Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra...

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Jean-Jacques RousseauDiscorso sopra l’origine

ed i fondamentidella ineguaglianza

fra gli uomini

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ed i fondamentidella ineguaglianza

fra gli uomini

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Discorso sopra l’origine ed i fondamentidella ineguaglianza fra gli uominiAUTORE: Rousseau, Jean-JacquesTRADUTTORE: Rota, NiccolòCURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Discorso sopra l'origine ed i fondamentidella ineguaglianza fra gli uomini di G.J. Rousseaucittadino di Ginevra; tradotto dal cittadino NiccolòRota. - Venezia : dalla tipografia di Antonio Curtipresso Giustino Pasquali Q. Mario, 1797. - 182, [2]p. ; 8°.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

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TITOLO: Discorso sopra l’origine ed i fondamentidella ineguaglianza fra gli uominiAUTORE: Rousseau, Jean-JacquesTRADUTTORE: Rota, NiccolòCURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

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TRATTO DA: Discorso sopra l'origine ed i fondamentidella ineguaglianza fra gli uomini di G.J. Rousseaucittadino di Ginevra; tradotto dal cittadino NiccolòRota. - Venezia : dalla tipografia di Antonio Curtipresso Giustino Pasquali Q. Mario, 1797. - 182, [2]p. ; 8°.

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 26 giugno 2018

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI019000 FILOSOFIA / Politica

DIGITALIZZAZIONE:Umberto Corradini, [email protected]

REVISIONE:Maria Grazia Hall, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Umberto Corradini, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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REVISIONE:Maria Grazia Hall, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4NOTIZIA STORICA......................................................8QUESTIONE................................................................11DISCORSOSOPRAL'ORIGINE ED l FONDAMENTIDELLAINEGUAGLIANZA FRA GLI UOMINI.....................12DISCORSO..................................................................17

PARTE PRIMA........................................................17SECONDA PARTE..................................................59

NOTE..........................................................................104

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4NOTIZIA STORICA......................................................8QUESTIONE................................................................11DISCORSOSOPRAL'ORIGINE ED l FONDAMENTIDELLAINEGUAGLIANZA FRA GLI UOMINI.....................12DISCORSO..................................................................17

PARTE PRIMA........................................................17SECONDA PARTE..................................................59

NOTE..........................................................................104

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DISCORSOSOPRA

L'ORIGINE ED I FONDAMENTI

DELLA

INEGUAGLIANZA FRA GLI UOMINI

DI G. J. ROUSSEAUCITTADINO DI GINEVRA;

Tradotto dal CittadinoNICCOLO' ROTA.

VENEZIA MDCCXCVII,Dalla Tipografia di Antonio Curti

PRESSO GIUSTINO PASQUALI Q. MARIO.

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DISCORSOSOPRA

L'ORIGINE ED I FONDAMENTI

DELLA

INEGUAGLIANZA FRA GLI UOMINI

DI G. J. ROUSSEAUCITTADINO DI GINEVRA;

Tradotto dal CittadinoNICCOLO' ROTA.

VENEZIA MDCCXCVII,Dalla Tipografia di Antonio Curti

PRESSO GIUSTINO PASQUALI Q. MARIO.

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Non in depravatis, sed in his quae benesecundum naturam se habent,

considerandum est quid sit naturale.

Arist. Polit. Lib. 2.

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Non in depravatis, sed in his quae benesecundum naturam se habent,

considerandum est quid sit naturale.

Arist. Polit. Lib. 2.

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NOTIZIA STORICA

Gian-Jacopo Rousseau l'autore dell'Emilio, del Con-tratto Sociale, e di varie altre opere, fu uno degli autoriil più perseguitato dall'invidia dei letterati, dalla ipocri-sia dei preti, e dal falso zelo de' divoti; tutte si unironocodeste classi per amareggiare gli ultimi anni della suavita, nè cessarono di calunniarlo anche dopo la di luimorte, e ne ottennero lo intento, fintantochè una perfidapolitica potè severamente proibirne la lettura. Giunto fi-nalmente il momento in cui riacquistata quella libertànaturale insita negli uomini, violentemente loro usurpatadalla forza dei prepotenti despoti, i quali assoggettar vo-levano perfino il pensiero, furono quindi con avidità let-te e studiate le di lui opere, nelle quali regna dappertuttola più pura morale, l'eloquenza la più sublime, l'amore ilpiù ardente per l'uman genere, e dalle quali scaturisconole limpide sorgenti dei diritti dell'uomo e del cittadino; ela Francia fu la prima ad approfittarsene colla famosa ri-voluzione del 1789.

Nel 1790, l'Assemblea nazionale costituente decretòuna pensione alla vedova del nostro autore, e ad essouna statua da collocarsi nella sala della stessa Assem-blea colla inscrizione:

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NOTIZIA STORICA

Gian-Jacopo Rousseau l'autore dell'Emilio, del Con-tratto Sociale, e di varie altre opere, fu uno degli autoriil più perseguitato dall'invidia dei letterati, dalla ipocri-sia dei preti, e dal falso zelo de' divoti; tutte si unironocodeste classi per amareggiare gli ultimi anni della suavita, nè cessarono di calunniarlo anche dopo la di luimorte, e ne ottennero lo intento, fintantochè una perfidapolitica potè severamente proibirne la lettura. Giunto fi-nalmente il momento in cui riacquistata quella libertànaturale insita negli uomini, violentemente loro usurpatadalla forza dei prepotenti despoti, i quali assoggettar vo-levano perfino il pensiero, furono quindi con avidità let-te e studiate le di lui opere, nelle quali regna dappertuttola più pura morale, l'eloquenza la più sublime, l'amore ilpiù ardente per l'uman genere, e dalle quali scaturisconole limpide sorgenti dei diritti dell'uomo e del cittadino; ela Francia fu la prima ad approfittarsene colla famosa ri-voluzione del 1789.

Nel 1790, l'Assemblea nazionale costituente decretòuna pensione alla vedova del nostro autore, e ad essouna statua da collocarsi nella sala della stessa Assem-blea colla inscrizione:

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LA FRANCIA LIBERAALL'AUTORE DELL'EMILIO E DEL

CONTRATTO SOCIALE,Vitam impendere vero.

Con altro decreto del 1791 fu ordinato di far solenne-mente trasportare le di lui ceneri nella chiesa di santaGeneviefa, luogo destinato a raccogliere le ossa di que'grand'uomini, i quali coi loro scritti, o colle loro azionihanno contribuito all'innalzamento dell'indistruggibileedifizio di quella costituzione, la quale rende ora laFrancia la prima nazione veramente libera di tutto l'uni-verso.

La festa per la traslazione delle ceneri di Rousseau alPantheon successe gli II ottobre 1794. L'urna che le con-teneva, era giunta il giorno prima da Ermenonville, edera stata deposta nel giardino delle Tulierie, ove era sta-to costrutto, nel sito del gran bacino, una specie di tem-pio, sostenuto da colonne pinte di color del granito. Nelmezzo di questo tempio era un catafalco coperto d'untappeto celeste, seminato di stelle, sopra del quale erasospesa una corona di lauro. Là fu dove la Convenzioneandò a prender l'urna, la quale fu deposta sopra un carrodi trionfo. Dinanzi il carro marciava l'Instituto nazionaledi musica, il quale eseguiva le arie più belle di Rous-seau. Ciò che vi fu di più osservabile nel corteggio, fuprima la moglie stessa di Rousseau, la quale era sedutasopra un piccolo carro, circondata da musici, e dopo unfascio nazionale in cui si trovavano riunite lo bandiere

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LA FRANCIA LIBERAALL'AUTORE DELL'EMILIO E DEL

CONTRATTO SOCIALE,Vitam impendere vero.

Con altro decreto del 1791 fu ordinato di far solenne-mente trasportare le di lui ceneri nella chiesa di santaGeneviefa, luogo destinato a raccogliere le ossa di que'grand'uomini, i quali coi loro scritti, o colle loro azionihanno contribuito all'innalzamento dell'indistruggibileedifizio di quella costituzione, la quale rende ora laFrancia la prima nazione veramente libera di tutto l'uni-verso.

La festa per la traslazione delle ceneri di Rousseau alPantheon successe gli II ottobre 1794. L'urna che le con-teneva, era giunta il giorno prima da Ermenonville, edera stata deposta nel giardino delle Tulierie, ove era sta-to costrutto, nel sito del gran bacino, una specie di tem-pio, sostenuto da colonne pinte di color del granito. Nelmezzo di questo tempio era un catafalco coperto d'untappeto celeste, seminato di stelle, sopra del quale erasospesa una corona di lauro. Là fu dove la Convenzioneandò a prender l'urna, la quale fu deposta sopra un carrodi trionfo. Dinanzi il carro marciava l'Instituto nazionaledi musica, il quale eseguiva le arie più belle di Rous-seau. Ciò che vi fu di più osservabile nel corteggio, fuprima la moglie stessa di Rousseau, la quale era sedutasopra un piccolo carro, circondata da musici, e dopo unfascio nazionale in cui si trovavano riunite lo bandiere

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della Convenzione degli Stati uniti, e di Ginevra. Duran-te la marcia fu cantato un inno ed un'ode a Rousseau.

Giunti al Pantheon, il presidente della Convenzionenazionale pronunziò un discorso, in cui fra gli altri elogiche diede a Rousseau, disse: Se Rousseau non fosse sta-to che l'uomo il più eloquente del suo secolo noi avrem-mo potuto abbandonarlo alla infamia. Ma egli onoròl'umanità. Egli ingrandì l'impero della ragione e dellamorale; sempre elevato, ma sempre saggio e buono, glifece della beneficenza il fondamento della sua legisla-zione: egli diceva che nelle nostre vive emozioni dob-biamo diffidarci di noi medesimi, e che non si può essergiusto senza essere umano. I suoi scritti immortali svi-luppano questo principio, "che più sovente c'inganna laragione, che la natura," ec.

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della Convenzione degli Stati uniti, e di Ginevra. Duran-te la marcia fu cantato un inno ed un'ode a Rousseau.

Giunti al Pantheon, il presidente della Convenzionenazionale pronunziò un discorso, in cui fra gli altri elogiche diede a Rousseau, disse: Se Rousseau non fosse sta-to che l'uomo il più eloquente del suo secolo noi avrem-mo potuto abbandonarlo alla infamia. Ma egli onoròl'umanità. Egli ingrandì l'impero della ragione e dellamorale; sempre elevato, ma sempre saggio e buono, glifece della beneficenza il fondamento della sua legisla-zione: egli diceva che nelle nostre vive emozioni dob-biamo diffidarci di noi medesimi, e che non si può essergiusto senza essere umano. I suoi scritti immortali svi-luppano questo principio, "che più sovente c'inganna laragione, che la natura," ec.

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QUESTIONE

Qual'è l'origine della ineguaglianzafra gli uomini?

È dessa autorizzata dalla legge naturale?

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QUESTIONE

Qual'è l'origine della ineguaglianzafra gli uomini?

È dessa autorizzata dalla legge naturale?

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DISCORSOSOPRA

L'ORIGINE ED l FONDAMENTIDELLA

INEGUAGLIANZA FRA GLI

UOMINI.

Io parlo dell'uomo, e la questione ch'esamino m'inse-gna che son per parlare ad uomini; poichè non se nepropongono di simili quando si teme di onorar la verità.Difenderò io adunque con sicurezza la causa dell'umani-tà dinanzi ai saggi che m'invitano, e non sarò mal con-tento di me medesimo se mi renderò degno del mio sog-getto e de' miei giudici.

Io concepisco nella specie umana due sorte d'inegua-glianza; una che chiamo naturale e fisica, perchè essa èstabilita dalla natura, e che consiste nella differenza del-le età, della sanità, delle forze del corpo, e delle qualitàdello spirito, o dell'anima; l'altra, che si può chiamareineguaglianza morale o politica, perchè essa dipende dauna sorte di convenzione, ed è stabilita, o almeno auto-

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DISCORSOSOPRA

L'ORIGINE ED l FONDAMENTIDELLA

INEGUAGLIANZA FRA GLI

UOMINI.

Io parlo dell'uomo, e la questione ch'esamino m'inse-gna che son per parlare ad uomini; poichè non se nepropongono di simili quando si teme di onorar la verità.Difenderò io adunque con sicurezza la causa dell'umani-tà dinanzi ai saggi che m'invitano, e non sarò mal con-tento di me medesimo se mi renderò degno del mio sog-getto e de' miei giudici.

Io concepisco nella specie umana due sorte d'inegua-glianza; una che chiamo naturale e fisica, perchè essa èstabilita dalla natura, e che consiste nella differenza del-le età, della sanità, delle forze del corpo, e delle qualitàdello spirito, o dell'anima; l'altra, che si può chiamareineguaglianza morale o politica, perchè essa dipende dauna sorte di convenzione, ed è stabilita, o almeno auto-

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rizzata dal consentimento degli uomini. Questa consistenei differenti privilegi di cui alcuni godono a pregiudi-zio degli altri, come l'esser più, ricchi, più onorati, piùpotenti di alcuni altri, oppure nel farsi obbedire.

Non si può chiedere qual sia la sorgente dell'inegua-glianza naturale, poichè la risposta si troverebbe enun-ziata nella semplice definizione della parola: meno an-cora si può cercare se vi fosse qualche legame essenzia-le fra le due ineguaglianze; avvegnachè ciò sarebbe di-mandare in altri termini, se quelli che comandano va-gliano necessariamente più di quelli ch'obbediscono, ese la forza del corpo, o dello spirito, la saviezza, o lavirtù si trovino sempre nei medesimi individui in pro-porzione della potenza, o della ricchezza: questione sa-rebbe questa buona forse da esser trattata da schiaviascoltati da' loro padroni; ma che non conviene ad uo-mini liberi e ragionevoli, i quali cercano la verità.

Di che si tratta adunque precisamente in questo di-scorso? Di marcare, nel progresso delle cose, il momen-to in cui il dritto succedendo alla violenza, la natura fusottomessa alla legge: di spiegare per qual concatena-mento di prodigi il forte potè risolversi a servir il debo-le, ed il popolo a comperare un riposo ideale al prezzodi una reale felicità.

I filosofi che hanno esaminato i fondamenti della so-cietà, hanno tutti sentita la necessità di rimontare finoallo stato di natura; ma veruno d'essi non vi è giunto. Gliuni non hanno bilanciato di supporre all'uomo, in talestato, la nozione del giusto e dell'ingiusto, senza curarsi

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rizzata dal consentimento degli uomini. Questa consistenei differenti privilegi di cui alcuni godono a pregiudi-zio degli altri, come l'esser più, ricchi, più onorati, piùpotenti di alcuni altri, oppure nel farsi obbedire.

Non si può chiedere qual sia la sorgente dell'inegua-glianza naturale, poichè la risposta si troverebbe enun-ziata nella semplice definizione della parola: meno an-cora si può cercare se vi fosse qualche legame essenzia-le fra le due ineguaglianze; avvegnachè ciò sarebbe di-mandare in altri termini, se quelli che comandano va-gliano necessariamente più di quelli ch'obbediscono, ese la forza del corpo, o dello spirito, la saviezza, o lavirtù si trovino sempre nei medesimi individui in pro-porzione della potenza, o della ricchezza: questione sa-rebbe questa buona forse da esser trattata da schiaviascoltati da' loro padroni; ma che non conviene ad uo-mini liberi e ragionevoli, i quali cercano la verità.

Di che si tratta adunque precisamente in questo di-scorso? Di marcare, nel progresso delle cose, il momen-to in cui il dritto succedendo alla violenza, la natura fusottomessa alla legge: di spiegare per qual concatena-mento di prodigi il forte potè risolversi a servir il debo-le, ed il popolo a comperare un riposo ideale al prezzodi una reale felicità.

I filosofi che hanno esaminato i fondamenti della so-cietà, hanno tutti sentita la necessità di rimontare finoallo stato di natura; ma veruno d'essi non vi è giunto. Gliuni non hanno bilanciato di supporre all'uomo, in talestato, la nozione del giusto e dell'ingiusto, senza curarsi

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di mostrare s'egli dovesse aver questa nozione, e neppu-re se utile gli fosse: altri hanno parlato del diritto natura-le che ciascuno ha di conservare ciò che gli appartiene,senza spiegare ciò ch'essi intendessero per appartenere:altri dando da principio al più forte l'autorità sopra il piùdebole, fecero subito nascere il governo, senza pensareal tempo che dovè essere scorso primachè il senso delleparole autorità e governo potesse esistere fra gli uomini:infine tutti parlando sempre di bisogno, d'avidità,d'oppressione, di desiderio, e d'orgoglio, hanne traspor-tato nello stato di natura delle idee che essi aveano presenella società; parlavan eglino dell'uom selvaggio, e di-pingevano l'uomo civile. Nella maggior parte de nostrinon è caduto nemmen in pensiero di sospettare, se lostato di natura abbia giammai esistito, essendo evidenteper la lettura de' sacri libri che avendo il primo uomo ri-cevuto immediatamente da Dio dei lumi e dei precetti,neppure egli stesso fosse in questo stato: e che prestan-do agli scritti di Mosè quella fede che gli deve ogni filo-sofo cristiano, bisogna negare che nemmen pria del di-luvio si sieno giammai trovati gli uomini nello stato dinatura, quando qualche straordinario avvenimento non liavesse fatti ricadere: paradosso molto imbrogliato a di-fendersi, ed affatto impossibile a provarsi.

Cominciam dunque dal por a parte tutti i fatti, nonavendo essi che fare colla questione. Non convien pren-der le ricerche nelle quali si può entrare su questo sog-getto per verità istoriche, ma soltanto per ipotetici ragio-namenti e condizionali, più adattati a chiarire la natura

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di mostrare s'egli dovesse aver questa nozione, e neppu-re se utile gli fosse: altri hanno parlato del diritto natura-le che ciascuno ha di conservare ciò che gli appartiene,senza spiegare ciò ch'essi intendessero per appartenere:altri dando da principio al più forte l'autorità sopra il piùdebole, fecero subito nascere il governo, senza pensareal tempo che dovè essere scorso primachè il senso delleparole autorità e governo potesse esistere fra gli uomini:infine tutti parlando sempre di bisogno, d'avidità,d'oppressione, di desiderio, e d'orgoglio, hanne traspor-tato nello stato di natura delle idee che essi aveano presenella società; parlavan eglino dell'uom selvaggio, e di-pingevano l'uomo civile. Nella maggior parte de nostrinon è caduto nemmen in pensiero di sospettare, se lostato di natura abbia giammai esistito, essendo evidenteper la lettura de' sacri libri che avendo il primo uomo ri-cevuto immediatamente da Dio dei lumi e dei precetti,neppure egli stesso fosse in questo stato: e che prestan-do agli scritti di Mosè quella fede che gli deve ogni filo-sofo cristiano, bisogna negare che nemmen pria del di-luvio si sieno giammai trovati gli uomini nello stato dinatura, quando qualche straordinario avvenimento non liavesse fatti ricadere: paradosso molto imbrogliato a di-fendersi, ed affatto impossibile a provarsi.

Cominciam dunque dal por a parte tutti i fatti, nonavendo essi che fare colla questione. Non convien pren-der le ricerche nelle quali si può entrare su questo sog-getto per verità istoriche, ma soltanto per ipotetici ragio-namenti e condizionali, più adattati a chiarire la natura

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delle cose, che a mostrarne la vera origine, simili appun-to a quelli che fanno ogni giorno i nostri fisici sulla for-mazione del mondo. La religione ci ordina di credere,che Dio egli medesimo avendo tratto gli uomini dallostato di natura, eglino sono ineguali perchè egli ha volu-to che lo fossero; ma essa non ci proibisce di formardelle congetture tratte dalla sola natura dell'uomo e deglienti che lo circondano, su ciò che avrebbe potuto diveni-re il genere umano se fosse rimasto abbandonato a luimedesimo. Ecco ciò che mi si dimanda, e ciò ch'io mipropongo di esaminare in questo discorso. Interessandoil mio soggetto l'uomo in generale, procurerò di prende-re un linguaggio che convenga a tutte le nazioni; o piut-tosto scordando i tempi e i luoghi per non pensare cheagli uomini a' quali parlo, io mi supporrò nel Liceod'Atene, ripetendo le lezioni de' miei maestri, avendo iPlatoni ed i Xenocrati per giudici, ed il genere umanoper uditore.

O uomo, di qualunque contrada che tu ti sia, qualun-que sieno le tue opinioni, ascolta; ecco la tua storia, talquale ho creduto leggerla , non già ne' libri de' tuoi simi-li, i quali son mentitori; ma nella, natura che mai menti-sce. Tutto ciò che vi sarà d' essa, sarà vero; nè vi sarà difalso che ciò ch'io vi avrò mescolato di mio senza voler-lo. I tempi di cui io son per parlare, sono ben lontani:quanto tu hai cambiato da quello che eri! Ella è, per cosìdire, la vita della tua specie che son per descriverti die-tro alle qualità che tu hai ricevute, che la tua educazionee le tue abitudini hanno potuto bensì corrompere, ma

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delle cose, che a mostrarne la vera origine, simili appun-to a quelli che fanno ogni giorno i nostri fisici sulla for-mazione del mondo. La religione ci ordina di credere,che Dio egli medesimo avendo tratto gli uomini dallostato di natura, eglino sono ineguali perchè egli ha volu-to che lo fossero; ma essa non ci proibisce di formardelle congetture tratte dalla sola natura dell'uomo e deglienti che lo circondano, su ciò che avrebbe potuto diveni-re il genere umano se fosse rimasto abbandonato a luimedesimo. Ecco ciò che mi si dimanda, e ciò ch'io mipropongo di esaminare in questo discorso. Interessandoil mio soggetto l'uomo in generale, procurerò di prende-re un linguaggio che convenga a tutte le nazioni; o piut-tosto scordando i tempi e i luoghi per non pensare cheagli uomini a' quali parlo, io mi supporrò nel Liceod'Atene, ripetendo le lezioni de' miei maestri, avendo iPlatoni ed i Xenocrati per giudici, ed il genere umanoper uditore.

O uomo, di qualunque contrada che tu ti sia, qualun-que sieno le tue opinioni, ascolta; ecco la tua storia, talquale ho creduto leggerla , non già ne' libri de' tuoi simi-li, i quali son mentitori; ma nella, natura che mai menti-sce. Tutto ciò che vi sarà d' essa, sarà vero; nè vi sarà difalso che ciò ch'io vi avrò mescolato di mio senza voler-lo. I tempi di cui io son per parlare, sono ben lontani:quanto tu hai cambiato da quello che eri! Ella è, per cosìdire, la vita della tua specie che son per descriverti die-tro alle qualità che tu hai ricevute, che la tua educazionee le tue abitudini hanno potuto bensì corrompere, ma

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non già distruggere. C'è, lo sento, un'età in cui l'uomoindividuale vorrebbe fermarsi: tu cercherai l'età in cuibramèresti che la tua specie si fosse fermata. Malcon-tento dello stato tuo presente, per ragioni ch'annunzianoalla tua infelice posterità maggiori disgusti ancora, forsetu vorresti poter ritrocedere: e questo tuo sentimentodeve far l'elogio de' tuoi primi avoli, la critica de' tuoicontemporanei, e lo spavento di quelli ch'avranno lasventura di viver dopo di te.

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non già distruggere. C'è, lo sento, un'età in cui l'uomoindividuale vorrebbe fermarsi: tu cercherai l'età in cuibramèresti che la tua specie si fosse fermata. Malcon-tento dello stato tuo presente, per ragioni ch'annunzianoalla tua infelice posterità maggiori disgusti ancora, forsetu vorresti poter ritrocedere: e questo tuo sentimentodeve far l'elogio de' tuoi primi avoli, la critica de' tuoicontemporanei, e lo spavento di quelli ch'avranno lasventura di viver dopo di te.

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DISCORSO

PARTE PRIMA.

Per quanto importante sia, per ben giudicare dello sta-to naturale dell'uomo, il considerarlo dalla sua origine, el'esaminarlo, per così dire, nel primo embrione dellaspecie, io non seguirò già la di lui organizzazione a tra-verso i suoi successivi sviluppi, nè mi fermerò a ricerca-re nel sistema animale ciò ch'ei poteva essere al princi-pio, per diventare alfine ciò ch'egli è adesso: nemmenoesaminerò se, come pensa Aristotile, le sue unghie al-lungate fossero nel principio adunche grinfe, se fossepeluto come un orso, e se camminando a quattro piedi(1)

co' suoi sguardi diretti verso la terra e ristretti ad unorizzonte di alcuni passi indicassero nello stesso tempoil carattere ed i limiti delle sue idee. Su tale soggettonon potrei formare che congetture vaghe e quasi imma-ginarie. L'anatomia paragonata non ha fatto finora chepochi progressi; e le osservazioni de' naturalisti sono an-cora troppo incerte per potere stabilire sovra simili fon-damenti la base d'un solido ragionamento: quindi senza

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DISCORSO

PARTE PRIMA.

Per quanto importante sia, per ben giudicare dello sta-to naturale dell'uomo, il considerarlo dalla sua origine, el'esaminarlo, per così dire, nel primo embrione dellaspecie, io non seguirò già la di lui organizzazione a tra-verso i suoi successivi sviluppi, nè mi fermerò a ricerca-re nel sistema animale ciò ch'ei poteva essere al princi-pio, per diventare alfine ciò ch'egli è adesso: nemmenoesaminerò se, come pensa Aristotile, le sue unghie al-lungate fossero nel principio adunche grinfe, se fossepeluto come un orso, e se camminando a quattro piedi(1)

co' suoi sguardi diretti verso la terra e ristretti ad unorizzonte di alcuni passi indicassero nello stesso tempoil carattere ed i limiti delle sue idee. Su tale soggettonon potrei formare che congetture vaghe e quasi imma-ginarie. L'anatomia paragonata non ha fatto finora chepochi progressi; e le osservazioni de' naturalisti sono an-cora troppo incerte per potere stabilire sovra simili fon-damenti la base d'un solido ragionamento: quindi senza

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ricorrere alle sovrannaturali cognizioni che abbiamo suquesto punto, e senza aver riguardo ai cambiamenti chehan dovuto sopravvenire nella conformazione tanto in-terna quanto esterna dell'uomo, a misura ch'egli applica-va i suoi membri a nuovi usi, e che si nutriva di nuovialimenti, io lo supporrò conformato in tutti i tempi comelo veggo al dì d'oggi, camminando a due piedi, serven-dosi delle sue mani, come noi facciam delle nostre', por-tando i suoi sguardi su tutta la natura, e misurando cogliocchi la vasta estensione del cielo.

Spogliando quest'ente così costituito di tutti i doni so-prannaturali ch'egli ha potuto ricevere, e di tutte le fa-coltà artificiali che non ha potuto acquistare che per lun-ghi progressi, considerandolo, in una parola, tal quale hadovuto uscire dalle mani della natura, io veggo un ani-male men forte che gli uni, men agile che gli altri, mail·tutto preso, più vantaggiosamente organizzato di tutti;lo veggo satollarsi sotto una quercia, dissetarsi al primoruscello, trovando il suo letto sotto lo stesso arbore chegli diè il suo pasto, ed ecco soddisfatti i suoi bisogni.

La terra abbandonata alla sua naturale fertilità(2), e co-perta d'immense foreste che la scure non troncò giam-mai, offre ad ogni passo magazzini e ritirate ad ogni sor-ta d'animali. Gli uomini dispersi fra essi, osservano, imi-tano la loro industria, e s'inalzano così fino all'istintodelle bestie, con questo vantaggio, che cadauna specienon ha che il suo proprio, e che l'uomo non avendoneforse alcuno che gli appartenga, se li appropria tutti; sinutre egualmente degli alimenti diversi(3) ché gli altri

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ricorrere alle sovrannaturali cognizioni che abbiamo suquesto punto, e senza aver riguardo ai cambiamenti chehan dovuto sopravvenire nella conformazione tanto in-terna quanto esterna dell'uomo, a misura ch'egli applica-va i suoi membri a nuovi usi, e che si nutriva di nuovialimenti, io lo supporrò conformato in tutti i tempi comelo veggo al dì d'oggi, camminando a due piedi, serven-dosi delle sue mani, come noi facciam delle nostre', por-tando i suoi sguardi su tutta la natura, e misurando cogliocchi la vasta estensione del cielo.

Spogliando quest'ente così costituito di tutti i doni so-prannaturali ch'egli ha potuto ricevere, e di tutte le fa-coltà artificiali che non ha potuto acquistare che per lun-ghi progressi, considerandolo, in una parola, tal quale hadovuto uscire dalle mani della natura, io veggo un ani-male men forte che gli uni, men agile che gli altri, mail·tutto preso, più vantaggiosamente organizzato di tutti;lo veggo satollarsi sotto una quercia, dissetarsi al primoruscello, trovando il suo letto sotto lo stesso arbore chegli diè il suo pasto, ed ecco soddisfatti i suoi bisogni.

La terra abbandonata alla sua naturale fertilità(2), e co-perta d'immense foreste che la scure non troncò giam-mai, offre ad ogni passo magazzini e ritirate ad ogni sor-ta d'animali. Gli uomini dispersi fra essi, osservano, imi-tano la loro industria, e s'inalzano così fino all'istintodelle bestie, con questo vantaggio, che cadauna specienon ha che il suo proprio, e che l'uomo non avendoneforse alcuno che gli appartenga, se li appropria tutti; sinutre egualmente degli alimenti diversi(3) ché gli altri

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animali si dividono, e trova per conseguenza la sua sus-sistenza più facilmente che non può farlo alcuno di essi.

Avvezzati fin dall'infanzia all'intemperie dell'aria edal rigor delle stagioni; esercitati alla fatica, e sforzati didifendere nudi e senz'armi la propria vita e la loro predadall'altre bestie feroci, o di scappar da esse colla corsa,gli uomini si formano un temperamento robusto e quasiinalterabile. I fanciulli portando con essi al mondol'eccellente costituzione dei loro padri, e fortificandolacoi medesimi esercizj che l'hanno prodotta, acquistanoin tale guisa tutto quel vigore di cui è capace l'umanaspecie. La natura fa precisamente con essi ciò che face-va fa legge di Sparta coi funciulli de' cittadini: ella rendeforti e robusti quei che sono ben costituiti, e fa periretutti gli altri: differente in ciò dalle nostrè società, ove lostato rendendo i fanciulli gravosi ai padri, li uccide indi-stintamente avanti la loro nascita.

Il corpo dell'uomo selvaggio essendo il solo strumen-to ch'egli conosca, ei lo impiega a diversi usi, di cui perdifetto di esercizio i nostri sono incapaci, e la nostra in-dustria è quella che ci leva la forza e l'agilità che la ne-cessità lo obbliga di acquistare. Se avesse una scure,squarcerebbe egli col suo braccio rami sì forti? Se aves-se una fromba, lancerebbe egli colla mano contant'impeto una pietra? Se avesse una scala, s'arrampi-cherebbe egli sì leggermente sopra un arbore? e se aves-se avuto un cavallo, sarebbe egli così snello alla corsa?Lasciate all'uomo incivilito il tempo di unire attorno dise le sue macchine, non si può dubitare che non superi

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animali si dividono, e trova per conseguenza la sua sus-sistenza più facilmente che non può farlo alcuno di essi.

Avvezzati fin dall'infanzia all'intemperie dell'aria edal rigor delle stagioni; esercitati alla fatica, e sforzati didifendere nudi e senz'armi la propria vita e la loro predadall'altre bestie feroci, o di scappar da esse colla corsa,gli uomini si formano un temperamento robusto e quasiinalterabile. I fanciulli portando con essi al mondol'eccellente costituzione dei loro padri, e fortificandolacoi medesimi esercizj che l'hanno prodotta, acquistanoin tale guisa tutto quel vigore di cui è capace l'umanaspecie. La natura fa precisamente con essi ciò che face-va fa legge di Sparta coi funciulli de' cittadini: ella rendeforti e robusti quei che sono ben costituiti, e fa periretutti gli altri: differente in ciò dalle nostrè società, ove lostato rendendo i fanciulli gravosi ai padri, li uccide indi-stintamente avanti la loro nascita.

Il corpo dell'uomo selvaggio essendo il solo strumen-to ch'egli conosca, ei lo impiega a diversi usi, di cui perdifetto di esercizio i nostri sono incapaci, e la nostra in-dustria è quella che ci leva la forza e l'agilità che la ne-cessità lo obbliga di acquistare. Se avesse una scure,squarcerebbe egli col suo braccio rami sì forti? Se aves-se una fromba, lancerebbe egli colla mano contant'impeto una pietra? Se avesse una scala, s'arrampi-cherebbe egli sì leggermente sopra un arbore? e se aves-se avuto un cavallo, sarebbe egli così snello alla corsa?Lasciate all'uomo incivilito il tempo di unire attorno dise le sue macchine, non si può dubitare che non superi

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facilmente l'uomo selvaggio; ma se volete vedere uncombattimento più ineguale ancora, metteteli nudi e di-sarmati l'uno in faccia all'altro, e riconoscerete ben pre-sto qual sia l'avvantaggio d'aver sempre le sue forze asua disposizione, d'esser sempre pronto ad ogni avveni-mento; e di portarsi, per così dire, sempre intero con semedesimo(4).

Hobbes pretende che l'uomo sia naturalte intrepido, eche non cerchi che ad attaccare e combattere. Un illustrefilosofo pensa all'opposto, e Cumberland e Puffendorfioassicurano altresì, che nessun altro è tanto timido, quan-to l'uomo nello stato di natura, e ch'egli è sempre tre-mante e pronto a fuggire al menomo strepito che lo col-pisca, al menomo movimento che veda. Ciò può essereche divenga per que' tali oggetti che non conosce, ed ionon dubito che non resti spaventato da tutti i nuovi spet-tacoli che se gli presentano, ogni qual volta non può di-stinguere il bene ed il male fisico che ne deve aspettare,nè può paragonare le sue forze coi pericoli che sta perincontrare; rare circostanze però nello stato di natura,ove tutte le cose sen vanno d'una maniera sì uniforme, edove la faccia della terra non è soggetta a quegli im-provvisi cambiamenti e continui che vi cagionano lepassioni e l'incostanza dei popoli riuniti. Ma l'uomo sel-vaggio vivendo disperso fra gli animali, e trovandosi dibuon'ora nel caso di misurarsi con essi, ne fa ben prestoil paragone; e sentendo ch'egli li supera più in destrezza,ch'essi non lo superano in forza, impara a non più te-merli. Mettete un orso, o un lupo alle prese con un

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facilmente l'uomo selvaggio; ma se volete vedere uncombattimento più ineguale ancora, metteteli nudi e di-sarmati l'uno in faccia all'altro, e riconoscerete ben pre-sto qual sia l'avvantaggio d'aver sempre le sue forze asua disposizione, d'esser sempre pronto ad ogni avveni-mento; e di portarsi, per così dire, sempre intero con semedesimo(4).

Hobbes pretende che l'uomo sia naturalte intrepido, eche non cerchi che ad attaccare e combattere. Un illustrefilosofo pensa all'opposto, e Cumberland e Puffendorfioassicurano altresì, che nessun altro è tanto timido, quan-to l'uomo nello stato di natura, e ch'egli è sempre tre-mante e pronto a fuggire al menomo strepito che lo col-pisca, al menomo movimento che veda. Ciò può essereche divenga per que' tali oggetti che non conosce, ed ionon dubito che non resti spaventato da tutti i nuovi spet-tacoli che se gli presentano, ogni qual volta non può di-stinguere il bene ed il male fisico che ne deve aspettare,nè può paragonare le sue forze coi pericoli che sta perincontrare; rare circostanze però nello stato di natura,ove tutte le cose sen vanno d'una maniera sì uniforme, edove la faccia della terra non è soggetta a quegli im-provvisi cambiamenti e continui che vi cagionano lepassioni e l'incostanza dei popoli riuniti. Ma l'uomo sel-vaggio vivendo disperso fra gli animali, e trovandosi dibuon'ora nel caso di misurarsi con essi, ne fa ben prestoil paragone; e sentendo ch'egli li supera più in destrezza,ch'essi non lo superano in forza, impara a non più te-merli. Mettete un orso, o un lupo alle prese con un

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uomo selvaggio robusto, agile, coraggioso, come essison tutti, armato di pietre e di un buon bastone, e voi ve-drete che al più sarà reciproco il periglio; e che dopomolte simili esperienze, le bestie feroci che non hannopiacere d'attaccarsi l'una coll'altra, lo faranno men vo-lentieri coll'uomo che hanno trovato essere altrettantoferoce che esse. Per riguardo poi a quegli animali chehanno realmente più forza ch'egli non ha destrezza, eglinon è in faccia ad essi nello stesso caso delle altre spe-zie più deboli, le quali non pertanto lasciano di sussiste-re, con questo avvantaggio per l'uomo, che essendo nonmeno disposto ch'essi alla corsa, e trovando sugli alberiun refugio quasi sicuro, sta a lui in tutti gli incontri ilprender ed il lasciare, e la scelta della fuga o del com-battimento. Aggiugniamo che non apparisce ch'animalveruno faccia naturalmente la guerra all'uomo, fuori delcaso di sua propria difesa, o di un'estrema fame, nè di-mostra contro di lui quelle violenti antipatie che sembra-no annunziare che una specie è destinata dalla natura aservite di pastura all'altra.

Gli altri inimici più formidabili, e di cui l'uomo nonha gli stessi mezzi per difendersi, sono le infermità natu-rali, l'infanzia, la vecchiezza, e le malattie d'ogni spezie,tristi segni di nostra debolezza, di cui li due primi sonocomuni a tutti gli animali, e di cui l'ultimo appartieneprincipalmente all'uomo vivente in società. Osservo pa-rimenti circa all'infanzia che la madre portando per ognidove il sue fanciullo con essa , ha una maggior facilitàdi nutrirlo, che non hanno le femmine di molti animali

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uomo selvaggio robusto, agile, coraggioso, come essison tutti, armato di pietre e di un buon bastone, e voi ve-drete che al più sarà reciproco il periglio; e che dopomolte simili esperienze, le bestie feroci che non hannopiacere d'attaccarsi l'una coll'altra, lo faranno men vo-lentieri coll'uomo che hanno trovato essere altrettantoferoce che esse. Per riguardo poi a quegli animali chehanno realmente più forza ch'egli non ha destrezza, eglinon è in faccia ad essi nello stesso caso delle altre spe-zie più deboli, le quali non pertanto lasciano di sussiste-re, con questo avvantaggio per l'uomo, che essendo nonmeno disposto ch'essi alla corsa, e trovando sugli alberiun refugio quasi sicuro, sta a lui in tutti gli incontri ilprender ed il lasciare, e la scelta della fuga o del com-battimento. Aggiugniamo che non apparisce ch'animalveruno faccia naturalmente la guerra all'uomo, fuori delcaso di sua propria difesa, o di un'estrema fame, nè di-mostra contro di lui quelle violenti antipatie che sembra-no annunziare che una specie è destinata dalla natura aservite di pastura all'altra.

Gli altri inimici più formidabili, e di cui l'uomo nonha gli stessi mezzi per difendersi, sono le infermità natu-rali, l'infanzia, la vecchiezza, e le malattie d'ogni spezie,tristi segni di nostra debolezza, di cui li due primi sonocomuni a tutti gli animali, e di cui l'ultimo appartieneprincipalmente all'uomo vivente in società. Osservo pa-rimenti circa all'infanzia che la madre portando per ognidove il sue fanciullo con essa , ha una maggior facilitàdi nutrirlo, che non hanno le femmine di molti animali

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le quali sono costrette d'andare continuamente innanzi eindietro con molta fatica da una parte per procacciarl'alimento, e dall'altra per allattare o nutrire i loro parti.Egli è vero che se la femmina perisce, corre un gran ri-schio di perire il fanciullo con essa; ma questo pericoloè comune a cento altre specie, i di cui parti per lungotempo non sono in istato d'andarsi a cercare da per sestesse il loro nutrimento; e se l'infanzia è più lunga franoi, la vita essendo altresì più lunga, tutto è ancora alloincirca eguale in questo punto(5), abbenchè ci sieno so-vra la durata della prima età, e sovra il numero de' fan-ciulli(6) altre regole che non sono del mio soggetto. Ap-presso i vecchi, i quali operano e traspirano poco, il bi-sogno degli alimenti si diminuisce colla facoltà di prov-vederli; e siccome la vita selvaggia allontana da essi lagotta e le flussioni, e che la vecchiezza è di tutti i maliquello che i soccorsi umani possono il men sollevare,essi si annichilano alla fine senza accorgersi che cessanod'essere, e senza che neppure essi stessi se ne accorgano.

Riguardo alle malattie io non ripeterò le vane e falsedeclamazioni che fanno contro la medicina la maggiorparte delle persone che sono in salute; ma dimanderò sec'è qualche solida osservazione da cui concluder si pos-sa, che ne' paesi ove quest'arte è più negletta, la mezza-na vita dell'uomo sia più corta che in quella ov'essa ècoltivata con maggior cura; e come mai ciò potrebbe es-sere se noi ci diamo più mali di quello che la medicinaci possa fornir rimedj; l'ineguaglianza estrema nella ma-niera del vivere, l'eccesso dell'ozio negli uni, l'eccessivo

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le quali sono costrette d'andare continuamente innanzi eindietro con molta fatica da una parte per procacciarl'alimento, e dall'altra per allattare o nutrire i loro parti.Egli è vero che se la femmina perisce, corre un gran ri-schio di perire il fanciullo con essa; ma questo pericoloè comune a cento altre specie, i di cui parti per lungotempo non sono in istato d'andarsi a cercare da per sestesse il loro nutrimento; e se l'infanzia è più lunga franoi, la vita essendo altresì più lunga, tutto è ancora alloincirca eguale in questo punto(5), abbenchè ci sieno so-vra la durata della prima età, e sovra il numero de' fan-ciulli(6) altre regole che non sono del mio soggetto. Ap-presso i vecchi, i quali operano e traspirano poco, il bi-sogno degli alimenti si diminuisce colla facoltà di prov-vederli; e siccome la vita selvaggia allontana da essi lagotta e le flussioni, e che la vecchiezza è di tutti i maliquello che i soccorsi umani possono il men sollevare,essi si annichilano alla fine senza accorgersi che cessanod'essere, e senza che neppure essi stessi se ne accorgano.

Riguardo alle malattie io non ripeterò le vane e falsedeclamazioni che fanno contro la medicina la maggiorparte delle persone che sono in salute; ma dimanderò sec'è qualche solida osservazione da cui concluder si pos-sa, che ne' paesi ove quest'arte è più negletta, la mezza-na vita dell'uomo sia più corta che in quella ov'essa ècoltivata con maggior cura; e come mai ciò potrebbe es-sere se noi ci diamo più mali di quello che la medicinaci possa fornir rimedj; l'ineguaglianza estrema nella ma-niera del vivere, l'eccesso dell'ozio negli uni, l'eccessivo

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travaglio negli altri, la facilità di irritare, e di soddisfarei nostri appetiti e la nostra sensualità, gli alimenti tropporicercati ne' ricchi che li nutriscono di calidi succhi, e liopprimono d'indigestioni, la cattiva nutritura de' poveria cui talvolta questa pur manca, e la di cui mancanza fache nelle occasioni si carichino avidamente lo stomaco;le vigilie, gli eccessi d'ogni specie, gli immoderati tra-sporti di tutte le passioni, le fatiche, fa dissipazione del-lo spirito, le noie, e le pene senza numero che si prova-no in tutti gli stati, e da cui sono perpetuamente consu-mate le anime; ecco i funesti garanti che la più parte deinostri mali sono di nostra propria opera, e che noi liavressimo avressimo quasi tutti evitati, se conservata avessimo lamaniera di vivere semplice, uniforme, e solitaria, che ciera stata prescritta dalla natura. Se essa ci ha destinatoad esser sani, ardisco quasi di assicurare, che lo stato diriflessione è uno stato contro natura, e che l'uomo chemedita è un animal depravato. Quando si pensa allabuona costituzione de' selvaggi, almeno di quelli chenon abbiam rovinato co' nostri liquori forti; quando si sache non conoscon eglino altre malattie che le ferite e lavecchiezza, si sta per credere che facilmente si potrebbefare la storia delle umane malattie, seguitando quelle del-le civili società. Questa almeno è l'opinion di Platone, ilquale giudica su certi rimedi impiegati, o approvati daPodaliro, o Macaone all'assedio di Troia, che diversemalattie che questi rimedi doveano eccitare, non eranoper anco in allora conosciute fra gli uomini.

Con sì piccola sorgente di mali, l'uomo nello stato di

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travaglio negli altri, la facilità di irritare, e di soddisfarei nostri appetiti e la nostra sensualità, gli alimenti tropporicercati ne' ricchi che li nutriscono di calidi succhi, e liopprimono d'indigestioni, la cattiva nutritura de' poveria cui talvolta questa pur manca, e la di cui mancanza fache nelle occasioni si carichino avidamente lo stomaco;le vigilie, gli eccessi d'ogni specie, gli immoderati tra-sporti di tutte le passioni, le fatiche, fa dissipazione del-lo spirito, le noie, e le pene senza numero che si prova-no in tutti gli stati, e da cui sono perpetuamente consu-mate le anime; ecco i funesti garanti che la più parte deinostri mali sono di nostra propria opera, e che noi liavressimo avressimo quasi tutti evitati, se conservata avessimo lamaniera di vivere semplice, uniforme, e solitaria, che ciera stata prescritta dalla natura. Se essa ci ha destinatoad esser sani, ardisco quasi di assicurare, che lo stato diriflessione è uno stato contro natura, e che l'uomo chemedita è un animal depravato. Quando si pensa allabuona costituzione de' selvaggi, almeno di quelli chenon abbiam rovinato co' nostri liquori forti; quando si sache non conoscon eglino altre malattie che le ferite e lavecchiezza, si sta per credere che facilmente si potrebbefare la storia delle umane malattie, seguitando quelle del-le civili società. Questa almeno è l'opinion di Platone, ilquale giudica su certi rimedi impiegati, o approvati daPodaliro, o Macaone all'assedio di Troia, che diversemalattie che questi rimedi doveano eccitare, non eranoper anco in allora conosciute fra gli uomini.

Con sì piccola sorgente di mali, l'uomo nello stato di

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natura non ha dunque bisogno di rimedi, meno ancora dimedici: la specie umana a questo riguardo non è in nullaa peggior condizione di tutte le altre specie; egli è faciledi sapere dai cacciatori se nelle loro corse trovino moltianimali infermi. Ne ritrovano molti che hanno ricevutodelle considerabili ferite; benissimo cicatrizzate, chehanno avuto ossa e membra rotte, ed accomodatesenz'altro chirurgo che il tempo, senz'altra regola che lavita ordinaria; e che sono rimasti perfettamente guariticiò non ostante senza esser stati tormentati da tagli, av-velenati da droghe, ed estenuati da digiuni. Infine perquanto utile possa esser fra noi la bene amministratamedicina, egli è sempre certo che se il selvaggio amma-lato abbandonato a se stesso non ha da sperare che dallanatura, in concambio ei non ha da temere che dal suomale; ciò che rende sovente preferibile la sua situazionealla nostra.

Guardiamci dunque dal confondere l'uomo selvaggiocogli uomini che abbiamo sotto gli occhi. La natura trat-ta tutti gl'animali abbandonati alle sue cure con una pre-dilezione che sembra mostrare quanto ella è gelosa diquesto diritto. Il cavallo, il gatto, il toro, l'asino istesso,hanno la più parte una statura più alta, tutti una costitu-zione più robusta, maggior vigore, forza e coraggio nel-le foreste che nelle nostre case; essi perdono la metà diquesti vantaggi nel diventar domestici, e si direbbe chetutte le nostre attenzioni a ben trattare e nutrire questianimali non tendono che ad imbastardirli. Egli è cosìdell'uomo stesso: divenendo egli sociabile e schiavo, di-

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natura non ha dunque bisogno di rimedi, meno ancora dimedici: la specie umana a questo riguardo non è in nullaa peggior condizione di tutte le altre specie; egli è faciledi sapere dai cacciatori se nelle loro corse trovino moltianimali infermi. Ne ritrovano molti che hanno ricevutodelle considerabili ferite; benissimo cicatrizzate, chehanno avuto ossa e membra rotte, ed accomodatesenz'altro chirurgo che il tempo, senz'altra regola che lavita ordinaria; e che sono rimasti perfettamente guariticiò non ostante senza esser stati tormentati da tagli, av-velenati da droghe, ed estenuati da digiuni. Infine perquanto utile possa esser fra noi la bene amministratamedicina, egli è sempre certo che se il selvaggio amma-lato abbandonato a se stesso non ha da sperare che dallanatura, in concambio ei non ha da temere che dal suomale; ciò che rende sovente preferibile la sua situazionealla nostra.

Guardiamci dunque dal confondere l'uomo selvaggiocogli uomini che abbiamo sotto gli occhi. La natura trat-ta tutti gl'animali abbandonati alle sue cure con una pre-dilezione che sembra mostrare quanto ella è gelosa diquesto diritto. Il cavallo, il gatto, il toro, l'asino istesso,hanno la più parte una statura più alta, tutti una costitu-zione più robusta, maggior vigore, forza e coraggio nel-le foreste che nelle nostre case; essi perdono la metà diquesti vantaggi nel diventar domestici, e si direbbe chetutte le nostre attenzioni a ben trattare e nutrire questianimali non tendono che ad imbastardirli. Egli è cosìdell'uomo stesso: divenendo egli sociabile e schiavo, di-

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venta debole, timoroso, vile, e la sua maniera di viveremolle ed effeminata finisce di snervare insieme la suaforza ed il suo coraggio. Aggiugniamo che fra le condi-zioni selvaggia e domestica la differenza d'uomo auomo deve essere maggiore di quella da bestia a bestia;imperciocchè l'animale e l'uomo essendo stati dalla na-tura egualmente trattati, tutte le comodità che si dàl'uomo a se medesimo di più di quelle che dà agli ani-mali ch'egli addomestica, sono altrettante cause partico-lari che lo fanno più sensibilmente degenerare.

Non è dunque una sì gran disgrazia a questi primi uo-mini, nè molto meno un sì grande ostacolo alla loro con-servazione, la nudità, il difetto d'abitazione e la priva-zione di tutte queste inutilità che noi crediamo sì neces-sarie. Se non sono peluti, non ne hanno alcun bisognone' paesi caldi; e ne' paesi freddi sanno ben tosto appro-priarsi le pelli di quegli animali che hanno vinti; se nonhanno che due piedi per correre, hanno però due bracciacon cui provvedere alla loro difesa ed a' loro bisogni. Iloro figliuoli camminano, può essere, tardi e con pena,ma le madri li portano con facilità: vantaggio che mancaalle altre specie ove la madre essendo inseguita, si vedecostretta d'abbandonare i suoi figli, o di regolare il suocoi loro passi. Alla fine lasciando di supporre que' con-corsi singolari e fortuiti di circostanze, di cui parlerò inseguito, e che potean benissimo non arrivar giammai,egli è chiaro, in ogni stato di causa, che il primo che sifece degli abiti, o un'abitazione, si diede con ciò dellecose poco necessarie, poichè fin allora avea fatto di

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venta debole, timoroso, vile, e la sua maniera di viveremolle ed effeminata finisce di snervare insieme la suaforza ed il suo coraggio. Aggiugniamo che fra le condi-zioni selvaggia e domestica la differenza d'uomo auomo deve essere maggiore di quella da bestia a bestia;imperciocchè l'animale e l'uomo essendo stati dalla na-tura egualmente trattati, tutte le comodità che si dàl'uomo a se medesimo di più di quelle che dà agli ani-mali ch'egli addomestica, sono altrettante cause partico-lari che lo fanno più sensibilmente degenerare.

Non è dunque una sì gran disgrazia a questi primi uo-mini, nè molto meno un sì grande ostacolo alla loro con-servazione, la nudità, il difetto d'abitazione e la priva-zione di tutte queste inutilità che noi crediamo sì neces-sarie. Se non sono peluti, non ne hanno alcun bisognone' paesi caldi; e ne' paesi freddi sanno ben tosto appro-priarsi le pelli di quegli animali che hanno vinti; se nonhanno che due piedi per correre, hanno però due bracciacon cui provvedere alla loro difesa ed a' loro bisogni. Iloro figliuoli camminano, può essere, tardi e con pena,ma le madri li portano con facilità: vantaggio che mancaalle altre specie ove la madre essendo inseguita, si vedecostretta d'abbandonare i suoi figli, o di regolare il suocoi loro passi. Alla fine lasciando di supporre que' con-corsi singolari e fortuiti di circostanze, di cui parlerò inseguito, e che potean benissimo non arrivar giammai,egli è chiaro, in ogni stato di causa, che il primo che sifece degli abiti, o un'abitazione, si diede con ciò dellecose poco necessarie, poichè fin allora avea fatto di

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meno; e non si vede perchè non abbia potuto soffrire,uomo fatto, un genere di vita che avea sofferto dalla suafanciullezza.

Solo, ozioso, e sempre vicinò al pericolo, all'uomoselvaggio deve piacere il dormire, ed avere il sonno leg-gero come gli animali, i quali pensando poco, dormono,per così dire, tutto il tempo che non pensano. La suaunica cura essendo quasi quella sola della sua propriaconservazione, le sue facoltà le più esercitate debbonoesser quelle che hanno per oggetto principale l'attacco ela difesa; sia per soggiogare la preda, sia per garantir sestesso dall'esser quella di un altro animale: al contrariogli organi che non si perfezionano che dalla morbidezzae dalla sensualità, debbono rimanere in uno stato gros-solano, il quale esclude in lui ogni sorta di delicatezza; ei di lui sensi su questo punto trovandosi divisi, avrà egliil tatto ed il gusto d'un'estrema ruvidezza: la vista, l'udi-to, e l'odorato al maggior segno sottili. Tale è lo statoanimalesco in generale; ed è altresì, secondo le rifertede' viaggiatori, quello della maggior parte degli uominiselvaggi. Non conviene stupirsi perciò se gli Ottentottidel Capo di buona Speranza scoprano colla semplice vi-sta i vascelli in alto mare tanto lontano, quanto gli Olan-desi con il canocchiale, nè che i selvaggi dell'Americaconoscessero gli Spagnuoli all'odore sulle tracce de' pie-di, come avrebbero potuto fare i migliori cani; nè chetutte queste nazioni barbare sopportino senza pena laloro nudità, aguzzino il loro gusto a forza di peverone, ebevino i liquori Europei come l'acqua.

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meno; e non si vede perchè non abbia potuto soffrire,uomo fatto, un genere di vita che avea sofferto dalla suafanciullezza.

Solo, ozioso, e sempre vicinò al pericolo, all'uomoselvaggio deve piacere il dormire, ed avere il sonno leg-gero come gli animali, i quali pensando poco, dormono,per così dire, tutto il tempo che non pensano. La suaunica cura essendo quasi quella sola della sua propriaconservazione, le sue facoltà le più esercitate debbonoesser quelle che hanno per oggetto principale l'attacco ela difesa; sia per soggiogare la preda, sia per garantir sestesso dall'esser quella di un altro animale: al contrariogli organi che non si perfezionano che dalla morbidezzae dalla sensualità, debbono rimanere in uno stato gros-solano, il quale esclude in lui ogni sorta di delicatezza; ei di lui sensi su questo punto trovandosi divisi, avrà egliil tatto ed il gusto d'un'estrema ruvidezza: la vista, l'udi-to, e l'odorato al maggior segno sottili. Tale è lo statoanimalesco in generale; ed è altresì, secondo le rifertede' viaggiatori, quello della maggior parte degli uominiselvaggi. Non conviene stupirsi perciò se gli Ottentottidel Capo di buona Speranza scoprano colla semplice vi-sta i vascelli in alto mare tanto lontano, quanto gli Olan-desi con il canocchiale, nè che i selvaggi dell'Americaconoscessero gli Spagnuoli all'odore sulle tracce de' pie-di, come avrebbero potuto fare i migliori cani; nè chetutte queste nazioni barbare sopportino senza pena laloro nudità, aguzzino il loro gusto a forza di peverone, ebevino i liquori Europei come l'acqua.

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Io non ho considerato fin qui che l'uomo fisico, pro-curiam di riguardarlo adesso dalla parte metafisica emorale.

Io non veggo in ogni animale se non che una inge-gnosa macchina, a cui la natura ha dati de' sensi per ri-montarsi essa medesima, e per garantirsi, fino ad un cer-to punto, di tutto ciò che tende a distruggerla e a disordi-narla. Ravviso precisamente le medesime cose nellamacchina umana, con questa differenza, che la sola na-tura fa tutto nelle operazioni della bestia, in vece chel'uomo concorre alle sue in qualità di libero agente.L'uno sceglie o rigetta per istinto, e l'altro per un atto dilibertà; lochè fa che la bestia non può allontanarsi dallaregola che gli è prescritta, neppur quando gli sarebbevantaggioso di farlo, e che l'uomo s'allontana sovente asuo pregiudizio; in questa maniera un colombo morreb-be di fame vicino ad un bacino ripieno delle migliori vi-vande, ed un gatto morrebbe sopra un ammasso di fruttio grani, benchè l'uno e l'altro potrebbero benissimo nu-trirsi dell'alimento che sdegnano se avessero pensato difarne la prova. In questa guisa gli uomini dissoluti si ab-bandonano a degli eccessi che loro producono la febbree la morte; perchè lo spirito corrompe i sensi, e la volon-tà parla quando ancora la natura tace.

Ogni animale ha delle idee, poichè egli ha de' sensi,egli combina pure le sue idee fino ad un certo segno; el'uomo non è differente in ciò dalla bestia che dal più almeno. Anzi alcuni filosofi hanno avanzato, esser unamaggior differenza di tale uomo a tale uomo, che di tale

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Io non ho considerato fin qui che l'uomo fisico, pro-curiam di riguardarlo adesso dalla parte metafisica emorale.

Io non veggo in ogni animale se non che una inge-gnosa macchina, a cui la natura ha dati de' sensi per ri-montarsi essa medesima, e per garantirsi, fino ad un cer-to punto, di tutto ciò che tende a distruggerla e a disordi-narla. Ravviso precisamente le medesime cose nellamacchina umana, con questa differenza, che la sola na-tura fa tutto nelle operazioni della bestia, in vece chel'uomo concorre alle sue in qualità di libero agente.L'uno sceglie o rigetta per istinto, e l'altro per un atto dilibertà; lochè fa che la bestia non può allontanarsi dallaregola che gli è prescritta, neppur quando gli sarebbevantaggioso di farlo, e che l'uomo s'allontana sovente asuo pregiudizio; in questa maniera un colombo morreb-be di fame vicino ad un bacino ripieno delle migliori vi-vande, ed un gatto morrebbe sopra un ammasso di fruttio grani, benchè l'uno e l'altro potrebbero benissimo nu-trirsi dell'alimento che sdegnano se avessero pensato difarne la prova. In questa guisa gli uomini dissoluti si ab-bandonano a degli eccessi che loro producono la febbree la morte; perchè lo spirito corrompe i sensi, e la volon-tà parla quando ancora la natura tace.

Ogni animale ha delle idee, poichè egli ha de' sensi,egli combina pure le sue idee fino ad un certo segno; el'uomo non è differente in ciò dalla bestia che dal più almeno. Anzi alcuni filosofi hanno avanzato, esser unamaggior differenza di tale uomo a tale uomo, che di tale

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uomo a tale bestia: non è dunque tanto l'intendimentoche fa fra gli animali la distinzione specifica dell'uomo,quanto la sua qualità di libero agente! La natura· co-manda ad ogni animale, e la bestia ubbidisce. L'uomoprova la stessa impressione, ma egli si riconosce liberoper secondarla, o per resistere; ed è sovra tutto nella co-scienza di questa libertà, che si mostra la spiritualità del-la sua anima: avvegnachè la fisica spiega in qualche ma-niera il meccanismo de' sensi e la formazione delle idee;ma nella potenza di volere, o piuttosto di scegliere, e nelsentimento di questa potenza non si trovano che atti pu-ramente spirituali, quali spiegar non si possono colleleggi della meccanica.

Ma quand'anche le difficoltà che circondano tuttequeste questioni, lasciassero qualche luogo a disputaresu questa differenza dell'uomo e dell'animale, c'èun'altra qualità molto specifica che li distingue, e su cuinon vi possono esser contese, questa è la facoltà di per-fezionarsi; facoltà che coll'aiuto delle circostanze, svi-luppa successivamente tutte le altre, e risiede fra noitanto nella specie, quanto nell'individuo: in vece che unanimale è alla fine di alcuni mesi, ciò ch'egli sarà tutta lasua vita, e la sua specie alla fine di mille anni, ciòch'essa era il primo di questi mille anni. Perchè l'uomosolo è egli soggetto a divenir imbecille? non è egli forseperché ritorna così nel suo primo stato, e frattanto che labestia che non ha nulla acquistato, e che non ha nem-men nulla a perdere, resta sempre con il suo instinto,l'uomo riperdendo, per mezzo della vecchiezza o d'altri

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uomo a tale bestia: non è dunque tanto l'intendimentoche fa fra gli animali la distinzione specifica dell'uomo,quanto la sua qualità di libero agente! La natura· co-manda ad ogni animale, e la bestia ubbidisce. L'uomoprova la stessa impressione, ma egli si riconosce liberoper secondarla, o per resistere; ed è sovra tutto nella co-scienza di questa libertà, che si mostra la spiritualità del-la sua anima: avvegnachè la fisica spiega in qualche ma-niera il meccanismo de' sensi e la formazione delle idee;ma nella potenza di volere, o piuttosto di scegliere, e nelsentimento di questa potenza non si trovano che atti pu-ramente spirituali, quali spiegar non si possono colleleggi della meccanica.

Ma quand'anche le difficoltà che circondano tuttequeste questioni, lasciassero qualche luogo a disputaresu questa differenza dell'uomo e dell'animale, c'èun'altra qualità molto specifica che li distingue, e su cuinon vi possono esser contese, questa è la facoltà di per-fezionarsi; facoltà che coll'aiuto delle circostanze, svi-luppa successivamente tutte le altre, e risiede fra noitanto nella specie, quanto nell'individuo: in vece che unanimale è alla fine di alcuni mesi, ciò ch'egli sarà tutta lasua vita, e la sua specie alla fine di mille anni, ciòch'essa era il primo di questi mille anni. Perchè l'uomosolo è egli soggetto a divenir imbecille? non è egli forseperché ritorna così nel suo primo stato, e frattanto che labestia che non ha nulla acquistato, e che non ha nem-men nulla a perdere, resta sempre con il suo instinto,l'uomo riperdendo, per mezzo della vecchiezza o d'altri

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accidenti, tuttociò che la sua perfezionabilità gli avevafatto acquistare, ricade in tal guisa più basso che la be-stia medesima? Sarebbe una cattiva cosa l'essere sforzatidi convenire che appunto questa facoltà distintiva e qua-si illimitata è la sorgente di tutte le disgrazie dell'uomo;che essa è quella che lo trae a forza di tempo da quellaoriginaria condizione, in cui passerebbe i giorni tran-quilli e innocenti; che essa è quella, la quale facendo na-scere con i secoli i di lui lumi e i di lui errori, i suoi vizje le sue virtù, lo rende a lungo andare il tiranno di sestesso e della natura(7). Sarebbe spaventevol cosa l'essereobbligati di lodar come un ente benefattore colui che ilprimo suggerì agli abitatori delle rive dell'Orenaco(a)

l'uso di quelle tavole che applicano sulle tempie de' lorofanciulli, a' quali assicurano, per tal mezzo, almeno unaparte della loro imbecillità, e della loro originale felicità.

L'uom selvaggio abbandonato dalla natura al solo in-stinto, o piuttosto compensato forse di quello che glimanca con delle facoltà, capaci di supplirci da principio,e d'innalzarlo in seguito molto al disopra di quello, co-mincerà dunque dalle funzioni puramente animale-sche(8). Vedere e sentire sarà il suo primo stato, il qualegli sarà comune con tutti gli altri animali. Volere e nonvolere, desiderare e temere, saranno le prime e quasi lesole operazioni della sua anima, finochè nuove circo-stanze vi cagionino novelli sviluppi.

Checchè ne dicano i moralisti, l'umano intendimento(a) Gran fiume nell'America meridionale nella terraferma, il quale nasce

nel Popaya, e sbocca nel mare per 16 foci principali.

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accidenti, tuttociò che la sua perfezionabilità gli avevafatto acquistare, ricade in tal guisa più basso che la be-stia medesima? Sarebbe una cattiva cosa l'essere sforzatidi convenire che appunto questa facoltà distintiva e qua-si illimitata è la sorgente di tutte le disgrazie dell'uomo;che essa è quella che lo trae a forza di tempo da quellaoriginaria condizione, in cui passerebbe i giorni tran-quilli e innocenti; che essa è quella, la quale facendo na-scere con i secoli i di lui lumi e i di lui errori, i suoi vizje le sue virtù, lo rende a lungo andare il tiranno di sestesso e della natura(7). Sarebbe spaventevol cosa l'essereobbligati di lodar come un ente benefattore colui che ilprimo suggerì agli abitatori delle rive dell'Orenaco(a)

l'uso di quelle tavole che applicano sulle tempie de' lorofanciulli, a' quali assicurano, per tal mezzo, almeno unaparte della loro imbecillità, e della loro originale felicità.

L'uom selvaggio abbandonato dalla natura al solo in-stinto, o piuttosto compensato forse di quello che glimanca con delle facoltà, capaci di supplirci da principio,e d'innalzarlo in seguito molto al disopra di quello, co-mincerà dunque dalle funzioni puramente animale-sche(8). Vedere e sentire sarà il suo primo stato, il qualegli sarà comune con tutti gli altri animali. Volere e nonvolere, desiderare e temere, saranno le prime e quasi lesole operazioni della sua anima, finochè nuove circo-stanze vi cagionino novelli sviluppi.

Checchè ne dicano i moralisti, l'umano intendimento(a) Gran fiume nell'America meridionale nella terraferma, il quale nasce

nel Popaya, e sbocca nel mare per 16 foci principali.

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è molto debitore alle passioni, le quali di un comune as-senso gli debbono molto altresì. Per l'attività delle pas-sioni si perfeziona la nostra ragione: noi non cerchiamoa conoscere, se non perché desideriamo di godere; poi-chè non è possibile di concepire, come mai quello ilquale non avesse nè desiderj, nè timori si dasse la penadi ragionare. Le passioni dalla lor parte traggono la loroorigine da' nostri bisogni, ed il loro progresso dalle no-stre cognizioni: imperciocchè non si può desiderare o te-mere le cose che sulle idee che se ne può avere, o sullasemplice impulsione, della natura. E l'uomo selvaggio ,privo d'ogni sorta di lumi, non prova che le passioni diquest'ultima spezie; i suoi desiderj non oltrepassano isuoi fisici bisogni(9): i soli beni ch'egli conosca nell'uni-verso, sono il cibo, una femmina, ed il riposo; i soli malich'ei teme, sono il dolore e la fame: io dico il dolore, enon la morte; poichè l'animale non saprà giammai cioc-chè sia il morire: e la cognizione della morte e de' suoiterrori, è uno de' primi acquisti che l'uomo ha fattinell'allontanarsi dalla animalesca condizione.

Mi sarebbe facile, se ciò mi fosse necessario, l'avva-lorare questo sentimento coi fatti, e di far vedere che ap-presso tutte le nazioni del mondo, i progressi dello spiri-to si sono precisamente proporzionati ai bisogni che ipopoli avevano ricevuti dalla natura, oppure a quelli acui le circostanze li avevano assoggettati, e per conse-guenza alle passioni che li portavano a provedere a que-sti bisogni. Mostrerei in Egitto le arti nascenti, e dilatan-tisi colle inondazioni del nilo; seguirei i loro progressi

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è molto debitore alle passioni, le quali di un comune as-senso gli debbono molto altresì. Per l'attività delle pas-sioni si perfeziona la nostra ragione: noi non cerchiamoa conoscere, se non perché desideriamo di godere; poi-chè non è possibile di concepire, come mai quello ilquale non avesse nè desiderj, nè timori si dasse la penadi ragionare. Le passioni dalla lor parte traggono la loroorigine da' nostri bisogni, ed il loro progresso dalle no-stre cognizioni: imperciocchè non si può desiderare o te-mere le cose che sulle idee che se ne può avere, o sullasemplice impulsione, della natura. E l'uomo selvaggio ,privo d'ogni sorta di lumi, non prova che le passioni diquest'ultima spezie; i suoi desiderj non oltrepassano isuoi fisici bisogni(9): i soli beni ch'egli conosca nell'uni-verso, sono il cibo, una femmina, ed il riposo; i soli malich'ei teme, sono il dolore e la fame: io dico il dolore, enon la morte; poichè l'animale non saprà giammai cioc-chè sia il morire: e la cognizione della morte e de' suoiterrori, è uno de' primi acquisti che l'uomo ha fattinell'allontanarsi dalla animalesca condizione.

Mi sarebbe facile, se ciò mi fosse necessario, l'avva-lorare questo sentimento coi fatti, e di far vedere che ap-presso tutte le nazioni del mondo, i progressi dello spiri-to si sono precisamente proporzionati ai bisogni che ipopoli avevano ricevuti dalla natura, oppure a quelli acui le circostanze li avevano assoggettati, e per conse-guenza alle passioni che li portavano a provedere a que-sti bisogni. Mostrerei in Egitto le arti nascenti, e dilatan-tisi colle inondazioni del nilo; seguirei i loro progressi

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appo i Greci, ove si videro germogliare, crescere, ed in-nalzarsi fino ai cieli fra la sabbia e i scogli dell'Attica,senzachè potessero prender radice sulle fertili spondedell'Eurota; rimarcherei che in generale i popoli delNord sono più industriosi che quelli del Mezzogiorno,perchè non possono far a meno di non esserlo; come sela natura volesse in tal guisa uguagliare le cose, dandoagli spiriti la fertilità ch'essa rifiuta alla terra.

Ma senza ricorrere agl'incerti testimonj della storia,chi non vede che tutto sembra allontanare dall'uomo sel-vaggio la tentazione e i mezzi per cessar di esserlo? nul-la gli dipinge la sua immaginazione; nulla gli domandail suo cuore. Trova facilmente con che soddisfare i suoimodici bisogni, ed è sì lontano dal grado di una necessa-ria cognizione per desiderar d'acquistarne de' più grandi,ch'egli non può avere nè previdenza, nè curiosità. Lospettacolo della natura gli diventa indifferente a forza didiventargli famigliare. E' sempre lo stesso ordine, vedesempre le medesime rivoluzioni, ed egli non ha lo spiri-to per stupirsi delle meraviglie le più grandi; non è giàappresso di lui che convenga cercare la filosofia, di cuil'uomo ha bisogno per saper osservare una volta ciò cheha veduto tutti i giorni. La sua anima che nulla lo agita,si abbandona al solo sentimento di sua attuale esistenza,senza alcuna idea dell'avvenire, per quanto vicino chepossa essere; ed i suoi progetti, ristretti come le suemire, si estendono appena fino alla fine del giorno. Tal èancora al dì d'oggi il grado di previdenza del Caraibo:vende egli la mattina il suo letto di cotone, e viene la

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appo i Greci, ove si videro germogliare, crescere, ed in-nalzarsi fino ai cieli fra la sabbia e i scogli dell'Attica,senzachè potessero prender radice sulle fertili spondedell'Eurota; rimarcherei che in generale i popoli delNord sono più industriosi che quelli del Mezzogiorno,perchè non possono far a meno di non esserlo; come sela natura volesse in tal guisa uguagliare le cose, dandoagli spiriti la fertilità ch'essa rifiuta alla terra.

Ma senza ricorrere agl'incerti testimonj della storia,chi non vede che tutto sembra allontanare dall'uomo sel-vaggio la tentazione e i mezzi per cessar di esserlo? nul-la gli dipinge la sua immaginazione; nulla gli domandail suo cuore. Trova facilmente con che soddisfare i suoimodici bisogni, ed è sì lontano dal grado di una necessa-ria cognizione per desiderar d'acquistarne de' più grandi,ch'egli non può avere nè previdenza, nè curiosità. Lospettacolo della natura gli diventa indifferente a forza didiventargli famigliare. E' sempre lo stesso ordine, vedesempre le medesime rivoluzioni, ed egli non ha lo spiri-to per stupirsi delle meraviglie le più grandi; non è giàappresso di lui che convenga cercare la filosofia, di cuil'uomo ha bisogno per saper osservare una volta ciò cheha veduto tutti i giorni. La sua anima che nulla lo agita,si abbandona al solo sentimento di sua attuale esistenza,senza alcuna idea dell'avvenire, per quanto vicino chepossa essere; ed i suoi progetti, ristretti come le suemire, si estendono appena fino alla fine del giorno. Tal èancora al dì d'oggi il grado di previdenza del Caraibo:vende egli la mattina il suo letto di cotone, e viene la

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sera a piangere per riscuoterlo, per difetto di non averpreveduto· che ne avrebbe bisogno la notte ventura.

Più che si medita su questo soggetto, tanto piùs'ingrandisce a' nostri sguardi la distanza delle pure sen-sazioni alle più semplici cognizioni; ed è impossibile diconcepire come un uomo avesse potuto colle sue soleforze, senza il soccorso della comunicazione, e senza lostimolo della necessità sormontare con sì grande inter-vallo. Quanti secoli forse saranno scorsi pria che gli uo-mini sieno stati a portata di veder altro fuoco che quellodel cielo! quanti accidenti non gli saranno abbisognatipria d'imparare gli usi i più comuni di questo elemento!quante volte non lo avranno lasciato essi estinguere pri-ma di aver acquistata l'arte di riprodurlo! E quante volteforse ciascuno di questi secreti non sarà egli morto concolui che lo aveva scoperto! Che diremo noi dell'agri-coltura, arte che richiede tanto travaglio e tanta previ-denza, che ha relazione con altre arti, la quale evidentis-simamente non è praticabile che in una società almenocominciata, e che non ci serve tanto per trarre dalla terradegli alimenti ch'ella ci fornirebbe senza ciò, quanto asforzarla ad alcune preferenze che sono di nostro mag-gior gusto? Ma supponiamo che gli uomini avessero tal-mente moltiplicato, che le produzioni naturali non aves-sero più bastato per nutrirli, supposizione che per dirlodi passaggio mostrerebbe un grande vantaggio per laspecie umana in questa maniera di vivere; supponiamoche senza fucine e senza artefici, gli strumenti da lavorofossero caduti dal cielo fra le mani de' selvaggi; che

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sera a piangere per riscuoterlo, per difetto di non averpreveduto· che ne avrebbe bisogno la notte ventura.

Più che si medita su questo soggetto, tanto piùs'ingrandisce a' nostri sguardi la distanza delle pure sen-sazioni alle più semplici cognizioni; ed è impossibile diconcepire come un uomo avesse potuto colle sue soleforze, senza il soccorso della comunicazione, e senza lostimolo della necessità sormontare con sì grande inter-vallo. Quanti secoli forse saranno scorsi pria che gli uo-mini sieno stati a portata di veder altro fuoco che quellodel cielo! quanti accidenti non gli saranno abbisognatipria d'imparare gli usi i più comuni di questo elemento!quante volte non lo avranno lasciato essi estinguere pri-ma di aver acquistata l'arte di riprodurlo! E quante volteforse ciascuno di questi secreti non sarà egli morto concolui che lo aveva scoperto! Che diremo noi dell'agri-coltura, arte che richiede tanto travaglio e tanta previ-denza, che ha relazione con altre arti, la quale evidentis-simamente non è praticabile che in una società almenocominciata, e che non ci serve tanto per trarre dalla terradegli alimenti ch'ella ci fornirebbe senza ciò, quanto asforzarla ad alcune preferenze che sono di nostro mag-gior gusto? Ma supponiamo che gli uomini avessero tal-mente moltiplicato, che le produzioni naturali non aves-sero più bastato per nutrirli, supposizione che per dirlodi passaggio mostrerebbe un grande vantaggio per laspecie umana in questa maniera di vivere; supponiamoche senza fucine e senza artefici, gli strumenti da lavorofossero caduti dal cielo fra le mani de' selvaggi; che

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questi uomini avessero vinto l'odio mortale che eglinotutti hanno per il continuo lavoro; che avessero imparatoa prevedere i loro futuri bisogni, che avessero indovina-to in qual guisa convenga coltivare la terra, seminare igrani, e piantare gli arbori; che avessero trovata l'arte dimacinare il formento, e di por l'uva in fermentazione;cose tutte che ha convenuto fargli insegnare dagli deiper non poter concepire come avessero potuto impararleda se medesimi; qual sarebbe dopo ciò quell'uomo tantoinsensato per tormentarsi alla coltura di un campo chesarà spogliato dal primo venuto uomo, o bestia indiffe-rentemente a cui converrà questa raccolta? e come alcu-no potrà risolversi a passare la sua vita in un penoso la-voro, di cui egli è d'altrettanto più sicuro di non racco-gliere il prezzo quanto più gli sarà necessario? In unaparola come questa situazione potrà ella portar gli uomi-ni a coltivare la terra, fintanto ch'ella non sarà divisa fraessi, cioè tanto che non sarà annichilato lo stato di natu-ra?

Quando noi volessimo supporre un uomo selvaggioaltrettanto abile nell'arte di pensare, quanto ce lo fanno inostri filosofi; quando noi facessimo, a loro esempio, unfilosofo esso medesimo, scoprendo egli solo le veritàpiù sublimi; facendosi col mezzo di astrattissimi ragio-namenti, delle massime di giustizia e di ragione trattedall'amore dell'ordine in generale, o dalla conosciuta ve-rità del suo creatore; in una parola, quando noi gli sup-ponessimo nello spirito tanta intelligenza e tanto lume,quanto egli deve avere, e che se gli trova in effetto di

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questi uomini avessero vinto l'odio mortale che eglinotutti hanno per il continuo lavoro; che avessero imparatoa prevedere i loro futuri bisogni, che avessero indovina-to in qual guisa convenga coltivare la terra, seminare igrani, e piantare gli arbori; che avessero trovata l'arte dimacinare il formento, e di por l'uva in fermentazione;cose tutte che ha convenuto fargli insegnare dagli deiper non poter concepire come avessero potuto impararleda se medesimi; qual sarebbe dopo ciò quell'uomo tantoinsensato per tormentarsi alla coltura di un campo chesarà spogliato dal primo venuto uomo, o bestia indiffe-rentemente a cui converrà questa raccolta? e come alcu-no potrà risolversi a passare la sua vita in un penoso la-voro, di cui egli è d'altrettanto più sicuro di non racco-gliere il prezzo quanto più gli sarà necessario? In unaparola come questa situazione potrà ella portar gli uomi-ni a coltivare la terra, fintanto ch'ella non sarà divisa fraessi, cioè tanto che non sarà annichilato lo stato di natu-ra?

Quando noi volessimo supporre un uomo selvaggioaltrettanto abile nell'arte di pensare, quanto ce lo fanno inostri filosofi; quando noi facessimo, a loro esempio, unfilosofo esso medesimo, scoprendo egli solo le veritàpiù sublimi; facendosi col mezzo di astrattissimi ragio-namenti, delle massime di giustizia e di ragione trattedall'amore dell'ordine in generale, o dalla conosciuta ve-rità del suo creatore; in una parola, quando noi gli sup-ponessimo nello spirito tanta intelligenza e tanto lume,quanto egli deve avere, e che se gli trova in effetto di

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peso e di stupidezza, qual utilità nè trarrebbe la specieda tutta questa metafisica che non si potrebbe comunica-re, e che perirebbe coll'individuo che l'avesse inventata?Qual progresso potrebbe far il genere umano sparso ne'boschi fra gli animali? E fino a qual punto potrebberoperfezionarsi ed illuminarsi scambievolmente uomini, iquali non avendo nè domicilio fisso, nè verun bisognol'uno dell'altro si incontrerebbero forse appena due voltein vita loro, senza conoscersi e senza parlarsi?

Che si pensi di quante idee noi siamo debitori all'usodella parola; quanto la grammatica esercita e facilita leoperazioni dello spirito; e che si pensi alle inconcepibilipene, al tempo infinito che ha dovuto costare la primainvenzione delle lingue; che si uniscano queste riflessio-ni alle precedenti, e si giudicherà quante migliaia di se-coli sono trascorse per successivamente sviluppare nellospirito umano le operazioni di cui egli era capace.

Che mi sia permesso di considerare uno istante gliimbarazzi dell'origine delle lingue. Potrei contentarmi dicitare, o di ripetere qui le ricerche che il sig. abate diCondillac ha fatte su questa materia, le quali tutte con-fermano il mio sentimento, e che può essere me n'abbia-no data la prima idea, ma la maniera con cui questo filo-sofo risolve le difficoltà ch'egli fa a se stesso sull'originede' segni instituiti, mostrando ch'egli ha supposto ciòch'io pongo in questione, cioè una sorte di società giàstabilita fra gl'inventori del linguaggio, io credo, che nelriportarmi alle sue riflessioni, debba unirvi le mie, peresporre chiaramente le medesime difficoltà che conven-

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peso e di stupidezza, qual utilità nè trarrebbe la specieda tutta questa metafisica che non si potrebbe comunica-re, e che perirebbe coll'individuo che l'avesse inventata?Qual progresso potrebbe far il genere umano sparso ne'boschi fra gli animali? E fino a qual punto potrebberoperfezionarsi ed illuminarsi scambievolmente uomini, iquali non avendo nè domicilio fisso, nè verun bisognol'uno dell'altro si incontrerebbero forse appena due voltein vita loro, senza conoscersi e senza parlarsi?

Che si pensi di quante idee noi siamo debitori all'usodella parola; quanto la grammatica esercita e facilita leoperazioni dello spirito; e che si pensi alle inconcepibilipene, al tempo infinito che ha dovuto costare la primainvenzione delle lingue; che si uniscano queste riflessio-ni alle precedenti, e si giudicherà quante migliaia di se-coli sono trascorse per successivamente sviluppare nellospirito umano le operazioni di cui egli era capace.

Che mi sia permesso di considerare uno istante gliimbarazzi dell'origine delle lingue. Potrei contentarmi dicitare, o di ripetere qui le ricerche che il sig. abate diCondillac ha fatte su questa materia, le quali tutte con-fermano il mio sentimento, e che può essere me n'abbia-no data la prima idea, ma la maniera con cui questo filo-sofo risolve le difficoltà ch'egli fa a se stesso sull'originede' segni instituiti, mostrando ch'egli ha supposto ciòch'io pongo in questione, cioè una sorte di società giàstabilita fra gl'inventori del linguaggio, io credo, che nelriportarmi alle sue riflessioni, debba unirvi le mie, peresporre chiaramente le medesime difficoltà che conven-

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gono al mio soggetto. La prima che mi si presenta èquella d'immaginare come esse abbiano potuto divenirnecessarie; poichè non avendo gli uomini veruna corri-spondenza fra loro, nè alcun bisogno di averne, non siconcepisce nè la necessità di questa invenzione, nè lasua possibilità, s'essa non era indispensabile. Io direibene, come molti altri, che le lingue sono nate nel com-mercio domestico dei padri, delle madri, e dei figliuoli:ma oltre che ciò punto non risolverebbe le obbiezioni,ciò sarebbe commettere il difetto di quelli i quali ragio-nando sullo stato della natura, vi trasportano le idee pre-se nella società, vedendo sempre la famiglia riunita inuna medesima abitazione, e guardando i suoi membrifra essi una unione tanto intima e tanto permanentequanto fra noi, ove tanti comuni interessi gli riuniscono;in vece che in questo primitivo stato, non avendo nècase, nè capanne, nè proprietà di alcuna sorte, ciascunosi alloggiava all'azzardo, e sovente per una sola notte; imaschi e le femmine si univano secondo l'incontro,l'occasione e il desiderio, senza che la parola fosse uninterprete molto necessario delle cose che avevano a dir-si: essi si abbandonavano colla medesima facilità(10). Lamadre allattava da principio i suoi parti per il suo pro-prio bisogno; in seguito l'abitudine avendoglieli resicari, essa li nutrisce poi per il loro bisogno: sì tostoch'essi avevano la forza di cercare il loro nutrimento,essi non tardavano ad abbandonare la loro stessa madre;e come essi non avean quasi altro mezzo di ritrovarsiche quello di non perdersi di vista, essi erano ben presto

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gono al mio soggetto. La prima che mi si presenta èquella d'immaginare come esse abbiano potuto divenirnecessarie; poichè non avendo gli uomini veruna corri-spondenza fra loro, nè alcun bisogno di averne, non siconcepisce nè la necessità di questa invenzione, nè lasua possibilità, s'essa non era indispensabile. Io direibene, come molti altri, che le lingue sono nate nel com-mercio domestico dei padri, delle madri, e dei figliuoli:ma oltre che ciò punto non risolverebbe le obbiezioni,ciò sarebbe commettere il difetto di quelli i quali ragio-nando sullo stato della natura, vi trasportano le idee pre-se nella società, vedendo sempre la famiglia riunita inuna medesima abitazione, e guardando i suoi membrifra essi una unione tanto intima e tanto permanentequanto fra noi, ove tanti comuni interessi gli riuniscono;in vece che in questo primitivo stato, non avendo nècase, nè capanne, nè proprietà di alcuna sorte, ciascunosi alloggiava all'azzardo, e sovente per una sola notte; imaschi e le femmine si univano secondo l'incontro,l'occasione e il desiderio, senza che la parola fosse uninterprete molto necessario delle cose che avevano a dir-si: essi si abbandonavano colla medesima facilità(10). Lamadre allattava da principio i suoi parti per il suo pro-prio bisogno; in seguito l'abitudine avendoglieli resicari, essa li nutrisce poi per il loro bisogno: sì tostoch'essi avevano la forza di cercare il loro nutrimento,essi non tardavano ad abbandonare la loro stessa madre;e come essi non avean quasi altro mezzo di ritrovarsiche quello di non perdersi di vista, essi erano ben presto

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al punto di riconoscersi l'un l'altro. Rimarcate ancorache il fanciullo avendo a spiegare tutti i suoi bisogni, eper conseguenza più cose da dire alla madre, che la ma-dre al fanciullo, egli è quello che deve fare le più grandispese dell'invenzione, e che il linguaggio ch'egli impie-ga deve esser in gran parte sua propria opera: ciò chemoltiplica tanto le lingue, quanto vi sono degl'individuiper parlare, al che contribuisce ancora la vita errante, ovagabonda, che non lascia a verun idioma il tempo diprender consistenza; imperciocchè il dire che la madredetta al fanciullo le parole di cui dovrà servirsi per di-mandargli la tale cosa, o la tal altra, questo ben mostracome s'insegnino le lingue già formate, ma ciò non ci faconoscere come esse si formino.

Supponiamo vinta questa prima difficoltà:·sorpassia-mo per un momento lo spazio immenso che dovette es-sere fra il puro stato di natura ed il bisogno delle lingue;e cerchiamo, nel supporle necessarie, come(11) esse pote-rono cominciar a stabilirsi. Nuova difficoltà peggior an-cora della precedente: poichè se gli uomini hanno avutobisogno della parola per imparar a pensare, essi hannoavuto più bisogno ancora di saper pensare per trovarl'arte della parola. E quando si comprendesse come isuoni della voce sieno stati presi per interpreti conven-zionali delle nostre idee, resterebbe sempre a sapere,quali abbiano potuto essere gli interpreti parimenti diquesta convenzione per le idee, le quali non avendo unoggetto sensibile, non potevano indicarsi nè col gesto,nè colla voce: di maniera che appena si può formare

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al punto di riconoscersi l'un l'altro. Rimarcate ancorache il fanciullo avendo a spiegare tutti i suoi bisogni, eper conseguenza più cose da dire alla madre, che la ma-dre al fanciullo, egli è quello che deve fare le più grandispese dell'invenzione, e che il linguaggio ch'egli impie-ga deve esser in gran parte sua propria opera: ciò chemoltiplica tanto le lingue, quanto vi sono degl'individuiper parlare, al che contribuisce ancora la vita errante, ovagabonda, che non lascia a verun idioma il tempo diprender consistenza; imperciocchè il dire che la madredetta al fanciullo le parole di cui dovrà servirsi per di-mandargli la tale cosa, o la tal altra, questo ben mostracome s'insegnino le lingue già formate, ma ciò non ci faconoscere come esse si formino.

Supponiamo vinta questa prima difficoltà:·sorpassia-mo per un momento lo spazio immenso che dovette es-sere fra il puro stato di natura ed il bisogno delle lingue;e cerchiamo, nel supporle necessarie, come(11) esse pote-rono cominciar a stabilirsi. Nuova difficoltà peggior an-cora della precedente: poichè se gli uomini hanno avutobisogno della parola per imparar a pensare, essi hannoavuto più bisogno ancora di saper pensare per trovarl'arte della parola. E quando si comprendesse come isuoni della voce sieno stati presi per interpreti conven-zionali delle nostre idee, resterebbe sempre a sapere,quali abbiano potuto essere gli interpreti parimenti diquesta convenzione per le idee, le quali non avendo unoggetto sensibile, non potevano indicarsi nè col gesto,nè colla voce: di maniera che appena si può formare

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conghietture soffribili sulla nascita dell'arte di comuni-care i suoi pensieri, e di stabilire un commercio fra glispiriti. Arte sublime, che già sì lungi è dalla sua origine,ma che il filosofo vede ancora a una sì prodigiosa di-stanza di sua perfezione, che non c'è uomo abbastanzaardito per assicurare d'arrivarci giammai, quando ancole rivoluzioni che il tempo conduce necessariamentefossero sospese in di lui favore, che li pregiudizi sortis-sero dalle accademie, o d'innanzi ad esse tacessero, ech'esse potessero occuparsi di questo spinoso oggettoper interi secoli senza interruzione.

Il primo linguaggio dell'uomo, il linguaggio il piùuniversale, il più energico, ed il solo di cui egli avessebisogno avanti che bisognasse persuader uomini uniti, èil grido della natura. Come questo grido non era strappa-to che da una sorta d'istinto nelle premurose occasioniper implorar soccorso nei gran pericoli, o ne' mali vio-lenti sollievo, egli non era d'un grand'uso nel corso ordi-nario della vita, ove regnano sentimenti più moderati.Quando le idee degli uomini cominciarono ad estendersie moltiplicarsi, e che fra essi si stabilì una comunicazio-ne più strttta, cercarono segni più numerosi, e un lin-guaggio più esteso: moltiplicarono le inflessioni dellavoce, e vi unirono i gesti, i quali per lor natura sono piùespressivi, e il di cui senso da una determinazione ante-riore meno dipende. Essi esprimevano dunque gli ogget-ti visibili e mobili per mezzo dei gesti; e quelli che col-piscono l'udito col mezzo d'imitativi suoni: ma come ilgesto non indica guari che gli oggetti presenti, o facili a

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conghietture soffribili sulla nascita dell'arte di comuni-care i suoi pensieri, e di stabilire un commercio fra glispiriti. Arte sublime, che già sì lungi è dalla sua origine,ma che il filosofo vede ancora a una sì prodigiosa di-stanza di sua perfezione, che non c'è uomo abbastanzaardito per assicurare d'arrivarci giammai, quando ancole rivoluzioni che il tempo conduce necessariamentefossero sospese in di lui favore, che li pregiudizi sortis-sero dalle accademie, o d'innanzi ad esse tacessero, ech'esse potessero occuparsi di questo spinoso oggettoper interi secoli senza interruzione.

Il primo linguaggio dell'uomo, il linguaggio il piùuniversale, il più energico, ed il solo di cui egli avessebisogno avanti che bisognasse persuader uomini uniti, èil grido della natura. Come questo grido non era strappa-to che da una sorta d'istinto nelle premurose occasioniper implorar soccorso nei gran pericoli, o ne' mali vio-lenti sollievo, egli non era d'un grand'uso nel corso ordi-nario della vita, ove regnano sentimenti più moderati.Quando le idee degli uomini cominciarono ad estendersie moltiplicarsi, e che fra essi si stabilì una comunicazio-ne più strttta, cercarono segni più numerosi, e un lin-guaggio più esteso: moltiplicarono le inflessioni dellavoce, e vi unirono i gesti, i quali per lor natura sono piùespressivi, e il di cui senso da una determinazione ante-riore meno dipende. Essi esprimevano dunque gli ogget-ti visibili e mobili per mezzo dei gesti; e quelli che col-piscono l'udito col mezzo d'imitativi suoni: ma come ilgesto non indica guari che gli oggetti presenti, o facili a

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descriversi, e le visibili azioni, ch'egli non è di un'usouniversale, poiché l'oscurità; o l'interposizione di uncorpo lo rende inutile, e ch'egli esige l'attenzione piutto-sto ch'eccitarla; si pensò infine di sostituirgli le articola-zioni della voce, le quali senza aver il medesimo rappor-to con certe idee, sono più proprie a rappresentarle tuttecome segni instituiti: sostituzione che non si può fareche di un comune consentimento, e di una maniera mol-to difficile a praticarsi da uomini, i di cui organi grosso-lani non avevano per anco verun esercizio, e più diffici-le ancora da concepirsi in essa medesima, poichè questounanime accordo deve esser motivato, e perchè la parolastessa sembra esser stata molto necessaria per stabilirel'uso della parola.

Si deve giudicare che le prime parole di cui gli uomi-ni fecer uso ebbero nel loro spirito una significazionemolto più estesa di quelle che s'impiegano nelle linguegià formate: e ch'ignorando la divisione del discorsonelle sue parti constitutive, eglino diedero subito a cia-scuna parola il senso d' una intera proposizione. Quandocominciarono a distinguere il soggetto dall'attributo, edil verbo dal nome, ciò che non fu un mediocre sforzo ditalento, li sostantivi non furono nel principio che altret-tanti nomi propri, l'infinito fu il solo tempo de verbi: eriguardo agli addiettivi, la nozione non dovè svilupparsiche molto difficilmente, perchè ogni addiettivo è unaparola astratta, e le astrazioni sono operazioni penose epoco naturali. Ciascun oggetto ricevè dapprincipio unnome particolare, senza riguardo ai generi, ed alle spe-

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descriversi, e le visibili azioni, ch'egli non è di un'usouniversale, poiché l'oscurità; o l'interposizione di uncorpo lo rende inutile, e ch'egli esige l'attenzione piutto-sto ch'eccitarla; si pensò infine di sostituirgli le articola-zioni della voce, le quali senza aver il medesimo rappor-to con certe idee, sono più proprie a rappresentarle tuttecome segni instituiti: sostituzione che non si può fareche di un comune consentimento, e di una maniera mol-to difficile a praticarsi da uomini, i di cui organi grosso-lani non avevano per anco verun esercizio, e più diffici-le ancora da concepirsi in essa medesima, poichè questounanime accordo deve esser motivato, e perchè la parolastessa sembra esser stata molto necessaria per stabilirel'uso della parola.

Si deve giudicare che le prime parole di cui gli uomi-ni fecer uso ebbero nel loro spirito una significazionemolto più estesa di quelle che s'impiegano nelle linguegià formate: e ch'ignorando la divisione del discorsonelle sue parti constitutive, eglino diedero subito a cia-scuna parola il senso d' una intera proposizione. Quandocominciarono a distinguere il soggetto dall'attributo, edil verbo dal nome, ciò che non fu un mediocre sforzo ditalento, li sostantivi non furono nel principio che altret-tanti nomi propri, l'infinito fu il solo tempo de verbi: eriguardo agli addiettivi, la nozione non dovè svilupparsiche molto difficilmente, perchè ogni addiettivo è unaparola astratta, e le astrazioni sono operazioni penose epoco naturali. Ciascun oggetto ricevè dapprincipio unnome particolare, senza riguardo ai generi, ed alle spe-

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cie, che questi primi institutori non erano in istato di di-stinguere; e tutti gli individui si presentarono isolati alloro spirito, come lo sono nel quadro della natura. Seuna quercia si chiamava A, un altra quercia si chiamavaB: di maniera chè quanto più eran ristrette le cognizioni,tanto più diveniva esteso il dizionario. L'imbarazzo ditutta questa nomenclatura non potè esser facilmente le-vato; avvegnachè per ordinare gli enti sotto comuni egeneriche denominazioni, bisognava conoscere le pro-prietà e le differenze: occorrevano delle osservazioni edelle definizioni, cioè a dire, dell'istoria naturale e dellametafisica, molto più di quanto ne potessero avere gliuomini di quel tempo.

Dall'altra parte le idee generali non possono introdur-si nello spirito che coll'aiuto delle parole, e non le con-cepisce l'intendimento che per mezzo di proposizioni.Questa è una delle ragioni per la quale gli animali nonpotrebbero formarsi tali idee, né giammai acquistare laperfezionabilità, che da queste idee dipende. Quandouna scimia passa senza esitare da una noce all'altra, sipensa forse ch'essa abbia l'idea generale di questa sortedi frutto, e ch'essa paragoni il suo archetipo a questi dueindividui? nò senza dubbio; ma la vista d'una di questenoci richiama alla sua memoria le sensazioni che ha ri-cevute dall'altra, e li suoi occhi modificati di una certamaniera anunziano al suo gusto la modificazione che staper ricevere. Ogni idea generale è puramente intellettua-le; per poco che se ne impacci la fantasia, l'idea divienben tosto particolare. Procurate di delinearvi l'immagine

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cie, che questi primi institutori non erano in istato di di-stinguere; e tutti gli individui si presentarono isolati alloro spirito, come lo sono nel quadro della natura. Seuna quercia si chiamava A, un altra quercia si chiamavaB: di maniera chè quanto più eran ristrette le cognizioni,tanto più diveniva esteso il dizionario. L'imbarazzo ditutta questa nomenclatura non potè esser facilmente le-vato; avvegnachè per ordinare gli enti sotto comuni egeneriche denominazioni, bisognava conoscere le pro-prietà e le differenze: occorrevano delle osservazioni edelle definizioni, cioè a dire, dell'istoria naturale e dellametafisica, molto più di quanto ne potessero avere gliuomini di quel tempo.

Dall'altra parte le idee generali non possono introdur-si nello spirito che coll'aiuto delle parole, e non le con-cepisce l'intendimento che per mezzo di proposizioni.Questa è una delle ragioni per la quale gli animali nonpotrebbero formarsi tali idee, né giammai acquistare laperfezionabilità, che da queste idee dipende. Quandouna scimia passa senza esitare da una noce all'altra, sipensa forse ch'essa abbia l'idea generale di questa sortedi frutto, e ch'essa paragoni il suo archetipo a questi dueindividui? nò senza dubbio; ma la vista d'una di questenoci richiama alla sua memoria le sensazioni che ha ri-cevute dall'altra, e li suoi occhi modificati di una certamaniera anunziano al suo gusto la modificazione che staper ricevere. Ogni idea generale è puramente intellettua-le; per poco che se ne impacci la fantasia, l'idea divienben tosto particolare. Procurate di delinearvi l'immagine

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d'un arbore in generale, voi non ci verrete giammai alfine; vostro malgrado vi converrà vederlo piccolo ogrande, raro o folto, di color chiaro o bruno: e se dipen-desse da voi di non vederci che ciò che si vede inogn'albero, codesta immagine non somiglierebbe più adun albero. Gli enti, puramente astratti in tal guisa si ve-dono, oppure non si concepiscono che dal discorso. Lasola definizione del triangolo venne dalla vera idea: ap-pena che voi ve ne figurate uno nel vostro spirito, egli èun tal triangolo, e non già un altro, e voi non potete evi-tare di rendere sensibili le linee, o colorito il piano. Bi-sogna dunque enunziare delle proposizioni, bisognadunque parlare per aver delle idee generali; impercioc-chè tosto che l'immaginazione si ferma, più non cammi-na lo spirito che coll'aiuto del discorso. Se dunque i pri-mi inventori non hanno potuto dar nomi se non che aquelle idee ch'essi già avevano, ne segue che i primi so-stantivi non hanno potuto essere che nomi propri.

Ma allorchè i nostri grammatici, per via di que' mezzich'io non concepisco, cominciarono a estendere le loroidee e a generalizzare le loro pàrole, l'ignoranza degliinventori, dovè assoggettare questo metodo a confinimolto ristretti, e come essi avevano nel principio troppomoltiplicati i nomi degli individui, per difetto di cono-scere i generi e le specie, fecero in seguito troppo pocodi specie e di generi, per mancanza di non aver conside-rato gli enti in tutte le loro differenze. Per spinger piùoltre le divisioni conveniva loro maggior esperienza ecognizione di quella che potessero avere, e maggiori ri-

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d'un arbore in generale, voi non ci verrete giammai alfine; vostro malgrado vi converrà vederlo piccolo ogrande, raro o folto, di color chiaro o bruno: e se dipen-desse da voi di non vederci che ciò che si vede inogn'albero, codesta immagine non somiglierebbe più adun albero. Gli enti, puramente astratti in tal guisa si ve-dono, oppure non si concepiscono che dal discorso. Lasola definizione del triangolo venne dalla vera idea: ap-pena che voi ve ne figurate uno nel vostro spirito, egli èun tal triangolo, e non già un altro, e voi non potete evi-tare di rendere sensibili le linee, o colorito il piano. Bi-sogna dunque enunziare delle proposizioni, bisognadunque parlare per aver delle idee generali; impercioc-chè tosto che l'immaginazione si ferma, più non cammi-na lo spirito che coll'aiuto del discorso. Se dunque i pri-mi inventori non hanno potuto dar nomi se non che aquelle idee ch'essi già avevano, ne segue che i primi so-stantivi non hanno potuto essere che nomi propri.

Ma allorchè i nostri grammatici, per via di que' mezzich'io non concepisco, cominciarono a estendere le loroidee e a generalizzare le loro pàrole, l'ignoranza degliinventori, dovè assoggettare questo metodo a confinimolto ristretti, e come essi avevano nel principio troppomoltiplicati i nomi degli individui, per difetto di cono-scere i generi e le specie, fecero in seguito troppo pocodi specie e di generi, per mancanza di non aver conside-rato gli enti in tutte le loro differenze. Per spinger piùoltre le divisioni conveniva loro maggior esperienza ecognizione di quella che potessero avere, e maggiori ri-

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cerche e fatiche di quelle ch'essi volevano impiegare.Ora siccome al dì d'oggi si scoprono ogni giorno novellespecie ch'erano fin qui scappate alle nostre osservazioni,che si pensi quante ne dovettero sfuggire a uomini chenon giudicavano delle cose che al primo aspetto. Quantoalle primitive classi, ed alle più generali nozioni, egli èsuperfluo di aggiugnere, ch'esse dovettero pure sfuggirloro: per esempio, come avrebbero essi potuto immagi-narsi, o intendere le parole di materia, spirito, sostanza,modo, figura, moto, posciacchè i nostri filosofi, i qualise ne servono dopo sì lungo tempo hanno della gran dif-ficoltà per intenderli; ed essendo le idee che si attaccanoa queste parole, puramente metafisiche, eglino non netrovavano alcun modello nella natura.

Mi fermo a questi primi passi, e supplico i miei giudi-ci di sospender quivi la lettura, per considerare, sul'invenzione dei soli sostantivi fisici, cioè a dire, su laparte della lingua la più facile a trovarsi, il cammino cheloro resta a fare per esprimere tutti i pensieri degli uomi-ni, per prender una forma costante onde poter essereparlata in pubblico, e influir sulla società: io li supplicodi riflettere a quanto vi abbia convenuto di tempo e dicognizioni per trovare i numeri,(12) le parole astratte, gliaoristi (tempi indefiniti) e tutti i tempi dei verbi, le parti-cole, la sintassi, legar le proposizioni, li ragionamenti, eformare tutta la logica del discorso. Quanto a me, spa-ventato dalle difficoltà che si moltiplicano, e convintodell'impossibilità quasi dimostrata che le lingue abbinopotuto nascere e stabilirsi da mezzi puramente umani, io

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cerche e fatiche di quelle ch'essi volevano impiegare.Ora siccome al dì d'oggi si scoprono ogni giorno novellespecie ch'erano fin qui scappate alle nostre osservazioni,che si pensi quante ne dovettero sfuggire a uomini chenon giudicavano delle cose che al primo aspetto. Quantoalle primitive classi, ed alle più generali nozioni, egli èsuperfluo di aggiugnere, ch'esse dovettero pure sfuggirloro: per esempio, come avrebbero essi potuto immagi-narsi, o intendere le parole di materia, spirito, sostanza,modo, figura, moto, posciacchè i nostri filosofi, i qualise ne servono dopo sì lungo tempo hanno della gran dif-ficoltà per intenderli; ed essendo le idee che si attaccanoa queste parole, puramente metafisiche, eglino non netrovavano alcun modello nella natura.

Mi fermo a questi primi passi, e supplico i miei giudi-ci di sospender quivi la lettura, per considerare, sul'invenzione dei soli sostantivi fisici, cioè a dire, su laparte della lingua la più facile a trovarsi, il cammino cheloro resta a fare per esprimere tutti i pensieri degli uomi-ni, per prender una forma costante onde poter essereparlata in pubblico, e influir sulla società: io li supplicodi riflettere a quanto vi abbia convenuto di tempo e dicognizioni per trovare i numeri,(12) le parole astratte, gliaoristi (tempi indefiniti) e tutti i tempi dei verbi, le parti-cole, la sintassi, legar le proposizioni, li ragionamenti, eformare tutta la logica del discorso. Quanto a me, spa-ventato dalle difficoltà che si moltiplicano, e convintodell'impossibilità quasi dimostrata che le lingue abbinopotuto nascere e stabilirsi da mezzi puramente umani, io

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Page 42: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

lascio a chi vorrà intraprendere la discussione di questodifficile problema: Qual sia stato più necessario, o la so-cietà già legata all'instituzion delle lingue, o le linguegià inventate all'instituzion della società?

Checchè ne sia di queste origini, si vede almeno lapoca cura che si ha preso la natura per avvicinare gli uo-mini con mutui bisogni, e di facilitar loro l'uso della pa-rola, quanto ella abbia potuto preparare la loro sociabili-tà, e quanto ella abbia potuto porvi del suo in tutto ciòch'essi hanno fatto per stabilirne i legami. In fatti, egli èimpossibile d'immaginarsi perchè, in questo primitivostato, un uomo avesse piuttosto bisogno di un altrouomo, che una scimia o un lupo del suo simile: nè sup-posto questo bisogno, qual motivo potesse impegnarl'altro a provederci; neppure in quest'ultimo caso, comepotessero convenire fra loro delle condizioni. So che civiene continuamente ripetuto che nulla più sarebbe statotanto miserabile, quanto l'uomo in un tale stato: e s'egliè vero, come io credo di averlo provato, che se nondopo molti secoli egli abbia potuto avere il desiderio el'occasione di sortirne, questo sarebbe un processo dafare alla natura, e non a quello ch'essa avesse talmenteconstituito. Ma se io bene intendo questo termine di mi-serabile, questa è una parola che non ha verun senso, oche non significa che una dolorosa privazione, ed il pati-mento del corpo, o dell'anima: or io vorrei che mi sispiegasse qual può essere il genere di miseria di un entelibero, il di cui cuore è in pace, ed in salute il corpo. Iodomando, se la vita civile o naturale, è la più soggetta a

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lascio a chi vorrà intraprendere la discussione di questodifficile problema: Qual sia stato più necessario, o la so-cietà già legata all'instituzion delle lingue, o le linguegià inventate all'instituzion della società?

Checchè ne sia di queste origini, si vede almeno lapoca cura che si ha preso la natura per avvicinare gli uo-mini con mutui bisogni, e di facilitar loro l'uso della pa-rola, quanto ella abbia potuto preparare la loro sociabili-tà, e quanto ella abbia potuto porvi del suo in tutto ciòch'essi hanno fatto per stabilirne i legami. In fatti, egli èimpossibile d'immaginarsi perchè, in questo primitivostato, un uomo avesse piuttosto bisogno di un altrouomo, che una scimia o un lupo del suo simile: nè sup-posto questo bisogno, qual motivo potesse impegnarl'altro a provederci; neppure in quest'ultimo caso, comepotessero convenire fra loro delle condizioni. So che civiene continuamente ripetuto che nulla più sarebbe statotanto miserabile, quanto l'uomo in un tale stato: e s'egliè vero, come io credo di averlo provato, che se nondopo molti secoli egli abbia potuto avere il desiderio el'occasione di sortirne, questo sarebbe un processo dafare alla natura, e non a quello ch'essa avesse talmenteconstituito. Ma se io bene intendo questo termine di mi-serabile, questa è una parola che non ha verun senso, oche non significa che una dolorosa privazione, ed il pati-mento del corpo, o dell'anima: or io vorrei che mi sispiegasse qual può essere il genere di miseria di un entelibero, il di cui cuore è in pace, ed in salute il corpo. Iodomando, se la vita civile o naturale, è la più soggetta a

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Page 43: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

divenir insoffribile a quelli che ne godono? Noi non ve-diamo quasi attorno di noi, che persone le quali si lagna-no della loro esistenza; molti pure che se ne privano, perquanto è in loro potere: e la riunione delle leggi divine eumane, basta appena per fermar questo disordine. Io do-mando se giammai s'abbia sentito dire che un selvaggioin libertà abbia solamente pensato a lagnarsi della vita ea darsi la morte. Che si giudichi dunque con meno orgo-glio da qual parte sia la vera miseria. Nulla al contrariosarebbe stato più miserabile quanto l'uomo selvaggioabbagliato da cognizioni, da passioni tormentato; e ra-gionando sovra uno stato dal suo differente. Ciò fu perdisposizione di una savissima provvidenza, che le facol-tà ch'egli aveva in potere non dovessero svilupparsi checolle occasioni di esercitarle, affinché non gli fossero nèsuperflue e a carico inanzi il tempo, nè tardive ed inutilial bisogno. Egli aveva nello istinto tuttociò che gli biso-gnava per vivere nello stato di natura, egli non ha in unacoltivata ragione che ciò che gli bisogna per vivere insocietà.

Si vede subito che gli uomini in questo stato nonavendo fra essi veruna sorte di morale relazione, nè diconosciuti doveri, non potevano essere nè buoni nè cat-tivi e non avevano nè vizj nè virtù, quando non si voles-se prendere queste parole in un senso fisico: si chiama-no vizi nell'individuo le qualità che possono nuocerealla sua propria conservazione, e virtù quelle che posso-no contribuirci; nel qual caso converrebbe chiamar piùvirtuoso quello che meno resisterebbe alle semplici im-

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divenir insoffribile a quelli che ne godono? Noi non ve-diamo quasi attorno di noi, che persone le quali si lagna-no della loro esistenza; molti pure che se ne privano, perquanto è in loro potere: e la riunione delle leggi divine eumane, basta appena per fermar questo disordine. Io do-mando se giammai s'abbia sentito dire che un selvaggioin libertà abbia solamente pensato a lagnarsi della vita ea darsi la morte. Che si giudichi dunque con meno orgo-glio da qual parte sia la vera miseria. Nulla al contrariosarebbe stato più miserabile quanto l'uomo selvaggioabbagliato da cognizioni, da passioni tormentato; e ra-gionando sovra uno stato dal suo differente. Ciò fu perdisposizione di una savissima provvidenza, che le facol-tà ch'egli aveva in potere non dovessero svilupparsi checolle occasioni di esercitarle, affinché non gli fossero nèsuperflue e a carico inanzi il tempo, nè tardive ed inutilial bisogno. Egli aveva nello istinto tuttociò che gli biso-gnava per vivere nello stato di natura, egli non ha in unacoltivata ragione che ciò che gli bisogna per vivere insocietà.

Si vede subito che gli uomini in questo stato nonavendo fra essi veruna sorte di morale relazione, nè diconosciuti doveri, non potevano essere nè buoni nè cat-tivi e non avevano nè vizj nè virtù, quando non si voles-se prendere queste parole in un senso fisico: si chiama-no vizi nell'individuo le qualità che possono nuocerealla sua propria conservazione, e virtù quelle che posso-no contribuirci; nel qual caso converrebbe chiamar piùvirtuoso quello che meno resisterebbe alle semplici im-

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pulsioni della natura. Ma senza allontanarci dal sensoordinario, egli è a proposito di sospendere il giudizioche potressimo portare su una tal situazione, e di non fi-darci de' nostri pregiudizi, finochè colla bilancia allamano, non s'abbia esaminato se vi sieno più virtù chevizi fra gli uomini inciviliti, o se le loro virtù sieno piùvantaggiose di quanto sieno funesti i loro vizi, o se ilprogresso delle loro cognizioni sia un'adequata compen-sazione dei mali che si fanno vicendevolmente a misurache s'instruiscono del bene che dovrebbero farsi, o perabbracciar tutto, se non sarebbero in una più felice situa-zione di non aver a temer il male, né a sperar il bene dachicchesia, di quello sia l'essersi sottomessi ad una uni-versale dipendenza d'obbligarsi a ricever tutto da quelli,i quali non si sono obbligati di dar loro nulla.

Guardiamci sovra tutto dal concluder con Hobbes,che l'uomo sia naturalmente cattivo, perchè non ha ideadella bontà, che sia vizioso, perchè non conosce la virtù,che ricusi sempre a' suoi simili i servigi che non gli cre-de dovuti, nè che in virtù del diritto che con ragione siattribuisce alle cose di cui ha bisogno, egli pazzamentes'immagini d'essere il solo proprietario dell'universo.Hobbes ha benissimo veduto il difetto di tutte le defini-zioni moderne del diritto naturale: ma le conseguenzech'egli tira dalla sua mostrano ch'egli la prende in unsenso che non è meno falso. Ragionando su i principich'egli stabilisce, questo autore doveva dire che lo statodi natura essendo quello ove la cura di nostra conserva-zione è la meno pregiudizievole a quella degli altri, que-

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pulsioni della natura. Ma senza allontanarci dal sensoordinario, egli è a proposito di sospendere il giudizioche potressimo portare su una tal situazione, e di non fi-darci de' nostri pregiudizi, finochè colla bilancia allamano, non s'abbia esaminato se vi sieno più virtù chevizi fra gli uomini inciviliti, o se le loro virtù sieno piùvantaggiose di quanto sieno funesti i loro vizi, o se ilprogresso delle loro cognizioni sia un'adequata compen-sazione dei mali che si fanno vicendevolmente a misurache s'instruiscono del bene che dovrebbero farsi, o perabbracciar tutto, se non sarebbero in una più felice situa-zione di non aver a temer il male, né a sperar il bene dachicchesia, di quello sia l'essersi sottomessi ad una uni-versale dipendenza d'obbligarsi a ricever tutto da quelli,i quali non si sono obbligati di dar loro nulla.

Guardiamci sovra tutto dal concluder con Hobbes,che l'uomo sia naturalmente cattivo, perchè non ha ideadella bontà, che sia vizioso, perchè non conosce la virtù,che ricusi sempre a' suoi simili i servigi che non gli cre-de dovuti, nè che in virtù del diritto che con ragione siattribuisce alle cose di cui ha bisogno, egli pazzamentes'immagini d'essere il solo proprietario dell'universo.Hobbes ha benissimo veduto il difetto di tutte le defini-zioni moderne del diritto naturale: ma le conseguenzech'egli tira dalla sua mostrano ch'egli la prende in unsenso che non è meno falso. Ragionando su i principich'egli stabilisce, questo autore doveva dire che lo statodi natura essendo quello ove la cura di nostra conserva-zione è la meno pregiudizievole a quella degli altri, que-

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sto stato era per conseguenza il più proprjo alla pace, edil più convenevole al genere umano. Egli dice precisa-mente lo contrario, per aver fatto entrar mal a propositonella cura della conservazione dell'uom selvaggio il bi-sogno di soddisfare una moltitudine di passioni, chesono opera della società, e che hanno renduto necessariele leggi. Il cattivo dic'egli è un robusto fanciullo: resta asapere se il selvaggio sia un fanciullo robusto.Quand'anche se glielo accordasse, che ne concluderebbeegli? Che se quando è robusto quest'uomo fosse così di-pendente dagli altri come quando egli è debole; non vi èsorte d'eccessi ai quali non si portasse: ch'egli non bat-tesse sua madre quand'ella tardasse troppo a dargli lemammelle, che non strangolasse uno de' suoi giovanifratelli quando gli fosse incomodo, che non morsicassela gamba all'altro quando ne fosse urtato o sturbato. Maqueste sono due contradditorie supposizioni nello statodi natura, cioè esser robusto e dipendente: l'uomo è de-bole quando egli è dipendente, ed è emancipato priad'esser robusto. Hobbes non ha veduto che la medesimacausa che impedisce i selvaggi di usare della loro ragio-ne, come lo pretendono i nostri giureconsulti, li impedi-ste nel medesimo tempo di abusare delle loro facoltà,come lo pretende egli medesimo: di maniera che si po-trebbe dire che li selvaggi non sono precisamente catti-vi; perchè non sanno ciò che sia l'esser buono; imper-ciocchè non è nè lo sviluppamento de' lumi, nè il frenodella legge, ma la calma delle passioni e l'ignoranza delvizio che gli impediscono il mal fare: tanto plus in illis

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sto stato era per conseguenza il più proprjo alla pace, edil più convenevole al genere umano. Egli dice precisa-mente lo contrario, per aver fatto entrar mal a propositonella cura della conservazione dell'uom selvaggio il bi-sogno di soddisfare una moltitudine di passioni, chesono opera della società, e che hanno renduto necessariele leggi. Il cattivo dic'egli è un robusto fanciullo: resta asapere se il selvaggio sia un fanciullo robusto.Quand'anche se glielo accordasse, che ne concluderebbeegli? Che se quando è robusto quest'uomo fosse così di-pendente dagli altri come quando egli è debole; non vi èsorte d'eccessi ai quali non si portasse: ch'egli non bat-tesse sua madre quand'ella tardasse troppo a dargli lemammelle, che non strangolasse uno de' suoi giovanifratelli quando gli fosse incomodo, che non morsicassela gamba all'altro quando ne fosse urtato o sturbato. Maqueste sono due contradditorie supposizioni nello statodi natura, cioè esser robusto e dipendente: l'uomo è de-bole quando egli è dipendente, ed è emancipato priad'esser robusto. Hobbes non ha veduto che la medesimacausa che impedisce i selvaggi di usare della loro ragio-ne, come lo pretendono i nostri giureconsulti, li impedi-ste nel medesimo tempo di abusare delle loro facoltà,come lo pretende egli medesimo: di maniera che si po-trebbe dire che li selvaggi non sono precisamente catti-vi; perchè non sanno ciò che sia l'esser buono; imper-ciocchè non è nè lo sviluppamento de' lumi, nè il frenodella legge, ma la calma delle passioni e l'ignoranza delvizio che gli impediscono il mal fare: tanto plus in illis

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proficuit vitiorurn ignoratio, quam in his cognitio virtu-tis. Vi è dall'altra parte un altro principio che Hobbesnon ha veduto, e il quale, essendo stato dato all'uomoper raddolcire in certe circostanze la ferocità del suoamor proprio, o il desiderio di conservarsi avanti la na-scita di questo amore(13), tempera l'ardore ch'egli ha peril suo ben essere da una repugnanza innata di veder asoffrir il suo simile. Io non credo di aver a temere veru-na contraddizione, accordando all'uomo la sola virtù na-turale che è stato sforzato di riconoscere il più gran de-trattore delle umane virtù. Io parlo della pietà, disposi-zion convenevole ad enti così deboli, e soggetti ad al-trettanti mali come noi lo siamo; virtù tanto più univer-sale, e tanto più utile all'uomo, ch'ella precede in luil'uso di ogni riflessione; e tanto naturale che le medesi-me bestie ne danno alcune volte sensibili segni. Senzaparlare della tenerezza delle madri verso i loro piccolifigli, e i pericoli che affrontano per garantirneli, si osser-va tutti i giorni la ripugnanza che hanno i cavalli di cal-pestar co' piedi un corpo vivente; un animale non passasenza inquietezza vicino un'animale morto della sua spe-cie; ve ne sono pure che gli danno una sorte di sepoltu-ra: ed i tristi muggiti del bestiame ch'entra in una bec-cheria annunciano l'impressione ch'egli riceve dall'orri-bile spettacolo che lo colpisce. Si vede con piacerel'autor della favola delle api, costretto di riconoscerel'uomo per un ente pietoso e sensibile, uscire, nell'esem-pio che ci dà, dal suo stile freddo e sottile, per offrirci lapatetica immagine di un uomo rinchiuso, che scorge al

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proficuit vitiorurn ignoratio, quam in his cognitio virtu-tis. Vi è dall'altra parte un altro principio che Hobbesnon ha veduto, e il quale, essendo stato dato all'uomoper raddolcire in certe circostanze la ferocità del suoamor proprio, o il desiderio di conservarsi avanti la na-scita di questo amore(13), tempera l'ardore ch'egli ha peril suo ben essere da una repugnanza innata di veder asoffrir il suo simile. Io non credo di aver a temere veru-na contraddizione, accordando all'uomo la sola virtù na-turale che è stato sforzato di riconoscere il più gran de-trattore delle umane virtù. Io parlo della pietà, disposi-zion convenevole ad enti così deboli, e soggetti ad al-trettanti mali come noi lo siamo; virtù tanto più univer-sale, e tanto più utile all'uomo, ch'ella precede in luil'uso di ogni riflessione; e tanto naturale che le medesi-me bestie ne danno alcune volte sensibili segni. Senzaparlare della tenerezza delle madri verso i loro piccolifigli, e i pericoli che affrontano per garantirneli, si osser-va tutti i giorni la ripugnanza che hanno i cavalli di cal-pestar co' piedi un corpo vivente; un animale non passasenza inquietezza vicino un'animale morto della sua spe-cie; ve ne sono pure che gli danno una sorte di sepoltu-ra: ed i tristi muggiti del bestiame ch'entra in una bec-cheria annunciano l'impressione ch'egli riceve dall'orri-bile spettacolo che lo colpisce. Si vede con piacerel'autor della favola delle api, costretto di riconoscerel'uomo per un ente pietoso e sensibile, uscire, nell'esem-pio che ci dà, dal suo stile freddo e sottile, per offrirci lapatetica immagine di un uomo rinchiuso, che scorge al

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di fuori una bestia feroce strappare un funciullo dal senodi sua madre, rompere co' suoi denti omicidi le debolimembra, e squarciar colle sue unghie le viscere palpi-tanti di questo fanciullo. Quale spaventevole agitazionenon prova questo testimonio di un avvenimento, di cuiegli non ne ha verun personale interesse! Quali angoscenon soffre egli a tal vista di non potere recar soccorsoalcuno alla svenuta madre, nè allo spirante fanciullo!

Tal è il puro moto della natura, anteriore ad ogni ri-flessione: tale è la forza della naturale pietà, che i piùdepravati costumi non possono distruggere, poichè sivede tutti i giorni nei nostri spettacoli intenerirsi, e pia-gnere alle disgrazie d'uno sfortunato quel tale, che sefosse in vece del tiranno aggraverebbe di più i tormentidel suo nemico. Mandeville ha molto ben capito che contutta ha la loro morale gli uomini non sarebbero stati chemostri, se la natura non avesse loro data la pietà per ap-poggio dalla ragione; ma egli non ha veduto che da que-sta sola qualità scaturiscono tutte le virtù sociali ch'eglivuol disputare agli uomini. Ed in fatti, che cosa è la ge-nerosità, la clemenza, l'umanità, se non se la pietà appli-cata ai deboli, ai colpevoli, o alla specie umana in gene-rale? La benevolenza e la stessa amicizia sono, a benesaminarle, produzioni d'una costante pietà fissata sovraun particolare oggetto: imperciocchè desiderare che al-cuno non soffra, è ella altra cosa se non che desiderarech'egli sia felice? Quand'anche fosse vero che la commi-serazione altro non fosse che un sentimento il quale cimetta nel luogo di quello che soffre, sentimento oscuro

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di fuori una bestia feroce strappare un funciullo dal senodi sua madre, rompere co' suoi denti omicidi le debolimembra, e squarciar colle sue unghie le viscere palpi-tanti di questo fanciullo. Quale spaventevole agitazionenon prova questo testimonio di un avvenimento, di cuiegli non ne ha verun personale interesse! Quali angoscenon soffre egli a tal vista di non potere recar soccorsoalcuno alla svenuta madre, nè allo spirante fanciullo!

Tal è il puro moto della natura, anteriore ad ogni ri-flessione: tale è la forza della naturale pietà, che i piùdepravati costumi non possono distruggere, poichè sivede tutti i giorni nei nostri spettacoli intenerirsi, e pia-gnere alle disgrazie d'uno sfortunato quel tale, che sefosse in vece del tiranno aggraverebbe di più i tormentidel suo nemico. Mandeville ha molto ben capito che contutta ha la loro morale gli uomini non sarebbero stati chemostri, se la natura non avesse loro data la pietà per ap-poggio dalla ragione; ma egli non ha veduto che da que-sta sola qualità scaturiscono tutte le virtù sociali ch'eglivuol disputare agli uomini. Ed in fatti, che cosa è la ge-nerosità, la clemenza, l'umanità, se non se la pietà appli-cata ai deboli, ai colpevoli, o alla specie umana in gene-rale? La benevolenza e la stessa amicizia sono, a benesaminarle, produzioni d'una costante pietà fissata sovraun particolare oggetto: imperciocchè desiderare che al-cuno non soffra, è ella altra cosa se non che desiderarech'egli sia felice? Quand'anche fosse vero che la commi-serazione altro non fosse che un sentimento il quale cimetta nel luogo di quello che soffre, sentimento oscuro

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e vivo nell'uom selvaggio, sviluppato ma debolenell'uom civile, che importerebbe questa idea alla veritàdi ciò ch'io dico, se non se a dargli una maggior forza?Ed in fatti la commiserazione sarà tanto più energica,quanto più l'animale spettatore s'identificherà più inti-mamente coll'animale che soffre: ora egli è evidente chequesta identificazione ha dovuto essere infinitamentepiù intensa nello stato di natura, che nello stato di razio-cinio. La ragione è quella che genera l'amor proprio, e lariflessione è quella che lo fortifica; essa è quella che ri-piega l'uomo sovra se stesso, e lo separa da tutto ciò chelo molesta e lo affligge: la filosofia lo rende isolato, ed èper essa, che all'aspetto di un uomo che soffre, egli dicein secreto: perisci se tu vuoi, io sono in sicuro. Non visono che i pericoli della società intera, i quali turbano iltranquillo sonno del filosofo, e che dal suo letto lo stac-cano. Si può impunemente scannare il suo simile sottoalla sua finestra; egli non ha che a mettere le sue manisulle sue orecchie, ed argomentarsi un poco, per impedi-re alla natura che in lui si rivolta, dall'identificarlo conquello che si assassina. L'uomo selvaggio non ha dun-que questo ammirabile talento; e per mancanza di sa-viezza e di ragione, lo si vede sempre a storditamenteabbandonarsi al primo sentimento dell'umanità. Nellesollevazioni, nelle querele delle strade, il popolaccio siunisce, l'uomo prudente si allontana: la canaglia, e lefemmine de' mercati sono quegli che separano i combat-tenti, e che impediscono le oneste persone di uccidersi.

Egli è dunque ben certo che la pietà è un sentimento

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e vivo nell'uom selvaggio, sviluppato ma debolenell'uom civile, che importerebbe questa idea alla veritàdi ciò ch'io dico, se non se a dargli una maggior forza?Ed in fatti la commiserazione sarà tanto più energica,quanto più l'animale spettatore s'identificherà più inti-mamente coll'animale che soffre: ora egli è evidente chequesta identificazione ha dovuto essere infinitamentepiù intensa nello stato di natura, che nello stato di razio-cinio. La ragione è quella che genera l'amor proprio, e lariflessione è quella che lo fortifica; essa è quella che ri-piega l'uomo sovra se stesso, e lo separa da tutto ciò chelo molesta e lo affligge: la filosofia lo rende isolato, ed èper essa, che all'aspetto di un uomo che soffre, egli dicein secreto: perisci se tu vuoi, io sono in sicuro. Non visono che i pericoli della società intera, i quali turbano iltranquillo sonno del filosofo, e che dal suo letto lo stac-cano. Si può impunemente scannare il suo simile sottoalla sua finestra; egli non ha che a mettere le sue manisulle sue orecchie, ed argomentarsi un poco, per impedi-re alla natura che in lui si rivolta, dall'identificarlo conquello che si assassina. L'uomo selvaggio non ha dun-que questo ammirabile talento; e per mancanza di sa-viezza e di ragione, lo si vede sempre a storditamenteabbandonarsi al primo sentimento dell'umanità. Nellesollevazioni, nelle querele delle strade, il popolaccio siunisce, l'uomo prudente si allontana: la canaglia, e lefemmine de' mercati sono quegli che separano i combat-tenti, e che impediscono le oneste persone di uccidersi.

Egli è dunque ben certo che la pietà è un sentimento

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naturale, il quale moderando in ciascun individuo l'atti-vità dell'amor di se stesso, concorre alla mutua conser-vazione di tutta la specie. La pietà è quella che ci portasenza riflessione al soccorso di quelli che noi vediamsoffrire: ella è quella che nello stato di natura tien luogodi legge, di costumi, e di virtù; con questo vantaggio,che non c'è alcuno che sia tentato di disobbedire alla suadolce voce: ella è, quella che rimoverà ogni robusto sel-vaggio dal levare ad un debole fanciullo, o a un vecchioinfermo la sua sussistenza acquistata con pena, s'eglimedesimo spera poter trovare altrove la sua: ella è quel-la, la quale in vece di questa sublime massima di giusti-zia ragionata: fa ad altri quello vorresti che fosse fatto ate medesimo, inspira a tutti gli uomini quest'altra massi-ma di naturale bontà, ben meno perfetta, ma più utilepuò esser che la precedente: fa il tuo bene col minormale degli altri che ti sia possibile: egli è in una parola,in questo naturale sentimento, piuttosto che nei fini ar-gomenti, dove convien cercare la ripugnanza che prove-rebbe ogni uomo a mal fare, indipendentemente ancoradalle massime dell'educazione. Abbenchè appartenga aSocrate ed agli spiriti della di lui tempra, d'acquistar lavirtù per mezzo della ragione; sarebbe lungo tempo cheil genere umano più non esisterebbe, se la sua conserva-zione non avesse dipenduto che dai ragionamenti diquelli che lo compongono.

Con passioni sì poco attive, ed un freno sì salutare ,gli uomini piuttosto feroci che cattivi, e più attenti a ga-rantirsi dal male ch'essi potevano ricevere, che tentati di

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naturale, il quale moderando in ciascun individuo l'atti-vità dell'amor di se stesso, concorre alla mutua conser-vazione di tutta la specie. La pietà è quella che ci portasenza riflessione al soccorso di quelli che noi vediamsoffrire: ella è quella che nello stato di natura tien luogodi legge, di costumi, e di virtù; con questo vantaggio,che non c'è alcuno che sia tentato di disobbedire alla suadolce voce: ella è, quella che rimoverà ogni robusto sel-vaggio dal levare ad un debole fanciullo, o a un vecchioinfermo la sua sussistenza acquistata con pena, s'eglimedesimo spera poter trovare altrove la sua: ella è quel-la, la quale in vece di questa sublime massima di giusti-zia ragionata: fa ad altri quello vorresti che fosse fatto ate medesimo, inspira a tutti gli uomini quest'altra massi-ma di naturale bontà, ben meno perfetta, ma più utilepuò esser che la precedente: fa il tuo bene col minormale degli altri che ti sia possibile: egli è in una parola,in questo naturale sentimento, piuttosto che nei fini ar-gomenti, dove convien cercare la ripugnanza che prove-rebbe ogni uomo a mal fare, indipendentemente ancoradalle massime dell'educazione. Abbenchè appartenga aSocrate ed agli spiriti della di lui tempra, d'acquistar lavirtù per mezzo della ragione; sarebbe lungo tempo cheil genere umano più non esisterebbe, se la sua conserva-zione non avesse dipenduto che dai ragionamenti diquelli che lo compongono.

Con passioni sì poco attive, ed un freno sì salutare ,gli uomini piuttosto feroci che cattivi, e più attenti a ga-rantirsi dal male ch'essi potevano ricevere, che tentati di

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farne agli altri, non erano soggetti a risse molto perico-lose. Come non avevano fra essi alcuna sorta di com-mercio; che non conoscevano per conseguenza nè la va-nità, nè la considerazione, nè la stima, nè il disprezzo;che non avevano la minima ragione del tuo e del mio, nèalcuna vera idea della giustizia; che riguardavano le vio-lenze che potevano provare, come un male facile a ripa-rarsi, e non come una ingiuria da punirsi; e che non pro-curavano la vendetta, se non forse macchinalmente esullo stesso momento, come il cane che morde la pietrache se gli getta; le loro dispute avrebbero avuto rara-mente conseguenze sanguinose, se esse non avesseroavuto un oggetto più sensibile della pastura; ma ne veg-go uno più pericoloso, di cui mi resta a parlare.

Fra le passioni che agitano il cuor dell'uomo, ve n'èuna ardente, impetuosa, che rende l'un sesso necessarioall'altro; terribile passione che sfida tutti i pericoli, rove-scia tutti gli ostacoli, e che ne' suoi furori sembra pro-pria a distruggere il genere umano ch'essa è destinata aconservare. Che diverranno gli uomini in preda a questarabbia sfrenata e brutale, senza pudore, senza ritegno,disputandosi ogni giorno i loro amori al prezzo del lorosangue?

Bisogna convenir subito, che quanto più le passionisono violenti, tanto più le leggi sono necessarie per con-tenerle: ma oltre che i disordini e i delitti che queste tuttii giorni fra noi cagionano, mostrano molto l'insufficien-za delle leggi a questo riguardo, sarebbe ancora cosabuona da esaminarsi se questi disordini sieno nati colle

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farne agli altri, non erano soggetti a risse molto perico-lose. Come non avevano fra essi alcuna sorta di com-mercio; che non conoscevano per conseguenza nè la va-nità, nè la considerazione, nè la stima, nè il disprezzo;che non avevano la minima ragione del tuo e del mio, nèalcuna vera idea della giustizia; che riguardavano le vio-lenze che potevano provare, come un male facile a ripa-rarsi, e non come una ingiuria da punirsi; e che non pro-curavano la vendetta, se non forse macchinalmente esullo stesso momento, come il cane che morde la pietrache se gli getta; le loro dispute avrebbero avuto rara-mente conseguenze sanguinose, se esse non avesseroavuto un oggetto più sensibile della pastura; ma ne veg-go uno più pericoloso, di cui mi resta a parlare.

Fra le passioni che agitano il cuor dell'uomo, ve n'èuna ardente, impetuosa, che rende l'un sesso necessarioall'altro; terribile passione che sfida tutti i pericoli, rove-scia tutti gli ostacoli, e che ne' suoi furori sembra pro-pria a distruggere il genere umano ch'essa è destinata aconservare. Che diverranno gli uomini in preda a questarabbia sfrenata e brutale, senza pudore, senza ritegno,disputandosi ogni giorno i loro amori al prezzo del lorosangue?

Bisogna convenir subito, che quanto più le passionisono violenti, tanto più le leggi sono necessarie per con-tenerle: ma oltre che i disordini e i delitti che queste tuttii giorni fra noi cagionano, mostrano molto l'insufficien-za delle leggi a questo riguardo, sarebbe ancora cosabuona da esaminarsi se questi disordini sieno nati colle

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leggi stesse; imperciocchè alloraquando elleno fosserocapaci di reprimerli, questo sarebbe il meno che se nedovesse esigere, cioè di fermare un male che non esiste-rebbe senza di esse.

Incominciamo dal distinguere il morale dal fisico nelsentimento dell'amore. Il fisico è quel desiderio generaleche ha l'un sesso ad unirsi all'altro; il morale è quelloche determina questo desiderio, e lo fissa sovra un solooggetto esclusivamente, o che almeno gli dà per questooggetto preferito un più alto grado di energia. Ora egli èfacile di vedere che il morale dell'amore è un sentimentofattizio, nato dall'uso della società, e celebrato dallefemmine con molta abilità e cura per istabilire il loroimpero, e render dominante quel sesso che dovrebbe ob-bedire. Questo sentimento essendo fondato su alcunenozioni di merito, o di bellezza che un selvaggio non èin istato di avere, e su alcuni paragoni che non è in ista-to di fare, questo sentimento deve essere quasi nullo peresso: poichè, come il suo spirito non ha potuto formarsiidee astratte di regolarità e di proporzione, del pari ilsuo cuore non è suscettibile di que' sentimenti d'ammi-razione, di amore, i quali senza neppure accorgersene,nascono dall'applicazione di queste idee; egli ascoltaunicamente il temperamento che ha ricevuto dalla natu-ra, e non il gusto che non ha potuto acquistare; ed ognifemmina è buona per esso.

Ristretti al solo fisico dell'amore, e molto felici perignorare queste preferenze che irritano il sentimento, eaccrescono le difficoltà, gli uomini debbono sentire con

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leggi stesse; imperciocchè alloraquando elleno fosserocapaci di reprimerli, questo sarebbe il meno che se nedovesse esigere, cioè di fermare un male che non esiste-rebbe senza di esse.

Incominciamo dal distinguere il morale dal fisico nelsentimento dell'amore. Il fisico è quel desiderio generaleche ha l'un sesso ad unirsi all'altro; il morale è quelloche determina questo desiderio, e lo fissa sovra un solooggetto esclusivamente, o che almeno gli dà per questooggetto preferito un più alto grado di energia. Ora egli èfacile di vedere che il morale dell'amore è un sentimentofattizio, nato dall'uso della società, e celebrato dallefemmine con molta abilità e cura per istabilire il loroimpero, e render dominante quel sesso che dovrebbe ob-bedire. Questo sentimento essendo fondato su alcunenozioni di merito, o di bellezza che un selvaggio non èin istato di avere, e su alcuni paragoni che non è in ista-to di fare, questo sentimento deve essere quasi nullo peresso: poichè, come il suo spirito non ha potuto formarsiidee astratte di regolarità e di proporzione, del pari ilsuo cuore non è suscettibile di que' sentimenti d'ammi-razione, di amore, i quali senza neppure accorgersene,nascono dall'applicazione di queste idee; egli ascoltaunicamente il temperamento che ha ricevuto dalla natu-ra, e non il gusto che non ha potuto acquistare; ed ognifemmina è buona per esso.

Ristretti al solo fisico dell'amore, e molto felici perignorare queste preferenze che irritano il sentimento, eaccrescono le difficoltà, gli uomini debbono sentire con

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minor frequenza, e men vivamente gli ardori del tempe-ramento, e per conseguenza essere fra essi le dispute piùrare e meno crudeli. L'immaginazione che fa tante stragifra noi, non parla a cuori selvaggi; ciascuno attendetranquillamente l'impulso della natura; vi si abbandonaallora senza scelta con maggior piacere che furore; esoddisfatto il bisogno, resta estinto ogni desiderio.

Ella è dunque una cosa incontrastabile, che l'amormedesimo, come pure tutte le altre passioni, non ha ac-quistato che nella società quell'impetuoso ardore che lorende così sovente funesto agli uomini: ed egli è tantopiù ridicolo di rappresentare i selvaggi continuamenteintesi l'un l'altro ad ammazzarsi per soddisfare la lorobrutalità, quanto più questa opinione è direttamente con-traria all'esperienza; e che i Caribi, quello che di tutti ipopoli esistenti si sia fino a quest'ora il meno allontana-to dallo stato di natura, sono precisamente i più pacificine' loro amori, e i meno soggetti alla gelosia, tuttochèvivano sotto un clima ardente, il quale sembra che diasempre a queste passioni una più grande attività.

Riguardo alle induzioni che trar si potrebbero in di-verse specie di animali dai combattimenti dei maschi, iquali insanguinano in ogni tempo i nostri cortili, o chefanno risuonare nella primavera i nostri boschi delleloro grida per disputarsi la femmina, convien subito co-minciare dall'escludere tutte le specie, in cui la natura hamanifestamente stabilito, nella potenza relativa dei ses-si, rapporti differenti dai nostri; così il combattimentode' galli non forma un'induzione per la specie umana. E

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minor frequenza, e men vivamente gli ardori del tempe-ramento, e per conseguenza essere fra essi le dispute piùrare e meno crudeli. L'immaginazione che fa tante stragifra noi, non parla a cuori selvaggi; ciascuno attendetranquillamente l'impulso della natura; vi si abbandonaallora senza scelta con maggior piacere che furore; esoddisfatto il bisogno, resta estinto ogni desiderio.

Ella è dunque una cosa incontrastabile, che l'amormedesimo, come pure tutte le altre passioni, non ha ac-quistato che nella società quell'impetuoso ardore che lorende così sovente funesto agli uomini: ed egli è tantopiù ridicolo di rappresentare i selvaggi continuamenteintesi l'un l'altro ad ammazzarsi per soddisfare la lorobrutalità, quanto più questa opinione è direttamente con-traria all'esperienza; e che i Caribi, quello che di tutti ipopoli esistenti si sia fino a quest'ora il meno allontana-to dallo stato di natura, sono precisamente i più pacificine' loro amori, e i meno soggetti alla gelosia, tuttochèvivano sotto un clima ardente, il quale sembra che diasempre a queste passioni una più grande attività.

Riguardo alle induzioni che trar si potrebbero in di-verse specie di animali dai combattimenti dei maschi, iquali insanguinano in ogni tempo i nostri cortili, o chefanno risuonare nella primavera i nostri boschi delleloro grida per disputarsi la femmina, convien subito co-minciare dall'escludere tutte le specie, in cui la natura hamanifestamente stabilito, nella potenza relativa dei ses-si, rapporti differenti dai nostri; così il combattimentode' galli non forma un'induzione per la specie umana. E

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nella specie ove la proporzione è meglio osservata, co-desti combattimenti non possono avere per causa che ilpoco numero delle femmine riguardo a quello de' ma-schi, oppure gli esclusivi intervalli, duranti i quali lafemmina ricusa costantemente l'avvicinamento del ma-schio, locchè ritorna alla prima causa; poichè se ciascu-na femmina non soffre il maschio che per due mesidell'anno, egli è lo stesso come se il numero delle fem-mine fosse minore di cinque sesti: ora veruno di questidue casi non è applicabile alla specie umana, in cui ilnumero delle femmine sorpassa generalmente quello de-gli uomini, e in cui non si è giammai osservato, neppurefra i selvaggi; che le femmine abbiano, come quelle del-le altre specie, il tempo di calore e di esclusiva. Di più,fra molti di questi animali, tutta la specie entrando nelmedesimo tempo nella effervescenza, ne viene un mo-mento terribile di comune ardore, di tumulto, di disordi-ne, e di combattimento: momento il quale non ha luogofra l'umana specie, in cui non è giammai periodicol'amore. Non si può dunque concludere dal combatti-mento di certi animali per il possesso delle femmine,che la stessa cosa accadrebbe all'uomo nello stato di na-tura; e quand'anche si potesse trarre questa conclusione,come queste dissensioni non distruggono le altre specie,si deve pensare almeno che non sarebbe più funesta allanostra; ed ella è cosa chiarissima ch'esse vi produrrebbe-ro ancora minore strage che non fanno nella società, so-vrattutto nei paesi ove i costumi essendo ancora contatiper qualche cosa, la gelosia degli amanti, e la vendetta

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nella specie ove la proporzione è meglio osservata, co-desti combattimenti non possono avere per causa che ilpoco numero delle femmine riguardo a quello de' ma-schi, oppure gli esclusivi intervalli, duranti i quali lafemmina ricusa costantemente l'avvicinamento del ma-schio, locchè ritorna alla prima causa; poichè se ciascu-na femmina non soffre il maschio che per due mesidell'anno, egli è lo stesso come se il numero delle fem-mine fosse minore di cinque sesti: ora veruno di questidue casi non è applicabile alla specie umana, in cui ilnumero delle femmine sorpassa generalmente quello de-gli uomini, e in cui non si è giammai osservato, neppurefra i selvaggi; che le femmine abbiano, come quelle del-le altre specie, il tempo di calore e di esclusiva. Di più,fra molti di questi animali, tutta la specie entrando nelmedesimo tempo nella effervescenza, ne viene un mo-mento terribile di comune ardore, di tumulto, di disordi-ne, e di combattimento: momento il quale non ha luogofra l'umana specie, in cui non è giammai periodicol'amore. Non si può dunque concludere dal combatti-mento di certi animali per il possesso delle femmine,che la stessa cosa accadrebbe all'uomo nello stato di na-tura; e quand'anche si potesse trarre questa conclusione,come queste dissensioni non distruggono le altre specie,si deve pensare almeno che non sarebbe più funesta allanostra; ed ella è cosa chiarissima ch'esse vi produrrebbe-ro ancora minore strage che non fanno nella società, so-vrattutto nei paesi ove i costumi essendo ancora contatiper qualche cosa, la gelosia degli amanti, e la vendetta

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degli sposi cagionano ogni giorno duelli, omicidj, e peg-gio ancora; ove il dovere di una eterna fedeltà non serveche a far degli adulteri, e dove le leggi stesse della con-tinenza e dell'onore dilatano necessariamente la dissolu-tezza, e moltiplicano gli aborti.

Concludiamo che errando nelle foreste senza indu-stria, senza linguaggio, senza domicilio, senza guerra,senza alleanze, senza alcun bisogno de' suoi simili,come senza verun desiderio di loro nuocere, può essereancora, senza giammai riconoscerne alcuno individual-mente, l'uomo selvaggio soggetto a poche passioni, ebastandosi a se medesimo, non aveva che i sentimentied i lumi proprj a questo stato; ch'egli non sentiva che isuoi veri bisogni, non riguardava che ciò che credevaaver interesse di vedere, e che la sua intelligenza non fa-ceva maggiori progressi della di lui vanità. Se per azzar-do faceva qualche scoperta, egli poteva tanto meno co-municarla, che non conosceva nemmeno i suoi figliuoli.L'arte periva coll'inventore: non vi era nè educazione, nèprogressi: le generazioni si moltiplicavano inutilmente:e partendo ciascuna dallo stesso punto, scorrevano i se-coli con tutta la rozzezza delle prime età; era già invec-chiata la specie, e restava l'uomo sempre fanciullo.

Se mi sono troppo esteso sulla supposizione di questacondizione primitiva, egli è, che avendo da distruggereantichi errori e inveterati pregiudizj, credei dovere sca-vare fino alla radice, e mostrare nel ritratto del vero sta-to di natura, quanto l'ineguaglianza stessa naturale è lon-tana dall'avere in questo stato tanta realità ed influenza,

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degli sposi cagionano ogni giorno duelli, omicidj, e peg-gio ancora; ove il dovere di una eterna fedeltà non serveche a far degli adulteri, e dove le leggi stesse della con-tinenza e dell'onore dilatano necessariamente la dissolu-tezza, e moltiplicano gli aborti.

Concludiamo che errando nelle foreste senza indu-stria, senza linguaggio, senza domicilio, senza guerra,senza alleanze, senza alcun bisogno de' suoi simili,come senza verun desiderio di loro nuocere, può essereancora, senza giammai riconoscerne alcuno individual-mente, l'uomo selvaggio soggetto a poche passioni, ebastandosi a se medesimo, non aveva che i sentimentied i lumi proprj a questo stato; ch'egli non sentiva che isuoi veri bisogni, non riguardava che ciò che credevaaver interesse di vedere, e che la sua intelligenza non fa-ceva maggiori progressi della di lui vanità. Se per azzar-do faceva qualche scoperta, egli poteva tanto meno co-municarla, che non conosceva nemmeno i suoi figliuoli.L'arte periva coll'inventore: non vi era nè educazione, nèprogressi: le generazioni si moltiplicavano inutilmente:e partendo ciascuna dallo stesso punto, scorrevano i se-coli con tutta la rozzezza delle prime età; era già invec-chiata la specie, e restava l'uomo sempre fanciullo.

Se mi sono troppo esteso sulla supposizione di questacondizione primitiva, egli è, che avendo da distruggereantichi errori e inveterati pregiudizj, credei dovere sca-vare fino alla radice, e mostrare nel ritratto del vero sta-to di natura, quanto l'ineguaglianza stessa naturale è lon-tana dall'avere in questo stato tanta realità ed influenza,

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quanto lo pretendono i nostri scrittori.In fatti è facile a vedersi che fra le differenze che di-

stinguono gli uomini, molte passano per naturali, le qua-li non sono unicamente che l'opera dell'abitudine, e deidiversi generi di vita che gli uomini adottano nella so-cietà. Così un temperamento robusto, o delicato, la for-za, o la debolezza che ne dipendono, vengono soventepiù dalla maniera dura, o effeminata con cui si è statoallevato, che dalla costituzione primitiva de' corpi. Egliè lo stesso delle forze dello spirito; e non solamentel'educazione mette della differenza fra gli spiriti coltivatie que' che non lo sono, ma essa accresce quella che sitrova fra i primi a proporzione della cultura; poichè seun gigante e un pigmeo camminassero sulla medesimastrada, ciascun passo che facessero l'uno e l'altro dareb-be un nuovo vantaggio al gigante; così se si paragona ladiversità prodigiosa di educazione, e de' generi di vitache regna nei differenti ordini dello stato civile, collasemplicità e uniformità della vita animalesca e selvag-gia, ove tutti si nodriscono cogli stessi alimenti, vivonoalla stessa maniera e fanno esattamente le medesimecose, si comprenderà quanto deve esser minore la diffe-renza da uomo a uomo nello stato di natura, che in quel-lo di società, e quanto l'ineguaglianza naturale deve cre-scere nella specie umana per l'ineguaglianza d'istituzio-ne.

Ma quando la natura affettasse nella distribuzione de'suoi doni tante differenze quante si pretendono, qualvantaggio ne trarrebbero i più favoriti a pregiudizio de-

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quanto lo pretendono i nostri scrittori.In fatti è facile a vedersi che fra le differenze che di-

stinguono gli uomini, molte passano per naturali, le qua-li non sono unicamente che l'opera dell'abitudine, e deidiversi generi di vita che gli uomini adottano nella so-cietà. Così un temperamento robusto, o delicato, la for-za, o la debolezza che ne dipendono, vengono soventepiù dalla maniera dura, o effeminata con cui si è statoallevato, che dalla costituzione primitiva de' corpi. Egliè lo stesso delle forze dello spirito; e non solamentel'educazione mette della differenza fra gli spiriti coltivatie que' che non lo sono, ma essa accresce quella che sitrova fra i primi a proporzione della cultura; poichè seun gigante e un pigmeo camminassero sulla medesimastrada, ciascun passo che facessero l'uno e l'altro dareb-be un nuovo vantaggio al gigante; così se si paragona ladiversità prodigiosa di educazione, e de' generi di vitache regna nei differenti ordini dello stato civile, collasemplicità e uniformità della vita animalesca e selvag-gia, ove tutti si nodriscono cogli stessi alimenti, vivonoalla stessa maniera e fanno esattamente le medesimecose, si comprenderà quanto deve esser minore la diffe-renza da uomo a uomo nello stato di natura, che in quel-lo di società, e quanto l'ineguaglianza naturale deve cre-scere nella specie umana per l'ineguaglianza d'istituzio-ne.

Ma quando la natura affettasse nella distribuzione de'suoi doni tante differenze quante si pretendono, qualvantaggio ne trarrebbero i più favoriti a pregiudizio de-

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gli altri in uno stato di cose che non ammetterebbe quasialcuna sorte di relazione fra essi? Là dove non v'è amo-re, che serve la beltà? che sarà lo spirito a persone chenon parlano, e la scaltrezza a chi non ha affari? Io sentosempre ripetermi, che i più forti opprimerebbero i piùdeboli, ma vorrei che mi si spiegasse ciò che vuol direquesta parola oppressione. Gli uni domineranno conviolenza, gli altri gemeranno soggetti a tutti i loro ca-pricci: ecco precisamente ciò che osservo fra noi; manon veggo come ciò potrebbe dirsi d'uomini selvaggi, a'quali si avrebbe anzi una gran difficoltà a fargli intende-re cosa sia servitù e dominio. Un uomo potrebbe bensìimpadronirsi dei frutti che un altro ha raccolti, della cac-ciagione che ha uccisa, della caverna che gli servivad'asilo; ma come verrà egli a capo di farsi obbedire, equali potranno essere le catene della dipendenza fra uo-mini che non posseggono nulla? Se mi cacciano da unalbore, sono in libertà di andarmene ad un altro; se mitormentano in un luogo, chi m'impedirà di passar altro-ve? Si trova un uomo d'una forza molto alla mia supe-riore, ed assai più corrotto, abbastanza pigro, e molto fe-roce per costrignermi a provvedere alla di lui sussisten-za intanto ch'egli resta ozioso? bisogna ch'ei si risolva anon perdermi di vista un solo istante, a tenermi legatocon grandissima cura durante il suo sonno, per timoreche non gli fugga, o non lo ammazzi: cioè a dire, egli èobbligato di esporsi volontariamente ad una pena moltopiù grande di quella ch'egli vuol evitare, e di quellach'egli dà a me stesso. Dopo tuttociò, la sua vigilanza si

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gli altri in uno stato di cose che non ammetterebbe quasialcuna sorte di relazione fra essi? Là dove non v'è amo-re, che serve la beltà? che sarà lo spirito a persone chenon parlano, e la scaltrezza a chi non ha affari? Io sentosempre ripetermi, che i più forti opprimerebbero i piùdeboli, ma vorrei che mi si spiegasse ciò che vuol direquesta parola oppressione. Gli uni domineranno conviolenza, gli altri gemeranno soggetti a tutti i loro ca-pricci: ecco precisamente ciò che osservo fra noi; manon veggo come ciò potrebbe dirsi d'uomini selvaggi, a'quali si avrebbe anzi una gran difficoltà a fargli intende-re cosa sia servitù e dominio. Un uomo potrebbe bensìimpadronirsi dei frutti che un altro ha raccolti, della cac-ciagione che ha uccisa, della caverna che gli servivad'asilo; ma come verrà egli a capo di farsi obbedire, equali potranno essere le catene della dipendenza fra uo-mini che non posseggono nulla? Se mi cacciano da unalbore, sono in libertà di andarmene ad un altro; se mitormentano in un luogo, chi m'impedirà di passar altro-ve? Si trova un uomo d'una forza molto alla mia supe-riore, ed assai più corrotto, abbastanza pigro, e molto fe-roce per costrignermi a provvedere alla di lui sussisten-za intanto ch'egli resta ozioso? bisogna ch'ei si risolva anon perdermi di vista un solo istante, a tenermi legatocon grandissima cura durante il suo sonno, per timoreche non gli fugga, o non lo ammazzi: cioè a dire, egli èobbligato di esporsi volontariamente ad una pena moltopiù grande di quella ch'egli vuol evitare, e di quellach'egli dà a me stesso. Dopo tuttociò, la sua vigilanza si

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stanca ella un momento? uno strepito improvviso gli favolger la testa? io fo venti passi nel bosco, sono rotti imiei ferri, ed egli mai più non mi rivede.

Senza prolungare inutilmente questi detagli, deve ve-der ciascuno che i legami della servitù non essendo for-mati che dalla mutua dipendenza degli uomini, e dai re-ciprochi bisogni che li uniscono, egli è impossibile diassoggettare un uomo senza averlo prima posto nel casodi non poter fare a meno dell'altro: situazione che nonesistendo nello stato di natura, vi lascia ciascuno liberodal giogo, e rende vana la legge del più forte.

Dopo aver provato che l'ineguaglianza è appena sen-sibile nello stato di natura, e che la sua influenza vi èquasi nulla; mi resta, a mostrare la sua origine e i suoiprogressi nei successivi sviluppi dello spirito umano.Dopo aver mostrato che la perfezionabilità, le virtù so-ciali, e le altre facoltà che l'uomo naturale aveva ricevu-te in potenza, non potean giammai svilupparsi da se me-desime, ch'esse avean bisogno perciò del concorso for-tuito di molte cause straniere, le quali non potevanogiammai nascere, e senza le quali egli sarebbe eterna-mente rimasto nella sua primitiva condizione; mi resta aconsiderare e a raggiugnere i differenti azzardi che han-no potuto perfezionare la ragione umana nel deteriorar-ne la specie, rendere un ente cattivo, riducendolo socie-vole, e da un termine sì lontano condurre in fine l'uomoe il mondo al punto in cui noi lo veggiamo.

Confesso che gli avvenimenti, che sono per descrive-re, avendo potuto succedere in molte maniere, non pos-

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stanca ella un momento? uno strepito improvviso gli favolger la testa? io fo venti passi nel bosco, sono rotti imiei ferri, ed egli mai più non mi rivede.

Senza prolungare inutilmente questi detagli, deve ve-der ciascuno che i legami della servitù non essendo for-mati che dalla mutua dipendenza degli uomini, e dai re-ciprochi bisogni che li uniscono, egli è impossibile diassoggettare un uomo senza averlo prima posto nel casodi non poter fare a meno dell'altro: situazione che nonesistendo nello stato di natura, vi lascia ciascuno liberodal giogo, e rende vana la legge del più forte.

Dopo aver provato che l'ineguaglianza è appena sen-sibile nello stato di natura, e che la sua influenza vi èquasi nulla; mi resta, a mostrare la sua origine e i suoiprogressi nei successivi sviluppi dello spirito umano.Dopo aver mostrato che la perfezionabilità, le virtù so-ciali, e le altre facoltà che l'uomo naturale aveva ricevu-te in potenza, non potean giammai svilupparsi da se me-desime, ch'esse avean bisogno perciò del concorso for-tuito di molte cause straniere, le quali non potevanogiammai nascere, e senza le quali egli sarebbe eterna-mente rimasto nella sua primitiva condizione; mi resta aconsiderare e a raggiugnere i differenti azzardi che han-no potuto perfezionare la ragione umana nel deteriorar-ne la specie, rendere un ente cattivo, riducendolo socie-vole, e da un termine sì lontano condurre in fine l'uomoe il mondo al punto in cui noi lo veggiamo.

Confesso che gli avvenimenti, che sono per descrive-re, avendo potuto succedere in molte maniere, non pos-

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Page 58: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

so determinarmi su la scelta che per conghietture: maoltrecchè queste conghietture diventano ragioni quandoelleno sono le più probabili che si possano trarre dallanatura delle cose, e i soli mezzi che si possano avere periscoprire la verità, le conseguenze ch'io voglio dedurredalle mie, non saranno perciò conghietturali, poichè suiprincipj che ho stabiliti, non si saprebbe formare qua-lunque altro sistema, il quale non mi fornisse i medesimirisultati, e da cui non potessi trarre le medesime conclu-sioni.

Ciò mi dispenserà dallo stendere le mie riflessionisulla maniera con cui il decorso del tempo compensa lapoca verisimiglianza degli avvenimenti; sulla sorpren-dente potenza di leggerissime cause allorchè esse agi-scono senza interruzione; sull'impossibilità, in cui dauna parte si è di distruggere alcuna ipotesi, se dall'altrocanto si è fuor di stato di dar loro il grado di certezza de'fatti; su ciò che due fatti essendo dati come reali per le-gare un seguito di fatti intermedj, sconosciuti, o riguar-dati come tali, tocca alla storia, quando la si ha, di dare ifatti che li legano, ed in di lei mancanza, tocca alla filo-sofia a determinar i fatti simili che possono legarli; infi-ne su ciò, che in materia di avvenimenti la similitudineriduce i fatti a un assai minor numero di classi differenti,che non si può immaginarselo.

Mi basta di offrire questi oggetti alla considerazionede' miei giudici: mi basta di aver fatto in guisa che i vol-gari lettori non avessero bisogno di considerarli.

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so determinarmi su la scelta che per conghietture: maoltrecchè queste conghietture diventano ragioni quandoelleno sono le più probabili che si possano trarre dallanatura delle cose, e i soli mezzi che si possano avere periscoprire la verità, le conseguenze ch'io voglio dedurredalle mie, non saranno perciò conghietturali, poichè suiprincipj che ho stabiliti, non si saprebbe formare qua-lunque altro sistema, il quale non mi fornisse i medesimirisultati, e da cui non potessi trarre le medesime conclu-sioni.

Ciò mi dispenserà dallo stendere le mie riflessionisulla maniera con cui il decorso del tempo compensa lapoca verisimiglianza degli avvenimenti; sulla sorpren-dente potenza di leggerissime cause allorchè esse agi-scono senza interruzione; sull'impossibilità, in cui dauna parte si è di distruggere alcuna ipotesi, se dall'altrocanto si è fuor di stato di dar loro il grado di certezza de'fatti; su ciò che due fatti essendo dati come reali per le-gare un seguito di fatti intermedj, sconosciuti, o riguar-dati come tali, tocca alla storia, quando la si ha, di dare ifatti che li legano, ed in di lei mancanza, tocca alla filo-sofia a determinar i fatti simili che possono legarli; infi-ne su ciò, che in materia di avvenimenti la similitudineriduce i fatti a un assai minor numero di classi differenti,che non si può immaginarselo.

Mi basta di offrire questi oggetti alla considerazionede' miei giudici: mi basta di aver fatto in guisa che i vol-gari lettori non avessero bisogno di considerarli.

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Page 59: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

SECONDA PARTE

Il primo che avendo attorniato di siepi un terreno,pensò di dire questo è mio, e che trovò persone tantosemplici per crederlo, fu il vero fondatore della civilesocietà. Quanti delitti, guerre, omicidj, miserie ed orrorinon avrebbe risparmiato al genere umano colui, il qualesradicando i pali, o riempiendo il fosso che il terrenocircuiva, avesse gridato a' suoi simili: guardatevi dalprestar orecchio a questo impostore; voi siete perduti, sevi scordate che i frutti sono di tutti, e che la terra non èdi alcuno; ma v'è una grande apparenza, che le cose fos-sero già arrivate a un punto da non poter più durarecome erano; poichè questa idea di proprietà dipendendoda molte altre idee anteriori, che non hanno potuto na-scere che successivamente, non si formò in un momentonello spirito umano: convenne far molti progressi, ac-quistar grande industria e molti lumi, trasmetterli, au-mentarli d'età in età, prima di giugnere a questo ultimotermine dello stato di natura. Riprendiamo dunque lecose più sopra, e procuriamo di unire sotto un sol puntodi vista questa lenta successione di avvenimenti e di co-gnizioni nel loro ordine più naturale.

Il primo sentimento dell'uomo fu quello di sua esi-

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SECONDA PARTE

Il primo che avendo attorniato di siepi un terreno,pensò di dire questo è mio, e che trovò persone tantosemplici per crederlo, fu il vero fondatore della civilesocietà. Quanti delitti, guerre, omicidj, miserie ed orrorinon avrebbe risparmiato al genere umano colui, il qualesradicando i pali, o riempiendo il fosso che il terrenocircuiva, avesse gridato a' suoi simili: guardatevi dalprestar orecchio a questo impostore; voi siete perduti, sevi scordate che i frutti sono di tutti, e che la terra non èdi alcuno; ma v'è una grande apparenza, che le cose fos-sero già arrivate a un punto da non poter più durarecome erano; poichè questa idea di proprietà dipendendoda molte altre idee anteriori, che non hanno potuto na-scere che successivamente, non si formò in un momentonello spirito umano: convenne far molti progressi, ac-quistar grande industria e molti lumi, trasmetterli, au-mentarli d'età in età, prima di giugnere a questo ultimotermine dello stato di natura. Riprendiamo dunque lecose più sopra, e procuriamo di unire sotto un sol puntodi vista questa lenta successione di avvenimenti e di co-gnizioni nel loro ordine più naturale.

Il primo sentimento dell'uomo fu quello di sua esi-

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Page 60: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

stenza; la sua prima cura, quella di sua conservazione. Iprodotti della terra gli fornivano tutti i necessarj soccor-si; l'istinto lo portò a farne uso. La fame ed altri appetitigli facevano provare a vicenda diverse maniere di esi-stere: ve ne fu che lo invitò a perpetuare la sua specie; equesta cieca inclinazione, sprovvista d'ogni sentimentodel cuore, non produceva che un atto puramente anima-lesco: soddisfatto il bisogno, non si riconoscevano più idue sessi, ed il fanciullo stesso non era più della madre,tostochè poteva far di meno di essa.

Tal fu la condizione del nascente uomo; tale fu la vitadi un animale ristretto nel principio alle pure sensazioni,e profittantesi appena dei doni che gli offriva la natura,lungi dal pensare a strappargliene: ma ben presto se glipresentarono delle difficoltà; gli convenne imparar avincerle. L'altezza degli alberi che gl'impediva d'arrivareai loro frutti, la concorrenza degli animali che cercavanodi nutrirsene, la ferocità di quelli ché tendevano alla suavita, tutto l'obbligò ad applicarsi agli esercizj del corpo;bisognò rendersi agile, presta al corso, vigoroso al com-battimento. Le armi naturali, che sono i rami degli alberie le pietre, si trovarono ben presto sotto alle sue mani.Imparò a sormontare gli ostacoli della natura, a combat-tere nelle occorrenze gli altri animali, a disputare la suasussistenza agli uomini stessi, o a compensarsi di ciòche ceder bisognava al più forte.

A misura che si estendeva il genere umano, le pene simoltiplicarono cogli uomini. La differenza dei terreni,dei climi, delle stagioni, potè costrignerli a metterne nel-

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stenza; la sua prima cura, quella di sua conservazione. Iprodotti della terra gli fornivano tutti i necessarj soccor-si; l'istinto lo portò a farne uso. La fame ed altri appetitigli facevano provare a vicenda diverse maniere di esi-stere: ve ne fu che lo invitò a perpetuare la sua specie; equesta cieca inclinazione, sprovvista d'ogni sentimentodel cuore, non produceva che un atto puramente anima-lesco: soddisfatto il bisogno, non si riconoscevano più idue sessi, ed il fanciullo stesso non era più della madre,tostochè poteva far di meno di essa.

Tal fu la condizione del nascente uomo; tale fu la vitadi un animale ristretto nel principio alle pure sensazioni,e profittantesi appena dei doni che gli offriva la natura,lungi dal pensare a strappargliene: ma ben presto se glipresentarono delle difficoltà; gli convenne imparar avincerle. L'altezza degli alberi che gl'impediva d'arrivareai loro frutti, la concorrenza degli animali che cercavanodi nutrirsene, la ferocità di quelli ché tendevano alla suavita, tutto l'obbligò ad applicarsi agli esercizj del corpo;bisognò rendersi agile, presta al corso, vigoroso al com-battimento. Le armi naturali, che sono i rami degli alberie le pietre, si trovarono ben presto sotto alle sue mani.Imparò a sormontare gli ostacoli della natura, a combat-tere nelle occorrenze gli altri animali, a disputare la suasussistenza agli uomini stessi, o a compensarsi di ciòche ceder bisognava al più forte.

A misura che si estendeva il genere umano, le pene simoltiplicarono cogli uomini. La differenza dei terreni,dei climi, delle stagioni, potè costrignerli a metterne nel-

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la loro maniera di vivere. Degli anni sterili, inverni cru-di e lunghi, estati ardenti che tutto consumano, ricerca-rono da essi una novella industria. Quei lungo il mare e ifiumi inventarono le canne e l'amo, e diventarono pesca-tori e ichtiofagi. Quei de' boschi fecer degli archi e dellefrecce, e divennero cacciatori e guerrieri: ne' paesi fred-di si coprivano colle pelli degli animali che aveano ucci-si. Il fulmine, un vulcano, e qualche felice azzardo lor fèconoscere il fuoco, nuova sorgente contro il rigore delverno: appresero a conservare questo elemento, poi a ri-produrlo, ed in fine a cuocer le vivande che pria crudemangiavano.

Queste reiterate applicazioni degli enti diversi a luimedesimo, e gli uni agli altri, dovè naturalmente generarnello spirito dell'uomo le percezioni di certi rapporti.Quelle relazioni che noi esprimiamo colle parole digrande, piccolo, forte, debole, presto, lento, timoroso,ardito, ed altre simili idee paragonate al bisogno, e quasisenza pensarci, alla fine produssero in lui qualunquesorta di riflessione, o piuttosto una prudenza macchinaleche gli indicava le precauzioni le più necessarie alla dilui sicurezza.

I nuovi lumi che risultarono da questo sviluppo, ac-crescerono la sua superiorità sovra gli altri animali, fa-cendogliela conoscere. Si esercitò a tender loro delle in-sidie, gli ingannò in mille maniere: e, benchè molti losorpassassero in forza nel combattimento, o in velocitàalla corsa, di quelli che potevano servirlo o nuocerlo, di-venne col tempo il padrone degli uni, ed il flagello degli

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la loro maniera di vivere. Degli anni sterili, inverni cru-di e lunghi, estati ardenti che tutto consumano, ricerca-rono da essi una novella industria. Quei lungo il mare e ifiumi inventarono le canne e l'amo, e diventarono pesca-tori e ichtiofagi. Quei de' boschi fecer degli archi e dellefrecce, e divennero cacciatori e guerrieri: ne' paesi fred-di si coprivano colle pelli degli animali che aveano ucci-si. Il fulmine, un vulcano, e qualche felice azzardo lor fèconoscere il fuoco, nuova sorgente contro il rigore delverno: appresero a conservare questo elemento, poi a ri-produrlo, ed in fine a cuocer le vivande che pria crudemangiavano.

Queste reiterate applicazioni degli enti diversi a luimedesimo, e gli uni agli altri, dovè naturalmente generarnello spirito dell'uomo le percezioni di certi rapporti.Quelle relazioni che noi esprimiamo colle parole digrande, piccolo, forte, debole, presto, lento, timoroso,ardito, ed altre simili idee paragonate al bisogno, e quasisenza pensarci, alla fine produssero in lui qualunquesorta di riflessione, o piuttosto una prudenza macchinaleche gli indicava le precauzioni le più necessarie alla dilui sicurezza.

I nuovi lumi che risultarono da questo sviluppo, ac-crescerono la sua superiorità sovra gli altri animali, fa-cendogliela conoscere. Si esercitò a tender loro delle in-sidie, gli ingannò in mille maniere: e, benchè molti losorpassassero in forza nel combattimento, o in velocitàalla corsa, di quelli che potevano servirlo o nuocerlo, di-venne col tempo il padrone degli uni, ed il flagello degli

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altri. In tal guisa il primo sguardo che portò sovra sestesso, vi produsse il primo movimento d'orgoglio; e intal guisa non sapendo ancora appena distinguere i ran-ghi, e contemplandosi il primo per la sua specie, si pre-parava da lungi a pretendervi per il suo individuo.

Benchè i suoi simili non fossero per lui ciò ch'essisono per noi, e che non avesse niun maggior commerciocon essi che cogli altri animali, non furono però dimen-ticati nelle sue osservazioni. La conformità che il tempopotè fargli scorgere esser fra loro, la sua femmina e luimedesimo lo fecero giudicare di quelle che non iscorge-va; e vedendo ch'essi si conducevano come in simili cir-costanze avrebbe egli fatto, concluse che la loro manieradi pensare e di sentire era interamente conforme allasua; e questa importante verità bene stabilita nel suo spi-rito gli fece seguire, per un presentimento così sicuro epiù pronto che la dialettica, le migliori regole di condot-ta che per suo vantaggio e sua sicurezza gli convenisseosservare con essi.

Istruito dall'esperienza che l'amore del ben essere è ilsolo mobile delle umane azioni, si trovò in istato di di-stinguere le rare occasioni nelle quali per il comune in-teresse potesse esser sicuro dell'assistenza de' suoi simi-li, e quelle più rare ancora, nelle quali la concorrenzadoveva metterlo in diffidenza di essi. Nel primo caso,egli s'univa con essi in truppa, o al più per qualche sortedi libera associazione, la quale non obbligava alcuno, eche non durava se non quanto il passeggero bisogno chel'aveva formata; nel secondo caso, ciascuno cercava di

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altri. In tal guisa il primo sguardo che portò sovra sestesso, vi produsse il primo movimento d'orgoglio; e intal guisa non sapendo ancora appena distinguere i ran-ghi, e contemplandosi il primo per la sua specie, si pre-parava da lungi a pretendervi per il suo individuo.

Benchè i suoi simili non fossero per lui ciò ch'essisono per noi, e che non avesse niun maggior commerciocon essi che cogli altri animali, non furono però dimen-ticati nelle sue osservazioni. La conformità che il tempopotè fargli scorgere esser fra loro, la sua femmina e luimedesimo lo fecero giudicare di quelle che non iscorge-va; e vedendo ch'essi si conducevano come in simili cir-costanze avrebbe egli fatto, concluse che la loro manieradi pensare e di sentire era interamente conforme allasua; e questa importante verità bene stabilita nel suo spi-rito gli fece seguire, per un presentimento così sicuro epiù pronto che la dialettica, le migliori regole di condot-ta che per suo vantaggio e sua sicurezza gli convenisseosservare con essi.

Istruito dall'esperienza che l'amore del ben essere è ilsolo mobile delle umane azioni, si trovò in istato di di-stinguere le rare occasioni nelle quali per il comune in-teresse potesse esser sicuro dell'assistenza de' suoi simi-li, e quelle più rare ancora, nelle quali la concorrenzadoveva metterlo in diffidenza di essi. Nel primo caso,egli s'univa con essi in truppa, o al più per qualche sortedi libera associazione, la quale non obbligava alcuno, eche non durava se non quanto il passeggero bisogno chel'aveva formata; nel secondo caso, ciascuno cercava di

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cogliere i suoi vantaggi, o a forza aperta se credeva po-terlo; o coll'industria e sottigliezza se si sentiva il piùdebole.

Ecco come gli uomini poterono insensibilmente ac-quistare qualche grossolana idea de' mutui impegni, edell'avvantaggio nell'adempirli, ma sol quanto potevaesigerlo l' interesse presente e sensibile; poichè nulla peressi era la previdenza, e lungi dall'occuparsi di un lonta-no avvenire, non pensavano neppure al dimani. Si tratta-va di prendere un cervo? ciascuno sentiva bene ch'eglidoveva perciò guardar fedelmente il suo posto; ma seuna lepre veniva a passare a portata d'uno di essi, non èda dubitarsi ch'ei non la seguisse senza scrupolo, e cheavendo raggiunta la sua preda, egli poca pena si pren-desse di far mancare la loro a' suoi compagni.

Egli è facile da comprendere, che un simile commer-cio non esigeva un linguaggio molte più raffinato diquello delle cornacchie, o delle scimie che s'atruppano aun dipresso del pari. Gridi inarticolati, molti gesti, ed al-cuni strepiti imitativi, dovettero comporre per lungotempo la lingua universale; al che unendosi in ciascunacontrada alcuni suoni articolari e convenzionali, de' qua-li, come ho di già detto, non è troppo agevole di spiegar-ne l'instituzione, si ebbero delle lingue particolari, magrossolane, imperfette, e tali allo incirca che ne hannoancora al dì d'oggi diverse selvagge nazioni. Scorro a untratto la moltitudine de' secoli, sforzato dal tempo chepassa, dall'abbondanza della cose che ho a dire, e dalprogresso quasi insensibile dei principj; imperciocchè

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cogliere i suoi vantaggi, o a forza aperta se credeva po-terlo; o coll'industria e sottigliezza se si sentiva il piùdebole.

Ecco come gli uomini poterono insensibilmente ac-quistare qualche grossolana idea de' mutui impegni, edell'avvantaggio nell'adempirli, ma sol quanto potevaesigerlo l' interesse presente e sensibile; poichè nulla peressi era la previdenza, e lungi dall'occuparsi di un lonta-no avvenire, non pensavano neppure al dimani. Si tratta-va di prendere un cervo? ciascuno sentiva bene ch'eglidoveva perciò guardar fedelmente il suo posto; ma seuna lepre veniva a passare a portata d'uno di essi, non èda dubitarsi ch'ei non la seguisse senza scrupolo, e cheavendo raggiunta la sua preda, egli poca pena si pren-desse di far mancare la loro a' suoi compagni.

Egli è facile da comprendere, che un simile commer-cio non esigeva un linguaggio molte più raffinato diquello delle cornacchie, o delle scimie che s'atruppano aun dipresso del pari. Gridi inarticolati, molti gesti, ed al-cuni strepiti imitativi, dovettero comporre per lungotempo la lingua universale; al che unendosi in ciascunacontrada alcuni suoni articolari e convenzionali, de' qua-li, come ho di già detto, non è troppo agevole di spiegar-ne l'instituzione, si ebbero delle lingue particolari, magrossolane, imperfette, e tali allo incirca che ne hannoancora al dì d'oggi diverse selvagge nazioni. Scorro a untratto la moltitudine de' secoli, sforzato dal tempo chepassa, dall'abbondanza della cose che ho a dire, e dalprogresso quasi insensibile dei principj; imperciocchè

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più gli avvenimenti erano lenti a succedere, più sonopronti a descriversi.

Questi primi progressi misero infine l'uomo a portatadi farne de' più rapidi. Più s'illuminava lo spirito, più siperfezionava l'industria. Ben presto cessando di addor-mentarsi sotto il primo arbore, o di ritirarsi nelle caver-ne, si trovarono alcune asse di pietre dure e taglienti,che servirono a tagliar de' legni, a scavar la terra, a fardelle capanne coi rami dcgli alberi, che si pensò in se-guito d'intonacare con argilla e fango. Questa fu l'epocadi una prima rivoluzione, che formò lo stabilimento e ladistinzione delle famiglie, e che introdusse una sorte diproprietà, da cui può ben essere che di già nascesserodelle querele e dei combattimenti. Nonostante, come ipiù forti furono verisimilmente i primi a farsi degli al-loggiamenti che si sentivano capaci di difendere, egli èda credere che i più deboli trovassero più espediente epiù sicuro l'imitarli, che il tentar di sloggiarli: e quanto aquelli che avevan già delle capanne, ciascuno dovè pococurarsi d'appropriarsi quella del suo vicino, non tantoperché non gli apparteneva, quanto perchè gli sarebbestata inutile, e perchè non avrebbe potuto impadronirsi,senza esporsi ad un vivo combattimento colla famigliache l'occupava.

I primi sviluppi del cuore furon l'effetto di una novel-la situazione, che, riuniva in una comune abitazione imariti e le mogli, i padri e i figliuoli; l'abitudine, di vi-vere insieme fè nascere i più dolci sentimenti che sianconosciuti dagli uomini, l'amor coniugale, e l'amor pa-

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più gli avvenimenti erano lenti a succedere, più sonopronti a descriversi.

Questi primi progressi misero infine l'uomo a portatadi farne de' più rapidi. Più s'illuminava lo spirito, più siperfezionava l'industria. Ben presto cessando di addor-mentarsi sotto il primo arbore, o di ritirarsi nelle caver-ne, si trovarono alcune asse di pietre dure e taglienti,che servirono a tagliar de' legni, a scavar la terra, a fardelle capanne coi rami dcgli alberi, che si pensò in se-guito d'intonacare con argilla e fango. Questa fu l'epocadi una prima rivoluzione, che formò lo stabilimento e ladistinzione delle famiglie, e che introdusse una sorte diproprietà, da cui può ben essere che di già nascesserodelle querele e dei combattimenti. Nonostante, come ipiù forti furono verisimilmente i primi a farsi degli al-loggiamenti che si sentivano capaci di difendere, egli èda credere che i più deboli trovassero più espediente epiù sicuro l'imitarli, che il tentar di sloggiarli: e quanto aquelli che avevan già delle capanne, ciascuno dovè pococurarsi d'appropriarsi quella del suo vicino, non tantoperché non gli apparteneva, quanto perchè gli sarebbestata inutile, e perchè non avrebbe potuto impadronirsi,senza esporsi ad un vivo combattimento colla famigliache l'occupava.

I primi sviluppi del cuore furon l'effetto di una novel-la situazione, che, riuniva in una comune abitazione imariti e le mogli, i padri e i figliuoli; l'abitudine, di vi-vere insieme fè nascere i più dolci sentimenti che sianconosciuti dagli uomini, l'amor coniugale, e l'amor pa-

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terno. Ciascuna famiglia divenne una piccola società,tanto più unita, quanto che il reciproco attacco e la liber-tà n'erano i soli legami; e allora fu che si stabilì la primadifferenza nella maniera del vivere dei due sessi, che finqui non n'era stata che una. Le femmine divennero. piùsedentarie, e si accostumarono a guardar la capanna e ifigliuoli, frattanto che l'uomo cercando andava la comu-ne sussistenza. Cosi i due sessi cominciarono, medianteuna vita un po' più molle, a perder qualche cosa dellaloro ferocità e del loro vigore: ma se ciascuno separata-mente diveniva men proprio a combatter le bestie sel-vagge, allo incontro fu più facile di unirsi assieme perresistergli in comune.

In questo novello stato, con una vita semplice e soli-taria, con ristrettissimi bisogni, e con istrumenti ch'essiavevano inventati per provvedersi, gli uomini godendoun grandissimo ozio, l'impiegarono a procurarsi variesorte di comodi sconosciuti a' loro padri: e questo fu ilprimo giogo che s'imposero senza avvedersene, e la pri-ma sorgente de' mali che preparavano a' loro discenden-ti; imperciocchè oltre che essi continuarono così ad am-mollirsi il corpo e lo spirito, questi comodi avendo perl'abitudine perduto quasi tutto il loro allettamento, ed es-sendo nel medesimo tempo degenerati in veri bisogni, laprivazion ne divenne molto più crudele, che non n'erastata dolce la possessione, ed erano infelici nel perderli,senza esser felici nel possederli.

Qui si scorge un po' meglio come l'uso della parola sistabilì, o si perfezionò insensibilmente nel seno di cia-

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terno. Ciascuna famiglia divenne una piccola società,tanto più unita, quanto che il reciproco attacco e la liber-tà n'erano i soli legami; e allora fu che si stabilì la primadifferenza nella maniera del vivere dei due sessi, che finqui non n'era stata che una. Le femmine divennero. piùsedentarie, e si accostumarono a guardar la capanna e ifigliuoli, frattanto che l'uomo cercando andava la comu-ne sussistenza. Cosi i due sessi cominciarono, medianteuna vita un po' più molle, a perder qualche cosa dellaloro ferocità e del loro vigore: ma se ciascuno separata-mente diveniva men proprio a combatter le bestie sel-vagge, allo incontro fu più facile di unirsi assieme perresistergli in comune.

In questo novello stato, con una vita semplice e soli-taria, con ristrettissimi bisogni, e con istrumenti ch'essiavevano inventati per provvedersi, gli uomini godendoun grandissimo ozio, l'impiegarono a procurarsi variesorte di comodi sconosciuti a' loro padri: e questo fu ilprimo giogo che s'imposero senza avvedersene, e la pri-ma sorgente de' mali che preparavano a' loro discenden-ti; imperciocchè oltre che essi continuarono così ad am-mollirsi il corpo e lo spirito, questi comodi avendo perl'abitudine perduto quasi tutto il loro allettamento, ed es-sendo nel medesimo tempo degenerati in veri bisogni, laprivazion ne divenne molto più crudele, che non n'erastata dolce la possessione, ed erano infelici nel perderli,senza esser felici nel possederli.

Qui si scorge un po' meglio come l'uso della parola sistabilì, o si perfezionò insensibilmente nel seno di cia-

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scuna famiglia, e si può congetturare ancora come di-verse cause particolari poterono estendere il linguaggio,e accelerarne i progressi rendendolo più necessario. Al-cune grandi inondazioni, o tremuoti circondaronod'acque, o di precipizj qualche cantone abitato; improv-vise rivoluzioni del globo staccarono e tagliarono in iso-le alcune porzioni del continente. Si concepisce che frauomini così riuniti, e sforzati di viver assieme, si dovèformare un idioma comune piuttosto che fra quelli cheerravano liberamente ne' boschi della terra-ferma. Cosìegli è possibilissimo che dopo i loro primi saggi di navi-gazione, alcuni isolani abbiano portato fra noi l'uso dellaparola; ed egli è almeno verisimilissimo che la società ele lingue abbiano avuto il loro primo nascimento nelleisole, e che vi si sieno perfezionate prima d'essere cono-sciute nel continente.

Tutto comincia a cambiar faccia. Gli uomini errantifin qui ne' boschi, avendo preso un sito più fisso, si rag-giungono lentamente, si riuniscono in diverse truppe, eformano in fine in ciascuna contrada una particolar na-zione, unita da costumi e caratteri, non da regolamenti eda leggi, ma dal medesimo genere di vita e di alimenti, edalla comune influenza del clima. Una continua vicinan-za non può fare a meno di non generare in fine qualchelegame fra le diverse famiglie. Giovani persone di diffe-renti sessi abitano delle vicine capanne; il commerciopasseggero che ricerca la natura, ne conduce ben prestoun altro non meno dolce e più permanente dalla mutuafrequentazione. Si prende l'uso a considerar differenti

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scuna famiglia, e si può congetturare ancora come di-verse cause particolari poterono estendere il linguaggio,e accelerarne i progressi rendendolo più necessario. Al-cune grandi inondazioni, o tremuoti circondaronod'acque, o di precipizj qualche cantone abitato; improv-vise rivoluzioni del globo staccarono e tagliarono in iso-le alcune porzioni del continente. Si concepisce che frauomini così riuniti, e sforzati di viver assieme, si dovèformare un idioma comune piuttosto che fra quelli cheerravano liberamente ne' boschi della terra-ferma. Cosìegli è possibilissimo che dopo i loro primi saggi di navi-gazione, alcuni isolani abbiano portato fra noi l'uso dellaparola; ed egli è almeno verisimilissimo che la società ele lingue abbiano avuto il loro primo nascimento nelleisole, e che vi si sieno perfezionate prima d'essere cono-sciute nel continente.

Tutto comincia a cambiar faccia. Gli uomini errantifin qui ne' boschi, avendo preso un sito più fisso, si rag-giungono lentamente, si riuniscono in diverse truppe, eformano in fine in ciascuna contrada una particolar na-zione, unita da costumi e caratteri, non da regolamenti eda leggi, ma dal medesimo genere di vita e di alimenti, edalla comune influenza del clima. Una continua vicinan-za non può fare a meno di non generare in fine qualchelegame fra le diverse famiglie. Giovani persone di diffe-renti sessi abitano delle vicine capanne; il commerciopasseggero che ricerca la natura, ne conduce ben prestoun altro non meno dolce e più permanente dalla mutuafrequentazione. Si prende l'uso a considerar differenti

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oggetti, e a farne de' paragoni; si acquistano insensibil-mente idee di merito e di bellezza, le quali produconodei sentimenti di preferenza. A forza di vedersi, non sipuò lasciar di non vedersi ancora. Un tenero sentimentoe dolce s'insinua nell'anima, e dalla menoma opposizio-ne diventa un impetuoso furore: coll'amore si sveglia lagelosia; la discordia trionfa, e la più dolce delle passioniriceve sagrifizj di sangue umano.

A misura che le idee e i sentimenti si succedono, chelo spirito ed il cuore si esercitano, il genere umano con-tinua ad ammansarsi, si stendono i legami, e i nodi siserrano. Si avvezzò ad unirsi dinanzi alle capanne, o at-torno di un grand'albero: il canto e il ballo, veri figlidell'amore e dell'ozio, divennero il divertimento, o piut-tosto l'occupazione degli uomini e delle femmine oziosied attruppati. Ciascuno cominciò a riguardar gli altri, e avoler esser riguardato egli stesso; ed ebbe un prezzo lapubblica stima. Quello che meglio cantava, o ballava, ilpiù bello, il più forte, il più agile, il più eloquente, di-venne il più considerato: e questo fu il primo passo ver-so l'ineguaglianza, e nello stesso tempo verso il vizio: daqueste prime preferenze nacquero da una parte la vanitàe il disprezzo; dall'altra la vergogna e l'invidia; e la fer-mentazione cagionata da questi nuovi lieviti produsse infine dei composti alla felicità e all'innocenza funesti.

Appena gli uomini ebbero cominciato a mutuamenteapprezzarsi, e che l'idea di considerazione fu formatanel loro spirito, ciascuno pretese di averne diritto, e nonfu più possibile ad alcuno di mancarvi impunemente. Di

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oggetti, e a farne de' paragoni; si acquistano insensibil-mente idee di merito e di bellezza, le quali produconodei sentimenti di preferenza. A forza di vedersi, non sipuò lasciar di non vedersi ancora. Un tenero sentimentoe dolce s'insinua nell'anima, e dalla menoma opposizio-ne diventa un impetuoso furore: coll'amore si sveglia lagelosia; la discordia trionfa, e la più dolce delle passioniriceve sagrifizj di sangue umano.

A misura che le idee e i sentimenti si succedono, chelo spirito ed il cuore si esercitano, il genere umano con-tinua ad ammansarsi, si stendono i legami, e i nodi siserrano. Si avvezzò ad unirsi dinanzi alle capanne, o at-torno di un grand'albero: il canto e il ballo, veri figlidell'amore e dell'ozio, divennero il divertimento, o piut-tosto l'occupazione degli uomini e delle femmine oziosied attruppati. Ciascuno cominciò a riguardar gli altri, e avoler esser riguardato egli stesso; ed ebbe un prezzo lapubblica stima. Quello che meglio cantava, o ballava, ilpiù bello, il più forte, il più agile, il più eloquente, di-venne il più considerato: e questo fu il primo passo ver-so l'ineguaglianza, e nello stesso tempo verso il vizio: daqueste prime preferenze nacquero da una parte la vanitàe il disprezzo; dall'altra la vergogna e l'invidia; e la fer-mentazione cagionata da questi nuovi lieviti produsse infine dei composti alla felicità e all'innocenza funesti.

Appena gli uomini ebbero cominciato a mutuamenteapprezzarsi, e che l'idea di considerazione fu formatanel loro spirito, ciascuno pretese di averne diritto, e nonfu più possibile ad alcuno di mancarvi impunemente. Di

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là uscirono pure i primi doveri della civiltà fra i selvag-gi; e di là ciascun torto volontario divenne un oltraggio,perchè col male che risultava dall'ingiuria, l'offeso vivedeva il disprezzo di sua persona, sovente più insop-portabile del male stesso. In tal guisa punendo ciascunoil disprezzo che gli veniva testimoniato d'una manieraproporzionata al caso ch'ei facea di se medesimo, diven-nero terribili le vendette, e sanguinarj e crudeli gli uomi-ni. Ecco precisamente il grado ove erano pervenuti lapiù parte degli uomini selvaggi che ci sono conosciuti:ed egli è per diffetto di non aver sufficientemente distin-te le idee, e rimarcato quanto questi uomini eran di giàlontani dal primo stato di natura, che molti si sono af-frettatti di concludere, che l'uomo è naturalmente crude-le, e ch'egli ha bisogno di politica per raddolcirsi; frat-tanto che nulla è più dolce di lui nel primitivo stato, al-lorchè collocato dalla natura a distanze uguali e dallastupidezza dei bruti, e dai lumi funesti dell'uomo civile,e ristretto egualmente dall'istinto e dalla ragione a ga-rantirsi dal male che lo minaccia, egli è trattenuto dallapietà naturale dal far male a chiunque, senza esserviportato da qualche motivo, ed anche dopo averne rice-vuto. Poichè secondo l'assioma del saggio Locke non vipotrebbe essere ingiuria, ove non vi potess'essere pro-prietà.

Ma convien rimarcare che la società cominciata, e lerelazioni già stabilite fra gli uomini, esigevano da essiqualità differenti da quelle ch'eglino tenevano dalla loroprimitiva costituzione; che la moralità cominciando ad

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là uscirono pure i primi doveri della civiltà fra i selvag-gi; e di là ciascun torto volontario divenne un oltraggio,perchè col male che risultava dall'ingiuria, l'offeso vivedeva il disprezzo di sua persona, sovente più insop-portabile del male stesso. In tal guisa punendo ciascunoil disprezzo che gli veniva testimoniato d'una manieraproporzionata al caso ch'ei facea di se medesimo, diven-nero terribili le vendette, e sanguinarj e crudeli gli uomi-ni. Ecco precisamente il grado ove erano pervenuti lapiù parte degli uomini selvaggi che ci sono conosciuti:ed egli è per diffetto di non aver sufficientemente distin-te le idee, e rimarcato quanto questi uomini eran di giàlontani dal primo stato di natura, che molti si sono af-frettatti di concludere, che l'uomo è naturalmente crude-le, e ch'egli ha bisogno di politica per raddolcirsi; frat-tanto che nulla è più dolce di lui nel primitivo stato, al-lorchè collocato dalla natura a distanze uguali e dallastupidezza dei bruti, e dai lumi funesti dell'uomo civile,e ristretto egualmente dall'istinto e dalla ragione a ga-rantirsi dal male che lo minaccia, egli è trattenuto dallapietà naturale dal far male a chiunque, senza esserviportato da qualche motivo, ed anche dopo averne rice-vuto. Poichè secondo l'assioma del saggio Locke non vipotrebbe essere ingiuria, ove non vi potess'essere pro-prietà.

Ma convien rimarcare che la società cominciata, e lerelazioni già stabilite fra gli uomini, esigevano da essiqualità differenti da quelle ch'eglino tenevano dalla loroprimitiva costituzione; che la moralità cominciando ad

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introdursi nelle azioni umane, ed essendo ciascunoavanti le leggi il solo giudice e vindice delle offesech'egli avea ricevute, la bontà convenevole al puro statodi natura non era più quella che convenisse alla societànascente; poichè conveniva che le punizioni divenisseropiù severe, a misura che le occasioni di offendere dive-nivano più frequenti, e che al terror delle vendette tocca-va far le veci del freno delle leggi. In tal guisa, benchègli uomini fossero divenuti men tolleranti, e che la pietànaturale avesse già sofferto qualche alterazione, questosviluppo delle facoltà umane tenendo un giusto mezzofra l'indolenza dello stato primitivo e la petulante attivitàdel nostro amor proprio, dovè esser l'epoca la più felicee la più durevole. Quanto più vi si riflette, tanto più sitrova che questo stato era il meno soggetto a rivoluzioni,il migliore all'uomo(14), e che egli non ne dovè uscire cheper qualche funesto azardo, il quale per la comune utili-tà non avrebbe dovuto giammai succedere. L'esempiodei selvaggi, che si sono quasi tutti trovati a questo pun-to, sembra confermare che il genere umano era fatto perrestarvi sempre, che questo stato è la vera giovinezzadel mondo, e che tutti gli ulteriori progressi sono stati inapparenza altrettanti passi verso la perfezione dell'indi-viduo, ma in effetto verso la decrepitezza della specie.

Fintantochè gli uomini si contentarono delle loro ru-stiche capanne, fintantochè si ristrinsero a cucire i loroabiti di pelle cogli spini, o colle reste, ad ornarsi di piu-me e di conchiglie, a pingersi il corpo di diversi colori, aperfezionare, o ad abbellire i loro archi e le loro frecce,

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introdursi nelle azioni umane, ed essendo ciascunoavanti le leggi il solo giudice e vindice delle offesech'egli avea ricevute, la bontà convenevole al puro statodi natura non era più quella che convenisse alla societànascente; poichè conveniva che le punizioni divenisseropiù severe, a misura che le occasioni di offendere dive-nivano più frequenti, e che al terror delle vendette tocca-va far le veci del freno delle leggi. In tal guisa, benchègli uomini fossero divenuti men tolleranti, e che la pietànaturale avesse già sofferto qualche alterazione, questosviluppo delle facoltà umane tenendo un giusto mezzofra l'indolenza dello stato primitivo e la petulante attivitàdel nostro amor proprio, dovè esser l'epoca la più felicee la più durevole. Quanto più vi si riflette, tanto più sitrova che questo stato era il meno soggetto a rivoluzioni,il migliore all'uomo(14), e che egli non ne dovè uscire cheper qualche funesto azardo, il quale per la comune utili-tà non avrebbe dovuto giammai succedere. L'esempiodei selvaggi, che si sono quasi tutti trovati a questo pun-to, sembra confermare che il genere umano era fatto perrestarvi sempre, che questo stato è la vera giovinezzadel mondo, e che tutti gli ulteriori progressi sono stati inapparenza altrettanti passi verso la perfezione dell'indi-viduo, ma in effetto verso la decrepitezza della specie.

Fintantochè gli uomini si contentarono delle loro ru-stiche capanne, fintantochè si ristrinsero a cucire i loroabiti di pelle cogli spini, o colle reste, ad ornarsi di piu-me e di conchiglie, a pingersi il corpo di diversi colori, aperfezionare, o ad abbellire i loro archi e le loro frecce,

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a tagliare con pietre taglienti alcune barchette da pesca-tori, o alcuni grossolani istrumenti di musica; in una pa-rola fintantochè non si applicarono che ad opere che po-teva fare un solo, e ad arti che non avean d'uopo delconcorso di molte mani, eglino vissero liberi, sani, buo-ni, e felici quanto potevan esserlo di lor natura, e conti-nuarono a godere fra loro di un indipendente commer-cio; ma dall'instante che un uomo ebbe bisogno del soc-corso di un altro; dacchè si apprese che era cosa utile adun solo di aver provvigioni per due, disparve l'egua-glianza, s'introdusse la proprietà, divenne necessario iltravaglio, e le vaste foreste si cambiarono in ridenticampagne che convenne innaffiare coi sudori degli uo-mini, e nelle quali si vide ben presto gemere e crescercolle messi la schiavitù e la miseria.

La metallurgia e l'agricoltura, furono le due arti, la dicui invenzione produsse rivoluzion sì grande. Per il poe-ta è l'oro e l'argento, ma per il filosofo il ferro e il granosono quelli che hanno incivilito gli uomini, e perduto ilgenere umano; così l'uno e l'altro erano sconosciuti aiselvaggi dell'America, e perciò sono sempre tali restati:gli altri popoli pure sembra che sieno restati barbari fin-tantochè hanno praticata una di queste arti senza l'altra;ed una forse delle migliori ragioni pcrchè l'Europa è sta-ta, se non più presto, almeno più costantemente megliopolita delle altre parti del mondo, essa lo è, per essertutt'insieme la più abbondante in ferro, e la più fertile ingrano.

Egli è difficilissimo di congetturar come gli uomini

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a tagliare con pietre taglienti alcune barchette da pesca-tori, o alcuni grossolani istrumenti di musica; in una pa-rola fintantochè non si applicarono che ad opere che po-teva fare un solo, e ad arti che non avean d'uopo delconcorso di molte mani, eglino vissero liberi, sani, buo-ni, e felici quanto potevan esserlo di lor natura, e conti-nuarono a godere fra loro di un indipendente commer-cio; ma dall'instante che un uomo ebbe bisogno del soc-corso di un altro; dacchè si apprese che era cosa utile adun solo di aver provvigioni per due, disparve l'egua-glianza, s'introdusse la proprietà, divenne necessario iltravaglio, e le vaste foreste si cambiarono in ridenticampagne che convenne innaffiare coi sudori degli uo-mini, e nelle quali si vide ben presto gemere e crescercolle messi la schiavitù e la miseria.

La metallurgia e l'agricoltura, furono le due arti, la dicui invenzione produsse rivoluzion sì grande. Per il poe-ta è l'oro e l'argento, ma per il filosofo il ferro e il granosono quelli che hanno incivilito gli uomini, e perduto ilgenere umano; così l'uno e l'altro erano sconosciuti aiselvaggi dell'America, e perciò sono sempre tali restati:gli altri popoli pure sembra che sieno restati barbari fin-tantochè hanno praticata una di queste arti senza l'altra;ed una forse delle migliori ragioni pcrchè l'Europa è sta-ta, se non più presto, almeno più costantemente megliopolita delle altre parti del mondo, essa lo è, per essertutt'insieme la più abbondante in ferro, e la più fertile ingrano.

Egli è difficilissimo di congetturar come gli uomini

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sieno pervenuti a conoscere ed impiegare il ferro; avve-gnachè non è cosa credibile ch'eglino s'abbiano immagi-nato da per loro di trar la materia dalla mina, e di darlele preparazioni necessarie per metterla in fusione, avantidi sapere ciò che ne risulterebbe. Da un altro lato non sipuò nemmeno attribuire questa scoperta a qualche acci-dentale incendio, poichè le mine non si formano che ne-gli aridi luoghi, spogli d'arbori e di piante; di manierache si direbbe che la natura aveva avute delle precauzio-ni per involarci questo fatal secreto. Non resta dunqueche la straordinaria circostanza di qualche vulcano, ilquale vomitando delle materie metalliche in fusione, ab-bia data agli osservatori l'idea d'imitare questa operazio-ne della natura: inoltre convien supporre del gran corag-gio e della previdenza per intraprendere una così penosafatica, e scorger tanto lungi i vantaggi che ne potevantrarre; lochè quasi non conviene senonchè a degli spiritidi già più esercitati di quanto questi dovevano esserlo.

Quanto all'agricoltura, il principio ne fu conosciutolungo tempo prima che ne fosse stabilita la pratica: enon è possibile che gli uomini continuamente occupati atrar la loro sussistenza dagli alberi e dalle piante, nonavessero molto prontamente acquistata l'idea delle stra-de che la natura impiega per la generazione dei vegeta-bili; ma probabilmente la loro industria non si voltò daquesta parte che molto tardi, sia perchè gli alberi i qualicon la caccia e la pesca soministravan loro il nutrimen-to, non avevano bisogno delle loro attenzioni, sia difettodi non conoscer l'uso del grano, sia mancanza d'instru-

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sieno pervenuti a conoscere ed impiegare il ferro; avve-gnachè non è cosa credibile ch'eglino s'abbiano immagi-nato da per loro di trar la materia dalla mina, e di darlele preparazioni necessarie per metterla in fusione, avantidi sapere ciò che ne risulterebbe. Da un altro lato non sipuò nemmeno attribuire questa scoperta a qualche acci-dentale incendio, poichè le mine non si formano che ne-gli aridi luoghi, spogli d'arbori e di piante; di manierache si direbbe che la natura aveva avute delle precauzio-ni per involarci questo fatal secreto. Non resta dunqueche la straordinaria circostanza di qualche vulcano, ilquale vomitando delle materie metalliche in fusione, ab-bia data agli osservatori l'idea d'imitare questa operazio-ne della natura: inoltre convien supporre del gran corag-gio e della previdenza per intraprendere una così penosafatica, e scorger tanto lungi i vantaggi che ne potevantrarre; lochè quasi non conviene senonchè a degli spiritidi già più esercitati di quanto questi dovevano esserlo.

Quanto all'agricoltura, il principio ne fu conosciutolungo tempo prima che ne fosse stabilita la pratica: enon è possibile che gli uomini continuamente occupati atrar la loro sussistenza dagli alberi e dalle piante, nonavessero molto prontamente acquistata l'idea delle stra-de che la natura impiega per la generazione dei vegeta-bili; ma probabilmente la loro industria non si voltò daquesta parte che molto tardi, sia perchè gli alberi i qualicon la caccia e la pesca soministravan loro il nutrimen-to, non avevano bisogno delle loro attenzioni, sia difettodi non conoscer l'uso del grano, sia mancanza d'instru-

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menti per coltivarlo, sia mancanza di previdenza per ifuturi bisogni, sia in fine mancanza de' mezzi per impe-dir gli altri d'appropriarsi il frutto del loro travaglio. Di-venuti più industriosi, si può credere che con pietre acu-te ed appuntati bastoni essi cominciassero dal coltivarealcuni legumi o radici attorno le loro capanne, lungotempo prima di saper preparare il grano, e di aver glistrumenti necessarj per la coltura in grande, senza con-tare che per abbandonarsi a questa occupazione, convienrisolversi a perder subito qualche cosa per guadagnarmolto nel seguito: precauzione molto lontana dal girodello spirito dell'uom selvaggio, il quale, come ho giàdetto, ha della pena a pensar la mattina per i bisogni del-la sera.

L'invenzione delle altre arti fu dunque necessaria perisforzare il genere umano ad applicarsi a quellodell'agricoltura. Dacchè accorsero degli uomini per fon-dere e batter il ferro, per nutrir questi vi bisognarono al-tri uomini. Più il numero degli operai venne a moltipli-carsi, vi furono meno mani impiegate per somministrarela sussistenza comune, senza che diminuissero le boccheper consumarla: e come abbisognarono agli uni dellederrate in cambio del loro ferro, gli altri trovarono infine il secreto d'impiegare il ferro alla moltiplicazionedelle derrate. Da ciò nacquero da una parte il lavoro del-la terra e l'agricoltura, e dall'altra l'arte di lavorare i me-talli, e di moltiplicarne gli usi.

Dalla coltura delle terre ne seguì necessariamente illoro partaggio, e dalla proprietà una volta riconosciuta

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menti per coltivarlo, sia mancanza di previdenza per ifuturi bisogni, sia in fine mancanza de' mezzi per impe-dir gli altri d'appropriarsi il frutto del loro travaglio. Di-venuti più industriosi, si può credere che con pietre acu-te ed appuntati bastoni essi cominciassero dal coltivarealcuni legumi o radici attorno le loro capanne, lungotempo prima di saper preparare il grano, e di aver glistrumenti necessarj per la coltura in grande, senza con-tare che per abbandonarsi a questa occupazione, convienrisolversi a perder subito qualche cosa per guadagnarmolto nel seguito: precauzione molto lontana dal girodello spirito dell'uom selvaggio, il quale, come ho giàdetto, ha della pena a pensar la mattina per i bisogni del-la sera.

L'invenzione delle altre arti fu dunque necessaria perisforzare il genere umano ad applicarsi a quellodell'agricoltura. Dacchè accorsero degli uomini per fon-dere e batter il ferro, per nutrir questi vi bisognarono al-tri uomini. Più il numero degli operai venne a moltipli-carsi, vi furono meno mani impiegate per somministrarela sussistenza comune, senza che diminuissero le boccheper consumarla: e come abbisognarono agli uni dellederrate in cambio del loro ferro, gli altri trovarono infine il secreto d'impiegare il ferro alla moltiplicazionedelle derrate. Da ciò nacquero da una parte il lavoro del-la terra e l'agricoltura, e dall'altra l'arte di lavorare i me-talli, e di moltiplicarne gli usi.

Dalla coltura delle terre ne seguì necessariamente illoro partaggio, e dalla proprietà una volta riconosciuta

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Page 73: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

le prime regole di giustizia: poichè per rendere a ciascu-no il suo, bisogna che ciascuno possa aver qualche cosa;di più, cominciando gli uomini a portar le loro mirenell'avvenire, e vedendo tutti che avevano qualche cosada perdere, non ve n'era alcuno che non avesse a temerele rappresaglie de' torti che egli poteva fare agli altri.Questa origine è tanto più naturale, quantoch'è impossi-bile di concepir l'idea della proprietà da altra parte, cheda quella del lavoro; avvegnachè non si vede che l'uomoper appropriarsi le cose che non ha fatte, altro non vipossa mettere che il suo lavoro. Il lavoro solo è quello,il quale dando il diritto al coltivatore sul prodotto dellaterra che ha lavorata, gliene dà per conseguenza sul fon-do, almeno fino alla raccolta, e così d'anno in anno; loc-chè facendo una continua possessione, si trasforma fa-cilmente in proprietà. Allorchè gli antichi, dice Grozio,hanno dato a Cerere l'epiteto di legislatrice, e ad una fe-sta celebrata in suo onore il nome di Thesmophoria(pubblicazion delle leggi), hanno con ciò fatto intendereche il partaggio delle terre ha prodotto una nuova sortedi diritto; cioè a dire il diritto di proprietà, differente daquello che risulta dalla legge naturale.

Le cose in tale stato avrebbero potuto restare egualuguali fossero stati i talenti, e che, peesempiol'impiegodel ferro ed il consumo delle derrate avessero sempre te-nuto un esatto equilibrio; ma non essendo cosa verunache mantenesse la proporzione, questa fu ben tosto rot-ta; il più forte faceva più lavoro; il più accorto traevamiglior partito dal suo; il più ingnegnoso trovava i mez-

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le prime regole di giustizia: poichè per rendere a ciascu-no il suo, bisogna che ciascuno possa aver qualche cosa;di più, cominciando gli uomini a portar le loro mirenell'avvenire, e vedendo tutti che avevano qualche cosada perdere, non ve n'era alcuno che non avesse a temerele rappresaglie de' torti che egli poteva fare agli altri.Questa origine è tanto più naturale, quantoch'è impossi-bile di concepir l'idea della proprietà da altra parte, cheda quella del lavoro; avvegnachè non si vede che l'uomoper appropriarsi le cose che non ha fatte, altro non vipossa mettere che il suo lavoro. Il lavoro solo è quello,il quale dando il diritto al coltivatore sul prodotto dellaterra che ha lavorata, gliene dà per conseguenza sul fon-do, almeno fino alla raccolta, e così d'anno in anno; loc-chè facendo una continua possessione, si trasforma fa-cilmente in proprietà. Allorchè gli antichi, dice Grozio,hanno dato a Cerere l'epiteto di legislatrice, e ad una fe-sta celebrata in suo onore il nome di Thesmophoria(pubblicazion delle leggi), hanno con ciò fatto intendereche il partaggio delle terre ha prodotto una nuova sortedi diritto; cioè a dire il diritto di proprietà, differente daquello che risulta dalla legge naturale.

Le cose in tale stato avrebbero potuto restare egualuguali fossero stati i talenti, e che, peesempiol'impiegodel ferro ed il consumo delle derrate avessero sempre te-nuto un esatto equilibrio; ma non essendo cosa verunache mantenesse la proporzione, questa fu ben tosto rot-ta; il più forte faceva più lavoro; il più accorto traevamiglior partito dal suo; il più ingnegnoso trovava i mez-

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zi di abbreviare il travaglio; il lavoratore avea più biso-gno di ferro, o il fabbro avea più bisogno di grano enell'ugualmente lavorare, uno guadagnava molto, frat-tantochè l'altro poteva appena vivere. In questa manierainsensibilmente si scopre l'ineguaglianza naturale conquella dell'unione, e che le differenze degli uomini, svi-luppate dalla differenza delle circostanze, si rendono piùsensibili, più permanenti ne' loro effetti, e cominciano ainfluire nella medesima proporzione sulla sorte dei par-ticolari.

Essendo arrivate a questo punto le cose, egli è faciled'immaginare il resto. Io non mi fermerò già a descrive-re l'invenzion successiva delle altre arti, i progressi dellelingue, la prova e l'impiego de' talenti, l'ineguaglianzadelle fortune, l'uso, o l'abuso delle ricchezze, nè le parti-colarità che queste seguitano; al che può facilmente cia-scuno supplire. Mi ristrignerò solamente a darun'occhiota sovra il genere umano, situato in questonuovo ordine di cose.

Ecco dunque sviluppate tutte le nostre facoltà, la me-moria e l'immaginazione in opera; l'amor proprio inte-ressato, resa attiva la regione, e lo spirito quasi arrivatoal termine di perfezione, di cui è suscettibile. Ecco tuttele qualità naturali poste in azione; stabilito il rango e lasorte di ogni uomo, non solo sulla quantità dei beni, e ilpotere di giovare, o di nuocere, ma sullo spirito, la bel-lezza, la forza, o l'agilità, sul merito, o sui talenti: ed es-sendo queste qualità le sole che potesse attrarre dellaconsiderazione, convenne ben tosto averle, o affettarle:

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zi di abbreviare il travaglio; il lavoratore avea più biso-gno di ferro, o il fabbro avea più bisogno di grano enell'ugualmente lavorare, uno guadagnava molto, frat-tantochè l'altro poteva appena vivere. In questa manierainsensibilmente si scopre l'ineguaglianza naturale conquella dell'unione, e che le differenze degli uomini, svi-luppate dalla differenza delle circostanze, si rendono piùsensibili, più permanenti ne' loro effetti, e cominciano ainfluire nella medesima proporzione sulla sorte dei par-ticolari.

Essendo arrivate a questo punto le cose, egli è faciled'immaginare il resto. Io non mi fermerò già a descrive-re l'invenzion successiva delle altre arti, i progressi dellelingue, la prova e l'impiego de' talenti, l'ineguaglianzadelle fortune, l'uso, o l'abuso delle ricchezze, nè le parti-colarità che queste seguitano; al che può facilmente cia-scuno supplire. Mi ristrignerò solamente a darun'occhiota sovra il genere umano, situato in questonuovo ordine di cose.

Ecco dunque sviluppate tutte le nostre facoltà, la me-moria e l'immaginazione in opera; l'amor proprio inte-ressato, resa attiva la regione, e lo spirito quasi arrivatoal termine di perfezione, di cui è suscettibile. Ecco tuttele qualità naturali poste in azione; stabilito il rango e lasorte di ogni uomo, non solo sulla quantità dei beni, e ilpotere di giovare, o di nuocere, ma sullo spirito, la bel-lezza, la forza, o l'agilità, sul merito, o sui talenti: ed es-sendo queste qualità le sole che potesse attrarre dellaconsiderazione, convenne ben tosto averle, o affettarle:

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e convenne per proprio vantaggio mostrarsi diverso daciò che s'era in effetto. Essere e parere diventarono duecose affatto differenti; e da questa distinzione sortironoil fasto imponente, l'astuzia ingannevole, e tutti i vizjche ne fanno il corteggio. Da un altro lato, di libero edindipendente che era l'uomo per lo innanzi, eccolo dauna moltitudine di nuovi bisogni assoggettato per cosìdire a tutta la natura, e soprattutto a' suoi simili, de' qualiin un senso ne diventa lo schiavo, nel tempo stesso chediventa il loro padrone: ricco ha bisogno de' loro servi-gi; povero ha bisogno de' loro soccorsi; e la mediocritànon impedisce che possa far senz'essi. Bisogna dunquech'egli continuamente cerchi d'interessarli alla sua sorte,ed a fargli trovare in effetto, o in apparenza il loro pro-fitto a travagliare per il suo proprio: locchè lo rende fur-bo cd artifizioso con gli uni, imperioso e duro con gli al-tri; e lo mette nella necessità di abusare di tutti quelli dicui egli ha bisogne, quando non può farsi temere, e chenon trova il suo interesse a servirli utilmente. Infine ladivoratrice ambizione, l'ardor d'inalzare la sua fortunarelativa, meno da un vero bisogno, che per mettersi aldisopra degli altri, inspira a tutti gli uomini una nera in-clinazione a nuocersi mutuamente, una secreta gelosiatantopiù pericolosa, quantochè per far il suo colpo conmaggior sicurezza prende sovente la maschera della be-nevolenza; in una parola, concorrenza e rivalità da unlato, opposizion d'interesse dall'altro; e sempre il secretodesiderio di fare il suo profitto alle altrui spese; tuttiquesti mali sono il primo effetto della proprietà, e l'inse-

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e convenne per proprio vantaggio mostrarsi diverso daciò che s'era in effetto. Essere e parere diventarono duecose affatto differenti; e da questa distinzione sortironoil fasto imponente, l'astuzia ingannevole, e tutti i vizjche ne fanno il corteggio. Da un altro lato, di libero edindipendente che era l'uomo per lo innanzi, eccolo dauna moltitudine di nuovi bisogni assoggettato per cosìdire a tutta la natura, e soprattutto a' suoi simili, de' qualiin un senso ne diventa lo schiavo, nel tempo stesso chediventa il loro padrone: ricco ha bisogno de' loro servi-gi; povero ha bisogno de' loro soccorsi; e la mediocritànon impedisce che possa far senz'essi. Bisogna dunquech'egli continuamente cerchi d'interessarli alla sua sorte,ed a fargli trovare in effetto, o in apparenza il loro pro-fitto a travagliare per il suo proprio: locchè lo rende fur-bo cd artifizioso con gli uni, imperioso e duro con gli al-tri; e lo mette nella necessità di abusare di tutti quelli dicui egli ha bisogne, quando non può farsi temere, e chenon trova il suo interesse a servirli utilmente. Infine ladivoratrice ambizione, l'ardor d'inalzare la sua fortunarelativa, meno da un vero bisogno, che per mettersi aldisopra degli altri, inspira a tutti gli uomini una nera in-clinazione a nuocersi mutuamente, una secreta gelosiatantopiù pericolosa, quantochè per far il suo colpo conmaggior sicurezza prende sovente la maschera della be-nevolenza; in una parola, concorrenza e rivalità da unlato, opposizion d'interesse dall'altro; e sempre il secretodesiderio di fare il suo profitto alle altrui spese; tuttiquesti mali sono il primo effetto della proprietà, e l'inse-

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parabile corteggio della nascente ineguaglianza.Primachè si fossero inventati i segni rappresentativi

delle ricchezze, esse non potevano consistere che in ter-re ed in bestiami, essendo questi i soli beni reali che gliuomini potessero possedere. Or quando i fondi terrenifurono accresciuti in numero ed estensione, a segno dicoprir l'intero suolo e di toccarsi tutti, gli uni non pote-rono più ingrandirsi che a danno degli altri; e i sopran-numerarj che la debolezza, o l'indolenza avevano impe-dito di far essi pure i loro acquisti, diventati poveri sen-za aver nulla perduto, perchè tutto cambiando attorno diessi, eglino soli non aveano cambiato, furono obbligatidi ricevere, o di rapire la loro sussistenza dalla mano de'ricchi: e da ciò cominciarono a nascere, secondo i diver-si caratteri degli uni e degli altri, il dominio e la servitù,o la violenza e le rapine. Dal loro canto i ricchi conob-bero appena il piacer di dominare, che disprezzaron benpresto tutti gli altri; e servendosi de' loro antichi schiaviper sottometterne di nuovi, non pensarono che a soggio-gare e domare i loro vicini: simili a que' lupi affamati, iquali avendo una volta gustata della carne, rifiutanoogn'altro nutrimento, e non vogliono che divorar degliuomini.

In questa guisa i più potenti, o i più miserabili, facen-dosi della loro forza, o dei loro bisogni una sorte di di-ritto al bene altrui, equivalente, secondo essi, a quello diproprietà, la rotta eguaglianza fa seguita dal più spaven-tevole disordine. In questa guisa le usurpazioni dei ric-chi, le ruberie de' poveri, le sfrenate passioni di tutti sof-

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parabile corteggio della nascente ineguaglianza.Primachè si fossero inventati i segni rappresentativi

delle ricchezze, esse non potevano consistere che in ter-re ed in bestiami, essendo questi i soli beni reali che gliuomini potessero possedere. Or quando i fondi terrenifurono accresciuti in numero ed estensione, a segno dicoprir l'intero suolo e di toccarsi tutti, gli uni non pote-rono più ingrandirsi che a danno degli altri; e i sopran-numerarj che la debolezza, o l'indolenza avevano impe-dito di far essi pure i loro acquisti, diventati poveri sen-za aver nulla perduto, perchè tutto cambiando attorno diessi, eglino soli non aveano cambiato, furono obbligatidi ricevere, o di rapire la loro sussistenza dalla mano de'ricchi: e da ciò cominciarono a nascere, secondo i diver-si caratteri degli uni e degli altri, il dominio e la servitù,o la violenza e le rapine. Dal loro canto i ricchi conob-bero appena il piacer di dominare, che disprezzaron benpresto tutti gli altri; e servendosi de' loro antichi schiaviper sottometterne di nuovi, non pensarono che a soggio-gare e domare i loro vicini: simili a que' lupi affamati, iquali avendo una volta gustata della carne, rifiutanoogn'altro nutrimento, e non vogliono che divorar degliuomini.

In questa guisa i più potenti, o i più miserabili, facen-dosi della loro forza, o dei loro bisogni una sorte di di-ritto al bene altrui, equivalente, secondo essi, a quello diproprietà, la rotta eguaglianza fa seguita dal più spaven-tevole disordine. In questa guisa le usurpazioni dei ric-chi, le ruberie de' poveri, le sfrenate passioni di tutti sof-

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Page 77: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

focando la naturale pietà, e la voce ancor più debole del-la giustizia, resero gli uomini avari, ambiziosi, e cattivi.Fra il diritto del più forte, ed il diritto del primo occu-pante insorgeva un perpetuo conflitto, il quale non ter-minava che coi combattimenti e cogli omicidj(15). La na-scente società diè luogo al più orribile stato di guerra: ilgenere umano avvilito e desolato, non potendo più ritor-nar addietro, nè rinunciare agli infelici acquisti ch'egliavea fatti, e non lavorando che alla sua vergognacoll'abuso delle facoltà che l'onorano, si pose egli stessosull'orlo della sua rovina.

Attonitus novitate mali, divesque miserque,Effugere optat opes, et quæ modo voverat, odit.

Egli non è impossibile che gli uomini non abbianofatte alfine delle riflessioni sovra una situazione così mi-serabile, e sovra le calamità dalle quali erano oppressi. Iricchi sovrattutto dovettero ben presto sentire quanto eraloro disavvantaggiosa una guerra perpetua, di cui ne fa-cevano essi soli le spese, e nella quale il rischio dellavita era comune, e quello de' beni particolare. Dall'altraparte, qualunque colore che essi potessero dare alle lorousurpazioni, sentivano abbastanza ch'esse non erano sta-bilite che sopra un diritto precario ed abusivo; e che nonessendo state acquistare che dalla forza, la forza potevalevargliele senza che avessero ragione di lamentarsene.Quegli stessi che la sola industria aveva arricchiti, nonpotevano fondar la loro proprietà sovra migliori titoli.Avevano un bel dire: ho io fabbricato questo muro; ho

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focando la naturale pietà, e la voce ancor più debole del-la giustizia, resero gli uomini avari, ambiziosi, e cattivi.Fra il diritto del più forte, ed il diritto del primo occu-pante insorgeva un perpetuo conflitto, il quale non ter-minava che coi combattimenti e cogli omicidj(15). La na-scente società diè luogo al più orribile stato di guerra: ilgenere umano avvilito e desolato, non potendo più ritor-nar addietro, nè rinunciare agli infelici acquisti ch'egliavea fatti, e non lavorando che alla sua vergognacoll'abuso delle facoltà che l'onorano, si pose egli stessosull'orlo della sua rovina.

Attonitus novitate mali, divesque miserque,Effugere optat opes, et quæ modo voverat, odit.

Egli non è impossibile che gli uomini non abbianofatte alfine delle riflessioni sovra una situazione così mi-serabile, e sovra le calamità dalle quali erano oppressi. Iricchi sovrattutto dovettero ben presto sentire quanto eraloro disavvantaggiosa una guerra perpetua, di cui ne fa-cevano essi soli le spese, e nella quale il rischio dellavita era comune, e quello de' beni particolare. Dall'altraparte, qualunque colore che essi potessero dare alle lorousurpazioni, sentivano abbastanza ch'esse non erano sta-bilite che sopra un diritto precario ed abusivo; e che nonessendo state acquistare che dalla forza, la forza potevalevargliele senza che avessero ragione di lamentarsene.Quegli stessi che la sola industria aveva arricchiti, nonpotevano fondar la loro proprietà sovra migliori titoli.Avevano un bel dire: ho io fabbricato questo muro; ho

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Page 78: Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ... · Jean-Jacques Rousseau Discorso sopra l’origine ed i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini

guadagnato questo terreno colle mie fatiche. Chi vi hadati i livellamenti, si poteva loro rispondere: ed in virtùdi che pretendete voi d'esser pagati di una fatica che noinon vi abbiamo imposta? Non sapete voi forse che unamoltitudine de' vostri fratelli perisce, o soffre il bisognodi ciò che a voi avanza, e che vi conveniva un consenti-mento espresso ed unanime del genere umano per ap-propriarvi sulla comune sussistenza tuttociò che sorpas-sava la vostra? Destituito di valevoli ragioni per giustifi-carsi, e di sufficienti forze per difendersi; distruggendofacilmente un particolare, ma distrutto egli pure da trup-pe di banditi; solo contro tutti, ed a motivo delle mutuegelosie non potendo unirsi coi suoi eguali contro inimiciuniti dalla speranza comune del bottino, il ricco sforzatodalla necessità, concepì infine il progetto il più meditatoche sia giammai entrato nello spirito umano: questo fud'impiegare in suo vantaggio le forze stesse di quelli chelo attaccavano, di far diventare suoi difensori i suoi av-versarj, d'inspirar loro altre massime, e dargli altre isti-tuzioni che fossero a lui così favorevoli come il dirittonaturale gli era contrario.

In questa vista, dopo aver esposto a' suoi vicini l'orrordi una situazione che li armava tutti gli uni contro gli al-tri, che gli rendeva le loro possessioni così gravose che iloro bisogni, e dove alcuno non trovava la sua sicurezzanè nella povertà, nè nella ricchezza, egli inventò facil-mente delle speciose ragioni per condurli al suo fine.

“Uniamoci, disse loro, per garantire dall'oppressio-

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guadagnato questo terreno colle mie fatiche. Chi vi hadati i livellamenti, si poteva loro rispondere: ed in virtùdi che pretendete voi d'esser pagati di una fatica che noinon vi abbiamo imposta? Non sapete voi forse che unamoltitudine de' vostri fratelli perisce, o soffre il bisognodi ciò che a voi avanza, e che vi conveniva un consenti-mento espresso ed unanime del genere umano per ap-propriarvi sulla comune sussistenza tuttociò che sorpas-sava la vostra? Destituito di valevoli ragioni per giustifi-carsi, e di sufficienti forze per difendersi; distruggendofacilmente un particolare, ma distrutto egli pure da trup-pe di banditi; solo contro tutti, ed a motivo delle mutuegelosie non potendo unirsi coi suoi eguali contro inimiciuniti dalla speranza comune del bottino, il ricco sforzatodalla necessità, concepì infine il progetto il più meditatoche sia giammai entrato nello spirito umano: questo fud'impiegare in suo vantaggio le forze stesse di quelli chelo attaccavano, di far diventare suoi difensori i suoi av-versarj, d'inspirar loro altre massime, e dargli altre isti-tuzioni che fossero a lui così favorevoli come il dirittonaturale gli era contrario.

In questa vista, dopo aver esposto a' suoi vicini l'orrordi una situazione che li armava tutti gli uni contro gli al-tri, che gli rendeva le loro possessioni così gravose che iloro bisogni, e dove alcuno non trovava la sua sicurezzanè nella povertà, nè nella ricchezza, egli inventò facil-mente delle speciose ragioni per condurli al suo fine.

“Uniamoci, disse loro, per garantire dall'oppressio-

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ne i deboli, per contenere gli ambiziosi, per assicu-rare a ciascuno il possesso di ciò che gli appartie-ne: instituiamo delle regole di giustizia e di pace,alle quali sieno tutti obbligati di conformarvisi, chenon abbian rispetto per alcuno, e che riparino inqualche guisa i capricci della fortuna, sottometten-do egualmente il potente ed il debole a mutui dove-ri; in una parola, in vece di volger le nostre forzecontro noi stessi, riuniamole in un poter supremoche ci governi con sagge leggi, il quale protegga edifenda tutti i membri dell'associazione, rispingagli inimici comuni, e ci mantenga in una eternaconcordia.”Ne bisognò molto meno che l'equivalente di questo

discorso per strascinare degli uomini grossolani, facili asedurre, che dall'altro lato avevano troppi affari da defi-nire fra loro per poter fare a meno di arbitri, e troppaavarizia ed ambizione per potere star lungo tempo senzapadroni. Tutti corsero ad incontrare le loro catene, cre-dendo di assicurare la loro libertà; avvegnachè avevanomolta ragione per sentire i vantaggi di un politico stabi-limento, ma non abbastanza esperienza per prevederne ipericoli: i più capaci di presentire gli abusi, erano preci-samente quelli che faceano il conto di approfittarsene, egli stessi saggi videro che conveniva risolversi a sacrifi-care una parte della loro libertà per la conservazione diun'altra, come un ferito si fa tagliare il braccio per salva-re il resto del corpo.

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ne i deboli, per contenere gli ambiziosi, per assicu-rare a ciascuno il possesso di ciò che gli appartie-ne: instituiamo delle regole di giustizia e di pace,alle quali sieno tutti obbligati di conformarvisi, chenon abbian rispetto per alcuno, e che riparino inqualche guisa i capricci della fortuna, sottometten-do egualmente il potente ed il debole a mutui dove-ri; in una parola, in vece di volger le nostre forzecontro noi stessi, riuniamole in un poter supremoche ci governi con sagge leggi, il quale protegga edifenda tutti i membri dell'associazione, rispingagli inimici comuni, e ci mantenga in una eternaconcordia.”Ne bisognò molto meno che l'equivalente di questo

discorso per strascinare degli uomini grossolani, facili asedurre, che dall'altro lato avevano troppi affari da defi-nire fra loro per poter fare a meno di arbitri, e troppaavarizia ed ambizione per potere star lungo tempo senzapadroni. Tutti corsero ad incontrare le loro catene, cre-dendo di assicurare la loro libertà; avvegnachè avevanomolta ragione per sentire i vantaggi di un politico stabi-limento, ma non abbastanza esperienza per prevederne ipericoli: i più capaci di presentire gli abusi, erano preci-samente quelli che faceano il conto di approfittarsene, egli stessi saggi videro che conveniva risolversi a sacrifi-care una parte della loro libertà per la conservazione diun'altra, come un ferito si fa tagliare il braccio per salva-re il resto del corpo.

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Tale fu, o dovè essere l'origine della società e delleleggi, le quali diedero nuovi ostacoli al debole, e nuoveforze al ricco(16), distrussero senza riparo la libertà natu-rale, fissarono per sempre la legge della proprietà edell'ineguaglianza, di una accorta usurpazione fecero unirrevocabile diritto, e per il profitto di alcuni ambiziosiassoggettarono d'ora innanzi tutto il genere umano allafatica, alla servitù, e alla miseria. Facilmente si vedecome lo stabilimento di una società rese indispensabilequella di tutte le altre, e come, per far fronte a forze uni-te, convenne a vicenda unirsi. Moltiplicandosi la socie-tà, o estendendosi rapidamente, coprirono ben presto lasuperficie della terra, e non riuscì più possibile di trova-re un solo angolo dell'universo ove esentar si potesse dalgiogo, e sottrarre il suo capo dalla spada della giustizia,sovente mal maneggiata, che ciascun uomo vide perpe-tuamente sospesa sovra la sua testa. Il diritto civile es-sendo in tal guisa divenuto la regola comune dei cittadi-ni, la legge di natura non ebbe più luogo che fra le di-verse società, ove sotto nome del diritto delle genti ellafu temperata da alcune tacite convenzioni per renderpossibile il commercio, e supplire alla commiserazionenaturale, la quale, perdendo da società a società quasitutta la forza ch'essa aveva da uomo a uomo, non risiedepiù se non che in alcune grandi anime cosmopolite, lequali superando le barriere immaginarie che separano ipopoli, e le quali, ad esempio dell'ente supremo che leha create, abbracciano tutto il genere umano nella lorobenevolenza.

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Tale fu, o dovè essere l'origine della società e delleleggi, le quali diedero nuovi ostacoli al debole, e nuoveforze al ricco(16), distrussero senza riparo la libertà natu-rale, fissarono per sempre la legge della proprietà edell'ineguaglianza, di una accorta usurpazione fecero unirrevocabile diritto, e per il profitto di alcuni ambiziosiassoggettarono d'ora innanzi tutto il genere umano allafatica, alla servitù, e alla miseria. Facilmente si vedecome lo stabilimento di una società rese indispensabilequella di tutte le altre, e come, per far fronte a forze uni-te, convenne a vicenda unirsi. Moltiplicandosi la socie-tà, o estendendosi rapidamente, coprirono ben presto lasuperficie della terra, e non riuscì più possibile di trova-re un solo angolo dell'universo ove esentar si potesse dalgiogo, e sottrarre il suo capo dalla spada della giustizia,sovente mal maneggiata, che ciascun uomo vide perpe-tuamente sospesa sovra la sua testa. Il diritto civile es-sendo in tal guisa divenuto la regola comune dei cittadi-ni, la legge di natura non ebbe più luogo che fra le di-verse società, ove sotto nome del diritto delle genti ellafu temperata da alcune tacite convenzioni per renderpossibile il commercio, e supplire alla commiserazionenaturale, la quale, perdendo da società a società quasitutta la forza ch'essa aveva da uomo a uomo, non risiedepiù se non che in alcune grandi anime cosmopolite, lequali superando le barriere immaginarie che separano ipopoli, e le quali, ad esempio dell'ente supremo che leha create, abbracciano tutto il genere umano nella lorobenevolenza.

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I corpi politici restando così fra loro nello stato di na-tura, si risentirono ben presto degli inconvenienti cheavevano sforzato i particolari ad uscirne; e questo statodivenne ancora più funesto fra questi gran corpi, chenon lo era stato per lo innanzi fra gli individui di cuierano composti. Da ciò uscirono le guerre nazionali, lebattaglie, le uccisioni, le represaglie che fanno fremerela natura, ed offendono la ragione, e tutti quegli orribilipregiudizj che mettono nel rango delle virtù l'onore dispargere il sangue umano. Le più oneste persone inse-gnarono a contar fra i loro doveri quello di uccidere iloro simili; si videro infine gli uomini scannarsi a millea mille senza sapere il perchè; e si commettevano piùuccisioni in un sol giorno di combattimento, e più orrorinella presa di una sola città, che non se n'erano commes-si nello stato di natura per il corso d'interi secoli su tuttala faccia della terra. Tali sono gli effetti che si travedonodalla divisione del genere umano in differenti società.Ritorniamo alla loro istituzione.

Io so che molti hanno date altre origini alle Societàpolitiche, come le conquiste del più potente, o l'unionedei deboli; e la scelta fra queste cause è indifferente, aciò ch'io voglio stabilire: ciò nonostante quella che ven-go ad esporre mi sembra la più naturale per le seguentiragioni. 1 Che nel primo caso, il diritto di conquista nonessendo egli un diritto, non ha potuto fondarne verun al-tro, restando sempre fra loro il conquistatore ed i popoliconquistati in un continuo stato di guerra; quando peròla ragione rimessa in piena libertà non iscelga volonta-

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I corpi politici restando così fra loro nello stato di na-tura, si risentirono ben presto degli inconvenienti cheavevano sforzato i particolari ad uscirne; e questo statodivenne ancora più funesto fra questi gran corpi, chenon lo era stato per lo innanzi fra gli individui di cuierano composti. Da ciò uscirono le guerre nazionali, lebattaglie, le uccisioni, le represaglie che fanno fremerela natura, ed offendono la ragione, e tutti quegli orribilipregiudizj che mettono nel rango delle virtù l'onore dispargere il sangue umano. Le più oneste persone inse-gnarono a contar fra i loro doveri quello di uccidere iloro simili; si videro infine gli uomini scannarsi a millea mille senza sapere il perchè; e si commettevano piùuccisioni in un sol giorno di combattimento, e più orrorinella presa di una sola città, che non se n'erano commes-si nello stato di natura per il corso d'interi secoli su tuttala faccia della terra. Tali sono gli effetti che si travedonodalla divisione del genere umano in differenti società.Ritorniamo alla loro istituzione.

Io so che molti hanno date altre origini alle Societàpolitiche, come le conquiste del più potente, o l'unionedei deboli; e la scelta fra queste cause è indifferente, aciò ch'io voglio stabilire: ciò nonostante quella che ven-go ad esporre mi sembra la più naturale per le seguentiragioni. 1 Che nel primo caso, il diritto di conquista nonessendo egli un diritto, non ha potuto fondarne verun al-tro, restando sempre fra loro il conquistatore ed i popoliconquistati in un continuo stato di guerra; quando peròla ragione rimessa in piena libertà non iscelga volonta-

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riamente per capo il suo vincitore. Fin qua, per quantecapitolazioni si sieno fatte, come esse non sono statefondate che sulla violenza, e che in conseguenza per ilfatto medesimo sono nulle, non vi può essere in questaipotesi nè vera società, nè corpo politico, nè altra legge,senonchè quella del più forte. 2 Che queste parole fortee debole sono equivoche nel secondo caso; chenell'intervallo che si trova fra lo stabilimento del dirittodi proprietà, o del primo occupante, e quello dei governipolitici, il senso di questi termini è meglio espresso daquelli di povero e di ricco, perchè in fatti avanti le legginon aveva un uomo altri mezzi per assoggettare i suoieguali, senonchè nell'attaccare i loro beni, o nel far loroqualche parte dei suoi. 3 Che i poveri non avendo nullaa perdere oltre la libertà, sarebbe stata questa per essiuna gran follìa di privarsi volontariamente del solo beneche gli restava, per niente guadagnare nel cambio; che alcontrario essendo i ricchi, per così dire, sensibili in tuttele parti de' loro beni, egli era molto più facile di far lorodel male, che avevano per conseguenza maggiori pre-cauzioni da prendere per garantirsene; e che in fine egliè ragionevole il credere, che una cosa sia stata inventatada quelli a' quali reca utile, piuttosto che da quelli cui fadanno.

Il nascente governo non ebbe una forma costante e re-golare: la mancanza di filosofia e di esperienza non fa-sciava vedere che gli inconvenienti presenti, e non sipensava a porger rimedio agli altri, senonchè a misurache si presentavano. Ad onta de' travagli dei più saggi

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riamente per capo il suo vincitore. Fin qua, per quantecapitolazioni si sieno fatte, come esse non sono statefondate che sulla violenza, e che in conseguenza per ilfatto medesimo sono nulle, non vi può essere in questaipotesi nè vera società, nè corpo politico, nè altra legge,senonchè quella del più forte. 2 Che queste parole fortee debole sono equivoche nel secondo caso; chenell'intervallo che si trova fra lo stabilimento del dirittodi proprietà, o del primo occupante, e quello dei governipolitici, il senso di questi termini è meglio espresso daquelli di povero e di ricco, perchè in fatti avanti le legginon aveva un uomo altri mezzi per assoggettare i suoieguali, senonchè nell'attaccare i loro beni, o nel far loroqualche parte dei suoi. 3 Che i poveri non avendo nullaa perdere oltre la libertà, sarebbe stata questa per essiuna gran follìa di privarsi volontariamente del solo beneche gli restava, per niente guadagnare nel cambio; che alcontrario essendo i ricchi, per così dire, sensibili in tuttele parti de' loro beni, egli era molto più facile di far lorodel male, che avevano per conseguenza maggiori pre-cauzioni da prendere per garantirsene; e che in fine egliè ragionevole il credere, che una cosa sia stata inventatada quelli a' quali reca utile, piuttosto che da quelli cui fadanno.

Il nascente governo non ebbe una forma costante e re-golare: la mancanza di filosofia e di esperienza non fa-sciava vedere che gli inconvenienti presenti, e non sipensava a porger rimedio agli altri, senonchè a misurache si presentavano. Ad onta de' travagli dei più saggi

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legislatori, lo stato politico restò sempre imperfetto, per-chè essendo quasi l'opera dell'azzardo, ed essendo statomal principiato, il tempo nello scoprire i difetti, e nelsuggerire i rimedj, non potè giammai riparare i vizj dellacostituzione: si raccomodava continuamente, in veceche conveniva nettar prima il suolo, ed allontanare tutti ivecchi materiali, come fece Licurgo a Sparta, per innal-zare poi un buon edifizio. La società non consistè dap-principio, che in alcune generali convenzioni, le qualis'impegnarono tutti i particolari di osservare, e la di cuicomunità si rendeva garante verso ciascuno di essi. Bi-sognò che l'esperienza mostrasse quanto era debole unatale costituzione, e quanto era facile agli infrattori dievitar la convenzione, o il castigo delle colpe, di cui ilpubblico solo doveva essere il testimonio e il giudice;bisognò che fosse in mille maniere delusa la legge; biso-gnò che si moltiplicassero continuamente gli inconve-nienti e i disordini, perchè si pensasse infine a confidaread alcuni particolari il pericoloso deposito dell'autoritàpubblica; e che si commettesse a magistrati la cura di farosservare le deliberazioni del popolo: avvegnachè il direche i capi furono scelti prima che fatta fosse la confede-razione, e che i ministri delle leggi esistessero avantidelle leggi medesime, una supposizione è questa chenon è permesso di seriamente combattere.

Non sarebbe neppure più ragionevole il credere che ipopoli si sieno subito gettati nelle braccia di un assolutopadrone, senza condizioni e senza riparo, e che il primomezzo che abbiano avuto uomini fieri e indomabili per

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legislatori, lo stato politico restò sempre imperfetto, per-chè essendo quasi l'opera dell'azzardo, ed essendo statomal principiato, il tempo nello scoprire i difetti, e nelsuggerire i rimedj, non potè giammai riparare i vizj dellacostituzione: si raccomodava continuamente, in veceche conveniva nettar prima il suolo, ed allontanare tutti ivecchi materiali, come fece Licurgo a Sparta, per innal-zare poi un buon edifizio. La società non consistè dap-principio, che in alcune generali convenzioni, le qualis'impegnarono tutti i particolari di osservare, e la di cuicomunità si rendeva garante verso ciascuno di essi. Bi-sognò che l'esperienza mostrasse quanto era debole unatale costituzione, e quanto era facile agli infrattori dievitar la convenzione, o il castigo delle colpe, di cui ilpubblico solo doveva essere il testimonio e il giudice;bisognò che fosse in mille maniere delusa la legge; biso-gnò che si moltiplicassero continuamente gli inconve-nienti e i disordini, perchè si pensasse infine a confidaread alcuni particolari il pericoloso deposito dell'autoritàpubblica; e che si commettesse a magistrati la cura di farosservare le deliberazioni del popolo: avvegnachè il direche i capi furono scelti prima che fatta fosse la confede-razione, e che i ministri delle leggi esistessero avantidelle leggi medesime, una supposizione è questa chenon è permesso di seriamente combattere.

Non sarebbe neppure più ragionevole il credere che ipopoli si sieno subito gettati nelle braccia di un assolutopadrone, senza condizioni e senza riparo, e che il primomezzo che abbiano avuto uomini fieri e indomabili per

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provvedere alla comune sicurezza, sia stato quello diprecipitarsi nella schiavitù. In fatti, perchè si sono essifatti de' superiori, se non per esser difesi contro l'oppres-sione, e protetti i loro beni, le loro libertà; le loro vite,che sono, per così dite, gli elementi costitutivi del loroessere? Ora nelle relazioni da uomo a uomo, il peggioche potesse succedere ad uno, essendo quello di vedersialla discrezione di un altro, non sarebbe stato contro ilbuon senso il cominciar dallo spogliarsi fra le mani diun capo delle sole cose, per la conservazione delle qualiessi avevano bisogno del loro soccorso? Qual equiva-lente avrebbe egli potuto offrir loro per la concessionedi un sì bel diritto? e se avesse osato di esigerlo sottopretesto di difenderli, non avrebbe egli ben presto rice-vuta la risposta dell'apologo; Che ci farà di più l'inimi-co? Egli è dunque incontestabile, e questa è la massimafondamentale d'ogni diritto politico, che i popoli si sonodati de' capi per difendere la loro libertà, e non per as-soggettarsi. Se noi abbiamo un principe, diceva Plinio aTraiano, egli è affinchè ci preservi dall'avere un padro-ne.

I politici fanno sull'amore della libertà i medesimi so-fismi che i filosofi hanno fatti sullo stato di natura; dallecose che veggono, giudicano delle cose differentissimeche non hanno giammai vedute, ed attribuiscono agliuomini una inclinazion naturale alla servitù, dalla pa-zienza colla quale quelli che hanno sotto gli occhi sop-portano la loro, senza pensare ch'egli è della libertà,come della innocenza e della virtù, di cui non si sente il

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provvedere alla comune sicurezza, sia stato quello diprecipitarsi nella schiavitù. In fatti, perchè si sono essifatti de' superiori, se non per esser difesi contro l'oppres-sione, e protetti i loro beni, le loro libertà; le loro vite,che sono, per così dite, gli elementi costitutivi del loroessere? Ora nelle relazioni da uomo a uomo, il peggioche potesse succedere ad uno, essendo quello di vedersialla discrezione di un altro, non sarebbe stato contro ilbuon senso il cominciar dallo spogliarsi fra le mani diun capo delle sole cose, per la conservazione delle qualiessi avevano bisogno del loro soccorso? Qual equiva-lente avrebbe egli potuto offrir loro per la concessionedi un sì bel diritto? e se avesse osato di esigerlo sottopretesto di difenderli, non avrebbe egli ben presto rice-vuta la risposta dell'apologo; Che ci farà di più l'inimi-co? Egli è dunque incontestabile, e questa è la massimafondamentale d'ogni diritto politico, che i popoli si sonodati de' capi per difendere la loro libertà, e non per as-soggettarsi. Se noi abbiamo un principe, diceva Plinio aTraiano, egli è affinchè ci preservi dall'avere un padro-ne.

I politici fanno sull'amore della libertà i medesimi so-fismi che i filosofi hanno fatti sullo stato di natura; dallecose che veggono, giudicano delle cose differentissimeche non hanno giammai vedute, ed attribuiscono agliuomini una inclinazion naturale alla servitù, dalla pa-zienza colla quale quelli che hanno sotto gli occhi sop-portano la loro, senza pensare ch'egli è della libertà,come della innocenza e della virtù, di cui non si sente il

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prezzo se non che in quanto le si posseggono, e di cui sene perde il gusto tosto che le si sono perdute. “Io cono-sco le delizie del tuo paese, diceva Brasida ad un satra-po che paragonava la vita di Sparta a quella di Persepo-li, ma tu non puoi conoscere i piaceri del mio”.

Come un indomito corsiere arriccia i crini, batte laterra co' piedi, ed impetuosamente si scuote al solo avvi-cinamento del morso, frattanto che un cavallo instruitosoffre pazientemente la verga e lo sprone, così l'uomobarbaro non piega la sua testa al giogo che l'uomo inci-vilito porta senza mormorare, e preferisce la più burra-scosa libertà ad un tranquillo assoggettamento. Non èdunque dall'avvilimento de' popoli sommessi che biso-gna giudicare delle disposizioni naturali dell'uomo pen-denti, o contrarie alla servitù, ma dai prodigi che hannofatto tutti i popoli liberi per garantirsi dall'oppressione.Io so che i primi non fanno che vantar continuamente lapace ed il riposo di cui godono ne' loro ferri, e che mi-serrimam servitutem pacem appllant: ma quando veggogli altri sacrificare i piaceri, il riposo, la ricchezza, lapotenza, e la vita stessa alla conservazione di questosolo bene, dispregiato da quelli che lo hanno perduto;quando veggo degli animali nati liberi, e abborrendo lacattività rompersi la testa nei ferri della loro prigione;quando veggo una moltitudine di selvaggi affatto nudisprezzar gli europei piaceri, ed affrontar la fame, il fuo-co, il ferro e la morte, per non conservare che la loro in-dipendenza, io sento che non appartiene agli schiavi ilragionare di libertà.

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prezzo se non che in quanto le si posseggono, e di cui sene perde il gusto tosto che le si sono perdute. “Io cono-sco le delizie del tuo paese, diceva Brasida ad un satra-po che paragonava la vita di Sparta a quella di Persepo-li, ma tu non puoi conoscere i piaceri del mio”.

Come un indomito corsiere arriccia i crini, batte laterra co' piedi, ed impetuosamente si scuote al solo avvi-cinamento del morso, frattanto che un cavallo instruitosoffre pazientemente la verga e lo sprone, così l'uomobarbaro non piega la sua testa al giogo che l'uomo inci-vilito porta senza mormorare, e preferisce la più burra-scosa libertà ad un tranquillo assoggettamento. Non èdunque dall'avvilimento de' popoli sommessi che biso-gna giudicare delle disposizioni naturali dell'uomo pen-denti, o contrarie alla servitù, ma dai prodigi che hannofatto tutti i popoli liberi per garantirsi dall'oppressione.Io so che i primi non fanno che vantar continuamente lapace ed il riposo di cui godono ne' loro ferri, e che mi-serrimam servitutem pacem appllant: ma quando veggogli altri sacrificare i piaceri, il riposo, la ricchezza, lapotenza, e la vita stessa alla conservazione di questosolo bene, dispregiato da quelli che lo hanno perduto;quando veggo degli animali nati liberi, e abborrendo lacattività rompersi la testa nei ferri della loro prigione;quando veggo una moltitudine di selvaggi affatto nudisprezzar gli europei piaceri, ed affrontar la fame, il fuo-co, il ferro e la morte, per non conservare che la loro in-dipendenza, io sento che non appartiene agli schiavi ilragionare di libertà.

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Quanto alla paterna autorità, da cui molti hanno fattoderivare il governo assoluto e tutta la società, senza ri-correre alle prove contrarie di Locke e di Sidney, bastadi rimarcare, che nulla più è lontano dallo spirito ferocedel dispotismo, quanto la dolcezza di questa autorità, laquale riguarda più all'avvantaggio di quello che obbedi-sce, che all'utilità di quello che comanda; che per leggedi natura il padre non è il padrone del figlio che per tan-to tempo quanto gli è necessario il suo soccorso; che aldi là di questo termine essi divengono uguali, e che allo-ra il figlio, perfettamente indipendente dal padre, glideve aver del rispetto e non dell'obbedienza, posciachèla riconoscenza è bensì un dovere che bisogna rendere,ma non già un diritto che si possa esigere. In vece didire che la società civile deriva dalla podestà paterna,bisognava al contrario dire che da essa questa podestàtrae la sua principal forza. Un individuo non fu ricono-sciuto per il padre di molti, che quando essi restaronouniti attorno di lui: i beni del padre, di cui egli è vera-mente il padrone, sono i vincoli che ritengono i figliuolinella sua dipendenza, ed egli può non dargli parte allasua successione che a proporzione ch'essi avranno benmeritato da lui per una continua riverenza alle sue vo-lontà. Ora, lungi che abbiano i sudditi d'aspettare unqualche simil favore dal loro despota; come essi pro-priamente gli appartengono, essi e tutto ciò che posseg-gono, o almeno ch'egli così pretende, sono ridotti a rice-vere come un favore ciò che gli lascia del loro propriobene; egli fa giustizia quando li spoglia; egli fa grazia

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Quanto alla paterna autorità, da cui molti hanno fattoderivare il governo assoluto e tutta la società, senza ri-correre alle prove contrarie di Locke e di Sidney, bastadi rimarcare, che nulla più è lontano dallo spirito ferocedel dispotismo, quanto la dolcezza di questa autorità, laquale riguarda più all'avvantaggio di quello che obbedi-sce, che all'utilità di quello che comanda; che per leggedi natura il padre non è il padrone del figlio che per tan-to tempo quanto gli è necessario il suo soccorso; che aldi là di questo termine essi divengono uguali, e che allo-ra il figlio, perfettamente indipendente dal padre, glideve aver del rispetto e non dell'obbedienza, posciachèla riconoscenza è bensì un dovere che bisogna rendere,ma non già un diritto che si possa esigere. In vece didire che la società civile deriva dalla podestà paterna,bisognava al contrario dire che da essa questa podestàtrae la sua principal forza. Un individuo non fu ricono-sciuto per il padre di molti, che quando essi restaronouniti attorno di lui: i beni del padre, di cui egli è vera-mente il padrone, sono i vincoli che ritengono i figliuolinella sua dipendenza, ed egli può non dargli parte allasua successione che a proporzione ch'essi avranno benmeritato da lui per una continua riverenza alle sue vo-lontà. Ora, lungi che abbiano i sudditi d'aspettare unqualche simil favore dal loro despota; come essi pro-priamente gli appartengono, essi e tutto ciò che posseg-gono, o almeno ch'egli così pretende, sono ridotti a rice-vere come un favore ciò che gli lascia del loro propriobene; egli fa giustizia quando li spoglia; egli fa grazia

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quando li lascia vivere.Continuando ad esaminare così i fatti per il dritto, non

si troverebbe nulla più di solidità che di verità nello sta-bilimento volontario della tirannia; e sarebbe difficile dimostrare la validità di un contratto, il quale non obbli-gasse che una delle parti, ove si mettesse tutto da unaparte, e nulla dall'altra, e che non tendesse che al pregiu-dizio di quello che s'impegna. Questo odioso sistema èben lontano dall'essere neppure al dì d'oggi quello de'saggi e buoni monarchi, e sovra tutto dei re di Francia,come si può vedere in diversi luoghi de' loro editti, ed inparticolare nel seguente passaggio di uno scritto celebrepubblicato nel 1667, a nome e per ordine di Luigi XIV.

“Che non si dica dunque che il sovrano non sia sog-getto alle leggi dello Stato, poichè la contraria propo-sizione è una verità del dritto delle genti, che l'adula-zione ha qualche volta attaccata, ma che i buoni prin-cipi hanno sempre difesa come una divinità tutelarede' loro Stati. Quanto egli è più legittimo il dire con ilsaggio Platone, che la perfetta felicità di un regno siè, che un principe sia obbedito da' suoi sudditi, che ilprincipe obbedisca alla legge, e che la legge sia retta,e sempre diretta al pubblico bene!”Io non mi fermerò a ricercare se, la libertà essendo la

più nobile delle facoltà dell'uomo, ciò non sia un degra-dare la sua natura, mettendosi a livello delle bestieschiave dell'istinto, un offendere l'autore del suo essere,rinunziando senza riserva al più prezioso di tutti i suoi

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quando li lascia vivere.Continuando ad esaminare così i fatti per il dritto, non

si troverebbe nulla più di solidità che di verità nello sta-bilimento volontario della tirannia; e sarebbe difficile dimostrare la validità di un contratto, il quale non obbli-gasse che una delle parti, ove si mettesse tutto da unaparte, e nulla dall'altra, e che non tendesse che al pregiu-dizio di quello che s'impegna. Questo odioso sistema èben lontano dall'essere neppure al dì d'oggi quello de'saggi e buoni monarchi, e sovra tutto dei re di Francia,come si può vedere in diversi luoghi de' loro editti, ed inparticolare nel seguente passaggio di uno scritto celebrepubblicato nel 1667, a nome e per ordine di Luigi XIV.

“Che non si dica dunque che il sovrano non sia sog-getto alle leggi dello Stato, poichè la contraria propo-sizione è una verità del dritto delle genti, che l'adula-zione ha qualche volta attaccata, ma che i buoni prin-cipi hanno sempre difesa come una divinità tutelarede' loro Stati. Quanto egli è più legittimo il dire con ilsaggio Platone, che la perfetta felicità di un regno siè, che un principe sia obbedito da' suoi sudditi, che ilprincipe obbedisca alla legge, e che la legge sia retta,e sempre diretta al pubblico bene!”Io non mi fermerò a ricercare se, la libertà essendo la

più nobile delle facoltà dell'uomo, ciò non sia un degra-dare la sua natura, mettendosi a livello delle bestieschiave dell'istinto, un offendere l'autore del suo essere,rinunziando senza riserva al più prezioso di tutti i suoi

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doni, quanto lo è il sottomettersi a commettere tutti idelitti ch'ei ci proibisce, per compiacere un padrone fe-roce, o insensato; e se questo sublime artefice deve es-ser più irritato nel veder distruggere, che disonorare lasua più bell'opra. Dimanderò solamente con qual drittoquelli che non hanno temuto d'avvilirsi loro stessi fino aquesto punto, hanno potuto sottomettere la loro posteri-tà alla medesima ignominia, e rinunziare per essa a que'beni ch'essa non tiene dalla loro liberalità, e senza iquali la vita medesima è gravosa a tutti quelli che nesono degni.

Puffendorfio dice che nella stessa guisa che si trasfe-riscono i suoi beni ad altrui per mezzo delle convenzionie de' contratti, nella stessa maniera si può ancora spo-gliarsi della propria libertà a favore di alcuno. Questomi sembra un cattivissimo ragionamento: conciossiachèin prima il bene ch'io alieno mi diventa una cosa tuttoaffatto straniera, ed il di cui abuso mi è indifferente; mam'importa che non si abusi di mia libertà, e non posso,senza rendermi colpevole dcl male che mi sforzerannodi fare, espormi a diventar l'istrumento del delitto: dipiù, il diritto di proprietà non essendo che di convenzio-ne e d'istituzione umana, ogni uomo può disporre a suavoglia di ciò che possede; ma egli non è lo stesso deidoni essenziali della natura, tali che la vita e la libertà,de' quali è permesso a ciascuno di godere, e de' qualiegli è almeno dubbioso che si abbia il dritto di spogliar-sene. Nel privarsi dell'una si degrada il suo essere; e nelprivarsi dell'altro si annichila, per quanto è in se, questo

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doni, quanto lo è il sottomettersi a commettere tutti idelitti ch'ei ci proibisce, per compiacere un padrone fe-roce, o insensato; e se questo sublime artefice deve es-ser più irritato nel veder distruggere, che disonorare lasua più bell'opra. Dimanderò solamente con qual drittoquelli che non hanno temuto d'avvilirsi loro stessi fino aquesto punto, hanno potuto sottomettere la loro posteri-tà alla medesima ignominia, e rinunziare per essa a que'beni ch'essa non tiene dalla loro liberalità, e senza iquali la vita medesima è gravosa a tutti quelli che nesono degni.

Puffendorfio dice che nella stessa guisa che si trasfe-riscono i suoi beni ad altrui per mezzo delle convenzionie de' contratti, nella stessa maniera si può ancora spo-gliarsi della propria libertà a favore di alcuno. Questomi sembra un cattivissimo ragionamento: conciossiachèin prima il bene ch'io alieno mi diventa una cosa tuttoaffatto straniera, ed il di cui abuso mi è indifferente; mam'importa che non si abusi di mia libertà, e non posso,senza rendermi colpevole dcl male che mi sforzerannodi fare, espormi a diventar l'istrumento del delitto: dipiù, il diritto di proprietà non essendo che di convenzio-ne e d'istituzione umana, ogni uomo può disporre a suavoglia di ciò che possede; ma egli non è lo stesso deidoni essenziali della natura, tali che la vita e la libertà,de' quali è permesso a ciascuno di godere, e de' qualiegli è almeno dubbioso che si abbia il dritto di spogliar-sene. Nel privarsi dell'una si degrada il suo essere; e nelprivarsi dell'altro si annichila, per quanto è in se, questo

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essere: e come non c'è alcun bene temporale che possacompensar l'una e l'altra, sarebbe perciò un offenderenello stesso tempo la natura e la ragione nel rinunziarvia qualunque prezzo che ciò fosse. Ma quand'anche sipotesse alienar la sua libertà come i suoi beni, la diffe-renza sarebbe grandissima per i figliuoli, i quali non go-dono de' beni del padre che per transmissione del suo di-ritto; in vece che la libertà essendo un dono che tengonodalla natura in qualità d'uomini, i loro parenti non hannoavuto diritto alcuno di spogliarneli: di maniera che comeper istabilire la schiavitù convenne far violenza alla na-tura, così convenne cambiarla per istabilir questo diritto;e i giurisconsulti che hanno gravemente deciso che il fi-gliuolo di una schiava nascerebbe schiavo, hanno decisoin altri termini che un uomo non nascerebbe uomo.

Mi sembra dunque certo, che non solamente i governinon abbiano cominciato dal potere arbitrario, il qualenon è che la corruzione, l'estremo termine, ed il quale liriconduce alla fine alla sola legge del più forte, di cuiessi furono nel principio il rimedio; ma che quand'ancheavessero così cominciato, questo potere essendo di suanatura illegittimo, non ha potuto servire di fondamentoai dritti della società, nè per conseguenza alla inegua-glianza d'instituzione.

Senza entrar oggi nelle ricerche che sono ancora dafarsi sulla natura del patto fondamentale di ogni gover-no, io mi ristringo, seguendo l'opinione comune, a con-siderar qui lo stabilimento del corpo politico come unvero contratto fra il popolo ed i capi ch'egli si ha scelti;

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essere: e come non c'è alcun bene temporale che possacompensar l'una e l'altra, sarebbe perciò un offenderenello stesso tempo la natura e la ragione nel rinunziarvia qualunque prezzo che ciò fosse. Ma quand'anche sipotesse alienar la sua libertà come i suoi beni, la diffe-renza sarebbe grandissima per i figliuoli, i quali non go-dono de' beni del padre che per transmissione del suo di-ritto; in vece che la libertà essendo un dono che tengonodalla natura in qualità d'uomini, i loro parenti non hannoavuto diritto alcuno di spogliarneli: di maniera che comeper istabilire la schiavitù convenne far violenza alla na-tura, così convenne cambiarla per istabilir questo diritto;e i giurisconsulti che hanno gravemente deciso che il fi-gliuolo di una schiava nascerebbe schiavo, hanno decisoin altri termini che un uomo non nascerebbe uomo.

Mi sembra dunque certo, che non solamente i governinon abbiano cominciato dal potere arbitrario, il qualenon è che la corruzione, l'estremo termine, ed il quale liriconduce alla fine alla sola legge del più forte, di cuiessi furono nel principio il rimedio; ma che quand'ancheavessero così cominciato, questo potere essendo di suanatura illegittimo, non ha potuto servire di fondamentoai dritti della società, nè per conseguenza alla inegua-glianza d'instituzione.

Senza entrar oggi nelle ricerche che sono ancora dafarsi sulla natura del patto fondamentale di ogni gover-no, io mi ristringo, seguendo l'opinione comune, a con-siderar qui lo stabilimento del corpo politico come unvero contratto fra il popolo ed i capi ch'egli si ha scelti;

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contratto per cui s'obbligano le due parti contraentiall'osservazione delle leggi che vi sono stipulate, e cheformano i vincoli della loro unione. Avendo il popolo,riguardo alle relazioni sociali, riunito tutte le sue volon-tà in una sola, tutti gli articoli sui quali questa volontà sispiega, diventano altrettante leggi fondamentali, le qualiobbligano tutt'i membri dello stato senza eccezione, eduna delle quali leggi regola la scelta ed il potere de' ma-gistrati incaricati di vegliare all'esecuzione delle altre.Questo potere si estende a tutto ciò che può mantenerela costituzione, senza giugner però mai a cambiarla. Visi uniscono degli onori che rendono rispettabili le leggie i loro ministri, e per questi personalmente, delle prero-gative che li compensano dei penosi travagli che costauna buona amministrazione. Il magistrato, dal suo canto,si obbliga di non usare del potere che gli è stato confida-to se non che secondo l'intenzione dei committenti, dimantener ciascuno nel pacifico godimento di ciò che gliappartiene, e di preferire in ogni occasione l'utilità pub-blica al suo proprio interesse.

Prima che l'esperienza avesse mostrato, o che la co-gnizione del cuor umano avesse fatto prevedere gli abu-si inevitabili di una tal costituzione, ella dovè pareretanto più migliore, quanto che quelli ch'erano incaricatidi vegliare alla sua conservazione vi erano eglino stessii più interessati: imperciocchè la magistratura ed i suoidiritti non essendo stabiliti che sulle leggi fondamentali,tosto che fossero distrutte; i magistrati avrebbero cessa-to d'essere legittimi, il popolo non sarebbe state più te-

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contratto per cui s'obbligano le due parti contraentiall'osservazione delle leggi che vi sono stipulate, e cheformano i vincoli della loro unione. Avendo il popolo,riguardo alle relazioni sociali, riunito tutte le sue volon-tà in una sola, tutti gli articoli sui quali questa volontà sispiega, diventano altrettante leggi fondamentali, le qualiobbligano tutt'i membri dello stato senza eccezione, eduna delle quali leggi regola la scelta ed il potere de' ma-gistrati incaricati di vegliare all'esecuzione delle altre.Questo potere si estende a tutto ciò che può mantenerela costituzione, senza giugner però mai a cambiarla. Visi uniscono degli onori che rendono rispettabili le leggie i loro ministri, e per questi personalmente, delle prero-gative che li compensano dei penosi travagli che costauna buona amministrazione. Il magistrato, dal suo canto,si obbliga di non usare del potere che gli è stato confida-to se non che secondo l'intenzione dei committenti, dimantener ciascuno nel pacifico godimento di ciò che gliappartiene, e di preferire in ogni occasione l'utilità pub-blica al suo proprio interesse.

Prima che l'esperienza avesse mostrato, o che la co-gnizione del cuor umano avesse fatto prevedere gli abu-si inevitabili di una tal costituzione, ella dovè pareretanto più migliore, quanto che quelli ch'erano incaricatidi vegliare alla sua conservazione vi erano eglino stessii più interessati: imperciocchè la magistratura ed i suoidiritti non essendo stabiliti che sulle leggi fondamentali,tosto che fossero distrutte; i magistrati avrebbero cessa-to d'essere legittimi, il popolo non sarebbe state più te-

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nuto di loro obbedire; e come non sarebbe stato il magi-strato, ma la legge che avrebbe costituito l'essenza delloStato, ciascuno sarebbe rientrato di diritto nella sua na-turale libertà.

Per poco che vi si riflettesse attentamente, ciò si pro-verebbe con delle nuove ragioni; e dalla natura del con-tratto si vedrebbe che non potrebbe essere irrevocabile;poichè se non vi fosse un poter superiore, il quale potes-se esser garante della fedeltà dei contrattanti, nè sforzar-li ad adempire i loro reciprochi impegni, le parti restereb-bero sole i giudici nella loro propria causa, e ciascuna diesse avrebbe sempre il dritto di rinunziare al contrattotosto che trovasse che l'altra ne avesse infrante le condi-zioni, o che queste cessassero di convenirgli. Su questoprincipio sembra che possa essere fondato il dritto di ab-dicare. Ora, a non considerare, come noi facciamo, chel'instituzione umana, se il magistrato, il quale ha tutto ilpotere nelle sue mani, ed il quale si appropria tutti i van-taggi del contratto, aveva ciò nonostante il dritto di ri-nunziare all'autorità; con ragion più forte il popolo, ilquale paga tutti i falli de' capi, dovrebbe avere il drittodi rinunziare alla dipendenza. Ma le spaventevoli dis-sensioni, gli infiniti disordini che necessariamente stra-scinerebbe questo pericoloso potere, mostrano più cheogni altra cosa quanto gli umani governi avevano biso-gno di una base più solida che la sola ragione; e quanteera necessario al pubblico riposo che v'intervenisse lavolontà divina per dare alla sovrana autorità un caratteresacro ed inviolabile, che levasse ai sudditi il funesto di-

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nuto di loro obbedire; e come non sarebbe stato il magi-strato, ma la legge che avrebbe costituito l'essenza delloStato, ciascuno sarebbe rientrato di diritto nella sua na-turale libertà.

Per poco che vi si riflettesse attentamente, ciò si pro-verebbe con delle nuove ragioni; e dalla natura del con-tratto si vedrebbe che non potrebbe essere irrevocabile;poichè se non vi fosse un poter superiore, il quale potes-se esser garante della fedeltà dei contrattanti, nè sforzar-li ad adempire i loro reciprochi impegni, le parti restereb-bero sole i giudici nella loro propria causa, e ciascuna diesse avrebbe sempre il dritto di rinunziare al contrattotosto che trovasse che l'altra ne avesse infrante le condi-zioni, o che queste cessassero di convenirgli. Su questoprincipio sembra che possa essere fondato il dritto di ab-dicare. Ora, a non considerare, come noi facciamo, chel'instituzione umana, se il magistrato, il quale ha tutto ilpotere nelle sue mani, ed il quale si appropria tutti i van-taggi del contratto, aveva ciò nonostante il dritto di ri-nunziare all'autorità; con ragion più forte il popolo, ilquale paga tutti i falli de' capi, dovrebbe avere il drittodi rinunziare alla dipendenza. Ma le spaventevoli dis-sensioni, gli infiniti disordini che necessariamente stra-scinerebbe questo pericoloso potere, mostrano più cheogni altra cosa quanto gli umani governi avevano biso-gno di una base più solida che la sola ragione; e quanteera necessario al pubblico riposo che v'intervenisse lavolontà divina per dare alla sovrana autorità un caratteresacro ed inviolabile, che levasse ai sudditi il funesto di-

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ritto di disporne. Quando la religione non avesse fattoche questo bene agli uomini, ciò basterebbe perché tuttidovessero amarla e adottarla, anche coi suoi abusi, poi-chè ella risparmia più sangue, che non ne spande il fana-tismo: ma seguitiamo il filo della nostra ipotesi.

Le diverse forme de' governi traggono la loro originedalle differenze più, o meno grandi che si trovarono fra iparticolari al momento dell'istituzione. Un uomo era eglieminente in potere, in virtù, in ricchezze, o in credito?egli fu solo eletto magistrato, e lo stato divenne monar-chico. Se molti a un dipresso eguali fra di loro, prevale-vano su tutti gli altri, essi furono unitamente detti, e siebbe un'aristocrazia. Quelli, la cui fortuna, o talenti era-no meno disproporzionati, e che si erano meno allonta-nati dallo stato di natura, guardarono in comune la su-prema amministrazione, e formarono una democrazia. Iltempo verificò quale di queste forme era la più vantag-giosa agli uomini. Gli uni restarono unicamente soggettialle leggi, gli altri obbedirono ben presto a dei padroni: icittadini vollero guardare la loro libertà, i sudditi nonpensarono che a levarla a' loro vicini, non potendo sof-frire che altri godessero di un bene che essi più non go-devano: in una parola, da un lato furono le ricchezze e leconquiste, e dall'altro la felicità e la virtù.

In tutti questi diversi governi, tutte le magistrature fu-rono nel principio elettive; e quando non prevaleva laricchezza, la preferenza era data al merito, il quale dà unascendente naturale, ed alla età, la quale dà l'esperienzanegli affari, ed il sangue freddo nelle deliberazioni. I

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ritto di disporne. Quando la religione non avesse fattoche questo bene agli uomini, ciò basterebbe perché tuttidovessero amarla e adottarla, anche coi suoi abusi, poi-chè ella risparmia più sangue, che non ne spande il fana-tismo: ma seguitiamo il filo della nostra ipotesi.

Le diverse forme de' governi traggono la loro originedalle differenze più, o meno grandi che si trovarono fra iparticolari al momento dell'istituzione. Un uomo era eglieminente in potere, in virtù, in ricchezze, o in credito?egli fu solo eletto magistrato, e lo stato divenne monar-chico. Se molti a un dipresso eguali fra di loro, prevale-vano su tutti gli altri, essi furono unitamente detti, e siebbe un'aristocrazia. Quelli, la cui fortuna, o talenti era-no meno disproporzionati, e che si erano meno allonta-nati dallo stato di natura, guardarono in comune la su-prema amministrazione, e formarono una democrazia. Iltempo verificò quale di queste forme era la più vantag-giosa agli uomini. Gli uni restarono unicamente soggettialle leggi, gli altri obbedirono ben presto a dei padroni: icittadini vollero guardare la loro libertà, i sudditi nonpensarono che a levarla a' loro vicini, non potendo sof-frire che altri godessero di un bene che essi più non go-devano: in una parola, da un lato furono le ricchezze e leconquiste, e dall'altro la felicità e la virtù.

In tutti questi diversi governi, tutte le magistrature fu-rono nel principio elettive; e quando non prevaleva laricchezza, la preferenza era data al merito, il quale dà unascendente naturale, ed alla età, la quale dà l'esperienzanegli affari, ed il sangue freddo nelle deliberazioni. I

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vecchioni degli Ebrei, i geronti di Sparta, il senato diRoma, e l'etimologia stessa della nostra parola signore,mostrano quanto era altre volte rispettabile la vecchiez-za. Quanto più le elezioni cadevano su degli uominiavanzati in età, tanto più esse diventavano frequenti, etanto più si facevano sentire i loro imbarazzi: i broglis'introdussero, si formarono le fazioni, s'inasprirono ipartiti, le guerre civili si accesero; alla fine il sangue de'cittadini fu sacrificato alla pretesa felicità dello Stato, esi fu sul momento di ricadere nell'anarchia de' tempi an-teriori. L'ambizione dei principali profittò di queste cir-costanze per perpetuare le cariche nelle loro famiglie: ilpopolo accostumato già alla dipendenza, al riposo, ed aicomodi della vita, e già fuor di stato di spezzar le suecatene, acconsentì di lasciar accrescere la sua servitù peristabilire la sua tranquillità; e così i capi diventati eredi-tarj s'avvezzarono a riguardare la loro magistraturacome un bene di famiglia, a riguardar se medesimi comei proprietarj dello Stato di cui non erano al principio cheoffiziali, a chiamare i loro concittadini loro schiavi, acontarli come un gregge nel numero delle cose che gliappartengono, ed a chiamar se stessi eguali agli dei, e redei re.

Se noi seguitiamo i progressi dell'ineguaglianza inqueste differenti rivoluzioni, troveremo che lo stabili-mento della legge e del dritto di proprietà fu il suo pri-mo termine, l'istituzione della magistratura il secondo,che il terzo ed ultimo fu il cambiamento del potere legit-timo in potere arbitrario, in guisa che lo stato di ricco e

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vecchioni degli Ebrei, i geronti di Sparta, il senato diRoma, e l'etimologia stessa della nostra parola signore,mostrano quanto era altre volte rispettabile la vecchiez-za. Quanto più le elezioni cadevano su degli uominiavanzati in età, tanto più esse diventavano frequenti, etanto più si facevano sentire i loro imbarazzi: i broglis'introdussero, si formarono le fazioni, s'inasprirono ipartiti, le guerre civili si accesero; alla fine il sangue de'cittadini fu sacrificato alla pretesa felicità dello Stato, esi fu sul momento di ricadere nell'anarchia de' tempi an-teriori. L'ambizione dei principali profittò di queste cir-costanze per perpetuare le cariche nelle loro famiglie: ilpopolo accostumato già alla dipendenza, al riposo, ed aicomodi della vita, e già fuor di stato di spezzar le suecatene, acconsentì di lasciar accrescere la sua servitù peristabilire la sua tranquillità; e così i capi diventati eredi-tarj s'avvezzarono a riguardare la loro magistraturacome un bene di famiglia, a riguardar se medesimi comei proprietarj dello Stato di cui non erano al principio cheoffiziali, a chiamare i loro concittadini loro schiavi, acontarli come un gregge nel numero delle cose che gliappartengono, ed a chiamar se stessi eguali agli dei, e redei re.

Se noi seguitiamo i progressi dell'ineguaglianza inqueste differenti rivoluzioni, troveremo che lo stabili-mento della legge e del dritto di proprietà fu il suo pri-mo termine, l'istituzione della magistratura il secondo,che il terzo ed ultimo fu il cambiamento del potere legit-timo in potere arbitrario, in guisa che lo stato di ricco e

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di povero fu autorizzato dalla prima epoca, quello di po-tente e di debole dalla seconda, e dalla terza quello dipadrone e di schiavo, il quale è l'ultimo grado dell'ine-guaglianza, ed il termine al quale tendono al fine tuttigli altri, finochè novelle rivoluzioni disciolgano tutto af-fatto il governo, o lo avvicinino alla legittima costituzio-ne.

Per comprendete la necessità di questi progressi, con-vien considerare meno i motivi dello stabilimento delcorpo politico, che la forma ch'egli prende nella sua ese-cuzione, e gli inconvenienti che seco lui strascina: avve-gnachè i vizj che rendono necessarie le istituzioni socia-li sono le medesime che ne rendono inevitabile l'abuso;e come (eccettuata la sola Sparta, ove la legge principal-mente vegliava alla educazione dei fanciulli, e dove Li-curgo stabilì dei costumi, i quali lo dispensavano quasidall'aggiugnere delle leggi, le quali in generale men fortiche le passioni, contengono gli uomini senza cambiarli)sarebbe facile di provare che ogni governo, il quale sen-za corrompersi nè alterarsi camminasse sempre esatta-mente secondo il fine della sua istituzione, sarebbe statoistituito senza necessità; e che un paese ove alcuno noneludesse le leggi, e non abusasse della magistratura, nonavrebbe bisogno nè di magistrati, nè di leggi.

Le distinzioni politiche conducono necessariamentele distinzioni civili. Crescendo l'ineguaglianza fra il po-polo ed i suoi capi, si fa ben presto sentire fra i particola-ri, e vi si modifica in mille maniere, secondo le passioni,i talenti, le occorrenze. Il magistrato non potrebbe usur-

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di povero fu autorizzato dalla prima epoca, quello di po-tente e di debole dalla seconda, e dalla terza quello dipadrone e di schiavo, il quale è l'ultimo grado dell'ine-guaglianza, ed il termine al quale tendono al fine tuttigli altri, finochè novelle rivoluzioni disciolgano tutto af-fatto il governo, o lo avvicinino alla legittima costituzio-ne.

Per comprendete la necessità di questi progressi, con-vien considerare meno i motivi dello stabilimento delcorpo politico, che la forma ch'egli prende nella sua ese-cuzione, e gli inconvenienti che seco lui strascina: avve-gnachè i vizj che rendono necessarie le istituzioni socia-li sono le medesime che ne rendono inevitabile l'abuso;e come (eccettuata la sola Sparta, ove la legge principal-mente vegliava alla educazione dei fanciulli, e dove Li-curgo stabilì dei costumi, i quali lo dispensavano quasidall'aggiugnere delle leggi, le quali in generale men fortiche le passioni, contengono gli uomini senza cambiarli)sarebbe facile di provare che ogni governo, il quale sen-za corrompersi nè alterarsi camminasse sempre esatta-mente secondo il fine della sua istituzione, sarebbe statoistituito senza necessità; e che un paese ove alcuno noneludesse le leggi, e non abusasse della magistratura, nonavrebbe bisogno nè di magistrati, nè di leggi.

Le distinzioni politiche conducono necessariamentele distinzioni civili. Crescendo l'ineguaglianza fra il po-polo ed i suoi capi, si fa ben presto sentire fra i particola-ri, e vi si modifica in mille maniere, secondo le passioni,i talenti, le occorrenze. Il magistrato non potrebbe usur-

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pare un illegittimo potere senza farsi delle creature, allequali è sforzato di cederne una qualche parte. Dall'altrocanto, i cittadini non si lasciano opprimere se non inquanto strascinati da una cicca ambizione; e riguardan-do più al disotto che al disopra di essi, il dominio diven-ta loro più caro che l'indipendenza, ed acconsentono diportar le catene per poter eglino pure farne portare aglialtri. Egli è difficilissimo di ridurre all'obbedienza quel-lo che non cerca di comandare, ed il più accorto politiconon arriverebbe ad assoggettare degli uomini i quali nonvolessero ch'esser liberi; ma l'ineguaglianza facilmentesi stende fra le anime ambiziose e vili, sempre pronte acorrere i rischi della fortuna, ed a dominare, o a servirequasi indifferentemente, secondo che gli diventa favore-vole, o contraria. In questa guisa dovè venire un tempoin cui gli occhi del popolo fossero affascinati a tal pun-to, che i suoi conduttori non avessero che a dire al piùpiccolo degli uomini, sii grande tu, e tutta la tua razza,tosto egli pareva grande a ciascuno, come pure ai suoiproprj occhi, ed i suoi discendenti s'innalzavano ancoraa misura che si allontanavano da esso; più era rimota edincerta la causa, più accresceva l'effetto; quanti più sfac-cendati si potevano contare in una famiglia, tanto piùessa diventava illustre.

Se fosse questo il luogo d'entrare in dettagli, facil-mente spiegherei come divenne inevitabile fra i partico-lari l'ineguaglianza di credito e di autorità, tostochè(17)

riuniti in una medesima società, sono costretti di para-gonarsi fra loro, e di tener conto delle differenze che tro-

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pare un illegittimo potere senza farsi delle creature, allequali è sforzato di cederne una qualche parte. Dall'altrocanto, i cittadini non si lasciano opprimere se non inquanto strascinati da una cicca ambizione; e riguardan-do più al disotto che al disopra di essi, il dominio diven-ta loro più caro che l'indipendenza, ed acconsentono diportar le catene per poter eglino pure farne portare aglialtri. Egli è difficilissimo di ridurre all'obbedienza quel-lo che non cerca di comandare, ed il più accorto politiconon arriverebbe ad assoggettare degli uomini i quali nonvolessero ch'esser liberi; ma l'ineguaglianza facilmentesi stende fra le anime ambiziose e vili, sempre pronte acorrere i rischi della fortuna, ed a dominare, o a servirequasi indifferentemente, secondo che gli diventa favore-vole, o contraria. In questa guisa dovè venire un tempoin cui gli occhi del popolo fossero affascinati a tal pun-to, che i suoi conduttori non avessero che a dire al piùpiccolo degli uomini, sii grande tu, e tutta la tua razza,tosto egli pareva grande a ciascuno, come pure ai suoiproprj occhi, ed i suoi discendenti s'innalzavano ancoraa misura che si allontanavano da esso; più era rimota edincerta la causa, più accresceva l'effetto; quanti più sfac-cendati si potevano contare in una famiglia, tanto piùessa diventava illustre.

Se fosse questo il luogo d'entrare in dettagli, facil-mente spiegherei come divenne inevitabile fra i partico-lari l'ineguaglianza di credito e di autorità, tostochè(17)

riuniti in una medesima società, sono costretti di para-gonarsi fra loro, e di tener conto delle differenze che tro-

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vano nel continuo uso ch'essi hanno da fare gli uni deglialtri. Queste differenze sono di più sorte; ma in generalela ricchezza, la nobiltà, o il rango, la potenza, o il meritopersonale, essendo le principali distinzioni colle quali simisurano gli uomini nella società, proverei che l'accor-do, o il conflitto di queste diverse forze è l'indicazionela più sicura d'uno Stato bene, o mal costituito; farei ve-dere che fra queste quattro sorte d'ineguaglianza, le qua-lità personali essendo l'origine di tutte le altre, la ric-chezza è l'ultima alla quale in fine si riducono, perchèessendo la più immediatamente utile al ben essere, e lapiù facile a comunicarsi, se ne usa più facilmente percomperare tutto il resto: osservazione che può far giudi-care esattamente della misura con cui ciascun popolo siè allontanato dalla sua primitiva istituzione, e del cam-mino ch'egli ha fatto verso l'estremo termine della cor-ruzione. Rimarcherei quanto questo universal desideriodi reputazione, d'onori, e di preferenze, onde tutti siamodivorati, esercita e paragona i talenti e le forze; quantoegli ecciti e moltiplichi le passioni, e rendendo tutti gliuomini concorrenti, rivali, o piuttosto inimici, quantoegli cagioni ogni giorno sventure, successi, e catastrofed'ogni specie nel far correre il medesimo arringo a tantipretendenti. Mostrerei che questo ardore di far parlar dinoi, questo furore di distinguerci, è quello che ci tienecontinuamente fuori di noi, che noi gli dobbiamo ciòche abbiamo di migliore e di peggio fra gli uomini, lenostre virtù e i nostri vizj, le nostre scienze e i nostri er-rori, i nostri conquistatori e i nostri filosofi; cioè a dire,

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vano nel continuo uso ch'essi hanno da fare gli uni deglialtri. Queste differenze sono di più sorte; ma in generalela ricchezza, la nobiltà, o il rango, la potenza, o il meritopersonale, essendo le principali distinzioni colle quali simisurano gli uomini nella società, proverei che l'accor-do, o il conflitto di queste diverse forze è l'indicazionela più sicura d'uno Stato bene, o mal costituito; farei ve-dere che fra queste quattro sorte d'ineguaglianza, le qua-lità personali essendo l'origine di tutte le altre, la ric-chezza è l'ultima alla quale in fine si riducono, perchèessendo la più immediatamente utile al ben essere, e lapiù facile a comunicarsi, se ne usa più facilmente percomperare tutto il resto: osservazione che può far giudi-care esattamente della misura con cui ciascun popolo siè allontanato dalla sua primitiva istituzione, e del cam-mino ch'egli ha fatto verso l'estremo termine della cor-ruzione. Rimarcherei quanto questo universal desideriodi reputazione, d'onori, e di preferenze, onde tutti siamodivorati, esercita e paragona i talenti e le forze; quantoegli ecciti e moltiplichi le passioni, e rendendo tutti gliuomini concorrenti, rivali, o piuttosto inimici, quantoegli cagioni ogni giorno sventure, successi, e catastrofed'ogni specie nel far correre il medesimo arringo a tantipretendenti. Mostrerei che questo ardore di far parlar dinoi, questo furore di distinguerci, è quello che ci tienecontinuamente fuori di noi, che noi gli dobbiamo ciòche abbiamo di migliore e di peggio fra gli uomini, lenostre virtù e i nostri vizj, le nostre scienze e i nostri er-rori, i nostri conquistatori e i nostri filosofi; cioè a dire,

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una moltitudine di cattive cose sovra un piccolo numerodi buone. Proverei in fine, che se si vede un pugno dipotenti e di ricchi al colmo delle grandezze e della fortu-na, frattanto che la folla striscia nella oscurità e nellamiseria, egli è perchè i primi non istimano le cose di cuigodono se non in quanto gli altri ne sono privi; e che,senza cambiare stato, essi cesserebbero di esser felici, seil popolo cessasse d'esser miserabile.

Ma queste particolarità sarebbero esse sole materia diun'opera considerabile, in cui si peserebbero i vantaggi egl'inconvenienti d'ogni governo, relativamente ai drittidello stato di natura, ed ove si svelerebbero tutti i diffe-renti aspetti, sotto i quali si è mostrata finora l'inegua-glianza; e potrà mostrarsi nei secoli, secondo la naturadi questi governi, e le rivoluzioni che necessariamentevi condurrà il tempo. Si vedrebbe la moltitudine oppres-sa al di dentro da un seguito di precauzioni ch'ella stessaaveva prese contro ciò che la minacciava al di fuori: sivedrebbe continuamente accrescere l'oppressione, senzache gli oppressi potessero giammai sapere qual sarebbeil loro termine, nè quali mezzi legittimi gli resterebberoper fermarla: si vedrebbero estinguersi a poco a poco idiritti de' cittadini e le libertà nazionali, e trattati da se-diziosi tumulti i clamori de' deboli: si vedrebbe la politi-ca ristringere a una porzione mercenaria del popolol'onore di difendere la causa comune: si vedrebbe daquesta scaturire la necessità delle imposizioni, il coltiva-tore avvilito abbandonare il suo campo durante pure lapace, e lasciar l'aratro per cinger la spada: si vedrebbero

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una moltitudine di cattive cose sovra un piccolo numerodi buone. Proverei in fine, che se si vede un pugno dipotenti e di ricchi al colmo delle grandezze e della fortu-na, frattanto che la folla striscia nella oscurità e nellamiseria, egli è perchè i primi non istimano le cose di cuigodono se non in quanto gli altri ne sono privi; e che,senza cambiare stato, essi cesserebbero di esser felici, seil popolo cessasse d'esser miserabile.

Ma queste particolarità sarebbero esse sole materia diun'opera considerabile, in cui si peserebbero i vantaggi egl'inconvenienti d'ogni governo, relativamente ai drittidello stato di natura, ed ove si svelerebbero tutti i diffe-renti aspetti, sotto i quali si è mostrata finora l'inegua-glianza; e potrà mostrarsi nei secoli, secondo la naturadi questi governi, e le rivoluzioni che necessariamentevi condurrà il tempo. Si vedrebbe la moltitudine oppres-sa al di dentro da un seguito di precauzioni ch'ella stessaaveva prese contro ciò che la minacciava al di fuori: sivedrebbe continuamente accrescere l'oppressione, senzache gli oppressi potessero giammai sapere qual sarebbeil loro termine, nè quali mezzi legittimi gli resterebberoper fermarla: si vedrebbero estinguersi a poco a poco idiritti de' cittadini e le libertà nazionali, e trattati da se-diziosi tumulti i clamori de' deboli: si vedrebbe la politi-ca ristringere a una porzione mercenaria del popolol'onore di difendere la causa comune: si vedrebbe daquesta scaturire la necessità delle imposizioni, il coltiva-tore avvilito abbandonare il suo campo durante pure lapace, e lasciar l'aratro per cinger la spada: si vedrebbero

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nascere le regole funeste e bizzarre del punto di onore:si vedrebbero i difensori della patria diventarne tosto, otardi gl'inimici, tener continuamente levato il pugnalesulle teste dei concittadini; e verrebbe un tempo in cui siudirebbe dire all'oppressore del loro paese:

Pectore si fratris gladium juguloque parentisCondere me jubeas, gravidaque in viscera partuConjugis, invita peragam tamen omnia dextra.

Dalla estrema ineguaglianza delle condizioni e dellefortune, dalla diversità delle passioni e dei talenti, dallearti inutili, dalle arti perniciose, dalle scienze frivoleuscirebbero una folla di pregiudizj egualmente contrarjalla ragione, alla felicità, ed alla virtù. Si vedrebbe fo-mentar dai capi tutto ciò che può indebolire uomini riu-niti, disunendoli; tuttociò che può dare alla societàun'aria di apparente concordia, e gettarvici il germed'una real divisione, tuttociò che può ispirare ai differen-ti ordini una diffidenza ed un mutuo odio dall'opposizio-ne dei loro diritti e dei loro interessi, e fortificare perconseguenza quel potere dal quale sono tutti repressi.

Dal seno di questo disordine e dalle sue rivoluzioni ildispotismo è quello, il quale innalzando per gradi l'orri-da testa, e divorando tuttociò che gli avrebbe paruto dibuono e di sano in tutte le parti dello Stato, arriverebbein fine a calpestare co' piedi le leggi e il popolo, e a sta-bilirsi sulle rovine della repubblica. I tempi che precede-rebbero quest'ultimo cambiamento, sarebbero tempi diturbolenze e di calamità; ma alla fine tutto sarebbe ingo-

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nascere le regole funeste e bizzarre del punto di onore:si vedrebbero i difensori della patria diventarne tosto, otardi gl'inimici, tener continuamente levato il pugnalesulle teste dei concittadini; e verrebbe un tempo in cui siudirebbe dire all'oppressore del loro paese:

Pectore si fratris gladium juguloque parentisCondere me jubeas, gravidaque in viscera partuConjugis, invita peragam tamen omnia dextra.

Dalla estrema ineguaglianza delle condizioni e dellefortune, dalla diversità delle passioni e dei talenti, dallearti inutili, dalle arti perniciose, dalle scienze frivoleuscirebbero una folla di pregiudizj egualmente contrarjalla ragione, alla felicità, ed alla virtù. Si vedrebbe fo-mentar dai capi tutto ciò che può indebolire uomini riu-niti, disunendoli; tuttociò che può dare alla societàun'aria di apparente concordia, e gettarvici il germed'una real divisione, tuttociò che può ispirare ai differen-ti ordini una diffidenza ed un mutuo odio dall'opposizio-ne dei loro diritti e dei loro interessi, e fortificare perconseguenza quel potere dal quale sono tutti repressi.

Dal seno di questo disordine e dalle sue rivoluzioni ildispotismo è quello, il quale innalzando per gradi l'orri-da testa, e divorando tuttociò che gli avrebbe paruto dibuono e di sano in tutte le parti dello Stato, arriverebbein fine a calpestare co' piedi le leggi e il popolo, e a sta-bilirsi sulle rovine della repubblica. I tempi che precede-rebbero quest'ultimo cambiamento, sarebbero tempi diturbolenze e di calamità; ma alla fine tutto sarebbe ingo-

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iato dal mostro; ed i popoli non avrebbero più nè capi,né leggi, ma solo de' tiranni. Da questo istante cessereb-be ancora d'esservi più questione di costumi e di virtù;avvegnachè per tutto ove regna il despotismo, cui ex ho-nesto nulla est spes, egli non soffre altro padrone; tosto-chè egli parla, non è da consultarsi nè probità, nè dove-re; e la più cieca obbedienza è la virtù che resta aglischiavi.

Questo è l'ultimo termine dell'ineguaglianza, ed ilpunto estremo che chiude il cerchio, e tocca il punto dadove noi siamo partiti. Quivi è dove tutti i particolari ri-tornano uguali, perchè essi sono un nulla, ed i sudditinon avendo più altra legge che la volontà del padrone,nè il padrone altra regola che le sue passioni, le nozionidel bene e i principi della giustizia nuovamente svani-scono. Egli è qui dove tutto si riconduce alla sola leggedel più forte, e per conseguenza ad un novello stato dinatura, differente da quello per cui abbiamo noi comin-ciato, in ciò che l'uno era lo stato di natura nella sua pu-rezza, e che quest'ultimo è il frutto di un eccesso di cor-ruzione. Dall'altro canto vi è sì poca differenza fra que-sti due stati, ed il contratto di governò è talmente di-sciolto dal despotismo, che il despota non è il padroneche fino a tanto che egli n'è il più forte; e che sì tostoche si può scacciarlo, ei non può reclamare contro laviolenza. La sollevazione, la quale finisce dallo strango-lare, o dal detronare un sultano, egli è un atto tanto giu-ridico, quanto quelli per i quali egli disponeva il giornoinnanzi della vita e dei beni de' suoi sudditi. La sola for-

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iato dal mostro; ed i popoli non avrebbero più nè capi,né leggi, ma solo de' tiranni. Da questo istante cessereb-be ancora d'esservi più questione di costumi e di virtù;avvegnachè per tutto ove regna il despotismo, cui ex ho-nesto nulla est spes, egli non soffre altro padrone; tosto-chè egli parla, non è da consultarsi nè probità, nè dove-re; e la più cieca obbedienza è la virtù che resta aglischiavi.

Questo è l'ultimo termine dell'ineguaglianza, ed ilpunto estremo che chiude il cerchio, e tocca il punto dadove noi siamo partiti. Quivi è dove tutti i particolari ri-tornano uguali, perchè essi sono un nulla, ed i sudditinon avendo più altra legge che la volontà del padrone,nè il padrone altra regola che le sue passioni, le nozionidel bene e i principi della giustizia nuovamente svani-scono. Egli è qui dove tutto si riconduce alla sola leggedel più forte, e per conseguenza ad un novello stato dinatura, differente da quello per cui abbiamo noi comin-ciato, in ciò che l'uno era lo stato di natura nella sua pu-rezza, e che quest'ultimo è il frutto di un eccesso di cor-ruzione. Dall'altro canto vi è sì poca differenza fra que-sti due stati, ed il contratto di governò è talmente di-sciolto dal despotismo, che il despota non è il padroneche fino a tanto che egli n'è il più forte; e che sì tostoche si può scacciarlo, ei non può reclamare contro laviolenza. La sollevazione, la quale finisce dallo strango-lare, o dal detronare un sultano, egli è un atto tanto giu-ridico, quanto quelli per i quali egli disponeva il giornoinnanzi della vita e dei beni de' suoi sudditi. La sola for-

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za lo manteneva, la sola forza lo rovescia. Ogni cosapassa così secondo l'ordine naturale; e qualunque possaesser l'avvenimento di queste brevi e frequenti rivolu-zioni, non v'è alcuno che lamentare si possa dell'altruiingiustizia, ma solamente della sua imprudenza, o dellasua sventura.

Nello scoprire e seguire così le strade dimenticate eperdute, le quali dallo stato naturale hanno dovuto con-dur l'uomo allo stato civile; nel ristabilire, colle posizio-ni intermedie ch'io ho marcate, quelle che il tempo ilquale mi manca, mi ha fatto sopprimere, o che l'immagi-nazione non mi ha suggerite; ogni attento lettore nonpotrà che restare colpito, dall'immenso spazio che questidue stati divide. In questa lenta successione di cose eglivedrà la soluzione d'una infinità di problemi di morale edi politica, che i filosofi non possono risolvere. Eglisentirà che il genere umano di una età, non è il genereumano di un'altra età, la ragione per cui Diogene nontrovava uomini, egli è perchè fra i suoi contemporaneicercava l'uomo di un tempo che più non era. Catone,dirà egli, perì con Roma e colla libertà, perchè egli fualieno nel suo secolo; ed il più grande degli uomini nonfece che stupire il mondo, il quale cinquecent'anni primaavrebbe governato. In una parola, egli spiegherà comel'anima e le passioni umane insensibilmente si alterino ecambino, per così dire, di natura: perchè i nostri bisognie i nostri piaceri cangino a lungo andare di oggetto; per-chè l'uomo originale per gradi svanendo, la società nonoffre più agli occhi del saggio che un'unione di uomini

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za lo manteneva, la sola forza lo rovescia. Ogni cosapassa così secondo l'ordine naturale; e qualunque possaesser l'avvenimento di queste brevi e frequenti rivolu-zioni, non v'è alcuno che lamentare si possa dell'altruiingiustizia, ma solamente della sua imprudenza, o dellasua sventura.

Nello scoprire e seguire così le strade dimenticate eperdute, le quali dallo stato naturale hanno dovuto con-dur l'uomo allo stato civile; nel ristabilire, colle posizio-ni intermedie ch'io ho marcate, quelle che il tempo ilquale mi manca, mi ha fatto sopprimere, o che l'immagi-nazione non mi ha suggerite; ogni attento lettore nonpotrà che restare colpito, dall'immenso spazio che questidue stati divide. In questa lenta successione di cose eglivedrà la soluzione d'una infinità di problemi di morale edi politica, che i filosofi non possono risolvere. Eglisentirà che il genere umano di una età, non è il genereumano di un'altra età, la ragione per cui Diogene nontrovava uomini, egli è perchè fra i suoi contemporaneicercava l'uomo di un tempo che più non era. Catone,dirà egli, perì con Roma e colla libertà, perchè egli fualieno nel suo secolo; ed il più grande degli uomini nonfece che stupire il mondo, il quale cinquecent'anni primaavrebbe governato. In una parola, egli spiegherà comel'anima e le passioni umane insensibilmente si alterino ecambino, per così dire, di natura: perchè i nostri bisognie i nostri piaceri cangino a lungo andare di oggetto; per-chè l'uomo originale per gradi svanendo, la società nonoffre più agli occhi del saggio che un'unione di uomini

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artificiali, e di fattizie passioni, le quali sono l'opera ditutte queste novelle relazioni, e che non hanno alcunvero fondamento nella natura. Ciò che su tal propositola riflessione c'insegna, lo conferma perfettamentel'osservazione. L'uomo selvaggio e l'uomo politico dif-feriscono talmente per il fondo del cuore e delle inclina-zioni, che ciò che fa la felicità suprema dell'uno, ridur-rebbe l'altro alla disperazione. Non respira il primo cheil riposo e la libertà, egli non vuole che vivere e restarozioso; e la stessa atarassia dello stoico non s'avvicinaalla sua profonda indifferenza per ogn'altro oggetto.All'opposto, il cittadino sempre attivo, suda, s'agita, sitormenta continuamente per cercare delle occupazioniancor piu faticose: egli travaglia fino alla morte, anzi vicorre per mettersi in istato di vivere, o rinunzia alla vitaper acquistare l'immortalità. Fa la corte a' grandi cheodia, ed ai ricchi ch'ei disprezza; nulla risparmia per ot-tener l'onore di servirli; si vanta orgogliosamente dellasua bassezza e della loro protezione; e fiero di sua schia-vitù parla con isdegno di quelli che non hanno l'onored'esserne a parte. Quale spettacolo per un Caraibo i peno-si ed invidiati travagli d'un ministro europeo? Quantemorti crudeli non preferirebbe quell'indolente selvaggioall'orrore di una simil vita, la qual sovente non è nem-men raddolcita dal piacere di ben fare! Ma per vedere ilfine di tante cure, bisognerebbe che queste parole poten-za e riputazione avessero un senso nel di lui spirito;ch'egli imparasse che v'è una sorta d'uomini, i quali con-tano per qualche cosa i riguardi del resto dell'universo;

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artificiali, e di fattizie passioni, le quali sono l'opera ditutte queste novelle relazioni, e che non hanno alcunvero fondamento nella natura. Ciò che su tal propositola riflessione c'insegna, lo conferma perfettamentel'osservazione. L'uomo selvaggio e l'uomo politico dif-feriscono talmente per il fondo del cuore e delle inclina-zioni, che ciò che fa la felicità suprema dell'uno, ridur-rebbe l'altro alla disperazione. Non respira il primo cheil riposo e la libertà, egli non vuole che vivere e restarozioso; e la stessa atarassia dello stoico non s'avvicinaalla sua profonda indifferenza per ogn'altro oggetto.All'opposto, il cittadino sempre attivo, suda, s'agita, sitormenta continuamente per cercare delle occupazioniancor piu faticose: egli travaglia fino alla morte, anzi vicorre per mettersi in istato di vivere, o rinunzia alla vitaper acquistare l'immortalità. Fa la corte a' grandi cheodia, ed ai ricchi ch'ei disprezza; nulla risparmia per ot-tener l'onore di servirli; si vanta orgogliosamente dellasua bassezza e della loro protezione; e fiero di sua schia-vitù parla con isdegno di quelli che non hanno l'onored'esserne a parte. Quale spettacolo per un Caraibo i peno-si ed invidiati travagli d'un ministro europeo? Quantemorti crudeli non preferirebbe quell'indolente selvaggioall'orrore di una simil vita, la qual sovente non è nem-men raddolcita dal piacere di ben fare! Ma per vedere ilfine di tante cure, bisognerebbe che queste parole poten-za e riputazione avessero un senso nel di lui spirito;ch'egli imparasse che v'è una sorta d'uomini, i quali con-tano per qualche cosa i riguardi del resto dell'universo;

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che sanno esser felici e contenti di se medesimi sulla te-stimonianza degli altri, piuttosto che sulla loro propria.Tal è in fatti la vera causa di tutte queste differenze: ilselvaggio vive in lui medesimo; l'uomo sociale, semprefuori di se, non sa vivere che nell'opinione degli altri, edè, per così dire, dal loro solo giudizio ch'egli trae il sen-timento di sua propria esistenza. Non tocca al mio og-getto di mostrare come da una tal disposizione nascatanta indifferenza per il bene e per il male, con tanti bel-li discorsi di morale; come tutto riducendosi alle appa-renze, il tutto diventa fattizio e rappresentato; onore,amicizia, virtù, e sovente fino i vizj stessi, de' quali sitrova alfine il secreto di gloriarsi; come, in una parola,dimandando sempre agli altri ciò che noi siamo, e nonosando giammai interrogar su ciò noi stessi, nel mezzodi tanta filosofia, umanità, politezza, e sublimi massime,noi non abbiamo che un esterno ingannevole e frivolo,dell'onore senza virtù, della ragione senza saviezza, edel piacere senza felicità. Mi basta di aver provato nonesser questo lo stato originale dell'uomo; e che il solospirito della società, e l'ineguaglianza ch'ella genera sonquelli i quali cambiano ed alterano così tutte le nostrenaturali inclinazioni.

Ho procurato di esporre l'origine e i progressidell'ineguaglianza, lo stabilimento e l'abuso delle politi-che società, per quanto queste cose possono dedursi dal-la natura dell'uomo per i soli lumi della ragione, ed indi-pendentemente dai dogmi sacri i quali danno alla sovra-na autorità la sanzione del dritto divino. Segue dal fin

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che sanno esser felici e contenti di se medesimi sulla te-stimonianza degli altri, piuttosto che sulla loro propria.Tal è in fatti la vera causa di tutte queste differenze: ilselvaggio vive in lui medesimo; l'uomo sociale, semprefuori di se, non sa vivere che nell'opinione degli altri, edè, per così dire, dal loro solo giudizio ch'egli trae il sen-timento di sua propria esistenza. Non tocca al mio og-getto di mostrare come da una tal disposizione nascatanta indifferenza per il bene e per il male, con tanti bel-li discorsi di morale; come tutto riducendosi alle appa-renze, il tutto diventa fattizio e rappresentato; onore,amicizia, virtù, e sovente fino i vizj stessi, de' quali sitrova alfine il secreto di gloriarsi; come, in una parola,dimandando sempre agli altri ciò che noi siamo, e nonosando giammai interrogar su ciò noi stessi, nel mezzodi tanta filosofia, umanità, politezza, e sublimi massime,noi non abbiamo che un esterno ingannevole e frivolo,dell'onore senza virtù, della ragione senza saviezza, edel piacere senza felicità. Mi basta di aver provato nonesser questo lo stato originale dell'uomo; e che il solospirito della società, e l'ineguaglianza ch'ella genera sonquelli i quali cambiano ed alterano così tutte le nostrenaturali inclinazioni.

Ho procurato di esporre l'origine e i progressidell'ineguaglianza, lo stabilimento e l'abuso delle politi-che società, per quanto queste cose possono dedursi dal-la natura dell'uomo per i soli lumi della ragione, ed indi-pendentemente dai dogmi sacri i quali danno alla sovra-na autorità la sanzione del dritto divino. Segue dal fin

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qui esposto, che l'ineguaglianza essendo quasi nulla nel-lo stato di natura, trae la sua forza ed il suo accresci-mento dallo sviluppo delle nostre facoltà, e dai progressidello spirito umano, e diventa in fine stabile e legittimaper lo stabilimento della proprietà e delle leggi. Segueancora che l'ineguaglianza morale, autorizzata dal solodiritto positivo, è contraria al dritto naturale ogni voltach'ella non concorre nella medesima proporzionecoll'ineguaglianza fisica: distinzione che determina asufficienza ciò che si deve pensare a questo riguardo diquella sorte d'ineguaglianza, che regna fra tutti i popolipoliti; poichè egli è contro la legge di natura, di qualun-que maniera ch'ella si definisca, che un fanciullo co-mandi a un vecchio, che un pazzo conduca un uomosaggio, e che un pugno di persone abbondino di super-fluità, frattanto che l'affamata moltitudine manca del ne-cessario.

FINE.

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qui esposto, che l'ineguaglianza essendo quasi nulla nel-lo stato di natura, trae la sua forza ed il suo accresci-mento dallo sviluppo delle nostre facoltà, e dai progressidello spirito umano, e diventa in fine stabile e legittimaper lo stabilimento della proprietà e delle leggi. Segueancora che l'ineguaglianza morale, autorizzata dal solodiritto positivo, è contraria al dritto naturale ogni voltach'ella non concorre nella medesima proporzionecoll'ineguaglianza fisica: distinzione che determina asufficienza ciò che si deve pensare a questo riguardo diquella sorte d'ineguaglianza, che regna fra tutti i popolipoliti; poichè egli è contro la legge di natura, di qualun-que maniera ch'ella si definisca, che un fanciullo co-mandi a un vecchio, che un pazzo conduca un uomosaggio, e che un pugno di persone abbondino di super-fluità, frattanto che l'affamata moltitudine manca del ne-cessario.

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NOTE

AL DISCORSO

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(1) Il cangiamento che un lungo uso di camminare su duepiedi ha potuto produrre nella conformazione dell'uomo, i rap-porti che si osservano ancora fra le di lui braccia e le gambeanteriori de' quadrupedi, e l'induzione tratta dalla loro manieradi camminare, hanno potuto far nascere dei dubbi sopra quellache doveva esserci la più naturale. Tutti i fanciulli comincianodal camminare a quattro piedi ed hanno bisogno del nostroesempio e delle nostre lezioni per imparare a tenersi dritti. Visono pure delle nazioni selvagge, tali che gli Ottentotti, i qualinegligendo molto i fanciulli, li lasciano camminare sulle manisì lungo tempo, che hanno in seguito molto difficoltà a raddriz-zarli; lo stesso fanno i fanciulli dei Caraibi delle Antille. Visono molti esempj di uomini quadrupedi, e potrei citar fra glialtri l'esempio di quel fanciullo che fu trovato nel 1344 vicino aHesse, ove era stato nudrito dai lupi, ed il quale diceva dopoalla corte del principe Enrico, che se avesse dipenduto da lui,egli avrebbe preferito di ritornare fra quelli, che di vivere fragli uomini. Egli aveva talmente presa l'abitudine di camminarecome codesti animali, che convenne attaccargli dei pezzi di le-gno, i quali lo sforzavano a tenersi dritto ed in equilibrio sovrai di lui piedi. Era lo stesso del fanciullo che si trovò nel 1694nelle foreste della Lituania, e il quale viveva fra gli orsi. Eglinon dava, dice il signor di Condillac, verun indizio di ragione,camminava sovra i suoi piedi e sovra le sue mani, non avevaverun linguaggio, e formava dei suoni che in nulla rassomiglia-vano a quelli di un uomo. Il piccolo selvaggio di Annover, ilquale, molti anni sono, fu condotto alla corte d'Inghilterra, ave-va le maggiori difficoltà nell'assoggettarsi a camminare su duepiedi; e si trovarono nel 1719 due altri selvaggi nei Pirenei, iquali correvano per le montagne alla maniera de' quadrupedi.Quanto a ciò che si potrebbe obbiettare, che con ciò sarebbe unprivarsi dell'uso delle mani dalle quali tiriamo tanti vantaggi,oltre che l'esempio delle scimie mostra che la mano può moltobene essere impiegata di due maniere, ciò proverebbe soltanto

(1) Il cangiamento che un lungo uso di camminare su duepiedi ha potuto produrre nella conformazione dell'uomo, i rap-porti che si osservano ancora fra le di lui braccia e le gambeanteriori de' quadrupedi, e l'induzione tratta dalla loro manieradi camminare, hanno potuto far nascere dei dubbi sopra quellache doveva esserci la più naturale. Tutti i fanciulli comincianodal camminare a quattro piedi ed hanno bisogno del nostroesempio e delle nostre lezioni per imparare a tenersi dritti. Visono pure delle nazioni selvagge, tali che gli Ottentotti, i qualinegligendo molto i fanciulli, li lasciano camminare sulle manisì lungo tempo, che hanno in seguito molto difficoltà a raddriz-zarli; lo stesso fanno i fanciulli dei Caraibi delle Antille. Visono molti esempj di uomini quadrupedi, e potrei citar fra glialtri l'esempio di quel fanciullo che fu trovato nel 1344 vicino aHesse, ove era stato nudrito dai lupi, ed il quale diceva dopoalla corte del principe Enrico, che se avesse dipenduto da lui,egli avrebbe preferito di ritornare fra quelli, che di vivere fragli uomini. Egli aveva talmente presa l'abitudine di camminarecome codesti animali, che convenne attaccargli dei pezzi di le-gno, i quali lo sforzavano a tenersi dritto ed in equilibrio sovrai di lui piedi. Era lo stesso del fanciullo che si trovò nel 1694nelle foreste della Lituania, e il quale viveva fra gli orsi. Eglinon dava, dice il signor di Condillac, verun indizio di ragione,camminava sovra i suoi piedi e sovra le sue mani, non avevaverun linguaggio, e formava dei suoni che in nulla rassomiglia-vano a quelli di un uomo. Il piccolo selvaggio di Annover, ilquale, molti anni sono, fu condotto alla corte d'Inghilterra, ave-va le maggiori difficoltà nell'assoggettarsi a camminare su duepiedi; e si trovarono nel 1719 due altri selvaggi nei Pirenei, iquali correvano per le montagne alla maniera de' quadrupedi.Quanto a ciò che si potrebbe obbiettare, che con ciò sarebbe unprivarsi dell'uso delle mani dalle quali tiriamo tanti vantaggi,oltre che l'esempio delle scimie mostra che la mano può moltobene essere impiegata di due maniere, ciò proverebbe soltanto

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che l'uomo può dare a' suoi membri una destinazione più co-moda che quella della natura, e non che la natura abbia destina-to l'uomo a camminare in diversa maniera di quella ch'essagl'insegna.

Ma mi sembra esservi assai migliori ragioni da dire, ondesostenere essere l'uomo un bipede. Primieramente quando si fa-cesse vedere aver potuto essere da principio conformato diver-samente da quel che noi lo vediamo, e nonostante divenire alfi-ne ciò ch'egli è adesso, ciò non sarebbe bastante per concludereessersi ciò fatto in tal maniera: imperciocchè dopo aver mostra-ta la possibilità di codesti cangiamenti, converrebbe ancora,prima di ammetterli, mostrarne almeno la verisimiglianze. Dipiù, se le braccia sembrano avergli potuto servire di gambeall'occorrenza, questa è la sola osservazione favorevole a code-sto sistema, a fronte di un gran numero d'altre che gli sono con-trarie. Le principali sono: che la maniera con cui la testadell'uomo è attaccata al suo corpo, in vece di dirigere la sua vi-sta orizzontalmente come l'hanno tutti gli altri animali, e comela ha egli stesso camminando diritto, egli avrebbe tenuto, cam-minando a quattro piedi, gli occhi direttamente fissi verso laterra, situazione pochissimo favorevole alla conservazionedell'individuo; che la coda che gli manca, e di cui non ne ha bi-sogno camminando a due piedi, è utile ai quadrupedi, e che al-cuno di essi non ne è privo; che il seno della femmina benissi-mo situato per un bipede il qual tiene il suo fanciullo nelle suebraccia, lo è sì male per un quadrupede, che non ve n'è alcunoche lo abbia collocato di tal maniera; che l'andatura di dietroessendo di una eccessiva altezza a proporzione delle gambe deldinanzi, lo che fa che camminando a quattro noi ci strascinia-mo sulle ginocchia, il tutto avrebbe fatto un animale mal pro-porzionato, e moventesi poco comodamente; che se avesse ap-poggiato il piede piatto come la mano, egli avrebbe avuto nellagamba posteriore un'articolazione di meno che gli altri animali,cioè quella che unisce il canone alla tibia; e che non appog-

che l'uomo può dare a' suoi membri una destinazione più co-moda che quella della natura, e non che la natura abbia destina-to l'uomo a camminare in diversa maniera di quella ch'essagl'insegna.

Ma mi sembra esservi assai migliori ragioni da dire, ondesostenere essere l'uomo un bipede. Primieramente quando si fa-cesse vedere aver potuto essere da principio conformato diver-samente da quel che noi lo vediamo, e nonostante divenire alfi-ne ciò ch'egli è adesso, ciò non sarebbe bastante per concludereessersi ciò fatto in tal maniera: imperciocchè dopo aver mostra-ta la possibilità di codesti cangiamenti, converrebbe ancora,prima di ammetterli, mostrarne almeno la verisimiglianze. Dipiù, se le braccia sembrano avergli potuto servire di gambeall'occorrenza, questa è la sola osservazione favorevole a code-sto sistema, a fronte di un gran numero d'altre che gli sono con-trarie. Le principali sono: che la maniera con cui la testadell'uomo è attaccata al suo corpo, in vece di dirigere la sua vi-sta orizzontalmente come l'hanno tutti gli altri animali, e comela ha egli stesso camminando diritto, egli avrebbe tenuto, cam-minando a quattro piedi, gli occhi direttamente fissi verso laterra, situazione pochissimo favorevole alla conservazionedell'individuo; che la coda che gli manca, e di cui non ne ha bi-sogno camminando a due piedi, è utile ai quadrupedi, e che al-cuno di essi non ne è privo; che il seno della femmina benissi-mo situato per un bipede il qual tiene il suo fanciullo nelle suebraccia, lo è sì male per un quadrupede, che non ve n'è alcunoche lo abbia collocato di tal maniera; che l'andatura di dietroessendo di una eccessiva altezza a proporzione delle gambe deldinanzi, lo che fa che camminando a quattro noi ci strascinia-mo sulle ginocchia, il tutto avrebbe fatto un animale mal pro-porzionato, e moventesi poco comodamente; che se avesse ap-poggiato il piede piatto come la mano, egli avrebbe avuto nellagamba posteriore un'articolazione di meno che gli altri animali,cioè quella che unisce il canone alla tibia; e che non appog-

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giando che la punta del piede, come sarebbe stato senza dubbiocostretto di fare, il tarso, senza parlare della pluralità degli ossiche lo compongono, sembra troppo grosso per far le veci di ca-none, e le sue articolazioni con il metatarso e la tibia troppo vi-cine per dare alla gamba umana in tal situazione la medesimaflessibilità che hanno quelle de' quadrupedi. L'esempio de' fan-ciulli essendo preso in una età in cui le forze naturali non sonoancora sviluppate nè le membra assodate, non conclude nullaaffatto, e si potrebbe altrettanto dire che i cani non sono desti-nati a camminare, perchè non fanno che strascinarsi alcune set-timane dopo la loro nascita. I fatti particolari hanno ancorapoca forza contro la pratica universale di tutti gli uomini, e diquelle nazioni pure, le quali non avendo avuta veruna comuni-cazione colle altre, non hanno potuto nulla imitare di esse. Unfanciullo abbandonato in un bosco prima che possa camminare,e nutrito da qualche bestia, avrà seguito l'esempio della sua nu-trice esercitandosi a camminare come essa; l'abitudine avrà po-tuto dargli delle facilità che non aveva avute dalla natura; ecome i monchi giungono a forza di esercizio a fare co' loro pie-di tutto ciò che noi facciamo colle nostre mani, egli sarà giuntoalfine ad impiegare le sue mani ad uso de' piedi.

(2) Se si trovasse fra' miei lettori qualche cattivo fisico, chemi facesse delle difficoltà sulla supposizione di codesta fertilitànaturale della terra, sono a rispondergli col seguente passo.

"Siccome i vegetabili traggono per la loro nutrizione mag-gior sostanza dall'aria e dall'acqua, che non ne traggono dal-la terra, ne succede che, putrefacendosi, essi rendono allaterra più di quello ne hanno tratto; d'altronde una foresta de-termina le acque della pioggia trattenendone i vapori. Quin-di in un bosco che si conservasse lungo tempo senza toccar-lo, il letto di terra che serve alla vegetazione crescerebbeconsiderabilmente; ma gli animali rendendo meno alla terrach'essi non ne traggono, e facendo gli uomini un consumoenorme di legna e di piante per il fuoco e per altri usi, ne se-

giando che la punta del piede, come sarebbe stato senza dubbiocostretto di fare, il tarso, senza parlare della pluralità degli ossiche lo compongono, sembra troppo grosso per far le veci di ca-none, e le sue articolazioni con il metatarso e la tibia troppo vi-cine per dare alla gamba umana in tal situazione la medesimaflessibilità che hanno quelle de' quadrupedi. L'esempio de' fan-ciulli essendo preso in una età in cui le forze naturali non sonoancora sviluppate nè le membra assodate, non conclude nullaaffatto, e si potrebbe altrettanto dire che i cani non sono desti-nati a camminare, perchè non fanno che strascinarsi alcune set-timane dopo la loro nascita. I fatti particolari hanno ancorapoca forza contro la pratica universale di tutti gli uomini, e diquelle nazioni pure, le quali non avendo avuta veruna comuni-cazione colle altre, non hanno potuto nulla imitare di esse. Unfanciullo abbandonato in un bosco prima che possa camminare,e nutrito da qualche bestia, avrà seguito l'esempio della sua nu-trice esercitandosi a camminare come essa; l'abitudine avrà po-tuto dargli delle facilità che non aveva avute dalla natura; ecome i monchi giungono a forza di esercizio a fare co' loro pie-di tutto ciò che noi facciamo colle nostre mani, egli sarà giuntoalfine ad impiegare le sue mani ad uso de' piedi.

(2) Se si trovasse fra' miei lettori qualche cattivo fisico, chemi facesse delle difficoltà sulla supposizione di codesta fertilitànaturale della terra, sono a rispondergli col seguente passo.

"Siccome i vegetabili traggono per la loro nutrizione mag-gior sostanza dall'aria e dall'acqua, che non ne traggono dal-la terra, ne succede che, putrefacendosi, essi rendono allaterra più di quello ne hanno tratto; d'altronde una foresta de-termina le acque della pioggia trattenendone i vapori. Quin-di in un bosco che si conservasse lungo tempo senza toccar-lo, il letto di terra che serve alla vegetazione crescerebbeconsiderabilmente; ma gli animali rendendo meno alla terrach'essi non ne traggono, e facendo gli uomini un consumoenorme di legna e di piante per il fuoco e per altri usi, ne se-

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gue che il letto di terra vegetabile di un paese abitato devesempre diminuire, e divenir al fine come il terreno dell'Ara-bia petrea, e come quello di tante altre provincie dell'Orien-te, il quale è in fatti il clima il più anticamente abitato, ovenon si trova che del sale e della sabbia: poichè il sale fissodelle piante e degli animali resta, frattanto che tutte le altreparti si volatilizzano. Buffon Stor. nat.''Si può aggiugnere a questo la prova di fatto dalla quantità

d'arbori e di piante di ogni specie, di cui erano ripiene quasitutte le isole deserte che sono state scoperte in questi ultimi se-coli, e da ciò che l'istoria c'insegna delle immense foreste checonvenne tagliare per tutta la terra a misura ch'essa si è popola-ta o polita. Sopra di che farò ancora le tre seguenti rimarche.L'una, che se vi è una sorte di vegetabili che possano compen-sare la perdita di materia vegetabile che si fa dagli animali, se-condo il ragionamento del sig. Buffon, questi sono sopra tuttogli arbori, le di cui teste e foglie riuniscono e si approprianomaggior quantità di acque e di vapori, che non fanno le altrepiante. La seconda, che la distruzione del secolo, cioè la perditadella sostanza propria alla vegetazione deve accelerarsi in pro-porzione che la terra è più coltivata, e che gli abitanti più indu-striosi consumano in maggior abbondanza le sue produzioni diogni specie. La mia terza e più importante rimarca è che i fruttidegli alberi somministrano all'animale un nutrimento più ab-bondante che non possono fare gli altri vegetabili, esperienzafatta da me stesso paragonando il prodotto di due terreni egualiin grandezza ed in qualità, l'uno coperto di castagnari, e l'altroseminato di frumento.

(3) Fra i quadrupedi, le due distinzioni le più universali dellespecie voraci si trasgono, l'una dalla figura dei denti, e l'altradalla conformazione degli intestini. Gli animali i quali non vi-vono che di vegetabili, hanno tutti i denti piatti, come il caval-lo, il bue, il montone, la lepre; ma i voraci li hanno appuntati,come il gatto, il cane, il lupo, la volpe. Ed in quanto agli inte-

gue che il letto di terra vegetabile di un paese abitato devesempre diminuire, e divenir al fine come il terreno dell'Ara-bia petrea, e come quello di tante altre provincie dell'Orien-te, il quale è in fatti il clima il più anticamente abitato, ovenon si trova che del sale e della sabbia: poichè il sale fissodelle piante e degli animali resta, frattanto che tutte le altreparti si volatilizzano. Buffon Stor. nat.''Si può aggiugnere a questo la prova di fatto dalla quantità

d'arbori e di piante di ogni specie, di cui erano ripiene quasitutte le isole deserte che sono state scoperte in questi ultimi se-coli, e da ciò che l'istoria c'insegna delle immense foreste checonvenne tagliare per tutta la terra a misura ch'essa si è popola-ta o polita. Sopra di che farò ancora le tre seguenti rimarche.L'una, che se vi è una sorte di vegetabili che possano compen-sare la perdita di materia vegetabile che si fa dagli animali, se-condo il ragionamento del sig. Buffon, questi sono sopra tuttogli arbori, le di cui teste e foglie riuniscono e si approprianomaggior quantità di acque e di vapori, che non fanno le altrepiante. La seconda, che la distruzione del secolo, cioè la perditadella sostanza propria alla vegetazione deve accelerarsi in pro-porzione che la terra è più coltivata, e che gli abitanti più indu-striosi consumano in maggior abbondanza le sue produzioni diogni specie. La mia terza e più importante rimarca è che i fruttidegli alberi somministrano all'animale un nutrimento più ab-bondante che non possono fare gli altri vegetabili, esperienzafatta da me stesso paragonando il prodotto di due terreni egualiin grandezza ed in qualità, l'uno coperto di castagnari, e l'altroseminato di frumento.

(3) Fra i quadrupedi, le due distinzioni le più universali dellespecie voraci si trasgono, l'una dalla figura dei denti, e l'altradalla conformazione degli intestini. Gli animali i quali non vi-vono che di vegetabili, hanno tutti i denti piatti, come il caval-lo, il bue, il montone, la lepre; ma i voraci li hanno appuntati,come il gatto, il cane, il lupo, la volpe. Ed in quanto agli inte-

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stini, i frugivori ne hanno alcuni tali che il colon, il quale non sitrova negli animali voraci. Sembra adunque che l'uomo, avendoi denti e gli intestini come li hanno gli animali frugivori, do-vrebbe essere naturalmente posto in questa classe; e non solo leosservazioni anatomiche confermano questa opinione, ma imonumenti dell'antichità vi sono ancora favorevolissimi. "Di-cearco, dice s. Girolamo, racconta nei suoi libri delle antichitàgreche, che sotto il regno di Saturno, in cui la terra era ancorfertile da se stessa, verun uomo non mangiava carne, ma chetutti vivevano di frutti e di legumi, i quali crescevano natural-mente" (lib. 2 adv. Jovinian.). Si può vedere da ciò, ch'io tra-scuro molti vantaggi che potrei far valere. Imperciocchè essen-do la preda quasi l'unico soggetto del combattimento fra glianimali carnivori, e vivendo i frugivori in una pace continua, sela specie umana fosse di questo ultimo genere, è chiaro ch'essaavrebbe avuta maggior facilità per sussistere nello stato di na-tura, assai minori bisogni ed occasioni per sortirne.

(4) Tutte le cognizioni che chiedono della riflessione, tuttequelle che non si acquistano che coll'incatenamento delle idee,e non si perfezionano che successivamente, sembrano esseretutto affatto fuori della portata dell'uomo selvaggio; per man-canza di comunicazione coi suoi simili, cioè per mancanzadell'istrumento che serve a questa comunicazione, e dei bisogniche la rendono necessaria. Il suo sapere e la sua industria si ri-stringono a saltare, correre, battersi, slanciare una pietra, scala-re un albero. Ma se non sa che codeste cose, in cambio egli lesa assai meglio di noi, i quali non ne abbiamo lo stesso bisognoche lui; e come esse dipendono unicamente dall'esercizio delcorpo, e non sono suscettibili di una comunicazione, nè di ve-run progresso di un individuo all'altro, il primo uomo ha potutoessere tanto abile quanto i di lui ultimi discendenti.

Le relazioni dei viaggiatori sono ripiene di esempj della for-za e del vigore degli uomini appresso le nazioni barbare e sel-vagge; esse non vantano meno la loro destrezza e leggerezza; e

stini, i frugivori ne hanno alcuni tali che il colon, il quale non sitrova negli animali voraci. Sembra adunque che l'uomo, avendoi denti e gli intestini come li hanno gli animali frugivori, do-vrebbe essere naturalmente posto in questa classe; e non solo leosservazioni anatomiche confermano questa opinione, ma imonumenti dell'antichità vi sono ancora favorevolissimi. "Di-cearco, dice s. Girolamo, racconta nei suoi libri delle antichitàgreche, che sotto il regno di Saturno, in cui la terra era ancorfertile da se stessa, verun uomo non mangiava carne, ma chetutti vivevano di frutti e di legumi, i quali crescevano natural-mente" (lib. 2 adv. Jovinian.). Si può vedere da ciò, ch'io tra-scuro molti vantaggi che potrei far valere. Imperciocchè essen-do la preda quasi l'unico soggetto del combattimento fra glianimali carnivori, e vivendo i frugivori in una pace continua, sela specie umana fosse di questo ultimo genere, è chiaro ch'essaavrebbe avuta maggior facilità per sussistere nello stato di na-tura, assai minori bisogni ed occasioni per sortirne.

(4) Tutte le cognizioni che chiedono della riflessione, tuttequelle che non si acquistano che coll'incatenamento delle idee,e non si perfezionano che successivamente, sembrano esseretutto affatto fuori della portata dell'uomo selvaggio; per man-canza di comunicazione coi suoi simili, cioè per mancanzadell'istrumento che serve a questa comunicazione, e dei bisogniche la rendono necessaria. Il suo sapere e la sua industria si ri-stringono a saltare, correre, battersi, slanciare una pietra, scala-re un albero. Ma se non sa che codeste cose, in cambio egli lesa assai meglio di noi, i quali non ne abbiamo lo stesso bisognoche lui; e come esse dipendono unicamente dall'esercizio delcorpo, e non sono suscettibili di una comunicazione, nè di ve-run progresso di un individuo all'altro, il primo uomo ha potutoessere tanto abile quanto i di lui ultimi discendenti.

Le relazioni dei viaggiatori sono ripiene di esempj della for-za e del vigore degli uomini appresso le nazioni barbare e sel-vagge; esse non vantano meno la loro destrezza e leggerezza; e

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come non vi abbisognano che degli occhi per osservare codestecose, nulla si oppone dal prestar credenza a ciò che certificanosu tal proposito i testimonj oculari; ne traggo a sorte alcuniesempj dai primi libri che mi vengono alle mani.

"Gli Ottentotti, dice Kolben, intendono meglio la pesca de-gli Europei del Capo. La loro abilità è eguale alla rete, all'amo,ed al dardo, nelle anse come ne' fiumi. Essi prendono collastessa destrezza il pesce colle mani. Sono di una incomparabiledestrezza anche al nuotare. La loro maniera di nuotare ha qual-che cosa di sorprendente, ed è loro affatto propria. Nuotano colcorpo diritto e le mani stese, fuori dell'acqua, di maniera chesembrano camminare sopra la terra. Nella maggior agitazionedel mare, ed allorchè le onde formano tante montagne, essi bal-lano in qualche maniera sul dorso delle onde, ascendono e di-scendono come un pezzo di sovero.''

''Gli Ottentotti, dice ancora lo stesso autore, sono di unadestrezza sorprendente alla caccia, e la leggerezza della lorocorsa sorpassa l'immaginazione.'' Egli si stupisce che nonfacciano più sovente cattivo uso della loro agilità, lo chesuccede, non ostante alcune volte, come si può giudicaredall'esempio ch'egli ne dà. "Un marinaio olandese sbarcandoal Capo incaricò, dic'egli, un Ottentotto di seguirlo alla cittàcon un rotolo di tabacco di circa venti libbre. Allorachè fu-rono ambidue a qualche distanza dalla truppa, l'Ottentottochiese al marinaro se sapeva correre? Correre! risposel'olandese, sì, molto bene. - Vediamo, riprese l'africano; efuggendo col tabacco disparve instantaneamente. Il marina-ro confuso di codesta maravigliosa velocità, non pensò a se-guirlo, e non rivide più nè il suo tabacco, nè il portatore diesso.''

''Essi hanno la vista tanto pronta, e la mano tanto certa,che gli Europei non se ne avvicinano. A cento passi, essicolpiranno con una pietra un segno della grandezza di unmezzo soldo; e ciò che vi è di più sorprendente si è, che in

come non vi abbisognano che degli occhi per osservare codestecose, nulla si oppone dal prestar credenza a ciò che certificanosu tal proposito i testimonj oculari; ne traggo a sorte alcuniesempj dai primi libri che mi vengono alle mani.

"Gli Ottentotti, dice Kolben, intendono meglio la pesca de-gli Europei del Capo. La loro abilità è eguale alla rete, all'amo,ed al dardo, nelle anse come ne' fiumi. Essi prendono collastessa destrezza il pesce colle mani. Sono di una incomparabiledestrezza anche al nuotare. La loro maniera di nuotare ha qual-che cosa di sorprendente, ed è loro affatto propria. Nuotano colcorpo diritto e le mani stese, fuori dell'acqua, di maniera chesembrano camminare sopra la terra. Nella maggior agitazionedel mare, ed allorchè le onde formano tante montagne, essi bal-lano in qualche maniera sul dorso delle onde, ascendono e di-scendono come un pezzo di sovero.''

''Gli Ottentotti, dice ancora lo stesso autore, sono di unadestrezza sorprendente alla caccia, e la leggerezza della lorocorsa sorpassa l'immaginazione.'' Egli si stupisce che nonfacciano più sovente cattivo uso della loro agilità, lo chesuccede, non ostante alcune volte, come si può giudicaredall'esempio ch'egli ne dà. "Un marinaio olandese sbarcandoal Capo incaricò, dic'egli, un Ottentotto di seguirlo alla cittàcon un rotolo di tabacco di circa venti libbre. Allorachè fu-rono ambidue a qualche distanza dalla truppa, l'Ottentottochiese al marinaro se sapeva correre? Correre! risposel'olandese, sì, molto bene. - Vediamo, riprese l'africano; efuggendo col tabacco disparve instantaneamente. Il marina-ro confuso di codesta maravigliosa velocità, non pensò a se-guirlo, e non rivide più nè il suo tabacco, nè il portatore diesso.''

''Essi hanno la vista tanto pronta, e la mano tanto certa,che gli Europei non se ne avvicinano. A cento passi, essicolpiranno con una pietra un segno della grandezza di unmezzo soldo; e ciò che vi è di più sorprendente si è, che in

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vece di fissar come noi gli occhi allo scopo, essi fanno deimovimenti e delle contorsioni continue. Pare che la loro pie-tra sia portata da una mano invisibile''.Il padre du Tertre dice allo incirca su i selvaggi delle Antille

le cose stesse che ora si sono lette sopra gli Ottentotti del Capodi Buona Speranza. Egli vanta soprattutto la loro aggiustatezzanel colpire colle loro frecce gli uccelli a volo, ed i pesci a nuo-to, che prendono poi immergendosi. I selvaggi dell'Americasettentrionale non sono meno celebri per la loro forza e per laloro destrezza: ed ecco un esempio il quale potrà far giudicaredi quella degli Indiani dell'America meridionale.

Nell'anno 1746 un indiano di Buenos-Aires essendo statocondannato alle galere a Cadice, propose di riscattare la sua Ii-bertà esponendo la sua vita in una pubblica festa. Promise cheattaccherebbe solo il più furioso toro senza altra arma in manoche una corda, che egli lo atterrerebbe, ch'egli lo prenderebbecolla sua corda per quella parte che gli sarebbe indicata, che loinsellerebbe, lo briglierebbe, monterebbe, e combatterebbe cosìmontato due altri tori dei più furiosi che si farebbero sortire dalTorillo; e che li metterebbe tutti a morte uno dopo l'altro nelloistante che gli fosse comandato e senza il soccorso di veruno;lochè gli fu accordato. L'Indiano mantenne la sua parola, e riu-scì in tutto ciò che aveva promesso; sulla maniera con cui si di-resse, e soprattutto sul detaglio del combattimento, si può con-sultare il primo tomo in I2 delle osservazioni sulla storia natu-rale del sig. Gaùtier, da dove questo fatto è tratto. Pag. 262

(5) La durata della vita dei cavalli, dice il sig. di Buffon, è,come in tutte le altre specie di animali, proporzionata alla dura-ta del tempo del loro accrescimento. L'uomo, il quale sta quat-tordici anni a crescere, può vivere sei, o sette volte tanto tempo,cioè novanta, o cento anni: il cavallo, di cui l'accrescimento sifa in quattro anni, può vivere sei, o sette volte tanto, cioè venti-cinque, o trenta anni. Gli esempj che possono essere contrarj aquesta regola, sono così rari, che non si debbono riguardarli

vece di fissar come noi gli occhi allo scopo, essi fanno deimovimenti e delle contorsioni continue. Pare che la loro pie-tra sia portata da una mano invisibile''.Il padre du Tertre dice allo incirca su i selvaggi delle Antille

le cose stesse che ora si sono lette sopra gli Ottentotti del Capodi Buona Speranza. Egli vanta soprattutto la loro aggiustatezzanel colpire colle loro frecce gli uccelli a volo, ed i pesci a nuo-to, che prendono poi immergendosi. I selvaggi dell'Americasettentrionale non sono meno celebri per la loro forza e per laloro destrezza: ed ecco un esempio il quale potrà far giudicaredi quella degli Indiani dell'America meridionale.

Nell'anno 1746 un indiano di Buenos-Aires essendo statocondannato alle galere a Cadice, propose di riscattare la sua Ii-bertà esponendo la sua vita in una pubblica festa. Promise cheattaccherebbe solo il più furioso toro senza altra arma in manoche una corda, che egli lo atterrerebbe, ch'egli lo prenderebbecolla sua corda per quella parte che gli sarebbe indicata, che loinsellerebbe, lo briglierebbe, monterebbe, e combatterebbe cosìmontato due altri tori dei più furiosi che si farebbero sortire dalTorillo; e che li metterebbe tutti a morte uno dopo l'altro nelloistante che gli fosse comandato e senza il soccorso di veruno;lochè gli fu accordato. L'Indiano mantenne la sua parola, e riu-scì in tutto ciò che aveva promesso; sulla maniera con cui si di-resse, e soprattutto sul detaglio del combattimento, si può con-sultare il primo tomo in I2 delle osservazioni sulla storia natu-rale del sig. Gaùtier, da dove questo fatto è tratto. Pag. 262

(5) La durata della vita dei cavalli, dice il sig. di Buffon, è,come in tutte le altre specie di animali, proporzionata alla dura-ta del tempo del loro accrescimento. L'uomo, il quale sta quat-tordici anni a crescere, può vivere sei, o sette volte tanto tempo,cioè novanta, o cento anni: il cavallo, di cui l'accrescimento sifa in quattro anni, può vivere sei, o sette volte tanto, cioè venti-cinque, o trenta anni. Gli esempj che possono essere contrarj aquesta regola, sono così rari, che non si debbono riguardarli

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neppur come una eccezione, da cui si possan trarre delle conse-guenze; e come i cavalli grossolani prendono il loro accresci-mento in minor tempo che i cavalli fini, così essi vivono altresìmeno, e sono vecchi dell'età di quindici anni.

(6) Parmi vedere fra gli animali carnivori e frugivori un'altradifferenza ancor più generale di quella che ho rimarcata, nellanota (3), poichè questa si estende fino agli uccelli. Codesta dif-ferenza consiste nel numero de' piccoli, il quale non eccedequello di due in ciascuna portata per quelle specie le quali nonvivono che di vegetabili, e va ordinariamente al di là di questonumero per gli animali voraci. È facile il conoscere a questo ri-guardo la destinazione della natura dal numero delle mammel-le, il quale non è che di due in ciascuna femmina della primaspecie, come la cavalla, la vacca, la capra, la cerva, la pecora,ec., e che è sempre di sei, o di otto nelle altre femmine, come lacagna, la gatta, la lupa, la tigre, ec. La gallina, l'oca, l'anitra,che sono tutti uccelli voraci, come pure l'aquila, lo sparviere, lacivetta fanno pure e covano un gran numero d'uova, lochè nonsuccede mai alla colomba, alla tortora nè agli uccelli, i qualinon mangiano assolutamente che grano, e non fanno e non co-vano che due uova per volta. La ragione che si può dare di que-sta differenza, si è, che gli animali i quali non vivono che dierbe e di piante, restando quasi tutto il giorno alla pastura, edessendo sforzati d'impiegare molto tempo a nutrirsi, non po-trebbero bastare per allattare molti piccoli, invece che i voracifacendo il loro pranzo quasi in un istante, possono più facil-mente e più sovente ritornare a' loro figliuoli ed alla loro cac-cia, e riparare la dissipazione di una sì gran quantità di latte. Visarebbero a tutto questo molte osservazioni particolari e rifles-sioni da farsi; ma non è questo il luogo, e mi basta di aver mo-strato in questa parte il sistema il più generale della natura, si-stema il quale somministra una nuova ragione per trarre l'uomodalla classe degli animali carnivori, e per riordinarli fra le spe-cie frugivore.

neppur come una eccezione, da cui si possan trarre delle conse-guenze; e come i cavalli grossolani prendono il loro accresci-mento in minor tempo che i cavalli fini, così essi vivono altresìmeno, e sono vecchi dell'età di quindici anni.

(6) Parmi vedere fra gli animali carnivori e frugivori un'altradifferenza ancor più generale di quella che ho rimarcata, nellanota (3), poichè questa si estende fino agli uccelli. Codesta dif-ferenza consiste nel numero de' piccoli, il quale non eccedequello di due in ciascuna portata per quelle specie le quali nonvivono che di vegetabili, e va ordinariamente al di là di questonumero per gli animali voraci. È facile il conoscere a questo ri-guardo la destinazione della natura dal numero delle mammel-le, il quale non è che di due in ciascuna femmina della primaspecie, come la cavalla, la vacca, la capra, la cerva, la pecora,ec., e che è sempre di sei, o di otto nelle altre femmine, come lacagna, la gatta, la lupa, la tigre, ec. La gallina, l'oca, l'anitra,che sono tutti uccelli voraci, come pure l'aquila, lo sparviere, lacivetta fanno pure e covano un gran numero d'uova, lochè nonsuccede mai alla colomba, alla tortora nè agli uccelli, i qualinon mangiano assolutamente che grano, e non fanno e non co-vano che due uova per volta. La ragione che si può dare di que-sta differenza, si è, che gli animali i quali non vivono che dierbe e di piante, restando quasi tutto il giorno alla pastura, edessendo sforzati d'impiegare molto tempo a nutrirsi, non po-trebbero bastare per allattare molti piccoli, invece che i voracifacendo il loro pranzo quasi in un istante, possono più facil-mente e più sovente ritornare a' loro figliuoli ed alla loro cac-cia, e riparare la dissipazione di una sì gran quantità di latte. Visarebbero a tutto questo molte osservazioni particolari e rifles-sioni da farsi; ma non è questo il luogo, e mi basta di aver mo-strato in questa parte il sistema il più generale della natura, si-stema il quale somministra una nuova ragione per trarre l'uomodalla classe degli animali carnivori, e per riordinarli fra le spe-cie frugivore.

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(7) Un celebre autore calcolando i beni ed i mali della vitaumana, e paragonando le due somme, ha trovato che l'ultimasorpassava di molto la prima, e che a prender tutto, la vita eraper l'uomo un assai cattivo dono. Io non sono sorpreso dellasua conclusione; egli trasse tutti i suoi ragionamenti dalla costi-tuzione dell'uomo civile: s'egli fosse rimontato fino all'uomonaturale, si può giudicare che avrebbe trovato dei risultati diffe-rentissimi, che avrebbe veduto non aver l'uomo altri mali senon quelli ch'egli sì è dato da se medesimo, e che sarebbe statagiustificata la natura. Non è già che senza fatica siamo giunti arenderci infelici. Quando da un lato si considerano gl'immensitravagli degli uomini, tante scienze approfondate, tante arti in-ventate, tante forze impiegate, abissi riempiuti, montagne rasa-te, rocche infrante, fiumi resi navigabili, terre dissodate, laghiscavati, paludi diseccate, fabbriche enormi innalzate sopra laterra, coperto il mare di vascelli e di marinari; e che dall'altrolato si ricerchino con un poca di meditazione i veri vantaggiche ne sono risultati da tutto ciò per la felicità della specieumana; non si può ch'essere colpiti della sorprendente spropor-zione che regna fra codeste cose, e deplorare l'acciecamentodell'uomo, il quale per nutrire il suo folle orgoglio, e non soqual vana ammirazione di lui medesimo, lo fa correre con ardo-re dietro tutte le miserie di cui egli è suscettibile, e che la bene-fica natura aveva preso cura di allontanare da esso.

Gli uomini sono cattivi; una trista e continua sperienza di-spensa dal provarlo; nonostante l'uomo è naturalmente buono,io credo di averlo dimostrato; cosa altro mai dunque può averlodepravato a questo segno se non i cangiamenti sopravvenutinella sua costituzione, i progressi che ha fatti, e le cognizioniche ha acquistate? Che si ammiri tanto che si vorrà la societàumana, non sarà meno vero ch'essa porta necessariamente gliuomini a reciprocamente odiarsi a proporzione dell'incrocia-mento de' loro interessi, a rendersi mutualmente dei servigi ap-parenti, ed a farsi in fatto tutti i mali immaginabili. Che si può

(7) Un celebre autore calcolando i beni ed i mali della vitaumana, e paragonando le due somme, ha trovato che l'ultimasorpassava di molto la prima, e che a prender tutto, la vita eraper l'uomo un assai cattivo dono. Io non sono sorpreso dellasua conclusione; egli trasse tutti i suoi ragionamenti dalla costi-tuzione dell'uomo civile: s'egli fosse rimontato fino all'uomonaturale, si può giudicare che avrebbe trovato dei risultati diffe-rentissimi, che avrebbe veduto non aver l'uomo altri mali senon quelli ch'egli sì è dato da se medesimo, e che sarebbe statagiustificata la natura. Non è già che senza fatica siamo giunti arenderci infelici. Quando da un lato si considerano gl'immensitravagli degli uomini, tante scienze approfondate, tante arti in-ventate, tante forze impiegate, abissi riempiuti, montagne rasa-te, rocche infrante, fiumi resi navigabili, terre dissodate, laghiscavati, paludi diseccate, fabbriche enormi innalzate sopra laterra, coperto il mare di vascelli e di marinari; e che dall'altrolato si ricerchino con un poca di meditazione i veri vantaggiche ne sono risultati da tutto ciò per la felicità della specieumana; non si può ch'essere colpiti della sorprendente spropor-zione che regna fra codeste cose, e deplorare l'acciecamentodell'uomo, il quale per nutrire il suo folle orgoglio, e non soqual vana ammirazione di lui medesimo, lo fa correre con ardo-re dietro tutte le miserie di cui egli è suscettibile, e che la bene-fica natura aveva preso cura di allontanare da esso.

Gli uomini sono cattivi; una trista e continua sperienza di-spensa dal provarlo; nonostante l'uomo è naturalmente buono,io credo di averlo dimostrato; cosa altro mai dunque può averlodepravato a questo segno se non i cangiamenti sopravvenutinella sua costituzione, i progressi che ha fatti, e le cognizioniche ha acquistate? Che si ammiri tanto che si vorrà la societàumana, non sarà meno vero ch'essa porta necessariamente gliuomini a reciprocamente odiarsi a proporzione dell'incrocia-mento de' loro interessi, a rendersi mutualmente dei servigi ap-parenti, ed a farsi in fatto tutti i mali immaginabili. Che si può

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pensar di un commercio, ove la ragione di ciascun particolaregli detta delle massime direttamente contrarie a quelle che laragion pubblica predica al corpo della società, e dove ciascunotrova il suo conto nella sventura degli altri? Non vi è forse unuomo comodo, a cui dagli avidi eredi, e sovente dai proprj figlinon sia in secreto desiderata la morte; non un vascello in mare,il di cui naufragio non sia una buona nuova per qualche nego-ziante; non una casa che un debitore non volesse vedere incen-diata con tutte le carte in essa contenute; non un popolo il qualenon si rallegri dei disastri dei suoi vicini. In tal guisa noi trovia-mo il nostro vantaggio nel pregiudizio de' nostri simili, e che laperdita dell'uno fa quasi sempre la prosperità dell'altro; ma ciòche vi è di più pericoloso ancora, egli è che le pubbliche cala-mità fanno l'aspettativa e la speranza di una moltitudine di par-ticolari. Gli uni vogliono delle malattie, gli altri la mortalità,questi la guerra, quelli la carestia; ho veduto degli uomini orri-bili pianger di doglia alle apparenze di un'annata fertile; ed ilgrande e funesto incendio di Londra, il quale costò la vita ed ibeni a tanti infelici, fece forse la fortuna a più di diecimila per-sone. So che Montagne biasima l'ateniese Demade di aver fattopunire un operaio, il quale vendendo molto caro i feretri, gua-dagnava molto alla morte de' cittadini; ma la ragione che ne ad-duce Montagne essendo che converrebbe punire tutti, egli èevidente che conferma le mie. Che si penetri adunque a traver-so delle nostre frivole dimostrazioni di benevolenza ciò chepassa al fondo dei cuori, e si rifletta a ciò che deve essere unostato di cose in cui tutti gli uomini sono sforzati di accarezzarsie di distruggersi mutuamente, e nel quale nascono inimici perdovere, e furbi per interesse. Se mi si risponde che la società ètalmente costituita, che ciascuno guadagna a servir gli altri, ioreplicherò che ciò andrebbe bene s'egli non guadagnasse ancorpiù a nuocergli. Non vi è profitto tanto legittimo, il quale nonsia sorpassato da quello che far si può illegittimamente, ed iltortofatto al prossimo è ancor più lucrativo dei servigi. Non si

pensar di un commercio, ove la ragione di ciascun particolaregli detta delle massime direttamente contrarie a quelle che laragion pubblica predica al corpo della società, e dove ciascunotrova il suo conto nella sventura degli altri? Non vi è forse unuomo comodo, a cui dagli avidi eredi, e sovente dai proprj figlinon sia in secreto desiderata la morte; non un vascello in mare,il di cui naufragio non sia una buona nuova per qualche nego-ziante; non una casa che un debitore non volesse vedere incen-diata con tutte le carte in essa contenute; non un popolo il qualenon si rallegri dei disastri dei suoi vicini. In tal guisa noi trovia-mo il nostro vantaggio nel pregiudizio de' nostri simili, e che laperdita dell'uno fa quasi sempre la prosperità dell'altro; ma ciòche vi è di più pericoloso ancora, egli è che le pubbliche cala-mità fanno l'aspettativa e la speranza di una moltitudine di par-ticolari. Gli uni vogliono delle malattie, gli altri la mortalità,questi la guerra, quelli la carestia; ho veduto degli uomini orri-bili pianger di doglia alle apparenze di un'annata fertile; ed ilgrande e funesto incendio di Londra, il quale costò la vita ed ibeni a tanti infelici, fece forse la fortuna a più di diecimila per-sone. So che Montagne biasima l'ateniese Demade di aver fattopunire un operaio, il quale vendendo molto caro i feretri, gua-dagnava molto alla morte de' cittadini; ma la ragione che ne ad-duce Montagne essendo che converrebbe punire tutti, egli èevidente che conferma le mie. Che si penetri adunque a traver-so delle nostre frivole dimostrazioni di benevolenza ciò chepassa al fondo dei cuori, e si rifletta a ciò che deve essere unostato di cose in cui tutti gli uomini sono sforzati di accarezzarsie di distruggersi mutuamente, e nel quale nascono inimici perdovere, e furbi per interesse. Se mi si risponde che la società ètalmente costituita, che ciascuno guadagna a servir gli altri, ioreplicherò che ciò andrebbe bene s'egli non guadagnasse ancorpiù a nuocergli. Non vi è profitto tanto legittimo, il quale nonsia sorpassato da quello che far si può illegittimamente, ed iltortofatto al prossimo è ancor più lucrativo dei servigi. Non si

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tratta dunque più che di trovare i mezzi di assicurarsi l'impuni-tà, ed in questi appunto i potenti impiegano tutte le loro forze,ed i deboli tutte le loro astuzie.

L'uomo selvaggio quando ha pranzato è in pace con tutta lanatura, e l'amico di tutti i suoi simili. Si tratta qualche volta didisputare il suo pranzo? egli non giugne mai fino ai colpi senzaaver prima paragonata la difficoltà di vincere con quella di tro-var altrove la sua sussistenza; e siccome l'orgoglio non si mi-schia giammai del combattimento; egli si finisce con alcunepugna; il vincitore mangia, il vinto va a cercar fortuna, ed è pa-cificato il tutto. Ma appresso l'uomo in società gli affari sonoben diversi; si tratta prima di provvedere al necessario; poi alsuperfluo, indi vengono le delizie, poi le immense ricchezze,poi i sudditi, e indi gli schiavi; non vi è un momento di riposo;ciò che vi è di più singolare, si è che quanto meno i bisognisono naturali e premurosi, tanto più le passioni si accrescono, eciò che è peggio, il potere di soddisfarle; di maniera che dopolunghe prosperità, dopo aver ingoiati molti tesori e desolatimolti uomini, il mio eroe finirà collo scannar tutti finchè eglisia l'unico padrone dell'universo. Tale è in ristretto il quadromorale, se non della vita umana, almeno delle pretensioni se-crete del cuore di ogni uomo incivilito.

Paragonate senza pregiudizj lo stato dell'uomo civile conquello dell'uomo selvaggio, e ricercate, se voi lo potete, quantooltre la sua malvagità, i suoi bisogni, e le sue miserie, il primoabbia aperte nuove porte al dolore ed alla morte. Se voi conside-rate le pene dello spirito che ci consumano, le passioni violentiche ci rifiniscono e ci desolano, i travagli eccessivi di cui i po-veri sono sopraccaricati, la mollezza ancor più pericolosa allaquale i ricchi si abbandonano, ed i quali fanno morire gli unidal loro bisogno, e gli altri dai loro eccessi. Se fate riflesso allemostruose mescolanze di alimenti, alle loro perniciose conditu-re, alle derrate corrotte, alle droghe falsificate, alle furberie diquelli che le vendono, agli errori di quelli che le amministrano,

tratta dunque più che di trovare i mezzi di assicurarsi l'impuni-tà, ed in questi appunto i potenti impiegano tutte le loro forze,ed i deboli tutte le loro astuzie.

L'uomo selvaggio quando ha pranzato è in pace con tutta lanatura, e l'amico di tutti i suoi simili. Si tratta qualche volta didisputare il suo pranzo? egli non giugne mai fino ai colpi senzaaver prima paragonata la difficoltà di vincere con quella di tro-var altrove la sua sussistenza; e siccome l'orgoglio non si mi-schia giammai del combattimento; egli si finisce con alcunepugna; il vincitore mangia, il vinto va a cercar fortuna, ed è pa-cificato il tutto. Ma appresso l'uomo in società gli affari sonoben diversi; si tratta prima di provvedere al necessario; poi alsuperfluo, indi vengono le delizie, poi le immense ricchezze,poi i sudditi, e indi gli schiavi; non vi è un momento di riposo;ciò che vi è di più singolare, si è che quanto meno i bisognisono naturali e premurosi, tanto più le passioni si accrescono, eciò che è peggio, il potere di soddisfarle; di maniera che dopolunghe prosperità, dopo aver ingoiati molti tesori e desolatimolti uomini, il mio eroe finirà collo scannar tutti finchè eglisia l'unico padrone dell'universo. Tale è in ristretto il quadromorale, se non della vita umana, almeno delle pretensioni se-crete del cuore di ogni uomo incivilito.

Paragonate senza pregiudizj lo stato dell'uomo civile conquello dell'uomo selvaggio, e ricercate, se voi lo potete, quantooltre la sua malvagità, i suoi bisogni, e le sue miserie, il primoabbia aperte nuove porte al dolore ed alla morte. Se voi conside-rate le pene dello spirito che ci consumano, le passioni violentiche ci rifiniscono e ci desolano, i travagli eccessivi di cui i po-veri sono sopraccaricati, la mollezza ancor più pericolosa allaquale i ricchi si abbandonano, ed i quali fanno morire gli unidal loro bisogno, e gli altri dai loro eccessi. Se fate riflesso allemostruose mescolanze di alimenti, alle loro perniciose conditu-re, alle derrate corrotte, alle droghe falsificate, alle furberie diquelli che le vendono, agli errori di quelli che le amministrano,

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al veleno de' vasi ne' quali si preparano; se fate attenziope allemalattie epidemiche, generate dalla cattiva aria fra una moltitu-dine di uomini riuniti, a quelle che occasionano la delicatezzadella nostra maniera di vivere, agli alternativi passaggidell'interiore delle nostre case alla grande aria, all'uso de' vestitipresi, o lasciati con troppo poca precauzione, e a tutte le cureche la nostra sensualità eccessiva ha volte in abitudini necessa-rie, e la di cui negligenza o privazione ci costa in seguito lavita, o la salute; se voi mettete in linea di conto gli incendj ed iterremoti, i quali consumando o rovesciando delle città interefanno perire gli abitanti a migliaia; in una parola, se voi riunitei pericoli che tutte queste cause riuniscono continuamente so-pra le nostre teste, voi sentirete quanto la natura ci faccia pagarcaro il dispregio che abbiamo fatto delle sue lezioni.

Non ripeterò quivi sulla guerra ciò che ne dissi altrove; mavorrei che le persone istrutte volessero, oppure osassero dareuna volta al pubblico il detaglio degli orrori che si commettononelle armate dagli appaltatori de' viveri e degli ospitali; si ve-drebbe che i loro maneggi non troppo secreti, col mezzo de'quali le più brillanti armate si distruggono in un istante, fannoperire più soldati di quelli ne mieta il ferro nemico; egli è uncalcolo non meno sorprendente quello degli uomini che il mareingoia tutti gli anni col mezzo della fame, dello scorbuto, deipirati, del fuoco, dei naufragj. È chiaro ancora che convienmettere in conto della proprietà stabilita, e per conseguenzadella società, gli assassinamenti, gli avvelenamenti, i furti dellegrandi strade, e le stesse punizioni di codesti delitti; punizioninecessarie onde prevenire maggiori mali, ma le quali, perl'omicidio di un uomo, costando la vita a due ed anco a più,non lasciano di raddoppiar realmente la perdita della specieumana. Quanti mezzi vergognosi per impedire la nascita degliuomini, ed ingannare la natura? Sia col mezzo di que' gusti bru-tali e depravati, i quali insultano l'opera sua più diletta, gustiche nè i selvaggi nè gli animali conobbero giammai, ed i quali

al veleno de' vasi ne' quali si preparano; se fate attenziope allemalattie epidemiche, generate dalla cattiva aria fra una moltitu-dine di uomini riuniti, a quelle che occasionano la delicatezzadella nostra maniera di vivere, agli alternativi passaggidell'interiore delle nostre case alla grande aria, all'uso de' vestitipresi, o lasciati con troppo poca precauzione, e a tutte le cureche la nostra sensualità eccessiva ha volte in abitudini necessa-rie, e la di cui negligenza o privazione ci costa in seguito lavita, o la salute; se voi mettete in linea di conto gli incendj ed iterremoti, i quali consumando o rovesciando delle città interefanno perire gli abitanti a migliaia; in una parola, se voi riunitei pericoli che tutte queste cause riuniscono continuamente so-pra le nostre teste, voi sentirete quanto la natura ci faccia pagarcaro il dispregio che abbiamo fatto delle sue lezioni.

Non ripeterò quivi sulla guerra ciò che ne dissi altrove; mavorrei che le persone istrutte volessero, oppure osassero dareuna volta al pubblico il detaglio degli orrori che si commettononelle armate dagli appaltatori de' viveri e degli ospitali; si ve-drebbe che i loro maneggi non troppo secreti, col mezzo de'quali le più brillanti armate si distruggono in un istante, fannoperire più soldati di quelli ne mieta il ferro nemico; egli è uncalcolo non meno sorprendente quello degli uomini che il mareingoia tutti gli anni col mezzo della fame, dello scorbuto, deipirati, del fuoco, dei naufragj. È chiaro ancora che convienmettere in conto della proprietà stabilita, e per conseguenzadella società, gli assassinamenti, gli avvelenamenti, i furti dellegrandi strade, e le stesse punizioni di codesti delitti; punizioninecessarie onde prevenire maggiori mali, ma le quali, perl'omicidio di un uomo, costando la vita a due ed anco a più,non lasciano di raddoppiar realmente la perdita della specieumana. Quanti mezzi vergognosi per impedire la nascita degliuomini, ed ingannare la natura? Sia col mezzo di que' gusti bru-tali e depravati, i quali insultano l'opera sua più diletta, gustiche nè i selvaggi nè gli animali conobbero giammai, ed i quali

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non sono nati nei paesi politi che da una immaginazione corrot-ta; sia col mezzo di quegli aborti secreti, degni frutti della dis-solutezza e dell'onor vizioso; sia col mezzo della esposizione, odella morte di una moltitudine di fanciulli, vittime della miseriade' loro padri, o della barbara vergogna delle loro madri; sia in-fine dalla mutilazione di quegl'infelici, una parte della cui esi-stenza e tutta la posterità sono sacrificate a vane canzoni, o ciòche è peggio ancora, alla brutale gelosia di alcuni uomini: mu-tilazione la quale in questo ultimo caso oltraggia doppiamentela natura, e dal trattamento che ricevono quelli che la soffrono,e dall'uso a cui sono destinati. Che sarebbe se intraprendessi adimostrare la specie umana attaccata nella stessa sua sorgente,e sino nel più santo di tutti i legami, ove noti si ardisce più diascoltar la natura se non dopo di aver consultata la fortuna, edove il disordine civile confondendo le virtù ed i vizj, divienela continenza una precauzione peccaminosa, ed il rifiuto di darla vita ad un suo simile, un atto di umanità? Ma senza lacerareil velo che copre tanti orrori, contentiamoci d'indicare il male alquale altri debbono recare il rimedio.

Che si aggiunga a tutto ciò quella quantità di mestieri malsa-ni, i quali abbreviano i giorni, o distruggono il temperamento;come sono i lavori delle mine, le varie preparazioni dei metalli,dei minerali, soprattutto del piombo, del rame, del mercurio,del cobalto, dell'arsenico, della sandracca; quegli altri mestieriperigliosi, i quali costano ogni giorno la vita a quantità di ope-rarj, gli uni conciatetti, altri carpentieri; altri muratori, altri chelavorano nelle cave; che si riuniscano, dico, tutti codesti ogget-ti, e si potranno vedere nello stabilimento e perfezione della so-cietà le ragioni della diminuzione della specie, osservata da piùdi un filosofo.

Il lusso, impossibile da prevenirsi appresso uomini avidi de'loro proprj comodi, e della considerazione degli altri, compisceben presto il male che le società hanno cominciato; e sotto pre-testo di far vivere i poveri, che non bisogna farli, egli impoveri-

non sono nati nei paesi politi che da una immaginazione corrot-ta; sia col mezzo di quegli aborti secreti, degni frutti della dis-solutezza e dell'onor vizioso; sia col mezzo della esposizione, odella morte di una moltitudine di fanciulli, vittime della miseriade' loro padri, o della barbara vergogna delle loro madri; sia in-fine dalla mutilazione di quegl'infelici, una parte della cui esi-stenza e tutta la posterità sono sacrificate a vane canzoni, o ciòche è peggio ancora, alla brutale gelosia di alcuni uomini: mu-tilazione la quale in questo ultimo caso oltraggia doppiamentela natura, e dal trattamento che ricevono quelli che la soffrono,e dall'uso a cui sono destinati. Che sarebbe se intraprendessi adimostrare la specie umana attaccata nella stessa sua sorgente,e sino nel più santo di tutti i legami, ove noti si ardisce più diascoltar la natura se non dopo di aver consultata la fortuna, edove il disordine civile confondendo le virtù ed i vizj, divienela continenza una precauzione peccaminosa, ed il rifiuto di darla vita ad un suo simile, un atto di umanità? Ma senza lacerareil velo che copre tanti orrori, contentiamoci d'indicare il male alquale altri debbono recare il rimedio.

Che si aggiunga a tutto ciò quella quantità di mestieri malsa-ni, i quali abbreviano i giorni, o distruggono il temperamento;come sono i lavori delle mine, le varie preparazioni dei metalli,dei minerali, soprattutto del piombo, del rame, del mercurio,del cobalto, dell'arsenico, della sandracca; quegli altri mestieriperigliosi, i quali costano ogni giorno la vita a quantità di ope-rarj, gli uni conciatetti, altri carpentieri; altri muratori, altri chelavorano nelle cave; che si riuniscano, dico, tutti codesti ogget-ti, e si potranno vedere nello stabilimento e perfezione della so-cietà le ragioni della diminuzione della specie, osservata da piùdi un filosofo.

Il lusso, impossibile da prevenirsi appresso uomini avidi de'loro proprj comodi, e della considerazione degli altri, compisceben presto il male che le società hanno cominciato; e sotto pre-testo di far vivere i poveri, che non bisogna farli, egli impoveri-

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sce tutto il resto, e spopola presto o tardi lo Stato.Il lusso è un rimedio assai peggiore del male ch'egli preten-

de di guarire; o piuttosto egli è il peggiore di tutti i mali, inqualunque stato grande, o piccolo ch'egli possa essere, ed ilquale per nudrire una folla di servi e di miserabili ch'egli ha fat-to, opprime e rovina l'agricoltore ed il cittadino: simili a que'venti cocenti del mezzodì, i quali coprono l'erba e la verdurad'insetti devoranti, levano la sussistenza agli animali utili, eportano la carestia e la morte in tutti i luoghi dove si fanno sen-tire.

Dalla società e dal lusso ch'essa genera nascono le arti libe-rali e meccaniche, il commercio, le lettere, e tutte quelle inutili-tà che fanno fiorire l'industria, arricchiscono e perdono gli Sta-ti. La ragione di codesto deperimento è semplicissima. È facilea vedersi che per sua natura l'agricoltura deve essere la menolucrativa di tutte le arti; imperciocchè il suo prodotto essendodell'uso il più indispensabile per tutti gli uomini, il prezzo nedeve essere proporzionato alle facoltà dei più poveri. Dallostesso principio si può trar questa regola, che in generale le artisono lucrative in ragione inversa della loro utilità, e che i piùnecessarj debbono essere alla fine i più negletti. Dal che si vedeciò che bisogna pensare dei veri vantaggi dell'industria; edell'effetto reale che risulti da' suoi progressi.

Tali sono le cause sensibili di tutte le miserie in cui l'opulen-za precipita al fine le nazioni le più ammirate. A misura chel'industria e le arti si estendono e fioriscono, il coltivatore di-sprezzato, caricato d'imposizioni necessarie al mantenimentodel lusso, e condannato a passar la sua vita fra il travaglio e lafame, abbandona i suoi campi; per andar a cercare nelle città ilpane ch'egli dovrebbe portare. Quantopiù le capitali colpisconodi ammirazione gli occhi stupidi del popolo, tanto più conver-rebbe gemere nel veder le campagne abbandonate, le terre in-colte, e le grandi strade inondate di sventurati cittadini resimendicanti o ladri, e destinati a finire un giorno la loro miseria

sce tutto il resto, e spopola presto o tardi lo Stato.Il lusso è un rimedio assai peggiore del male ch'egli preten-

de di guarire; o piuttosto egli è il peggiore di tutti i mali, inqualunque stato grande, o piccolo ch'egli possa essere, ed ilquale per nudrire una folla di servi e di miserabili ch'egli ha fat-to, opprime e rovina l'agricoltore ed il cittadino: simili a que'venti cocenti del mezzodì, i quali coprono l'erba e la verdurad'insetti devoranti, levano la sussistenza agli animali utili, eportano la carestia e la morte in tutti i luoghi dove si fanno sen-tire.

Dalla società e dal lusso ch'essa genera nascono le arti libe-rali e meccaniche, il commercio, le lettere, e tutte quelle inutili-tà che fanno fiorire l'industria, arricchiscono e perdono gli Sta-ti. La ragione di codesto deperimento è semplicissima. È facilea vedersi che per sua natura l'agricoltura deve essere la menolucrativa di tutte le arti; imperciocchè il suo prodotto essendodell'uso il più indispensabile per tutti gli uomini, il prezzo nedeve essere proporzionato alle facoltà dei più poveri. Dallostesso principio si può trar questa regola, che in generale le artisono lucrative in ragione inversa della loro utilità, e che i piùnecessarj debbono essere alla fine i più negletti. Dal che si vedeciò che bisogna pensare dei veri vantaggi dell'industria; edell'effetto reale che risulti da' suoi progressi.

Tali sono le cause sensibili di tutte le miserie in cui l'opulen-za precipita al fine le nazioni le più ammirate. A misura chel'industria e le arti si estendono e fioriscono, il coltivatore di-sprezzato, caricato d'imposizioni necessarie al mantenimentodel lusso, e condannato a passar la sua vita fra il travaglio e lafame, abbandona i suoi campi; per andar a cercare nelle città ilpane ch'egli dovrebbe portare. Quantopiù le capitali colpisconodi ammirazione gli occhi stupidi del popolo, tanto più conver-rebbe gemere nel veder le campagne abbandonate, le terre in-colte, e le grandi strade inondate di sventurati cittadini resimendicanti o ladri, e destinati a finire un giorno la loro miseria

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sulla ruota? o sopra un letamaio. In tal guisa arricchendosi loStato da un lato, s'infievolisce e si spopola dall'altro, e le piùpotenti monarchie dopo molti travagli per rendersi opulenti edeserte, finiscono per divenir la preda delle nazioni povere, lequali soccombono alla funesta tentazione d'invaderle, e le qualisi arricchiscono e si indeboliscono alla loro volta, finchè sienoesse pure invase e distrutte da altre.

Che si degnino spiegarci una volta ciò che abbian potutoprodurre quelle nuvole di barbari, i quali per il corso di tanti se-coli hanno inondata l'Europa, l'Asia, e l'Africa: dipendeva ciòdalla industria delle loro arti, dalla saviezza delle loro leggi,dall'eccellenza della loro polizia a cui dovevano codesta prodi-giosa popolazione? Che ci dicano i nostri sapienti perchè lungidal moltiplicare a cotal punto codesti uomini brutali e feroci,senza lumi, senza freno, senza educazione, non si scannavanessi a vicenda a ciascuno istante per disputarsi la loro pastura, ola loro caccia? Che ci spieghino come codesti miserabili abbia-no avuto solamente l'arditezza di riguardare in faccia le tantoabili persone, quali noi eravamo, con una così bella disciplinamilitare, con tanti bei codici, e con sì sagge leggi? Ci spieghinoinfine perchè, dopo essersi perfezionata la società nei paesi delNord, e che si sono prese tante cure per insegnare agli uomini iloro mutui doveri, e l'arte di vivere aggradevolmente e pacifica-mente insieme, non si veggano più quelle moltitudini ch’egliproduceva altre volte? Temo che alcuno non mi risponda allafine, che tutte codeste gran cose, cioè le arti, le scienze, e leleggi sono state saviamente inventate dagli uomini come unapeste salutare onde prevenire l'eccessiva moltiplicazione dellaspecie per timore che questo mondo, il quale ci è destinato, nondiventasse alla fine troppo piccolo per i suoi abitanti.

E che dunque! Bisogna distruggere le società, annichilare iltuo ed il mio, e ritornar a vivere nelle foreste cogli orsi? conse-guenza, alla maniera de' miei avversarj, che tanto mi piace diprevenire, quanto di lasciar loro la vergogna di tirarla. O voi, a

sulla ruota? o sopra un letamaio. In tal guisa arricchendosi loStato da un lato, s'infievolisce e si spopola dall'altro, e le piùpotenti monarchie dopo molti travagli per rendersi opulenti edeserte, finiscono per divenir la preda delle nazioni povere, lequali soccombono alla funesta tentazione d'invaderle, e le qualisi arricchiscono e si indeboliscono alla loro volta, finchè sienoesse pure invase e distrutte da altre.

Che si degnino spiegarci una volta ciò che abbian potutoprodurre quelle nuvole di barbari, i quali per il corso di tanti se-coli hanno inondata l'Europa, l'Asia, e l'Africa: dipendeva ciòdalla industria delle loro arti, dalla saviezza delle loro leggi,dall'eccellenza della loro polizia a cui dovevano codesta prodi-giosa popolazione? Che ci dicano i nostri sapienti perchè lungidal moltiplicare a cotal punto codesti uomini brutali e feroci,senza lumi, senza freno, senza educazione, non si scannavanessi a vicenda a ciascuno istante per disputarsi la loro pastura, ola loro caccia? Che ci spieghino come codesti miserabili abbia-no avuto solamente l'arditezza di riguardare in faccia le tantoabili persone, quali noi eravamo, con una così bella disciplinamilitare, con tanti bei codici, e con sì sagge leggi? Ci spieghinoinfine perchè, dopo essersi perfezionata la società nei paesi delNord, e che si sono prese tante cure per insegnare agli uomini iloro mutui doveri, e l'arte di vivere aggradevolmente e pacifica-mente insieme, non si veggano più quelle moltitudini ch’egliproduceva altre volte? Temo che alcuno non mi risponda allafine, che tutte codeste gran cose, cioè le arti, le scienze, e leleggi sono state saviamente inventate dagli uomini come unapeste salutare onde prevenire l'eccessiva moltiplicazione dellaspecie per timore che questo mondo, il quale ci è destinato, nondiventasse alla fine troppo piccolo per i suoi abitanti.

E che dunque! Bisogna distruggere le società, annichilare iltuo ed il mio, e ritornar a vivere nelle foreste cogli orsi? conse-guenza, alla maniera de' miei avversarj, che tanto mi piace diprevenire, quanto di lasciar loro la vergogna di tirarla. O voi, a

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cui la voce celeste non si fece intendere, e che non riconosceteper la vostra specie altra destinazione che di terminare in pacequesta corta vita; voi che potete lasciar nel mezzo delle città levostre funeste acquisizioni, i vostri spiriti inquieti, i vostri cuoricorrotti, ed i vostri desiderj sfrenati, riprendete, giacchè dipen-de da voi, la vostra antica e prima innocenza; andate ne' boschia perder la vista e la memoria dei delitti de' vostri contempora-nei, e non temete di avvilire la vostra specie rinunziando ailumi per rinunziare ai vizj. In quanto agli uomini simili a me, acui le passioni hanno distrutto per sempre l'originale semplici-tà, i quali non possono più nutrirsi d'erba e di ghiande, nè farsenza leggi e senza capi; quelli che furono onorati nel loro pri-mo padre di lezioni soprannaturali; quelli che vedrannonell'intenzione di dare da principio alle azioni umane una mo-ralità ch'esse non avrebbero per lungo tempo acquistata, la ra-gione di un precetto indifferente per lui stesso, ed inesplicabilein ogni altro sistema: quelli in una parola, i quali sono convintiche la voce divina chiamò tutto il genere umano agli splendoried alla felicità delle celesti intelligenze; tutti codesti procure-ranno, coll’esercizio delle virtù che si sono obbligati di pratica-re, imparando a conoscerle, a meritare il prezzo eterno che nedebbono aspettare; essi rispeteranno i sacri vincoli delle societàdi cui sono membri, ameranno i loro simili e li serviranno contutto il loro potere; obbediranno scrupolosamente alle leggi, edagli uomini che ne sono gli autori e i ministri; onoreranno so-prattutto i buoni e saggi principi, i quali sapranno prevenire,guarire, o palliare quella folla di abusi e di mali sempre prontiad opprimerci; essi animeranno il zelo di questi degni capi, mo-strando loro, senza timore e senza adulazione, la grandezza del-la loro impresa, ed il rigore del loro dovere: ma essi non di-sprezzeranno perciò meno una costituzione la quale non puòmantenersi che coll'aiuto di tante persone rispettabili che si de-siderano il più sovente di quello che si ottengono, e dalla quale,malgrado tutte le loro cure, nascono sempre più calamità reali

cui la voce celeste non si fece intendere, e che non riconosceteper la vostra specie altra destinazione che di terminare in pacequesta corta vita; voi che potete lasciar nel mezzo delle città levostre funeste acquisizioni, i vostri spiriti inquieti, i vostri cuoricorrotti, ed i vostri desiderj sfrenati, riprendete, giacchè dipen-de da voi, la vostra antica e prima innocenza; andate ne' boschia perder la vista e la memoria dei delitti de' vostri contempora-nei, e non temete di avvilire la vostra specie rinunziando ailumi per rinunziare ai vizj. In quanto agli uomini simili a me, acui le passioni hanno distrutto per sempre l'originale semplici-tà, i quali non possono più nutrirsi d'erba e di ghiande, nè farsenza leggi e senza capi; quelli che furono onorati nel loro pri-mo padre di lezioni soprannaturali; quelli che vedrannonell'intenzione di dare da principio alle azioni umane una mo-ralità ch'esse non avrebbero per lungo tempo acquistata, la ra-gione di un precetto indifferente per lui stesso, ed inesplicabilein ogni altro sistema: quelli in una parola, i quali sono convintiche la voce divina chiamò tutto il genere umano agli splendoried alla felicità delle celesti intelligenze; tutti codesti procure-ranno, coll’esercizio delle virtù che si sono obbligati di pratica-re, imparando a conoscerle, a meritare il prezzo eterno che nedebbono aspettare; essi rispeteranno i sacri vincoli delle societàdi cui sono membri, ameranno i loro simili e li serviranno contutto il loro potere; obbediranno scrupolosamente alle leggi, edagli uomini che ne sono gli autori e i ministri; onoreranno so-prattutto i buoni e saggi principi, i quali sapranno prevenire,guarire, o palliare quella folla di abusi e di mali sempre prontiad opprimerci; essi animeranno il zelo di questi degni capi, mo-strando loro, senza timore e senza adulazione, la grandezza del-la loro impresa, ed il rigore del loro dovere: ma essi non di-sprezzeranno perciò meno una costituzione la quale non puòmantenersi che coll'aiuto di tante persone rispettabili che si de-siderano il più sovente di quello che si ottengono, e dalla quale,malgrado tutte le loro cure, nascono sempre più calamità reali

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che vantaggi apparenti.(8) Fra gli uomini che noi conosciamo o da noi stessi, o col

mezzo degli storici, o de’ viaggiatori, gli uni sono neri, gli altribianchi, gli altri rossi; gli uni portano lunghi capelli, gli altrinon hanno che della lana arricciata; gli uni sono quasi tutti pe-luti, gli altri non hanno neppur barba; vi furono, e vi sono forseancora delle nazioni d’uomini di statura gigantesca; e lasciandoa parte la favola dei Pigmei, la quale può non essere che unaesagerazione, si sa che i Lapponi ed i Groelandesi sono moltoal disotto della statura media dell’uomo; si pretende pure che visieno delle popolazioni intere, le quali abbiano la coda come iquadrupedi: e senza prestar cieca fede alle relazioni di Erodotoe di Ctesia, se ne può almeno trar questa opinione assai verisi-mile, che se si avesse potuto far delle buone osservazioni inque' tempi antichi, in cui i popoli diversi seguivano delle ma-niere di vivere più differenti fra esse, ch'essi non fanno al dìd'oggi, si avrebbe altresì rimarcato nella figura ed abitudine delcorpo delle varietà molto più marcate. Tutti codesti fatti, deiquali è facile addurre delle incontestabili prove, non possonosorprendere se non quelli i quali sono accostumati a non riguar-dare se non gli oggetti che li circondano, e che ignorano i sor-prendenti effetti della diversità dei climi, dell'aria, degli alimen-ti, della maniera di vivere, delle abitudini in generale, e soprat-tutto la forza stupenda delle stesse cause, quand'esse agisconocontinuamente sopra un lungo seguito di generazioni. Oggi cheil commercio, i viaggi, e le conquiste riuniscono di più i popolidiversi, e che le loro maniere di vivere si avvicinano continua-mente per la frequente comunicazione, si scorge essersi dimi-nuite alcune differenze nazionali, e, per esempio, ciascuno puòrimarcare che i Francesi del giorno d'oggi non sono più que'gran corpi bianchi e biondi descritti dagli storici latini, benchèil tempo unito alla mescolanza de' Franchi e de' Normanni,bianchi e biondi essi medesimi, avesse dovuto ristabilire ciòche la frequenza de' Romani avesse potuto togliere all'influenza

che vantaggi apparenti.(8) Fra gli uomini che noi conosciamo o da noi stessi, o col

mezzo degli storici, o de’ viaggiatori, gli uni sono neri, gli altribianchi, gli altri rossi; gli uni portano lunghi capelli, gli altrinon hanno che della lana arricciata; gli uni sono quasi tutti pe-luti, gli altri non hanno neppur barba; vi furono, e vi sono forseancora delle nazioni d’uomini di statura gigantesca; e lasciandoa parte la favola dei Pigmei, la quale può non essere che unaesagerazione, si sa che i Lapponi ed i Groelandesi sono moltoal disotto della statura media dell’uomo; si pretende pure che visieno delle popolazioni intere, le quali abbiano la coda come iquadrupedi: e senza prestar cieca fede alle relazioni di Erodotoe di Ctesia, se ne può almeno trar questa opinione assai verisi-mile, che se si avesse potuto far delle buone osservazioni inque' tempi antichi, in cui i popoli diversi seguivano delle ma-niere di vivere più differenti fra esse, ch'essi non fanno al dìd'oggi, si avrebbe altresì rimarcato nella figura ed abitudine delcorpo delle varietà molto più marcate. Tutti codesti fatti, deiquali è facile addurre delle incontestabili prove, non possonosorprendere se non quelli i quali sono accostumati a non riguar-dare se non gli oggetti che li circondano, e che ignorano i sor-prendenti effetti della diversità dei climi, dell'aria, degli alimen-ti, della maniera di vivere, delle abitudini in generale, e soprat-tutto la forza stupenda delle stesse cause, quand'esse agisconocontinuamente sopra un lungo seguito di generazioni. Oggi cheil commercio, i viaggi, e le conquiste riuniscono di più i popolidiversi, e che le loro maniere di vivere si avvicinano continua-mente per la frequente comunicazione, si scorge essersi dimi-nuite alcune differenze nazionali, e, per esempio, ciascuno puòrimarcare che i Francesi del giorno d'oggi non sono più que'gran corpi bianchi e biondi descritti dagli storici latini, benchèil tempo unito alla mescolanza de' Franchi e de' Normanni,bianchi e biondi essi medesimi, avesse dovuto ristabilire ciòche la frequenza de' Romani avesse potuto togliere all'influenza

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del clima nella costituzione naturale e nella tinta degli abitanti.Tutte codeste osservazioni sulle varietà che mille cause posso-no produrre ed hanno prodotto in effetto nella specie umana, mifanno dubitare se diversi animali simili agli uomini, presi daiviaggiatori per bestie senza molto esame, o per motivo di alcu-ne differenze che rimarcavano nella conformazione esterna, osoltanto perchè codesti animali non parlavano, non sarebberoin effetto dei veri uomini selvaggi, la di cui razza dispersa anti-camente ne' boschi, non aveva avuto occasione di sviluppareveruna delle sue facoltà virtuali, non aveva acquistato verungrado di perfezione, e si trovava ancora nello stato primitivodella natura. Diamo un esempio di ciò che voglio dire.

"Si trova, dice il traduttore della storia de' viaggi, nel re-gno di Congo una quantità di que' grandi animali che sichiamano Orang-Outang alle Indie orientali, i quali tengonoil mezzo fra la specie umana ed i babuini. Battel raccontache nelle foreste di Mayomba nel regno di Loango, si vedo-no due gran mostri, dei quali i più grandi si chiamano Pon-gos, e gli altri Enjokos. I primi hanno una esatta simiglianzacoll'uomo, ma essi sono molto più grossi e più alti. Con unafaccia umana, essi hanno gli occhi molto incavati. Le loromani, le loro guancie, le loro orecchie sono senza pelo, ec-cettuatene le sopracciglia, le quali le hanno lunghissime.Quantunque abbiano il restante del corpo assai peluto, ilpelo non ne è molto denso, ed il colore è bruno. Infine lasola parte che li distingue dagli uomini è la gamba ch'essihanno senza polpa. Camminano dritti tenendosi colla manoil pelo del collo; la loro dimora è fra boschi; essi dormonosugli albori, e vi si fanno una specie di tetto che li mette alriparo della pioggia. I loro alimenti sono frutti, o noci salva-tiche. Non mangiano mai carne. L'uso dei Negri, i quali tra-versano le foreste, è di accendervi dei fuochi per tutta la not-te. Essi rimarcano che la mattina, alla loro partenza, i Pon-gos prendono posto attorno del fuoco, e non si ritirano che

del clima nella costituzione naturale e nella tinta degli abitanti.Tutte codeste osservazioni sulle varietà che mille cause posso-no produrre ed hanno prodotto in effetto nella specie umana, mifanno dubitare se diversi animali simili agli uomini, presi daiviaggiatori per bestie senza molto esame, o per motivo di alcu-ne differenze che rimarcavano nella conformazione esterna, osoltanto perchè codesti animali non parlavano, non sarebberoin effetto dei veri uomini selvaggi, la di cui razza dispersa anti-camente ne' boschi, non aveva avuto occasione di sviluppareveruna delle sue facoltà virtuali, non aveva acquistato verungrado di perfezione, e si trovava ancora nello stato primitivodella natura. Diamo un esempio di ciò che voglio dire.

"Si trova, dice il traduttore della storia de' viaggi, nel re-gno di Congo una quantità di que' grandi animali che sichiamano Orang-Outang alle Indie orientali, i quali tengonoil mezzo fra la specie umana ed i babuini. Battel raccontache nelle foreste di Mayomba nel regno di Loango, si vedo-no due gran mostri, dei quali i più grandi si chiamano Pon-gos, e gli altri Enjokos. I primi hanno una esatta simiglianzacoll'uomo, ma essi sono molto più grossi e più alti. Con unafaccia umana, essi hanno gli occhi molto incavati. Le loromani, le loro guancie, le loro orecchie sono senza pelo, ec-cettuatene le sopracciglia, le quali le hanno lunghissime.Quantunque abbiano il restante del corpo assai peluto, ilpelo non ne è molto denso, ed il colore è bruno. Infine lasola parte che li distingue dagli uomini è la gamba ch'essihanno senza polpa. Camminano dritti tenendosi colla manoil pelo del collo; la loro dimora è fra boschi; essi dormonosugli albori, e vi si fanno una specie di tetto che li mette alriparo della pioggia. I loro alimenti sono frutti, o noci salva-tiche. Non mangiano mai carne. L'uso dei Negri, i quali tra-versano le foreste, è di accendervi dei fuochi per tutta la not-te. Essi rimarcano che la mattina, alla loro partenza, i Pon-gos prendono posto attorno del fuoco, e non si ritirano che

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dopo estinto; poichè con molta destrezza essi non hanno ab-bastanza senso per conservarlo recandovi delle legna."

"Essi camminano alcune volte in truppe, ed uccidono iNegri i quali traversano le foreste. Essi piombano pure sopragli elefanti, i quali vengono a pascolare nei luoghi ove essiabitano, e gli incomodano tanto a colpi di pugni e di bastoni,che li sforzano a prender la fuga spingendo de' gran gridi.Non si prendono giammai Pongos vivi, perchè essi sono tan-to robusti, che dieci uomini non basterebbero a fermarli: mai Negri ne prendono una quantità di giovani dopo aver ucci-sa la madre, al di cui corpo il piccolo si attacca fortemente.Allorchè muore uno di codesti animali, gli altri cuoprono ildi lui corpo con un ammasso di rami di foglie. Purchass ag-giunge che nelle conversazioni che aveva avute con Battel,aveva inteso da lui medesimo che un Pongo gli aveva toltoun piccolo Negro, il quale passò un intero mese nella societàdi cotesti animali; imperciocchè essi non fanno verun maleagli uomini ch'essi sorprendono, almeno allorchè questi nonli riguardino, come il piccolo Negro lo aveva osservato. Bat-tel non ha descritto la seconda specie di mostri."

"Dapper conferma che il regno di Congo è pieno di code-sti animali, i quali portano alle Indie il nome di Orang-Outang, cioè abitatori de' boschi, e che gli Africani chiama-no Quojas-Morros. Codesta bestia, dice egli, è tanto simileall'uomo, che venne in pensiero ad alcuni viaggiatori ch'essaavesse potuto essere uscita da una femmina e da una scimia:chimera che gli stessi Negri rigettano. Uno di codesti anima-li fu trasportato da Congo in Olanda, e donato al principed'Orange Federico Enrico. Egli era della altezza di un fan-ciullo di tre anni e di mediocre grassezza, ma quadro e benproporzionato, molto agile e molto vivo; le gambe carnose erobuste, tutto il dinanzi del corpo nudo, ma il di dietro co-perto di peli neri. A prima vista, la di lui faccia rassomiglia-va a quella di un uomo, ma aveva il naso schiacciato e ritor-

dopo estinto; poichè con molta destrezza essi non hanno ab-bastanza senso per conservarlo recandovi delle legna."

"Essi camminano alcune volte in truppe, ed uccidono iNegri i quali traversano le foreste. Essi piombano pure sopragli elefanti, i quali vengono a pascolare nei luoghi ove essiabitano, e gli incomodano tanto a colpi di pugni e di bastoni,che li sforzano a prender la fuga spingendo de' gran gridi.Non si prendono giammai Pongos vivi, perchè essi sono tan-to robusti, che dieci uomini non basterebbero a fermarli: mai Negri ne prendono una quantità di giovani dopo aver ucci-sa la madre, al di cui corpo il piccolo si attacca fortemente.Allorchè muore uno di codesti animali, gli altri cuoprono ildi lui corpo con un ammasso di rami di foglie. Purchass ag-giunge che nelle conversazioni che aveva avute con Battel,aveva inteso da lui medesimo che un Pongo gli aveva toltoun piccolo Negro, il quale passò un intero mese nella societàdi cotesti animali; imperciocchè essi non fanno verun maleagli uomini ch'essi sorprendono, almeno allorchè questi nonli riguardino, come il piccolo Negro lo aveva osservato. Bat-tel non ha descritto la seconda specie di mostri."

"Dapper conferma che il regno di Congo è pieno di code-sti animali, i quali portano alle Indie il nome di Orang-Outang, cioè abitatori de' boschi, e che gli Africani chiama-no Quojas-Morros. Codesta bestia, dice egli, è tanto simileall'uomo, che venne in pensiero ad alcuni viaggiatori ch'essaavesse potuto essere uscita da una femmina e da una scimia:chimera che gli stessi Negri rigettano. Uno di codesti anima-li fu trasportato da Congo in Olanda, e donato al principed'Orange Federico Enrico. Egli era della altezza di un fan-ciullo di tre anni e di mediocre grassezza, ma quadro e benproporzionato, molto agile e molto vivo; le gambe carnose erobuste, tutto il dinanzi del corpo nudo, ma il di dietro co-perto di peli neri. A prima vista, la di lui faccia rassomiglia-va a quella di un uomo, ma aveva il naso schiacciato e ritor-

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to; le di lui orecchie erano altresì quelle della specie umana;il suo seno, poichè era una femmina, era paffuto, il suo om-belico affossato, le sue spalle molto bene unite, le sue manidivise in dita ed in pollici, le polpe delle sue gambe, ed isuoi talloni grossi e carnosi. Egli marchiava sovente drittosulle sue gambe, egli era capace di levare e portare dellesomme assai pesanti. Allorchè voleva bere, prendeva conuna mano il disopra del vaso, e coll'altra teneva il fondo.Dopo si asciugava con grazia le labbra. Si coricava per dor-mire colla testa, sopra un guanciale, coprendosi con tantadestrezza, che lo si avrebbe preso per un uomo a letto. I Ne-gri fanno degli strani racconti di codesto animale. Assicura-no non solo ch'egli sforzi le donne e le fanciulle, ma che ar-disca di attaccare degli uomini armati; in una parola, vi èmolta apparenza esser questo il satiro degli antichi. Merollanon parla forse che di questi animali, allorchè racconta che iNegri prendono alcune volte nelle loro cacce degli uomini edelle femmine selvagge."Egli ha parlato ancora di codeste specie di animali antropo-

formi nel terzo tomo della stessa storia de' viaggi sotto il nomedi Beggos Mandrills; ma per attenerci alle precedenti relazioni,si trovano nella descrizione di codesti pretesi mostri delle sor-prendenti conformità colla specie umana, e delle differenze mi-nori di quelle che si potrebbero assegnare da uomo a uomo.Non si veggono in questi passaggi le ragioni sulle quali gli au-tori si fondano per ricusare agli animali, de' quali ora si tratta, ilnome di uomini selvaggi; ma è facile il conghietturare ciò esse-re per motivo della loro stupidezza, ed altresì perchè non parla-no: deboli ragioni per quelli che sanno che quantunque l'organodella parola sia naturale all'uomo, non gli è pertanto naturale laparola stessa, e che conoscono fino a qual segno la sua perfe-zionabilità può avere innalzato l'uomo civile al disopra del suostato originale. Il piccolo numero di linee che contengano code-ste descrizioni, ci possono far giudicare quanto sieno stati mal

to; le di lui orecchie erano altresì quelle della specie umana;il suo seno, poichè era una femmina, era paffuto, il suo om-belico affossato, le sue spalle molto bene unite, le sue manidivise in dita ed in pollici, le polpe delle sue gambe, ed isuoi talloni grossi e carnosi. Egli marchiava sovente drittosulle sue gambe, egli era capace di levare e portare dellesomme assai pesanti. Allorchè voleva bere, prendeva conuna mano il disopra del vaso, e coll'altra teneva il fondo.Dopo si asciugava con grazia le labbra. Si coricava per dor-mire colla testa, sopra un guanciale, coprendosi con tantadestrezza, che lo si avrebbe preso per un uomo a letto. I Ne-gri fanno degli strani racconti di codesto animale. Assicura-no non solo ch'egli sforzi le donne e le fanciulle, ma che ar-disca di attaccare degli uomini armati; in una parola, vi èmolta apparenza esser questo il satiro degli antichi. Merollanon parla forse che di questi animali, allorchè racconta che iNegri prendono alcune volte nelle loro cacce degli uomini edelle femmine selvagge."Egli ha parlato ancora di codeste specie di animali antropo-

formi nel terzo tomo della stessa storia de' viaggi sotto il nomedi Beggos Mandrills; ma per attenerci alle precedenti relazioni,si trovano nella descrizione di codesti pretesi mostri delle sor-prendenti conformità colla specie umana, e delle differenze mi-nori di quelle che si potrebbero assegnare da uomo a uomo.Non si veggono in questi passaggi le ragioni sulle quali gli au-tori si fondano per ricusare agli animali, de' quali ora si tratta, ilnome di uomini selvaggi; ma è facile il conghietturare ciò esse-re per motivo della loro stupidezza, ed altresì perchè non parla-no: deboli ragioni per quelli che sanno che quantunque l'organodella parola sia naturale all'uomo, non gli è pertanto naturale laparola stessa, e che conoscono fino a qual segno la sua perfe-zionabilità può avere innalzato l'uomo civile al disopra del suostato originale. Il piccolo numero di linee che contengano code-ste descrizioni, ci possono far giudicare quanto sieno stati mal

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osservati codesti animali, e con qual pregiudizio sieno stati ve-duti. Per esempio, essi sono qualificati per mostri, e nonostantesi conviene che generino. In un luogo Battel dice, che i Pongosammazzano i Negri che traversano le foreste; in un altro Pur-chass aggiugne ch'essi non gli fanno verun male, neppur quan-do li sorprendono, almeno quando i Negri non si fermino aguardarli. I Pongos si raccolgono attorno i fuochi accesi da'Negri, quando questi si ritirano; e si ritirano essi pure quando ilfuoco è estinto; ecco il fatto, ecco adesso il commentariodell'osservatore; poichè avendo essi molta destrezza, non han-no però abbastanza ingegno per conservarlo recandovi delle le-gna. Vorrei indovinare come Battel, o Purchass suo compilato-re ha potuto sapere che la ritirata dei Pongos fosse un effettodella loro stupidezza piuttosto che della loro volontà. In un cli-ma tale che quello di Loango, il fuoco non è una cosa molto ne-cessaria agli animali, e se i Negri ne accendono, ciò non è per ilfreddo, ma per ispaventare le bestie feroci; egli è dunque sem-plicissimo che dopo d'essere stati qualche tempo rallegrati dallafiamma, o essersi molto bene riscaldati, i Pongos si annoiano ditrattenersi sempre nello stesso posto, e se ne vadano alla loropastura, la quale richiede maggior tempo che se mangiasserodella carne. D'altronde si sa, che la maggior parte degli animali,senza eccettuarne l'uomo, sono naturalmente infingardi, e chenon si prestano ad ogni sorte di cure, le quali non sono di unaassoluta necessità. Infine sembra molto strano che i Pongos, de'quali si vanta la destrezza e la forza, i Pongos i quali sanno sot-terrare i loro morti, e farsi de' tetti di fogliami, non sappianospingere dei tizzoni nel fuoco. Mi sovviene di aver veduto unascimia far questo stesso lavoro, che non si vuole che sappianofare i Pongos; è vero che le mie idee non essendo allora rivolteda quel lato, feci io stesso l'errore che rimprovero a' nostriviaggiatori, e trascurai di esaminare se l'intenzione della-scimiaera infatti di conservare il fuoco, o semplicemente, come locredo, d'imitare l'azione di un uomo. Checchè ne sia, egli è as-

osservati codesti animali, e con qual pregiudizio sieno stati ve-duti. Per esempio, essi sono qualificati per mostri, e nonostantesi conviene che generino. In un luogo Battel dice, che i Pongosammazzano i Negri che traversano le foreste; in un altro Pur-chass aggiugne ch'essi non gli fanno verun male, neppur quan-do li sorprendono, almeno quando i Negri non si fermino aguardarli. I Pongos si raccolgono attorno i fuochi accesi da'Negri, quando questi si ritirano; e si ritirano essi pure quando ilfuoco è estinto; ecco il fatto, ecco adesso il commentariodell'osservatore; poichè avendo essi molta destrezza, non han-no però abbastanza ingegno per conservarlo recandovi delle le-gna. Vorrei indovinare come Battel, o Purchass suo compilato-re ha potuto sapere che la ritirata dei Pongos fosse un effettodella loro stupidezza piuttosto che della loro volontà. In un cli-ma tale che quello di Loango, il fuoco non è una cosa molto ne-cessaria agli animali, e se i Negri ne accendono, ciò non è per ilfreddo, ma per ispaventare le bestie feroci; egli è dunque sem-plicissimo che dopo d'essere stati qualche tempo rallegrati dallafiamma, o essersi molto bene riscaldati, i Pongos si annoiano ditrattenersi sempre nello stesso posto, e se ne vadano alla loropastura, la quale richiede maggior tempo che se mangiasserodella carne. D'altronde si sa, che la maggior parte degli animali,senza eccettuarne l'uomo, sono naturalmente infingardi, e chenon si prestano ad ogni sorte di cure, le quali non sono di unaassoluta necessità. Infine sembra molto strano che i Pongos, de'quali si vanta la destrezza e la forza, i Pongos i quali sanno sot-terrare i loro morti, e farsi de' tetti di fogliami, non sappianospingere dei tizzoni nel fuoco. Mi sovviene di aver veduto unascimia far questo stesso lavoro, che non si vuole che sappianofare i Pongos; è vero che le mie idee non essendo allora rivolteda quel lato, feci io stesso l'errore che rimprovero a' nostriviaggiatori, e trascurai di esaminare se l'intenzione della-scimiaera infatti di conservare il fuoco, o semplicemente, come locredo, d'imitare l'azione di un uomo. Checchè ne sia, egli è as-

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sai bene dimostrato non essere la scimia una varietà, non soloper essere priva della facoltà di parlare, ma soprattutto perchèsiamo certi che la di lei specie non ha quella di perfezionarsi,lochè è il carattere specifico della specie umana. Esperienzeche non sembrano essere state fatte sopra i Pongos e gli Orang-Outang con abbastanza cura per poterne trarre la stessa conclu-sione. Vi sarebbe nonostante un mezzo con cui gli osservatoripiù grossolani potrebbero assicurarsi con dimostrazione sel'Orang-Outang, o altri sieno della specie umana; ma oltre cheuna sola generazione non basterebbe per una tale esperienza,essa deve passare per impraticabile, imperciocchè converrebbeche ciò che non è senonse una supposizione fosse dimostratovero, prima che la prova la quale dovrebbe contestare il fattopotesse essere tentata innocentemente.

I giudizj precipitati, e i quali non sono il frutto di una ragio-ne illuminata, sono soggetti a dar negli eccessi. I nostri viaggia-tori fanno senza cerimonie delle bestie sotto il nome di Pongos,di Mandrills, di Orang-Outang, degli stessi esseri di cui sotto ilnome di Satiri, di Fauni, di Silvani, gli antichi facevano delledivinità. Forse che dopo ricerche più esatte si troverebbe esserequesti degli uomini. Frattanto parmi esservi altrettanta ragionedi riportarsi sopra ciò a Merolla, religioso letterato, testimoniooculare, ed il quale con tutta la sua schiettezza non era privo dispirito, che al mercante Battel, a Dapper, a Purchass, ed agli al-tri compilatori.

Qual giudizio simili osservatori avrebbero dato sopra il fan-ciullo trovato nel 1694, di cui ne feci parola qui dietro, il qualenon dava verun segno di ragione, camminava sopra i suoi piedie sovra le sue mani, non aveva verun linguaggio, e formava de’suoni, li quali per nulla rassomigliavano a quelli di un uomo?Egli fu lungo tempo, continua lo stesso filosofo, il quale mi so-ministra questo fatto, prima di poter proferire alcune parole, equeste pure le proferiva in un modo barbaro. Appena potè egliparlare, fu interrogato circa il suo primo stato, ma nulla egli gli

sai bene dimostrato non essere la scimia una varietà, non soloper essere priva della facoltà di parlare, ma soprattutto perchèsiamo certi che la di lei specie non ha quella di perfezionarsi,lochè è il carattere specifico della specie umana. Esperienzeche non sembrano essere state fatte sopra i Pongos e gli Orang-Outang con abbastanza cura per poterne trarre la stessa conclu-sione. Vi sarebbe nonostante un mezzo con cui gli osservatoripiù grossolani potrebbero assicurarsi con dimostrazione sel'Orang-Outang, o altri sieno della specie umana; ma oltre cheuna sola generazione non basterebbe per una tale esperienza,essa deve passare per impraticabile, imperciocchè converrebbeche ciò che non è senonse una supposizione fosse dimostratovero, prima che la prova la quale dovrebbe contestare il fattopotesse essere tentata innocentemente.

I giudizj precipitati, e i quali non sono il frutto di una ragio-ne illuminata, sono soggetti a dar negli eccessi. I nostri viaggia-tori fanno senza cerimonie delle bestie sotto il nome di Pongos,di Mandrills, di Orang-Outang, degli stessi esseri di cui sotto ilnome di Satiri, di Fauni, di Silvani, gli antichi facevano delledivinità. Forse che dopo ricerche più esatte si troverebbe esserequesti degli uomini. Frattanto parmi esservi altrettanta ragionedi riportarsi sopra ciò a Merolla, religioso letterato, testimoniooculare, ed il quale con tutta la sua schiettezza non era privo dispirito, che al mercante Battel, a Dapper, a Purchass, ed agli al-tri compilatori.

Qual giudizio simili osservatori avrebbero dato sopra il fan-ciullo trovato nel 1694, di cui ne feci parola qui dietro, il qualenon dava verun segno di ragione, camminava sopra i suoi piedie sovra le sue mani, non aveva verun linguaggio, e formava de’suoni, li quali per nulla rassomigliavano a quelli di un uomo?Egli fu lungo tempo, continua lo stesso filosofo, il quale mi so-ministra questo fatto, prima di poter proferire alcune parole, equeste pure le proferiva in un modo barbaro. Appena potè egliparlare, fu interrogato circa il suo primo stato, ma nulla egli gli

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sovvenne, come noi non ci sovveniamo di quanto ci è accadutonella culla. Se sventuratamente per esso, codesto fanciullo fos-se caduto fra le mani de' nostri viaggiatori, non si può dubitare,che dopo aver essi rimarcato il di lui silenzio e la di lui stupidi-tà, non avessero preso il partito di rimandarlo nel bosco, o dirinchiuderlo in un serraglio; dopo di che essi ne avrebbero dot-tamente parlato nelle belle relazioni, come di una bestia assaicuriosa, la quale molto rassomigliava all’uomo.

Dopo tre, o quattrocento anni dacchè gli abitanti dell'Europainondano le altre parti del mondo, e pubblicano continuamentenuove raccolte, e nuove relazioni, io sono persuaso non cono-scer noi altri uomini che gli Europei; ed ancor sembra, dai pre-giudizj ridicoli, che non sono per anco estinti nemmeno fra iletterati, che ciascuno non faccia sotto il nome pomposo di stu-dio dell'uomo, che quello degli uomini del loro paese. Li parti-colari hanno un bel andare e venire, sembra non viaggiare la fi-losofia; quindi quella di un popolo è poco propria per un altro.Il motivo di ciò è manifesto, almeno per le contrade lontane:non vi sono che quattro sorte d'uomini i quali facciano viaggidi lungo corso, i nautici, i mercanti, i soldati, ed i missionarj:ora non si può lusingarsi che le tre prime classi somministrinobuoni osservatori; ed in quanto alla quarta, occupati della subli-me vocazione che li chiama, quand'anche non fossero soggettia dei pregiudizj del loro stato, come tutti gli altri, si deve crede-re che non si abbandonerebbero volentieri a delle ricerche, lequali sembrano di pura curiosità, e le quali li distoglierebberoda travagli più importanti, a’ quali sono destinati. D'altronde,per predicare utilmente l'evangelo non ci vuole che del zelo, eDio dà il resto; ma per istudiare gli uomini vi bisognano de' ta-lenti che Dio non si impegna di dare a chicchessia, il qual ta-lento non è il partaggio de' santi. Non si apre un libro dt viaggi,ove non si trovino delle descrizioni di caratteri, e di costumi;ma si resta sorpresi nel vedere che codeste persone le qualihanno descritte tante cose, non hanno detto se non non che già

sovvenne, come noi non ci sovveniamo di quanto ci è accadutonella culla. Se sventuratamente per esso, codesto fanciullo fos-se caduto fra le mani de' nostri viaggiatori, non si può dubitare,che dopo aver essi rimarcato il di lui silenzio e la di lui stupidi-tà, non avessero preso il partito di rimandarlo nel bosco, o dirinchiuderlo in un serraglio; dopo di che essi ne avrebbero dot-tamente parlato nelle belle relazioni, come di una bestia assaicuriosa, la quale molto rassomigliava all’uomo.

Dopo tre, o quattrocento anni dacchè gli abitanti dell'Europainondano le altre parti del mondo, e pubblicano continuamentenuove raccolte, e nuove relazioni, io sono persuaso non cono-scer noi altri uomini che gli Europei; ed ancor sembra, dai pre-giudizj ridicoli, che non sono per anco estinti nemmeno fra iletterati, che ciascuno non faccia sotto il nome pomposo di stu-dio dell'uomo, che quello degli uomini del loro paese. Li parti-colari hanno un bel andare e venire, sembra non viaggiare la fi-losofia; quindi quella di un popolo è poco propria per un altro.Il motivo di ciò è manifesto, almeno per le contrade lontane:non vi sono che quattro sorte d'uomini i quali facciano viaggidi lungo corso, i nautici, i mercanti, i soldati, ed i missionarj:ora non si può lusingarsi che le tre prime classi somministrinobuoni osservatori; ed in quanto alla quarta, occupati della subli-me vocazione che li chiama, quand'anche non fossero soggettia dei pregiudizj del loro stato, come tutti gli altri, si deve crede-re che non si abbandonerebbero volentieri a delle ricerche, lequali sembrano di pura curiosità, e le quali li distoglierebberoda travagli più importanti, a’ quali sono destinati. D'altronde,per predicare utilmente l'evangelo non ci vuole che del zelo, eDio dà il resto; ma per istudiare gli uomini vi bisognano de' ta-lenti che Dio non si impegna di dare a chicchessia, il qual ta-lento non è il partaggio de' santi. Non si apre un libro dt viaggi,ove non si trovino delle descrizioni di caratteri, e di costumi;ma si resta sorpresi nel vedere che codeste persone le qualihanno descritte tante cose, non hanno detto se non non che già

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ciascuno sapeva, non hanno saputo scorgere all'altra estremitàdel mondo, se non quel tanto che avrebbero potuto rimarcaresenza uscire dalla loro contrada; e che que' tratti veri, i quali di-stinguono le nazioni, e che colpiscono gli occhi fatti per vede-re, sono sempre sfuggiti ai loro. Da ciò è venuto quel bel pro-verbio, tanto ribattuto dalla turba filosofesca, essere gli uominidappertutto gli stessi, i quali avendo dappertutto le stesse pas-sioni e i medesimi vizj, essere inutile lo caratterizzare i diffe-renti popoli; lo che allo incirca è tanto ben ragionato, come sesi dicesse che non si può distinguere Pietro da Giovanni, per-ché hanno ambidue un naso, una bocca, e degli occhi.

Non si vedrà giammai rinascere que’ felici tempi, ne’ quali ipopoli non s’impegnavano di filosofare, ma ne' quali i Platoni, iTaleti, i Pittagori accesi di un ardente desiderio di sapere intra-prendevano i più gran viaggi, unicamente per instruirsi, e anda-vano da lungi a scuotere il giogo de' pregiudizj nazionali, impa-rare a conoscer gli uomini dalle loro conformità, e dalle lorodifferenze, e acquistar quelle cognizioni universali, le quali nonsono quelle di un secolo o di un paese esclusivamente, mach'essendo di tutti i tempi e di tutti i luoghi, sono, per così dire,la scienza comune dei saggi?

Si ammira la magnificenza di alcuni curiosi, i quali a grandispese fecero fare, o han fatto dei viaggi in oriente con dei dotti,e dei pittori, per disegnarvi delle rovine, e decifrare, o copiaredelle inscrizioni; ma duro fatica a concepire come in un secoloin cui si vantano di belle cognizioni, non si trovino due uominibene uniti, ricchi, l'uno di denari, l'altro di genio, amando am-bidue la gloria, ed aspirando all'imortalità, uno de' quali sacrifì-casse ventimila scudi delle sue facoltà, e l'altro dieci anni dellasua vita ad un celebre viaggio attorno il mondo, affine di stu-diarvi, non sempre delle pietre, e delle piante, ma una volta gliuomini e i costumi; e che dopo tant'anni impiegati a misurare econsiderare la casa, gli sovvenga alfine di volerne conoscer gliabitanti.

ciascuno sapeva, non hanno saputo scorgere all'altra estremitàdel mondo, se non quel tanto che avrebbero potuto rimarcaresenza uscire dalla loro contrada; e che que' tratti veri, i quali di-stinguono le nazioni, e che colpiscono gli occhi fatti per vede-re, sono sempre sfuggiti ai loro. Da ciò è venuto quel bel pro-verbio, tanto ribattuto dalla turba filosofesca, essere gli uominidappertutto gli stessi, i quali avendo dappertutto le stesse pas-sioni e i medesimi vizj, essere inutile lo caratterizzare i diffe-renti popoli; lo che allo incirca è tanto ben ragionato, come sesi dicesse che non si può distinguere Pietro da Giovanni, per-ché hanno ambidue un naso, una bocca, e degli occhi.

Non si vedrà giammai rinascere que’ felici tempi, ne’ quali ipopoli non s’impegnavano di filosofare, ma ne' quali i Platoni, iTaleti, i Pittagori accesi di un ardente desiderio di sapere intra-prendevano i più gran viaggi, unicamente per instruirsi, e anda-vano da lungi a scuotere il giogo de' pregiudizj nazionali, impa-rare a conoscer gli uomini dalle loro conformità, e dalle lorodifferenze, e acquistar quelle cognizioni universali, le quali nonsono quelle di un secolo o di un paese esclusivamente, mach'essendo di tutti i tempi e di tutti i luoghi, sono, per così dire,la scienza comune dei saggi?

Si ammira la magnificenza di alcuni curiosi, i quali a grandispese fecero fare, o han fatto dei viaggi in oriente con dei dotti,e dei pittori, per disegnarvi delle rovine, e decifrare, o copiaredelle inscrizioni; ma duro fatica a concepire come in un secoloin cui si vantano di belle cognizioni, non si trovino due uominibene uniti, ricchi, l'uno di denari, l'altro di genio, amando am-bidue la gloria, ed aspirando all'imortalità, uno de' quali sacrifì-casse ventimila scudi delle sue facoltà, e l'altro dieci anni dellasua vita ad un celebre viaggio attorno il mondo, affine di stu-diarvi, non sempre delle pietre, e delle piante, ma una volta gliuomini e i costumi; e che dopo tant'anni impiegati a misurare econsiderare la casa, gli sovvenga alfine di volerne conoscer gliabitanti.

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Gli accademici che hanno scorso le parti settentrionalidell'Europa, e meridionali dell'America, avevan per oggetto divisitarle più da geometri, che da filosofi. Nonostante com'eranodel pari l'uno e l'altro, non si può riguardare come affatto ignotele regioni che furono vedute e descritte dalli Condamine, e daiMaupertuis. Il gioielliere Chardin, che ha viaggiato come Pla-tone, non lasciò nulla a dire sopra la Persia: la China sembraessere stata ben osservata dai gesuiti. Kempfer dà una passabileidea del poco che ha veduto nel Giappone. Eccettuate codesterelazioni, noi non conosciamo i popoli delle Indie orientali, fre-quentate unicamente dagli Europei più curiosi di riempire leloro borse che le loro teste. L'intera Africa e i suoi numerosiabitatori singolari, così per il loro carattere come per il loro co-lore, sono ancora da esaminarsi; la terra tutta è coperta di na-zioni di cui non ne conosciamo che i nomi, e noi c'impegniamodi giudicare il genere umano! Supponiamo un Montesquieu, unBuffon, un Diderot, un Duclos, un d'Alembert, un Condillac, oaltri uomini di simil tempra viaggiando per instruire i loro com-patrioti, osservando, e descrivedo, come lo sanno essi fare, laTurchia, l'Egitto, la Barbaria, l'impero di Marocco, la Guinea, ilpaese de' Cafri, l'interno dell'Africa, e le sue coste orientali, iMalabari, il Mogol, le rive del Gange, la Tartaria, e soprattuttoil Giappone; poi nell'altro emisfero il Messico, il Perù, il Chili,le terre Magellaniche, senza scordarsi i Patagoni, veri, o falsi, ilTucuman, il Paraguai, se fosse possibile, il Brasile, infine i Ca-ribi, la Florida e tutte le contrade selvagge, viaggio il più im-portante di tutti, e quello che converrebbe fare con maggiorcura: supponiamo che codesti nuovi Ercoli, dal ritorno di cotalicorse, facessero in seguito con comodo la storia naturale, mora-le, e politica di ciò che avessero osservato, noi vedressimo noistessi uscire un mondo nuovo dalla loro penna, ed impararessi-mo quindi a conoscere il nostro: io dico, che quando simili os-servatori affermassero di un tal animale esser egli un uomo, edi un altro esser egli una bestia, bisognerebbe crederglielo; ma

Gli accademici che hanno scorso le parti settentrionalidell'Europa, e meridionali dell'America, avevan per oggetto divisitarle più da geometri, che da filosofi. Nonostante com'eranodel pari l'uno e l'altro, non si può riguardare come affatto ignotele regioni che furono vedute e descritte dalli Condamine, e daiMaupertuis. Il gioielliere Chardin, che ha viaggiato come Pla-tone, non lasciò nulla a dire sopra la Persia: la China sembraessere stata ben osservata dai gesuiti. Kempfer dà una passabileidea del poco che ha veduto nel Giappone. Eccettuate codesterelazioni, noi non conosciamo i popoli delle Indie orientali, fre-quentate unicamente dagli Europei più curiosi di riempire leloro borse che le loro teste. L'intera Africa e i suoi numerosiabitatori singolari, così per il loro carattere come per il loro co-lore, sono ancora da esaminarsi; la terra tutta è coperta di na-zioni di cui non ne conosciamo che i nomi, e noi c'impegniamodi giudicare il genere umano! Supponiamo un Montesquieu, unBuffon, un Diderot, un Duclos, un d'Alembert, un Condillac, oaltri uomini di simil tempra viaggiando per instruire i loro com-patrioti, osservando, e descrivedo, come lo sanno essi fare, laTurchia, l'Egitto, la Barbaria, l'impero di Marocco, la Guinea, ilpaese de' Cafri, l'interno dell'Africa, e le sue coste orientali, iMalabari, il Mogol, le rive del Gange, la Tartaria, e soprattuttoil Giappone; poi nell'altro emisfero il Messico, il Perù, il Chili,le terre Magellaniche, senza scordarsi i Patagoni, veri, o falsi, ilTucuman, il Paraguai, se fosse possibile, il Brasile, infine i Ca-ribi, la Florida e tutte le contrade selvagge, viaggio il più im-portante di tutti, e quello che converrebbe fare con maggiorcura: supponiamo che codesti nuovi Ercoli, dal ritorno di cotalicorse, facessero in seguito con comodo la storia naturale, mora-le, e politica di ciò che avessero osservato, noi vedressimo noistessi uscire un mondo nuovo dalla loro penna, ed impararessi-mo quindi a conoscere il nostro: io dico, che quando simili os-servatori affermassero di un tal animale esser egli un uomo, edi un altro esser egli una bestia, bisognerebbe crederglielo; ma

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sarebbe una gran semplicità di riportarsi sopra ciò a grossolaniviaggiatori, sopra i quali si potrebbe fare la stessa questione,ch'essi s'impegnano di risolvere sopra altri animali.

(9) Ciò mi pare dell'ultima evidenza, e non potrei concepireda dove i nostri filosofi possano far nascere tutte le passioniche essi prestano all'uomo naturale. Eccetto il solo necessariofisico che la natura stessa richiede, tutti gli altri nostri bisogninon sono tali che per abitudine, prima della quale essi non era-no bisogni, o da’ nostri desiderj, e non si desidera ciò che nonsi è in istato di conoscere. Dal che ne segue, che l'uomo selvag-gio non desiderando che le cose ch’egli conosce, e non cono-scendo che quelle il di cui possesso è in suo potere, o faciled’acquistarsi, nulla deve essere tanto tranquillo quanto la suaanima, e nulla di così ristretto quanto il di lui spirito.

(10) Trovo nel governo civile di Locke una obbiezione, laquale mi sembra troppo speciosa, onde mi sia permesso di dis-simularla.

"Lo scopo della società fra il maschio e la femmina, dicecodesto filosofo, non essendo semplicemente quello di pro-creare, ma di continuare la specie, codesta società deve du-rare anche dopo la procreazione, almeno tanto lungo tempoquanto è necessario per il nutrimento e la conservazione deiprocreati; cioè fino che sien capaci di provvedere loro stessia' proprj bisogni. Codesta regola, che la sapienza infinita delCreatore ha stabilita sopra le opere delle sue mani, noi ve-diamo che le creature inferiori all'uomo l'osservano costan-temente e con esattezza. In quegli che vivon d'erba, la socie-tà fra il maschio e la femmina non dura nulla più che cia-scun atto di copulazione, perchè le mammelle della madreessendo sufficienti per nutrire i piccoli finchè sono capaci dipascolar l'erba, il maschio si contenta. di generare, e dopociò non si cura più della femmina nè de’ suoi piccoli, alla dicui sussistenza egli non può contribuire. Ma rapporto allebestie da rapina, la società dura più lungo tempo, per causa

sarebbe una gran semplicità di riportarsi sopra ciò a grossolaniviaggiatori, sopra i quali si potrebbe fare la stessa questione,ch'essi s'impegnano di risolvere sopra altri animali.

(9) Ciò mi pare dell'ultima evidenza, e non potrei concepireda dove i nostri filosofi possano far nascere tutte le passioniche essi prestano all'uomo naturale. Eccetto il solo necessariofisico che la natura stessa richiede, tutti gli altri nostri bisogninon sono tali che per abitudine, prima della quale essi non era-no bisogni, o da’ nostri desiderj, e non si desidera ciò che nonsi è in istato di conoscere. Dal che ne segue, che l'uomo selvag-gio non desiderando che le cose ch’egli conosce, e non cono-scendo che quelle il di cui possesso è in suo potere, o faciled’acquistarsi, nulla deve essere tanto tranquillo quanto la suaanima, e nulla di così ristretto quanto il di lui spirito.

(10) Trovo nel governo civile di Locke una obbiezione, laquale mi sembra troppo speciosa, onde mi sia permesso di dis-simularla.

"Lo scopo della società fra il maschio e la femmina, dicecodesto filosofo, non essendo semplicemente quello di pro-creare, ma di continuare la specie, codesta società deve du-rare anche dopo la procreazione, almeno tanto lungo tempoquanto è necessario per il nutrimento e la conservazione deiprocreati; cioè fino che sien capaci di provvedere loro stessia' proprj bisogni. Codesta regola, che la sapienza infinita delCreatore ha stabilita sopra le opere delle sue mani, noi ve-diamo che le creature inferiori all'uomo l'osservano costan-temente e con esattezza. In quegli che vivon d'erba, la socie-tà fra il maschio e la femmina non dura nulla più che cia-scun atto di copulazione, perchè le mammelle della madreessendo sufficienti per nutrire i piccoli finchè sono capaci dipascolar l'erba, il maschio si contenta. di generare, e dopociò non si cura più della femmina nè de’ suoi piccoli, alla dicui sussistenza egli non può contribuire. Ma rapporto allebestie da rapina, la società dura più lungo tempo, per causa

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che la madre non potendo ben provvedere i piccioli, e pro-curare nello stesso tempo alla propria sussistenza colla suasola preda, la quale è una strada di nutrirsi più faticosa e pe-ricolosa di quella di pascer l'erba, l'assistenza del maschio èaffatto necessaria per il mantenimento della loro comune fa-miglia, se si può usar questo termine, la quale finchè possaandare a cercar qualche preda non potrebbe sussistere cheper le cure del maschio e della femmina. Si rimarca la cosastessa in tutti gli uccelli, se se ne eccettui alcuni domestici, iquali si trovano in luoghi, ove la continua abbondanza di nu-tritura esime il maschio dalla cura di nutrire i piccoli; sivede che fintantochè i piccoli nel loro nido hanno bisogno dialimento, il maschio e la femmina ve ne portano fino a chequesti piccoli possano volare, e provvedere alla loro sussi-stenza.”

“Ed in questo, a mio parere, consiste la principale, se nonla sola ragione, perchè il maschio e la femmina, nel genereumano sono obbligati ad una società più lunga di veruna al-tra creatura. La ragione, che la femmina è capace di conce-pire, ed è per l'ordinario di nuovo incinta, e fa un altro fan-ciullo, lungo tempo prima che il precedente sia fuor di biso-gno del soccorso de' suoi parenti, e possa egli stesso provve-dere al suo necessario. Quindi un padre essendo obbligato aprender cura di quelli che ha egli generati, e di prenderla permolto tempo, egli è altresl nell'obbligo di continuar a viverenella società coniugale colla stessa femmina da cui li ha egliavuti, e di restarvi per maggior tempo delle altre creature, lidi cui piccoli potendo sussistere da per loro prima del tempodi una novella procreazione, il legame del maschio e dellafemmina si rompe da per se, ed ambidue si trovano in unapiena libertà, finchè la stagione che invita gli animati adunirsi assieme, gli obbliga a scegliersi delle nuove compa-gne. E qui non si potrebbe abbastanza ammirare la sapienzadel Creatore, il quale avendo date all'uomo delle qualità pro-

che la madre non potendo ben provvedere i piccioli, e pro-curare nello stesso tempo alla propria sussistenza colla suasola preda, la quale è una strada di nutrirsi più faticosa e pe-ricolosa di quella di pascer l'erba, l'assistenza del maschio èaffatto necessaria per il mantenimento della loro comune fa-miglia, se si può usar questo termine, la quale finchè possaandare a cercar qualche preda non potrebbe sussistere cheper le cure del maschio e della femmina. Si rimarca la cosastessa in tutti gli uccelli, se se ne eccettui alcuni domestici, iquali si trovano in luoghi, ove la continua abbondanza di nu-tritura esime il maschio dalla cura di nutrire i piccoli; sivede che fintantochè i piccoli nel loro nido hanno bisogno dialimento, il maschio e la femmina ve ne portano fino a chequesti piccoli possano volare, e provvedere alla loro sussi-stenza.”

“Ed in questo, a mio parere, consiste la principale, se nonla sola ragione, perchè il maschio e la femmina, nel genereumano sono obbligati ad una società più lunga di veruna al-tra creatura. La ragione, che la femmina è capace di conce-pire, ed è per l'ordinario di nuovo incinta, e fa un altro fan-ciullo, lungo tempo prima che il precedente sia fuor di biso-gno del soccorso de' suoi parenti, e possa egli stesso provve-dere al suo necessario. Quindi un padre essendo obbligato aprender cura di quelli che ha egli generati, e di prenderla permolto tempo, egli è altresl nell'obbligo di continuar a viverenella società coniugale colla stessa femmina da cui li ha egliavuti, e di restarvi per maggior tempo delle altre creature, lidi cui piccoli potendo sussistere da per loro prima del tempodi una novella procreazione, il legame del maschio e dellafemmina si rompe da per se, ed ambidue si trovano in unapiena libertà, finchè la stagione che invita gli animati adunirsi assieme, gli obbliga a scegliersi delle nuove compa-gne. E qui non si potrebbe abbastanza ammirare la sapienzadel Creatore, il quale avendo date all'uomo delle qualità pro-

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prie per provvedere tanto al presente che all'avvenire, ha vo-luto ed ha fatto in modo che la società dell'uomo durasse as-sai più lungo tempo che quella del maschio e della femminafra le altre creature, affinchè con tal mezzo fosse maggior-mente eccittata l'industria dell'uomo e della femmina, e che iloro interessi fossero più uniti coll'oggetto di fare delle prov-vigioni per i loro fanciulli, e di lasciar loro del bene: nullapotendo essere più pernicioso ai fanciulli che una congiun-zione incerta e vaga, o una dissoluzione facile e frequentedella società coniugale.”Lo stesso amore della verità che mi fece sinceramente

esporre codesta obbiezione, mi eccita ad accompagnarla di al-cune rimarche, se non per risolverla, almeno per rischiararla.

Prima. Osserverò subito che le prove morali non hanno granforza in materia di fisica, e ch'esse servono piuttosto a rendereragione dei fatti esistenti, che a provare l'esistenza reale di co-desti fatti. Or di tal genere è la prova che m. Locke impiega nelpassaggio che ho trascritto; imperciocchè quantunque possa es-sere cosa vantaggiosa alla specie umana che la unionedell'uomo e della femmina sia permanente, non ne segue perquesto che ciò sia stato stabilito dalla natura; altrimenti conver-rebbe dire ch'ella ha altresì instituita la società civile, le arti, ilcommercio, e tutto ciò che si pretende esser utile agli uomini.

Seconda. Non so dove m. Locke abbia trovato che fra glianimali di rapina la società del maschio e della femmina duripiù lungo tempo che fra quelli che vivon d'erba, e che l’unoaiuti l'altro a nudrire i piccoli; giacchè non si vede, che il cane,il gatto, l'orso, nè il lupo riconoscano la loro femmina megliodel cavallo, del montone, del toro, del cervo, nè di tutti gli altrianimali quadrupedi. Sembra all'opposto, che se l'aiuto del ma-schio fosse necessario alla femmina per conservare i suoi pic-coli, ciò dovrebbe essere soprattutto nelle specie le quali nonvivono che di erbe; imperciocchè vi bisogna maggior tempoalla madre per pascolare, e che in tutto questo intervallo è sfor-

prie per provvedere tanto al presente che all'avvenire, ha vo-luto ed ha fatto in modo che la società dell'uomo durasse as-sai più lungo tempo che quella del maschio e della femminafra le altre creature, affinchè con tal mezzo fosse maggior-mente eccittata l'industria dell'uomo e della femmina, e che iloro interessi fossero più uniti coll'oggetto di fare delle prov-vigioni per i loro fanciulli, e di lasciar loro del bene: nullapotendo essere più pernicioso ai fanciulli che una congiun-zione incerta e vaga, o una dissoluzione facile e frequentedella società coniugale.”Lo stesso amore della verità che mi fece sinceramente

esporre codesta obbiezione, mi eccita ad accompagnarla di al-cune rimarche, se non per risolverla, almeno per rischiararla.

Prima. Osserverò subito che le prove morali non hanno granforza in materia di fisica, e ch'esse servono piuttosto a rendereragione dei fatti esistenti, che a provare l'esistenza reale di co-desti fatti. Or di tal genere è la prova che m. Locke impiega nelpassaggio che ho trascritto; imperciocchè quantunque possa es-sere cosa vantaggiosa alla specie umana che la unionedell'uomo e della femmina sia permanente, non ne segue perquesto che ciò sia stato stabilito dalla natura; altrimenti conver-rebbe dire ch'ella ha altresì instituita la società civile, le arti, ilcommercio, e tutto ciò che si pretende esser utile agli uomini.

Seconda. Non so dove m. Locke abbia trovato che fra glianimali di rapina la società del maschio e della femmina duripiù lungo tempo che fra quelli che vivon d'erba, e che l’unoaiuti l'altro a nudrire i piccoli; giacchè non si vede, che il cane,il gatto, l'orso, nè il lupo riconoscano la loro femmina megliodel cavallo, del montone, del toro, del cervo, nè di tutti gli altrianimali quadrupedi. Sembra all'opposto, che se l'aiuto del ma-schio fosse necessario alla femmina per conservare i suoi pic-coli, ciò dovrebbe essere soprattutto nelle specie le quali nonvivono che di erbe; imperciocchè vi bisogna maggior tempoalla madre per pascolare, e che in tutto questo intervallo è sfor-

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zata di negligentare la sua portata, in vece che la preda diun'orsa, o di una lupa è divorata in uno istante, e ch'ella ha,senza soffrir la fame, maggior tempo per allattare i suoi piccoli.Questo ragionamento è confermato da una osservazione soprail numero relativo delle mammelle e dei piccoli, la quale distin-gue le specie carnivore dalle frugivore. Se questa osservazioneè giusta e generale, la femmina non avendo che due mammelle,e non facendo per ordinario che un fanciullo per volta, eccouna gran ragione di più per dubitare se la specie umana sia na-turalmente carnivora; di maniera che sembra, che per trarre laconclusione di Locke, converrebbe ritorcere interamente il dilui ragionamento. Nè vi è maggior solidità nella stessa distin-zione applicata agli uccelli; imperciocchè chi potrà persuadersiche l'unione del maschio e della femmina sia più durevole fragli sparavieri ed i corvi che fra le tortore. Noi abbiamo due spe-cie di uccelli domestici, l'anitra ed il colombo, i quali ci som-ministrano degli esempj direttamente contrarj al sistema di co-desto autore. Il colombo, che non vive senon di grani, resta at-taccato alla sua femmina, e nutriscono in comune i loro piccoli.L’anitro, la di cui voracità è conosciuta, non riconosce nè la suafemmina nè i suoi piccoli, e non si presta in verun modo allaloro sussistenza; e fra i polli, specie che non è guari meno car-nivora, non si vede che il gallo prenda verun pensiere della co-vata. Che se in altre specie il maschio divide colla femmina lacura di nutrire i piccoli, egli è, che gli uccelli, i quali non pos-sono subito volare, e che la madre non può allattare, sono in as-sai peggiore stato dei quadrupedi, a' quali basta la mammelladella madre, almeno per qualche tempo.

Terza. Vi è della grande incertezza, sopra il fatto principale,che serve di base a tutto il ragionamento del sig. Locke: imper-ciocchè per sapere se, come egli lo pretende, nel puro stato dinatura la femmina sia da capo incinta, e faccia un novello fan-ciullo molto tempo prima che il precedente possa provvedereegli stesso a' suoi bisogni, vi bisognerebbero delle esperienze,

zata di negligentare la sua portata, in vece che la preda diun'orsa, o di una lupa è divorata in uno istante, e ch'ella ha,senza soffrir la fame, maggior tempo per allattare i suoi piccoli.Questo ragionamento è confermato da una osservazione soprail numero relativo delle mammelle e dei piccoli, la quale distin-gue le specie carnivore dalle frugivore. Se questa osservazioneè giusta e generale, la femmina non avendo che due mammelle,e non facendo per ordinario che un fanciullo per volta, eccouna gran ragione di più per dubitare se la specie umana sia na-turalmente carnivora; di maniera che sembra, che per trarre laconclusione di Locke, converrebbe ritorcere interamente il dilui ragionamento. Nè vi è maggior solidità nella stessa distin-zione applicata agli uccelli; imperciocchè chi potrà persuadersiche l'unione del maschio e della femmina sia più durevole fragli sparavieri ed i corvi che fra le tortore. Noi abbiamo due spe-cie di uccelli domestici, l'anitra ed il colombo, i quali ci som-ministrano degli esempj direttamente contrarj al sistema di co-desto autore. Il colombo, che non vive senon di grani, resta at-taccato alla sua femmina, e nutriscono in comune i loro piccoli.L’anitro, la di cui voracità è conosciuta, non riconosce nè la suafemmina nè i suoi piccoli, e non si presta in verun modo allaloro sussistenza; e fra i polli, specie che non è guari meno car-nivora, non si vede che il gallo prenda verun pensiere della co-vata. Che se in altre specie il maschio divide colla femmina lacura di nutrire i piccoli, egli è, che gli uccelli, i quali non pos-sono subito volare, e che la madre non può allattare, sono in as-sai peggiore stato dei quadrupedi, a' quali basta la mammelladella madre, almeno per qualche tempo.

Terza. Vi è della grande incertezza, sopra il fatto principale,che serve di base a tutto il ragionamento del sig. Locke: imper-ciocchè per sapere se, come egli lo pretende, nel puro stato dinatura la femmina sia da capo incinta, e faccia un novello fan-ciullo molto tempo prima che il precedente possa provvedereegli stesso a' suoi bisogni, vi bisognerebbero delle esperienze,

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che sicuramente Locke non avea fatte, e che veruno non è aportata di fare. La coabitazione continua del marito e dellafemmina è una occasione cotanto prossima di esporsi a unanuova gravidanza, ch'egli è difficile di credere che l'incontrofortuito o la sola impulsione del temperamento produca effettitanto frequenti nel puro stato di natura come in quello della so-cietà coniugale; lentezza, la quale forse contribuirebbe a rende-re i fanciulli più robusti, e che d'altronde potrebbe essere com-pensata dalla facoltà di concepire, prolungata ad una età piùavanzata nelle femmine che avessero meno abusato nella lorogioventù. E riguardo a' fanciulli, vi sono delle ragioni per cre-dere che le loro forze e i loro organi si sviluppino più tardi franoi, che non facevano nello stato primitivo di cui parlo. La de-bolezza originale che traggono dalla costituzione de' parenti, lecure che si prende per invilupparli e costringer tutte le loromembra, la mollezza in cui sono allevati, forse anco l'uso di unaltro latte che quello della loro madre, tutto contraria e ritardain essi i primi progressi della natura. L'applicazione che si ob-bligano di dare a mille cose su le quali si fissa continuamente laloro attenzione, frattanto che non si dà verun esercizio alle loroforze corporali, può fare ancora una considerabile diversione alloro accrescimento; di manierachè, se invece di sopraccaricaree affaticare da principio il loro spirito in mille maniere, si la-sciasse esercitare il loro corpo ai moti continui che la naturasembra chieder loro, è da credere che sarebbero molto più pre-sto in istato di camminare, di agire, e di provvedere essi stessia' loro bisogni.

Quarta. Infine Locke prova, tutto al più, che vi potrebbe es-sere nell'uomo un motivo di restar attaccato alla femmina allor-chè ella ha un fanciullo; ma egli non prova nulla affattoch'abbia dovuto attaccarvisi avanti il parto, e ne' nove mesi del-la gravidanza. Se una tal femmina è indifferente all'uomo nelcorso di questi nove mesi, se inoltre gli diviene sconosciuta,perchè la soccorrerà egli dopo il parto? Perchè l'aiuterà egli ad

che sicuramente Locke non avea fatte, e che veruno non è aportata di fare. La coabitazione continua del marito e dellafemmina è una occasione cotanto prossima di esporsi a unanuova gravidanza, ch'egli è difficile di credere che l'incontrofortuito o la sola impulsione del temperamento produca effettitanto frequenti nel puro stato di natura come in quello della so-cietà coniugale; lentezza, la quale forse contribuirebbe a rende-re i fanciulli più robusti, e che d'altronde potrebbe essere com-pensata dalla facoltà di concepire, prolungata ad una età piùavanzata nelle femmine che avessero meno abusato nella lorogioventù. E riguardo a' fanciulli, vi sono delle ragioni per cre-dere che le loro forze e i loro organi si sviluppino più tardi franoi, che non facevano nello stato primitivo di cui parlo. La de-bolezza originale che traggono dalla costituzione de' parenti, lecure che si prende per invilupparli e costringer tutte le loromembra, la mollezza in cui sono allevati, forse anco l'uso di unaltro latte che quello della loro madre, tutto contraria e ritardain essi i primi progressi della natura. L'applicazione che si ob-bligano di dare a mille cose su le quali si fissa continuamente laloro attenzione, frattanto che non si dà verun esercizio alle loroforze corporali, può fare ancora una considerabile diversione alloro accrescimento; di manierachè, se invece di sopraccaricaree affaticare da principio il loro spirito in mille maniere, si la-sciasse esercitare il loro corpo ai moti continui che la naturasembra chieder loro, è da credere che sarebbero molto più pre-sto in istato di camminare, di agire, e di provvedere essi stessia' loro bisogni.

Quarta. Infine Locke prova, tutto al più, che vi potrebbe es-sere nell'uomo un motivo di restar attaccato alla femmina allor-chè ella ha un fanciullo; ma egli non prova nulla affattoch'abbia dovuto attaccarvisi avanti il parto, e ne' nove mesi del-la gravidanza. Se una tal femmina è indifferente all'uomo nelcorso di questi nove mesi, se inoltre gli diviene sconosciuta,perchè la soccorrerà egli dopo il parto? Perchè l'aiuterà egli ad

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allevare un fanciullo, che neppur sospetta possa appartenergli,e di cui non risolse nè previde la nascita? Locke evidentementesuppone quello che è in questione: poichè non si tratta già disapere il perchè l'uomo resterà attaccato alla femmina dopo ilparto, ma perchè si attaccherà ad essa dopo la concezione. Sod-disfatto l'appetito, l'uomo non ha più bisogno di una tal femmi-na, nè la femmina di un tal uomo. Quegli non ha la menomacura, nè forse la menoma idea delle conseguenze della suaazione. L'uno se ne va da un lato, l'altro da un altro, nè vi è ap-parenza, che al termine di nove mesi essi abbiano la memoriadi essersi conosciuti: dappoichè codesta specie di memoria perla quale un individuo dà la preferenza ad un individuo per1'atto della generazione, esige maggiori progressi o corruzionenell'intendimento umano, che non se gliene può supporre nellostato di animalità, di cui qui si tratta. Un'altra femmina puòdunque contentare i nuovi desiderj dell'uomo tanto comoda-mente quanto quella che ha egli conosciuto, ed un altro uomocontentare parimente la femmina, supposto ch'essa sia pressatadallo stesso appetito nel corso dello stato di gravidanza; del chesi può ragionevolmente dubitare. Che se nello stato di natura lafemmina più non risente la passion dell'amore dopo il concepi-mento del fanciullo, l'ostacolo alla società coll'uomo ne divieneancor maggiore, poichè allora essa non ha più bisogno nèdell'uomo che l'ha fecondata, nè di verun altro. Non vi è adun-que nell'uomo veruna ragione di ricercare la stessa femmina, nènella femmina veruna ragione di ricercare lo stesso uomo. Il ra-gionamento di Locke cade adunque in rovina, e tutta la dialetti-ca di codesto filosofo non lo ha garantito dall’errore che Hob-bes ed altri hanno commesso. Avevan essi a spiegare un fattodello stato di natura, cioè di uno stato in cui gli uomini viveva-no isolati, ed ove un uomo non aveva verun motivo di trattener-si a lato di un tal uomo, nè forse gli uomini di restare a lato gliuni degli altri, lo che è ancor peggio; e non hanno pensato a tra-sportarsi al di là dei secoli di società, cioè di quei tempi ove gli

allevare un fanciullo, che neppur sospetta possa appartenergli,e di cui non risolse nè previde la nascita? Locke evidentementesuppone quello che è in questione: poichè non si tratta già disapere il perchè l'uomo resterà attaccato alla femmina dopo ilparto, ma perchè si attaccherà ad essa dopo la concezione. Sod-disfatto l'appetito, l'uomo non ha più bisogno di una tal femmi-na, nè la femmina di un tal uomo. Quegli non ha la menomacura, nè forse la menoma idea delle conseguenze della suaazione. L'uno se ne va da un lato, l'altro da un altro, nè vi è ap-parenza, che al termine di nove mesi essi abbiano la memoriadi essersi conosciuti: dappoichè codesta specie di memoria perla quale un individuo dà la preferenza ad un individuo per1'atto della generazione, esige maggiori progressi o corruzionenell'intendimento umano, che non se gliene può supporre nellostato di animalità, di cui qui si tratta. Un'altra femmina puòdunque contentare i nuovi desiderj dell'uomo tanto comoda-mente quanto quella che ha egli conosciuto, ed un altro uomocontentare parimente la femmina, supposto ch'essa sia pressatadallo stesso appetito nel corso dello stato di gravidanza; del chesi può ragionevolmente dubitare. Che se nello stato di natura lafemmina più non risente la passion dell'amore dopo il concepi-mento del fanciullo, l'ostacolo alla società coll'uomo ne divieneancor maggiore, poichè allora essa non ha più bisogno nèdell'uomo che l'ha fecondata, nè di verun altro. Non vi è adun-que nell'uomo veruna ragione di ricercare la stessa femmina, nènella femmina veruna ragione di ricercare lo stesso uomo. Il ra-gionamento di Locke cade adunque in rovina, e tutta la dialetti-ca di codesto filosofo non lo ha garantito dall’errore che Hob-bes ed altri hanno commesso. Avevan essi a spiegare un fattodello stato di natura, cioè di uno stato in cui gli uomini viveva-no isolati, ed ove un uomo non aveva verun motivo di trattener-si a lato di un tal uomo, nè forse gli uomini di restare a lato gliuni degli altri, lo che è ancor peggio; e non hanno pensato a tra-sportarsi al di là dei secoli di società, cioè di quei tempi ove gli

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uomini hanno sempre una ragione di restare gli uni vicino aglialtri, ed ove un tal uomo ha sovente una ragione di restar a latodi un tal uomo, o di una tal femmina.

(11) Io non ardirò d'imbarcarmi in riflessioni filosofiche chesarebbero da farsi sopra i vantaggi e gli inconvenienti di questainstituzione di lingue: a me non viene permesso lo attaccare glierrori volgari, ed il popolo letterato rispetta troppo i suoi pre-giudizj per sopportar pazientemente i miei pretesi paradossi.Lasciamo dunque parlare le persone, alle quali non se gli feceun delitto l'osar di prendere alcune volte il partito della ragionecontro l'opinione della moltitudine. Nec quidquam felicitati hu-mani generis decederet, si pulsa tot linguarum peste & confu-sione, unam artem callerent mortales, & signis, motibus, gesti-busque licitum foret quidvis explicare. Nunc vero ita compara-tum est, ut animalium quæ vulgo bruta creduntur, melior longequam nostram, hac in parte videatur conditio, utpote quæpromptius, & forsan felicius sensus & cogitationes suas sineinterprete significent, quam ulli queant mortales, præsertim siperegrino utantur sermone. Is. Vossius, de Poemat. Cant. & vi-ribus Rythmi, p. 66.

(12) Platone mostrando quanto le idee della quantità discre-ta, e de' suoi rapporti sieno necessarie nelle menome arti, si bur-la con ragione degli autori del suo tempo, i quali pretendevanoche Palamede avesse inventato i numeri all'assedio di Troia,come se, dice codesto filosofo, Agamennone avesse potutoignorare fino allora quante gambe avesse. In fatti si sentel'impossibilità che la società e le arti fossero pervenute ove giàerano al tempo dell'assedio di Troia, senza che gli uomini aves-sero l'uso de' numeri e del calcolo; ma la necessità di conoscerei numeri prima di acquistare altre cognizioni, non ne rendel'invenzione più facile da immaginare. I nomi de' numeri unavolta conosciuti, è facile lo spiegarne il senso, e lo eccitare leidee che codesti nomi rappresentano; ma per inventarli conven-ne, per così dire, familiarizzarsi colle meditazioni filosofiche,

uomini hanno sempre una ragione di restare gli uni vicino aglialtri, ed ove un tal uomo ha sovente una ragione di restar a latodi un tal uomo, o di una tal femmina.

(11) Io non ardirò d'imbarcarmi in riflessioni filosofiche chesarebbero da farsi sopra i vantaggi e gli inconvenienti di questainstituzione di lingue: a me non viene permesso lo attaccare glierrori volgari, ed il popolo letterato rispetta troppo i suoi pre-giudizj per sopportar pazientemente i miei pretesi paradossi.Lasciamo dunque parlare le persone, alle quali non se gli feceun delitto l'osar di prendere alcune volte il partito della ragionecontro l'opinione della moltitudine. Nec quidquam felicitati hu-mani generis decederet, si pulsa tot linguarum peste & confu-sione, unam artem callerent mortales, & signis, motibus, gesti-busque licitum foret quidvis explicare. Nunc vero ita compara-tum est, ut animalium quæ vulgo bruta creduntur, melior longequam nostram, hac in parte videatur conditio, utpote quæpromptius, & forsan felicius sensus & cogitationes suas sineinterprete significent, quam ulli queant mortales, præsertim siperegrino utantur sermone. Is. Vossius, de Poemat. Cant. & vi-ribus Rythmi, p. 66.

(12) Platone mostrando quanto le idee della quantità discre-ta, e de' suoi rapporti sieno necessarie nelle menome arti, si bur-la con ragione degli autori del suo tempo, i quali pretendevanoche Palamede avesse inventato i numeri all'assedio di Troia,come se, dice codesto filosofo, Agamennone avesse potutoignorare fino allora quante gambe avesse. In fatti si sentel'impossibilità che la società e le arti fossero pervenute ove giàerano al tempo dell'assedio di Troia, senza che gli uomini aves-sero l'uso de' numeri e del calcolo; ma la necessità di conoscerei numeri prima di acquistare altre cognizioni, non ne rendel'invenzione più facile da immaginare. I nomi de' numeri unavolta conosciuti, è facile lo spiegarne il senso, e lo eccitare leidee che codesti nomi rappresentano; ma per inventarli conven-ne, per così dire, familiarizzarsi colle meditazioni filosofiche,

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essersi esercitato a considerare gli enti per la loro essenza, e in-dipendentemente da ogn'altra percezione; astrazione penosissi-ma, assaissimo metafisica, pochissimo naturale, e senza la qua-le nonostante codeste idee non si avrebbero giammai potutotrasportare da una specie, o da un genere ad un altro, nè i nu-meri divenire universali. Un selvaggio poteva considerare sepa-ratamente la sua gamba destra, e la sua gamba sinistra, o ri-guardarle insieme sotto l'idea indivisibile di una coppia, senzapensar giammai ch'egli ne avesse due; imperciocchè altra cosaè l'idea rappresentativa, la quale ci pinge un oggetto, ed altracosa è l'idea numerica la quale la determina. Meno ancora pote-va egli calcolare fino a cinque; e benchè applicando le suemani una sopra l'altra, avesse potuto rimarcare che le dita esat-tamente si corrispondevano, egli era ben lungi dal pensare allaloro eguaglianza numerica; egli non sapeva meglio calcolare lesue dita che i suoi capelli; e se dopo avergli fatto intendere ciòche sia numeri, alcuno gli avesse detto esservi tante dita nellemani, quante ne' piedi, sarebbe forse rimasto sorpreso, nel para-gonarle, che ciò era vero.

(13) Non bisogna confondere l'amor proprio, e l'amore di se-stesso, due passioni differentissime per la loro natura e per iloro effetti. L'amor di sestesso è un sentimento naturale cheporta ciascun animale a vegliare sopra la sua propria conserva-zione, ed il quale diretto nell'uomo dalla ragione, e modificatodalla pietà, produce l’umanità e la virtù. L’amor proprio non èche un sentimento relativo, fattizio, e nato nella società, il qua-le porta ciascun individuo a far più caso di se che di verun al-tro, il quale ispira agli uomini tutti i mali che si fanno mutua-mente, ed il quale è la vera sorgente dell'onore.

Ciò ben inteso, io dico che nel nostro stato primitivo, nelvero stato di natura, l'amor proprio non esiste; dappoichè cia-scun uomo in particolare riguardando se medesimo come ilsolo spettatore che lo osservi, come il solo ente nell'universoche prenda interesse per esso, come il solo giudice del suo pro-

essersi esercitato a considerare gli enti per la loro essenza, e in-dipendentemente da ogn'altra percezione; astrazione penosissi-ma, assaissimo metafisica, pochissimo naturale, e senza la qua-le nonostante codeste idee non si avrebbero giammai potutotrasportare da una specie, o da un genere ad un altro, nè i nu-meri divenire universali. Un selvaggio poteva considerare sepa-ratamente la sua gamba destra, e la sua gamba sinistra, o ri-guardarle insieme sotto l'idea indivisibile di una coppia, senzapensar giammai ch'egli ne avesse due; imperciocchè altra cosaè l'idea rappresentativa, la quale ci pinge un oggetto, ed altracosa è l'idea numerica la quale la determina. Meno ancora pote-va egli calcolare fino a cinque; e benchè applicando le suemani una sopra l'altra, avesse potuto rimarcare che le dita esat-tamente si corrispondevano, egli era ben lungi dal pensare allaloro eguaglianza numerica; egli non sapeva meglio calcolare lesue dita che i suoi capelli; e se dopo avergli fatto intendere ciòche sia numeri, alcuno gli avesse detto esservi tante dita nellemani, quante ne' piedi, sarebbe forse rimasto sorpreso, nel para-gonarle, che ciò era vero.

(13) Non bisogna confondere l'amor proprio, e l'amore di se-stesso, due passioni differentissime per la loro natura e per iloro effetti. L'amor di sestesso è un sentimento naturale cheporta ciascun animale a vegliare sopra la sua propria conserva-zione, ed il quale diretto nell'uomo dalla ragione, e modificatodalla pietà, produce l’umanità e la virtù. L’amor proprio non èche un sentimento relativo, fattizio, e nato nella società, il qua-le porta ciascun individuo a far più caso di se che di verun al-tro, il quale ispira agli uomini tutti i mali che si fanno mutua-mente, ed il quale è la vera sorgente dell'onore.

Ciò ben inteso, io dico che nel nostro stato primitivo, nelvero stato di natura, l'amor proprio non esiste; dappoichè cia-scun uomo in particolare riguardando se medesimo come ilsolo spettatore che lo osservi, come il solo ente nell'universoche prenda interesse per esso, come il solo giudice del suo pro-

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prio merito, non è possibile che un sentimento che prende lasua sorgente nei paragoni ch'egli non è a portata di fare, possagermogliare nella sua anima: per la stessa ragione codestouomo non saprebbe avere nè odio, nè desiderio di vendetta,passioni le quali non possono nascere che dall'opinione di qual-che offesa ricevuta; e siccome il disprezzo, o l'intenzione dinuocere, e non il male, costituisce l'offesa, così degli uominiche non sanno nè apprezzarsi, nè paragonarsi, possono bensìfarsi delle mutue violenze, quando sono per ritrarne qualchevantaggio, senza però giammai offendersi reciprocamente. Inuna parola ciascun uomo non vedendo i suoi simili, che comevedrebbe animali di un altra specie, può rapire la preda al piùdebole, o cedere fa sua al più forte, senza considerare codesterapine che come avvenimenti naturali, senza il menomo movi-mento d'insolenza, o di dispetto, e senza altra passione che ildolore, o 1a gioia di un buono, o cattivo successo.

(14) Essa è una cosa estremamente rimarchevole che dopotanti anni che gli Europei si tormentano per condurre i selvaggidi diverse contrade del mondo alla loro maniera di vivere, essinon abbiano ancora potuto guadagnarne un solo col favore delcristianesimo; imperciocchè i nostri missionarj ne fanno alcunevolte de' cristiani, ma giammai li riducono uomini inciviliti.Nulla può sormontare l'invincibile ripugnanza che essi hanno aprendere i nostri costumi, e vivere alla nostra maniera. Se code-sti poveri selvaggi sono tanto infelici quanto si pretende, perquale inconcepibile depravazione di giudizio rifiutan essi co-stantemente di polirsi alla nostra imitazione, o d'imparar a viverfelici fra noi, quando si legge in mille luoghi, che dei Francesi,ed altri Europei, si sono rifugiati volontariamente fra codestenazioni, vi hanno passata la loro intera vita senza poter più ab-bandonare una sì strana maniera di vivere, e che si veggon purede' sensati missionarj rammentarsi con tenerezza i giorni calmied innocenti appresso que' popoli cotanto disprezzati? Se si ri-sponde che non hanno sufficienti lumi per giudicar sanamente

prio merito, non è possibile che un sentimento che prende lasua sorgente nei paragoni ch'egli non è a portata di fare, possagermogliare nella sua anima: per la stessa ragione codestouomo non saprebbe avere nè odio, nè desiderio di vendetta,passioni le quali non possono nascere che dall'opinione di qual-che offesa ricevuta; e siccome il disprezzo, o l'intenzione dinuocere, e non il male, costituisce l'offesa, così degli uominiche non sanno nè apprezzarsi, nè paragonarsi, possono bensìfarsi delle mutue violenze, quando sono per ritrarne qualchevantaggio, senza però giammai offendersi reciprocamente. Inuna parola ciascun uomo non vedendo i suoi simili, che comevedrebbe animali di un altra specie, può rapire la preda al piùdebole, o cedere fa sua al più forte, senza considerare codesterapine che come avvenimenti naturali, senza il menomo movi-mento d'insolenza, o di dispetto, e senza altra passione che ildolore, o 1a gioia di un buono, o cattivo successo.

(14) Essa è una cosa estremamente rimarchevole che dopotanti anni che gli Europei si tormentano per condurre i selvaggidi diverse contrade del mondo alla loro maniera di vivere, essinon abbiano ancora potuto guadagnarne un solo col favore delcristianesimo; imperciocchè i nostri missionarj ne fanno alcunevolte de' cristiani, ma giammai li riducono uomini inciviliti.Nulla può sormontare l'invincibile ripugnanza che essi hanno aprendere i nostri costumi, e vivere alla nostra maniera. Se code-sti poveri selvaggi sono tanto infelici quanto si pretende, perquale inconcepibile depravazione di giudizio rifiutan essi co-stantemente di polirsi alla nostra imitazione, o d'imparar a viverfelici fra noi, quando si legge in mille luoghi, che dei Francesi,ed altri Europei, si sono rifugiati volontariamente fra codestenazioni, vi hanno passata la loro intera vita senza poter più ab-bandonare una sì strana maniera di vivere, e che si veggon purede' sensati missionarj rammentarsi con tenerezza i giorni calmied innocenti appresso que' popoli cotanto disprezzati? Se si ri-sponde che non hanno sufficienti lumi per giudicar sanamente

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del loro stato e del nostro, io replicherò che la estimazione del-la felicità è meno l'affare della ragione che del sentimento.D'altronde, questa risposta può ritorcersi contro di noi conmaggior forza ancora; dappoichè vi è una maggior distanzadalle nostre idee alla disposizione di spirito in cui converrebbeessere per concepire il gusto che trovano i selvaggi alla loromaniera di vivere, che dalle idee dei selvaggi a quelle che puòfar loro concepire la nostra. Ed infatti, dietro alcune osserva-zioni, è lor facile di vedere, che tutti i nostri travagli si dirigonosu due soli oggetti, cioè le comodità della vita, e la considera-zione fra gli altri. Ma per noi, qual è il mezzo d'immaginarequal sorte di piacere possa avere un selvaggio nel passar tuttala sua vita solo nel mezzo dei boschi, o alla pesca, o a soffiarein un cattivo flauto, senza saper giammai trarne un solo tuono,e senza curarsi d'impararlo?

Si sono condotti parecchie volte dei selvaggi a Parigi, aLondra, ed in altre città; si ebbe premura di spiegar loro il no-stro lusso, le nostre ricchezze, e tutte le nostre arti le più utili ele più curiose; tutto ciò non eccitò giammai in essi che una stu-pida ammirazione, senza il menomo movimento di cupidigia.Mi sovviene fra le altre, della storia di un capo di alcuni Ame-ricani settentrionali, che si condusse alla corte d'Inghilterra ver-so il 1725. Se gli fecero passare mille cose sotto gli occhi, affi-ne di fargli qualche regalo che potesse piacergli, senza che sitrovasse nulla di cui ne facesse conto. Le nostre armi gli pare-vano pesanti ed incomode, le nostre scarpe gli ferivano i piedi,i nostri vestiti lo torturavano, egli ributtava tutto; si scorse alfi-ne che avendo presa una coperta di lana, sembrava che pren-desse piacere ad avvilupparsi le spalle; voi converrete, gli dis-sero subito, almeno della utilità di questa mobilia. - Sì, risposeegli, questa mi sembra quasi tanto buona, quanto una pelle dibestia. Ei non avrebbe neppur detto questo, se avesse portatal'una e l'altra alla pioggia.

Forse mi si dirà che l'abitudine è quella, la quale attaccando

del loro stato e del nostro, io replicherò che la estimazione del-la felicità è meno l'affare della ragione che del sentimento.D'altronde, questa risposta può ritorcersi contro di noi conmaggior forza ancora; dappoichè vi è una maggior distanzadalle nostre idee alla disposizione di spirito in cui converrebbeessere per concepire il gusto che trovano i selvaggi alla loromaniera di vivere, che dalle idee dei selvaggi a quelle che puòfar loro concepire la nostra. Ed infatti, dietro alcune osserva-zioni, è lor facile di vedere, che tutti i nostri travagli si dirigonosu due soli oggetti, cioè le comodità della vita, e la considera-zione fra gli altri. Ma per noi, qual è il mezzo d'immaginarequal sorte di piacere possa avere un selvaggio nel passar tuttala sua vita solo nel mezzo dei boschi, o alla pesca, o a soffiarein un cattivo flauto, senza saper giammai trarne un solo tuono,e senza curarsi d'impararlo?

Si sono condotti parecchie volte dei selvaggi a Parigi, aLondra, ed in altre città; si ebbe premura di spiegar loro il no-stro lusso, le nostre ricchezze, e tutte le nostre arti le più utili ele più curiose; tutto ciò non eccitò giammai in essi che una stu-pida ammirazione, senza il menomo movimento di cupidigia.Mi sovviene fra le altre, della storia di un capo di alcuni Ame-ricani settentrionali, che si condusse alla corte d'Inghilterra ver-so il 1725. Se gli fecero passare mille cose sotto gli occhi, affi-ne di fargli qualche regalo che potesse piacergli, senza che sitrovasse nulla di cui ne facesse conto. Le nostre armi gli pare-vano pesanti ed incomode, le nostre scarpe gli ferivano i piedi,i nostri vestiti lo torturavano, egli ributtava tutto; si scorse alfi-ne che avendo presa una coperta di lana, sembrava che pren-desse piacere ad avvilupparsi le spalle; voi converrete, gli dis-sero subito, almeno della utilità di questa mobilia. - Sì, risposeegli, questa mi sembra quasi tanto buona, quanto una pelle dibestia. Ei non avrebbe neppur detto questo, se avesse portatal'una e l'altra alla pioggia.

Forse mi si dirà che l'abitudine è quella, la quale attaccando

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ciascuno alla sua maniera di vivere, impedisce i selvaggi dalsentire ciò che v'è di buono nella nostra: e su tal piede, deve pa-rere almeno molto straordinario che l'abitudine abbia maggiorforza per mantenere i selvaggi nel gusto della loro miseria, chegli Europei nel godimento della loro felicità. Ma per fare a que-sta ultima obbiezione una risposta alla quale non vi sia una pa-rola da replicare, senza allegare tutti i giovani selvaggi, che va-namente si è sforzato d'incivilire, senza parlare dei Groelandesie degli abitanti dell'Islanda, che si tentò di allevare e nutrire inDanimarca, e che la tristezza e la disperazione fecero tutti peri-re o di languore, o nel mare in cui si erano gettati colla speran-za di raggiugnere il loro paese a nuoto, io mi contenterò di cita-re un solo esempio ben testificato, e che presento da esaminareagli ammiratori della polizia europea.

"Tutti gli sforzi de' missionarj olandesi del Capo di Buo-na Speranza non furono giammai capaci di convertire unsolo Ottentotto. Vander Stel governatore del Capo, avendonepreso un fanciullo, lo fece allevare ne' principj della religio-ne cristiana; e nella pratica de’ costumi dell'Europa. Fu ve-stito riccamente; se gli fecero imparare molte lingue, e i dilui progressi corrisposero assai bene alle cure che si eranoprese per la di lui educazione. Il governatore sperando moltodal di lui spirito, lo spedì alle Indie con un commissario ge-nerale che lo impiegò utilmente negli affari della compa-gnia. Ritornò al Capo dopo la morte del commissario. Pochigiorni dopo il di lui ritorno, in una visita ch'egli rese ad alcu-ni Ottentotti suoi parenti, prese il partito di spogliarsi delsuo abbigliamento europeo, per rivestirsi di una pelle di pe-cora. Egli ritornò al Forte con un novello vestito, caricato diun fardello che conteneva i suoi antichi vestimenti, e presen-tandoli al governatore gli tenne il seguente discorso: Abbia-te la bontà, signore, di far attenzione ch'io rinunzio persempre a questo apparato. Rinunzio altresì per tutta la miavita alla religione cristiana: la mia risoluzione è di vivere e

ciascuno alla sua maniera di vivere, impedisce i selvaggi dalsentire ciò che v'è di buono nella nostra: e su tal piede, deve pa-rere almeno molto straordinario che l'abitudine abbia maggiorforza per mantenere i selvaggi nel gusto della loro miseria, chegli Europei nel godimento della loro felicità. Ma per fare a que-sta ultima obbiezione una risposta alla quale non vi sia una pa-rola da replicare, senza allegare tutti i giovani selvaggi, che va-namente si è sforzato d'incivilire, senza parlare dei Groelandesie degli abitanti dell'Islanda, che si tentò di allevare e nutrire inDanimarca, e che la tristezza e la disperazione fecero tutti peri-re o di languore, o nel mare in cui si erano gettati colla speran-za di raggiugnere il loro paese a nuoto, io mi contenterò di cita-re un solo esempio ben testificato, e che presento da esaminareagli ammiratori della polizia europea.

"Tutti gli sforzi de' missionarj olandesi del Capo di Buo-na Speranza non furono giammai capaci di convertire unsolo Ottentotto. Vander Stel governatore del Capo, avendonepreso un fanciullo, lo fece allevare ne' principj della religio-ne cristiana; e nella pratica de’ costumi dell'Europa. Fu ve-stito riccamente; se gli fecero imparare molte lingue, e i dilui progressi corrisposero assai bene alle cure che si eranoprese per la di lui educazione. Il governatore sperando moltodal di lui spirito, lo spedì alle Indie con un commissario ge-nerale che lo impiegò utilmente negli affari della compa-gnia. Ritornò al Capo dopo la morte del commissario. Pochigiorni dopo il di lui ritorno, in una visita ch'egli rese ad alcu-ni Ottentotti suoi parenti, prese il partito di spogliarsi delsuo abbigliamento europeo, per rivestirsi di una pelle di pe-cora. Egli ritornò al Forte con un novello vestito, caricato diun fardello che conteneva i suoi antichi vestimenti, e presen-tandoli al governatore gli tenne il seguente discorso: Abbia-te la bontà, signore, di far attenzione ch'io rinunzio persempre a questo apparato. Rinunzio altresì per tutta la miavita alla religione cristiana: la mia risoluzione è di vivere e

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morire nella religione, maniere, ed usi de' miei antenati.L'unica grazia che vi chiedo è di lasciarmi la collana ed ilcoltello che porto. Io li conserverò per amor vostro. Tosto,senza aspettar la risposta di Vander Stel, sparì colla fuga, nèmai si rivide al Capo. Storia de' viaggi tom. 5, p. 175.(15) Si potrebbe obbiettarmi che in un simile disordine gli

uomini invece di scannarsi ostinatamente a vicenda, si sarebbe-ro dispersi, se non vi fossero stati de' termini alla loro disper-sione. Ma prima di tutto codesti termini sarebbero stati almenoquelli del mondo; e se si rifletta alla eccessiva popolazione cherisulta dallo stato di natura, si giudicherà che la terra in tale sta-to non avrebbe tardato ad essere coperta di uomini quindi sfor-zati a tenersi riuniti. D'altronde si sarebbero dispersi se il malefosse stato rapido, e che il cambiamento si fosse fatto da oggi adomani; ma nascevano sotto il giogo: avevano l’abitudine diportarlo quando ne sentivano il peso, e si contentavano diaspettar l'occasione per scuoterlo. Infine di già accostumati amille comodità che li sforzavano a tenersi riuniti, la dispersionenon era più tanto facile quanto ne' primi tempi, ne' quali verunonon avendo bisogno che di lui stesso, ciascuno prendeva il suopartito senza aspettare il consentimento di un altro.

(16) Il maresciallo di V.... raccontava che in una delle suecampagne le eccessive bricconerie di un impresario de' viveriavendo fatto soffrire e mormorare l'armata, egli lo rimproveròacremente e lo minacciò di farlo appiccare. "Questa minaccianon mi riguarda, gli rispose arditamente il briccone, e sono adirvi che non si appicca un uomo che può disporre di centomilascudi. Io non so come sia andata la faccenda, aggiugneva inge-nuamente il maresciallo; ma in effetto egli non fu appiccato,quantunque avesse meritato di esserlo cento volte.

(17) La giustizia distributiva si opporrebbe a codesta egua-glianza rigorosa dello stato di natura, quand'anche fosse prati-cabile nella società civile; e come tutti i membri dello Stato glidebbono dei servigi proporzionati ai loro talenti e alle loro for-

morire nella religione, maniere, ed usi de' miei antenati.L'unica grazia che vi chiedo è di lasciarmi la collana ed ilcoltello che porto. Io li conserverò per amor vostro. Tosto,senza aspettar la risposta di Vander Stel, sparì colla fuga, nèmai si rivide al Capo. Storia de' viaggi tom. 5, p. 175.(15) Si potrebbe obbiettarmi che in un simile disordine gli

uomini invece di scannarsi ostinatamente a vicenda, si sarebbe-ro dispersi, se non vi fossero stati de' termini alla loro disper-sione. Ma prima di tutto codesti termini sarebbero stati almenoquelli del mondo; e se si rifletta alla eccessiva popolazione cherisulta dallo stato di natura, si giudicherà che la terra in tale sta-to non avrebbe tardato ad essere coperta di uomini quindi sfor-zati a tenersi riuniti. D'altronde si sarebbero dispersi se il malefosse stato rapido, e che il cambiamento si fosse fatto da oggi adomani; ma nascevano sotto il giogo: avevano l’abitudine diportarlo quando ne sentivano il peso, e si contentavano diaspettar l'occasione per scuoterlo. Infine di già accostumati amille comodità che li sforzavano a tenersi riuniti, la dispersionenon era più tanto facile quanto ne' primi tempi, ne' quali verunonon avendo bisogno che di lui stesso, ciascuno prendeva il suopartito senza aspettare il consentimento di un altro.

(16) Il maresciallo di V.... raccontava che in una delle suecampagne le eccessive bricconerie di un impresario de' viveriavendo fatto soffrire e mormorare l'armata, egli lo rimproveròacremente e lo minacciò di farlo appiccare. "Questa minaccianon mi riguarda, gli rispose arditamente il briccone, e sono adirvi che non si appicca un uomo che può disporre di centomilascudi. Io non so come sia andata la faccenda, aggiugneva inge-nuamente il maresciallo; ma in effetto egli non fu appiccato,quantunque avesse meritato di esserlo cento volte.

(17) La giustizia distributiva si opporrebbe a codesta egua-glianza rigorosa dello stato di natura, quand'anche fosse prati-cabile nella società civile; e come tutti i membri dello Stato glidebbono dei servigi proporzionati ai loro talenti e alle loro for-

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ze, i cittadini a vicenda debbono essere distinti e favoriti in pro-porzione de' loro servigi. In questo senso bisogna intendere unpassaggio d'Isocrate, in cui loda i primi Ateniesi di aver ben sa-puto distinguere qual era la più vantaggiosa delle due sorti dieguaglianza, l'una delle quali consiste nel far parte degli stessivantaggi a tutti i cittadini indifferentemente, e l'altra a distri-buirli secondo il merito di ciascuno. Codesti valenti politici,agiugne l'oratore, bandendo codesta ingiusta eguaglianza, laquale non mette veruna differenza fra i cattivi e le persone dabene, si attaccarono inviolabilmente a quella che ricompensa epunisce ciascuno secondo i suoi meriti. Ma primieramente nonvi ha giammai esistito società, a qualunque grado di corruttelaabbiano potuto giugnere, nella quale non si abbia fatto verunadifferenza dei cattivi e delle persone da bene; e in materia dicostumi, ove la legge non può fissare una misura abbastanzaesatta per poter servire di regola al magistrato, per non lasciarla sorte, o il rango de' cittadini alla sua discrezione, saviamentegl'interdice il giudizio delle persone, per non lasciargli chequello delle azioni. Non vi sono che i costumi tanto puri quantoquelli degli antichi Romani, che possano soffrire dei censori, esimili tribunali appresso di noi avrebbero rovesciato tutto: toc-ca alla pubblica stima il mettere la differenza fra i cattivi e lepersone da bene; il magistrato non è giudice che del dritto rigo-roso; ma il popolo è il vero giudice de' costumi, giudice inte-gerrimo ed anco illuminato su questo punto, che s'ingannaqualche volta, ma che non si corrompe giammai. Deve dunqueessere regolato il rango de' cittadini, non sopra il merito perso-nale, lochè farebbe lasciare al magistrato il mezzo di fare unaapplicazione arbitraria della legge, ma sopra i reali servigi cherendono alla Stato, e i quali sono suscettibili di un estimo piùesatto.

ze, i cittadini a vicenda debbono essere distinti e favoriti in pro-porzione de' loro servigi. In questo senso bisogna intendere unpassaggio d'Isocrate, in cui loda i primi Ateniesi di aver ben sa-puto distinguere qual era la più vantaggiosa delle due sorti dieguaglianza, l'una delle quali consiste nel far parte degli stessivantaggi a tutti i cittadini indifferentemente, e l'altra a distri-buirli secondo il merito di ciascuno. Codesti valenti politici,agiugne l'oratore, bandendo codesta ingiusta eguaglianza, laquale non mette veruna differenza fra i cattivi e le persone dabene, si attaccarono inviolabilmente a quella che ricompensa epunisce ciascuno secondo i suoi meriti. Ma primieramente nonvi ha giammai esistito società, a qualunque grado di corruttelaabbiano potuto giugnere, nella quale non si abbia fatto verunadifferenza dei cattivi e delle persone da bene; e in materia dicostumi, ove la legge non può fissare una misura abbastanzaesatta per poter servire di regola al magistrato, per non lasciarla sorte, o il rango de' cittadini alla sua discrezione, saviamentegl'interdice il giudizio delle persone, per non lasciargli chequello delle azioni. Non vi sono che i costumi tanto puri quantoquelli degli antichi Romani, che possano soffrire dei censori, esimili tribunali appresso di noi avrebbero rovesciato tutto: toc-ca alla pubblica stima il mettere la differenza fra i cattivi e lepersone da bene; il magistrato non è giudice che del dritto rigo-roso; ma il popolo è il vero giudice de' costumi, giudice inte-gerrimo ed anco illuminato su questo punto, che s'ingannaqualche volta, ma che non si corrompe giammai. Deve dunqueessere regolato il rango de' cittadini, non sopra il merito perso-nale, lochè farebbe lasciare al magistrato il mezzo di fare unaapplicazione arbitraria della legge, ma sopra i reali servigi cherendono alla Stato, e i quali sono suscettibili di un estimo piùesatto.