Discorso laurea magistrale

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L’accellerazione della globalizzazione delle culture ha portato ad una perdita di

legami, di punti di riferimento stabili e ha cambiato il modo in cui gli individui

costruiscono la propria identità. Se guardiamo alle società di oggi ci accorgiamo di

vivere continuamente il rischio di fondamentalismi e radicalizzazioni da un lato e di

omologazioni culturali dall’altro.

Studiare e definire le culture e la cultura senza gli strumenti ermeneutici adatti

diventa una impresa estremamente difficile, perché essa non presenta limiti fisici o

naturali, come quando ci riferiamo a qualcosa di solido ed evidente come i confini

territoriali e le frontiere nazionali, ma possiede idee di limiti che sono

necessariamente mobili e poco definibili, entro cui si collocano di solito abitudini,

credenze, memorie, valori, linguaggi e filosofie di vita. Ma la natura astratta della

cultura non deve illudere sul fatto che i problemi della società multiculturale non

abbiano a che fare con qualcosa di fisico, di reale, come le nostre abitudini

quotidiane, come l’economia, i prodotti che compriamo e consumiamo.

Una delle domande principali poste dagli studi sull’intercultura è capire come gli

individui costruiscono le proprie identità e il proprio concetto di appartenenza

negoziando i significati culturali.

Attraverso un percorso che presenta gli studi che si sono interessati

maggiormente di concetti come identità, cultura e linguaggio la mia tesi prosegue

assumendo la cultura come un insieme di artefatti materiali e simbolici costruiti dagli

individui e mediati attraverso il linguaggio. Quindi quello che solitamente definiamo

“un ideale incontro interculturale” non potrà prescindere dalla co-costruzione di

nuovi artefatti o almeno dal riconoscimento degli artefatti comuni alle due culture.

Tale riconoscimento è un processo che attiva una rete simbolica significante e che

potrà avvenire solo attraverso un fondamento narrativo, sistema d’interpretazione e

reinterpretazione della cultura. La cultura allora da reificata diventa narrativa, spazio

condiviso, negoziato, situato, storico e sociale. Quindi per costruirla e raccontarla ci

sarà bisogno di narrazioni. Ma le narrazioni di cui parlo non sono le cosiddette

metanarrazioni utilizzate come risposta universale ai problemi dell’uomo moderno,

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in cui non credevano i post-modernisti. Non sto parlando delle grandi narrazioni

raccontate da una cultura dominante, ma una miriade di piccole narrazioni, che

emergano ogni volta ci sia uno spazio narrativo condiviso. La Pedagogia e

l’Educazione Interculturale, dovrebbero impegnarsi ancora di più a favorire

l’emergere di questi spazi narrativi condivisi, soprattutto nella scuola, luogo che con

la sua intenzionalità pedagogica è deputato formalmente all’istruzione e

all’integrazione dei bambini migranti. Tutto ciò può avvenire attraverso la

costruzione e l’uso degli albi illustrati. Essi sono un prodotto pensato per l’infanzia,

relativamente recente nel panorama editoriale italiano, sebbene la storia del libro per

l’infanzia ci restituisca una prassi di composizione del libro caratterizzata dal

continuo rimando tra testo e immagini, fin dal Medioevo. La mia tesi ripercorre la

storia della letteratura illustrata per l’infanzia e analizza la morfologia dell’albo

illustrato per comprendere appieno la sua portata ermeneutica che, grazie ai suoi

molteplici linguaggi in relazione tra di loro, narra storie di luoghi vicini e lontani

superando i confini culturali, ed emozionando grazie alle immagini.

Ad un primo sguardo sembrerebbe che le immagini siano uno strumento

compensativo e replicante la narrazione testuale, ma non sempre è così. Anzi, negli

albi illustrati non è quasi mai così. Infatti si gioca molto sulle contraddizioni tra testo

ed immagine ed entrambi i codici concorrono alla pari nella costruzione della storia.

Le immagini e le illustrazioni diventano allora un vero e proprio linguaggio a sé

stante con proprie regole. Tuttavia fra testo e immagini c’è una grossa differenza che

consiste nella forte carica emotiva che esse suscitano, caratteristica importante in

qualsiasi contesto educativo perché stimola la motivazione ad apprendere. Proprio

attraverso questa proprietà emotiva, le immagini consentono ai bambini di qui e

d’altrove di negoziare assieme i significati e di co-costruire un’interpretazione

condivisa del mondo attraverso la narrazione.

Ma se le immagini sono così importanti nei processi d’apprendimento e se esse

vengono assunte a linguaggio autonomo, a sé stante, bisognerà valutare le modalità in

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cui le immagini dei prodotti culturali veicolano contenuti al fruitore e inoltre

bisognerà valutare anche i contenuti.

Infatti studiosi di molteplici discipline, quali l’estetica, la semiotica, la linguistica, la

pedagogia, la sociologia, l’architettura e le neuroscienze auspicano oggi una

alfabetizzazione visiva, un’educazione alle immagini.

Quindi, la narrazione condivisa attraverso gli albi illustrati non potrà prescindere

dalla presenza di spazi narrativi pensati e costruiti con finalità educative.

Proprio perché le immagini non sono una replica del testo, e chi non conoscesse la

lingua e volesse capire la storia solo attraverso di esse resterebbe deluso, da qualche

anno, anche in Italia, circolano albi illustrati bilingue o plurilingue, cioè costituiti da

immagini e testo in molteplici lingue. Studiando i modelli di integrazione europei

emerge una costante nell’insegnamento della lingua nazionale. Gli albi illustrati

bilingue possono collocarsi all’interno di questo spazio educativo e possono essere

considerati uno degli strumenti più funzionali per insegnare le lingue, tanto nel

contesto di un’ordinaria attività scolastica, quanto, in particolar modo, nel contesto di

possibili pratiche educativo-didattiche volte all’integrazione di bambini migranti,

utilizzando il linguaggio visivo e testuale come veicolo per raccontare molteplici

storie di qui e d’altrove.