12.2.2. FONTI DELLE ECONOMIE RAGGIO D’AZIONE Principalmente le economie raggio d’azione o di scopo sono dovute alla: - condivisione di elementi materiali della struttura produttiva (impianti ed attrezzature) - condivisione di elementi materiali della struttura di vendita (canali e reti distributive) - condivisione di risorse immateriali (know-how tecnologico sfruttabile per più ASA, marchi e immagine commerciale validi per più linee di prodotti e per più categorie di clienti prestigio, immagine istituzionale e potere contrattuale). 12.2.3. LE ECONOMIE RAGGIO D’AZIONE NEGLI AGGREGATI INTERAZIENDALI Le economie di scopo possono essere raggiunte anche attraverso accordi e alleanze tra imprese differenti ossia nell’ambito di aggregati interaziendali. Il vantaggio economico ottenibile rappresenta una potente fonte di aggregazione e accordi tra le imprese.
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12.3. LE SCELTE DI ESTERNALIZZAZIONE E INTERNALIZZAZIONE E LE ECONOMIE DI TRANSAZIONE 12.3.1. L’INTEGRAZIONE VERTICALE Un’importante categoria di scelte economiche riguarda le decisioni circa l’integrazione verticale dell’azienda, ovvero la scelta di quali attività svolgere all’interno dell’azienda e quali attività lasciare svolgere ad altri attori economici. Questo tipo di scelte è influenzato dai diversi tipi di economie e non solo, molti infatti sono gli elementi che entrano in gioco: le economie di scale, raggio d’azione e d’esperienza, le competenze e le capacità di cui le imprese dispongono, l’attrattività strategica dell’attività considerata, la disponibilità dei mezzi finanziari. Si prendono in considerazione, però, anche i costi che bisogna sostenere per effettuare transazioni esterne e i costi che bisogna sostenere per il coordinamento e per la gestione delle attività internalizzate (teoria dei costi di transazione). 12.3.2. I COSTI DI TRANSAZIONE L’uso del mercato comporta dei costi, le imprese esistono proprio perché consentono di diminuire il numero di contratti che occorre concludere per svolgere attività complesse e che richiedono lunghi tempi di svolgimento, riducendo i costi di uso del mercato. Una transazione si manifesta quando un bene o un servizio è trasferito attraverso un’interfaccia tecnologicamente separabile, una fase di attività termina e un’altra inizia. Si parla di transazioni esterne quando si fa riferimento agli scambi tra diversi attori economici giuridicamente distinti, queste comportano costi di transazione esterni. Si parla di transazioni interne quando si fa riferimento al passaggio fra attività tecnologicamente separabili svolte all’interno di una stessa impresa, queste comportano costi di transazione interni. Ma quali attività internalizzare e quali invece esternalizzare? Bisogna confrontare: costi di realizzazione interna + costi di coordinamento interno rispetto ai costi di acquisto + costi di transazione esterna oppure ai prezzi di vendita + costi di transazione esterna. I costi di realizzazione dipendono dalle economie di scala, dalle economie si saturazione della CP, dalle economie di esperienza e dalle economie raggio d’azione. I costi di acquisto e prezzi di vendita sono influenzati dai costi di realizzazione che gli attori esterni sostengono per svolgere determinate attività, inoltre sono influenzati sia dal costo che la controparte avrebbe se internalizzasse l’attività, sia dal potere contrattuale dei contraenti. Ma questo non basta per decidere se internalizzare o se esternalizzare, in quanto bisogna considerare i costi di coordinamento interno (rappresentati dai costi della funzione direttiva e di controllo e dai costi causati dalla minore efficacia e dall’inefficienza indotti da errori di coordinamento, dagli sprechi, da maggiori costi) e i costi della transazione esterna (i costi derivano dalla raccolta di informazioni sulla controparte, dalla negoziazione dei contratti, da assicurazioni verso comportamenti indesiderati, da disallineamenti fra le esigenze dei contraenti, da ulteriori costi di negoziazione). 12.3.3. LE DETERMINANTI DEI COSTI DI TRANSAZIONE I costi di transazione possono essere solo in minima parte espliciti e quelli più rilevanti possono essere impliciti e difficili da valutare. Gli elementi che incidono sui costi di transazione sono: - complessità informativa: se questa aumenta, il mercato diventa meno trasparente e aumenta il grado di incertezza riguardo alla transazione.
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- specificità delle risorse: quando uno o più contraenti in una transazione devono sostenere dei costi più o meno rilevanti per cambiare interlocutore. Possono essere legati alla specificità del luogo e alla specificità dei beni fisici e possono essere ridotti separando la proprietà dei beni dal loro utilizzo. - possibilità di comportamenti opportunistici o inadeguati
LE SCELTE DI CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA DI PRODOTTO E DELLA FORMULA COMPETITIVA
10.1. IL SISTEMA DI PRODOTTO E LA FORMULA COMPETITIVA Ciascuna impresa si presenta ai propri potenziali clienti offrendo uno o più sistemi di prodotto, ovvero un insieme unitario di beni e di condizioni di scambio avvinti a sistema da relazioni di interdipendenza, in particolare di complementarietà. Fanno parte del sistema di prodotto: le caratteriste materiali, le caratteristiche immateriali, la gamma, i servizi pre-vendita e post-vendita e le condizioni di scambio. Il sistema di prodotto è, da un lato, il complesso oggetto attraverso cui l’impresa ricerca il consenso del cliente, dall’altro è l’arma utilizzata per sfidare la concorrenza (ciascun elemento del SP diventa cruciale nel confronto competitivo perché può creare una combinazione efficiente o originale). Dalla progettazione del sistema di prodotto dipendono in larga misura i componenti negativi e positivi di reddito (importante per l’economicità dell’impresa), occorre perciò trovare una buona combinazione tra le variabili di cui si compone. Il modello della formula competitiva pone in relazione tre macrovariabili: il sistema di prodotto, il sistema competitivo e la struttura e le risorse aziendali. Il sistema competitivo è lo spazio abitato dai clienti e dai concorrenti con i quali l’impresa si confronta, il sistema di prodotto deve essere perciò attraente per i clienti e deve confrontarsi positivamente con la concorrenza. La struttura e le risorse aziendali sono l’insieme delle condizioni fisiche, patrimoniali, personali, relazionali e organizzative di cui l’impresa dispone per rispondere alle attese dei clienti e per fronteggiare le mosse dei concorrenti. Questo modello afferma che il successo di una strategia competitiva dipende dalla consonanza di queste tre macrovariabili. L’impresa deve comprendere quali sono le attese dei clienti soprattutto quelle decisive per le scelte di acquisto (fattori critici di successo) e qual è l’offerta dei concorrenti, deve configurare un SP che risponda alle attese dei clienti e che abbia dei vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti, deve sviluppare strutture e risorse che contengano delle competenze distintive in modo tale che difficilmente possano essere imitate e che il prodotto sia efficace. 10.2. IL SISTEMA COMPETITIVO E I FATTORI CRITICI DI SUCCESSO Le tre macrovariabili che compongono il modello della formula competitiva sono legate da una relazione di interdipendenza circolare. Per impostare efficacemente la strategia competitiva occorre costruire innanzitutto un inventario completo e chiaro sulle attese dei clienti attuali e potenziali e individuare poi quali sono le attese più critiche, ovvero i fattori critici di successo (FCS).
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I potenziali FCS possono essere diversi per differenti insiemi di clienti e per le varie classi di prodotti, bisogna quindi analizzare specificatamente i vari segmenti del mercato. Alcuni FCS sono: - la funzionalità tecnica continua e duratura dei prodotti; - l’economicità del prezzo di acquisto iniziale e dei successivi costi d’uso; - la flessibilità d’uso (svolgimento di più funzioni); - l’integrabilità e la compatibilità con altri beni complementari, la possibilità di personalizzazione; - il soddisfacimento di bisogni di prestigio, di status, di ostentazione, di identificazione; - l’appagamento di bisogni estetici; - l’appagamento dei bisogni di solidarietà e di salvaguardia dell’ambiente; - l’affidabilità, l’unicità e la responsabilità della controparte; - l’accessibilità, comparabilità e sperimentabilità del prodotto in fase di acquisto. I FCS possono essere collegati variamente agli elementi del sistema di prodotto, le aziende hanno a disposizione leve molteplici in parte complementari, in parte fungibili. I FCS possono differire anche profondamente e combinarsi diversamente a seconda del mercato e del settore di attività economica. I FCS si evolvono nel tempo, al mutare dei bisogni, del contesto sociale, delle strategie competitive poste in essere dalle aziende. Qualunque SP si può ritenere superiore alla concorrenza nel momento in cui il suo vantaggio competitivo è riconosciuto e accettato come tale dal mercato, è coerente con i suoi FCS. bisogna quindi conoscere bene il mercato di sbocco, i suoi confini e i clienti e le loro esigenze. 10.3. IL SISTEMA DI PRODOTTO E IL VANTAGGIO COMPETITIVO 10.3.1. LE VARIABILI COMPONENTI IL SISTEMA DI PRODOTTO Il sistema di prodotto si compone di 4 elementi: a. le caratteristiche materiali e la gamma dei beni offerti: le caratteristiche materiali si distinguono in attributi fisici (elementi immediatamente percepibili dal punto di vista sensoriale e statico), tecnico-funzionali (proprietà, tecnologiche e di lavorazione, che consentono al SP di svolgere determinate funzioni) e estetici (qualificano gli attributi fisici, soggettivi). In casi rari il SP riguarda un unico bene, spesso, infatti, le aziende approntano una gamma, ossia un determinato assortimento tra cui il cliente sceglie a seconda delle sue esigenze. Quando la gamma è articolata si possono definire sottosistemi o SP multipli. b. i servizi collegati ai beni offerti: sono essenzialmente i servizi pre-vendita e post-vendita, che vengono differenziati considerando i vari tipi di clienti (intermedi e finali). c. le caratteristiche immateriali: comprendono l’immagine, la reputazione e la marca. d. il prezzo e le altre condizioni contrattuali: in termini di sconti, modalità di pagamento. 10.3.2. IL VANTAGGIO COMPETITIVO: DIFFERENZIAZIONE E COSTO Il vantaggio competitivo è l’insieme degli elementi che distinguono il sistema di prodotto di una determinata azienda da quello dei concorrenti. Esistono due tipi fondamentali di vantaggio competitivo: a. il vantaggio di differenziazione: ovvero l’offerta di un SP diverso o migliore, rispetto a quello della concorrenza, in uno o più aspetti. Si realizza anche quando il SP possiede caratteristiche che gli altri sistemi concorrenti non hanno, o quando è unico. In ogni caso il vantaggio si può ritenere realizzato quando si traduce in un premio di prezzo, che deve mantenersi superiore ai costi. Molto spesso la differenziazione viene conseguita attraverso sforzi di innovazione (ciò può indurre altre aziende ad entrare nel settore, imitando o innovando).
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Il vantaggio di differenziazione può manifestarsi in: - eccellenza intrinseca dei materiali e delle lavorazioni - efficienza nei consumi (volumi e prezzi) degli input - alta meccanizzazione e automazione - robustezza, capacità di autodiagnosi, disponibilità di ricambi - modularità, versatilità, adattabilità - ampia gamma di beni fungibili e complementari offerti - ricchezza di documentazione e informazioni - reperibilità e facilità di prova - servizi pre-vendita e post-vendita - marche, marchi, insegne, griffes - contratti chiavi in mano - elevato contenuto moda - alto livello stilistico e artistico - contenuto etico, ecologico, salutistico - esclusività attuata mediante volumi limitati e vendita attraverso canali specializzati e selezionati. b. il vantaggio di costo: quando il sistema di prodotto si caratterizza, grazie a costi di produzione e distribuzione particolarmente bassi, per un prezzo inferiore a quello dei prodotti concorrenti. Il vantaggio di costo presuppone strutture produttive molto efficienti e grande attenzione alla riduzione dei costi, sottraendo valenze al SP e facendo in modo che il price discount si mantenga inferiore ai minori costi. Combinando il tipo di vantaggio competitivo e l’ampiezza del mercato di sbocco (sistema competitivo) si ottengono quattro strategie di base: a. strategie di leadership di costo: dove il leader domina un mercato ampio con i costi, e quindi i prezzi, più bassi di tutta la concorrenza, ed offre un SP singolo, non articolato (IKEA, H&M). b. strategie di differenziazione: possono essere perseguite anche da più aziende operanti in uno stesso mercato di ampie dimensioni, ciascuna con un sistema di prodotto, caratterizzato da elementi di originalità suoi propri, che può essere singolo (BMW) o multiplo (Algida). c. strategie di focalizzazione orientata ai bassi costi e alla differenziazione: le aziende che perseguono tali strategie dominano mercati di dimensioni ridotte, di cui spesso i competitori con un raggio d’azione ampio non riescono a soddisfare pienamente i bisogni. 10.4. LE STRUTTURE E LE RISORSE AZIENDALI: LE COMPETENZE DISTINTIVE Per poter offrire un SP con un vantaggio competitivo coerente con i fattori critici di successo del mercato di sbocco occorre poter disporre di strutture e di risorse adeguate. Le competenze distintive sono risorse peculiari di un’azienda, non facilmente imitabili e utili per configurare sistemi di prodotto particolarmente apprezzati dai clienti. Ne sono esempi: - speciali capacità di progettazione dei prodotti - strutture produttive particolarmente efficienti - elevata capacità di accumulo e di diffusione delle conoscenze - rapporti di fiducia e cooperazione con i clienti, con le reti distributive, con esperti di varie discipline - patrimonio di immagine e di reputazione, marche e marchi - estese strutture e archivi di documentazione - diffuse strutture logistiche per la distribuzione e la presentazione dei prodotti - qualificate competenze di istruzione dei clienti - affidabili strutture per l’assistenza pre-vendita e post-vendita - relazioni di fiducia e cooperazione con subcontractors e connesse capacità di project management. 11.1. STANDARDIZZAZIONE, UNIFORMAZIONE E MODULARIETÀ
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11.1.1. STANDARDIZZAZIONE E RIDUZIONE DEI COSTI I caratteri dell’impresa moderna sono la meccanizzazione dei processi, la parcellizzazione del lavoro, la standardizzazione dei processi, dei componenti e dei prodotti e le produzioni in grandissimi volumi. La standardizzazione è quindi uno dei pilastri dell’efficienza delle economie moderne, rende possibili e convenienti le produzioni di massa ed è la base per la realizzazione di economie di scala, economie di saturazione della capacità produttiva ed economie di apprendimento. Questa riguarda i prodotti, ossia la produzione di grandi volumi aventi caratteristiche identiche, i processi produttivi, che comportano una riduzione dei costi di produzione (una sola progettazione e beneficio dell’apprendimento) e le componenti. Quest’ultima permette da un lato di ridurre le tolleranze di fabbricazione dei vari componenti, per evitare aggiustamenti successivi, dall’altro di uniformare le varie componenti, ovvero usare lo stesso componente per realizzare prodotti differenti. I fenomeni della standardizzazione e dell’uniformazione sono rilevanti anche come fenomeni politici e sociali (tipica forma di regolamentazione in quanto facilitano la cooperazione e il coordinamento). Standard di fatto: anche i beni possono essere complementari tra loro, può verificarsi in questo caso un fenomeno per cui dei prodotti che diventano dominanti per effetto delle forze di mercato costringono tutti i produttori di beni complementari ad adeguarsi agli stessi. Quando i componenti assumono un elevato livello di complessità si chiamano moduli, compatibili e integrabili fra di loro. Modularizzare significa articolare un bene complesso in più sottoinsiemi, che anche se prodotti individualmente devono poi funzionare insieme. La progettazione dei moduli può essere compito della singola azienda o di un ente sovraordinato, responsabile dell’attività di uniformazione. Il progetto di un prodotto complesso modula rizzato si compone di parametri visibili e parametri nascosti. Vantaggi della modularizzazione: in fase di progettazione dei singoli moduli permette di procedere in parallelo, accorciando i tempi, mentre in fase di produzione i singoli moduli possono essere prodotti individualmente per poi essere assemblati; la complessità di entrambe le attività viene ridotta, si può produrre un’ampia gamma di prodotti tra loro diversi ma con componenti comuni. Svantaggi della modularizzazione: i prodotti uniformi non soddisfano le attese di varietà dei clienti, possono scatenare guerre di prezzi, gli standard normati e quelli di fatto riducono gli incentivi all’innovazione e rendono difficili strategie competitive basate sulla differenziazione dei prodotti. 11.1.2. BISOGNI DI STANDARDIZZAZIONE ESPRESSI DAL MERCATO ED ESTERNALITÀ DI RETE In molti casi i fenomeni di standardizzazione sono rilevanti non solo per la singola azienda che riduce i propri costi, ma anche per la generalità degli utenti che traggono vantaggio dal fatto che sul mercato siano presenti prodotti standardizzati e tra loro compatibili. Una manifestazione di questi vantaggi collettivi è data dalle esternalità di rete ovvero molti prodotti la cui utilità è legata al numero di altri utenti che utilizzano lo stesso bene (es. stessi strumenti di comunicazione) o beni complementari che per essere compatibili devono rispondere agli stessi standard (es. videoregistratori e videocassette) oppure per la presenza di una rete di assistenza su territorio. In presenza di forti esternalità di rete, le imprese competono per l’affermazione del proprio standard, quello che diventa dominante porta inevitabilmente tutti gli utenti e i concorrenti ad adeguarsi allo stesso.
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11.2. ECONOMIE DI SCALA E DI SATURAZIONE 11.2.1. LA CAPACITÀ PRODUTTIVA Per alcune attività la dimensione dell’azienda sembra essere determinante per poter operare economicamente in quel settore, mentre in altri contesti la dimensione non né determina il successo o la sopravvivenza. Bisogna capire quando e perché le grandi dimensioni sono necessarie a un’impresa per essere efficiente e competitiva. La capacità produttiva (CP) è il volume massimo di output ottenibile in un certo intervallo di tempo e date certe condizioni operative (si applica a tutte le attività d’azienda per qualunque settore). - capacità produttiva nominale: si intende il numero massimo di output che l’impresa è in grado di realizzare in un intervallo di tempo definito (senza soste). - capacità produttiva teorica: valore massimo dell’output ragionevolmente ottenibile (con soste, festività). La produzione effettiva è molto spesso inferiore alla CP teorica perché, ad esempio, il mercato non è in grado di assorbire tutta la produzione realizzabile dall’impresa. Si definisce perciò il grado di utilizzo della CP (in %) che è dato dal rapporto tra produzione effettiva e capacità produttiva teorica. A seconda dell’attività svolta dall’unità aziendale, la CP si misura in modo diverso, bisogna quindi definire l’unità di misura dell’output: - aziende di produzione di beni: numero di pezzi - società di consulenza: giornate / uomo - trasporto aereo: passeggeri x miglia Non basta strutturare la CP “della fabbrica”, ma è necessario coordinare e bilanciare le CP dell’azienda affinché la CP complessiva sia la sintesi delle diverse capacità produttive e si riducano gli sprechi. Bisogna inoltre evitare che si formino “colli di bottiglia”, questi si verificano quando un’unità aziendale ha una CP inferiore alle altre unità, per cui la CP complessiva ne risente. 11.2.2. ECONOMIE DI SCALA O DI DIMENSIONE Le economie di scala (EDS) sono le riduzioni di costi unitari che si ottengono installando (e utilizzando) capacità produttive maggiori, a parità di tasso di utilizzazione della capacità produttiva istallata. Quasi sempre quindi le dimensioni maggiori consentono costi unitari più bassi (talvolta le EDS sono decisive per poter stare sul mercato, altre volte sono poco rilevanti). Si misura confrontando i costi medi unitari di due diverse CP, ma con lo stesso grado di utilizzo: EDS = Cux - Cuy Il costo medio unitario si calcola dividendo i costi totali di produzione per la produzione effettiva: Cux = CT/Q 11.2.3. LE FONTI DELLE ECONOMIE DI SCALA Le fonti delle economie di scala sono le condizioni che rendono possibile l’ottenimento di vantaggi economici corrispondenti ad aumenti della CP e sono: - indivisibilità di alcuni componenti: alcuni fattori di produzione non possono essere ridotti come dimensioni e costi al di sotto di una scala minima anche se il livello di CP è basso, perciò se si aumenta la CP i costi ad essi relativi non aumentano. - maggiore produttività degli input per effetto della specializzazione: se si aumenta la CP è possibile aumentare la specializzazione delle risorse (umane e tecniche), e produrre così un vantaggio economico.
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- proprietà geometriche dei contenitori: per le condizioni di produzione del tipo contenitori si producono economie legate alle proprietà geometriche, infatti quando la CP è legata al volume il suo aumento si sviluppa con indicatori di potenza 3, mentre quando la CP è legata alla superficie quadrata si sviluppa con potenza 2. - maggior efficienza degli impianti di maggiori dimensioni: all’aumentare della potenza istallata alcuni impianti migliorano la propria efficienza. - minori costi unitari di acquisto: se aumenta la CP, l’impresa aumenta il volume di input acquistati e ottiene perciò migliori condizioni nei prezzi di acquisto, derivanti da una maggiore forza contrattuale. 11.2.4. ECONOMIE DI SATURAZIONE DELLA CAPACITÀ PRODUTTIVA I costi dell’azienda si dividono in costi fissi, quando non variano al variare dei volumi di produzione per un dato intervallo, e costi variabili, quando variano al variare dei volumi di produzione. Le economie di saturazione della capacità determinano riduzioni di costo medio unitario all’aumentare dello sfruttamento della capacità produttiva, e sono maggiori quanto maggiore è il peso dei costi fissi sul totale. Ciò significa che all’aumentare del grado di sfruttamento della capacità produttiva, il costo fisso è ripartito su un numero maggiore di output e questo determina una riduzione del costo medio unitario. N.B. impianti più grandi > economie di scala maggiori volumi di produzione (dato un certo impianto) > economie di saturazione 11.3. ECONOMIE DI APPRENDIMENTO 11.3.1. ECONOMIE DI APPRENDIMENTO Le economie di apprendimento (o di esperienza) sono le riduzioni di costo unitario e i miglioramenti della qualità dell’output prodotto, che per effetto dell’accumulo di esperienza, si realizzano ogni volta che si producono quantità addizionali di beni. Queste dipendono quindi dai volumi di produzione cumulata realizzati sino ad un certo tempo t (es. ogni volta che la produzione cumulata raddoppia si manifesta la stessa percentuale di riduzione di costo). La costanza e la prevedibilità permettono di rappresentare la curva di esperienza che mette in relazione i costi e l’esperienza. Occorre che nell’intervallo considerato le altre condizioni produttive restino invariate, l’inclinazione della curva dipende dalla velocità di apprendimento, cioè la capacità di imparare, che si ottiene rapportando i costi relativi a due produzioni in un rapporto di esperienza 2 a 1. Infine i grandi risparmi per effetto dell’esperienza si ottengono sui primi lotti di produzione, dopo di che diminuiscono sempre più. 11.3.2. LE FONTI DELLE ECONOMIE DI APPRENDIMENTO La fonte primaria di esperienza è l’apprendimento sviluppato dalla persone, che può manifestarsi in attività che vengono svolte meglio, più velocemente e a costi minori. Le economie di apprendimento sono dovute a: - crescente abilità nello svolgimento delle attività: è la capacità delle persone di imparare e adottare nuovi e migliori modi di lavorare per svolgere meglio e più velocemente le attività loro assegnate. - migliore selezione delle risorse produttive: l’esperienza consente di comprendere meglio quali siano le risorse produttive più opportune e convenienti per una data attività e per avere un prodotto di migliore qualità. - coordinamento più efficiente fra le risorse produttive: poiché le persone devono interagire tra loro ed utilizzare impianti vari, con l’esperienza si impara a conoscersi meglio e a lavorare in gruppo. - più elevata programmabilità dell’attività: l’esperienza accresce la prevedibilità degli accadimenti e la capacità di rispondere al meglio alle eccezioni, permette quindi di programmare al meglio l’attività.
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- semplificazioni dei prodotti e dei processi: si possono semplificare i processi e i prodotti in modo da ottenere costi più bassi e prodotti migliori. Le economie di apprendimento sono tanto maggiori quanto maggiori sono la capacità produttiva istallata e il tasso di saturazione della stessa.
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11.4. LE STRATEGIE DI REPLICAZIONE Le strategie di replicazione puntano a sfruttare competenze e routine presenti nel patrimonio aziendale applicandole a più combinazioni parziali tra loro uniformi (sfruttano economie di apprendimento ed economie di scala). Es. reti di franchising, banche e catene alberghiere. 11.5. LE SCELTE DI STRUTTURA DEI COSTI 11.5.1. I VOLUMI DEI PRODOTTI E L’ECONOMICITÀ Data una certa CP, si analizza l’effetto dei volumi effettivamente realizzati dall’azienda sui costi e sul risultato reddituale, utilizzando il modello costi-volumi-risultati (utile anche per analizzare l’impatto sull’equilibrio reddituale delle diverse scelte aziendali). I fattori che determinano il risultato economico conseguito dalle imprese sono: - gli elementi strutturali: fattori come la CP, l’esperienza, la specializzazione, l’estensione verticale e orizzontale sono i determinanti strutturali dei costi in quanto il loro configurarsi determina la struttura e le modalità di funzionamento dell’azienda. Se si vuole intervenire sulle economie di tipo strutturale occorre apportare variazioni alla struttura aziendale. In tutti i casi le variazioni nei costi legate a determinazioni strutturali si accompagnano a modifiche più o meno estese nel patrimonio, nell’assetto tecnico, nel personale e nelle combinazioni economiche dell’impresa. I ricavi totali, i costi totali e i risultati reddituali sono legati al configurarsi dei prezzi-ricavo e dei prezzi-costo e dei volumi prodotti e venduti. - il livello dei prezzi: il livello dei prezzi-costo e dei prezzi-ricavo determina il livello dei ricavi e dei costi in un dato periodo. Il livello dei prezzi ai quali l’impresa acquista e vende beni è in parte determinato da elementi interni all’impresa e in parte da elementi esterni. - i volumi: l’effettivo ammontare dei costi che l’impresa dovrà sostenere sarà infatti legato ai volumi effettivamente prodotti, ovvero al grado di saturazione della CP predisposta. Influenzano sia l’ammontare dei costi totali, sia i costi unitari effettivi dei beni prodotti, in quanto al variare dei volumi varierà la quota dei costi fissi da imputare alle singole unità prodotte. Determinano anche il livello effettivo dei ricavi e quindi il reddito operativo conseguito dall’impresa. 11.5.2. L’ANALISI DEI COSTI-VOLUMI-RISULTATI L’analisi dei costi-volumi-risultati consente di illustrare e di modellizzare le relazioni esistenti tra i volumi dei beni effettivamente prodotti e venduti dall’impresa e i risultati operativi da essa conseguiti. Significa quindi analizzare il variare del risultato economico al variare dei volumi di vendita ed identificare il punto di pareggio, dati i prezzi di vendita, i costi fissi e i costi variabili unitari, confrontare le diverse ipotesi di configurazione dei prezzi e dei costi al fine di identificare la soluzione migliore in termini di risultato economico atteso, confrontare diverse ipotesi di esternalizzazione e internalizzazione al fine di identificare la soluzione migliore in termini di grado di integrazione verticale e di estensione delle combinazioni economiche. 11.5.3. I COSTI FISSI E I COSTI VARIABILI I costi di gestione caratteristica possono essere classificati in due grandi categorie: - costi variabili: sono i costi direttamente e strettamente correlati al volume di produzione e vendita (provvigioni, materie prime, lavorazioni esterne). Tra volumi e costi variabili esiste una relazione lineare, in realtà variazioni molto consistenti nei volumi implicano variazioni nei costi variabili unitari e quindi una relazione non lineare fra volumi e costi variabili totali.
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- costi fissi: sono i costi che non risultano direttamente e strettamente correlati al volume di produzione e di vendita (manodopera diretta e indiretta, pubblicità, consulenze legali e amministrative, manutenzioni, affitti e quote di ammortamento). L’analisi costi-volumi-risultati assume l’ipotesi semplificatrice che i costi fissi rimangano invariati, qualsiasi sia il volume realizzato, in realtà anche i costi fissi tengono ad aumentare di fronte ad aumenti di consistenti dei volumi (che richiedono aumenti di CP). I costi fissi di gestione caratteristica si dividono in: a. costi fissi di struttura: sono costi fissi strettamente connessi alle CP in essere dell’azienda in un certo momento (costi del lavoro e costi non proporzionali ai volumi connessi alle attività di trasformazione tecnica, di vendita e di amministrazione). Ridurre questi costi significa ridurre la CP, ossia i volumi di vendita e di produzione realizzabili in un breve periodo. b. costi fissi di sviluppo: sono i costi che sono fissi in quanto non variano direttamente al variare dei volumi di produzione e di vendita, non dipendono direttamente dalla CP ma sono destinati a sostenere l’attività corrente e a porre le condizioni per lo sviluppo futuro dell’azienda (costi di ricerca e sviluppo, formazione del personale, marketing). Questi possono essere variati più facilmente dei costi di struttura. 11.5.4. I COSTI TOTALI E I COSTI UNITARI Sommando i costi fissi e i costi variabili si ottengono i costi totali di gestione caratteristica. La retta dei costi totali ha un punto di minimo pari all’ammontare dei costi fissi e l’inclinazione della retta dei costi variabili. CT/Q = CTu All’aumentare dei volumi, i costi variabili totali aumentano mentre i costi fissi non variano. All’aumentare dei volumi, i costi variabili unitari non variano, mentre diminuisce la quota unitaria dei costi fissi e quindi il costo totale unitario, in quanto l’ammontare dei costi fissi viene suddiviso su un numero sempre più elevato di unità prodotte. 11.5.5. IL PUNTO DI PAREGGIO IN VOLUMI Il punto di pareggio è l’ammontare di vendite che consente di coprire tutti i costi aziendali (inteso sia come numero di pezzi da produrre e vendere per andare a pareggio: punto di pareggio in volumi, sia come fatturato da conseguire per andare a pareggio: punto di pareggio in fatturato). Il punto di pareggio è l’ammontare di vendite che consente di coprire tutti i costi di gestione caratteristica: R = CT R = CV + CF Ru x QP = CVu x QP + CF QP = CF / Ru – Cvu Q = CF / MDCu La differenza fra i ricavi unitari e i costi variabili unitari viene comunemente denominata margine di contribuzione unitario (MDCu). Il punto di pareggio è il punto in cui la retta dei costi totali incrocia la retta dei ricavi e la distanza tra le due rette rappresenta il reddito operativo (negativo a sinistra, positivo a destra). 11.5.6. IL MARGINE DI CONTRIBUZIONE E IL PUNTO DI PAREGGIO Il margine di contribuzione totale (MDC) è dato dalla differenza tra ricavi e costi variabili totali MDC = R-CV ed è il contributo che la vendita di ogni unità di bene prodotta e venduta porta alla copertura dei costi fissi di gestione caratteristica e di formazione del reddito operativo, che a sua volta servirà a coprire i costi finanziari fiscali e a formare l’utile netto. (vedi margine di contribuzione %) 11.5.7. L’ANALISI DEL GRADO DI RISCHIO OPERATIVO
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Il rischio operativo di un’azienda è espresso dalla probabilità più o meno elevata di subire risultati reddituali particolarmente negativi o positivi, in relazione al fluttuare dei volumi di produzione e di vendita. Questo è legato al livello del punto di pareggio e al grado di elasticità operativa. L’elasticità operativa di un’azienda (rappresentata dall’ampiezza della forbice tra ricavi e costi totali prima e dopo il punto di pareggio) è legata all’incidenza di costi variabili sui ricavi; maggiore è tale incidenza più stretta sarà la forbice, infatti se aumentano i volumi aumentano anche i costi variabili aumentano, e ci sarà meno margine per coprire i costi fissi. - le aziende che hanno una struttura dei costi rigida (forbice ampia) reagiscono male a eventuali riduzioni nei volumi in quanto hanno possibilità limitate di comprimere i costi (se però aumentano i volumi, i costi aumentano in misura contenuta, grande vantaggio). - le aziende che hanno una struttura dei costi flessibile (forbice stretta) non risentono in modo pesante di eventuali riduzioni nei volumi in quanto sono in grado di comprimere i costi I due elementi del rischio operativo sono legati, in quanto esiste una correlazione negativa tra i costi fissi e i costi variabili (aumentando i costi fissi si può ridurre l’incidenza dei costi variabili sui ricavi). 11.5.8. IL PUNTO DI EQUILIBRIO REDDITUALE Si può determinare il volume di vendite che consente sia di coprire tutti i costi sia di ottenere un utile netto soddisfacente, ovvero di ottenere l’equilibrio reddituale. 11.5.9. L’ANALISI DEGLI SCOSTAMENTI Il modello costi-volumi-risultati può essere utilizzato per rappresentare i programmi di un’impresa riferiti ad un certo periodo di tempo: l’impresa ipotizza un certo prezzo e un certo volume di vendita, ma a fine anno il ROGC sarà inevitabilmente differente rispetto a quello programmato. L’impresa deve quindi essere in grado di calcolare lo scostamento tra il ROGC programmato e quello effettivo (considerando soprattutto i volumi, i costi fissi, i costi variabili unitari e i ricavi unitari).
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RIASSUNTO RICLASSIFICAZIONE BILANCIO
Tabella realizzata da Luca Borreani