Discernimento Esercizi Spirituali: Meditazioni sul Vangelo...

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Esercizi Spirituali: Meditazioni sul Vangelo secondo Matteo Preghiera (insieme) «Signore, noi ti ringraziamo perché ci raduni ancora una volta alla tua presenza, ci raduni nel tuo nome. Signore, tu ci metti davanti la tua Parola, quella che tu hai ispirato ai tuoi profeti: fa' che ci accostiamo a questa Parola con riverenza, con attenzione, con umiltà; fa' che questa Parola non sia da noi sprecata, ma sia accolta in tutto ciò che essa ci dice. Noi sappiamo che il nostro cuore è spesso chiuso, incapace di comprendere la semplicità della tua Parola. Manda il tuo Spirito in noi perché possiamo accoglierla con verità, con semplicità; perché essa trasformi la nostra vita. Fa’, o Signore, che non ti resistiamo, che la tua Parola penetri in noi come spada a due tagli; che il nostro cuore sia aperto ad essa e che la nostra mano non vi resista; che il nostro occhio non si chiuda, che il nostro orecchio non si volga altrove, ma che ci dedichiamo totalmente a questo ascolto. Te lo chiediamo, o Padre, in unione con Maria per Gesù Cristo nostro Signore». Quaresima 2017 - Secondo incontro Discernimento Treccani: discèrnere v. tr. [dal lat. discernĕre, comp. di dis -1 e cer- nĕre: v. cernere] (pass. rem. discernéi, ecc., raro; mancano il part. pass. e i tempi com- posti). – 1. a. Vedere chiaro, con la vista (per estens., ant., an- che con altri sensi) o con l’intelletto. b. Più comunemente, distin- guere : d. le differen- ze, le somiglianze; d. il bene dal male, il vero dal falso; o distingue- re e riconoscere insie- me. 2. ant. Giudicare. Etimologia : DIS in gr. due volte doppiamente, una separazione inten- siva; e CERNERE sepa- rare una cosa dall’altra e particolarmente la farina dalla semola per mezzo di un setaccio. Consideriamo la seguen- te definizione di discernimento del p. Edward Malatesta s.j.: “Il discernimento è un processo nel quale noi esaminiamo, alla luce della fede e nella conna- turalità dell’amore, la natura degli stati spirituali che noi sperimenamo in noi stessi e negli altri. Lo scopo di questo “esame” è quello di decidere, per quanto possibile, quali delle mozioni che noi proviamo conducono a Dio e a un servizio più perfeo di Lui e dei nostri fratelli, e quali ci allontanano da questo scopo.”

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Preghiera (insieme)

«Signore, noi ti ringraziamoperché ci raduni

ancora una volta alla tua presenza, ci raduni nel tuo nome.

Signore, tu ci metti davanti la tua Parola,quella che tu hai ispirato ai tuoi profeti:

fa' che ci accostiamo a questa Parolacon riverenza, con attenzione, con umiltà;

fa' che questa Parola non sia da noi sprecata,

ma sia accolta in tutto ciò che essa ci dice.Noi sappiamo

che il nostro cuore è spesso chiuso, incapace di comprendere

la semplicità della tua Parola. Manda il tuo Spirito in noi

perché possiamo accoglierla con verità, con semplicità;

perché essa trasformi la nostra vita.Fa’, o Signore, che non ti resistiamo,

che la tua Parola penetri in noi come spada a due tagli; che il nostro cuore sia aperto ad essae che la nostra mano non vi resista;che il nostro occhio non si chiuda,

che il nostro orecchio non si volga altrove,ma che ci dedichiamo

totalmente a questo ascolto. Te lo chiediamo, o Padre,

in unione con Mariaper Gesù Cristo nostro Signore».

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Treccani: discèrnere v. tr. [dal lat. discernĕre, comp. di dis-1 e cer-nĕre: v. cernere] (pass. rem. discernéi, ecc., raro; mancano il part. pass. e i tempi com-posti). – 1. a. Vedere chiaro, con la vista (per estens., ant., an-che con altri sensi) o con l’intelletto. b. Più comunemente, distin-guere: d. le differen-ze, le somiglianze; d. il bene dal male, il vero dal falso; o distingue-re e riconoscere insie-me. 2. ant. Giudicare.

Etimologia: DIS in gr. due volte doppiamente, una separazione inten-siva; e CERNERE sepa-rare una cosa dall’altra e particolarmente la farina dalla semola per mezzo di un setaccio.

Consideriamo la seguen-te definizione di discernimento del p. Edward Malatesta s.j.:“Il discernimento è un processo nel quale noi esaminiamo, alla luce della fede e nella conna-turalità dell’amore, la natura degli stati spirituali che noi sperimentiamo in noi stessi e negli altri. Lo scopo di questo “esame” è quello di decidere, per quanto possibile, quali delle mozioni che noi proviamo conducono a Dio e a un servizio più perfetto di Lui e dei nostri fratelli, e quali ci allontanano da questo scopo.”

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La lectio divina

- La lectio - La meditatio - L’oratio - La contemplatio - La consolatio - La discretio - La deliberatio - L’actio

Non leggiamo la Scrittura per avere la forza di compiere quello che abbiamo deciso! Invece, leggiamo e meditiamo affinché nascano le giuste decisioni e la forza consolatrice dello Spirito ci aiuti a metterle in pratica.

Non si tratta, come spesso pensiamo, di pre-gare di più per agire meglio; ma di pregare di più per capire ciò che devo fare e per poterlo fare a partire dalla scelta interiore.

La regola concreta dunque è quella di chi si coinvolge fino a dare la vita per il Signore, perché allora ha il dono di capire che cosa è il Regno e che cosa non lo è, a cominciare da se stesso. La pretesa di discernere dal di fuori è molto rischiosa, induce a presunzione, a giudizi affrettati, a ideologie e a settarismi, ed è fonte di inimicizie e tensioni nella Chiesa.

Sottolineo l'importanza di questa premessa dal momento che siamo sempre tentati di trasfor-mare il discernimento in un giudizio che dall'esterno diamo sugli altri; il vero giudizio sul Regno nasce dal mio pagare di persona. E Matteo continua a ripetere la necessità di quel “fare” pratico, di quel “fare” la Parola, su cui vogliamo riflettere nei nostri Esercizi.

l'Imitazione di Cristo: «Queste sono parole di Cristo, con le quali egli ci esorta a imitare la sua vita e i suoi costumi, se vogliamo essere illuminati veracemente e che ogni cecità sia rimossa dal cuore [...] Se v'è chi voglia pienamente e saporosamente intendere le parole di Cristo, fa bisogno che egli si studi di conformarvi la propria vita».

Centro di Cultura card. Elia Dalla Costa: recu-pero rinnovo rinasco. Incontro con Ernesto Olivero

Mi sono trovato in una situazione in cui mi sono accorto che dovevo cambiare io, ho dovuto decidere se cambiare o no. È quello che ho fatto io lo potete fare anche voi, ma bisogna farlo senza cal-colo. Quando ho cominciato ho detto che dovevano accettare delle condizioni che ponevo io (non par-lare in pubblico, non viaggiare in aereo…), ma poi le cose cambiano la strada si apre camminando! …

Per decidere si tratta di mettermi in ascolto dell'altro, disponibile a lasciarmi coinvolgere!...

Se ci lasciamo guidare dalle situazioni ad una certo punto non apparteniamo più a noi stessi! E in tutte le cose se uno ci mette la passione non appar-tiene più a se stesso e ti ritrovi con delle doti che non immagini di avere, si tratta di avere la passione però per la giustizia!...

I sentimenti

Perché Ignazio fonda il discernimento sull’esa-me dei sentimenti?

La maggior parte delle nostre scelte, soprattut-to nel campo delle relazioni personali, avviene non in base ai ragionamenti dell’intelligenza, ma sotto la spinta dei sentimenti del cuore.

É dunque influenzando i nostri stati d’animo che gli spiriti del bene e del male muovono (da cui il termine “mozioni spirituali”) le nostre scelte sulla loro strada.

Una volta che, durante l’esame della preghiera o l’esame spirituale di coscienza, ci siamo resi consa-pevoli della risonanza affettiva che un certo passo della Scrittura o una determinata esperienza di vita hanno provocato nel nostro cuore, il discernimento ci aiuta ad individuare da quale spirito provengono queste mozioni e quindi se accettarle o respingerle.

Poiché non parlano all’intelligenza ma al cuore, gli Spiriti non suggeriscono cosa fare, ma motivano (ispirano) ad agire in un determinato senso lascian-do a noi (alla nostra creatività e generosità) la scelta di cosa fare concretamente.

Dal libro della GènesiIn quei giorni, il Signore disse ad Abram:

«Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò

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grande il tuo nome e possa tu essere una benedi-zione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno be-nedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.

Dal libro dell’Esodo

5,1In seguito, Mosè e Aronne vennero dal fara-one e gli annunciarono: «Così dice il Signore, il Dio d’Israele: “Lascia partire il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto!”». 4Il re d’Egitto disse loro: «Mosè e Aronne, perché distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai vostri lavori forzati!». 6In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sovrin-tendenti del popolo e agli scribi: 7«Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni, come facevate prima. Andranno a cercarsi da sé la paglia. 8Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano finora, senza ridurlo. Sono fannulloni; per questo protestano: “Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio!”. 9Pesi dunque la schia-vitù su questi uomini e lavorino; non diano retta a parole false!».

13,17Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada del territorio dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: «Che il popolo non si penta alla vista della guerra e voglia tornare in Egitto!». 18Dio fece deviare il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso. Gli Israeliti, armati, uscirono dalla terra d’Egitto.

14,10Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti al-zarono gli occhi: ecco, gli Egiziani marciavano dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. 11E dissero a Mosè: «È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall’Egitto? 12Non ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, per-ché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto”?». 13Mosè rispose: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! 14Il Signore com-batterà per voi, e voi starete tranquilli».

15Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammi-no. 16Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul

mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto.

Dalla lettera di san Paolo Apostolo ai Romani

2,17Ma se tu ti chiami Giudeo e ti riposi sicuro sulla Legge e metti il tuo vanto in Dio, 18ne conosci la volontà e, istruito dalla Legge, sai discernere ciò che è meglio, 19e sei convinto di essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, 20edu-catore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché nella Legge possiedi l’espressione della conoscenza e della verità... 21Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso?

12,1Vi esorto dunque, fratelli, per la miseri-cordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.

2Non conformatevi a questo mondo, ma la-sciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

3Per la grazia che mi è stata data, io dico a cia-scuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato.

I primordi del discernimento nell’Antico Testamento

Cominciamo da dove inizia ogni buon appren-dimento cristiano: dalla Sacra Scrittura. Nell’Antico Testamento la parola discernimento quasi non compare; l’idea-concetto di discernimento la si incontra solo tardivamente nella storia di Israele, mentre il discernimento-prassi lo si trova già “pro-iettato” nella storia di alcune figure di riferimento. Pensiamo al lento discernimento che implica il pas-saggio di Abramo dal paganesimo alla fede nel Dio Altissimo, come piano piano la sua fede si purifica dalle influenze pagane! Pensiamo al lento e faticoso discernimento di Mosè per cogliere la volontà di Dio di liberare il suo popolo e per discernere, pur fra molte resistenze, oscurità e tentazioni di rinunciare, che lui è il prescelto da Dio per questa impresa!

Per capire il “ritardo” dell’A.T. circa il concetto di discernimento occorre considerare quale idea di Dio aveva il popolo d’Israele e come questa si è

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evoluta nel corso della storia della salvezza.Si possono individuare tre stadi fondamentali

nell’evoluzione dell’idea di Dio:

1) il Dio “orologiaio”: crea l’universo lascian-dovi il marchio della propria bravura e della propria esistenza ma non conserva alcuna relazione-impli-cazione diretta con ciò che ha creato; si ritira nel suo paradiso lasciando che tutto funzioni secondo le istruzioni fissate all’inizio dei tempi. Partendo da questa concezione possiamo conoscere qualcosa di questo Dio, ma non possiamo entrare in relazione vitale con Lui, né è possibile alcun discernimento dal momento che il mondo, e quindi anche l’uomo, è un orologio (funziona meccanicamente, determi-nisticamente): non esiste libertà; tutto è già scelto, perciò nessun discernimento è possibile.

2) il Dio “burattinaio”: è lui che guida e ma-nipola, che fa sì che siamo buoni o cattivi, che determina i nostri atti... come appunto il burat-tinaio con le sue marionette. Bene e male non dipendono da noi. In questo caso il discernimento non è necessario; non c’è bisogno di scoprire la sua volontà perché comunque non possiamo agire diversamente da come decide Lui. Per una società primitiva, composta da gente semplice, come era il popolo ebraico, il dominio assoluto di Dio sull’uomo e la responsabilità umana coesisterebbero in una tensione tormentata: Saul viene presentato come guidato e posseduto da spiriti buoni in alcuni mo-menti e da spiriti cattivi in altri; però merita biasimo o lode, il che presuppone la libertà! (1 Sam. 11,6 e 16, 14-23). Per l’Israelita primevo sia il buono che il cattivo spirito vengono da Dio, anche se il primo manifesta un disegno di salvezza di Dio, mentre il secondo manifesta la volontà di Dio di mandare in rovina i suoi avversari (Gdc. 9, 23; 2 Re 19, 7; Is. 19,14; Is. 29,10). Ogni impulso buono o cattivo era visto come proveniente da Dio e l’uomo non poteva sottrarsene.

3) il Dio “Padre di figli adulti”. È il Dio dei pro-feti. Il fatalismo lascia spazio alla responsabilità.

Dio è un padre suscettibile di percezioni/in-terpretazioni/vissuti differenti a seconda che i figli sono bambini o adulti. Per il bambino il genitore è come il burattinaio (fa, decide al suo posto e per lui senza interpellarlo dal momento che non ha la capacità di rispondere). Il passaggio dalla fase

infantile della relazione-concezione con il genitore alla fase adulta avviene in varie forme non sempre semplici e lineari, ma, quando avviene, padre e figlio (così come Dio e uomo) si incontrano in una relazione adulta. I figli adulti sono capaci di rispetto della saggezza dei genitori, ma anche di riflessione e scelte autonome e mature. I genitori intelligenti vedono in questa autonomia dei figli il miglior suc-cesso della loro educazione. La relazione dunque matura piano piano e questa maturazione implica il discernimento, che è un’attività propria della persona adulta.

Nell’A.T., questa chiamata dell’uomo alla matu-rità comincia a farsi presente alla coscienza d’Israele negli scritti profetici. Allora il discernimento diventa necessario perché la voce e la volontà di Dio viene ricevuta come misteriosa e mischiata con l’oscurità. Non ogni spirito è “Spirito” di Dio: altre voci fanno concorrenza alla Sua (Gen. 4,7; 6,5; 11,4; Es. 32,9; Deut. 32,5. 20; Salmo 95,10); c’è anche la voce di Satana, che pure è misteriosa, che sembra venire dal cuore dell’uomo o da un personaggio inquietan-te più forte e intelligente di lui, capace di penetrare le intenzioni divine.

“...l’uomo si trova immerso in una triplice oscurità: quella di un Dio che si impone senza farsi notare, quella di Satana che si dissimula, suggerisce senza necessariamente affermare; quella dell’uomo stesso incapace com’è di veder chiaro nel proprio cuore e di rendersi completamente conto della gravità dei suoi gesti e delle loro conseguenze.” (Guillet).

In questa triplice oscurità l’uomo incontra la sfida-chiamata della scelta. Scegliere per l’uomo non è solo fare un dato gesto o azione, ma anche individuare e riconoscere le “voci” che sente: ciò significa discernere.

Dio ha una volontà particolare su ciascuno di noi?

Posto in questi termini, l’interrogativo ci crea un certo imbarazzo. Vi sono dei giorni in cui vorremmo poter fare riferimento a una volontà particolare di Dio la quale sarebbe la nostra vocazione. Come sarebbe rassicurante e confortante nelle ore di dubbio e di difficoltà! Sapere che ciò si iscrive in un disegno di Dio previsto da tutta l’eternità, in cui ogni elemento della nostra vita, lieto o triste che sia,

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trova il proprio posto e il proprio senso!Ma al tempo stesso, qualcosa protesta dentro

di noi: Dio dunque ci porreb be davanti un program-ma da riempire, stabilito al di fuori di noi, senza neppure darci dei mezzi sicuri per conoscerlo?...

Alla domanda che ci siamo posti possiamo dunque rispondere che non esiste in Dio una pro-grammazione prestabilita, una specie di copione, un prototipo di tutte e di ognuna delle nostre deci-sioni e scelte libere che mostri come devono essere e come devono avvenire. Dio rimane certo l’agente primo, la causa prima, ma la sua attività impercet-tibile si inserisce in quella delle cause seconde, rispettando la loro autonomia tipica. Perciò l’uomo rimane l’unico responsabile del proprio destino.

Si può parlare di una volontà di Dio, di un “pia-no” di Dio su ciascuno; ma questo piano, questa volontà è che ciascuno di noi cresca sulla linea del proprio essere profondo e autentico di figlio di Dio e della propria identità nelle varie situazioni che incontra nella vita. Questo cammino che ciascuno è chiamato a percorrere non è ancora tracciato, e il discernimento da operare non consiste nel cercare di scoprire quel qualcosa che esisterebbe in Dio ma che resterebbe nascosto per me, bensì nell’inven-tare momento per momento il mio cammino, non certo con operazioni di fantasia, ma nella preghiera e nella riflessione su ciò che sono e su ciò che mi sento/penso chiamato ad essere.

Dio sta aspettando di stupirsi e di gioire della mia risposta generosa e creativa che Egli sosterrà con la Sua grazia, ossia con l’ispirazione dello Spirito Santo che agisce in me infondendomi quell’energia interiore che deriva dai suoi sette doni (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio). L’uomo è chiamato a mettersi in ascolto dello Spirito, docile a ciò che gli rivela riguardo alla cor-rispondenza delle sue decisioni alla volontà di Dio.

La volontà di Dio intesa in questo senso è dun-que l’oggetto primo del discernimento spirituale di cui parliamo, che si va delineando come l’arte di scoprire la volontà di Dio nelle situazioni concrete della vita che siamo chiamati ad affrontare tutti i giorni.

CONOSCERSI

γνῶθι σεαυτόν [Gnóthi seautón], «Conosci te stesso». Secondo gli studiosi della storia della filo-sofia, questa antica iscrizione di un tempio greco non intendeva suggerire a chi la leggeva la necessità della conoscenza psicologica del «sé», del profondo. Indicava piuttosto l'importanza per la persona di riconoscersi come uomo, nella propria pochezza creaturale, non come un dio.

In seguito, con il passare del tempo, l'espres-sione è venuta a indicare un ideale di conoscenza personale, e ci fa comprendere che il conoscersi è un impegno lungo e difficile. Sette brevi tesi.

1. La conoscenza di sé è imperfetta e parziale

Prima tesi: la conoscenza di sé è sempre imper-fetta e parziale. La conoscenza di sé è parziale, ten-de a crescere, non è mai finita. Il quadrato dell'au-tocoscienza distingue gli aspetti che io conosco di me e quelli che altri conoscono di me; e ancora, distingue ciò che io non conosco di me e ciò che gli altri non conoscono di me. Ci sono colorazioni e sfumature diverse, perché io posso conoscere dei lati della mia personalità che chi mi vive accanto non conosce affatto.

Oltre ad essere parziale, la conoscenza di sé è in divenire; se è vero che l'uomo raggiunge l'inte-grazione tra i valori religiosi e i valori umani tra i trenta-quarant'anni, allora è difficile raggiungere una piena conoscenza di sé prima di quella età; le mie carte non sono scoperte del tutto, c'è ancora qualcosa che deve emergere.

E tuttavia è estremamente importante lo sforzo di autoconoscenza quando ci attendono delle de-cisioni gravi, definitive.

2. Conoscersi richiede la collaborazione di altri

Seconda tesi: per conoscermi ho bisogno della collaborazione di chi conosce alcuni aspetti di me che io non conosco. Devo quindi evitare che altri, per svariati motivi, abbiano paura di rivelarmi quello che di me vedono e comprendono.

Questa collaborazione richiede fiducia, rapporto di trasparenza, soprattutto se la conoscenza di me è finalizzata a una mèta esterna, non a un'analisi caratteriale.

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3. La conoscenza di sé passa attraverso qual-che sorpresa

Terza tesi: nel cammino verso l'autoconoscenza si incontrano delle sorprese, talora amare, che possono portarci a concludere, per esempio: non credevo di essere così debole, così sensibile, così suscettibile, così incapace di trattenere l'ira.

Spesso la sorpresa è costituita dal nostro com-portamento durante una prova fisica, una malattia per esempio: eravamo convinti di saper vivere la sofferenza e invece scopriamo che non riusciamo ad accettarla.

Anche nel campo degli affetti possiamo sor-prenderci: teoricamente conoscevamo il rischio di una certa dipendenza affettiva, ma non pensavamo proprio che un giorno ci saremmo trovati dentro.

4. Ci si conosce più per riflesso che per auto-contemplazione

Quarta tesi: come conosco meglio il mio corpo, in tutte le sue parti, guardandomi in uno specchio che mi riflette, così mi conosco spiritualmente me-glio agendo e poi riflettendo su quanto ho fatto, piuttosto che contemplandomi e soppesandomi a fondo.

La conoscenza di sé è successiva alla presa di coscienza della tensione conoscitiva, operativa, affettiva, volitiva, decisionale. È il giocarmi, deci-dendomi e agendo, che mi permette di riflettere poi su di me.

5. Conoscenza e feed-back

Quinta tesi: il feed-back, la risonanza che ricevo da altri (può benissimo essere una critica) su ciò che ho detto o su ciò che ho fatto, è uno strumento molto utile per conoscermi.

Dobbiamo dunque valorizzare come feed-back anche le critiche, senza accanirci e rifiutarle, anche se sono ingiuste. Il valorizzarle ci aiuta, tra l'altro, a smontare l'irritazione provocata dai giudizi su di noi, che riteniamo sbagliati. L'autoconoscenza infatti ha bisogno, per crescere, di una riflessione serena e oggettiva sulle risonanze negative, e non solo po-sitive, che suscitiamo negli altri; come ha bisogno dell'umile accettazione delle sorprese amare.

6. Il rischio di uno sviluppo morboso della co-

noscenza di sé

Sesta tesi: chi, come noi, ha una vita intellettua-le, rischia lo sviluppo morboso e canceroso della conoscenza di sé. È

I nostri errori

È facile elencare una serie di errori in cui cadia-mo: sono errori per difetto o per eccesso.

a) Errori per difetto di soggettività: non riflette-re mai su di sé, non esaminarsi mai, non imparare dagli errori che commettiamo, negare sempre le critiche; rovesciare la colpa di ogni situazione sugli altri o sull'ambiente, sulle strutture, sulla società; redigere analisi straordinarie sulla struttura senza minimamente coinvolgersi; non ascoltare quello che gli altri hanno da dire su di noi.

b) Errori per eccesso di soggettività: carico di soggettività che turba la semplicità e la lineari-tà dell'azione, della conoscenza e dell'amore - è nell'azione, nella conoscenza e nell'amore che la persona si esprime.

7. «Signore, tu sai che io ti amo»

Concludo con la settima tesi e la esprimo ripren-dendo la risposta di Pietro a Gesù risorto: «Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo».

Penso sia l'ultima parola sulla conoscenza di sé. In un momento di grave decisione, Simon Pietro è interrogato da Gesù sulla coscienza che ha del suo amore, del suo volergli bene «più di costoro».

Pietro non nega questa conoscenza di sé, però preferisce appellarsi al Signore: «Certo, Signore, tu sai che ti voglio bene. Tu sai tutto, tu sai che ti amo» (Gv 21,15-17).

Al culmine della conoscenza di sé c'è il fidarsi della conoscenza che il Signore ha di me, un fidarsi espresso in un atto di amore, di abbandono, che evidenzia l'aspetto trascendentale della seconda tesi: la conoscenza di sé richiede - soprattutto da-vanti alle grandi scelte della vita - la collaborazione di altri.

DECIDERSI

La conoscenza di sé non è sufficiente, anzi può diventare un ostacolo, un alibi, può assumere uno sviluppo per così dire canceroso. Essa ha senso se

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ci apre a decisioni significative per l'esistenza. È dunque nel decidersi che la persona si fa persona, che l'individuo diventa soggetto, che il ragazzo, il giovane diventa adulto.

Vogliamo allora indicare un sottotitolo per la nostra riflessione: Tipologie delle decisioni signifi-cative, patologie e rimedi per curarle.

Sono «significative» le decisioni che imprimono una certa direzione alla nostra vita, che ne costru-iscono la figura giorno dopo giorno.

Un'icona biblica di decisione significativa

Ci è utile trovare un'icona biblica capace di far-ci cogliere meglio la pregnanza del sottotitolo. La Bibbia offre molti esempi di decisioni significative. Tra i tanti, ne scelgo uno che è tratto dal Libro degli Atti degli Apostoli, al cap. 21.

Paolo sta salendo a Gerusalemme, dopo essere salpato da Mileto. Terminata la navigazione appro-da a Tolemaide e vi si ferma un giorno: «Ripartiti, giungemmo a Cesarea; ed entrati nella casa dell'e-vangelista Filippo, che era uno dei Sette (diaconi), sostammo presso di lui. Le sue quattro figlie nubili avevano il dono della profezia. Eravamo qui da alcu-ni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: "Questo dice lo Spirito santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani". All'udire queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Pa-olo di non andare più a Gerusalemme. Ma Paolo rispose: "Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù". E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: "Sia fatta la volontà del Signore!"» (At 21,8-14).

È sul tavolo una decisione: andare o meno a Ge-rusalemme, e i motivi per non andare sono molti. C'è infatti una situazione di pericolo, che l'Apostolo conosce bene e che ha già messo a fuoco a Mileto, nel suo discorso agli anziani di Efeso: «Ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei» (At 20,9).

Paolo sa per certo che a Gerusalemme incon-trerà insidie maggiori di quelle sperimentate, prece-dentemente, un po' ovunque. Egli intuisce quanto

potranno fargli i suoi connazionali e i falsi fratelli che saranno presenti, in gran numero, a Gerusalem-me. Ancor prima di giungere a Cesarea, i discepoli di Tiro, mossi dallo Spirito, l'avevano caldamente esortato a desistere (cfr. At 21,4).

Paolo ci offre quindi uno splendido esempio di decisione significativa che emerge da un contesto difficile ed è addirittura contrastata da persone carismatiche (la profezia di Agabo, i discepoli di Tiro che, «mossi dallo Spirito», lo implorano di non partire); una decisione attraversata da diversi segnali, di tipo spirituale, che lo fanno entrare in un certo senso nella notte dello spirito. Una decisione carica di conseguenze che segneranno tutta la sua vita, e che prende con piena coscienza, sentendosi probabilmente solo rispetto ai suoi collaboratori che non sono affatto d'accordo.

Aiutati dunque dall'esempio di Paolo e di altri personaggi biblici, passiamo a considerare alcune tipologie della decisione per coglierne gli elementi comuni. Successivamente mi fermerò sulla pa-tologia delle decisioni, cioè sulle difficoltà che si frappongono e sul modo di curarle.

Tipologie delle decisioni

Lasciando da parte il caso dell'opzione fonda-mentale - quella per la fede - che è indubbiamente il più importante, ma il più difficile da trattare sistematicamente, vorrei indicare quattro tipi di decisioni:

- abituali e moderatamente facili;- abituali e che però richiedono un certo sforzo,

uno slancio maggiore;- decisioni che implicano un cambio di orizzonte;- infine, quelle che ipotecano definitivamente

il futuro.Volendo cercare gli elementi comuni ai quattro

tipi di decisioni appena ricordati, ci accorgiamo che Il primo elemento è costituito dal fatto che

esse, comprese le più semplici, sono anzitutto atti di volontà.

Il secondo elemento è che questi atti di vo-lontà sono radicati nell'emotività del soggetto; coinvolgeranno per uno o per cinque o per dieci, comunque la mozione dei sentimenti, degli affetti, è sempre presente.

Il terzo elemento comune è lo sforzo che gli atti di volontà comportano: da sforzo zero (quando vado a mangiare avendo fame) a sforzo enorme.

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Può costarmi moltissimo decidere di sottopormi a un intervento chirurgico su cui non concordano nemmeno gli specialisti.

Il quarto elemento è pure interessante: in questi atti conta prima la ragionevolezza della decisione e dopo la difficoltà. Un'azione è migliore, è preferibi-le, è da scegliere non perché più comoda e più facile (nemmeno perché è più ardua), bensì perché è più conforme alla ragione, alla fede, quindi è bella, utile, moralmente comandata. La ragionevolezza, illumi-nata dalla fede, mi si presenta attraverso il magma incerto del piacere/dispiacere, dell'inclinazione/ripugnanza, dello sforzo/facilità, per indicarmi la direzione.

Il quinto elemento comune: a misura che si pas-sa dal primo caso al secondo, dal secondo al terzo e dal terzo al quarto, occorre essere pronti a com-battere e a lottare per la decisione ragionevole.

Patologie di una decisione ragionevole e illu-minata

Quali sono le patologie di un decidersi autenti-co? Sono molte, in verità, ma per semplicità le ri-duco a quattro categorie che ritengo fondamentali.

1. L'opposizione altrui (pensiamo agli amici e ai collaboratori di san Paolo, che insistentemente gli chiedono di non andare a Gerusalemme). Tale opposizione può essere reale o temuta: che cosa diranno gli altri? Solitamente, il timore dei giudizi o di farsi dei nemici, di crearsi delle noie, è un grosso ostacolo alla decisione.

2. Un'altra patologia si riferisce ai danni che pavento per me, reali o immaginari: che cosa mi accadrà se scelgo un nuovo lavoro che mi viene offerto? e che cosa succederà se vi rinuncio?

3. Distinguo dalla precedente la patologia delle fantasie delle opposizioni e dei danni, che possono molto oscurare il campo decisionale muovendolo in una direzione o nell'altra. Proprio perché in ogni decisione è posta in gioco l'emotività, facilmente le fantasie si scatenano' fino a confonderci; è quanto è accaduto a me, durante il Mese ignaziano di Esercizi spirituali, nel momento in cui dovevo decidermi per offrirmi di seguire Gesù in povertà e umiltà.

4. Una patologia più sottile e più insidiosa è quella della paura di aver paura, cioè il timore di entrare in uno stato conflittuale. Questa patologia impedisce a molte persone di prendere decisioni significative perché, non volendo turbare alcuni

equilibri raggiunti, preferiscono continuare nel loro tran-tran. Conosco tanti giovani, e anche tanti adulti, che non giungono a decisioni mature per mancanza del coraggio di esaminarle, per paura delle insorgenze negative esterne o interne. E così, purtroppo, fanno delle scelte riguardanti la profes-sione, la famiglia, la vita affettiva, sentimentale, senza avere la necessaria maturità.

La cura delle patologie

Infine, esprimo alcuni rimedi utili a curare, a vin-cere gli ostacoli che si frappongono alla decisione.

1. È pedagogicamente fondamentale, per aiu-tare i ragazzi e i giovani, promuovere il coraggio e la prontezza nelle decisioni del secondo tipo, cioè in quelle abituali, ma che richiedono uno sforzo maggiore. In tal modo l'individuo matura una certa abitudine a guardare in faccia gli ostacoli frapposti dalla fantasia o dalla paura.

2. Per prendere decisioni del terzo e del quarto tipo, è necessario entrare nel mondo delle scelte divine mediante l'esercizio della «lectio divina». Perché la lectio divina mette a contatto con le grandi decisioni di Dio, le decisioni che il Signore fa compiere al suo popolo, la decisione di Gesù continuamente rinnovata nell'Eucaristia, e a poco a poco esse diventano il nostro mondo.

3. Ancora per le decisioni del terzo e del quarto tipo, bisogna imparare, con l'aiuto del direttore spirituale, a discernere le mozioni interiori: fanta-sie, paure, immaginazioni, inclinazioni, attrazioni. Imparare a discernerle in noi per potere, a nostra volta, essere di aiuto ad altri.

4. Le decisioni di secondo tipo sono sempre il nostro cavallo di battaglia e, per vincere gli ostacoli in proposito, è bene abituarsi a vivere la comunio-ne dei santi. Esemplifico: sapere che la comunità mi aspetta per la celebrazione della Messa a una determinata ora, mi sollecita a superare la pigrizia e la fatica dell'alzata mattutina, la voglia di dormire un po' di più. Il fatto di dover rispondere di me e di avere delle responsabilità verso gli altri è molto stimolante. Non a caso la vita eremitica è estrema-mente difficile.

La comunione dei santi, l'esempio di persone più brave, più fedeli, più generose di noi, la consa-pevolezza che altri attendono da noi determinati servizi, ci conforta, ci incoraggia, ci sostiene, magari anche ci premia o ci rimprovera; tutto questo mec-

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canismo è ricco di profonda vitalità.Allora le buone abitudini prese diventano

importanti, perché esprimono il nostro modo di inserirci in una comunità.

5.Un altro rimedio per curare le patologie è di resistere dove la confusione vorrebbe impadronirsi di noi. Torneremo su questo tipo di «cura», che è estremamente valido per evitare l'inautenticità di decisioni gravi. Resistere tenendo presente che, nel momento della confusione, non dobbiamo per alcun motivo mutare quanto abbiamo deciso nel momento della serenità.

6.Infine, occorre talora compiere qualche atto coraggioso a cui ci sentiamo spinti, per cui veniamo debitamente consigliati, ma per il quale proviamo ancora paura e disagio. È la cura del tuffo. Non si tratta qui di confusione, bensì di indecisione: si sa che cosa si deve fare, però sembra esserci un motivo per aspettare. Allora, opportunamente consigliati, ci si butta, si salta. È un decidersi nel suo momento esistenziale e ha come conseguenza uno stato di grande pace.

DISCERNERE E RESISTERE

Introduzione

Dopo aver riflettuto sul tema del decidersi, è venuto il momento di esaminare altri due verbi: discernere e resistere.

A modo di introduzione possiamo chiederci: il decidersi è facile o difficile? Teoricamente sembra facile decidersi per ciò che è riconosciuto il vero bene. Il problema però concerne il come avviene il meccanismo della decisione. Per capirlo, abbiamo bisogno di «discernere» e di «resistere». Proporrò dunque anzitutto una icona sul tema discernimento (la notte di Giuseppe sposo di Maria); in un secondo momento esprimerò qualche richiamo sul discer-nimento; quindi accennerò al tema del resistere.

Le notti di Giuseppe, sposo di Maria, e di Fran-cesco

L’icona, biblica, è quella delle «notti» vissute da Giuseppe. Il vangelo secondo Matteo riporta il racconto di una sola notte, quando l'angelo del Signore gli apparve in sogno, ma è legittimo pen-sare che Giuseppe ne abbia vissute altre insonni. Prima infatti di giungere alla decisione («Giuseppe

suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto»: Mt 1,19), deve aver trascorso lunghe notti drammatiche, di lotta e di angoscia.

Il discernere comporta quindi fatica.E non è difficile immaginare le domande che

Giuseppe si poneva: che cosa vorrà Dio da me? perché mi ha messo in questo frangente? ho forse sbagliato a sposare Maria? probabilmente finirò come Uzza che, avendo steso la mano per sostenere l'arca del Signore, fu colpito a morte (cfr. Sani 6,6)? forse ho toccato il mistero di Dio, presumendo di me nello scegliere Maria, e mi devo tirare indietro?

Non c'è dubbio che il cammino di Giuseppe verso la decisione è stato oscuro, doloroso; tra l'altro, la decisione sarà poi chiarita da Dio in senso contrario alla sua. Tuttavia, a tale cammino nessun discernimento si può sottrarre.

La struttura del discernimento nel Nuovo Te-stamento

Il Nuovo Testamento presenta appunto la strut-tura del discernimento come un distinguere tra ciò che è bene e ciò che non lo è, tra ciò che Dio vuole e ciò che non vuole.

Ricordo alcuni tra i testi classici:* Rm 12,2: «Non conformatevi alla mentalità

di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto».

Ciò che a Dio è gradito è il nostro essere come il Figlio, al Battesimo e alla Trasfigurazione; essere come il Servo del Signore, nel quale Dio si compia-ce. L'oggetto del discernimento è il piacere a Dio, è quello che lui vuole, ama, quello che è perfetto in quanto ci rende simili al Padre. Possiamo capirlo dall'espressione di Paolo «rinnovando la mente»; il termine usato nel testo greco è dokimàzein, che indica lo sforzo, il tentativo di imparare sondando o saggiando, mediante esperimenti, la genuinità di qualche cosa. Comporta quindi un cerio soppesa-re, paragonare, provare. Dokimàzein ha lo stesso significato nel linguaggio profano, per esempio nel racconto di Luca sulla scelta degli invitati, dove un tale rifiuta l'invito a cena dicendo: «Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli (dokimàsai)» per capire se sono adatti all'aratro, se vanno bene (cfr. Le 14,19).

Nel brano della Lettera ai Romani si intende

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la capacità di saggiare, di sperimentare ciò che è secondo la volontà di Dio, la mente di Cristo, e ciò che, invece, non lo è.

* Fil 1,9-10: «Prego che la vostra carità si arric-chisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il gior-no di Cristo». Il discernimento ha quindi un valore escatologico, richiama il fine ultimo dell'uomo, il suo essere definitivamente davanti a Dio.

* 1 Gv 4,1: «Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova (discernete) le ispirazioni, per saggiare se provengono da Dio, per-ché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo».

Le parole di Giovanni nascono da grandi delusio-ni e amarezze; egli ha vissuto l'entusiasmo dei primi tempi del cristianesimo e, improvvisamente, si è accorto che tra questa gente generosa sorgevano divisioni, conflitti, eresie, interpretazioni negative della figura di Cristo quale Figlio di Dio incarnato. Si è accorto cioè che non ogni entusiasmo viene da Dio e ammonisce: «Mettete alla prova gli spiriti».

I moti dello spirito

L'oggetto preciso del discernimento è dunque la volontà di Dio, e comporta una grande visione di fede: Dio mi ama, pensa a me, mi chiama, ha una scelta particolare per me; la mia vita ha un senso nel piano di Dio e io ho un nome segreto, misterioso, che Egli vuole rivelarmi.

In chi si mette in stato di discernimento ci dev'essere la persuasione che quanto dovrà fare nella sua vita è iscritto in un disegno molto ampio, il disegno del mistero d'amore di Dio, a cui la nostra esistenza è risposta.

Per questo, il semplice mettersi in stato di discernimento è già un uscire dalla mondanità, è già una purificazione del cuore, un atto d'amore al Signore, un riconoscere che nella mia vita io sono in dialogo con una Parola più forte di me, che mi ha creato, mi ha redento, mi sostiene, mi guida e mi accompagna.

Ma se l'oggetto del discernimento è la volontà di Dio, il luogo più specifico del discernere viene precisato come i moti dello spirito, i movimenti interiori del cuore mediante i quali io conosco me stesso davanti a Dio e quindi conosco il suo disegno su di me.

Nella tradizione classica, soprattutto ignaziana,

i moti dello spirito sono fondamentalmente di due tipi:

- i moti di tipo promozionale, che infondono entusiasmo, spinta, gusto, gioia del bene, e sono chiamati con il termine generale di consolazione;

- i moti di tipo bloccante, che portano confu-sione, timore, paura, disgusto, ripugnanza e sono chiamati con il termine desolazione.

Sentire, recepire, valutare tali moti, vederne l'aspetto più profondo (ci può essere infatti una consolazione superficiale, apparente, che si rivela poi illusoria, oppure ci può essere una ripugnanza superficiale, che si rivela poi come chiamata) è il dono, l'arte del discernimento degli spiriti.

Il resistere

Il tema del discernere si aggancia direttamente al resistere: discernere è spesso resistere. Questo verbo è, in greco, ypoménein e si può tradurre con pazientare, attendere, sopportare, resistere, per-severare nella notte.

* Cito in proposito un testo biblico, dal van-gelo secondo Luca, più precisamente dal discorso escatologico, dove, dopo aver parlato dei problemi, delle sofferenze e delle prove per i quali devono passare i credenti, Gesù dice: «Con la vostra per-severanza salverete le vostre anime» (Le 21,19).

Resistere nella prova, nella desolazione, non mutando i buoni propositi fatti semplicemente perché è sopravvenuta la tenebra, ma cambiando, invece, interiormente se stessi, con una preghiera più prolungata, con la fiducia, l'abbandono, la se-renità, è l'atteggiamento con cui dobbiamo accom-pagnare il discernimento.

Concretamente, possiamo dire che nella vita la vera scelta, provata e saggiata al fuoco, nasce spesso da una resistenza, dal non mollare, dal tenere duro, dal perseverare anche soltanto nella preghiera, nella pazienza, nella ricerca, nell'attesa. Non si dà una vera scelta se non è provata e non è provata se non nella notte, nella fatica, nelle sabbie mobili del deserto, persino nel pantano; in queste condizioni conta il resistere.

* Illuminante, in proposito, un brano della Let-tera ai Romani, quando Paolo sottolinea i diversi momenti mediante cui si giunge alla pienezza della salvezza: «La tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la spe-ranza. La speranza poi non delude, perché l'amore

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di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato» (Rm 5,3-5). La speranza, che alla fine riceve la pienezza della salvezza, passa dalla tribolazione alla pazienza, quindi alla virtù provata e sperimentata. Median-te il discernimento, l'uomo entra nella prova, si lascia coinvolgere nella lotta difficile dell'esistenza quotidiana, resistendo grazie alle luci che il Signore gli fa intravedere.

Racconto di un Pellegrino (di sant’Ignazio)

«Percorrendo più volte le pagine di una Vita Christi restava preso da ciò che vi si narrava. Ma quando smetteva di leggere talora si soffermava a pensare alle cose che aveva letto, altre volte ri-tornava ai pensieri del mondo che prima gli erano abituali. Tra le molte vanità che gli si presentavano alla mente, un pensiero dominava il suo animo a tal punto che ne restava subito assorbito, indugiandovi come trasognato per due, tre o quattro ore: andava escogitando cosa potesse fare in servizio di una certa dama, di quali mezzi servirsi per raggiungere la città dove risiedeva; pensava le frasi cortesi, le parole che le avrebbe rivolto; sognava i fatti d’arme che avrebbe compiuto a suo servizio. In questi sogni restava così rapito che non badava all’impossibilità dell’impresa: perché quella dama non era una nobi-le qualunque; non era una contessa o una duchessa; il suo rango era ben più elevato di questi.

Ma nostro Signore lo assisteva e operava in lui. A questi pensieri ne succedevano altri, sugge-riti dalle cose che leggeva. Così leggendo la vita di nostro Signore e dei santi si soffermava a pensare e a riflettere tra sé: «E se anch’io facessi quel che ha fatto san Francesco o san Domenico?». In que-sto modo passava in rassegna molte iniziative che trovava buone, e sempre proponeva a se stesso imprese difficili e grandi; e mentre se le proponeva gli sembrava di trovare dentro di sé le energie per poterle attuare con facilità. Tutto il suo ragionare era un ripetere a se stesso: san Domenico ha fatto questo, devo farlo anch’io; san Francesco ha fatto questo, devo farlo anch’io. Anche queste riflessioni lo tenevano occupato molto tempo. Ma quando lo distraevano altre cose, riaffioravano i pensieri di mondo già ricordati, e pure in essi indugiava molto.

L’alternarsi di pensieri così diversi durò a lungo. Si trattasse di quelle gesta mondane che sognava di compiere, o di queste altre a servizio di Dio che gli si presentavano all’immaginazione, si tratteneva sempre sul pensiero ricorrente fino a tanto che, per stanchezza, lo abbandonava e s’applicava ad altro.

C’era però una differenza pensando alle cose del mondo provava molto piacere, ma quando, per stanchezza, le abbandonava si sentiva vuoto e deluso. Invece, andare a Gerusalemme a piedi nudi, non cibarsi che di erbe, praticare tutte le au-sterità che aveva conosciute abituali ai santi, erano pensieri che non solo lo consolavano mentre vi si soffermava, ma anche dopo averli abbandonati lo lasciavano soddisfatto e pieno di gioia. Allora non vi prestava attenzione e non si fermava a valutare questa differenza.

Finché una volta gli si aprirono un poco gli occhi; meravigliato di quella diversità cominciò a riflettervi: dall’esperienza aveva dedotto che alcuni pensieri lo lasciavano triste, altri allegro; e a poco a poco imparò a conoscere la diversità degli spiriti che si agitavano in lui: uno del demonio, l’altro di Dio.

Questa fu la prima riflessione che egli fece sulle cose di Dio. In seguito, quando si applicò agli “Esercizi”, proprio di qui cominciò a prendere luce sull’argomento della diversità degli spiriti.

[21] ESERCIZI SPIRITUALI per vincere se stes-so e per mettere ordi ne nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcune propensione che sia disordinata.

[23] Principio e fondamento.L’uomo è creato per lodare, riverire e servire

Dio nostro Signore e per sal vare, in questo modo, la propria anima; e le altre cose sulla faccia della terra sono create per l’uomo affinché lo aiutino al raggiungimento del fine per cui è stato creato. Da qui segue che l’uomo deve servirsene tanto, quanto lo aiutino a conseguire il fine per cui è stato creato e tanto deve liberarsene quanto glielo impediscano. Per questa ragione è necessario renderci indiffe-renti verso tutte le cose create (in tutto quello che è permesso alla libertà del nostro libero arbitrio e non le è proibito) in modo da non desiderare da par te nostra più la salute che la malattia, più la ric-

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chezza che la povertà, più l’onore che il disonore, più la vita lunga che quella breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo solo ciò che più ci porta al fine per cui siamo stati creati.

Consolazioni e desolazioni

Come abbiamo visto, il discernimento è posto in atto per riuscire a capire quali atteggiamenti dobbiamo assumere, quali decisioni dobbiamo prendere per progredire nel cammino della vita rea-lizzando le aspettati ve d’amore che Dio ha su di noi.

Per capire a cosa Dio ci chiama occorre pren-dere in esame le mozioni spirituali (consolazioni e desolazioni, cioè stati d’animo che hanno per oggetto Dio, il suo Regno...) che nascono nel nostro cuore quando dobbiamo prendere una decisione, quando meditiamo su un brano della scrittura, quando viviamo una determinata esperienza.

Importante perciò avere le idee il più precise possibile su cosa sia la consolazione e la desolazione e cosa siano i “diversi spiriti”.

Le indicazioni e le “regole” che Ignazio ci of-fre nel libretto degli esercizi spirituali (dal n. 313 al 336) specificano appunto questi due elementi (consolazione e desolazione) partendo da una base esperienziale vissuta da lui stesso. Ignazio non vuole certo trasferire in altri auto maticamente la propria esperienza, ma ricava da essa le “leggi” del com-portamento dello Spirito buono e dello spirito del male; ricava ed offre quindi il “succo” universale dell’esperienza stessa vissuta fin dall’inizio della sua conversione (vedi Autobiografia nn. 8-10; 14-15; 20-32).

Importante è il titolo del capitolo con cui Igna-zio comincia l’illustra zione di queste regole. Dice: “...regole per conoscere in qualche modo” i vari movimenti che avvengono nell’anima...”. Perché “in qualche modo”? 1) Perché il discernimento è una luce che ci perviene attraverso le me diazioni umane che sono di per se stesse non sempre chiare; 2) perché il discernimento è sempre progressivo e riformabile o perfeziona bile: il Signore infatti ci rivela la sua volontà sulla nostra vita solo con gra-dualità non il piano intero e completo; quanto è sufficiente per poter decidere in questo momento, non per tutta la vita... anche se piacerebbe molto alla nostra megalomania e al nostro desiderio di

sicurezza possedere il nostro futuro: atteggiamento che è esattamente l’opposto di quella fede a cui il Signore desidera che noi arriviamo: la fiducia nel suo amore.

Il titolo dice anche: regole per avvertire e conoscere. Significa per imparare a prendere co-scienza del sorgere nel cuore delle mozioni spiri-tuali, riconoscendone la natura (cioè se provenienti dallo spirito del bene o del male) in modo da poter decidere se seguirle o respingerle.

Mozione spirituale è un sentimento suscitato da uno spirito per indurci ad assumere un atteggia-mento, a prendere una decisione, a fare un’azio ne. Assieme al sentimento proviamo cioè un’attrazione o una ribellione riguardo al fare qualcosa, o una conferma per continuare a fare qualco sa.

Quali sono queste mozioni? Le consolazioni e le desolazioni.

La consolazione (EE. SS. n. 316) è un insieme di sentimenti spirituali positivi, fra i quali è sempre presente come elemento caratterizzante la pace, che porta ad un aumento di fiducia, abbandono ed amore nei con fronti di Dio.

Si esprime in sentimenti di gioia, gratitudine, meraviglia, ammirazione, speranza, gusto spiritua-le. Anche sbigottimento, rimorso e dispiacere, ma senza inquietudine e scoraggiamento.

Tali sentimenti possono essere accompagnati da commozione intensa: dolore dei propri peccati: ciò però non necessariamente!

La desolazione (EE. SS. n. 317) è un insieme di sentimenti negativi che portano ad una chiusura in se stessi con il proprio problema, una sensa zione di non senso della vita dal cui orizzonte Dio scompare completa mente, o risulta sempre più sbiadito.

Può assumere diverse forme: disagio, inquietu-dine, turbamento, smarrimen to, pigrizia spirituale (accidia), aridità, tristezza, disperazione, paura. Sia l’una o l’altra forma, l’elemento comune delle deso-lazioni è la mancanza di pace spirituale profonda.

Si tenga presente che, mentre la situazione fisica influenza quella psicologica (quando siamo ammalati siamo anche giù di morale), piano psi-cologico e spirituale sono invece distinti. Si può essere depressi e nella consolazione; quando però un depresso incolpa Dio della propria situazione o lo accusa di non far nulla per tirarlo fuori allora cade

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nella desolazione (che si esprime, nel caso concreto, nella mancanza di fiducia e di fede). La desolazione è la depressione psichica quando raggiunge e intac-ca il piano spirituale (cioè della relazione con Dio).

Tattiche diverse a seconda della maturità spirituale

Dopo aver preso coscienza che stiamo pro-vando quel determinato sentimen to o mozione, il discernimento entra in azione per scoprire da quale spirito esso è suscitato.

Per muoverci ad agire nella loro linea gli spiriti usano però tattiche diverse a seconda della matu-rità spirituale della persona. Ignazio divide perciò le sue regole per il discernimento degli spiriti in due gruppi: quelle per la prima e quelle per la seconda settimana. Le prime (EE. SS. n. 313-327) parlano delle tattiche che gli spiriti usano con chi è soggetto a tentazioni grossolane ed evidenti (il male si pre-senta in modo sfacciato, senza neppure tentare di nascondersi dietro a scuse) e con chi ancora non ha fatto col cuore una scelta di campo per il Signore (a parole, a livello di cultura religiosa è cristiano, ma il suo cuore sceglie ancora con i criteri del mondo) (EE. SS. n. 9).

Le regole della seconda settimana (EE. SS. n. 328-336) riguardano invece chi, animato dal sincero desiderio di ricambiare l’amore che Cristo ha per lui, “è assalito e tentato sotto apparenza di bene” (EE. SS. n. 10).

Le tattiche degli spiriti nella prima settimana

Prima di entrare nella precisazione delle varie regole de discernimento, Ignazio ha la preoccu-pazione di chiarire due orientamenti di base della persona o due “opzioni fondamentali”: chi non si Preoccupa di Dio. Lo stile della sua vita è “carnale”, secondo il linguaggio di Paolo, vive cioè nel peccato e fuori di un interesse per Dio. Gli interessano solo le soddisfazioni immediate. É una opzione “contro Dio” in quanto rivol ta al dio-soddisfazione-piacere personale. (EE. SS. n. 314)

Chi si preoccupa di Dio. Lo stile della sua vita è “spirituale”. si va cioè purificando dai suoi peccati e procede nella via spirituale. (EE. SS. n. 315)

A seconda dei casi lo Spirito buono e quello del male hanno tattiche diverse.

Nel primo caso, quando l’atteggiamento di fondo della persona è contro Dio, lo spirito del male le darà una consolazione apparente per addor mentarle la coscienza in modo che continui tranquillamente nella sua vita di peccato senza porsi troppi problemi, anzi confermandosi in essa e vivendo una vita tranquilla. Non solo lo spirito del male proporrà “piacere e godimenti sensuali” (fascino del sensibile), ma tenderà ad ottundere la coscienza creando una ingannevole sicurezza e serenità di vita, giustificando “scientificamente” gli pseudo-valori di riferimento (idoli), spingendo alla ricerca, spacciando gli atteggiamenti che li at-tuano come realizzanti per l’uomo. Addirittura può arrivare a convin cere la persona che “lui”, cioè lo spirito del male, non esiste e che è frutto di qualche fantasia nevrotica o isterica.

Lo scopo è quello di far continuare la persona nella strada del male.

Con questa persona lo Spirito del bene agirà in maniera opposta: “pun gendo e rimordendo le loro coscienze” (EE. SS. n. 314), dando cioè una “desola-zione” apparente, creando un certo malessere allo scopo di far ravvedere l’anima. Attenzione però: il Signore crea un malessere che non è disperazione, umiliazione, sfiducia; l’azione di Dio porta sempre la pace.

Nel caso della seconda opzione, quando l’atteg-giamento di fondo della persona è per il Signore, i ruoli e gli scopi dei due spiriti sono invertiti. Il Signo-re dona la consolazione come incoraggiamento a conti nuare, lo spirito del male infonde ansie, paure di non riuscire a farce la, senso di inadeguatezza, di mancanza di perfezione, sensazione di essersi imbarcati in un’impresa impossibile, che Dio non è contento, che il tutto è o sarà un fallimento. Lo scopo è scoraggiare e ottenere l’abbandono del cammino intrapreso. (vedi autobiografia nn. 22-26)

Si tenga presente che le regole per la prima settimana riguardano so prattutto i fenomeni spiri-tuali che vivono i principianti nella vita spirituale.

Come comportarsi nella desolazione

La desolazione reale (da non confondere con l’apparente “desolazione” o stimolo con cui il Si-

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gnore richiama l’anima sulla retta via) è sempre opera dello spirito del male. Mai essa potrà essere voce/opera di Dio. Alcuni possono confondere la presenza della desolazione come segno che Dio non è contento di loro ed essere quindi tentati di cambiare strada. É l’inganno contro cui Ignazio mette in guardia con la regola 5 (EE. SS. n. 318): mai cambiare scelta o decisione sotto la spinta della desola zione o in presenza di essa: è reazione spontanea sotto lo scoraggiamen to abbandonare tutto ma non è mai intelligente e tanto meno pru-dente o saggio. Ciò non significa che non possiamo (e talvolta dobbiamo) cam biare delle decisioni o scelte; significa solo che non dobbiamo farlo in pe-riodo di desolazione. Questo per la semplicissima e spesso dimentica tissima ragione, che la desolazione è opera dello spirito del male ed è lui che in essa agisce e consiglia. Cambiare allora equivarrebbe a prendere lo spirito del male come padre spirituale o consigliere. Lui tenterà sempre di allontanarci dal bene e tirarci al male.

Un padre spirituale diceva alle persone che di-rigeva: “dimenticate pure tutto sul discernimento, ma non dimenticate questa regola: eviterete il 90 per cento dei vostri problemi spirituali”.

Che fare allora in tempo di desolazione dal mo-mento che non dovremmo né prendere decisioni diverse da prima, né cambiare il nostro atteggia-mento o comportamento? Come combattere la desolazione? La risposta è nelle tre regole succes-sive (EE. SS. n. 319-321):

1. Fare il contrario di ciò a cui la desolazione mi porterebbe (EE. SS. n. 319): insistere cioè sulla preghiera, sulla vita spiri tuale, allungarne i tempi e dilatarne le espressioni che lo spirito del male vor-rebbe ridurre o eliminare. Lo spirito del male ha poi le sue tattiche di approccio ben adatte alla psicolo-gia di ciascuno per staccarlo dalla preghiera o dalla vita spirituale: col devoto tenterà di scoraggiarlo, con la persona attiva cercherà di non dargli riposo facendogli vedere l’urgenza del lavoro apostolico nel regno di Dio che non permette di dedicare tem-po alla preghiera, o che è necessario accorciarlo.

2. Pensare che passerà presto e presto sarò consolato (EE. SS. n. 321): risvegliare cioè i senti-menti di fede (fiducia) in Dio che non abbandona e che presto si renderà presente con la sua consola-zione.

3. Considerare che il Signore è sempre presen-te vicino a me (EE. SS. n.320): Dio non ci abbandona e, anche se la nostra impres sione dice il contrario, Lui è sempre presente con la sua grazia... e questa ci basta per la nostra salvezza.

Nella prova il Signore ci lascia affidati alle no-stre forze perché impariamo a resistere alle molte agitazioni e tentazioni del nemico scoprendo quali sono i mezzi più idonei.

Per aiutarci a resistere Ignazio, che ha co-nosciuto bene l’intelligenza sottile e sottilmente ingannatrice dello spirito del male nel portarci alla desolazione (lui stesso infatti si è trovato investito dalla deso lazione fino alla tentazione di suicidio; Autobiografia n. 24), illustra nelle analogie (EE. SS. n. 325-327) le strategie e le tattiche usate dal nemi-co per insinuarsi nell’animo. Il nemico si comporta:

1. come un falso amante... (EE. SS. n. 326): convince la persona a non confidarsi con alcuna guida spirituale portando tutte le ragioni possi bili (è vecchio/a e certe cose non le può capire, è troppo chiuso/a, troppo severo/a, troppo moderno/a) in modo da non essere scoperto dalla persona inte-ressata. Ha tutto l’interesse a mestare nel torbido rimanen do segreto e nascosto... ha paura della luce.

3. come un capo militare... (EE. SS. n. 327): cer-ca il nostro tallone d’Achille e ci attacca da quella parte che è la più debole, ma anche quella nella quale è per lui più facile giocare i suoi assi nella mani ca. Ad esempio cercherà di far diventare pigro chi è timido di caratte re; il sentimentale lo porterà su un tipo di preghiera e di vita spiri tuale basata sul sentimentalismo o sulle emozioni mielose, senza aggan cio alla vita; se uno è attivo lo porterà ad un super-attivismo; ecc...

Anche da questo si deduce quanto è importan-te conoscerci, cioè conoscere quindi anche i nostri lati deboli o i nostri talloni d’Achille.

Inganni nelle consolazioni senza causa previa

C’è un tipo di consolazione che lo spirito del male non potrà mai imita re: quella che Ignazio chiama la “consolazione senza causa previa” (EE. SS. n. 330).

Ciò che le garantisce la sua origine divina è

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appunto il fatto di essere “senza causa previa”.Cosa significhi la dizione “senza causa previa”

Ignazio lo spiega alla fine della stessa regola: signifi-ca improvvisa, non in relazione con qualcosa di pre-cedente di interno o interiore spirituale (riflessio ne, preghiera, meditazione, contemplazione, ricordo...) né esteriore spirituale (visione di qualcosa di edifi-cante, di una comunicazione spirituale ricevuta...) in una esperienza consolante di Dio e del suo amore. In altri termini scavalca la nostra immaginazione, intelligenza e i nostri sensi, viene “slegata” da essi e fuori del loro tramite.

È una gioia, una pace, un progresso nella fede, nella speranza e nel l’amore, e avviene, arriva, ci raggiunge al di là e al di fuori dei pen sieri e delle immagini o sensazioni che, di solito, accompagnano o causano questo tipo di pace.

Gli atti e le azioni (interne o esterne) ispirate durante questo tempo di consolazione senza causa sensibile previa provengono certamente da Dio.

Tuttavia Ignazio invita, nella regola 8 (EE. SS. n. 336), a distinguere con molta attenzione il tempo proprio di questo tipo di consolazione dal tempo successivo ove sono ancora presenti gli effetti e i postumi di tale consolazione. Un immagine ci può aiutare. Una cosa è un aliante quando è trainato in volo dall’aereo, altra cosa quando continua a volare ma sganciato dall’aereo; così una cosa è la consolazione senza causa, altra i postumi di tale consolazione. La gioia e lo slancio della consola-zione senza causa ci accompagnano per un certo tempo: l’anima non è più agganciata, ma continua a volare, quindi è già ritornata ai suoi propri sensi, viene guidata dalle facoltà naturali d’intelligenza e di immaginazione; ed è qui che è esposta alle furbizie e agli inganni dello spirito del male che deve necessariamente passare attraverso le nostre facoltà e i nostri sensi. Dato lo stato di gioia c’è allora anche il pericolo corrispondente di illusione di esse-re ancora nel tempo della consolazione senza causa e quindi di scambiare ispirazioni e pensieri propri come ispirazioni che vengono direttamente da Dio. Il demonio ci spinge allora a fare il passo più lungo della gamba per farci cadere nello scoraggiamento in seguito alla constatazione della nostra incapa cità a fare quello che ci eravamo proposti.

Simone Weil [(Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943) è stata una filosofa, mistica e scrittri-ce francese, la cui fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò, dalla scelta di lasciare l'insegnamento per sperimentare la con-dizione operaia, fino all'impegno come attivista par-tigiana, nonostante i persistenti problemi di salute.]

«Un’altra menzogna è costituita dal piacere e dal do-lore. Noi sappiamo molto bene che certe omissioni o certe azioni causate dal desiderio del piacere, o dal timore della sofferenza, ci spingono a distogliere il nostro sguardo da Dio. In questi casi noi crediamo di essere stati vinti dal piacere o dal dolore; ma molto spesso si tratta solo di un’illusione. Molto spesso essi sono soltanto un pretesto, di cui si serve la parte mediocre di noi per allontanarci da Dio. Di per se stessi non sono tanto potenti. Non è infatti molto difficile rinunciare ad un piacere, per quanto inebriante, o accettare un dolore, anche se violento. Lo si vede fare quotidianamente da gente molto me-diocre. Ma è infinitamente difficile rinunciare anche a un leggerissimo piacere o esporsi anche a una leggerissima pena solo per Dio, per il Dio vero, colui che è in cielo e non altrove. Infatti, quando lo si fa, non è alla sofferenza che ci si vota, ma alla morte, una morte più radicale della morte carnale e che fa altrettanto orrore alla natura: la morte di ciò che in noi dice «io». Qualche volta la carne ci allontana da Dio; ma spesso, quando noi siamo convinti che le cose si svolgano in questo modo, si verifica in realtà proprio il contrario. L’anima, incapace di sopportare la presenza martirizzante di Dio, questa bruciatura, si rifugia dietro la carne, si serve della carne come di uno schermo. In questo caso non è la carne che ci allontana da Dio: è l’anima che cerca di dimentica-re Dio, nascondendosi in essa. Non si tratta quindi di debolezza, ma di tradimento; e la tentazione di questo tradimento è sempre presente nella misura in cui la parte mediocre dell’anima prevale sulla parte pura. Errori di per sé poco gravi possono es-sere l’espressione di un tale tradimento; pertanto essi diventano infinitamente più gravi di quegli errori, di per sé gravi, commessi per debolezza. Si evita il tradimento non con uno sforzo, o facendo violenza a noi stessi, ma con una semplice scelta».

Riflessioni senza ordine sull’amore di Dio - Simone Weil