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DISPENSA DI AZIENDALE Primo parziale 1 GRUPPO FACEBOOK: DISPENSE BOCCONI 1.1. L’ATTIVITÀ ECONOMICA 1.1.1. LA CENTRALITÀ DELLA PERSONA Le persone perseguono molteplici fini , i quali suscitano in queste dei bisogni . Per soddisfare i loro bisogni le persone svolgono, tra l’altro, l’attività economica , ossia l’attività di produzione e consumo di beni economici . Gran parte dell’attività economica si svolge nell’ambito di società umane, soprattutto in istituti (famiglie, imprese, Stato). L’attività economica si manifesta principalmente nel lavoro : lavoro che è di persona e di persona intesa come parte di un istituto. L’attività economica è svolta dalle persone e per le persone, le quali si uniscono in società umane. La persona umana è al centro degli studi economici, le cui teorie sono fortemente influenzate da ipotesi circa la natura e i comportamenti umani. Ne consegue, quindi, che non possano esistere modelli economici statici, bensì modelli puramente descrittivi e che evolvono nel tempo. Se si considerano quindi le persone che non sono solo spinte da motivazioni economiche ed egoistiche (homo oeconomicus) bisogna elaborare una teoria multidisciplinare (che inglobi anche elementi di psicologia, sociologia ed etica) che aiuti concretamente a comprendere e a guidare l’attività economica in relazione ai valori delle persone. 1.1.2. I BISOGNI E I BENI L’attività economica è svolta per il soddisfacimento dei bisogni. Questi sono suscitati dal perseguimento di fini delle persone, viste anche come membri di istituti. Un bisogno è l’esigenza di un bene necessario agli scopi di vita e si manifesta soggettivamente come un desiderio, come la sensazione dell’insoddisfazione dovuta a una mancanza. Si distinguono in: - bisogni naturali : sono suscitati dalla componente biologica delle persone (alimentazione, protezione) e sono universali, ovvero uniformi per tutte le persone. - bisogni sociali : comprendono i bisogni sociali etici, religiosi ed estetici, vengono suscitati dalla componente spirituale delle persone e dalla loro interazione con le società umane. Si dividono in bisogni radicali (libertà, giustizia) e bisogni non-radicali (sicurezza, amicizia). Entrambi possono essere distinti in: - bisogni essenziali : sono i bisogni primari. - bisogni voluttuari : sono i bisogni secondari influenzati dei processi imitativi e dalle mode. Le varie categorie di bisogni si manifestano secondo una sequenza: le persone percepiscono e soddisfano in primo luogo i bisogni naturali e sociali elementari per poi passare a bisogni più complessi e secondari. Esempio: Teoria di MASLOW AUTOREALIZZAZIONE STIMA SOCIALITÀ SICUREZZA BISOGNI ELEMENTARI Secondo questa teoria le persone partono dai bisogni elementari (che a seconda della classe sociale vengono soddisfatti in modo diverso), per poi passare al bisogno di sicurezza (che la situazione non si modifichi), di socialità (come si predispone un soggetto all’interno del gruppo sociale di riferimento oppure come cerca di modificarlo), di stima (bisogni legati a simboli che portano l’uomo ad essere riconosciuto) e di autorealizzazione (contentezza di sé). Una teoria dei bisogni è essenziale per comprendere l’origine ed i fini delle scelte compiute nell’ambito delle famiglie.

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1.1. L’ATTIVITÀ  ECONOMICA 1.1.1. LA CENTRALITÀ DELLA PERSONA Le persone perseguono molteplici fini, i quali suscitano in queste dei bisogni. Per soddisfare i loro bisogni le persone  svolgono,  tra  l’altro,  l’attività economica,  ossia  l’attività  di  produzione  e  consumo  di  beni economici. Gran  parte  dell’attività  economica  si  svolge  nell’ambito  di  società  umane,  soprattutto  in  istituti (famiglie, imprese, Stato). L’attività  economica  si  manifesta  principalmente  nel  lavoro: lavoro che è di persona e di persona intesa come parte di un istituto. L’attività  economica  è  svolta  dalle  persone  e  per  le  persone,  le  quali  si  uniscono  in  società  umane. La persona umana è al centro degli studi economici, le cui teorie sono fortemente influenzate da ipotesi circa la natura e i comportamenti umani. Ne consegue, quindi, che non possano esistere modelli economici statici, bensì modelli puramente descrittivi e che evolvono nel tempo. Se si considerano quindi le persone che non sono solo spinte da motivazioni economiche ed egoistiche (homo oeconomicus) bisogna elaborare una teoria multidisciplinare (che inglobi anche elementi di psicologia, sociologia ed etica) che aiuti  concretamente  a  comprendere  e  a  guidare  l’attività  economica  in  relazione ai valori delle persone. 1.1.2. I BISOGNI E I BENI L’attività  economica  è  svolta  per  il  soddisfacimento  dei  bisogni.  Questi  sono  suscitati  dal  perseguimento  di  fini delle persone, viste anche come membri di istituti. Un bisogno è  l’esigenza  di  un  bene  necessario  agli  scopi  di  vita  e  si  manifesta  soggettivamente  come  un  desiderio,  come  la  sensazione  dell’insoddisfazione  dovuta  a  una  mancanza. Si distinguono in: - bisogni naturali: sono suscitati dalla componente biologica delle persone (alimentazione, protezione) e sono universali, ovvero uniformi per tutte le persone. - bisogni sociali: comprendono i bisogni sociali etici, religiosi ed estetici, vengono suscitati dalla componente spirituale delle persone e dalla loro interazione con le società umane. Si dividono in bisogni radicali (libertà, giustizia) e bisogni non-radicali (sicurezza, amicizia). Entrambi possono essere distinti in: - bisogni essenziali: sono i bisogni primari. - bisogni voluttuari: sono i bisogni secondari influenzati dei processi imitativi e dalle mode. Le varie categorie di bisogni si manifestano secondo una sequenza: le persone percepiscono e soddisfano in primo luogo i bisogni naturali e sociali elementari per poi passare a bisogni più complessi e secondari. Esempio: Teoria di MASLOW

AUTOREALIZZAZIONE

STIMA SOCIALITÀ

SICUREZZA

BISOGNI ELEMENTARI

Secondo questa teoria le persone partono dai bisogni elementari (che a seconda della classe sociale vengono soddisfatti in modo diverso), per poi passare al bisogno di sicurezza (che la situazione non si modifichi), di socialità (come si predispone un soggetto all’interno  del  gruppo  sociale  di  riferimento  oppure  come  cerca  di  modificarlo), di stima (bisogni  legati  a  simboli  che  portano  l’uomo  ad essere riconosciuto) e di autorealizzazione (contentezza di sé). Una  teoria  dei  bisogni  è  essenziale  per  comprendere  l’origine  ed  i  fini  delle  scelte  compiute  nell’ambito  delle  famiglie.

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Rilevanti  per  l’analisi  economica  sono  le  dinamiche dei bisogni. I bisogni delle persone si dispongono in una gerarchia, cioè in un ordine di priorità che si manifesta nelle variazioni delle scelte di consumo al variare dei redditi disponibili. I bisogni manifestano forti gradi di dinamismo e nuovi bisogni e nuovi beni si influenzano reciprocamente. Il soddisfacimento dei bisogni richiede la disponibilità dei beni, questi si dividono in due grandi classi, entrambe utilizzate delle persone: - beni economici: sono le merci e i servizi utili per il soddisfacimento dei bisogni delle persone, ma scarsi rispetto alle esigenze delle persone. - beni liberi o non economici: sono beni utili e liberamente disponibili in quantità e qualità. I beni economici vengono a loro volta distinti in: - beni primari: sono beni che soddisfano i bisogni essenziali o primari. - beni voluttuari: sono beni che soddisfano i bisogni secondari o superficiali. - beni complementari: quando due o più beni devono essere usati insieme per soddisfare un bisogno. - beni fungibili: quando un bisogno può essere soddisfatto da beni alternativi. - beni differenziabili: sono beni che possono essere prodotti da una certa impresa con caratteristiche particolari diverse da quelle di prodotti analoghi offerti da imprese concorrenti. - commodities: sono beni che vengono offerti con caratteristiche analoghe da tutte le imprese. - beni di consumo: sono beni tangibili utilizzati direttamente dalle persone. - beni strumentali: sono i beni utilizzati per produrre altri beni. Questi ultimi due tipi di beni, a loro volta possono essere: - beni da utilizzo singolo: sono beni che cedono la loro attività totalmente in occasione di un impiego. - beni durevoli: sono beni che cedono la loro attività progressivamente in impieghi ripetuti. - beni a consumo individuale: sono beni utilizzati dal singolo. - beni a consumo collettivo:  sono  beni  per  i  quali  l’atto  del  consumo  è  unico  per  diversi  consumatori. Inoltre si distingue tra: - beni pubblici: sono beni o servizi erogati dallo Stato o da enti pubblici. - beni privati: sono beni prodotti da soggetti privati (imprese, famiglie). 1.1.3. LE ATTIVITÀ ECONOMICHE DI PRODUZIONE E DI CONSUMO L’attività economica consiste nelle operazioni di produzione e di consumo dei beni economici. Questa si svolge secondo una vasta gamma di operazioni: - trasformazione tecnica: queste si svolgono, sia per la produzione che per il consumo, in tutti gli istituti e consistono in operazioni di trasformazione fisica, spaziale e logica delle materie prime, degli impianti, dei dati e delle conoscenze. - negoziazioni: poiché gli istituti no sono economicamente isolati, ma collegati da fitti reti di scambi, svolgono  tra  loro  questo  tipo  di  operazioni.  Queste  si  classificano  in  ragione  dell’oggetto scambiato (beni privati, disponibilità di mezzi monetari, copertura di rischi, lavoro, beni pubblici) e si svolgono secondo molteplici condizioni di scambio e forme contrattuali, ai cui possono sovrapporsi relazioni di cooperazione o di competizione (insiemi omogenei di scambi formano i mercati). - configurazione e organizzazione:  riguardano  l’attività  di  governo  degli  istituti  e  comprendono  operazioni  di  configurazione  dell’assetto  istituzionale,  di  organizzazione  e  di  gestione  del  personale,  di  rilevazione e di informazione. 1.1.4. LA PRODUZIONE ECONOMICA, LA PRODUZIONE DI BENI E LA PRODUZIONE DI REDDITI

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La produzione economica comprende  tutte  le  attività  che  un’impresa  svolge.  Non  comprende  solo  la  produzione  di  beni  (merci  e  servizi)  ma  anche  l’attività di negoziazione, in ogni caso questa non è il fine dell’impresa,  bensì  la  funzione  caratteristica  che  essa  svolge  nell’economia  di  mercato. Il fine delle imprese è la produzione di remunerazioni, di redditi, in particolare di rimunerazioni del lavoro e del capitale di rischio, che viene perseguito dai prestatori di lavoro e dai conferenti di capitale proprio, attraverso la produzione economica (mezzo). 1.1.5. LE CONDIZIONI DI PRODUZIONE

L’attività  economica  di  produzione  si  attua  con  l’impiego  di  condizioni di produzione. Il complessivo insieme delle condizioni di produzione include ogni elemento o circostanza che direttamente o indirettamente contribuisce a rendere possibile, a facilitare od ostacolare la produzione economica d’impresa  (materie  prime, immobili, attrezzature, lavoro operativo, direttivo o di governo economico, beni pubblici e beni liberi). Rilevanti sono le condizioni primarie di produzione ovvero le condizioni di produzione fondamentali per ogni impresa e le condizioni, la cui natura  e  le  cui  modalità  di  apporto  all’impresa,  suscitano  nelle  persone  che  le  conferiscono  interessi  economici  primari  nei  confronti  dell’impresa. Queste sono il lavoro che  le  persone  prestano  all’interno  dell’impresa  e  il  capitale risparmio o capitale proprio conferito a  titolo  di  rischio;  entrambe  fanno  capo  all’insieme  di  persone  che  hanno  interessi  economici  primari  nell’impresa. 1.2. LE PERSONE E I GRUPPI DI PERSONE 1.2.1. LA  PERSONA  UMANA  VS  L’HOMO  OECONOMICUS L’homo oeconomicus è il soggetto principale  dell’economia;  egli  è  autonomo ed egoista, orientato esclusivamente alla massimizzazione dei propri redditi e della propria ricchezza, dotato di una razionalità assoluta. La persona umana è  il  soggetto  principale  dell’attività  economica;  egli  è  membro  di  una  società  umana,  tende ad essere altruista, condivide i valori della solidarietà, della lealtà e del progresso, il suo fine è la massimizzazione del benessere che cerca di realizzare tramite  l’attività  economica  ed  è  dotato  di  una  razionalità limitata. 1.2.2. LA MASSIMIZZAZIONE DEL BENESSERE INDIVIDUALE Le persone agiscono in modo da massimizzare il proprio benessere individuale come esse lo percepiscono e la ricchezza diventa quindi un mezzo per raggiungere obiettivi anche di natura non economica. Il loro comportamento è previdente e coerente nel tempo, poiché fanno del loro meglio per prevedere le conseguenze incerte delle loro azioni (comportamento razionale). Le azioni delle persone sono soggette a vincoli di reddito, di tempo, di memoria, dalla disponibilità di risorse e sono influenzate dalle loro preferenze, dai loro gusti. Preferenze che a loro volta sono influenzate dai bisogni umani fondamentali, dalle caratteristiche dei beni, dal capitale personale (esperienze personali passate, vissuto) e dal capitale sociale (influenze esterne). 1.2.3. RAZIONALITÀ ASSOLUTA VS RAZIONALITÀ LIMITATA L’attività  economica  comporta  continue  scelte  e  decisioni.  Esistono  tre  modelli  decisionali:

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- il modello della razionalità assoluta: il soggetto, che deve prendere una decisione da solo, stabilisce degli obiettivi, dispone di fonti di informazione gratuite ed illimitate, valuta tutte le possibili alternative e alla fine la  sua  decisione  è  l’alternativa migliore in assoluto. - il modello della razionalità limitata: concetto elaborato da Herbert Simon, è un modello di rappresentazione dei processi decisionali in cui le decisioni scaturiscono da processi interattivi e sequenziali, per poi giungere ad una scelta soddisfacente. Il soggetto definisce degli obiettivi, accede a fonti di informazione, che sono però limitate, valuta le varie alternative, rivede le sue analisi e modifica il proprio obiettivo e alla fine arriva alla soluzione migliore possibile in relazione alle proprie risorse. - il modello delle scelte a più attori nei contesti organizzati secondo razionalità limitata.

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1.2.4. I GRUPPI SOCIALI, LE NORME E I RUOLI

Per perseguire i loro fini, le persone umane interagiscono tra di loro in società umane.  L’azione  individuale  integrata  nell’ambito  di  società  umane  produce  benefici  individuali  e  collettivi  e  ciò  richiede  comportamenti  appropriati. Il gruppo sociale è composto da un piccolo numero di persone e si forma spontaneamente; queste condividono gli stessi valori di fondo e intendono perseguire un obiettivo comune. Un gruppo ha una propria struttura sociale interna, sviluppa regole di comportamento (norme implicite, la cui trasgressione comporta però sanzioni), è coeso e permane nel tempo se si realizza un equilibrio tra ciò che ciascun membro fornisce al gruppo e ciò che ciascuno ottiene dal gruppo e se i vari ruoli sono coerenti e complementari, in caso contrario si scioglie o si creano tensioni. Un gruppo è formato da pari e la sua organizzazione è spontanea ed implicita, la sua struttura è però forte, soprattutto  se  c’è  un  leader  che  lo  guida. Il  comportamento  di  una  persona  è  influenzato  dall’appartenenza  ad  un  gruppo,  essa  diventa  infatti  centro  di un sistema di attese di comportamento da parte degli altri soggetti membri del gruppo (ruolo). La maggior parte delle persone fa parte contemporaneamente di una pluralità di società umane (situazione di inclusione parziale in più gruppi), il loro comportamento è quindi influenzato da più insiemi di attese allo stesso tempo e per incompatibilità tra le attese di ruoli diversi possono nascere tensioni. 1.2.5. I PROCESSI DECISIONALI COLLETTIVI I processi decisionali si svolgono nelle società umane, le persone sono coinvolte in una molteplicità di processi decisionali che si intersecano, ai limiti della razionalità si sommano quindi le causalità e le ambiguità dei processi umani. Per esempio in un’impresa  le  decisioni  da  prendere  devono  essere  coordinate  e  coerenti  tra  di  loro,  ma  spesso sono in concorrenza tra di loro. Questo perché le risorse da investire nei processi decisionali sono sempre limitate (alcuni problemi risolti, altri no) e perché le scelte prese comportano un impiego di risorse limitate (scelte possono essere incompatibili con altre). Anche le soluzioni possono essere in concorrenza tra di loro, uno stesso problema può avere più soluzioni. Esempio: GARBAGE CAN MODEL Cohen, March e Olsen hanno cercato di spiegare come funzionano le decisioni collettive attraverso il Garbage Can Model.  Secondo  questo  modello  le  decisioni  si  prendono  in  luoghi  e  tempi  chiamati  “occasioni  di  decisione”  alle  quali  partecipano  persone  dotate di poteri decisionali diversi, ruoli diversi, ma anche con personalità diverse. Devono risolvere problemi o prendere decisioni la cui scelta viene influenzata da chi ha maggior potere decisionale e le soluzioni non sempre sono le migliori possibili. I processi decisionali che si svolgono nelle imprese, quindi, solo parzialmente sono strutturati razionalmente, ampio spazio viene infatti dato alla soggettività e al caso. All’interno  di  un’impresa  bisogna  che  tutte  le  decisioni  individuali  siano  coerenti  con gli obiettivi dell’organizzazione,  vengono  elaborate,  perciò,  regole organizzative, procedure e routine (meno decisioni). Le  decisioni  prese  all’interno  di  istituti  sono  frutto  della  combinazione  di  sistemi  di  valori  individuali  e  collettivi, di schemi mentali, di strutture di ruoli, di regole e di routine. 1.2.6. COOPERAZIONE, OPPORTUNISMO, FIDUCIA E ALTRUISMO La cooperazione tra le persone che fanno parte di una società umana è condizione necessaria per il suo funzionamento. Questa consente di ottenere risultati non conseguibili operando individualmente, produce una rendita, che dovrà essere ridistribuita. Ciascuno  dovrebbe  essere  ricompensato  in  proporzione  all’impegno  di  cooperazione,  in  realtà  né  i  contributi  individuali, né i risultati complessivi realizzati sono perfettamente conoscibili e ciò dà spazio a

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comportamenti opportunistici, egoistici che consentono alle persone di godere dei vantaggi della cooperazione senza fornire i dovuti contributi. Questo modo di comportarsi è causa ed effetto di relazioni di sfiducia tra le parti. Per costruire un rapporto di fiducia serve un atteggiamento leale e cooperativo. Esempio: TEORIA DI McGREGOR Il formarsi e il deteriorarsi di relazioni di fiducia si realizzano secondo un tipico meccanismo di profezie auto-verificanti. Egli, infatti, sostiene che le persone possano seguire due modalità di comportamento opposte: - teoria X: se si adotta una visione negativa della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento opportunistico. - teoria Y: se si adotta una visione positiva della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento positivo, altruista. L’adozione  della  Teoria  Y è condizione essenziale per la realizzazione di assetti aziendali che favoriscano la congiunzione di risultati di efficienza e soddisfazione. Le relazioni interpersonali fanno registrare anche comportamenti altruistici, che, grazie a un sacrificio di chi agisce, producono un vantaggio agli altri. Questi non sono contrari al principio di massimizzazione del benessere individuale perché i valori o gli obiettivi di una persona possono essere tali per cui un comportamento altruistico è funzionale massimizzazione del benessere personale, consente di soddisfare importanti attese personali. 1.2. LE PERSONE E I GRUPPI DI PERSONE 1.2.1. LA  PERSONA  UMANA  VS  L’HOMO  OECONOMICUS L’homo oeconomicus è  il  soggetto  principale  dell’economia;  egli  è  autonomo ed egoista, orientato esclusivamente alla massimizzazione dei propri redditi e della propria ricchezza, dotato di una razionalità assoluta. La persona umana è  il  soggetto  principale  dell’attività  economica;  egli  è  membro  di  una  società  umana,  tende ad essere altruista, condivide i valori della solidarietà, della lealtà e del progresso, il suo fine è la massimizzazione del benessere che  cerca  di  realizzare  tramite  l’attività  economica  ed  è  dotato  di  una  razionalità limitata. 1.2.2. LA MASSIMIZZAZIONE DEL BENESSERE INDIVIDUALE Le persone agiscono in modo da massimizzare il proprio benessere individuale come esse lo percepiscono e la ricchezza diventa quindi un mezzo per raggiungere obiettivi anche di natura non economica. Il loro comportamento è previdente e coerente nel tempo, poiché fanno del loro meglio per prevedere le conseguenze incerte delle loro azioni (comportamento razionale). Le azioni delle persone sono soggette a vincoli di reddito, di tempo, di memoria, dalla disponibilità di risorse e sono influenzate dalle loro preferenze, dai loro gusti. Preferenze che a loro volta sono influenzate dai bisogni umani fondamentali, dalle caratteristiche dei beni, dal capitale personale (esperienze personali passate, vissuto) e dal capitale sociale (influenze esterne). 1.2.3. RAZIONALITÀ ASSOLUTA VS RAZIONALITÀ LIMITATA L’attività  economica  comporta  continue scelte e decisioni. Esistono tre modelli decisionali:

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- il modello della razionalità assoluta: il soggetto, che deve prendere una decisione da solo, stabilisce degli obiettivi, dispone di fonti di informazione gratuite ed illimitate, valuta tutte le possibili alternative e alla fine la  sua  decisione  è  l’alternativa  migliore  in  assoluto. - il modello della razionalità limitata: concetto elaborato da Herbert Simon, è un modello di rappresentazione dei processi decisionali in cui le decisioni scaturiscono da processi interattivi e sequenziali, per poi giungere ad una scelta soddisfacente. Il soggetto definisce degli obiettivi, accede a fonti di informazione, che sono però limitate, valuta le varie alternative, rivede le sue analisi e modifica il proprio obiettivo e alla fine arriva alla soluzione migliore possibile in relazione alle proprie risorse. - il modello delle scelte a più attori nei contesti organizzati secondo razionalità limitata. 1.2.4. I GRUPPI SOCIALI, LE NORME E I RUOLI Per perseguire i loro fini le persone umane interagiscono tra di loro in società umane.  L’azione  individuale  integrata  nell’ambito  di  società  umane  produce  benefici  individuali  e  collettivi  e  ciò  richiede  comportamenti  appropriati. Il gruppo sociale è composto da un piccolo numero di persone e si forma spontaneamente; queste condividono gli stessi valori di fondo e intendono perseguire un obiettivo comune. Un gruppo ha una propria struttura sociale interna, sviluppa regole di comportamento (norme implicite, la cui trasgressione comporta però sanzioni), è coeso e permane nel tempo se si realizza un equilibrio tra ciò che ciascun membro fornisce al gruppo e ciò che ciascuno ottiene dal gruppo e se i vari ruoli sono coerenti e complementari, in caso contrario si scioglie o si creano tensioni. Un gruppo è formato da pari e la sua organizzazione è spontanea ed implicita, la sua struttura è però forte, soprattutto  se  c’è  un  leader  che  lo  guida. Il  comportamento  di  una  persona  è  influenzato  dall’appartenenza  ad  un  gruppo,  essa  diventa infatti centro di un sistema di attese di comportamento da parte degli altri soggetti membri del gruppo (ruolo). La maggior parte delle persone fa parte contemporaneamente di una pluralità di società umane (situazione di inclusione parziale in più gruppi), il loro comportamento è quindi influenzato da più insiemi di attese allo stesso tempo e per incompatibilità tra le attese di ruoli diversi possono nascere tensioni. 1.2.5. I PROCESSI DECISIONALI COLLETTIVI I processi decisionali si svolgono nelle società umane, le persone sono coinvolte in una molteplicità di processi decisionali che si intersecano, ai limiti della razionalità si sommano quindi le causalità e le ambiguità dei processi umani. Per esempio in un impresa le decisioni da prendere devono essere coordinate e coerenti tra di loro, ma spesso sono in concorrenza tra di loro. Questo perché le risorse da investire nei processi decisionali sono sempre limitate (alcuni problemi risolti, altri no) e perché le scelte prese comportano un impiego di risorse limitate (scelte possono essere incompatibili con altre). Anche le soluzioni possono essere in concorrenza tra di loro, uno stesso problema può avere più soluzioni. Esempio: GARBAGE CAN MODEL Cohen, March e Olsen hanno cercato di spiegare come funzionano le decisioni collettive attraverso il Garbage Can Model.  Secondo  questo  modello  le  decisioni  si  prendono  in  luoghi  e  tempi  chiamati  “occasioni  di  decisione”  alle  quali  partecipano  persone  dotate  di  poteri  decisionali  diversi,  ruoli  diversi,  ma  anche con personalità diverse. Devono risolvere problemi o prendere decisioni la cui scelta viene influenzata da chi ha maggior potere decisionale e le soluzioni non sempre sono le migliori possibili. I processi decisionali che si svolgono nelle imprese, quindi, solo parzialmente sono strutturati razionalmente, ampio spazio viene infatti dato alla soggettività e al caso. All’interno  di  un’impresa  bisogna  che  tutte  le  decisioni  individuali  siano  coerenti  con  gli  obiettivi  dell’organizzazione,  vengono  elaborate, perciò, regole organizzative, procedure e routine (meno decisioni).

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Le  decisioni  prese  all’interno  di  istituti  sono  frutto  della  combinazione  di  sistemi  di  valori  individuali  e  collettivi, di schemi mentali, di strutture di ruoli, di regole e di routine. 1.2.6. COOPERAZIONE, OPPORTUNISMO, FIDUCIA E ALTRUISMO La cooperazione tra le persone che fanno parte di una società umana è condizione necessaria per il suo funzionamento. Questa consente di ottenere risultati non conseguibili operando individualmente, produce una rendita, che dovrà essere ridistribuita. Ciascuno  dovrebbe  essere  ricompensato  in  proporzione  all’impegno  di  cooperazione,  in  realtà  né  i  contributi  individuali, né i risultati complessivi realizzati sono perfettamente conoscibili e ciò dà spazio a comportamenti opportunistici, egoistici che consentono alle persone di godere dei vantaggi della cooperazione senza fornire i dovuti contributi. Questi modo di comportarsi è causa ed effetto di relazioni di sfiducia tra le parti. Per costruire un rapporto di fiducia serve un atteggiamento leale e cooperativo. Esempio: TEORIA DI McGREGOR Il formarsi e il deteriorarsi di relazioni di fiducia si realizzano secondo un tipico meccanismo di profezie auto-verificanti. Egli, infatti, sostiene che le persone possano seguire due modalità di comportamento opposte: - teoria X: se si adotta una visione negativa della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento opportunistico. - teoria Y: se si adotta una visione positiva della natura umana, questo causerà esattamente i comportamenti previsti, le persone svilupperanno infatti un comportamento positivo, altruista. L’adozione  della  Teoria  Y  è  condizione  essenziale  per  la  realizzazione  di  assetti aziendali che favoriscano la congiunzione di risultati di efficienza e soddisfazione. Le relazioni interpersonali fanno registrare anche comportamenti altruistici, che, grazie ad un sacrificio di chi agisce, producono un vantaggio agli altri. Questi non sono contrari al principio di massimizzazione del benessere individuale perché i valori o gli obiettivi di una persona possono essere tali per cui un comportamento altruistico è funzionale massimizzazione del benessere personale, consente di soddisfare importanti attese personali. 2.1. GLI ISTITUTI 2.1.1. LE SOCIETÀ UMANE, IL BENE COMUNE, LE ISTITZIONI E GLI ISTITUTI Le persone tendono naturalmente a far parte di gruppi e di società umane sia per produrre risultati non attuabili singolarmente sia per soddisfare i bisogni di socialità. Ogni società persegue il bene comune dei suoi membri, questo è il prodotto della cooperazione societaria che  condiziona  i  singoli  nella  società,  è  un  bene  funzionale  per  tutti  che  agevola  l’attività  del  singolo. Un istituto è un gruppo di persone, che uniscono conoscenze, energie, risorse personali e materiali, governato da istituzioni, ovvero da regole e strutture di comportamento comunemente condivise e codificate a livello sociale. Le caratteristiche fondamentali di un istituto sono: la durabilità nel  tempo,  l’autonomia (affinché la capacità di scelta non sia limitata e si riescano a perseguire obietti vi di crescita), la dinamicità (capire la mutevolezza della realtà, esser capaci di adattarsi, prevenire o proporre un  cambiamento)  l’ordine (organizzato secondo proprie  leggi)  e  l’unità (affinché siano perseguiti obiettivi condivisi dalle persone che lo compongono). Ciò consente il perseguimento di un fine comune, che a sua volta produce due fenomeni: - la rendita organizzativa: è un vantaggio anche economico che si riesce ad ottenere lavorando insieme, che risulta maggiore della somma di tutti i vantaggi che otterrebbero le singole persone lavorando in modo

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separato. in linea di principio, la rendita organizzativa, frutto della cooperazione, deve essere ripartita tra tutti coloro che hanno cooperato. Es. Consorzio. - il risultato residuale:  è  frutto  della  cooperazione  e  dell’incertezza,  può  essere  positivo  o  negativo,  ma  viene  in  ogni  caso  diviso  tra  chi  governa  l’istituto (è quanto residua ex-post dopo aver remunerato tutti sulla base dei patti ex-ante). Es. Consorzio. 2.1.2. GLI ISTITUTI, LE AZIENDE E GLI AGGREGATI DI AZIENDE L’attività  economica  si  svolge  prevalentemente  in  istituti  e  per  relazioni  tra  istituti.  Questa è particolarmente rilevante in quattro tipi di istituto: - le famiglie - le imprese - lo Stato e gli enti pubblici - gli istituti non-profit L’  economia  aziendale  si  occupa  principalmente  delle  aziende,  ovvero  l’ordine  strettamente  economico  di  un  istituto,  l’insieme  degli  accadimenti  economici  disposti  ad  unità  secondo  le  proprie  leggi.  Agli  istituti  corrispondono quattro classi di aziende: - l’azienda  di  consumo  e  di  gestione  patrimoniale  familiare - l’azienda  di  produzione - l’azienda  composta  pubblica - l’azienda  non-profit Queste sono accumunate dal fine generale del soddisfacimento dei bisogni umani e dal mezzo costituito dall’attività  economica;  si  differenziano  nei  fini  immediati  (strutture  caratteristiche  in  termini  di  assetto istituzionale, di combinazioni produttive, di organismo personale, di assetto tecnico e organizzativo e di patrimonio), nei portatori degli interessi economici istituzionali, ossia degli interessi economici primari, nei portatori degli interessi economici non istituzionali e nei processi economici caratteristici. L’economia  aziendale  si  occupa  anche  degli  aggregati  di  aziende,  ossia  gli  insiemi  di  aziende  avvinte  da  forti  relazioni istituzionali che sono soggette a un indirizzo strategico unitario (consorzi).

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2.2. LE AZIENDE, ORDINE ECONOMICO DEGLI ISTITUTI 2.2.1. LE AZIENDE FAMIGLIARI DI CONSUMO E DI GESTIONE PATRIMONIALE La famiglia è  l’istituto  primario  della  società umana ed è caratterizzata da finalità dominanti di ordine sociale, etico e religioso, essa genera, alleva educa e assiste le persone. Essa  è  anche  un’unità  economica  in  quanto  ai  fini  precedenti  si  aggiungono  anche  fini economici immediati che  consistono  nell’appagamento  dei  bisogni  delle  persone  che  la  compongono. Gli interessi economici istituzionali (dei membri della famiglia) sono il soddisfacimento adeguato dei bisogni attuali e futuri dei membri della famiglia. L’azienda familiare è innanzitutto azienda di consumo combinato con la produzione di energia di lavoro e di studio. A essa appartengono una proprietà dei beni di consumo e un patrimonio, formato da beni conferiti al momento della costituzione della famiglia, dalle eredità e dal risparmio (dal patrimonio si attua poi una gestione patrimoniale). La famiglia inoltre partecipa al finanziamento delle produzioni e dei consumi degli istituti pubblici attraverso il pagamento di tributi (S = RT – (CT + T)). 2.2.2. LE AZIENDE DI PRODUZIONE L’impresa è un istituto economico-sociale con dominanti caratteri e finalità di tipo economico, è parte rilevante della società umana generale e secondo condizioni proprie partecipa al raggiungimento del bene comune  della  stessa.  Essa  è  l’istituto  fondamentale  per  la produzione di beni economici immediati, le relazioni che intrattiene con altri istituti non sono solo di tipo economico. Il suo fine economico immediato è la produzione di rimunerazioni monetarie. Gli interessi economici istituzionali fanno capo ai prestatori di lavoro e ai conferenti di capitale di risparmio sotto forma di capitale di rischio, anche se non sono da sottovalutare nemmeno gli interessi economici non istituzionali  (soggetti  non  membri  dell’istituto). L’ordine  strettamente  economico  dell’impresa  è  l’azienda di produzione. Tra i processi economici dell’impresa  ci  sono  le  trasformazioni tecniche, le negoziazioni di beni, di credito e di rischi, inoltre è caratterizzata dalla combinazione di prestazione di lavoro con capitale di risparmio e dal pagamento dei tributi. 2.2.3. LE AZIENDE COMPOSTE PUBBLICHE Lo  Stato  è  l’ordinamento  politico,  sociale,  giuridico  ed  economico  che  cura  il  perseguimento  del  bene  comune della comunità nazionale e promuove anche il progresso morale e sociale della comunità internazionale. Rilevanti  ma  non  dominanti  sono  le  finalità  economiche,  l’intersezione  tra  finalità  economiche  e  non  economiche, intatti, si riflette anche nella struttura degli organi di governo di questi istituti. L’ordine  strettamente  economico dello  Stato  è  l’azienda composta pubblica (di produzione e di consumo), nella quale si attuano principalmente processi economici di produzione di beni pubblici e di consumo degli stessi, con i connessi processi di raccolta dei tributi. I fini economici immediati sono  l’appagamento  dei  bisogni  pubblici  della  collettività  attraverso  la  produzione  di beni pubblici e il loro consumo, e la rimunerazione dei prestatori di lavoro. I portatori di interessi economici istituzionali sono tutti i membri corrispondenti alle unità politiche, inoltre si manifestano rilevanti interessi economici non istituzionali. 2.2.4. LE AZIENDE NON-PROFIT

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Si qualificano come istituti non-profit quelli che sono di natura privata, che prevedono il divieto di distribuire il risultato reddituale  e  il  patrimonio  tra  le  persone  che  esercitano  il  controllo  sull’istituto.  In  genere  questi  si  ispirano a finalità di ordine sociale, morale e culturale e si differenziano sulla base dei soggetti coinvolti e dei loro ruoli economici. La componente economica degli istituti non-profit ha peso vario, può essere trascurabile così come può essere determinante. Il fine economico immediato è quello del soddisfacimento di bisogni di alcune categorie di persone (associati, classi di fornitori terzi, intera collettività). È varia la configurazione sia dei portatori di interessi economici istituzionali sia di quelli non istituzionali. I processi economici caratteristici sono quelli della produzione dei beni, del loro consumo e la raccolta di contributi privati sotto forma di donazioni e di lavoro volontario. 2.2.5. LA DIFFERENZIAZIONE DEGLI ISTITUTI L’attività  economica  si  svolge  in  istituti  di  natura  molto  varia, fortemente differenziati tra loro: le famiglie, le imprese grandi e piccole, le imprese pubbliche e private, gli istituti pubblici di ogni specie, le associazioni. Come mai? 1. Perché  l’attività  economica  non  è  totalmente  svolta  all’interno delle famiglie? per via del fenomeno elle economie di specializzazione e delle limitate dimensioni economiche della famiglia (persone specializzate sono più efficienti di persone che non lo sono, i volumi di produzione sono maggiori del consumo della famiglia). 2. Come mai le singole persone tendono ad aggregarsi in istituti anziché operare indipendentemente scambiandosi lavoro, beni e capitali? l’integrazione  attraverso  il  mercato  comporta  costi  di  transazione,  che  diventano  elevati  quando  la  razionalità  limitata  delle  persone  si  somma  a  situazioni  di  incertezza  oppure  se  c’è  il  rischio  del  verificarsi  di  comportamenti opportunistici. Perciò le parti si accordano e si aggregano sotto una stessa autorità, entrando a far parte dello stesso istituto e abbassando così i costi di transazione. 3.  Perché  l’intera  attività  economica  non  si  svolge  nell’ambito  di una  sola  grande  “organizzazione”  che  suddivida a coordini l’attività  di  ciascuno? se si attuasse un modello economico di questo tipo si disperderebbero enormi volumi di conoscenze, di capacità individuali e sociali, adottando soluzioni sovrasemplificanti e si diffonderebbe un senso di iniquità. 4. Perché gli istituti esterni alle famiglie si differenziano in macro classi quali le imprese, lo Stato, gli istituti non-profit? per  l’opportunità  di  sfruttare  l’efficienza  e  l’innovazione  tipiche  delle  imprese  che  operano  nei  mercati,  per la necessità di interventi dello Stato per evitare le iniquità o le inefficienze che produrrebbe la sola azione  privata  e  per  l’opportunità  di  dare  spazio  ad  attività  organizzate  ispirate  anche  da  motivazioni  altruistiche. 5. Perché le imprese sono così diverse tra di loro (dimensione, proprietà, integrazione)? per la pluralità di fattori concomitanti, alcuni spingono alla varietà (le diverse caratteristiche dei prodotti e  dei  mercati,  la  ricerca  di  vantaggi  competitivi,  l’innovazione,  le  differenti  competenze  delle  varie persone), altri  all’uniformità  (l’imitazione,  l’adattamento  a  modelli  di  impresa,  l’uniformità  delle  regole  formali,  l’integrazione  tecnica  dei  mercati). Esistono quattro modelli alternativi di configurazione dei sistemi economici: - il modello dell’autoconsumo: modello di economia primitiva, il modello è formato esclusivamente da gruppi primari di persone che svolgono al proprio interno e in autonomia, ciò che è prodotto è destinato all’autoconsumo;  mancano  le  forme  di  specializzazione  economica, mentre vi è la ripartizione dei compiti tra i vari membri. - il modello atomistico di mercato: modello astratto, le persone singole svolgono in autonomia la propria attività di lavoro specializzata, che viene poi coordinata dai meccanismi del mercato.

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- il modello della gerarchia totale:  modello  di  economie  socialiste,  esiste  un’organizzazione  statale  centrale  che  pianifica  l’intera  attività  economica,  al  posto  delle  imprese  ci  sono  unità  operative  che  eseguono  i  piani  statali. - il modello della pluralità di istituti specializzati: nel sistema economico ci sono vari e numerosi istituti, all’interno  delle  imprese  il  comportamento  degli  individui  è  definito  e  controllato  da  una  gerarchia,  mentre  le relazioni tra le imprese sono regolate dal mercato.

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2.3. LA SPECIALIZZAZIONE ECONOMICA 2.3.1. TRE LIVELLI DI SPECIALIZZAZIONE Una caratteristica molto evidente dei sistemi economici moderni è la specializzazione. Questa si manifesta a tre livelli: - 1° livello: specializzazione per macroclassi di istituti (imprese = produzione di beni privati, famiglie = consumi, Stato = produzione e consumo di beni pubblici, istituti). - 2° livello: specializzazione tra gli istituti di ciascuna macroclasse (imprese e istituti pubblici). - 3°  livello:  specializzazione  all’interno di ciascun istituto, dove le varie unità organizzative e le singole persone svolgono compiti particolari, usando speciali risorse e competenze. 2.3.2. LE ECONOMIE DI SPECIALIZZAZIONE La specializzazione comporta dei vantaggi, detti economie di specializzazione: le attività si svolgono più efficientemente, più rapidamente, con minor fatica e con risultati di migliore qualità. Questi derivano da: - l’apprendimento  da  ripetizione (destrezza, scoperta, repertorio di soluzioni) - l’impiego  “ottimale”  delle limitate e disomogenee competenze individuali - la differenziazione degli orientamenti manageriali e tecnici in relazione ad attività disomogenee (per perseguire gli obiettivi prefissati) - la riduzione dei costi di apprestamento e di passaggio tra le fasi (costi di setting) - le migliori performance degli impianti specializzati (svolgono solo una lavorazione ma ad altissima efficienza e qualità) - l’identificazione  e  la  motivazione  al  lavoro (effetti positivi sulla motivazione, si tende ad identificarsi con la propria attività, da un senso di padronanza della situazione) 2.3.3. GLI SVANTAGGI DELLA SPECIALIZZAZIONE La specializzazione produce anche degli svantaggi, ed è quindi dal bilanciamento tra vantaggi e svantaggi che deriva il grado opportuno di specializzazione. Questi sono: - i maggiori costi di coordinamento (possono sorgere tensioni e conflitti comportamenti opportunistici, rischi di break down, sono i costi degli strumenti di coordinamento da mettere in atto e i costi delle disfunzionalità residue, non evitate dagli strumenti di coordinamento) - i costi di rigidità e gli investimenti specifici/specializzati (le persone e gli impianti specializzati sono rigidi perché  se  occorre  modificare  l’attività  da  svolgere,  tempi  e  costi  sono  particolarmente alti; inoltre il valore di investimenti  specifici  può  andare  in  larga  misura  perso  al  cessare  dell’attività) - la demotivazione da parcellizzazione (effetti negativi sulla motivazione quando la specializzazione porta ad attribuire alle persone compiti isolati e ripetitivi) 2.3.4. SPECIALIZZAZIONE E DIMENSIONI CONVENIENTI Il fenomeno delle economie di specializzazione ha effetti forti sui volumi convenienti di produzione dei beni e sulle dimensioni convenienti degli istituti che producono beni. Quanto più grandi sono le economie di specializzazione, più numerosi sono i nuclei di attività che conviene specializzare e maggiore è la capacità produttiva che conviene istallare. Ma  perché  nascono  le  imprese?  Mentre  le  famiglie  creano  l’archetipo  delle  economie di autoconsumo, le economie di specializzazione fanno si che la dimensione conveniente per la produzione di molti beni sia superiore alla dimensione corrispondente ai consumi della singola famiglia. Le imprese, quindi, sono istituti

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che organizzano la produzione di beni specializzando e coordinando una pluralità di attività umane e di risorse. 2.3.5. L’AMPIEZZA  DEI  MERCATI  E  DELLE  CONOSCENZE Lo  sviluppo  economico  è  legato  ai  gradi  di  specializzazione  economica  e  all’accumulo  di  conoscenza.  Questo  perché: - la  specializzazione  può  crescere  in  proporzione  all’ampiezza  dei  mercati,  in  termini  di  volume  di  produzione  e di consumo dei beni. - la  crescita  delle  aziende  può  essere  franata  da  problemi  organizzativi,  ma  l’invenzioni  di  nuovi  strumenti  di  integrazione permette di passare a dimensioni più ampie e di realizzare economie di specializzazione. - maggiori sono le previste dimensioni del mercato e le potenziali economie di specializzazione, maggiori sono la disponibilità di risorse e gli incentivi per investire nella ricerca e nello sviluppo. 2.3. LA SPECIALIZZAZIONE ECONOMICA 2.3.1. TRE LIVELLI DI SPECIALIZZAZIONE Una caratteristica molto evidente dei sistemi economici moderni è la specializzazione. Questa si manifesta a tre livelli: - 1° livello: specializzazione per macroclassi di istituti (imprese = produzione di beni privati, famiglie = consumi, Stato = produzione e consumo di beni pubblici, istituti). - 2° livello: specializzazione tra gli istituti di ciascuna macroclasse (imprese e istituti pubblici). - 3°  livello:  specializzazione  all’interno  di  ciascun  istituto,  dove  le  varie  unità  organizzative  e  le  singole  persone svolgono compiti particolari, usando speciali risorse e competenze. 2.3.2. LE ECONOMIE DI SPECIALIZZAZIONE La specializzazione comporta dei vantaggi, detti economie di specializzazione: le attività si svolgono più efficientemente, più rapidamente, con minor fatica e con risultati di migliore qualità. Questi derivano da: - l’apprendimento  da  ripetizione (destrezza, scoperta, repertorio di soluzioni) - l’impiego  “ottimale”  delle  limitate  e  disomogenee  competenze  individuali - la differenziazione degli orientamenti manageriali e tecnici in relazione ad attività disomogenee (per perseguire gli obiettivi prefissati) - la riduzione dei costi di apprestamento e di passaggio tra le fasi (costi di setting) - le migliori performance degli impianti specializzati (svolgono solo una lavorazione ma ad altissima efficienza e qualità) - l’identificazione  e  la  motivazione  al  lavoro (effetti positivi sulla motivazione, si tende ad identificarsi con la propria attività, da un senso di padronanza della situazione) 2.3.3. GLI SVANTAGGI DELLA SPECIALIZZAZIONE La specializzazione produce anche degli svantaggi, ed è quindi dal bilanciamento tra vantaggi e svantaggi che deriva il grado opportuno di specializzazione. Questi sono: - i maggiori costi di coordinamento (possono sorgere tensioni e conflitti comportamenti opportunistici, rischi di break down, sono i costi degli strumenti di coordinamento da mettere in atto e i costi delle disfunzionalità residue, non evitate dagli strumenti di coordinamento)

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- i costi di rigidità e gli investimenti specifici/specializzati (le persone e gli impianti specializzati sono rigidi perché se occorre modificare  l’attività  da  svolgere,  tempi  e  costi  sono  particolarmente  alti;  inoltre  il  valore  di  investimenti  specifici  può  andare  in  larga  misura  perso  al  cessare  dell’attività) - la demotivazione da parcellizzazione (effetti negativi sulla motivazione quando la specializzazione porta ad attribuire alle persone compiti isolati e ripetitivi) 2.3.4. SPECIALIZZAZIONE E DIMENSIONI CONVENIENTI Il fenomeno delle economie di specializzazione ha effetti forti sui volumi convenienti di produzione dei beni e sulle dimensioni convenienti degli istituti che producono beni. Quanto più grandi sono le economie di specializzazione, più numerosi sono i nuclei di attività che conviene specializzare e maggiore è la capacità produttiva che conviene istallare. Ma perché nascono  le  imprese?  Mentre  le  famiglie  creano  l’archetipo  delle  economie  di  autoconsumo,  le  economie di specializzazione fanno si che la dimensione conveniente per la produzione di molti beni sia superiore alla dimensione corrispondente ai consumi della singola famiglia. Le imprese, quindi, sono istituti che organizzano la produzione di beni specializzando e coordinando una pluralità di attività umane e di risorse. 2.3.5. L’AMPIEZZA  DEI  MERCATI  E  DELLE  CONOSCENZE Lo sviluppo economico è legato ai gradi di specializzazione  economica  e  all’accumulo  di  conoscenza.  Questo  perché: - la  specializzazione  può  crescere  in  proporzione  all’ampiezza  dei  mercati,  in  termini  di  volume  di  produzione  e di consumo dei beni. - la crescita delle aziende può essere franata da problemi  organizzativi,  ma  l’invenzioni  di  nuovi  strumenti  di  integrazione permette di passare a dimensioni più ampie e di realizzare economie di specializzazione. - maggiori sono le previste dimensioni del mercato e le potenziali economie di specializzazione, maggiori sono la disponibilità di risorse e gli incentivi per investire nella ricerca e nello sviluppo.

LE COMBINAZIONI ECONOMICHE DI ISTITUTO 3.1. IL SISTEMA DEGLI ACCADIMENTI E LE COMBINAZIONI ECONOMICHE L’insieme  delle  operazioni  economiche  svolte  dalle persone di un istituto forma le combinazioni economiche generali dell’istituto  stesso.  Queste  sono  parte  del  sistema degli accadimenti,  ossia  l’insieme  delle  azioni  e  dei  fenomeni  che  si  manifestano  nell’azienda  e  nel  suo  ambiente  (una  speciale  categoria del sistema degli accadimenti è costituita dal sistema delle operazioni, ossia il sistema delle attività svolte dalle persone che compongono  l’organismo  personale  dell’azienda). 3.2. L’ARTICOLAZIONE  DELLE  COMBINAZIONI  ECONOMICHE  NELLE  IMPRESE Le combinazioni economiche delle imprese si articolano in: - coordinazioni economiche parziali (dette  anche  “funzioni”) - combinazioni economiche parziali ed  elementari  (dette  anche,  nelle  imprese,  “aree  di  affari”) - negoziazioni 3.2.1. LE COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI E LE NEGOZIAZIONI

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Le coordinazioni economiche parziali sono un insieme di processi caratterizzati da una funzione e da un insieme di competenze specialistiche applicate al loro svolgimento. Le coordinazioni economiche parziali di tutte le imprese sono riconducibili alle seguenti classi e sottoclassi: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: che comprende le operazioni che determinano la nascita, la configurazione  di  base,  le  trasformazioni  e  la  cessazione  dell’istituto. Questo è dato dalla  costituzione  dell’istituto, dalla  compagine  iniziale  dei  “soci”  e  dalle successive trasformazioni, dalla prima scelta e dalle trasformazioni di forma giuridica, dalla configurazione degli organi di governo, dalle acquisizioni, fusioni, scissioni, dalla stipulazione di alleanze e dalla  liquidazione  dell’istituto. Tutte le altre classi di operazioni sono fortemente influenzate dalle scelte di fondo che si compiono con la configurazione  dell’assetto  istituzionale. - GESTIONE: è il vasto insieme di operazioni attraverso cui l’impresa  attua  direttamente  la produzione economica (progetta, acquista, trasforma e vende). Si compone di cinque sottoinsiemi: a. gestione caratteristica:  è  composta  dall’insieme  delle  operazioni  di  gestione  che  identificano la funzione economico-tecnica  tipica  di  ciascuna  azienda  e  che  suscitano  la  gran  parte  dei  costi  e  dei  ricavi  dell’impresa. La gestione caratteristica è una gestione attiva quando è ben condotta e produce un risultato reddituale positivo (reddito operativo della gestione caratteristica). Si articola nelle seguenti coordinazioni e.p. che sono tra loro fortemente interdipendenti: - operazioni di ricerca e sviluppo: attività volte a configurare le caratteristiche del prodotto e le modalità di svolgimento dei processi di fabbricazione. - operazioni di acquisto merci e servizi destinati alla produzione: acquisto di impianti, materie prime e servizi. - operazioni di fabbricazione: attività di lavorazione e assemblaggio delle materie prime e dei componenti acquistati, attività di programmazione della produzione, di controllo intermedio e finale della qualità. - operazioni di commercializzazione:  vendita  dei  prodotti  dell’impresa  massimizzando  la  sua  convenienza  economica (vendita e marketing). - operazioni di logistica: svolte per trasportare, immagazzinare e movimentare le materie prime, i semi-lavorati o i prodotti finiti. b. gestione finanziaria: comprende l’insieme  delle  operazioni  volte  a  coprire  il fabbisogno finanziario, ossia il fabbisogno di mezzi monetari  necessari  per  avviare  l’impresa  e  per sostenerne lo sviluppo. Questo nasce perché di regola nelle imprese gli incassi derivanti dalle vendite si manifestano successivamente ai pagamenti derivanti dagli acquisti; può essere coperto ricorrendo al capitale proprio (o capitale di rischio) oppure al capitale di prestito (mutui, obbligazioni). La gestione finanziaria è una gestione passiva, in quanto comporta interessi passivi sul capitale di terzi e remunerazioni del capitale proprio. Si compone di quattro  attività:  la  previsione  e  l’analisi  del  fabbisogno  finanziario,  la  valutazione  in  merito  alla  combinazione ottimale di ricorso al capitale di rischio e al capitale di prestito, la pianificazione e attuazione delle negoziazioni di capitale di rischio e di prestito e infine la gestione di relativi contratti. c. gestione patrimoniale: può  accadere  che,  per  un  certo  periodo  di  tempo,un’impresa disponga di mezzi monetari eccedenti rispetto a quanto richiesto dalla gestione caratteristica; in questi casi, si attiva la gestione patrimoniale che consiste  nell’investimento  di  tali  mezzi  monetari  (surplus) al fine di trarne un reddito. L’investimento  può  consistere,  ad  esempio, nell’acquisto  di  titoli  di  Stato  o  di  azioni  di  altre imprese o  nell’acquisto  di  immobili.  La gestione patrimoniale è in linea di principio una gestione attiva, ma talvolta può provocare perdite (quotazioni decrescenti delle azioni acquistate). d. gestione assicurativa: ciascun istituto è soggetto sia ad un rischio economico generale (possibilità che le combinazioni economiche complessive producano utili o perdite che ne sostengono o ne minacciano la vita), sia a rischi particolari che possono essere oggetto di copertura mediante la sottoscrizione di contratti di assicurazione (furti, incendi, danni a terzi). I rischi coperti possono derivare sia dalla gestione caratteristica sia dalle gestioni patrimoniale e finanziaria. E’  una  gestione  tipicamente  passiva  comportando  il  costo  dei  premi  assicurativi  e  indennizzi  solo a fronte di equivalenti danni. e. gestione tributaria: consiste nella liquidazione e nel pagamento della vasta gamma di tributi che le imprese devono versare allo Stato e ad altri enti pubblici a fronte dei beni pubblici ricevuti. Gli oneri tributari

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sono suscitati sia dalla gestione caratteristica sia dalle gestioni patrimoniale e finanziaria. Differenti scelte d’impresa  (relative,  ad  esempio,  alla forma giuridica, alle modalità di finanziamento, alla localizzazione) determinano differenti combinazioni e livelli di tributi da corrispondere. La gestione tributaria è tipicamente una gestione passiva comportando solo oneri tributari. Il profilo reddituale e monetario delle gestioni: - analizzare la gestione secondo il profilo reddituale significa indagare il formarsi dei costi e dei ricavi, cioè come ciascuna delle cinque gestioni contribuisce al formarsi del risultato reddituale (utile o perdita). - analizzare la gestione secondo il profilo monetario significa studiare i flussi di entrate e di uscite, ossia delle riscossioni e dei pagamenti suscitati dalle varie classi di negoziazioni. Ciò serve per capire se e come l’impresa  è  sistematicamente  in  grado  di  far  fronte,  con  le  entrate,  alle  proprie  uscite  (grado  di  solvibilità) Il profilo reddituale e il profilo monetario sono strettamente connessi, ma non coincidono. - ORGANIZZAZIONE:  disegna  la  struttura  organizzativa  dell’impresa  ed  è  alla base della motivazione delle persone e dell’efficienza  aziendale. Si compone di due classi di attività: a. progettazione dell’assetto  organizzativo: consiste nella progettazione della struttura organizzativa dell’impresa  (chi deve fare che cosa, chi dipende da chi) e nella progettazione dei sistemi operativi (sistemi di pianificazione, di programmazione e di gestione del personale). b. gestione dei prestatori di lavoro:  è  l’attuazione  dei  sistemi  operativi  di  gestione  del  personale  in  modo  che  l’azienda  disponga  di  un  organismo  personale  adatto,  che  queste  persone  vengano  ricompensate  equamente e che siano motivate. - RILEVAZIONE:  consistono  nella  raccolta,  nell’elaborazione, nella conservazione e nella diffusione dei dati e delle informazioni e servono per supportare le scelte dei decisori, sia  interni  sia  esterni  all’azienda. Sono una classe particolare di accadimenti aziendali, infatti sono operazioni che si sostanziano nella variazione di valori componenti  il  capitale  di  funzionamento  dell’azienda. Tutte le classi di attività (progettazione degli assetti istituzionali, gestione, organizzazione, rilevazione) comportano lo svolgimento sia di attività interne sia di attività esterne, ossia di relazioni con altri istituti. Tra le attività esterne sono di primaria importanza le negoziazioni che servono per acquisire da terzi le condizioni di produzione e per cedere i prodotti e le condizioni di produzione. Le negoziazioni reali non si svolgono mai in condizioni di perfetta trasparenza, conoscenza, lealtà e di equilibrio di potere delle parti, non si svolgono cioè in condizioni di razionalità assoluta e in mercati perfetti. Si tengono perciò in considerazione: - i costi di transazione - l’asimmetria  informativa - gli investimenti specifici - la forza contrattuale Le grandi classi di negoziazioni svolte dalle imprese sono: a. negoziazioni di beni privati: operazioni di acquisto e di vendita di merci e servizi che sono ceduti da soggetti privati, si svolgono sotto forma di scambio monetario. Gli elementi di scambio sono il bene scambiato, il volume, il prezzo unitario, il prezzo complessivo e il tempo di pagamento. Inoltre comprendono l’acquisto  di  beni  da  reddito  e  da  rivalutazione. b. negoziazioni di beni pubblici c. negoziazioni di lavoro d. negoziazioni di capitale di rischio:  consiste  nell’acquisto  la  disponibilità  di  mezzi  monetari  a  titolo  di  capitale proprio, i conferenti  danno  all’impresa  mezzi  monetari  attendendosi  una  rimunerazione  correlata  ai  risultati  reddituali  dell’impresa,  e  quindi  incerta;  nel  caso  si  ceda  la  propria  quota  il  conferente  capitale  di  rischio realizza un guadagno in conto capitale (g.f.). Inoltre  comprendono  l’acquisto  di  azioni  (g.p.). e. negoziazioni di capitale di prestito:  hanno  per  oggetto  l’acquisizione  e  la  cessione  di  mezzi  monetari  destinati alla copertura dei fabbisogni finanziari delle aziende, chi lo riceve si impegna a rimborsarlo in un

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determinato periodo di tempo e di pagare interessi passivi in proporzione alla quantità di denaro ricevuta e al  livello  di  rischio.  Inoltre  comprendono  l’acquisto  di  titoli  di  stato,  o  di  obbligazioni  (g.p.). f. negoziazioni di rischi particolari: o contratti di assicurazione volti a coprire i danni derivanti da possibili eventi  negativi  nell’ambito  delle  varie  gestioni. 3.2.10. LE COMBINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Per combinazione economica parziale (aree  d’affari)  si  intende  una  combinazione  prodotto-mercato con propri caratteri distinti rispetto alle altre combinazioni prodotto-mercato attuate da una stessa impresa (questo tipo di imprese, dette imprese diversificate, hanno deciso di compiere mosse di diversificazione). Le combinazioni economiche parziali sono però avvinte da un rapporto di complementarietà e di comunanza, si possono, quindi, apprezzare compiutamente solo se osservate insieme. 3.2.11. LE VARIANTI PER DIFFERENTI CLASSI DI IMPRESE Le combinazioni economiche delle imprese sono riconducibili a: operazioni che servono per acquisire gli input necessari per la produzione, operazioni che servono per trasformare gli input in output cedibili ai clienti,  operazioni  che  servono  per  cedere  ai  clienti  i  beni  offerti  dall’impresa  e  operazioni di impostazioni e di governo della complessiva attività aziendale.

3.3. COMBINAZIONI ECONOMICHE NELLO STATO 3.3.1. IL RUOLO DELLO STATO Lo Stato svolge un ruolo essenziale nei sistemi economici intervenendo secondo più modalità: producendo direttamente o indirettamente beni pubblici o privati, regolamentando la produzione o il consumo di altri beni, imponendo tributi e ridistribuendo la ricchezza. Esso interviene quando: un bene economico e considerato politicamente critico e quando lasciando la sua produzione a imprese private si otterrebbero esiti negativi dal punto di vista politico. Lo Stato interviene se il mercato è inefficiente e quindi perché: 1. esistono beni pubblici puri: sono beni senza rivalità nei consumi e non escludibili (difesa nazionale). 2. si formano mercati non concorrenziali: in particolare i monopoli naturali, infatti senza controlli le imprese private ne trarrebbero vantaggi indebiti, perciò interviene lo Stato come produttore o come regolatore. 3. esistono esternalità positive/negative: quando  un  soggetto  compie  un’azione  che  ha  effetti  positivi o negativi su  un  altro  soggetto  senza  che  quest’ultimo  paghi  per  tale  effetto  o  riceva un indennizzo. Le imprese private tendono ad appropriarsi di esternalità positive e a scaricare esternalità negative, lo Stato interviene come produttore o come regolatore. 4. esistono mercati incompleti: quando spazi di mercato sono lasciati vuoti dalle imprese che li giudicano non attraenti (troppo piccoli o rischiosi) e che invece secondo lo Stato sono critici. 5. esistono asimmetrie informative: quando i beni sono complessi e difficili da giudicare ex-ante (sanità, istruzione), il consumatore può preferire un fornitore pubblico. Oppure anche se esistono mercati perfetti per: 6. ridistribuire il reddito: se la distribuzione dei redditi è giudicata politicamente non valida dallo Stato, questo può rendere accessibili beni critici a prezzi non di mercato, o producendoli direttamente o distribuendo sussidi o incentivi. 7. imporre il consumo di beni di merito: lo Stato incentiva il consumo di beni giudicati politicamente importanti ma che i cittadini non percepiscono come tali. 8. garantire uno Stato di diritto: in generale, lo Stato interviene  con  le  leggi  per  far  sì  che  l’attività economica si svolga correttamente.

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3.3.1. COMBINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI La struttura delle combinazioni economiche può essere rappresentata attraverso l’incrocio  di  due dimensioni: - le aree di intervento: combinazioni parziali corrispondenti ad insiemi di bisogni pubblici, definibili anche come finalità o prodotti dello Stato. - le aree di gestione: insieme delle attività di varia natura svolte dallo Stato per il perseguimento delle finalità. Le tipiche aree di intervento dello Stato sono: difesa nazionale, giustizia, sicurezza pubblica, relazioni internazionali, istruzione e cultura, assistenza e previdenza, sanità, trasporti e comunicazioni, sviluppo economico. In ciascuna di queste interviene offrendo una pluralità di prodotti destinati a varie categorie di cittadini (prodotti, destinatari, aree geografiche). 3.3.2. COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Le coordinazioni economiche parziali dello Stato sono riconducibili a: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: il suo assetto istituzionale si evolve ogni volta che cambiano le aree nelle quali deve intervenire, i rapporti da configurare con i prestatori di lavoro, le forme dirette e indirette con cui realizzare la produzione  e  l’erogazione  dei  beni  pubblici,  l’interazione  con altre pubbliche amministrazioni,  l’impostazione  del sistema fiscale, le relazioni con i cittadini attraverso gli organi elettivi ed amministrativi. - GESTIONE: a. gestione caratteristica: la gestione caratteristica dello Stato si svolge in tre classi di operazioni: - produzione diretta o indiretta di beni: può decidere di produrre sia beni pubblici puri, sia beni privati o misti, sia in maniera diretta (proprio lo Stato) sia in maniera indiretta (attraverso imprese che possiede). I costi  possono  essere  coperti  attraverso  tasse  o  tariffe  correlate  all’utilizzo  del  bene,  imposte  non  correlate  o  tariffe proporzionate ai costi. - emanazione di leggi e regolamenti: in generale può essere considerata  come  l’attività  essenziale  degli  istituti pubblici ed influenza il soddisfacimento dei bisogni pubblici, si distinguono le norme che impongono divieti, autorizzazioni, e regole di comportamento e le norme che impongono la produzioni di beni pubblici da parte di soggetti privati. - trasferimenti di mezzi monetari: assegnazione di una parte di mezzi monetari raccolti dallo Stato ad istituti che non fanno parte della pubblica amministrazione, sia volti ad attuare ridistribuzioni di ricchezza sia volti a finanziare attività o ad adottare comportamenti giudicati di interesse pubblico. b. gestione finanziaria: è molto rilevante, spesso lo Stato e gli istituti pubblici non riescono a coprire i loro costi con le entrate tributarie e devono coprire i loro deficit ricorrendo  all’indebitamento. Il fabbisogno finanziario dello Stato può essere soddisfatto con varie forme di debiti di finanziamento (emissione di titoli di debito pubblico). c. gestione patrimoniale: si compone di operazioni di investimento e di disinvestimento in beni da reddito e rivalutazione finalizzate alla produzione di ricavi addizionali a quelli della gestione caratteristica. Di solito lo Stato e gli altri istituti pubblici sono in deficit, ossia non dispongono di risorse da dedicare alla gestione patrimoniale. d. gestione assicurativa: si svolge con modalità analoghe a quelle delle imprese dovendo coprire numerose classi di rischi particolari. In alcuni  casi  lo  Stato  diviene  anche  l’assicuratore a favore di famiglie, imprese, istituti non-profit a fronte di particolari eventi dannosi quali le calamità naturali. e. gestione tributaria: svolge due gestioni tributarie: una gestione tributaria passiva, nella quale lo Stato paga varie categorie di tributi, e una gestione tributaria attiva. Questa si compone dei processi di definizione delle caratteristiche e dei livelli dei tributi, di accertamento, di prevenzione e repressione dell’evasione  fiscale,  di  riscossione. Può anche essere vista come parte della gestione caratteristica, costituendo il corrispettivo (nelle diverse forme nelle quali si possono classificare i tributi: prezzi, tariffe, imposte) della produzione ed erogazione dei servizi pubblici.

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- ORGANIZZAZIONE: queste operazioni sono simili a quelle delle imprese, si tratta di impostare la struttura organizzativa e i sistemi operativi in modo da assicurare efficienza, motivazione e flessibilità. Due importanti differenze rispetto alle imprese sono: il delicato rapporto tra organi politici eletti dai cittadini e gli organi amministrativi formati da tecnici, il prevalere del principio della legalità (applicazione uniforme della legge) rispetto  a  quello  dell’imprenditorialità  (soluzioni  varie  e  sempre  nuove). - RILEVAZIONE: sono più complesse rispetto a quelle delle imprese in quando devono rappresentare anche le dimensioni politiche e sociali degli obiettivi e dei risultati dello Stato. 3.4. COMBINAZIONI ECONOMICHE NELLA FAMIGLIA 3.4.1. IL RUOLO DELLA FAMIGLIA Le famiglie sono  i  protagonisti  essenziali  dell’attività  economica,  sono  gli  istituti  nei  quali  si  compie  la  gran  parte  dell’attività  economica  di  consumo,  inoltre  è  l’istituto  nel  cui  ambito  si  svolgono  alcune  parti  essenziali  della produzione economica, e dove si predispongono le condizioni necessarie per il soddisfacimento dei bisogni delle persone. Nei sistemi economici evoluti, le famiglie esternalizzano molte attività di produzione precedentemente svolte  dai  propri  membri,  mentre  si  svolgono  all’interno  della  famiglia le attività che dal punto di vista morale ed etico sono considerate critiche (educazione, assistenza), dal punto di vista tecnico non comportano rilevanti diseconomie di specializzazione e di dimensione. 3.4.2. COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Le coordinazioni economiche parziali delle famiglie sono riconducibili a: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: in quanto istituto sociale e primario, la famiglia non comporta fondamentali scelte di configurazione dell’assetto  istituzionale;  tuttavia, alcune scelte critiche riguardano il regime patrimoniale tra i coniugi, le relazioni economiche con le famiglie di parenti e affini, eventuali affidamenti e adozioni, la suddivisione del lavoro interno ed esterno, le relazioni con coloro che prestano lavoro domestico. - GESTIONE: a. gestione caratteristica: è composta essenzialmente da: - attività di produzione di redditi mediante il lavoro esterno - attività di lavoro interno alla famiglia - attività di consumo: comprende un complesso insieme di operazioni di produzione a cui si applicano grandi volumi di lavoro interno: negoziazioni di acquisto di beni, operazioni di trasformazione tecnica dei beni di consumo, negoziazioni di beni pubblici e operazioni di pagamento. b. gestione finanziaria: è formata dalle operazioni di negoziazione di credito di prestito (mutui, credito al consumo) che fanno sorgere i debiti di finanziamento e dai connessi pagamenti di quote capitale ed interessi. c. gestione patrimoniale: consiste  nell’impiego di risparmio in investimenti (titoli, immobili da reddito) destinati a produrre redditi addizionali rispetto a quelli derivanti dal lavoro esterno, dipende fortemente dalle scelte di consumo e risparmio (in questo caso può essere considerata come parte della gestione caratteristica). Si attua come combinazione di una vasta gamma di operazioni: operazioni di investimento di mezzi monetari, acquisti di beni di uso durevole da reddito e da rivalutazione, operazioni di negoziazioni di rischi particolari connessi agli investimenti, operazioni di pagamento e riscossione, operazioni di impiego e amministrazione degli investimenti e operazioni di fruizione dei beni pubblici. d. gestione assicurativa: sia sulla vita dei singoli membri sia a copertura di danni particolare alle cose (abitazione, furti, responsabilità civile) è spesso presente nella gestione familiare. e. gestione tributaria: consiste nelle operazioni di accertamento, di liquidazione e di pagamento di vari tipi di tributi (imposte, tasse e contributi a fronte del diritto di accedere ai beni prodotti dallo Stato).

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- ORGANIZZAZIONE: dato in numero di persone componenti la famiglia non si presentano particolari problemi di progettazione organizzativa. - RILEVAZIONE: possono essere utili dei sistemi elementari atti a supportare alcune scelte di gestione familiare. 3.5. COMBINAZIONI ECONOMICHE NEGLI ISTITUTI NON-PROFIT 3.4.1. IL RUOLO DEGLI ISTITUTI NON-PROFIT Nei sistemi economici evoluti una parte rilevante dell’attività economica si svolge in istituti non-profit. Questi sono istituti privati (anche se spesso finanziati anche dallo Stato) nei quali è vietata la ridistribuzione dei risultati reddituali e del patrimonio a favore dei soggetti che li controllano. Quando nasce un istituto non-profit? Un istituto non-profit nasce quando uno o più soggetti privati ritengono che sia utile o doveroso che certi insiemi  di  persone  (loro  stessi  o  categorie  disagiate  o  l’intera  collettività)  dispongano  di  beni  che  gli  altri  tipi  di istituti (famiglie, imprese, Stato) non offrono nei modi (qualità e prezzi) ritenuti opportuni. Questi agiscono come produttori privati di beni pubblici per soddisfare la domanda che non viene coperta dallo Stato, intervengono in situazioni di forte asimmetria informativa, inoltre godono di taluni vantaggi normativi e fiscali (lo Stato favorisce il formarsi di istituti non profit che con risorse prevalentemente private offrono beni pubblici). 3.3.2. COORDINAZIONI ECONOMICHE PARZIALI Le coordinazioni economiche parziali degli istituti non-profit sono riconducibili a: - CONFIGURAZIONE DELL’ASSETTO ISTITUZIONALE: è rilevante soprattutto nei casi nei quali coloro che forniscono contributi non usufruiscono dei servizi erogati.  In  questo  caso  nasce  l’esigenza  da  parte dei primi di controllare il buon uso delle risorse e diventano problematiche anche le scelte collettive di governo economico. La progettazione degli assetti istituzionali deve tenere presente due finalità: costruire e proteggere  l’immagine  di affidabilità  dell’istituto e garantire elevati livelli autonomia. - GESTIONE: a. gestione caratteristica: è molto eterogenea perché sono di natura molto varia, si possono distinguere i seguenti casi: - INP assimilabili a istituti di produzione (sanità, istruzione) nei quali avvengono processi di acquisto, trasformazione e cessione a clienti che pagano corrispettivi assimilabili ai prezzi. Il carattere non-profit deriva dalla destinazione del risultato reddituale. - INP assimilabili a istituti di produzione e consumo nei quali i destinatari della produzione sono i membri stessi  dell’istituto. - INP di pura erogazione (enti di beneficenza) in cui prevalgono i processi di trasferimento delle disponibilità finanziarie raccolte rispetto ai processi di trasformazione tecnica. Molti INP sono accumunati da uno stesso nucleo di attività che consiste nella raccolta dei contributi, delle donazioni e delle agevolazioni necessari a coprire il disequilibrio tra i costi sostenuti e i ricavi ottenuti a fronte delle singole prestazioni (contributi, lavoro volontario, donazioni, condizioni favorevoli di prestito, contributi statali, agevolazioni fiscali e amministrative). Questo argomento è critico perché è indispensabile per  la  durabilità  dell’istituto,  ma  allo  stesso  tempo  ne  determina  l’assetto  istituzionale  (contributo  =  governo). b. gestione finanziaria: assume caratteri particolari in questi istituti, l’incertezza  di  redditi  costanti  infatti  limita di molto la loro capacità di assumere debiti di finanziamento che richiedono rimborsi tempificati, inoltre è strettamente connessa a quella parte della gestione caratteristica che consiste nel fund raising, ossia nella raccolta di contributi non corrispondenti  a  specifiche  prestazioni  dell’INP. c. gestione patrimoniale: può essere del tutto trascurabile in diversi INP in quanto difficilmente generano risparmio, tuttavia alcuni godono di importanti patrimoni sia finanziari sia immobiliari; in questi casi la

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gestione patrimoniale assume grande rilevanza in quanto capace, se ben gestita, di produrre redditi importanti  per  l’equilibrio  economico  dell’INP. d. gestione assicurativa: assume  varia  rilevanza  in  relazione  all’attività svolta dagli INP. Nel caso di INP che svolgono attività in settori rischiosi quali quello sanitario o ospedaliero, della protezione civile, oppure agli INP proprietari di patrimoni immobiliari di elevato valore artistico. e. gestione tributaria: è strettamente connessa alla gestione caratteristica. Lo Stato, infatti, accorda agli INP agevolazioni fiscali sia in termini di minori o nulli carichi fiscali sia in termini di contributi pubblici. La presenza di  INP  riduce  l’intervento  diretto  da parte dello Stato e quindi le agevolazioni fiscali vanno a compensare i costi che altrimenti lo Stato dovrebbe sostenere per la propria presenza diretta. - ORGANIZZAZIONE: deve realizzare buoni risultati di efficienza basati anche su alti livelli di motivazione del personale e deve tenere conto di due fattori: bisogna tenere  alta  la  tensione  rispetto  all’efficienza, poiché negli INP mancano forti attese di produzione di risultati reddituali e bisogna garantire correttezza nei comportamenti al fine di salvaguardare  l’immagine  di  affidabilità;  se l’immagine  dell’INP  si  degrada,  il  fund  raising diventa problematico. - RILEVAZIONE: sono più complesse rispetto a quelle delle imprese in quando devono rappresentare anche la dimensione sociale degli obiettivi e dei risultati raggiunti e  rafforzare  l’affidabilità  e  l’accountability  dell’istituto. 3.6. RELAZIONI ECONOMICHE TRA ISTITUTI: LO SCAMBIO Le aziende in quanto ordine economico di istituti sono tra loro legate da molteplici relazioni di varia natura. L’ambiente  economico  nel  quale  un’azienda  opera  è  in  larga  parte  definito  dall’insieme  delle  aziende  con  cui  essa interagisce e delle relazioni che si instaurano. Tra tutte le classi di aziende si da una generale relazione di complementarietà per il comune concorso all’attuazione  dei  complessivi  processi  economici  di  produzione  e  consumo  (necessaria  a  realizzare  il  bene  comune). Le relazioni tra insiemi di aziende sono poi determinate della partecipazione contemporanea di ciascuna persona alle aziende di più istituti. Le aziende si riuniscono in aggregati variamente formalizzati (varie relazioni interaziendali). Lo scambio origina vaste classi di relazioni interaziendali, permette di effettuare trasferimenti di beni privati a titolo oneroso e origina relazioni di credito, di prestito e di assicurazione. Forme differenti di scambio sono le negoziazioni istituzionali comprendenti i trasferimenti di capitale di rischio, di lavoro e di beni pubblici, dei trasferimenti di beni privati a titolo non oneroso e dei trasferimenti impliciti. Lo scambio monetario caratterizza le economie di mercato fondate sulla specializzazione economica e sula proprietà privata e pubblica (il suo corrispettivo è moneta o credito monetario). Gli scambi vengono attuati tra aziende e fanno parte delle combinazioni economiche delle stesse. Il  prezzo  è  il  valore  monetario  attribuito  a  alle  condizioni  di  produzione  e  di  consumo  acquisite  da  un’azienda  compratrice da una  venditrice:  si  parla  di  prezzo  unitario  se  si  considera  l’unità  di  misura  delle  condizioni  di  produzione e di consumo acquistate (prezzo-costo o prezzo-ricavo), mentre si parla di prezzo complessivo se si considera la quantità di moneta. I valori numerari  sono  tutti  i  valori  d’azienda  che  esprimono  strumenti  di  regolamento  degli  scambi,  mezzi  cioè  che  caratteristicamente  sorgono  per  la  funzione  tipica  della  moneta,  assumono  appunto  l’attributo  numerario (crediti o debiti di regolamento, disponibilità di cassa). I valori non numerari sono tutti i valori che, al contrario, non ineriscono a strumenti di regolamento (costi e ricavi, crediti o debiti di prestito). Le operazioni di scambio originano varie forme di credito, ovvero quando le prestazioni fondamentali dell’azienda  compratrice  e  dell’azienda  venditrice  non  sono  eseguite  contestualmente  (se  la  prestazione  differita ha per oggetto un bene = credito in natura, se ha per oggetto il pagamento della quantità di moneta corrispondente a un prezzo = credito monetario).

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Quando il credito monetario è mezzo temporaneo di regolamento dello scambio si dice credito di regolamento (v.n.), si parla invece di credito di prestito quando sorge come corrispettivo della disponibilità di una data quantità di moneta per un certo periodo di tempo (v.n.n.).

GLI ASSETTI ISTITUZIONALI 4.1. UN MODELLO GENERALE Secondo uno schema di analisi generale ogni istituto è visto come un insieme di soggetti, che offrono contributi, e che per tale motivo ricevono ricompense o traggono benefici: tali soggetti configurano i portatori di interessi. L’analisi  dell’assetto istituzionale è importante per valutare la capacità di un istituto di perdurare nel tempo. Per la vita duratura di un istituto è essenziale che si abbia un governo unitario, ovvero deve rispettare due condizioni: i contributi di tutti i soggetti devono essere combinati secondo un disegno unitario (che assicuri la complementarietà delle  risorse  e  dei  comportamenti,  e  l’efficace  perseguimento  del  bene  comune)  e  la responsabilità delle decisioni ultime deve essere attribuita ad uno ed un solo organo, secondo un principio di unità di comando. Per realizzare un efficace governo di un istituto occorre operare tre insiemi di scelte fondamentali: - occorre decidere il soggetto  d’istituto, ovvero a quali insiemi di soggetti assegnare il diritto e il dovere di governare, direttamente o tramite propri rappresentanti. - occorre esplicitare i fini istituzionali, ovvero a quali  finalità  e  obiettivi  debba  ispirarsi  l’azione  del soggetto d’istituto. - occorre configurare la struttura di governo, ovvero gli organi e i meccanismi di governo che consentano un’efficace  azione  dei  soggetti  deputati  a  governare. L’assetto istituzionale è la configurazione dei portatori di interessi nei  confronti  dell’istituto,  dei  contributi che  tali  soggetti  forniscono  all’azienda,  delle  ricompense e dei benefici che ne ottengono, del soggetto d’istituto, dei fini istituzionali e delle strutture di governo che regolano in equilibrio dinamico di lungo periodo, le relazioni tra i portatori di interessi, i contributi e le ricompense. Questo  è  l’elemento  sovraordinato  della  struttura  dell’azienda. 4.2. I SISTEMI DI INTERESSI CONVERGENTI NEGLI ISTITUTI 4.2.1. SCHEMA GENERALE Bisogna innanzitutto individuare i portatori di interessi e individuare i rapporti che ciascuna categoria instaura  con  l’istituto. - attorno a ciascun istituto si configura sempre una vasta gamma di interessi di varia natura: interessi economici, sociali, morali. - i vari insiemi di interessi sono parzialmente in competizione tra di loro. - i contributi provenienti dai vari soggetti sono complementari, ma si possono manifestare anche parziali fungibilità. - le condizioni di scambio non sono sempre simmetriche, in alcuni casi si ha una strutturale asimmetria tra ciò che il soggetto da e ciò che il soggetto riceve.

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- le varie relazioni sono caratterizzate dai rapporti di forza contrattuale che dipendono dal grado di concentrazione  della  domanda  e  dell’offerta,  dagli  investimenti  specifici  eventualmente  in  atto,  dall’asimmetria  informativa  tra  le  parti. - molte delle attese dei soggetti in gioco sono implicite e non dichiarate, ma sottintese ai valori e alle consuetudini in essere.

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4.2.2. SISTEMA  DI  INTERESSI  CONVERGENTI  NELL’IMPRESA - prestatori di lavoro: conferiscono il loro lavoro qualificabile in termini di tempo, competenze, impegno, imprenditorialità, creatività e risultati. In cambio si aspettano dall’impresa  una  rimunerazione  periodica,  stabilità, prospettive di carriera e buone condizioni di lavoro. L’impresa  si  aspetta  lealtà,  obbedienza,  impegno,  disponibilità  e  rispetto  delle  leggi. I contratti assicurano al lavoratore ampi diritti e tutela, ma allo stesso tempo è possibile che possa perdere il posto, la loro retribuzione è legata al contenuto della mansione svolta, che può variare nel tempo. I rapporti di lavoro sono regolati da vari insiemi di norme di leggi, regolamenti, contratti aziendali, contratti collettivi e contratti individuali; tali contratti regolano numerosi aspetti del rapporto di lavoro, definendo gli standard minimi di riferimento e le integrazioni particolari. - conferenti di capitale di rischio: conferiscono mezzi monetari a titolo di capitale proprio soggetto al rischio generale  di  impresa.  Essi  hanno  diritto  agli  utili  prodotti  dall’impresa  e  possono  cedere  liberamente  i  loro  diritti  vendendo  le  proprie  quote  del  capitale  di  rischio  (guadagno  in  conto  capitale);  se  l’impresa cessa l’attività  ciascuno  di  loro  ha  diritto  a  una  quota  del  patrimonio  che  residua  dopo  aver  soddisfatto  tutti  gli  obblighi nei confronti delle altre parti (guadagno in conto capitale). Ovviamente la rimunerazione è incerta e può configurarsi anche sottoforma di perdita. Essi hanno anche il diritto-dovere di esercitare il governo economico  dell’impresa. - fornitori:  apportano  all’impresa  condizioni  di  produzione  di  varia  natura  secondo  una  pluralità  di  condizioni  di scambio (qualità, prezzi, volumi, tempi). Le relazioni tra clienti e fornitori assumono caratteri particolari quando  i  rapporti  di  forza  sono  particolarmente  sbilanciati  in  favore  di  una  o  dell’altra  parte. - conferenti capitale di prestito: apportano mezzi monetari che sono messi a disposizione  dell’impresa  per  un  dato  periodo  di  tempo  a  fronte  dell’impegno  di  rimborso  del  capitale  e  del  pagamento  di  interessi  nella  misura e nei tempi stabiliti. - imprese di assicurazione: coprono rischi particolari delle imprese clienti a fronte di premi. Il rapporto tra assicuratore e assicurato varia notevolmente in relazione al grado di prevedibilità dei sinistri. - clienti:  acquistano  i  beni  prodotti  dall’impresa  e  gestiscono  il  loro  rapporto  secondo  le  molteplici  condizioni  di  scambio.  La  numerosità,  l’intensità e la stabilità dei rapporti con i clienti rappresenta parte fondamentale del patrimonio di tutte le imprese. - alleati istituzionali: sono imprese partner in aggregati quali i gruppi di imprese, i consorzi, le joint ventures. I flussi di contributi e di ricompense variano a seconda del tipo di alleanza. - concorrenti: sono le imprese che offrono prodotti analoghi a quelli di una certa impresa nello stesso mercato. - Stato: è legato alle imprese da molteplici relazioni che danno luogo a differenti insiemi di contributi, di ricompense e di attese. Lo Stato può essere sia produttore ed erogatore di beni pubblici. - collettività locali: instaurano relazioni particolarmente significative. 4.2.3. SISTEMA DI INTERESSI CONVERGENTI NELLA FAMIGLIA I primari portatori di interesse in una famiglia sono i membri della famiglia stessa. Per  quanto  riguarda  le  attese  economiche,  queste  consistono  nell’attuazione  di  consumi  di  beni  privati  e  pubblici; il fine immediato dei consumi è direttamente connesso a quello del conseguimento di redditi di lavoro e di gestione patrimoniale atti a coprire i consumi e i tributi e tali da consentire un risparmio da destinare  alla  conservazione  e  all’incremento  del  patrimonio  da  reddito  e  da  rivalutazione  (formazione  risparmio è indice di soddisfacimento dei bisogni economici). 4.2.4. SISTEMA DI INTERESSI CONVERGENTI NELLO STATO I primari portatori di attese nei confronti dello Stato sono i cittadini, che si aspettano di poter disporre di beni pubblici atti, per volume e qualità, a soddisfare i loro bisogni. Per contro lo Stato si aspetta che tutti i

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cittadini contribuiscano alla copertura dei costi di produzione dei beni pubblici attraverso il pagamento dei tributi. La gestione di questi sistemi da parte dello Stato è problematica perché: differenti categorie di cittadini hanno differenti attese non sempre compatibili, i vari servizi pubblici sono in competizione tra loro (risorse investite)  e  per  la  propensione  dei  cittadini  all’evasione  fiscale. Tra Stato e cittadini si instaurano importanti relazioni economiche per ciò che riguarda il capitale di prestito; inoltre lo Stato impiega numerosi prestatori di lavoro. Un sistema di attese lega anche Stato ed entità parziali e locali in cui esso stesso si articola, e anche numerose organizzazioni politiche sopranazionali. Infine lo Stato può decidere di produrre beni privati attraverso imprese di cui detiene la totalità o la maggioranza del capitale di rischio. 4.2.5. SISTEMA DI INTERESSI CONVERGENTI NEGLI ISTITUTI NON-PROFIT Se l’istituto  non-profit è impegnato nella valorizzazione del patrimonio artistico e ambientale, fondatori e finanziatori sentono la necessità di tutelarne una determinata parte, conferendo mezzi monetari ed energie personali.  Si  aspettano  che  l’istituto  riesca a compiere interventi importanti per la tutela di tale patrimonio e che questi risultino visibili e siano apprezzati. La collettività e lo Stato, in quanto fornitori di contributi, si aspettano che le risorse fornite siano utilizzate per le finalità dichiarate e con la massima trasparenza ed efficienza. 4.3. L’INTEGRAZIONE  DEI  CONTRIBUTI:  IL  SOGGETTO  ECONOMICO 4.3.1. L’INTEGRAZIONE  DINAMICA  DEI  CONTRIBUTI L’integrazione  tra  i  diversi  portatori  di  interessi,  ovvero  l’instaurazione  di  relazioni  di  relazioni  di  cooperazione tra tutti i soggetti, è condizione necessaria per garantire agli istituti una vita economica duratura.  L’integrazione dinamica dei contributi è una condizione di economicità. La cooperazione,  l’integrazione  armonica  dei  soggetti,  dei  contributi  e  delle  ricompense  sono  condizioni  essenziali di efficienza. L’integrazione  dinamica  dei  contributi  dei  vari  soggetti  si caratterizza per alcuni vantaggi: - bassi costi di transazione con i soggetti esterni - bassi costi di coordinamento interno - bassi prezzi-costo degli input - migliore qualità, personalizzazione e flessibilità degli input - elevato impegno di tutti i soggetti - maggiore soddisfazione dei bisogni di socialità - processi di apprendimento collettivo L’integrazione  tra  i  soggetti presenta anche ostacoli: - obiettivi differenti in merito alla combinazione ottimale di risorse, competenze e attività - i soggetti sono in competizione per ottenere le rimunerazioni; - l’adesione  dei  soggetti  al disegno complessivo è subordinata alle condizioni di informazione incompleta e incertezza - molti dei risultati ottenuti sono frutto di un lavoro congiunto, per cui è difficile decidere a chi attribuire i risultati residuali - i vari soggetti hanno diverse propensioni al rischio Perciò,  per  cercare  di  realizzare  l’obiettivo  dell’integrazione  si  agisce  su  vari  insiemi  di  leve: - definizione degli organi massimi di governo - definizione dei soggetti cui attribuire i risultati residuali (sia positivi che negativi)

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- progettazione attenta  dell’assetto  organizzativo  (definire  e  condividere  fini,  strategie  e  politiche  d’istituto,  progettare la struttura organizzativa, mettere in atto un sistema retributivo, favorire la socializzazione) - messa in atto di meccanismi di integrazione con soggetti esterni (contratti, sistemi di comunicazione e di controllo, stipulazione di alleanze). Tutto  ciò  presupponendo  l’analisi  dei  potenziali  contributi  e  delle  attese  di  tutti  i  soggetti  messi  a  confronto  con le alternative  strategiche  dell’istituto  e  la  formulazione  di  strategie  integrate  che  configurano  le  soluzioni  più sinergiche di soggetti contributi e ricompense.

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4.3.2. IL  SOGGETTO  D’ISTITUTO,  IL  SOGGETTO  ECONOMICO  E  I  FINI  ISTITUZIONALI Le scelte che definiscono  l’assetto  di  istituto  sono:  l’identificazione  del  soggetto  d’istituto  e  la  definizione  dell’assetto  di  governo. In linea di principio, tutti i portatori di interessi dovrebbero partecipare  al  governo  dell’istituto,  tuttavia ciò determinerebbe elevati costi di governo e complessità organizzativa, qualità e tempi delle decisioni inadeguati  alla  vita  dell’istituto  e  il mancato riconoscimento della maggiore criticità di alcuni contributi. Per tale motivo, una o poche categorie di portatori di interessi partecipano direttamente al governo di istituto, andando a formare il soggetto di istituto, mentre le altre categorie partecipano attraverso meccanismi indiretti di rappresentanza o di controllo. Al  soggetto  d’istituto  fanno  capo  due  insiemi  fondamentali  di diritti-doveri: il diritto-dovere di governare, ossia  di  guidare  l’istituto  e  di prendere le decisioni ultime e il diritto di godere di risultati residuali positivi o di farsi carico degli eventuali risultati residuali negativi. Il soggetto di istituto è quindi  colui  che  decide  e  che  si  assume  il  rischio  generale  connesso  all’attività  dell’istituto.  Egli  deve  essere  scelto  in  modo  tale  da  massimizzare  la  probabilità  che  l’istituto  perduri  nel  tempo in condizioni di autonomia. a. per la famiglia il soggetto di istituto  è  sempre  l’insieme  di  tutti  i  membri  della  famiglia  stessa. b. per le imprese il soggetto di istituto sono i conferenti capitale di rischio e dei prestatori di lavoro. c. per lo Stato il  soggetto  di  istituto  è  l’insieme  di  tutti  i  cittadini  più  i  prestatori di lavoro d. per le imprese non-profit il  soggetto  di  istituto  è  l’insieme  degli  associati  e  dai  soggetti  che  forniscono  contributi  all’istituto. I fini istituzionali coincidono  con  le  attese  primarie  delle  persone  che  compongono  il  soggetto  d’istituto; si denominano anche interessi istituzionali, mentre gli interessi degli altri soggetti sono interessi non istituzionali. In tutti gli istituti convergono interessi sia economici sia non economici, si configurano pertanto quattro classi di interessi convergenti negli istituti: - interessi istituzionali economici - interessi istituzionali non economici - interessi non istituzionali economici - interessi non istituzionali non economici L’insieme  dei  portatori  di  interessi  istituzionali  (economici  e  non)  forma  il  soggetto  d’istituto,  mentre  l’insieme  dei  portatori  di  interessi  istituzionali  economici  forma  il  soggetto economico. 4.3.3. LE PREROGATIVE, I PRINCIPI E LE STRUTTURE DI GOVERNO ECONOMICO Il soggetto economico (che  di  regola  coincide  con  il  soggetto  d’istituto) esercita le prerogative di governo economico (parte  del  governo  d’istituto),  che  essenzialmente  consistono  nel diritto-dovere di: - fissare  gli  obiettivi,  le  strategie  e  le  politiche  dell’istituto - scegliere i soggetti che contribuiranno alla vita economica dell’istituto  e  stipulare con questi patti e contratti - progettare e mettere in atto le strutture di governo e di controllo - sorvegliare  il  funzionamento  dell’istituto Quando il soggetto di istituto e il soggetto economico sono formati da molte persone, si rende necessario configurare strutture e meccanismi che rappresentino adeguatamente tutti gli interessi e diano luogo a

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processi  decisionali  efficienti.  Nell’ipotesi  che  il  soggetto  economico  coincida con una sola categoria di portatori di interessi si avrà una struttura di governo economico basata essenzialmente su tre organi: - un’assemblea dei membri del soggetto economico, quale organo supremo di indirizzo generale e di nomina sia dei membri dell’organo  decisionale  di  governo  economico,  sia  dell’organo  di  controllo; - un organo decisionale di governo economico, composto da una o poche persone con specifiche competenze  tecniche  e  manageriali  che  configura  e  indirizza  l’attività  della  struttura  organizzativa; - un organo di controllo che  verifica  l’operato  dell’organo  decisionale. Il governo economico deve ispirarsi ad alcuni principi generali tra cui vi sono: - il principio di economicità (o vita duratura economica), ossia la capacità dell’istituto di svolgersi in autonomia economica, senza il ricorso sistematico a coperture di perdite da parte di altre economie. - il principio del contemperamento degli interessi, ossia  l’adozione  di  strutture  e processi, e soprattutto di atteggiamenti e comportamenti, ispirati alla logica della partecipazione e del confronto. 4.4. GLI ASSETTI DI GOVERNO DEGLI ISTITUTI 4.4.1. L’ASSETTO  DI  GOVERNO  DELLE  FAMIGLIE Sono  membri  del  soggetto  d’istituto  della  famiglia  (che  equivale  al  soggetto  economico)  tutte  le  persone che la compongono. Gli interessi economici di persone di altre famiglie (con rapporti di parentela) devono considerarsi non istituzionali, a meno che non si configuri un gruppo economico di aziende familiari. Il  governo  economico  dell’azienda  familiare comporta un articolato insieme di decisioni complesse poiché implicano significati non solo economici (ripartizione del lavoro tra soggetti, lavoro interno e esterno, livelli di consumo e di risparmio, modalità di impiego del risparmio, eredità e donazioni). Le prerogative di governo economico spettano a tutte le persone della famiglia in funzione di età, esperienza e competenza, anche se spesso il governo economico è delegato al capofamiglia, mentre molte decisioni avvengono in forma collegiale. Non sempre il contemperamento degli interessi risulta agevole. 4.4.2. L’ASSETTO  DI  GOVERNO  DELLE  IMPRESE Differenti imprese richiedono differenti assetti di governo (una o più categorie di portatori di interessi), e differenti assetti di governo attribuiscono rilevanza a differenti categorie di portatori di interessi. Si  prende  come  riferimento  un’impresa  nella  quale  il  soggetto  d’istituto  ed  il  soggetto  economico  sono  formati  dall’insieme  dei  conferenti  di  capitale  di  rischio  e  dei  prestatori  di  lavoro. Qualunque sia la scelta sulla struttura di governo, alcuni temi hanno svolgimento uniforme in tutte le imprese: - il fine immediato delle imprese è rappresentato dalla produzione di rimunerazioni e di altre connesse condizioni per i membri del soggetto economico. - le prerogative di governo economico nelle imprese riguardano: le scelte di assetto istituzionale (organi di governo e loro struttura, scelte di fusioni, scorpori, concentrazioni, accordi, relazioni interaziendali), le scelte di configurazione delle combinazioni produttive (oggetto sociale, dimensione, diversificazione, integrazione, internazionalizzazione) e le scelte di assetto tecnico, assetto organizzativo e organismo personale. - il soggetto economico è unico e unitario. - il principio generale di governo è quello del contemperamento degli interessi,  infatti  chi  governa  l’impresa  deve sempre tenere conto delle attese di tutti i portatori di interessi e deve ricercare soluzioni adeguate. Nella realtà accade spesso che, l’insieme  delle  persone  che dovrebbero esercitare il governo economico (il soggetto economico), non coincida con  l’insieme  di  persone  che,  di  fatto,  esercitano  il governo economico, si parla in questo caso di soggetto economico improprio. I casi più frequenti nelle imprese sono quando:

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- il governo è esercitato da insiemi di persone che non rappresentano l’intero  soggetto  economico,  ma  solo  una parte di esso (azionisti di controllo trascurando quelli di minoranza); - il governo è esercitato da insiemi di persone che non fanno parte del soggetto economico (esponenti politici che vogliono interferire nelle strategie  di  un’impresa). 4.4.3. L’ASSETTO  DI  GOVERNO  DELLO  STATO Lo Stato si articola in complesse strutture di istituti pubblici, tra cui hanno particolare rilievo le articolazioni territoriali: Stato, regioni, province e comuni. L’ordine  economico  di  tali  istituti  è  definito  azienda  composta  pubblica. Sono  membri  dell’istituto  e  portatori  di  interessi  istituzionali  tutti  i cittadini membri dello Stato, sono membri del soggetto economico tutti i membri della collettività e coloro che prestano lavoro nelle aziende composte pubbliche. I fini economici istituzionali delle aziende composte pubbliche sono: il soddisfacimento dei bisogni pubblici di tutti i membri della collettività e la rimunerazione del lavoro dei prestatori di lavoro. Il governo economico si esercita in via indiretta per mezzo di organi collegiali i cui membri sono scelti tramite elezione (ruolo politico). La  distinzione  e  l’integrazione di ruoli politici e ruoli economici si attua sia a livello di una struttura  complessiva  dell’amministrazione  pubblica sia a livello  di  singoli  istituti  dell’amministrazione pubblica. 4.4.4. L’ASSETTO  DI  GOVERNO  DEGLI  ISTITUTI  NON-PROFIT Negli istituti non-profit  il  soggetto  d’istituto  può  far  capo  a  tre  categorie  di  soggetti:  gli  associati  delle  associazioni chiuse ed aperte, i donatori privati e pubblici e i prestatori di lavoro. Sono interessi istituzionali economici sia le attese di soddisfacimento dei bisogni comuni degli associati sia le attese di rimunerazione dei prestatori di lavoro non volontario, mentre sono interessi istituzionali non economici quelli dei donatori. In definitiva, negli istituti non-profit,  l’insieme  delle  persone  che  compone  il  soggetto  d’istituto  può  essere  notevolmente diverso, ovvero molto più ampio, rispetto a quello che compone il soggetto economico.

L’ECONOMICITÀ 5.1. L’ECONOMICITÀ COME PRINCIPIO E OBIETTIVO 5.1.1. L’EQUILIBRIO  ISTITUZIONALE  E  L’EQUILIBRIO  ECONOMICO L’economicità o  equilibrio  economico  di  un  istituto  è  una  delle  condizioni  fondamentali  dell’equilibrio  istituzionale. Si ha equilibrio istituzionale quando tutti i membri del soggetto di istituto: - condividono i valori e gli obiettivi che ispirano  la  vita  dell’istituto,  le  sue  strutture,  le  modalità  di  governo  e  le logiche organizzative. - ricevono ricompense e benefici giudicati equi rispetto ai contributi forniti. L’equilibrio  istituzionale  è un equilibrio di lungo periodo ed è caratterizzato da: - durabilità: le persone che partecipano alla vita degli istituti si attendono  che  l’istituto  perduri  nel  tempo e gli istituti nel tempo accumulano patrimoni di relazioni e di competenze che sono relativamente indipendenti dalle persone. - autonomia: la libertà di scegliere i propri fini e le proprie modalità di governo, senza sottostare alla volontà di altri istituti fatte salve le norme di legge e le gerarchie interaziendali concordate al momento della formazione di un aggregato interaziendale.

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Si ha equilibrio economico,  ossia  economicità,  quando  l’istituto nel suo insieme è in grado di attrarre risorse sufficienti per remunerare tutte le condizioni di produzione e di consumo utilizzate per svolgere le proprie combinazioni economiche (operare senza produrre perdite). L’equilibrio istituzionale e l’equilibrio economico sono interconnessi, ma non sincroni. In quanto condizione di vita degli istituti di  ogni  ordine,  l’economicità  è  contemporaneamente un principio e un obiettivo fondamentale di buon governo degli istituti. 5.1.2. DURABILITÀ E AUTONOMIA I caratteri di durabilità e autonomia degli  istituti  si  riflettono  sul  concetto  di  azienda  e  sull’economicità. L’azienda,  ordine  economico  di  istituto,  deve  svolgersi  secondo  condizioni  di  vita  e  di  funzionamento tali da consentire  di  durare  nel  tempo  in  un  ambiente  mutevole.  L’azienda,  infatti,  essendo  rivolta  a  soddisfare  le  finalità economiche, strumentali per il perseguimento dei fini generali di istituto, le può considerare solo in un’ottica  di  lungo periodo. La continuità e lo sviluppo di un istituto hanno un valore non solo per i suoi membri attuali, ma anche per i suoi membri potenziali futuri e per la collettività generale. Per  quanto  riguarda  l’autonomia,  si  verifica  quando  un’azienda  non  ricorre sistematicamente a interventi di sostegno o di copertura delle perdite da parte di altri istituti. Le coperture di perdite e gli interventi di sostegno realizzati anche per via indiretta (esenzione fiscale, manovre di debito pubblico, protezioni), sono tutte soluzioni precarie, provvisorie. 5.1.3. I FINI E LE CONDIZIONI DI SVOLGIMENTO DELLE AZIENDE Il principio di economicità si declina in due forme complementari: a. come perseguimento di fini economici istituzionali: - imprese: rimunerazioni monetarie e di altra specie per i prestatori di lavoro e per i conferenti di capitale di rischio. - famiglie: appagamento dei bisogni delle persone che le compongono. - Stato: appagamento dei bisogni di beni pubblici dei cittadini e remunerazione dei prestatori di lavoro. - istituti non-profit: appagamento dei bisogni di varie categorie di associati e fruitori e remunerazione dei prestatori di lavoro. b. come rispetto  simultaneo  di  un  insieme  di  condizioni  di  svolgimento  dell’attività  economica: nelle imprese  tale  principio  si  declina  in  quattro  condizioni  fondamentali  da  rispettare:  l’equilibrio reddituale,  l’efficienza e la flessibilità, la congruità delle remunerazioni e  l’equilibrio monetario. 5.2. L’ECONOMICITÀ DELLE IMPRESE 5.2.1. L’EQUILIBRIO  REDDITUALE Nell’azienda  di  produzione  si  svolgono  una  serie  di  accadimenti,  tra  i  quali  hanno  particolare  rilievo  quelli  di  scambio con terze economie; da questi scaturiscono, infatti, componenti positivi e componenti negativi di reddito connessi rispettivamente  al  collocamento  nel  mercato  dei  beni  e  all’acquisizione  di  fattori  produttivi. L’equilibrio reddituale è  l’equilibrio tra componenti positivi e negativi di reddito, ovvero esprime  l’attitudine  della gestione di rimunerare, con i componenti positivi di reddito, alle condizioni di mercato, tutti i fattori produttivi compresi il capitale di prestito e il capitale di rischio. Esso deve essere valutato in funzione: - del tempo di riferimento: si può parlare di breve o di lungo periodo. - dell’oggetto di riferimento:  se  si  considera  un’azienda si parla di equilibrio aziendale, mentre se si considera un gruppo aziendale si parla di equilibrio superaziendale. 5.2.2. L’EFFICIENZA,  LE  RENDITE  MONOPOLISTICHE  E  LE  ECONOMIE  ESTERNE,  LA  FLESSIBILITÀ

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Una seconda condizione  da  rispettare  simultaneamente  all’equilibrio  reddituale  è  il  mantenimento  di  un  livello accettabile di efficienza, espressa in termini di rendimento fisico-tecnico dei processi produttivi. Solo in condizioni particolari e temporanee le inefficienze possono essere  trasferite  all’esterno,  senza  danneggiare l’equilibrio  reddituale  dell’azienda  (monopolio, monopsonio, realizzazione di economie esterne scaricando oneri sulla collettività), ma penalizzando altre aziende. In generale, per efficienza  s’intende  la  relazione  che  intercorre tra risultati conseguiti e mezzi impiegati e viene riferito a sfere operative diverse, dalla combinazione aziendale, ai processi di produzione o a quelli commerciali o amministrativi. Una particolare espressione dell’efficienza sono i rendimenti fisico-tecnici (relazioni tra volumi e qualità ottenute e volumi e qualità delle condizioni produttive impiegate). L’efficienza  si  persegue  anche  cercando  l’innovazione  dei  processi,  solo  così  si  riesce  a  rimanere  nel  mercato. L’azienda  in  economicità  è  quella  che  ricerca  anche  flessibilità, ossia la predisposizione di strutture e di combinazioni produttive efficienti e in  grado  di  adeguarsi  prontamente  all’ambiente. 5.2.3. LA CONGRUITÀ DELLE RIMUNERAZIONI Una terza condizione da perseguire è la congruità dei prezzi-costi sostenuti e dei prezzi-ricavi conseguiti e, in particolare, congruità delle rimunerazioni del capitale-risparmio e del lavoro. In aziende in cui tale congruità non viene rispettata, l’economicità  aziendale viene perseguita grazie anche al concorso e a scapito di altre aziende familiari o di altre aziende di produzione. Il giudizio di adeguatezza o di congruità dei prezzi-costo e dei prezzi-ricavo comporta un esame delle condizioni di ambiente che caratterizzano i diversi mercati in cui le imprese operano. 5.2.4. L’EQUILIBRIO  MONETARIO Una  quarta  condizione  da  soddisfare  contemporaneamente  alle  altre  tre,  affinché  l’azienda  possa  svolgersi  in condizioni di economicità, è il conseguimento dell’equilibrio monetario, ossia alla capacità di far fronte agli impegni di pagamento. La diversa manifestazione temporale di costi e ricavi e dei relativi flussi monetari si traduce in fabbisogno finanziario; il compito della gestione finanziaria è ricercare la copertura di tale fabbisogno, raccogliendo mezzi  finanziari  con  vincolo  di  credito  sufficiente  a  garantire  lo  svolgimento  dell’azienda. La gestione finanziaria gioca così da cuscinetto tra la dinamica reddituale e la dinamica monetaria, compensando i periodi in cui si determinano squilibri monetari con quelli in cui si manifestano eccedenze di cassa. N.B. i giudizi di economicità sono complessi non solo per le numerose condizioni che devono essere rispettate simultaneamente, ma anche perché essi sono incerti e rischiosi dal momento che investono il futuro svolgersi delle operazioni. In un ambiente dinamico e mutevole, la dimensione di rischio, intesa come volatilità dei flussi reddituali, è di grande importanza. 5.2.5. LA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO Il principio di economicità non si identifica con il criterio della massimizzazione del profitto: il principio di economicità non si identifica con un criterio massimizzante, limitato e rivolto esclusivamente a una classe di soggetti, ovvero i conferenti di capitale proprio. Esso, infatti, si traduce nel rispetto simultaneo delle condizioni favorevoli al durevole mantenimento  e  allo  sviluppo  dell’azienda,  intesa come mezzo per conseguire i complessi fini di istituto. 5.3. L’ECONOMICITÀ DELLE FAMIGLIE

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Nella azienda familiare, l’economicità  viene  conseguita  se  la produzione di redditi da lavoro e da gestione patrimoniale (al netto dei tributi da corrispondere allo Stato) consente i consumi in misura adeguata alla posizione sociale e al progresso del tenore di vita della famiglia. Questa produzione di redditi dovrebbe anche generare un risparmio in grado di alimentare un conveniente patrimonio. L’equilibrio  monetario  può  giocare  un  ruolo  importante,  anche  se si risolve molto spesso con la creazione di un fondo di mezzi liquidi sufficiente a fronteggiare le uscite monetarie concentrate in  dati  periodi  dell’anno. 5.4. L’ECONOMICITÀ DELLO STATO E DEGLI ISTITUTI PUBBLICI Nello Stato e negli istituti della pubblica amministrazione si ha economicità se si realizzano i fini e si rispettano le condizioni seguenti: - la produzione e il consumo di beni pubblici soddisfacenti per il funzionamento e lo sviluppo sociale ed economico di una collettività. - la  corresponsione  di  rimunerazioni  “adeguate”  ai collaboratori e ai finanziatori. - l’elevata  efficienza  delle  combinazioni  economiche  realizzata mediante  l’adozione  di  tecniche  progredite  di  gestione, di organizzazione e di rilevazione. - l’imposizione  di  tributi  che  siano  ripartiti  secondo  criteri  di equità condivisi dalla collettività. - l’attuazione  di  una  gestione  patrimoniale  che  produca  redditi convenienti. - la realizzazione di un risultato sintetico di risparmio o di un disavanzo contenuto. 5.5. L’ECONOMICITÀ DEGLI ISTITUTI NON-PROFIT In molte classi di istituti non-profit solo una parte limitata dei costi è coperta da ricavi provenienti da cessione di beni a terzi; l’equilibrio  reddituale  si  realizza  facendo  conto  su  elargizioni volontarie, donazioni o lasciti provenienti prevalentemente da soggetti privati ma anche da enti pubblici. Lo snodo critico in materia è rappresentato dalla stabilità nel tempo di tali flussi di contributi: il difficile equilibrio  reddituale  rende  fragile  anche  l’equilibrio monetario  e  l’insieme di queste condizioni mette a repentaglio la vita  dell’istituto  o  la  sua  autonomia. In particolare, ogni crisi reddituale o monetaria può diventare l’occasione  per  il  formarsi  di  soggetti  economici  impropri  o  per l’alterarsi della natura privatistica dell’istituto  non-profit. In molti istituti non-profit si presentano problematiche complesse con riguardo alla valutazione dell’efficienza  e  alla  valutazione  del  grado  di  soddisfazione  degli  utenti.  Il  divieto  di  distribuire  i  risultati  reddituali riduce la tensione alla minimizzazione dei costi (quando  l’istituto  è  governato  da  persone  che  non  sono allo stesso tempo i finanziatori o gli utenti). Gli istituti non-profit mostrano una notevole inerzia nel rispondere alla crescente domanda di beni da loro offerti: ciò si spiega, oltre che per la mancanza di incentivi connessi al profitto, per le difficoltà strutturali nella raccolta di risorse finanziarie. La ricerca di nuove donazioni da parte di un istituto non-profit equivale a una campagna di promozione del proprio prodotto. 9.1. IL SISTEMA DI SCELTE E LA STRUTTURA DELLE AZIENDE 9.1.1. L’AZIENZA  COME  SISTEMA  DECISIONALE L’azienda  può  essere  osservata  come  un  sistema decisionale (quali decisioni vengono prese, da chi, quali tempi e sequenze, quali logiche e procedure). L’esigenza  di  decidere  è  dettata  dal  continuo  dinamismo interno ed  esterno  all’impresa; infatti condizioni sempre nuove mettono in crisi o in discussione gli equilibri in atto al suo interno, perciò i tempi di decisione e il contenuto più o meno originale ne qualificano i processi decisionali.

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Le decisioni in campo economico: - sono sempre soggette al vincolo di scarsità delle risorse (l’innovazione  rimuove  questo  vincolo  infatti  una  nuova idea può produrre o migliori risultati a parità di risorse o pari risultati con minor risorse); - impongono attente e rigorose analisi di convenienza economica comparata che possono essere svolte ricorrendo a modelli di analisi economica per le decisioni; - si svolgono in condizioni di incertezza e, dunque, comportano rischi (l’innovazione  può  produrre  sia  vantaggi che danni); - si svolgono in condizioni di razionalità limitata, anche se sono intenzionalmente razionali, inoltre sono soggetti a rischi di ritualizzazione; - producono conseguenze più o meno ampie e stabili sulle condizioni di futuro  svolgimento  dell’impresa. L’impresa  si  ispira  a  due  principi:  compiere  scelte  decise  ma  che  consentano  adeguati  gradi  di  flessibilità  e  rinnovare le basi per il futuro sviluppo. 9.1.2. LA  STRUTTURA  DELL’AZIENDA  COME  FRUTTO  DI  SCELTE AZIENDALI Il sistema di governo strategico delle imprese da un lato determina i componenti del reddito di esercizio (performance  corrente  dell’azienda),  dall’altro  determina  la  struttura  dell’azienda  (configurazione  delle  variabili fondamentali che sono  le  basi  per  la  performance  futura  dell’azienda  e  che  la  compongono). È articolato in grandi classi di scelte di: - configurazione del sistema prodotto: attraverso cui ci si presenta nei mercati per sollecitare la domanda e per far fronte alla concorrenza. - dimensionamento della capacità produttiva - estensione interfunzionale ed estensione verticale:  l’azienda  decide  quali  attività  svolgere  al  proprio  interno  e quali invece far svolgere ad altri soggetti. - estensione orizzontale:  l’azienda  decide  se attivare una o più combinazioni economiche parziali. - gestione patrimoniale, gestione finanziaria e gestione tributaria - formazione e sviluppo del patrimonio:  riguardanti  il  patrimonio  materiale  e  immateriale  dell’azienda  e  la  sua configurazione fisica e spaziale. - relative  all’assetto  organizzativo  e  all’organismo  personale - assetto istituzionale La  struttura  dell’azienda  si  compone  di  5  macrovariabili  tra  loro  interconnesse  e  immerse  nell’ambiente: - assetto istituzionale: è la configurazione generale delle relazioni con le varie classi di portatori di interessi, si  scelgono  i  vari  insiemi  di  soggetti  chiamati  a  comporre  l’istituto  e  a  interagire  con  esso. Comprende inoltre la distribuzione dei diritti di proprietà e la forma giuridica, la partecipazione ad aggregati interaziendali e al loro governo e le strutture di governo e di controllo aziendali, la loro composizione e le modalità di funzionamento. - configurazione delle combinazioni economiche:  è  l’assetto  complessivo  delle  attività  svolte  dall’azienda attraverso i suoi membri o prestatori di lavoro (sistemi di prodotto, dimensioni delle capacità produttive, estensione verticale e orizzontale, il ruolo delle varie gestioni). - patrimonio: è formato dalle varie classi di condizioni produttive materiali e immateriali utilizzate dall’istituto  per  svolgere  la  propria  attività  economica  (importante  è  al  collocazione  geografica).  Queste  devono essere oggetto di specifiche decisioni o indirizzi strategici. - organismo personale:  è  l’insieme  delle  persone che  prestano  il  loro  lavoro  nell’istituto.  Comprende  la  dimensione  e  l’articolazione  del  personale,  le  variabili  individuali  (valori,  bisogni)    le  variabili  sociali  (cultura,  clima organizzativo). - assetto organizzativo: definisce la struttura interna e le modalità di svolgimento dei processi aziendali. Risulta dalla configurazione della struttura organizzativa, della distribuzione del potere e dei sistemi operativi, ciascuna delle quali frutto di complesse decisioni aziendali.

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Queste macrovariabili sono collegate tra loro da forti relazioni di complementarietà e interdipendenza (coerenza interna): - ogni configurazione complessiva ha una propria coerenza interna; - la variazione di una macrovariabile produce effetti sulle altre componenti del modello; - ogni intervento di riprogettazione di una macrovariabile può richiedere adattamenti nelle altre componenti per assicurare nuova coerenza. Inoltre le cinque macrovariabili sono fortemente influenzate dall’ambiente  nel  quale  l’azienda  opera  (coerenza esterna). 9.1.3. L’UNITARIETÀ DEGLI ISTITUTI E DEL LORO GOVERNO Ogni istituto è una realtà unitaria e unitario deve essere il suo governo economico (principio della unitarietà del governo economico) e tutte le sue decisioni devono far parte di un disegno unitario e coerente. L’unitarietà  del  governo  economico  è  realizzata  con  la formulazione e la realizzazione di una strategia aziendale (unifica le politiche delle singole aree funzionali e collega le competenze  distintive  dell’impresa  con le caratteristiche del suo ambiente di riferimento). La strategia aziendale si compone di due elementi fondamentali: - l’orientamento strategico di fondo (OSF): è  l’insieme  di  idee-guida, di valori e di atteggiamenti che definiscono  l’identità,  effettiva  o  ricercata,  dell’impresa e che riguardano che cosa questa fa, perché lo fa e come lo fa. - gli indirizzi strategici in  cui  l’OSF  si  concretizza: sono rappresentati da scelte strategiche che definiscono in quali arene competitive  l’azienda  intende operare e in che modo intende affrontare la concorrenza, come intende gestire gli attori istituzionali, quali decisioni strategiche prenderà a livello finanziario, tecnologico, di marketing… 9.1.4. L’UNITARIETÀ DELLE COMBINAZIONI ECONOMICHE I caratteri di unitarietà delle combinazioni economiche sono: - complementarietà: è il fattore di unitarietà più diffuso e si manifesta tra i fattori produttivi e tra gli insiemi di operazioni. Queste relazioni devono essere gestite in modo tale da garantire che i vari elementi comlementari si presentino nei tempi, nei volumi e nelle quantità adeguate ad attuare le combinazioni economiche  dell’istituto. - fungibilità: si manifesta tra differenti fattori produttivi e differenti classi di operazioni. - comunanza: uno stesso fattore di produzione o un insieme di operazioni può concorrere ad ottenere più risultati. Alle risorse e ai processi comuni corripondono costi comuni da attribuire per quote ai risultati a cui contribuiscono. - congiunzione: quando da uno stesso processo produttivo escono contemporaneamente e necessariamente più risultati, detti risultati congiunti. - uniformità: si parla di uniformità dei fattori di produzione, dei processi produttivi e dei prodotti. Si manifesta nei fenomeni di: a. standardizzazione:  è  l’elemento  più  evidente  della  produzione  di  massa  e  lo  snodo  principale  del  passaggio  dalle produzioni artigianali a quelle industriali. b. uniformazione: quando la standardizzazione non riguarda più una singola azienda, ma tutte le aziende che adottano quindi standard comuni per svolgere certe attività. c. modularità: è la progettazione di componenti (moduli) che possono concorre alla produzione di differenti prodotti complessi. - interdipendenza: si verifica tra le unità  che  compongono  l’azienda  (organi e persone). Analizza in termini organizzativi i precedenti caratteri di unitarietà delle combinazioni economiche. Tanto più forti sono questi caratteri, tanto più elevata sarà l’interdipendenza  tra  unità,  ossia  l’esigenza che ciascuna unità adatti i propri comportamenti a quelli delle altre unità.

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12.1. LE SCELTE DI ESTENSIONE DELLE COMBINAZIONI ECONOMICHE 12.1.1. DIMENSIONE  SINGOLE  PRODUZIONI  E  L’ESTENSIONE  DELLE  COMBINAZIONI  ECONOMICHE L’estensione  complessiva delle combinazioni economiche di un’impresa  è  determinata  da  un  vasto  insieme  di scelte che riguardano:  l’estensione interfunzionale, l’estensione orizzontale e  l’estensione verticale. 12.1.2. L’ESTENSIONE  INTERFUNZIONALE L’impresa  deve  decidere  sia  quante  risorse  investire  in  ciascuna  funzione  svolta  oltre  i  livelli  minimi  imposti  giuridicamente sia quali funzioni internalizzare, ovvero svolgere al suo interno, e quali invece esternalizzare, ovvero quali far svolgere ad altre imprese. Questo tipo di scelte si ispirano principalmente ai criteri di: - efficienza ed economicità di produzione: esternalizzando una certa attività il fornitore può sia realizzare economie  di  scala  non  possibili  all’azienda  sia  permetterle  di  risparmiare. - costi di transazione:  l’impresa  internalizza  le  attività  che,  se  esternalizzate,  comporterebbero  alti  costi  di  transazione (attività dai contenuti e risultati scarsamente definibili e attività legate ad altre da interdipendenza). - criticità strategica:  l’impresa  internalizza  le  attività  che  costituiscono  competenze  distintive  di  rilevanza  strategica e che devono quindi essere protette. 12.1.3. L’ESTENSIONE  ORIZZONTALE Ogni impresa deve decidere in merito alla numerosità e alla disomogeneità delle aree strategiche di affari (ASA), ossia le combinazioni economiche parziali nelle quali vuole operare. In altri termini, deve scegliere il proprio grado di estensione orizzontale, o di diversificazione. Queste scelte dipendono da numerose valutazioni: - attitudine a generare o assorbire mezzi monetari: bisogna cercare di combinare ASA che assorbono risorse finanziarie con altre che invece ne generano (legate alla fase del ciclo di vita del business, al ciclo monetario, alle strategie e agli obiettivi di crescita),  per  non  sbilanciare  troppo  la  vita  patrimoniale  dell’impresa. - fase di ciclo di vita del prodotto:  questo  influenza  la  dinamica  finanziaria,  l’attrattività  del  settore  in  termini  di tassi di sviluppo della domanda e le modalità competitive. Bisogna cercare di combinare ASA che si trovano in diverse fasi della vita di un prodotto per favorire uno sviluppo dimensionale graduale e continuo. - attrattività del mercato: dipende dalla configurazione del sistema competitivo e dalla fase di ciclo del ciclo di vita del prodotto. - posizione  competitiva  dell’impresa  nell’ASA: la redditività si una ASA dipende anche dalla strategia competitiva perseguita, dalla quota di mercato e dal raggruppamento nel quale si è deciso di operare. - sinergie non finanziarie: possono essere materiali (condivisione della rete distributiva, della struttura commerciale)  o  immateriali  (condivisione  del  marchio  e  dell’immagine  aziendale). - attitudine a generare un know-how strategico: quando la gestione di una certa ASA consente di sviluppare conoscenze  e  tecnologie  utili  anche  ad  altre  ASA  all’interno  dell’impresa.   12.1.4. L’ESTENSIONE  VERTICALE La filiera produttiva è  l’insieme  di  tutte  le  fasi  e  dei  processi  che  parte  dalla  produzione  delle  materie  prime  fino ad arrivare alla vendita del prodotto finito. L’estensione verticale (o  integrazione  verticale)  delle  combinazioni  economiche  dell’impresa  esprime  il  numero e la disomogeneità delle fasi della filiera produttiva volte al proprio interno. Le imprese possono decidere di integrarsi a monte (controllo materie prime) oppure di integrarsi a valle (controllo prodotto). Motivazioni  all’integrazione:

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- maggior controllo sui mercati di approvvigionamento e di sbocco - creare  delle  barriere  all’entrata  ovvero  ridurre  l’accesso  ai  concorrenti a risorse strategiche - economizzare in termini di costi di transazione/ottimizzare le integrazioni tecnologiche - interiorizzare competenze e risorse strategiche - presenza di economie di scala e di apprendimento (spingono ad esternalizzare una lavorazione non strategicamente rilevante perché specializzandosi su un singolo settore si abbattono i costi di produzione). Freni  all’integrazione  verticale: - gli investimenti finanziari richiesti per aggiungere nuove combinazioni economiche - disomogeneità di dimensione minima economica e le conseguenti diseconomie di scala o di saturazione. - rigidità strategica e la concentrazione del rischio - creazione  di  barriere  all’uscita  (difficile  e  costoso  uscire  dal  settore). 12.2. LE SCELTE DI DIVERSIFICAZIONE  E  LE  ECONOMIE  RAGGIO  D’AZIONE 12.2.1. LE  ECONOMIE  RAGGIO  D’AZIONE L’estensione  dei  confini  dell’impresa  ad  attività  diverse  può  essere  fonte  di  vantaggi  economici  e  competitivi. Le economie  di  raggio  d’azione (o di scopo, o sinergie) sono i vantaggi economici che conseguono dall’ampliamento  della  varietà  di  beni  prodotti,  per  esempio  dalla  produzione  di  due  beni  tra  loro  diversi  ma  che comportano una condivisione delle risorse impiegate nella loro produzione. Si  hanno  economie  raggio  d’azione (ERA) quando producendo unitariamente (produzione integrata) due o più beni diversi si realizzano vantaggi economici rispetto al caso della loro produzione disgiunta: Cnint < Σ  Cndis

si misurano anche come: ERA = (Σ Cndis - Cnint)/ Σ Cndis Le strategie di ampliamento della gamma di prodotti e di servizi offerti sono dette strategie di diversificazione e indicano le combinazioni economiche che comprendono la realizzazione di prodotti diversi. Per poter ottenere un vantaggio bisogna che le diverse attività utilizzino risorse: - risorse materiali: presentano il vincolo della CP, è necessario quindi che esista capacità produttiva insatura e  che  l’introduzione  di  un  nuovo  output  ne  consenta  uno  sfruttamento  migliore. - risorse immateriali: possono essere  utilizzate  potenzialmente  all’infinito  (marchio,  know-how tecnologico, creatività), presentano però un vincolo di coerenza e spesso risiedono nelle persone. 12.2.2. FONTI  DELLE  ECONOMIE  RAGGIO  D’AZIONE Principalmente  le  economie  raggio  d’azione  o  di  scopo  sono  dovute  alla:   - condivisione di elementi materiali della struttura produttiva (impianti ed attrezzature) - condivisione di elementi materiali della struttura di vendita (canali e reti distributive) - condivisione di risorse immateriali (know-how tecnologico sfruttabile per più ASA, marchi e immagine commerciale validi per più linee di prodotti e per più categorie di clienti prestigio, immagine istituzionale e potere contrattuale). 12.2.3. LE ECONOMIE  RAGGIO  D’AZIONE  NEGLI  AGGREGATI  INTERAZIENDALI Le economie di scopo possono essere raggiunte anche attraverso accordi e alleanze tra imprese differenti ossia  nell’ambito  di  aggregati  interaziendali.  Il  vantaggio  economico  ottenibile  rappresenta  una  potente fonte di aggregazione e accordi tra le imprese.

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12.3. LE SCELTE DI ESTERNALIZZAZIONE E INTERNALIZZAZIONE E LE ECONOMIE DI TRANSAZIONE 12.3.1. L’INTEGRAZIONE  VERTICALE Un’importante  categoria  di  scelte  economiche  riguarda  le  decisioni  circa  l’integrazione verticale dell’azienda,  ovvero  la  scelta  di  quali  attività  svolgere  all’interno  dell’azienda  e  quali  attività  lasciare  svolgere  ad altri attori economici. Questo tipo di scelte è influenzato dai diversi tipi di economie e non solo, molti infatti sono gli elementi che entrano  in  gioco:  le  economie  di  scale,  raggio  d’azione  e  d’esperienza,  le  competenze  e  le  capacità  di  cui  le  imprese  dispongono,  l’attrattività  strategica  dell’attività  considerata,  la  disponibilità  dei  mezzi  finanziari. Si prendono in considerazione, però, anche i costi che bisogna sostenere per effettuare transazioni esterne e i costi che bisogna sostenere per il coordinamento e per la gestione delle attività internalizzate (teoria dei costi di transazione). 12.3.2. I COSTI DI TRANSAZIONE L’uso  del  mercato  comporta  dei  costi,  le  imprese  esistono  proprio  perché  consentono  di  diminuire  il  numero  di contratti che occorre concludere per svolgere attività complesse e che richiedono lunghi tempi di svolgimento, riducendo i costi di uso del mercato. Una transazione si  manifesta  quando  un  bene  o  un  servizio  è  trasferito  attraverso  un’interfaccia  tecnologicamente  separabile,  una  fase  di  attività  termina  e  un’altra  inizia. Si parla di transazioni esterne quando si fa riferimento agli scambi tra diversi attori economici giuridicamente distinti, queste comportano costi di transazione esterni. Si parla di transazioni interne quando si fa riferimento al passaggio fra attività tecnologicamente separabili svolte  all’interno  di  una  stessa  impresa,  queste comportano costi di transazione interni. Ma quali attività internalizzare e quali invece esternalizzare? Bisogna confrontare: costi di realizzazione interna + costi di coordinamento interno rispetto ai costi di acquisto + costi di transazione esterna oppure ai prezzi di vendita + costi di transazione esterna. I costi di realizzazione dipendono dalle economie di scala, dalle economie si saturazione della CP, dalle economie  di  esperienza  e  dalle  economie  raggio  d’azione. I costi di acquisto e prezzi di vendita sono influenzati dai costi di realizzazione che gli attori esterni sostengono per svolgere determinate attività, inoltre sono influenzati sia dal costo che la controparte avrebbe  se  internalizzasse  l’attività,  sia  dal  potere  contrattuale  dei  contraenti. Ma questo non basta per decidere se internalizzare o se esternalizzare, in quanto bisogna considerare i costi di coordinamento interno (rappresentati dai costi della funzione direttiva e di controllo e dai costi causati dalla minore efficacia e dall’inefficienza  indotti  da  errori  di  coordinamento,  dagli  sprechi,  da  maggiori  costi)  e  i costi della transazione esterna (i costi derivano dalla raccolta di informazioni sulla controparte, dalla negoziazione dei contratti, da assicurazioni verso comportamenti indesiderati, da disallineamenti fra le esigenze dei contraenti, da ulteriori costi di negoziazione). 12.3.3. LE DETERMINANTI DEI COSTI DI TRANSAZIONE I costi di transazione possono essere solo in minima parte espliciti e quelli più rilevanti possono essere impliciti e difficili da valutare. Gli elementi che incidono sui costi di transazione sono: - complessità informativa: se questa aumenta, il mercato diventa meno trasparente e aumenta il grado di incertezza riguardo alla transazione.

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- specificità delle risorse: quando uno o più contraenti in una transazione devono sostenere dei costi più o meno rilevanti per cambiare interlocutore. Possono essere legati alla specificità del luogo e alla specificità dei beni fisici e possono essere ridotti separando la proprietà dei beni dal loro utilizzo. - possibilità di comportamenti opportunistici o inadeguati

LE SCELTE DI CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA DI PRODOTTO E DELLA FORMULA COMPETITIVA

10.1. IL SISTEMA DI PRODOTTO E LA FORMULA COMPETITIVA Ciascuna impresa si presenta ai propri potenziali clienti offrendo uno o più sistemi di prodotto, ovvero un insieme unitario di beni e di condizioni di scambio avvinti a sistema da relazioni di interdipendenza, in particolare di complementarietà. Fanno parte del sistema di prodotto: le caratteriste materiali, le caratteristiche immateriali, la gamma, i servizi pre-vendita e post-vendita e le condizioni di scambio. Il  sistema  di  prodotto  è,  da  un  lato,  il  complesso  oggetto  attraverso  cui  l’impresa  ricerca  il  consenso del cliente,  dall’altro  è  l’arma  utilizzata  per  sfidare  la  concorrenza  (ciascun  elemento  del  SP  diventa  cruciale  nel  confronto competitivo perché può creare una combinazione efficiente o originale). Dalla progettazione del sistema di prodotto dipendono in larga misura i componenti negativi e positivi di reddito  (importante  per  l’economicità  dell’impresa),  occorre  perciò  trovare  una  buona  combinazione  tra  le  variabili di cui si compone. Il modello della formula competitiva pone in relazione tre macrovariabili: il sistema di prodotto, il sistema competitivo e la struttura e le risorse aziendali. Il  sistema  competitivo  è  lo  spazio  abitato  dai  clienti  e  dai  concorrenti  con  i  quali  l’impresa  si  confronta,  il  sistema di prodotto deve essere perciò attraente per i clienti e deve confrontarsi positivamente con la concorrenza. La  struttura  e  le  risorse  aziendali  sono  l’insieme  delle  condizioni  fisiche,  patrimoniali,  personali,  relazionali  e  organizzative  di  cui  l’impresa  dispone  per  rispondere  alle  attese  dei  clienti  e  per  fronteggiare  le  mosse  dei  concorrenti. Questo modello afferma che il successo di una strategia competitiva dipende dalla consonanza di queste tre macrovariabili. L’impresa  deve  comprendere  quali  sono  le  attese  dei  clienti  soprattutto  quelle  decisive  per  le  scelte  di  acquisto (fattori critici di successo) e qual  è  l’offerta  dei  concorrenti,  deve  configurare  un  SP  che  risponda  alle  attese dei clienti e che abbia dei vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti, deve sviluppare strutture e risorse che contengano delle competenze distintive in modo tale che difficilmente possano essere imitate e che il prodotto sia efficace. 10.2. IL SISTEMA COMPETITIVO E I FATTORI CRITICI DI SUCCESSO Le tre macrovariabili che compongono il modello della formula competitiva sono legate da una relazione di interdipendenza circolare. Per impostare efficacemente la strategia competitiva occorre costruire innanzitutto un inventario completo e chiaro sulle attese dei clienti attuali e potenziali e individuare poi quali sono le attese più critiche, ovvero i fattori critici di successo (FCS).

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I potenziali FCS possono essere diversi per differenti insiemi di clienti e per le varie classi di prodotti, bisogna quindi analizzare specificatamente i vari segmenti del mercato. Alcuni FCS sono: - la funzionalità tecnica continua e duratura dei prodotti; - l’economicità  del  prezzo  di  acquisto  iniziale  e  dei  successivi costi  d’uso; - la  flessibilità  d’uso (svolgimento di più funzioni); - l’integrabilità  e  la  compatibilità con altri beni complementari, la possibilità di personalizzazione; - il soddisfacimento di bisogni di prestigio, di status, di ostentazione, di identificazione; - l’appagamento  di  bisogni  estetici; - l’appagamento  dei  bisogni  di  solidarietà  e  di  salvaguardia dell’ambiente; - l’affidabilità,  l’unicità  e  la  responsabilità  della  controparte; - l’accessibilità,  comparabilità  e  sperimentabilità del prodotto in fase di acquisto. I FCS possono essere collegati variamente agli elementi del sistema di prodotto, le aziende hanno a disposizione leve molteplici in parte complementari, in parte fungibili. I FCS possono differire anche profondamente e combinarsi diversamente a seconda del mercato e del settore di attività economica. I FCS si evolvono nel tempo, al mutare dei bisogni, del contesto sociale, delle strategie competitive poste in essere dalle aziende. Qualunque SP si può ritenere superiore alla concorrenza nel momento in cui il suo vantaggio competitivo è riconosciuto e accettato come tale dal mercato, è coerente con i suoi FCS. bisogna quindi conoscere bene il mercato di sbocco, i suoi confini e i clienti e le loro esigenze. 10.3. IL SISTEMA DI PRODOTTO E IL VANTAGGIO COMPETITIVO 10.3.1. LE VARIABILI COMPONENTI IL SISTEMA DI PRODOTTO Il sistema di prodotto si compone di 4 elementi: a. le caratteristiche materiali e la gamma dei beni offerti: le caratteristiche materiali si distinguono in attributi fisici (elementi immediatamente percepibili dal punto di vista sensoriale e statico), tecnico-funzionali (proprietà, tecnologiche e di lavorazione, che consentono al SP di svolgere determinate funzioni) e estetici (qualificano gli attributi fisici, soggettivi). In casi rari il SP riguarda un unico bene, spesso, infatti, le aziende approntano una gamma, ossia un determinato assortimento tra cui il cliente sceglie a seconda delle sue esigenze. Quando la gamma è articolata si possono definire sottosistemi o SP multipli. b. i servizi collegati ai beni offerti: sono essenzialmente i servizi pre-vendita e post-vendita, che vengono differenziati considerando i vari tipi di clienti (intermedi e finali). c. le caratteristiche immateriali:  comprendono  l’immagine,  la  reputazione  e  la  marca. d. il prezzo e le altre condizioni contrattuali: in termini di sconti, modalità di pagamento. 10.3.2. IL VANTAGGIO COMPETITIVO: DIFFERENZIAZIONE E COSTO Il vantaggio competitivo è  l’insieme  degli  elementi  che  distinguono  il  sistema  di  prodotto  di  una  determinata  azienda da quello dei concorrenti. Esistono due tipi fondamentali di vantaggio competitivo: a. il vantaggio di differenziazione:  ovvero  l’offerta  di un SP diverso o migliore, rispetto a quello della concorrenza, in uno o più aspetti. Si realizza anche quando il SP possiede caratteristiche che gli altri sistemi concorrenti non hanno, o quando è unico. In ogni caso il vantaggio si può ritenere realizzato quando si traduce in un premio di prezzo, che deve mantenersi superiore ai costi. Molto spesso la differenziazione viene conseguita attraverso sforzi di innovazione (ciò può indurre altre aziende ad entrare nel settore, imitando o innovando).

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Il vantaggio di differenziazione può manifestarsi in: - eccellenza intrinseca dei materiali e delle lavorazioni - efficienza nei consumi (volumi e prezzi) degli input - alta meccanizzazione e automazione - robustezza, capacità di autodiagnosi, disponibilità di ricambi - modularità, versatilità, adattabilità - ampia gamma di beni fungibili e complementari offerti - ricchezza di documentazione e informazioni - reperibilità e facilità di prova - servizi pre-vendita e post-vendita - marche, marchi, insegne, griffes - contratti chiavi in mano - elevato contenuto moda - alto livello stilistico e artistico - contenuto etico, ecologico, salutistico - esclusività attuata mediante volumi limitati e vendita attraverso canali specializzati e selezionati. b. il vantaggio di costo: quando il sistema di prodotto si caratterizza, grazie a costi di produzione e distribuzione particolarmente bassi, per un prezzo inferiore a quello dei prodotti concorrenti. Il vantaggio di costo presuppone strutture produttive molto efficienti e grande attenzione alla riduzione dei costi, sottraendo valenze al SP e facendo in modo che il price discount si mantenga inferiore ai minori costi. Combinando  il  tipo  di  vantaggio  competitivo  e  l’ampiezza  del  mercato  di  sbocco  (sistema  competitivo)  si  ottengono quattro strategie di base: a. strategie di leadership di costo: dove il leader domina un mercato ampio con i costi, e quindi i prezzi, più bassi di tutta la concorrenza, ed offre un SP singolo, non articolato (IKEA, H&M). b. strategie di differenziazione: possono essere perseguite anche da più aziende operanti in uno stesso mercato di ampie dimensioni, ciascuna con un sistema di prodotto, caratterizzato da elementi di originalità suoi propri, che può essere singolo (BMW) o multiplo (Algida). c. strategie di focalizzazione orientata ai bassi costi e alla differenziazione: le aziende che perseguono tali strategie  dominano  mercati  di  dimensioni  ridotte,  di  cui  spesso  i  competitori  con  un  raggio  d’azione  ampio  non riescono a soddisfare pienamente i bisogni. 10.4. LE STRUTTURE E LE RISORSE AZIENDALI: LE COMPETENZE DISTINTIVE Per poter offrire un SP con un vantaggio competitivo coerente con i fattori critici di successo del mercato di sbocco occorre poter disporre di strutture e di risorse adeguate. Le competenze distintive sono  risorse  peculiari  di  un’azienda,  non  facilmente  imitabili  e  utili  per  configurare  sistemi di prodotto particolarmente apprezzati dai clienti. Ne sono esempi: - speciali capacità di progettazione dei prodotti - strutture produttive particolarmente efficienti - elevata capacità di accumulo e di diffusione delle conoscenze - rapporti di fiducia e cooperazione con i clienti, con le reti distributive, con esperti di varie discipline - patrimonio di immagine e di reputazione, marche e marchi - estese strutture e archivi di documentazione - diffuse strutture logistiche per la distribuzione e la presentazione dei prodotti - qualificate competenze di istruzione dei clienti - affidabili  strutture  per  l’assistenza  pre-vendita e post-vendita - relazioni di fiducia e cooperazione con subcontractors e connesse capacità di project management. 11.1. STANDARDIZZAZIONE, UNIFORMAZIONE E MODULARIETÀ

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11.1.1. STANDARDIZZAZIONE E RIDUZIONE DEI COSTI I  caratteri  dell’impresa  moderna  sono la meccanizzazione dei processi, la parcellizzazione del lavoro, la standardizzazione dei processi, dei componenti e dei prodotti e le produzioni in grandissimi volumi. La standardizzazione è quindi uno dei  pilastri  dell’efficienza delle economie moderne, rende possibili e convenienti le produzioni di massa ed è la base per la realizzazione di economie di scala, economie di saturazione della capacità produttiva ed economie di apprendimento. Questa riguarda i prodotti, ossia la produzione di grandi volumi aventi caratteristiche identiche, i processi produttivi, che comportano una riduzione dei costi di produzione (una sola progettazione e beneficio dell’apprendimento)  e  le  componenti. Quest’ultima  permette  da  un  lato  di  ridurre  le  tolleranze  di  fabbricazione  dei  vari  componenti,  per  evitare  aggiustamenti  successivi,  dall’altro  di  uniformare  le  varie  componenti, ovvero usare lo stesso componente per realizzare prodotti differenti. I fenomeni  della  standardizzazione  e  dell’uniformazione  sono  rilevanti  anche  come  fenomeni  politici  e  sociali  (tipica forma di regolamentazione in quanto facilitano la cooperazione e il coordinamento). Standard di fatto: anche i beni possono essere complementari tra loro, può verificarsi in questo caso un fenomeno per cui dei prodotti che diventano dominanti per effetto delle forze di mercato costringono tutti i produttori di beni complementari ad adeguarsi agli stessi. Quando i componenti assumono un elevato livello di complessità si chiamano moduli, compatibili e integrabili fra di loro. Modularizzare significa articolare un bene complesso in più sottoinsiemi, che anche se prodotti individualmente devono poi funzionare insieme. La progettazione dei moduli può essere compito della singola azienda o di un ente sovraordinato, responsabile  dell’attività di uniformazione. Il progetto di un prodotto complesso modula rizzato si compone di parametri visibili e parametri nascosti. Vantaggi della modularizzazione: in fase di progettazione dei singoli moduli permette di procedere in parallelo, accorciando i tempi, mentre in fase di produzione i singoli moduli possono essere prodotti individualmente per poi essere assemblati; la complessità di entrambe le attività viene ridotta, si può produrre  un’ampia  gamma  di  prodotti  tra  loro  diversi  ma  con  componenti  comuni. Svantaggi della modularizzazione: i prodotti uniformi non soddisfano le attese di varietà dei clienti, possono scatenare guerre di prezzi, gli standard normati e quelli  di  fatto  riducono  gli  incentivi  all’innovazione  e  rendono difficili strategie competitive basate sulla differenziazione dei prodotti. 11.1.2. BISOGNI DI STANDARDIZZAZIONE ESPRESSI DAL MERCATO ED ESTERNALITÀ DI RETE In molti casi i fenomeni di standardizzazione sono rilevanti non solo per la singola azienda che riduce i propri costi, ma anche per la generalità degli utenti che traggono vantaggio dal fatto che sul mercato siano presenti prodotti standardizzati e tra loro compatibili. Una manifestazione di questi vantaggi collettivi è data dalle esternalità di rete ovvero molti prodotti la cui utilità è legata al numero di altri utenti che utilizzano lo stesso bene (es. stessi strumenti di comunicazione) o beni complementari che per essere compatibili devono rispondere agli stessi standard (es. videoregistratori e videocassette) oppure per la presenza di una rete di assistenza su territorio. In presenza di forti esternalità di rete, le imprese competono  per  l’affermazione  del  proprio standard, quello che diventa dominante porta inevitabilmente tutti gli utenti e i concorrenti ad adeguarsi allo stesso.

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11.2. ECONOMIE DI SCALA E DI SATURAZIONE 11.2.1. LA CAPACITÀ PRODUTTIVA Per  alcune  attività  la  dimensione  dell’azienda  sembra  essere  determinante  per  poter operare economicamente in quel settore, mentre in altri contesti la dimensione non né determina il successo o la sopravvivenza. Bisogna capire quando e perché le grandi dimensioni sono necessarie a  un’impresa  per essere efficiente e competitiva. La capacità produttiva (CP) è il volume massimo di output ottenibile in un certo intervallo di tempo e date certe condizioni operative (si applica a tutte  le  attività  d’azienda per qualunque settore). - capacità produttiva nominale: si intende il numero massimo  di  output  che  l’impresa  è  in  grado  di  realizzare  in un intervallo di tempo definito (senza soste). - capacità produttiva teorica:  valore  massimo  dell’output  ragionevolmente  ottenibile  (con  soste,  festività). La produzione effettiva è molto spesso inferiore alla CP teorica perché, ad esempio, il mercato non è in grado di assorbire tutta la produzione realizzabile dall’impresa. Si definisce perciò il grado di utilizzo della CP (in %) che è dato dal rapporto tra produzione effettiva e capacità produttiva teorica. A  seconda  dell’attività  svolta  dall’unità  aziendale,  la CP si misura in modo diverso, bisogna quindi definire l’unità  di  misura  dell’output: - aziende di produzione di beni: numero di pezzi - società di consulenza: giornate / uomo - trasporto aereo: passeggeri x miglia Non  basta  strutturare  la  CP  “della  fabbrica”,  ma  è necessario coordinare e bilanciare le CP dell’azienda  affinché la CP complessiva sia la sintesi delle diverse capacità produttive e si riducano gli sprechi. Bisogna inoltre evitare che si  formino  “colli  di  bottiglia”,  questi  si  verificano  quando  un’unità  aziendale  ha  una CP inferiore alle altre unità, per cui la CP complessiva ne risente. 11.2.2. ECONOMIE DI SCALA O DI DIMENSIONE Le economie di scala (EDS) sono le riduzioni di costi unitari che si ottengono installando (e utilizzando) capacità produttive maggiori, a parità di tasso di utilizzazione della capacità produttiva istallata. Quasi sempre quindi le dimensioni maggiori consentono costi unitari più bassi (talvolta le EDS sono decisive per poter stare sul mercato, altre volte sono poco rilevanti). Si misura confrontando i costi medi unitari di due diverse CP, ma con lo stesso grado di utilizzo: EDS = Cux - Cuy Il costo medio unitario si calcola dividendo i costi totali di produzione per la produzione effettiva: Cux = CT/Q 11.2.3. LE FONTI DELLE ECONOMIE DI SCALA Le fonti delle economie di scala sono le condizioni che  rendono  possibile  l’ottenimento  di  vantaggi  economici corrispondenti ad aumenti della CP e sono: - indivisibilità di alcuni componenti: alcuni fattori di produzione non possono essere ridotti come dimensioni e costi al di sotto di una scala minima anche se il livello di CP è basso, perciò se si aumenta la CP i costi ad essi relativi non aumentano. - maggiore produttività degli input per effetto della specializzazione: se si aumenta la CP è possibile aumentare la specializzazione delle risorse (umane e tecniche), e produrre così un vantaggio economico.

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- proprietà geometriche dei contenitori: per le condizioni di produzione del tipo contenitori si producono economie legate alle proprietà geometriche, infatti quando la CP è legata al volume il suo aumento si sviluppa con indicatori di potenza 3, mentre quando la CP è legata alla superficie quadrata si sviluppa con potenza 2. - maggior efficienza degli impianti di maggiori dimensioni:  all’aumentare  della  potenza  istallata  alcuni  impianti migliorano la propria efficienza. - minori costi unitari di acquisto:  se  aumenta  la  CP,  l’impresa  aumenta  il  volume  di  input  acquistati  e ottiene perciò migliori condizioni nei prezzi di acquisto, derivanti da una maggiore forza contrattuale. 11.2.4. ECONOMIE DI SATURAZIONE DELLA CAPACITÀ PRODUTTIVA I costi  dell’azienda  si  dividono  in  costi fissi, quando non variano al variare dei volumi di produzione per un dato intervallo, e costi variabili, quando variano al variare dei volumi di produzione. Le economie di saturazione della capacità determinano riduzioni di costo medio unitario all’aumentare  dello sfruttamento della capacità produttiva, e sono maggiori quanto maggiore è il peso dei costi fissi sul totale. Ciò significa che all’aumentare  del  grado  di  sfruttamento  della capacità produttiva, il costo fisso è ripartito su un numero maggiore di output e questo determina una riduzione del costo medio unitario. N.B. impianti più grandi > economie di scala maggiori volumi di produzione (dato un certo impianto) > economie di saturazione 11.3. ECONOMIE DI APPRENDIMENTO 11.3.1. ECONOMIE DI APPRENDIMENTO Le economie di apprendimento (o di esperienza) sono le riduzioni di costo unitario e i miglioramenti della qualità dell’output  prodotto,  che  per  effetto  dell’accumulo  di  esperienza,  si  realizzano  ogni  volta  che  si  producono quantità addizionali di beni. Queste dipendono quindi dai volumi di produzione cumulata realizzati sino ad un certo tempo t (es. ogni volta che la produzione cumulata raddoppia si manifesta la stessa percentuale di riduzione di costo). La costanza e la prevedibilità permettono di rappresentare la curva di esperienza che mette in relazione i costi  e  l’esperienza.  Occorre che nell’intervallo  considerato  le  altre  condizioni  produttive  restino invariate, l’inclinazione  della  curva  dipende  dalla  velocità di apprendimento, cioè la capacità di imparare, che si ottiene rapportando i costi relativi a due produzioni in un rapporto di esperienza 2 a 1. Infine i grandi  risparmi  per  effetto  dell’esperienza  si ottengono sui primi lotti di produzione, dopo di che diminuiscono sempre più. 11.3.2. LE FONTI DELLE ECONOMIE DI APPRENDIMENTO La  fonte  primaria  di  esperienza  è  l’apprendimento  sviluppato  dalla  persone,  che  può  manifestarsi  in  attività  che vengono svolte meglio, più velocemente e a costi minori. Le economie di apprendimento sono dovute a: - crescente abilità nello svolgimento delle attività: è la capacità delle persone di imparare e adottare nuovi e migliori modi di lavorare per svolgere meglio e più velocemente le attività loro assegnate. - migliore selezione delle risorse produttive:  l’esperienza  consente  di  comprendere meglio quali siano le risorse produttive più opportune e convenienti per una data attività e per avere un prodotto di migliore qualità. - coordinamento più efficiente fra le risorse produttive: poiché le persone devono interagire tra loro ed utilizzare  impianti  vari,  con  l’esperienza  si  impara  a  conoscersi  meglio  e  a  lavorare  in  gruppo. - più  elevata  programmabilità  dell’attività:  l’esperienza  accresce  la  prevedibilità  degli  accadimenti  e  la  capacità di rispondere al meglio alle eccezioni, permette quindi  di  programmare  al  meglio  l’attività.

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- semplificazioni dei prodotti e dei processi: si possono semplificare i processi e i prodotti in modo da ottenere costi più bassi e prodotti migliori. Le economie di apprendimento sono tanto maggiori quanto maggiori sono la capacità produttiva istallata e il tasso di saturazione della stessa.

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11.4. LE STRATEGIE DI REPLICAZIONE Le strategie di replicazione puntano a sfruttare competenze e routine presenti nel patrimonio aziendale applicandole a più combinazioni parziali tra loro uniformi (sfruttano economie di apprendimento ed economie di scala). Es. reti di franchising, banche e catene alberghiere. 11.5. LE SCELTE DI STRUTTURA DEI COSTI 11.5.1. I  VOLUMI  DEI  PRODOTTI  E  L’ECONOMICITÀ Data una certa CP, si analizza  l’effetto  dei  volumi  effettivamente  realizzati  dall’azienda  sui  costi  e  sul  risultato  reddituale, utilizzando il modello costi-volumi-risultati  (utile  anche  per  analizzare  l’impatto  sull’equilibrio  reddituale delle diverse scelte aziendali). I fattori che determinano il risultato economico conseguito dalle imprese sono: - gli elementi strutturali:  fattori  come  la  CP,  l’esperienza,  la  specializzazione,  l’estensione  verticale  e  orizzontale sono i determinanti strutturali dei costi in quanto il loro configurarsi determina la struttura e le modalità  di  funzionamento  dell’azienda. Se si vuole intervenire sulle economie di tipo strutturale occorre apportare variazioni alla struttura aziendale. In tutti i casi le variazioni nei costi legate a determinazioni strutturali si accompagnano a modifiche più o meno  estese  nel  patrimonio,  nell’assetto  tecnico,  nel  personale  e  nelle  combinazioni  economiche  dell’impresa. I ricavi totali, i costi totali e i risultati reddituali sono legati al configurarsi dei prezzi-ricavo e dei prezzi-costo e dei volumi prodotti e venduti. - il livello dei prezzi: il livello dei prezzi-costo e dei prezzi-ricavo determina il livello dei ricavi e dei costi in un dato  periodo.  Il  livello  dei  prezzi  ai  quali  l’impresa  acquista  e  vende  beni è in parte determinato da elementi interni  all’impresa  e  in  parte  da  elementi  esterni. - i volumi:  l’effettivo  ammontare  dei  costi  che  l’impresa  dovrà  sostenere  sarà  infatti  legato  ai  volumi  effettivamente prodotti, ovvero al grado di saturazione della CP predisposta.  Influenzano  sia  l’ammontare  dei costi totali, sia i costi unitari effettivi dei beni prodotti, in quanto al variare dei volumi varierà la quota dei costi fissi da imputare alle singole unità prodotte. Determinano anche il livello effettivo dei  ricavi  e  quindi  il  reddito  operativo  conseguito  dall’impresa. 11.5.2. L’ANALISI DEI COSTI-VOLUMI-RISULTATI L’analisi dei costi-volumi-risultati consente di illustrare e di modellizzare le relazioni esistenti tra i volumi dei beni  effettivamente  prodotti  e  venduti  dall’impresa  e  i  risultati  operativi  da  essa  conseguiti. Significa quindi analizzare il variare del risultato economico al variare dei volumi di vendita ed identificare il punto di pareggio, dati i prezzi di vendita, i costi fissi e i costi variabili unitari, confrontare le diverse ipotesi di configurazione dei prezzi e dei costi al fine di identificare la soluzione migliore in termini di risultato economico atteso, confrontare diverse ipotesi di esternalizzazione e internalizzazione al fine di identificare la soluzione migliore in termini di grado di integrazione verticale e di estensione delle combinazioni economiche. 11.5.3. I COSTI FISSI E I COSTI VARIABILI I costi di gestione caratteristica possono essere classificati in due grandi categorie: - costi variabili: sono i costi direttamente e strettamente correlati al volume di produzione e vendita (provvigioni, materie prime, lavorazioni esterne). Tra volumi e costi variabili esiste una relazione lineare, in realtà variazioni molto consistenti nei volumi implicano variazioni nei costi variabili unitari e quindi una relazione non lineare fra volumi e costi variabili totali.

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- costi fissi: sono i costi che non risultano direttamente e strettamente correlati al volume di produzione e di vendita (manodopera diretta e indiretta, pubblicità, consulenze legali e amministrative, manutenzioni, affitti e  quote  di  ammortamento).  L’analisi  costi-volumi-risultati  assume  l’ipotesi  semplificatrice  che  i  costi  fissi  rimangano invariati, qualsiasi sia il volume realizzato, in realtà anche i costi fissi tengono ad aumentare di fronte ad aumenti di consistenti dei volumi (che richiedono aumenti di CP). I costi fissi di gestione caratteristica si dividono in: a. costi fissi di struttura:  sono  costi  fissi  strettamente  connessi  alle  CP  in  essere  dell’azienda  in  un  certo  momento (costi del lavoro e costi non proporzionali ai volumi connessi alle attività di trasformazione tecnica, di vendita e di amministrazione). Ridurre questi costi significa ridurre la CP, ossia i volumi di vendita e di produzione realizzabili in un breve periodo. b. costi fissi di sviluppo: sono i costi che sono fissi in quanto non variano direttamente al variare dei volumi di produzione  e  di  vendita,  non  dipendono  direttamente  dalla  CP  ma  sono  destinati  a  sostenere  l’attività  corrente  e  a  porre  le  condizioni  per  lo  sviluppo  futuro  dell’azienda  (costi  di  ricerca  e  sviluppo,  formazione  del  personale, marketing). Questi possono essere variati più facilmente dei costi di struttura. 11.5.4. I COSTI TOTALI E I COSTI UNITARI Sommando i costi fissi e i costi variabili si ottengono i costi totali di gestione caratteristica. La retta dei costi totali ha  un  punto  di  minimo  pari  all’ammontare  dei  costi  fissi  e  l’inclinazione  della  retta  dei  costi  variabili. CT/Q = CTu All’aumentare  dei  volumi,  i  costi  variabili  totali  aumentano  mentre  i  costi  fissi  non  variano. All’aumentare  dei  volumi,  i  costi  variabili unitari non variano, mentre diminuisce la quota unitaria dei costi fissi  e  quindi  il  costo  totale  unitario,  in  quanto  l’ammontare  dei  costi  fissi  viene  suddiviso  su  un  numero  sempre più elevato di unità prodotte. 11.5.5. IL PUNTO DI PAREGGIO IN VOLUMI Il punto di pareggio è  l’ammontare  di  vendite  che  consente  di  coprire  tutti  i  costi  aziendali  (inteso  sia  come  numero di pezzi da produrre e vendere per andare a pareggio: punto di pareggio in volumi, sia come fatturato da conseguire per andare a pareggio: punto di pareggio in fatturato). Il punto di pareggio è  l’ammontare  di  vendite  che  consente  di  coprire  tutti  i  costi  di  gestione  caratteristica: R = CT R = CV + CF Ru x QP = CVu x QP + CF QP = CF / Ru – Cvu Q = CF / MDCu La differenza fra i ricavi unitari e i costi variabili unitari viene comunemente denominata margine di contribuzione unitario (MDCu). Il punto di pareggio è il punto in cui la retta dei costi totali incrocia la retta dei ricavi e la distanza tra le due rette rappresenta il reddito operativo (negativo a sinistra, positivo a destra). 11.5.6. IL MARGINE DI CONTRIBUZIONE E IL PUNTO DI PAREGGIO Il margine di contribuzione totale (MDC) è dato dalla differenza tra ricavi e costi variabili totali MDC = R-CV ed è il contributo che la vendita di ogni unità di bene prodotta e venduta porta alla copertura dei costi fissi di gestione caratteristica e di formazione del reddito operativo, che a sua volta servirà a coprire i costi finanziari fiscali  e  a  formare  l’utile  netto.  (vedi  margine di contribuzione %) 11.5.7. L’ANALISI  DEL  GRADO  DI  RISCHIO OPERATIVO

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Il rischio operativo di  un’azienda  è  espresso  dalla  probabilità  più  o  meno  elevata  di  subire  risultati  reddituali  particolarmente negativi o positivi, in relazione al fluttuare dei volumi di produzione e di vendita. Questo è legato al livello del punto di pareggio e al grado di elasticità operativa. L’elasticità operativa di  un’azienda  (rappresentata  dall’ampiezza  della  forbice  tra  ricavi  e  costi  totali  prima  e  dopo  il  punto  di  pareggio)  è  legata  all’incidenza  di  costi  variabili  sui  ricavi;  maggiore  è  tale  incidenza  più  stretta sarà la forbice, infatti se aumentano i volumi aumentano anche i costi variabili aumentano, e ci sarà meno margine per coprire i costi fissi. - le aziende che hanno una struttura dei costi rigida (forbice ampia) reagiscono male a eventuali riduzioni nei volumi in quanto hanno possibilità limitate di comprimere i costi (se però aumentano i volumi, i costi aumentano in misura contenuta, grande vantaggio). - le aziende che hanno una struttura dei costi flessibile (forbice stretta) non risentono in modo pesante di eventuali riduzioni nei volumi in quanto sono in grado di comprimere i costi I due elementi del rischio operativo sono legati, in quanto esiste una correlazione negativa tra i costi fissi e i costi variabili (aumentando i costi fissi si può ridurre l’incidenza  dei  costi  variabili  sui  ricavi).   11.5.8. IL PUNTO DI EQUILIBRIO REDDITUALE Si può determinare il volume di vendite che consente sia di coprire tutti i costi sia di ottenere un utile netto soddisfacente,  ovvero  di  ottenere  l’equilibrio reddituale. 11.5.9. L’ANALISI  DEGLI  SCOSTAMENTI Il modello costi-volumi-risultati  può  essere  utilizzato  per  rappresentare  i  programmi  di  un’impresa  riferiti  ad  un  certo  periodo  di  tempo:  l’impresa  ipotizza  un  certo  prezzo  e  un  certo  volume  di  vendita,  ma a fine anno il ROGC sarà inevitabilmente differente rispetto a quello programmato. L’impresa  deve  quindi  essere  in  grado  di  calcolare  lo  scostamento  tra  il  ROGC  programmato  e  quello  effettivo (considerando soprattutto i volumi, i costi fissi, i costi variabili unitari e i ricavi unitari).

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RIASSUNTO RICLASSIFICAZIONE BILANCIO

Tabella realizzata da Luca Borreani