Diritto Pubblico yyy

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COS’E IL DIRITTO Il diritto si può intendere come lo studio della nascita delle regole e di ciò che le caratterizza come tali. Lo Stato è solo uno dei produttori del diritto, a fianco dell’autorità statale, il diritto e i suoi obblighi spesso nascono da atti privati (contratti) altri atti prodotti dall’autonomia negoziale degli individui o dal istituzioni non statali. Lo studio del diritto presuppone l’osservazione dei comportamenti del singolo uomo e della società è pertanto una SCIENZA SOCIALE. L’osservazione, quindi, ci dice che in certe condizioni gli uomini tendono a comportarsi in un certo modo,sia pure con eccezioni e questo fa sì che, nelle stesse condizioni, diventa prevedibile che si comporteranno ancora nello stesso modo. Lo studio del diritto ci rende consapevoli dell’importanza del “NORMATIVO” nella nostra esistenza individuale e sociale. Le norme giuridiche non sono che una parte dell’esperienza normativa . Oltre le norme giuridiche vi sono precetti religiosi, regole morali, regole di costume ecc. Tutte hanno in comune un elemento caratteristico che consiste nell’essere proposizioni aventi il fine di influenzare il comportamento degli individui e dei gruppi verso certi obiettivi piuttosto che altri . L e regole giuridiche, dunque, attengono alle RAGIONI DEI COMPORTAMENTI UMANI, prima che ai comportamenti stessi. Il diritto è una forma di organizzazione sociale. Si compone di 2 fattori: ORGANIZZAZIONE (o meglio AUTORGANIZZAZIONE) OSSERVANZA SPONTANEA DELLE REGOLE ORGANIZZATIVE Le regole giuridiche si distinguono dalle regole morali –religiose o di buona educazione perché esprimono delle forme di organizzazione. Secondo una corrente giuridica detta”ISTITUZIONALISTI”, il cui principale esponente è lo studioso italiano SANTI ROMANO, il diritto è ordinamento giuridico ovvero un insieme di norme che può esistere e funzionare solo se c’è un gruppo umano organizzato (PLURISOGETTIVITA’) dotato di una organizzazione incaricata di produrre le regole e di farle rispettare (ISTITUZIONE). Il diritto è una forma di organizzazione che a differenza di altre DEVE ESSERE RISPETTATA. E’ fondamentale che le regole, per essere giuridiche, siano “OSSERVATE”, nel senso che da un lato le persone spontaneamente le rispettino ma dall’altro vi sia qualcosa che ne assicuri il rispetto in caso di mancata adesione spontanea. Le norme giuridiche, quindi nascono dall’organizzazione sociale e la giuridicità sta nel fatto che queste regole esprimendo tali forme di organizzazione collettiva è bene che siano rispettate, cioè osservate anche se il singolo decidesse di non cooperare o le ritenesse soggettivamente ingiuste o svantaggiose. 1

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COS’E IL DIRITTOIl diritto si può intendere come lo studio della nascita delle regole e di ciò che le caratterizza come tali.Lo Stato è solo uno dei produttori del diritto, a fianco dell’autorità statale, il diritto e i suoi obblighi spesso nascono da atti privati (contratti) altri atti prodotti dall’autonomia negoziale degli individui o dal istituzioni non statali.Lo studio del diritto presuppone l’osservazione dei comportamenti del singolo uomo e della società è pertanto una SCIENZA SOCIALE.L’osservazione, quindi, ci dice che in certe condizioni gli uomini tendono a comportarsi in un certo modo,sia pure con eccezioni e questo fa sì che, nelle stesse condizioni, diventa prevedibile che si comporteranno ancora nello stesso modo.Lo studio del diritto ci rende consapevoli dell’importanza del “NORMATIVO” nella nostra esistenza individuale e sociale. Le norme giuridiche non sono che una parte dell’esperienza normativa .Oltre le norme giuridiche vi sono precetti religiosi, regole morali, regole di costume ecc.Tutte hanno in comune un elemento caratteristico che consiste nell’essere proposizioni aventi il fine di influenzare il comportamento degli individui e dei gruppi verso certi obiettivi piuttosto che altri .L e regole giuridiche, dunque, attengono alle RAGIONI DEI COMPORTAMENTI UMANI, prima che ai comportamenti stessi.Il diritto è una forma di organizzazione sociale.Si compone di 2 fattori:ORGANIZZAZIONE (o meglio AUTORGANIZZAZIONE)OSSERVANZA SPONTANEA DELLE REGOLE ORGANIZZATIVELe regole giuridiche si distinguono dalle regole morali –religiose o di buona educazione perché esprimono delle forme di organizzazione.Secondo una corrente giuridica detta”ISTITUZIONALISTI”, il cui principale esponente è lo studioso italiano SANTI ROMANO, il diritto è ordinamento giuridico ovvero un insieme di norme che può esistere e funzionare solo se c’è un gruppo umano organizzato (PLURISOGETTIVITA’) dotato di una organizzazione incaricata di produrre le regole e di farle rispettare (ISTITUZIONE).Il diritto è una forma di organizzazione che a differenza di altre DEVE ESSERE RISPETTATA.E’ fondamentale che le regole, per essere giuridiche, siano “OSSERVATE”, nel senso che da un lato le persone spontaneamente le rispettino ma dall’altro vi sia qualcosa che ne assicuri il rispetto in caso di mancata adesione spontanea.Le norme giuridiche, quindi nascono dall’organizzazione sociale e la giuridicità sta nel fatto che queste regole esprimendo tali forme di organizzazione collettiva è bene che siano rispettate, cioè osservate anche se il singolo decidesse di non cooperare o le ritenesse soggettivamente ingiuste o svantaggiose.Esistono 2 modi di concepire il diritto:

1. ORDINAMENTO GIURIDICO DI GRUPPO SOCIALE ORGANIZZATO2. STATO E REGOLE CHE PRODUCE

DIRITTO SOGGETTIVOI diritti soggettivi esistono solo quando c’è una norma che li riconosce in quanto c’è, dunque, diritto oggettivo che li riconosce.Ci vuole sempre una norma per avere diritto soggettivo?Esistono 2 punti di vista

1. POSITIVISMO GIURIDICO che si afferma soprattutto a partire dal 1800 , non esiste altro diritto (oggettivo) che quello posto da che ne ha l’autorità e i diritti soggettivi sono quelli qualificati come tali dal diritto oggettivo.

2. IL GIUSNATURALISMO è quella corrente del pensiero secondo la quale il diritto non è riducibile alle sole leggi umane poiché è legato alla stessa natura/ragione dell’uomo.Il GIUSNATURALISMO apre un altro problema chi individua la norma di diritto naturale? Nel secondo dopoguerra si è POSITIVIZZATO IL DIRITTO NATURALE attraverso 2 strumenti:

LE COSTITUZIONI RIGIDE

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I TRATTATI INTERNAZIONALI SUI DIRITTI UMANI

Direttive fondamentali per lo studio del diritto :1. Se una società cambia, inevitabilmente cambiano le regole e i principi giuridici che la

organizzano 2. Lo Stato è solo uno dei possibili ordinamenti giuridici

Lo Stato rappresenta ancora il sistema giuridico più rilevante e condizionante la vita dei cittadini che vivono al suo interno e questo in particolare con riferimento a quella parte delle norme che siamo abituati a definire “DIRITTO PUBBLICO”.

IL DIRITTO PUBBLICOÈ quell’insieme di norme che ha per oggetto l’ordinamento giuridico dello Stato.In ogni ordinamento giuridico esistono:a) NORME SULLA PLURISOGGETTIVITA’(1): norme che individuano che sono i suoi membri;b) NORME SULLA PLURISOGGETTIVITA’(2):norme che regolano i rapporti tra i soggetti

dell’ordinamento giuridico;c) NORME SULLE ISTITUZIONI; norme sull’organizzazione che individuano gli organi e disciplinano i

loro poteri;d) NORME SUI RAPPORTI TRE LE ISTITUZIONI E LA PLURISOGGETTIVITA’: l enorme che regolano i

rapporti tra l’organizzazione e i soggetti dell’ordinamento;e) NORME SULLA NORMAZIONE: cioè norme che stabiliscono come si producono le norme in

questo ordinamento.f) NORME CHE REGOLANO I RAPPORTI CON ALTRI ORDINAMENTI GIURIDICI.

Tutto il complesso delle norme giuridiche può essere rcondotto a questi due grandi settori:DIRITTO PUBBLICODIRITTO PRIVATOLe norme di diritto pubblico e le norme di diritto privato si differenziano per l’oggetto della disciplina in quanto nelle norme di diritto pubblico compare sempre lo STATO che si colloca in una posizione di supremazia mentre i rapporti di DIRITTO PRIVATO sono tendenzialmente rapporti paritari in quanto i soggetti privati si collocano in una posizione di parità.Quanto al soggetto produttore le norme di diritto privato e del diritto pubblico sono riconducibili in qualche modo allo Stato o a soggetti da esso autorizzati, ad esempio i rapporti tra i privati sono regolati principalmente dal CODICE CIVILE che è una legge dello STATO che rientra nel settore di studio del diritto privato.Tuttavia questa ripartizione è mutabile ad esempio la disciplina dei rapporti di lavoro degli impiegati pubblici, che in Itali è stata regolata da norme di diritto pubblico per molti anno, dal 1993 è stata trasportata nel diritto privato perché questi rapporti hanno assunto la stessa natura dei rapporti privati.All’interno del DIRITTO PUBBLCIO troviamo vari settori:DIRITTO INTERNAZIONALE riguarda i rapporti dello Stato con gli altri StatiDIRITTO ECCLESIASTICO i rapporti dello Stato con la ChiesaDIRITTO PENALE E DIRITTO PROCESSUALE vari aspetti dei rapporti dello Stato con i cittadini DIRITTO AMMINISTRATIVO che si occupa della organizzazione dello Stato.DIRITTO COSTITUZIONALE insieme di norme che sono contenute nella fonte denominata COSTITUZIONE e in particolare su quelle relative all’organizzazione dello Stato e alle fonti del diritto.

COS’E’ LO STATO Una prima definizione è quella classica della dottrina italiana di Stato come ordinamento

giuridico: LO STATO è UN ORDINAMENTO GIURIDICO AI FINI GENERALI, ESERCITANTE IL

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POTERE SOVRANO SU UN DATO TERRITORIO, CUI SONO SUBORDINATI IN MODO NECESSARIO I OSGGETTI AD ESSO APPARTENENTI.

Una seconda definizione è quella che vede lo Stato come UNA PARTICOLARE FORMA STORICA DI ORGANIZZAZIONE DEL POTERE POLITICO NATA IN EUROPA TRA IL XV E IL XVII SECOLO, CHE SI CARATTERIZZA PERCHE’ ESERCITA IL MONOPOLIO DELLA FORZA LEGITTIMA SU DI UN TERRITORIO SU CUI VIVE UNA POPOLAZIONE E CHE SI AVVALE DI PROPRI APPARATI AMMINISTRATIVI.

Elementi comuni delle due definizioni sono :IL TERRITORIO;I SOGGETTI CHE CI VIVONO (IL POPOLO)IL POTERE SOVRANO(CUI CORRISPONDE IL MONOPOLIO DELLA FORZA LEGITTIMA)

Differenze: Nella prima definizione lo STATO è UN ORDINAMENTO GIURIDICO AI FINI GENERALI, cioè

può perseguire qualsiasi finalità propria del gruppo umano di riferimento e che pertanto si differenzia dagli ordinamenti giuridici a fini particolari che hanno la cura soltanto di interessi settoriali (es. federazione sportiva o sindacato);

Nella seconda definizione lo STATO è UNA FORMA DI ORGANIZZAZIONE DEL POTERE POLITICO cioè si basa sull’uso della forza per convincere i soggetti ad avere certi comportamenti .

Dei tre elementi che contraddistinguono lo STATO (territorio-popolo-potere sovrano) quello più qualificante è indubbiamente la SOVRANITA’.La sovranità è l’elemento che caratterizza lo STATO MODERNO .Per definire la sovranità occorre distinguere un aspetto “esterno” e uno “interno” (rispetto all’ordinamento giuridico dello Stato)GLI ORDINAMENTI GIURIDICI ESTERNI ALLO STATO o extrastatali sono rappresentati dagli altri Stati oppure l’ordinamento internazionale o sovranazionali (aventi il compito di agevolarle la cooperazione internazionale degli Sati) come l’UNIONE EUROPEA, ai quali fanno riferimento nella Costituzione italiana gli art. 10 e 11.ORDINAMENTI GIURIDICI INTERNI ALLO STATO definibili come infrastatali, tra i quali quelli regionali e locali (province e città metropolitane)ordinamenti religiosi o formazioni sociali (famiglia, associazioni, ecc).

La sovranità esterna è originaria ed indipendente in quanto l’ordinamento no deriva da un altro ed ha la capacità di escludere ingerenze esterne. L’art. 11 della Costituzione afferma che l’Italia accetta limitazioni alla propria sovranità (esterna) in nome di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni.La sovranità interna è riconducibile alla nozione di supremazia, è quindi la capacità di porre comandi giuridici vincolanti nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento.

LE FORME DI STATOAl centro del diritto pubblico si colloca lo STATO.La forma di uno STATO è, sul piano descrittivo, l’insieme degli elementi esteriori che servono a coglierne l’essenza, mentre, sul piano prescrittivo è l’insieme delle finalità per le quali lo STATO esiste.

Una prima definizione qualifica la forma di STATO come il modo attraverso il quale la sovranità si distribuisce personalmente e territorialmente, cioè si distribuisce rispetto agli altri due elementi, popolo e territorio.

Con riferimento al popolo possiamo individuare due forme di STATO: quello AUTORITARIO e quello DEMOCRATICO.

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NELLO STATO AUTORITARIO la sovranità è concentrata in un unico soggetto, sia esso un partito unico (vedi stato fascista o comunista) oppure un’unica persona fisica (STATO ASSOLUTO)NELLO STATO DEMOCRATICO la sovranità è distribuita tendenzialmente su tutto il popolo: tale forma di STATO è delineata dall’attuale COSTITUZIONE ITALIANA secondo la quale “LA SOVRANITA’ APPARTIENE AL POPOLO “ (ART. 1 comma 2).

Con riferimento al territorio possiamo distinguere lo STATO FEDERALE E LO STATO UNITARIO

LO STATO FEDERALE è quella forma di Stato in cui la sovranità è distribuita sul territorio, cioè suddivisa tra due livelli territoriali diversi , la FEDERAZIONE e i singoli STATI MEMBRI.LO STATO UNITARIO, è quella forma di Stato nella quale la sovranità non è ripartita sul territorio ma spetta a un unico livello di governo, lo STATO CENTRALE.L’art. 5 della Costituzione italiana laddove si riferisce a “la REPUBBLICA, una e indivisibile” esprime tale forma di Stato. Ciò non esclude che anche nello Stato unitario il potere possa essere esercitato secondo modalità che lasciano uno spazio di decisione per enti territoriali infrastatali. In particolare nello STATO REGIONALE come quello italiano alle regioni è riconosciuta un’importante autonomia legislativa

Una seconda definizione di forma di Stato può essere individuata in relazione ai rapporti che in un certo momento storico esistono tra autorità e libertà, tra chi ha il potere e chi è soggetto a quel potere, tra governanti e governati,considerando quindi l’insieme degli obiettivi, delle finalità impresse all’ordinamento statale dalle forze politiche dominanti , fini che di solito sono scritti nelle COSTITUZIONI.

EVOLUZIONE STORICA DELLE FORME DI STATO. L’ORDINE GIURIDICO MEDIEVALE.

Lo Stato moderno nasce tra il XV e il XVII secolo in Europa , in un contesto nel quale il potere era organizzato secondo gli assetti dell’ordinamento che viene definito FEUDALE O PATRIMONIALE.Con l’espressione ORDINAMENTO PATRIMONIALE si vuole fare riferimento alla rete di rapporti privatistici che lo reggevano, in cui popolo e territorio erano parte del patrimonio personale del re e all’assenza di distinzione tra diritto pubblico e privato.Tale ordinamento non aveva i caratteri propri dello STATO in quanto i regni medievali non erano SOVRANI né dal punto di vista della sovranità esterna (IMPERO E CHIESA) né di quella interna (soggetti che componevano la società feudale).Esisteva una serie di centri produttori di norme giuridiche autonome (libere città, borghi,comuni. Comunità religose,abbazie,corporazioni) ai quali il re non riusciva ad imporre un diritto uniforme:particolarismo giuridico.Ad un certo punto questo ORDINAMENTO MUTA con lo SVILUPPO DEI COMMERCI E DEI TRASPORTI.L’epoca delle scoperte geografiche e la necessità di organizzare i commerci su scala mondiale, nonché stabilire una rete di trasporti e comunicazioni sicure comportarono esigenze diverse sul piano bellico.Le nuove esigenze della guerra moderna e la necessità di infrastrutture adeguate per i commerci richiedevano ingenti somme finanziarie e l’unico sistema per trovarle fu quello di imporre tributi a tutti i soggetti residenti sul territorio.LO STATO MODERNO, dotato di apparati amministrativi e coercitivi nacque intorno al FISCO, attraverso i funzionari che avevano il compito di ottenere il pagamento dei tributi.A seguito quindi della trasformazione economico-sociale (sviluppo dell’economia basata sui commerci) si rese necessaria una risposta in termini istituzionale: POTERI CONCENTRATI IN APPARATI CHE FACEVANO CAPO AL RE il quale si trasformò in SOVRANO ASSOLUTO (ab solutus cioè sciolto da qualsiasi vincolo).Il re attraverso i suoi funzionari cercava che ovunque nel suo regno pagasse le imposte per poter quindi costruire con le risorse reperite un esercito formato da professionisti alle sue dipendenze.LO STATO ASSOLUTOLo Stato assoluto che possiamo ritenere la prima forma moderna di Stato, nacque tra il XV e il XVII secolo e tramontò alla fine del XVIII secolo con la Rivoluzione francese.

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Si caratterizzava per la concentrazione del potere nelle mani del sovrano assoluto e dei suoi apparati amministrativi. La LEGITTIMAZIONE del potere era di tipo TRASCENDENTE (da padre in figlio) E DINASTICO (per volere divino). LA FINALITA’ consisteva nel perseguimento dell’affermazione della SOVRANITA’ ESTERNA ED INTERNA.Tuttavia i re non riuscirono ad imporre completamente la propria sovranità in quanto per ciò che non era disciplinato dal DIRITTO PRODOTTO DAL POTERE REGIO continuò ad applicarsi il precedente diritto comune (es. ORDONNANCES DI LUIGI XIV, entrate in vigore nel 1667 in materia di processo civile,penale,commercio, diritto marittimo e della navigazione).Lo STATO ASSOLUTO viene definito anche come STATO PER CETI in quanto spesso continuavano ad esistere strutture sociali dell’ordinamento feudale.LA COSTITUZIONE DELLO STATO ASSOLUTO è stata definita come la risultanti di un insieme dei rapporti tra i diversi soggetti (monarchia e i ceti ) che caratterizzavano il particolarismo giuridico dell’ordinamento feudale e che permasero anche nello STATO ASSUOLUTO.Lo stato assoluto si trasformò poi in STATO DI POLIZIA caratterizzato dall’interventismo dello Stato in molti settori della vita sociale, dell’economia , dell’istruzione e dei lavori pubblici.La rivoluzione industriale , determinata da una grande trasformazione economica, con conseguente sviluppo della classe borghese, causò la fine, anche violenta in alcuni casi dello STATO ASSOLUTO e l’avvento di una nuova forma di Stato: LO STATO LIBERALE DI DIRITTO.

LO STATO LIBERALE DI DIRITTO In Europa nacque con la RIVOLUZIONE FRANCESE, nel 1789 e si consolidò nel XIX secolo.STATO LIBERALE per la finalità perseguita dal poteri pubblici ovvero la garanzia dei diritti individuali che erano tutelati nei confronti delle ingerenze del monarca assolutoSTATO DI DIRITTO riguardo soprattutto agli strumenti utilizzati.Alla base dello STATO LIBERALE vi era pertanto l’idea secondo la quale l’individuo è titolare di diritti naturali che lo STATO deve garantire rispetto al potere pubblico.La borghesia, nuova classe emergente caratterizzata dallo STATUS di soggetti proprietari e richiedeva assetti istituzionali idonei a garantire le libertà economiche senza l’ingerenza dello STATO ASSOLUTO.Essa chiedeva regole chiare, certe, prevedibili, conoscibili, uguali per tutti,chiedeva di partecipare alla gestione del potere attraverso il PARLAMENTO trasformato così in ORGANO RAPPRESENTATIVO DELLO NUOVA CLASSE SOCIALE.Lo STATO LIBELARE era funzionale alle esigenze della borghesia al punto che è stato definito STATO MONOCLASSE non perchè vi era e una sola classe sociale ma una sola, in quanto politicamente attiva era capace di imprimere alla Stato le sue finalità.Lo STATO LIBERALE DI DIRITTO utilizzava il diritto per limitare l’arbitrio dei titolari del potere pubblico attraverso :

1. IL PRINCIPIO DI LEGALITA’2. LA NOZIONE MODERNA DI COSTITUZIONE3. IL PRINCIPIO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI.

1) Secondo il PRINCIPIO DI LEGALITA’ ogni atto dei pubblici poteri deve trovare fondamento e limiti in una norma giuridica previamente adottata.

Nello STATO DI DIRITTO, sulla base del principio di legalità è il diritto che CREA IL POTERE, IL TITOLARE DEL POTERE E’ TALE PERCHE’ IL POTERE GLI VIENE ATTRIBUITO SULLA BASE DELLE NORME GIURIDICHE E PERCHE’ OPERA NEL RISPETTO DELLE NORME GIURIDICHE. LA LEGITTIMAZIONE DEL POTERE E’ DI TIPO LEGALE-RAZIONALE: I TITOLARE DEL POTERE SONO TALI PERCHE’ C’E’ UNA NORMA CHE LO ATTRIBUISCE LORO E LO ESERCITANO NEL RISPETTO DEL DIRITTO .

La NORMA PREVIA nello Stato Liberale era la legge intesa sia come norma generale ed astratta sia come prodotto del PARLAMENTO.Le norme generali sono quelle che si applicano a tutti i soggetti dell’ordinamento, mentre quelle particolari o settoriali si riferiscono ad un gruppo determinato di destinatari.

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Le norme astratte sono suscettibili di ripetute applicazioni nel tempo , a differenza delle norme concrete che esauriscono la loro efficacia in un’unica applicazione.Il carattere della generalità ed astrattezza si collega strettamente alla concezione del PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA propria della forma di STATO LIBERALE DI DIRITTO.Nello Stato assoluto la società era ripartita in ceti e il trattamento giuridico di ciascun individuo era determinato dall’appartenenza ad un certo ceto , mentre nello Stato liberale di diritto tutti gli uomini sono uguali senza che vi abbia rilievo la loro posizione sociale.La valenza garantistica del principio di legalità si comprende innanzitutto in relazione all’uguaglianza, ovvero se tutti gli atti dei poteri pubblici si devono fondare sulla legge si impediscono trattamenti differenziati ed inoltre gli atti di applicazione delle legge sono “misurabili” nel senso che qualora siano difformi dalle norme generali ed astratte possono essere annullati da un giudice imparziale :PRINCIPIO DI GIUSTIZIABILITA’ degli atti viziati.

Nello Stato di diritto si scelse la DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, nella quale le volontà dei cittadini si esprime indirettamente attraverso i rappresentanti eletti. La legge pertanto in conseguenza del principio rappresentativo era il prodotto di un organo, il PARLAMENTO, in cui almeno una delle due Camere era elettiva.Tuttavia lo STATO LIBERALE DI DIRITTO si reggeva su una grande “finzione” a causa del SUFFRAGIO LIMITATO sulla base del censo e del livello culturale.

2)LA COSTITUZIONE MODERNAÈ un atto giuridico vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento che serve a garantire i diritti e costituisce il fondamento di tutti i poteri .La Costituzione come atto normativo si caratterizza in quanto è idonea a garantire i diritti e costituisce il fondamento della legittimazione dei poteri..La Costituzione è un atto del potere costituente .Il potere costituente è il potere che pone la Costituzione,cioè l’atto sul quale si fondano tutti i poteri costituiti. Il potere costituente, nello Stato liberale di diritto si manifestava in varie forme attraverso ad esempio l’elezione di un’assemblea costituente (come negli anni della RIVOLUZIONE FRANCESE , oppure attraverso una concessione da parte del monarca assoluto, che in tal modo si autolimitava (COSTITUZIONE OTTRIATA).La Costituzione concessa (ottriata) rappresentava il risultato di un patto tra il sovrano, che limitava i suoi poteri e la borghesia che rinunciava alla rivoluzione e alla Repubblica (STATUTO ALBERTINO 1848). I poteri costituiti sono i quelli che si fondano sulla Costituzione e che incontrano i limiti che questa pone loro.La Costituzione in senso moderno, come atto del potere costituente è una norma giuridica vincolante.

3) IL PRINCIPIO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERISecondo tale principio le diverse funzioni dello Stato, legislativa, esecutiva e giurisdizionale, devono essere conferite a organi o gruppi di organi diversi.Nell’impostazione di LOCKE , poi ancor più in quella di MONTESQUIEU, tale assetto è funzionale alla garanzia dei diritti :si ritiene che limitando il potere per garantire i diritti individuali, sia essenziale dividerlo.POTERE: è il prodotto dell’esercizio di una funzione da parte di un organoORGANO: insieme di uffici pubblici che svolge un’attività a rilevanza esterna.Gli UFFICI PUBBLICI son un insieme di mezzi personali e materiali organizzati per realizzare un determinato compito. Organi e uffici sono articolazioni interne agli apparati pubblici dei quali lo STATO si avvale per perseguire i prorpi scopi e che caratterizzano lo Stato moderno.La FUNZIONE è un’attività preordinata ad un fine. Tre sono le funzioni pubbliche dello STATO LIBERALEFUNZIONE LEGISLATIVA, attività volta a predisporre norme giuridiche generali ed astratte ed era attribuita al Parlamento:

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FUNZIONE ESECUTIVA, consiste nell’applicazione della legge generale ed astratta, nello Stato liberale tale funzione era attribuita al Governo, o meglio al re e al suo Governo.FUNZIONE GIURISDIZIONALE, consisteva nell’applicazione della legge con esclusivo riferimento alle controversie.Sulla base dei principio di legalità e di separazione dei poteri si delineò il PRINCIPIO DELLA TIPICITA’ DEGLI ATTI, secondo il quale ogni atto ha una forma tipica in quanto prodotto a seguito di un certo procedimento.Alla forma è collegata la capacità dell’atto di produrre effetti giuridici che costituisce a sua volta una manifestazione della sovranità statale.L’atto del potere legislativo (LA LEGGE) si caratterizza per la FORZA , intesa come capacità di innovare l’ordinamento giuridico.L’atto del potere esecutivo (ATTO AMMINISTRATIVO) si connota per la ESECUTORIETA’, cioè la capacità di imporsi immediatamente ed autoritariamente ai destinatari.L’atto del potere giuridico (SENTENZA) produce l’effetto del giudicato, ovvero fa stato tra le parti del giudizio, in modo definitivo.La forma dell’atto è importante perché consente ai destinatari di riconoscerlo, di comprenderne gli effetti ed eventualmente di impugnarlo nella sede idonea qualora adottato in violazione del principio di legalità.

LA CRISI DELLO STATO LIBERALELo Stato liberale di diritto non riuscì a resistere all’allargamento della base sociale determinato dall’estensione del suffragio.In Italia dopo le riforme Giolittiane del 1912 il suffragio si estese al 23% della popolazione, dopo il 1921 il diritto di voto era riconosciuto al 28% della popolazione .Fino al 1946 restarono escluse le donne e la maggiore età venne abbassata a 18 anni dal 1975.La trasformazione mise in evidenza le contraddizioni sulle quali si reggeva lo STATO liberale di diritto:

1) QUALI DIRITTI E DIRITTI DI CHI?I diritti che si volevano garantire erano le pretese di escludere ingerenze esterne nella sfera personale dell’individuo e tra esse il DIRITTO DI PROPRIETA’;

2) QUALE UGUAGLIANZA?Il carattere liberista di questa forma di Stato (astensione dell’intervento pubblico nella sfera economica ) consentiva il perpetuarsi delle diseguaglianze sociali.

3) QUALE NAZIONE?Lo Stato liberale di diritto pur accogliendo i principi della sovranità della nazione e della legge come espressione della volontà generale era in realtà uno STATO MONOCLASSE: solo la borghesia poteva partecipare alla vita dello Stato, mentre la grande maggioranza della popolazione era esclusa dal processo di decisione politica.

4) QUALE COSTITUZIONE?Le Costituzioni dello Stato liberale di diritto diventarono flessibili, modificabili da leggi ordinari e quindi NON SI PONEVANO AL VERTICE DEL SISTEMA DELLE FONTI

Con l’ingresso della classe lavoratrice sulla scena politica nacque lo STATO PLURICLASSE nel quale agiscono soggetti portatori di interessi diversi e contrapposti.In un contesto di scontro frontale tra lavoratori e proprietari lo strumento del diritto si rilevo impotente,la forma di STATO LIBERALE DI DIRTTO crollò dopo la Prima guerra mondiale e venne sostituita da forme di Stato autoritarie oppure totalitarie.LO STATO AUTORITARIO, di sui lo Stato fascista in Itali è un esempio, è una forma di Stato che rifiuta i caratteri propri dello Stato liberale di diritto e recupera alcuni aspetti dello Stato assoluto come la concentrazione dei poteri o l’interventismo nella sfera economica, non esiste separazione dei poteri, che sono concentrati in un unico soggetto, né il principio di legalità.

Nello STATO TOTALITARIO i caratteri dello Stato autoritario sono ancora più accentuati .

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Dopo la sconfitta bellica degli STATI TOTALITARI , la forma di Stato liberale si è trasformata dando luogo allo STATO DEMOCRATICO PLURALISTA che possiamo anche definire STATO SOCIALE e STATO COSTITUZIONALE .

LO STATO CONTEMPORANEO: LA REPUBBLICA ITALIANA TRA UNIONE EUROPEA E AUTONOMIE LOCALI

La forma si Stato attualmente vigente in Italia sulla base della Costituzione del 1948 può essere indicata con varie denominazioni :

STATO PLURALISTA se ci si sofferma sulla sua base sociale e sulle finalità perseguite dal poteri pubblici L;

STATO DEMOCRATICO –STATO COSTITUZIONALE-STATO SOCIALE se ci si riferisce agli strumenti giuridici utilizzati (STATO CONTEMPORANEO)

Lo STATO CONTEMPORANEO : forma di Stato nella quale la finalità principale perseguita dai pubblici poteri è il mantenimento dell’unità in un contesto pluralista. Per fare ciò si sottopone il potere delle maggioranze politiche alla COSTITUZIONE e si promuove la coesione sociale attraverso il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale.Tale forma di Stato in molti paesi si è sviluppata come una conseguenza dell’evoluzione dello Stato liberale di diritto che sotto l’impulso di una serie di fattori riconducibili a trasformazioni di tipo economico –sociale , in primo luogo l’ascesa delle classi lavoratrici, ha adeguate le su strutture alle nuove esigenze.In Italia, come in altri paesi europei tale forma di Stato si è instaurata dopo aver superato esperienze autoritarie come quelle del fascismo, del nazismo o del franchismo.La diffusione di questa forma di Stato è avvenuta attraverso vari CICLI COSTITUZIONALI. Per ciclo costituzionale s’intende un periodo storico caratterizzato dalla produzione di COSTITUZIONI CHE PRESENTANO CARATTERI SIMILI (ad esempio la Costituzione Italiana appartiene al ciclo costituzionale immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale ).Alcuni paesi hanno introdotto lo Stato contemporaneo per “imitazione” delle esperienze occidentali .Molte organizzazioni internazionali o sovranazionali chiedono agli Stati membri di adottare questa forma di Stato : ad esempio essa è indispensabile per entrare nell’Unione Europea.

LA FORMA DI STATO CONTEMPORANEO:UNO STATO PLURALISTACon l’espressione Stato Pluralista si fa riferimento all’elemento PLURISOGGETTIVITA’ dell’ordinamento giuridico statale, per evidenziare che esistono soggetti o gruppi di soggetti profondamente diversi tra loro e che questa loro diversa SOGGETTIVITA’ è riconosciuta dell’ordinamento.L’allargamento del suffragio ha fatto sì che la quasi totalità dei soggetti dell’ordinamento sia politicamente attiva e di conseguenza che affiorino sul piano politico le differenti istanze di cui sono portatori .La Costituzione Italiana esprime il suo carattere pluralista in vari articoli:

ART. 2 LA PERSONALITA’ DELL’UOMO SI SVILUPPA NELLE FORMAZIONI SOCIALI DELLA QUALI FA PARTE;

ART. 6 RICONOSCIMENTO DEL PLURALISMO LINGUISTICO; ART. 8 PLURALISMO RELIGIOSO; ART. 29 SULLA FAMIGLIA ART. 39 RELATIVO ALLE ORGANIZZAZIONI DEI LAVORATORI; ART. 49 SULL’ASSOCIAZIONE IN PARTITI POLITICI.

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Nello Stato Pluralista il problema della coesistenza di diversi soggetti del pluralismo viene affrontato attraverso tre tipi di strumenti :

a) La previsione di processi decisionali basati sul principio di maggioranza;b) La sottrazione di alcune decisioni alle sfere delle maggioranze ;c) Il perseguimento della coesione sociale per mezzo della promozione dell’uguaglianza

sostanziale e del dialogo tra le culture.

UNO STATO DEMOCRATICOÈ quella forma di Stato nella quale esiste una tendenziale corrispondenza tra governanti e governati.Deve presentare quattro caratteristiche:

1. Principio di maggioranza si adottano soltanto le decisioni che sipongono di un verificato consenso della maggioranze dei soggetti politicamente attivi;

2. È garantito il rispetto delle minoranze ;3. Deve sussistere una possibilità per gruppi politici diversi di concorere liberamente per il

governo del paese, questa libera competizione politica implica libere elezioni.4. Le decisioni delle maggioranze vanno adottate ed eseguite sotto il controllo delle

minoranze.Da tutto ciò deriva una nuova separazione dei poteri: la bipartizione che distingue il circuito della decisione politica, dove le maggioranze decidono, da quelle delle garanzie, che è sottratto alle maggioranze.Nel circuito della decisione politica rientrano il potere legislativo e il potere esecutivo Nel circuito delle garanzie ritroviamo il potere giudiziario.

UNO STATO COSTITUZIONALEIntendiamo una forma di Stato caratterizzata da una COSTITUZIONE RIGIDA, che si pone al vertice del sistema delle fonti.La Costituzione riesce a prevalere sulla legge grazie alla presenze di due garanzie:LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE, cioè un istituto che consente di eliminare le leggi contrarie alla Costituzione.LACOSTITUZIONE RGIDA è quella che si pone al vertice del sistema delle fonti Anche la legge, cioè l’atto prodotto dal PARLAMENTO deve rispettare la COSTITUZIONE.La Costituzione riesce a prevalere sulla legge grazie alla presenza di due garanzie:

1. GIUSTIZIA COSTITUZIONALE , cioè un istituto che consente di eliminare le leggi contrarie alla Costituzione;

2. UN PROCEDIMENTO AGGRAVATO DI REVISONE COSTITUZIONALE per modificare la Costituzione sono richiesta maggioranze più ampie di quelle che possono approvare una legge.

La COSTITUZIONE RIGIDA è una Costituzione garantita in cui la supremazia è assicurata per mezzo di appositi strumenti giuridici.Nello Stato pluralista,a differenza di quanto avveniva nello Stato liberale non è più presente la volontà generale in quanto il Parlamento è il luogo dove si esprime, attraverso la legge, la volontà della maggioranza e non della Nazione.Il ”luogo” della volontà condivisa diventa la Costituzione, ove si scrivono i valori unificanti dello Stato pluralista che sono sottratti alle maggioranze politiche del momento, grazie alle modalità con cui essa viene approvata.Nello Stato Costituzionale la Costituzione è il frutto di un potere costituente che si esprime nella forma pattizia attraverso un”compromesso costituzionale” tra le diverse componenti della società pluralista che, nel momento fondante dello Stato si accordano sulle regole del vivere insieme, su principi e valori condivisi e li scrivono in una COSTITUZIONE RIGIDA , proteggendoli dalle maggioranze politiche contingenti .

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Nello STATO COSTITUZIONALE le COSTITUZIONI sono un PACTUM SOCIETATIS cioè un accordo sui principi del vivere insieme.

LE GARANZIE DELLE RIGIDITA’:a) CONTROLLO DELLE COSTITUZIONALITA’ DELLE LEGGI in quanto la LEGGE, atto del Parlamento , è

sottoposta al controllo dei giudici.Nello STATO LIBERALE IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ SI RIVOLGEVA ESSENZIALMENTE AL POTERE GIUDIZIARIO E AL POTERE ESECUTIVO in quanto i loro atti si dovevano fondare sulla Legge.

Nello STATO COSTITUZIONALE ANCHE LA LEGGE DEL TROVARE FONDAMENTO E LIMITI IN UNA NORMA PREVIA CHE E’ LA COSTITUZIONE.Lo Stato Costituzionale si basa sulla separazione tra il piano della Costituzione, che è di tutti e il piano della Legge che è quello dove le maggioranze politiche governano e decidono.IL GARANTE DELLA SEPARAZIONE TRA I DUE PIANI E’ LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE.

b) LA REVISIONE COSTITUZIONALE :La Costituzione ha previsto procedure per la propria modifica diverse dal procedimento legislativo ordinario, in quanto sono necessarie per la sua modifica maggioranze più ampie della maggioranza politica del momento, ovvero della maggioranza di governo.Nello Stato liberale molte Costituzioni (vedi es. STATUTO ALBERTINO ) non prevedevano meccanismi per la loro modifica, in quanto si ponevano come immodificabili da parte del monarca che le aveva concesse, mentre in realtà finirono per essere modificate dalla legge, nel momento in cui al vecchio sovrano si sostituì il PARLAMENTO.

Lo STATO COSTITUZIONALE cerca di consentire la convivenza pacifica dei soggetti del pluralismo attraverso la COSTITUZIONE RIGIDA attraverso questa sequenza:

COSTITUZIONE RIGIDA è il luogo dove si scrivono principi comuni Le maggioranze politiche che vincono le elezioni devono rispettare questo nucleo di principi se non le rispettano c’è un giudice per modificare questo nucleo è necessario un vasto accordo simile a quello iniziale.

UNO STATO SOCIALE È quella forma di Stato che ha come fine l’uguaglianza sostanziale.Mentre nello STATO LIBERALE si affermava il principio dell’uguaglianza formale, ovvero che tutti i soggetti sono uguali davanti alla legge e debbono essere trattati allo stesso modo ( si trattava della minima parte del popolo, ovvero solo la classe che godeva dei diritti politici), nello Stato Sociale l’uguaglianza sostanziale consiste nella rimozione delle differenze che ostacolano il raggiungimento dell’uguaglianza formale, ovvero occorre rimuovere, se necessario con misure diseguali, le disuguaglianze che limitano il pieno sviluppo della persona umana.Riconducibili alla nozione di Stato Sociale son gli artt. 3-29-47 della Costituzione.

SOVRANITA’ DELLO STATO CONTEMPORANEONel XX secolo , dalla fine della Seconda Guerra, si è assistito alla messa in discussione della sovranità esterna nel senso che una sua progressiva limitazione sia spontaneamente accettata dagli Stati o sia imposta loro dall’ordinamento internazionale o da ordinamenti sovranazionali.Il principale fattore di crisi della sovranità esterna è la GLOBALIZZAZIONE, che può essere definita come l’intensificazione di relazioni economiche e sociali mondiali che collegano tra loro località molto lontane.In risposta alla crescita del potere economico globale è divenuto sempre più rilevante il ruolo di organizzazioni internazionali come IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE, LA NATO, LA BANCA MONDIALE , L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO , L’ONU, L’UNIONE EUROPEA.Tali organizzazioni influenzano sempre più le decisioni politiche degli Stati specie a livello di potere legislativo ed esecutivo.

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SOVRANITA’ INTERNANegli Stati contemporanei è sempre più frequente la tendenza ad una suddivisione della sovranità sul territorio , attraverso il trasferimento delle competenze, anche legislative , dallo Stato ad altri ordinamenti territoriali ai fini generali:es REGIONI.

UNIONE EUROPEALa più ingente trasformazione della nozione di sovranità esterna che ha riguardato la Repubblica Italiana è conseguenza del processo di integrazione europea del quale l’Italia è stata protagonista fin dall’inizio.Tale processo si è messo in moto dopo al Seconda Guerra mondiale , nel 1951 con il TRATTATO ISTITUTIVO DELLA COMUNITA’ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO (CECA) che aveva l’obiettivo di mettere in comune la produzione del carbone e dell’acciaio sotto il controllo di un’alta autorità comune.Hanno fatto segluito nel 1954 il TRATTATO ISTITUTIVO DELLA COMUNITA’ ECONOMICA EUROPEA (CEE) noto anche come Trattato di Roma e il TRATTATO ISTITUTIVO DELLA COMUITA’ EUROPEA PER L’ENERGIA ATOMICA (EURATOM).Le motivazioni che guidarono gli Stati fondatori erano essenzialmente politiche in quanto essi si proponevano di evitare future contrapposizioni e conflitti come quelli catastrofici della Seconda Guerra mondiale.L’ordinamento comunitario, nato nell’ambito del diritto internazionale ha subito successivamente importanti trasformazioni attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia e le modifiche apportate ai trattati, al punto che i vincoli che legano gli Stati membri sono ormai ben più stretti di quelli presenti tra i componenti di una confederazione.La Corte di giustizia ha affermato la supremazia del diritto comunitario (self-executing) nelle materie devolute alla Comunità sul diritto , anche di livello costituzionale , degli Stati membri .Le modifiche apportate ai trattati, prima con l’ATTO UNICO EUROPEO del 1986 poi con il TRATTATO DI MAASTRICHT SULL’UNIONE EUROPEA del 1992, hanno ampliato notevolmente le competenze originarie estendendole anche alla politica estera e di difesa comune , allo sviluppo di una stretta collaborazione nel settore della giustizia e degli affari interni, alla creazione della moneta unica e alla istituzione della cittadinanza europea. Nel 1999 è stata proclamata ,ad integrazione dei trattati , anche una CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA che ha assunto carattere vincolante solo dieci anni dopo, con il TRATTATO DI LISBONA, che riprende molte dell norme già contenute nel trattato costituzionale , ma esclude l’uso dell’espressione “COSTITUZIONE” e i simboli dell’UNIONE.Per effetto del TRATTATO DI LISBONA le norme sull’UNIONE EUROPEA sono oggi distribuite in due diversi atti: il TRATTATO DULL’UNIONE EUROPEA (TUE) che stabilisce i principi e le norme fondamentali e il TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA ( TFUE) che contiene le regole di funzionamento dei vari organi, la disciplina del mercato interno , ecc.Oggi l’U.E. è COMPOSTA DA 27 MEMBRI .Molto si discute sulla natura attuale dell’U.E., da alcune parti si sostiene il suo carattere quasi federale mentre altri evidenziano che finchè i trattati continuano a trarre la loro validità dalle Costituzioni Nazionali, non possono prevalere su di esse e si resta nel campo del DIRITTO INTERNAZIONALE.

LO STATO REGIONALE IN ITALIA

Lo Stato REGIONALE, forma innovativa nel Secondo Dopoguerra , mirava a far fronte alle differenze geografiche ed economiche esistenti tra le varie parti del paese e a rispondere a concrete richieste di autonomia provenienti da alcune aree insulari o di confine (come la Sicilia, la Valle d’Aosta, l’Altro Adige), ove si erano insediati governi autonomi ancora prima dell’approvazione della Costituzione.L’art. 5 Cost. esprime la volontà di distribuire il potere sul territorio : dopo aver affermato l’unità ed indivisibilità della Repubblica , infatti stabilisce che essa “riconosce e promuove le autonomie locali”.La Costituzione prevede due tipi di regioni :

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a STATUTO SPECIALE (SICILIA-SARDEGNA-VALLE D’AOSTA-TRENTINO ALTO ADIGE-FRIULI V.GIULIA), per le quali sono previste apposite leggi costituzionali che ne definiscono l’autonomia specie in riferimento alle funzioni legislative e all’autonomia finanziaria;

a REGIONI ORDINARIE (quindici, direttamente individuate dall’art. 131 Cost. ) per le quali le condizioni di autonomia sono definite dal titolo V PARTE II.Lo Stato regionale ha incontrato notevoli difficoltà tanto che la sua attuazione si è completata negli anni Settanta. Nel 1999 e nel 2001 l’intero titolo V è stato modificato potenziando l’autonomia degli enti territoriali .Con la LEGGE SOTITUZIONALE N. 1 DEL 1999 è stata riconosciuta alle regioni piena autonomia statutaria attraverso la sottrazione degli statuti all’approvazione parlamentare.Con la LEGGE COST. N. 3 DEL 2001 è stato ribaltato il criterio di riparto delle competenze legislative, introducendo un elenco di materie di competenza esclusiva dello Stato centrale e affidando alle Regioni le competenze residue (tra queste figurano AGRICOLTURA-INDUSTRIA-COMMERCIO-TURISMO-URBANISTICA-ASSISTENZA SOCIALE)Esiste poi un elenco di materie di competenza concorrente nello quale lo STATO detta i principi e le regioni dettano la disciplina di dettaglio.Le funzioni amministrative, sulla base del PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’, sono attribuite in primo luogo ai Comuni che continuano ad avere un ruolo importante nello STATO DECENTRATO ITALIANO.Lo Stato quando interviene in materie che interferiscono con le competenze regionali deve farlo assicurando che le Regioni siano coinvolte in tali decisione (secondo il principio di LEALE COLLABORAZIONE).Tali negoziazioni fra Stato e Regioni avvengono nella CONFERENZA STATO-REGIONI che talvolta possono anche essere integrate dai Comuni e Province (conferenza unificata Stato-regioni –autonomie locali) che sono organi dove si riuniscono i rappresentanti del Governo nazionale e di quelli regionali e locali ma con incidenza limitata in quanto privi di fondamento costituzionale.

LE FONTI DEL DIRITTO: CONSIDERAZIONI GENERALI

Fonti del diritto (o fonti normative) sono quei “meccanismi” che pongono in essere regole giuridiche.Il diritto quindi, non solo disciplina i comportamenti o le organizzazioni sociali ma anche i modi per produrre le regole giuridiche.FONTI DI PRODUZIONE GIURIDICA Sono fonti che pongono in essere nuove regole di comportamento o regole di organizzazione che tutti debbono osservare FONTI SULLA PRODUZIONE GIURIDICA Meccanismi (organi e procedure) attraverso i quali si producono le fonti di produzione .FONTI DI COGNIZIONE Insieme di supporti , normalmente scritti , attraverso i quali si rendono conoscibili le fonti di produzione (es. Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica, la Gazzetta Ufficiale, a livello nazionale, ovvero i Bollettini Ufficiali a livello regionale).TESTI UNICI Con questo termine si intendono testi che raccolgono una serie di fonti di produzione in vigore allo scopo di riunirle, (meramente compilativi) razionalizzandole in un unico documento. Possono essere semplici mezzi di conoscenza delle norme in vigore oppure possono introdurre innovazioni (normativi).I testi normativi non hanno il solo fine di agevolare la conoscenza di un complesso di norme, ma provvedono anche ad armonizzare la legislazione attraverso l’introduzione di nuove disposizioni o attraverso la modifica di quelle già esistenti (effetto c.d. di “novazione”).Il procedimento di FORMAZIONE dei testi unici è quello proprio dei DECRETI LEGISLATIVI, quindi vengono approvati dal Governo sulla base di una LEGGE DELEGA del PARLAMENTO secondo quanto previsto dall’art. 76 cost.

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Altro fenomeno per rendere conoscibile le fonti normative è l’utilizzo di internet, il Governo italiano ha realizzato un portale informatico (www.normattiva.it) accessibile a tutti e consultabile gratuitamente contenente testi di leggi statali vigenti dal 1946.

FONTI AUTONOME E FONTI ETERONOMESi definisce FONTE AUTONOMA quella regola creata con la partecipazione diretta e personale dei destinatari . Qui si collocano FONTI CONVENZIONALI, REGOLE CHE NASCONO DA UN ACCORDO RECIPROCO TRA I DIVERSI DESTINATARI ( es. i contratti che sono frutto dell’autonomia negoziale privata- e i trattati o le convenzioni internazionali )FONTI DI AUTOREGOLAMENTAZIONE , dove le regole sono addottate in foma di codici di autoregolamentazione , deontologici, ecc).Le regole prodotte da ISTITUZIONI sono FONTI ETERONOME.L’avvento dell’ordinamento giuridico statale ha fatto sì che oggi la gran parte delle norme che regolano la nostra vita siano prodotti da meccanismi non riconducibili alla nostra volontà se non in via indiretta.IL PROBLEMA DELLE ANTINOMIE E IL SISTEMA DELLE FONTI NORMATIVE.Un insieme è ordinato se esistono criteri per risolvere i conflitti logici e strutturali che si pongono al suo interno.CRITERI PER RISOLVERE LE ANTINOMIE NORMATIVE

Criterio della gerarchiaNel conflitto tra le regole poste da due fonti prevale la regola posta dalla fonte superiore.Il criterio gerarchico presuppone un ordinamento a “gradi” delle fonti normative su una scala basata sulla diversa forza degli atti normativi.Per forza di atto normativo si intende la sua capacità di produrre nuovo diritto, di innovare l’ordinamento giuridico creando nuove regole (forza attiva), nonchè la capacità di resistere all’innovazione portata da un atto diverso (forza passiva) PIRAMIDE DELLE FONTI DEL DIRITTO

PRINCIPI SUPREMI

FONTI COSTITUZIONALI(Costituzione, leggi costituzionali)

FONTI PRIMARIE(leggi statali e regionali, atti del Governo

Con forza di legge, referendum abrogativi)

FONTI SECONDARIE(regolamenti governativi, ministeriali, regionali e degli enti locali)

FONTI TERZIARIE(consuetudini)

Il principio di gerarchia consente di risolvere i conflitti tra le regole giuridiche indicando che la regola posta dalla fonte inferiore è destinata a soccombere di fronte a quella posta dalla fonte superiore.Una regola posta da una fonte inferiore non può porsi in contrasto con quanto stabilito da una fonte superiore e se il contrasto dovesse verificarsi significa che la fonte inferiore nasce viziata ne deriva pertanto l’invalidità dell’atto normativo inferiore e dunque la sua annullabilità .L’annullamento è l’istituto giuridico attraverso il quale un atto invalido viene eliminato dal sistema normativo . Gli effetti dell’annullamento sono ERGA OMNES, cioè riguardano tutti i soggetti dell’ordinamento ed EX TUNC (DA ALLORA) ovvero fin dal momento dell’entrata in vigore poiché contiene

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un vizio AB ORIGINE e gli effetti giuridici eventualmente prodotti vengono meno con il solo limite dei c .d. rapporti esauriti che non vengono rimessi in discussione, cioè quei rapporti che sono divenuti definitivi o perché sia stata pronunciata una sentenza passata in giudicato oppure perché siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza per poter promuovere un giudizio.

Criterio della competenza Secondo il criterio della competenza nel conflitto tra le regole poste da due fonti prevale la regola posta dalla fonte competente. ES. una legge regionale che invada la competenza della legge statale è annullabile per violazione dell’art. 117 Cost. Analogamente alla violazione del principio di gerarchia, l’inosservanza del principio di competenza rappresenta una patologia da cui deriva l’invalidità dell’atto normativo incompetente e la sua annullabilità.

Criterio cronologicoNel conflitto tra le regole poste da due fonti di ugual grado gerarchico e nello stesso settore di competenza , prevale la regola più recente.Nel caso del criterio cronologico la sua ratio e i suoi effetti sono del tutto differenti rispetto ai due criteri precedenti, in quanto mentre la violazione della gerarchia o della competenza è un fenomeno patologico per il sistema normativo ed implica l’invalidità dell’atto e la sua annullabilità, il decorso del tempo è un fenomeno fisiologico in quanto è naturale che le regole si succedano nel tempo adeguandosi al mutare della realtà e pertanto la regola posta dalla fonte successiva prende il posto della precedente senza per questo doverla eliminare. Quest’ultima infatti continuerà ad pplicarsi per i casi accaduti precedentemente alla nuova regola.

Si chiama ABROGAZIONE l’effetto che una nuova norma successiva produce nei confronti di quella precedente e cioè il fenomeno per cui la norma successiva delimita temporalmente la sfera di applicazione di quella precedente purché esse siano sullo stesso piano gerarchico e nello stesso settore di competenza.

CRISI DELL’ORDINE GERARCHICO DEL SISTEMA DELLE FONTIIl principio di gerarchia ha funzionato fino a quando la struttura piramidale gerarchica è stata anche il modulo organizzativo principale della società ed in particolare dello Stato e dell’amministrazione pubblica in buona parte modellata su quella militare.Il principio di gerarchia funziona in maniera efficace quando si ha a che fare prevalentemente con regole eteronome ovvero norme prodotte da fonti esterne rispetto ai destinatari.Quando questi presupposti sono entrati in crisi è entrato in crisi anche il principio di gerarchia e con esso gran parte della “razionalità” interna del sistema normativo.L’esempio forse più clamoroso e sotto gli occhi di tutti della crisi del criterio gerarchico è la nascita e lo sviluppo dell’U.E. per molto tempo si è cercato di collocare l’U.E. salvando il principi classici di gerarchia e competenza e pensando ad ordinamenti distinti e separati.La realtà però si è evoluta in maniera più complessa in quanto né il principio di gerarchia né quello di competenza riescono effettivamente a spiegare le relazioni tra il nostro ordinamento nazionale e quello comunitario.

ATTI E FATTI NORMATIVI

Fonti attoSi intendono quelle fonti di produzione del diritto che sono il risultato di procedimenti finalizzati a produrre norme giuridiche.Sono fonti atto , ovvero atti normativi, le leggi, i trattati, i decreti, i regolamenti e tutti gli atti (manifestazioni di volontà) approvati da organi collegiali (PARLAMENTO I GOVERNO) ovvero monocratici (il Presidente della Repubblica , il Presidente del Consiglio ) in grado di produrre regole giuridiche.

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Fonti fattoFatti normativi in cui le regole non nascono dalla volontà espressa di regolare in un certo modo i comportamenti bensì da accadimenti esterni rispetto alla volontà: CONSUETUDINE o L’USO in cui la norma giuridica nasce dalla ripetizione costante nel tempo di un determinato comportamento da parte di una generalità di soggetti che lo ritengono obbligatorio sul piano giuridico .Altro esempio di fonte fatto è la CONVENZIONE, ossi l’accordo tacito tra soggetti politici sull’applicazione di regole costituzionali .Nei sistemi normativi contemporanei la gran parte delle norme giuridiche è prodotta da FONTI ATTO, anche se al riguardo vanno distinti i sistemi giuridici common law da quelli civil law.Il common law Si è sviluppato in Inghilterra a partire dalla conquista normanna (1066) per poi diffondersi in tutti gli ordinamenti di matrice britannica, Stati Uniti compresi. In questo sistema il diritto consuetudinario riveste un ampio spazio, acanto a quello di matrice giurisprudenziale, costituito dalle pronunce dei giudici (dette “precedenti giudiziari”), mentre le fonti atto vere e proprie hanno soltanto una funzione derogatoria rispetto al complesso di regole derivanti dall’insieme dei precedenti.Il civil lawÈ il sistema giuridico proprio dell’Europa continentale, diffusosi poi nelle altre aree del mondo, dove la maggior parte del diritto in questo sistema è prodotta da fonti atto e ha alla base la codificazione.L’Italia appartiene alla famiglia degli ordinamenti di civil law e le maggior parte delle fonti normative sono atti scritti.

INTERPRETAZIONE:DISPOSIZIONE E NORMADISPOSIZIONE è l’atto in senso proprio, la formulazione linguistica che costituisce la fonte, mentre con il termine NORMA si indica il significato dell’atto, la regola giuridica utilizzata per decidere come comportarsi.Dunque la disposizione è un testo da comprendere, una serie di formulazioni idonee ad esprimere significati normativi , mentre la norma è il significato di quel testo.L’attività che consente di cogliere il significato (norma) di una formulazione normativa (disposizione) si chiama interpretazione giuridica .Es.DISPOSIZIONE: l’art. 1470 c.c. stabilisce che “la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa verso il corrispettivo di un prezzo” NORMA CHE SI RICAVA:se compro una cosa devo pagarla.Il diritto è un fenomeno che presenta molte analogie con il linguaggio. L’interpretazione di un testo normativo non è mai un’attività del tutto astratta, ma deve tener conto del contesto e dell’applicazione che tale disposizione dovrà avere..L’interpretazione di una disposizione non è mai un’operazione univoca, ma risente di numerosi fattori quali il fine il tempo e lo spazio.

COROLLARIO N. 1 NON ESISTE NECESSARIAMENTE UN RAPPORTO BIUNIVOCO TRA DISPOSIZIONI E NORME

Ogni disposizione, come ogni testo scritto, ha sempre un certo grado di indeterminatezza poiché sono possibili diverse attribuzioni di significato. La possibilità di diverse interpretazioni del medesimo teso comporta che ad ogni disposizione non corrisponde sempre una sola norma, ma spesso una molteplicità.ES. L’art. 9 cost. prevede che la Repubblica “tutela il paesaggio”. In base al senso comune il paesaggio è la forma percepibile di un certo territorio , nei primi decenni della Repubblica è stata interpretata come

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un generale invito a nono modificare l’aspetto dei luoghi di particolare rilievo, in continuità con le leggi precedenti.Oggi la TUTELA DEL PAESAGGIO ha il più ampio significato di divieto di alterazione dell’ambiente in tutte le sue componenti. Siamo così passati da una norma costituzionale di portata ristretta (solo la protezione estetica del paesaggio) ad una norma più ampia (mirante a proteggere il valore ambientale del paesaggio ) pur essendo l’art. 9 cost. invariato nella sua formulazione testuale.

Può inoltre accadere che una sola norma sia prodotta da diverse disposizioni tra loro “combinate”. In questo caso la norma applicabile deriva dall’interpretazione congiunta di più disposizioni .ES. ART. 48 COST. : afferma che sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne che hanno raggiunto la maggiore età , -Per comprendere cosa voglia dire maggiore età occorre leggere la disp. Contenuta nell’art.2 c.c. secondo cui la maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno di età.Pertanto la norma secondo cui i cittadini diciottenni sono elettori non costituisce il significato di alcuna delle disposizioni isolatamente prese, bensì risulta solo dalla combinazione di entrambe.

COROLLARIO N. 2 UNA NORMA PUO’ VIVERE PIU’ A LUNGO DI UNA DISPOSIZIONE (E VICEVERSA)

Secondo il criterio cronologico, quando due fonti (equiordinate e competenti)pongono tra loro discipline diverse, va applicata la più recente, la quale abroga la precedente.L’abrogazione, quindi non produce l’eliminazione della fonte abrogata dall’ordinamento normativo, bensì ne delimita la sfera di applicazione.Le norma abrogate non si applicano ai fatti che si verificano dopo il tempo dell’abrogazione , ma invece esse devono essere applicate ai fatti accaduti prima dell’abrogazione Esistono disposizioni formalmente in vigore ma che non sono più in grado di produrre norme. (es. artt. 1 e 5 delle c.d. preleggi).

LE NORME POSSONO ESSERE REGOLE O PRINCIPILE REGOLE sono norme giuridiche più specifiche , mentre i PRINCIPI sono norme più generiche. Secondo lo studioso americano Dworkin i principi sono norme aperte a diverse modalità applicative,mentre le regole sono soggette ad applicazione categorica si/no nel momento in cui si verificano le circostanze considerate dalla norma.CONFLITTI TRA REGOLE E TRA PRINCIPI:Se due regole sono in contraddizione tra loro solo una sarà applicabile (criteri di risoluzione delle antinomie).Tra due principi in conflitto si cercherà di bilanciare i due principi ovvero di applicare entrambi nella misura maggiore possibile.Nella bilanciamento si cercherà di dare attuazione ad entrambi i principi nella misura massima possibile, trovando un punto di equilibrio ragionevole.

I PRINCIPI GENERANO LE REGOLEI principi devono essere attuati mediante un processo di specificazione che fa sì che da un principio generale nascano diverse regole specifiche.I principi rappresentano i valori di riferimento del sistema normativo , orientano l’attività di interpretazione delle regole (quando una regola può assumere diversi significati va preferito quello che meglio si conforma ai principi di cui quella regola è espressione).L’ORDINAMENTO GIURIDICO, LE DISPOSIZIONI E LE NORMEL’ordinamento giuridico è composto da norme e non da disposizioni.Il sistema giuridico è composto dai significati contenuti nei testi,codici, leggi o Costituzioni, solo i significati delle disposizioni sono in grado di orientare il comportamento delle persone.I giudici, gli amministratori pubblici, i singoli cittadini sono vincolati dal senso dei testi normativi che si trovano ad applicare, da ciò deriva che la comprensione esatta delle sue regole dipende sia dalla

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capacità di individuare esattamente la fonte normativa e la disposizione che ci interessa sia dalla capacità , una volta identificato il testo normativo , di estrarne correttamente il senso : ATTIVITA’ INTERPRETATIVA.

no

LE SINGOLE FONTI DEL DIRITTO

Le fonti normative producono regole per i diversi ordinamenti dei quali noi siamo contemporaneamente soggetti .Ognuno di noi è al tempo stesso “cittadino” di un comune, di una provincia, di un certo Stato, dell’Unione Europea e infine del mondo.

La Costituzione come fonte normativa e le leggi costituzionaliLa Costituzione italiana è stata approvata dalla’Assemblea Costituente , eletta con sistema proporzionale il 2/06/1946 , nella stessa data nella quale si è svolto anche il referendum istituzionale per la scelta tra Repubblica e monarchia.L’Assemblea costituente ha lavorato negli anni 1946-1947 fino all’approvazione, il 22 dicembre 1947, del testo della Costituzione (che poi è entrata in vigore il primo gennaio 1948) .La Costituzione italiana è frutto di un patto tra le forze antifasciste protagoniste della Resistenza e riconducibili principalmente a tre tradizioni culturali : quella cattolica , quella marxista e quella liberal-democratica, rappresentate nell’Assemblea costituente la prima dalla Democrazia cristiana, la seconda dal Partito socialista e dal Partito Comunista , la terza dal Partito d’azione ,dal Partito Liberale, dal partito Repubblicano.Ciascuna di queste componenti ha dato un contributo al patto costituente(reso possibile dal velo di ignoranza ) che emerge con maggior evidenza in alcuni articoli della Costituzione:ART. 3 comma 2 PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA SOSTANZIALE (voluto principalmente dalla corrente marxista);ART. 2 concezione dell’individuo come persona inserita in una rete di formazioni sociali (pensiero cattolico);ART. 1 c. 2 la sovranità appartiene al popolo che lo esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (concezione del potere limitato propria della cultura liberal-democartica.

Leggi costituzionali e di revisione costituzionale

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L’antinomia è risolvibile in via interpretativa? si

Il problema non si poneAntinomia apparente

le due fonti sono equiordinate?

Le due fonti sono entrambe competenti?

no

noSi applica quella competente

Si applica quella gerarchicamente superiore

applica quella vigente nel momento in cui è accaduto l’evento

noosi

si

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Se consideriamo la Costituzione italiana come fonte del diritto dobbiamo prima di tutto osservare che si tratta di una COSTITUZIONE RIGIDA, che si pone al vertice del sistema delle fonti .Non esiste una esplicita clausola di supremazia ma la rigidità può essere dedotta facilmente dal varie disposizioni:

ART. 1COMMA 2 :la sovranità appartiene al popolo ma deve essere esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione (le maggioranze politiche debbono rispettare la Costituzione);

Art.117 comma1 :la legge statale e regionale deve rispettare la Costituzione;

Disp. Trans. Finali XVIII comma 4 :la Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge Fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato.

Nel titolo VI della parte II della Costituzione sono contenute le GARANZIE DELLA RILGIDITA’ DELLA COSTITUZIONE che si articolano in due sezioni : LA CORTE COSTITUZIONALE che comprende gli artt. 134-137;REVISIONE DELLA COSTITUZIONE .LEGGI COSTITUZIONALI dagli artt. 138-139.

REVISONE COSTITUZIONALE La Costituzione prevede nell’art. 138 una procedura speciale ed “aggravata” attraverso la quale viene prodotta una fonte che prende il nome di legge costituzionale.Le leggi costituzionali nel nostro ordinamento possono servire a:

a) Modificare il testo della Costituzione (in questo caso trattasi di leggi di “revisione costituzionale”;b) Soddisfare le riserve di legge costituzionali (ovvero disciplinare quelle materie che la Costituzione

stessa affida esclusivamente a tali fonti , per esempio gli statuti delle regioni speciali in base all’art. 116 Cost.;

c) Irrigidire la disciplina di certe materie che, in tal caso, viene sottratta alla disponibilità del legislatore ordinario.

Tali leggi costituzionali sono adottate attraverso un procedimento che ricalca in parte quello legislativo ordinario ma presenta alcuni “aggravamenti” procedurali determinati in tempi lunghi funzionali ad un’attenta riflessione e una maggioranza ben più ampia di quella sufficiente per le decisioni ordinarie .In base all’art. 138 Cost. occorre una doppia deliberazione da parte di ciascuna Camera (anziché una sola come per le leggi ordinarie) e tre le due deliberazioni deve intercorrere un intervallo di tempo (non meno di tre mesi).Nella seconda deliberazione poi è necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera: quindi una maggioranza ben più elevata di quella semplice richiesta per approvare le leggi ordinarie (ovvero la maggioranza dei presenti)Queste leggi possono essere approvate anche se, nella seconda votazione, non si siano ottenuti i due terzi ma comunque , almeno, la maggioranza assoluta (ovvero la maggioranza dei componenti) di ciascuna Camera; in questo caso, però, le leggi stesse possono essere sottoposte a referendum popolare se, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli Regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.All’interno della Carta Costituzionale, composta originariamente di 139 articoli (oggi 5 sono stati abrogati) e 18 disposizioni transitorie è possibile distinguere i principi supremi e regole costituzionali “ordinarie”.Esistono alcuni principi che sono sottratti alla revisione perché modificando questi si darebbe vita ad un vero e proprio nuovo ordinamento costituzionale.Al vertice del nostro sistema delle fonti esiste una sorta di micro gerarchia per cui i principi supremi della Costituzione sono sovraordinati rispetto alle altre norme di grado costituzionale, contenute nella Costituzione o in leggi costituzionali.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 1/1956 ha chiarito in primis che la Costituzione è composta de vere e proprie norme giuridiche e in quanto tali vincolanti immediatamente per tutti i cittadini e i

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pubblici funzionari , ed in secondo luogo che in un sistema a Costituzione rigida qualsiasi legge o atto avente forza di legge deve rispettare tutte le norme della Costituzione..Ciò non ha però significato un’immediata attuazione della Costituzione in quanto molte sue norme richiedevano un’attività legislativa rispetto alla quale non poteva supplire la giurisprudenza. E’ accaduto così che molti degli istituti previsti dalla Costituzione (come le Regioni ordinarie, il referendum abrogativo, il Consiglio Superiore della Magistratura), alcune “libertà positive” (come i diritti dei lavoratori) e alcuni aspetti innovativi (come l’uguaglianza uomo-donna, anche nell’ambito del diritto di famiglia)rimasti inattuati a seguito della rottura della unità tra le forze costituenti avvenuta nella Guerra Fredda, hanno dovuto attendere alcuni decenni prima di trovare concreta attuazione.

LE FONTI INTERNAZIONALI E COMUNITARIEI principi costituzionali sulle fonti internazionali e comunitarie

Il sistema delle fonti italiano non è chiuso rispetto all’esterno, al contrario si apre alle fonti provenienti da altri ordinamenti che lo integrano in coerenza con la visione evolutiva della sovranità esterna che caratterizza lo Stato contemporaneo.

Alle condizioni che la COSTITUZIONE stabilisce in particolare negli artt. 10,11 e 117 comma1, possono entrare a far parte dell’ordinamento italiano le fonti del diritto internazionale e del diritto dell’Unione Europea .L’art. 10 Cost. si riferisce alle 2norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, stabilendo che l’ordinamento italiano si conforma ad esse.Le norme internazionali generali operano direttamente nell’ordinamento italiano, senza bisogno di un atto interno di recepimento e assumono rango costituzionale.

Un’eventuale antinomia tra fonti primarie italiane e le norme internazionali si traduce in vizio di illegittimità costituzionale che deve essere accertato dalla Corte Costituzionale, sulla base dell’art. 134 Cost.

Un ruolo centrale circa i rapporti tra l’Italia e gli ordinamenti extrastatuali è svolto dall’art. 11 Cost. che dopo la proclamazione nella prima parte, del principio pacifista, afferma poi nella seconda parte che l’Italia consente a condizioni di parità con gli altri Stati , alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo..

L’art. 11 Cost. è stato completato dall’art. 117,comma 1Cost. , così come sostituito dall’art.3 della legge costituzionale n. 3/2001, il quale non si limita a prevedere la possibilità che l’Italia entri a far parte di organizzazioni internazionali ma stabilisce principi costituzionali relativi al rapporto tra le fonti interne e le fonti internazionali e comunitarie .

Il diritto internazionale pattizio E’ il diritto internazionale risultante da trattati sottoscritti dall’Italia, per il quale non esiste un

adattamento automatico come quello previsto per le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, alle quali si riferisce l’art. 10 Cost. Una volta che un trattato internazionale sia stato negoziato o concluso (tale attività rientra tra le competenze del Governo) esso deve essere ratificato, cioè approvato dall’organo competente che è il Presidente della Repubblica come prevede l’art. 87Cost..Per tre categorie di trattati, ai sensi dell’art. 80Cost. è necessaria una previa autorizzazione del Parlamento con apposita legge di autorizzazione alla ratifica:a) Trattati di natura politica;b) Trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari,c) Trattati che importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.Solo a seguito della ratifica avverrà la stipulazione del trattato, che consiste nello scambio delle ratifiche tra i contraenti .Il trattato dovrà essere recepito nel diritto interno , che solitamente avviene attraverso l’ordine di esecuzione contenuto nel medesimo atto di ratifica (o nella legge di autorizzazione).

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La Corte Costituzionale con le sentenze n. 348 e 349/2007 ha stabilito che i trattati internazionali, a prescindere dalla forma che assumono nel nostro ordinamento , sono vincolanti per le fonti primarie successive , per effetto dell’art. 117, comma 1Cost. In caso di antinomia tra un trattato e d una fonte primaria successiva si applica il criterio della gerarchia: la norma primaria è invalida e deve essere annullata . I trattati si collocano in una posizione intermedia tra la legge e la Costituzione: nel giudizio di costituzionalità operano come norme interposte , ovvero con parametri di giudizio per cui le leggi interne in contrasto con il loro contenuto devono essere dichiarate incostituzionali per violazione indiretta dell’art. 117 comma 1 Cost..I trattati devono rispettare la Costituzione, l’onere di verificarne la costituzionalità spetta alla Corte Costituzionale con un giudizio successivo alla ratifica od entrata in vigore.

Tra i trattati internazionali stipulati dall’Italia c’è la CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO (CEDU), adottata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 3 settembre 1953, ratificata ad oggi in 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. La peculiarità di questa Convenzione consiste nel fatto che il rispetto dei diritti in essa enunciati è garantito da un tribunale internazionale con sede a Strasburgo che è competente ad accertare oltre la violazione dei diritti sanciti nella Convenzione anche l’interpretazione del contenuto.

LE FONTI COMUNITARIE L’Unione EUROPEA ha la capacità di produrre norme vincolanti non soltanto nei confronti degli Stati membri ma anche dei soggetti all’interno degli Stati membri (self executing). Le fonti del diritto comunitario di distinguono in fonti del diritto originario (o primario) e fonti di diritto

derivato (o secondario)Fonti di diritto originario sono i trattati istitutivi delle Comunità Europee e quelli che successivamente li

hanno modificati.Fonti di diritto derivato sono il regolamenti, le direttive , le raccomandazioni , i pareri, le decisioni , che

sono adottate secondo i procedimenti stabiliti nei trattati , dagli organi dell’Unione Europea.I REGOLAMENTI INSIEME ALLE DIRETTIVE costituiscono le fonti più rilevanti dell’ordinamento dell’U.E..

Sono vincolanti in tutti i loro elementi e dotati generalmente dei caratteri della generalità e dell’astrattezza. Sono inoltre direttamente applicabili nei confronti di tutti i soggetti all’interno degli Stati membri: una volta approvati, infatti essi entrano in vigore automaticamente e impongono a tutti obblighi di comportamento, senza che sia necessaria l’adozione, da parte degli Stati, di alcun atto interno di recepimento. Anche le direttive sono fonti di diritto derivato , vincolanti ma non hanno diretta applicabilità. Hanno come destinatari esclusivamente gli Stati nei cui confronti impongono un obbligo di risultato ed un termine entro il quale adempiere: stabiliscono regole generali e principi ai quali essi sono tenuti ad aderire attraverso atti interni di attuazione, conservando un certo margine di discrezionalità quanto alle forme e al contenuto degli stessi. Nell’ordinamento italiano l’attuazione può avvenire attraverso leggi del Parlamento o decreti legislativi ma anche per mezzo di fonti secondarie.

La legge comunitaria annuale è approvata dal Parlamento una volta all’anno con l’obiettivo di recepire le direttive e dare attuazione alle sentenze della Corte di Giustizia che di solito delega il Governo ad adottare decreti legislativi di attuazione o lo autorizza a farlo con regolamento governativo.

Diretti destinatari degli obblighi contenuti nelle direttive sono gli STATI che nel caso in cui non si conformino al loro contenuto incorrono nelle procedure di infrazione stabilite dai trattati.

In alcuni casi le direttive possono contenere norme provviste del carattere dell’effetto diretto :ciò avviene qualora esse siano incondizionate e sufficientemente precise (c.d. self-executing). il particolare dettaglio di tali direttive fa si che il contenuto di alcune loro norme produca effetti diretti nei confronti di tutti i soggetti senza necessità di alcuna interposizione da parte degli Stati.

Le decisioni come i regolamenti e le direttive sono fonti di diritto derivato vincolanti. Come i regolamenti sono obbligatorie in tutti i loro elementi e non richiedono alcun atto interno di recepimento da parte degli Stati . Sono sprovviste dei caratteri della generalità e dell’astratezza si rivolgono a destinatari specifici . il Trattato di Lisbona ha previsto che qualora esse designano i destinatari sono obbligatorie

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solo nei confronti di questi (art. 288 TFUE), pertanto si può desumere che esse possono avere anche portata generale .

Le raccomandazioni e i pareri sono fonti di diritto derivato non vincolanti . Attraverso le raccomandazioni gli organi dell’U.E. invitano gli Stati a conformarsi ad un determinato comportamento , con pareri che fanno conoscere il loro punto di vista sui una determinata materia, svolgendo una funzione di orientamento.

ANTINOMIE TRA UNA LEGGE ITALIANA E UNA FONTE COMUNITARIALa Corte Costituzionale ha stabilito con la sentenza n. 170/1984 che il contrasto tra fonti interne e fonti

comunitarie self-executing devono essere risolte attraverso la non applicazione del diritto interno incompatibile con il diritto comunitario .Ciò implica che le fonti interne incompatibili non devono essere applicate da tutti gli operatori del diritto, in primo luogo i giudici comuni.

La scelta di risolvere eventuali antinomie tra il diritto interno e il diritto comunitario attraverso lo strumento della “non applicazione” si fonda sul principio di competenza, infatti secondo la Corte i sistemi europeo e nazionale sono configurati come “autonomi e distinti ancorché coordinati” pertanto nelle materie di competenza dell’U.E. devono applicarsi le norme europee mentre in quelle di competenza del legislatore nazionale debbono applicarsi le norme interne.

Il fondamento costituzionale della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno è stato individuato dalla Corte nell’art. 11 Cost. ,secondo il quale sono ammissibili “limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni.

La Corte nella sentenza n. 170/1984 conferma la propria giurisprudenza precedente (sentenza 183/1973) e sottolinea che le limitazioni di sovranità non sono ammissibili e devono essere escluse ogni qualvolta il diritto comunitario violi i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inviolabili della persona umana. Le fonti comunitarie devono rispettare i CONTROLIMITI rappresentati dai principi fondamentali e dai diritti inviolabili .

Antinomia tra una fonte interna e una fonte del diritto comunitario non direttamente applicabile (direttive non self-executing):

le direttive in tale ipotesi si configurano come norme interposte tra il diritto nazionale e gli artt. 11 e 117 comma 1Cost. per cui le fonti primarie interne con esse incompatibili devono essere dichiarate incostituzionali.

Tra le difficoltà che possono sorgere nell’applicazione del diritto comunitario negli Stati membri non vi è

solo la possibilità di antinomie con il diritto interno ma anche l’eventualità che nascano dubbi interpretativi per la risoluzione dei quali è competente la CORTE DI GIUSTIZIA , organo giudiziario di vertice dell’U.E. che oltre ad esercitare il controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti e dei comportamenti delle istituzioni europee rispetto ai trattati svolge anche una funzione di interpretazione del diritto dell’Unione attraverso il rinvio pregiudiziale. I giudici nazionali, cioè, qualora, nel corso di un processo abbiano un dubbio sull’interpretazione di una norma comunitaria possono sospendere il giudizio e sollevare una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia : la decisione della Corte è definitiva . I giudici di unica o ultima istanza, cioè quelli la cui decisione non è più impugnabile sono obbligati ad operare tale rinvio . In Italia il rinvio pregiudiziale, fino al 2008 è stato sempre svolto soltanto dai giudici comuni . Con l’ordinanza 103/2008 per la prima volta anche la CORTE COSTITUZIONALE ha sollevato una questione di interpretazione innanzi alla CORTE DI GIUSTIZIA.

LE FONTI NAZIONALILa crisi della legge Oggi le fonti del diritto di provenienza nazionale non posseggono più quella esclusività che le

caratterizzava fino alla metà del secolo scorso; oggi lo “spazio normativo” è sempre più densamente popolato da fonti diverse spesso di estrazione non nazionale.

Nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato contemporaneo muta radicalmente la funzione della legge : essa non è più soltanto un atto normativo generale ed astratto , ma diviene da un lato lo strumento privilegiato per la realizzazione del’indirizzo politico governativo e dall’altro un mezzo per eliminare gli

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ostacoli che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona e la sua partecipazione alla vita dello Stato , in connessione al carattere sociale della dorma di Stato.

Questa trasformazione ha caricato la legge di una serie di nuovi compiti che ha generato una crescente difficoltà del Parlamento di gestire la complessità della negoziazione legislativa in tempi certi e con prodotti adeguati a cui ha risposto una supplenza da parte del Governo , attraverso l’uso improprio degli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi)

LA LEGGE ORDINARIA Per legge si intende l’atto normativo deliberato dalle due Camere del Parlamento in un identico testo,

promulgato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale che trova le sue norme di produzione negli artt. 70 e seguenti della Costituzione: LEGGE FORMALE ORDINARIA .

Principi della fonte primaria:a) Numero chiuso delle fonti primarie in quanto sono solo quelle stabilite dalla Costituzione . Deriva

pertanto da questo principio il fatto che per creare nuove fonti che abbiano forza attiva e/o passiva primaria è necessaria una fonte costituzionale (una legge può creare nuove fonti secondarie ma non crea altri atti aventi forza di legge);

b) Limiti al legislatore sono quelli stabiliti direttamente dalla Costituzione o da fonti pari ordinate oppure da queste richiamate (art. 117 comma 1 Cost. che contiene esplicita menzione dei limiti che valgono per le leggi dello Stato e delle regioni).

Il contenuto della legge La Costituzione si limita a riservare ad essa la disciplina di alcune materie attraverso l’istituto denominato riserva di legge. Si ha una riserva di legge quando una norma della Costituzione riserva alla legge o atti aventi forza di legge la disciplina di una determinata materia escludendo o ammettendo solo in parte che essa possa essere oggetto di altre fonti normative. (riserva di fonti primarie). Riserva rinforzata di legge: vincoli nei quali il legislatore deve esercitare la sua discrezionalità in attuazione di istituti e limiti già fissati dalle disposizioni costituzionali che possono riguardare il contenuto della legge (art. 16 o art.48 ultimo comma Cost.) oppure il procedimento aggravato necessario per adottarla ( art. 8 ultimo comma o art 81ultimo comma cost.).Riserva relativa: la legge deve intervenire solo a definire gli aspetti generali e qualificanti delle disciplina .Riserva assoluta: l’intera materia deve essere disciplinata da fonti primarie .

Nel nostro sistema costituzionale non vi è un obbligo per cui la legge deve essere generale ed astratta, tuttavia il legislatore deve rispettare il canone della ragionevolezza:le scelte legislative devono essere coerenti in modo tale da non porsi in contrasto con il principio di uguaglianza , sia formale che sostanziale , egli pertanto non può agire arbitrariamente in violazione dell’art. 3 Cost. ma deve valutare la proporzionalità tra i mezzi utilizzati e i fini perseguiti .La Costituzione affronta il tema dell’oggetto di una legge o per imporre un certo procedimento di approvazione (è il caso della c.d. “riserva di assemblea” –art. 72 ultimo comma o delle legge di amnistia o indulto ex art. 79 Cost.)o per escluderla dalla possibilità di essere sottoposta a referendum abrogativo (art. 75 Cost.)La Costituzione si occupa del contenuto della legge nell’art. 117, modificato con la revisione costituzionale del 2001, laddove individua un elenco di materie di competenza del legislatore regionale e statale.Sempre più numerosi sono i casi di leggi a cedenza “annuale” con contenuto specializzato, istituite da altri interventi legislativi:

1. legge di bilancio unica legge a cadenza annuale espressamente prevista dalla Costituzione che impone alle Camere, all’art. 81, di approvare ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo ;

2. legge di stabilità introdotta a partire dall’esercizio finanziario del 2011 dalla legge 196/2009 in sostituzione della “legge finanziaria”.essa ha lo scopo di attuare il programma di politica economica

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del Governo e di fissare il limite complessivo delle entrate e spese per l’attuazione del “patto di stabilità” europeo;

3. la legge comunitaria annuale introdotta fin dalla legge n. 86/1989 (ora sostituita dalla legge 11/2005, a sua volta in corso di modifica) allo scopo di disciplinare il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’U.E. e garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’U.E sulla base di principi di sussidiarietà,proporzionalità,efficienza,trasparenza e partecipazione democratica.

4. La legge annuale di semplificazione , introdotta dalla legge n. 59/1997 allo scopo di realizzare misure di semplificazione normativa e amministrativa nazionale;

5. La legge annuale per il mercato e la concorrenza , introdotta dalla legge 99/2009 allo scopo di rimuovere gli ostacoli regolatori , di carattere normativo o amministrativo , all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori;

6. La legge annuale per le micro,piccole e medie imprese introdotte dalla legge n.180/2011, volta a definire gli interventi per la tutela e lo sviluppo delle medesime da adottare nell’anno successivo.

il procedimento legislativol’art. 70 Cost. prevede che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere e possiamo distinguere tre fasi:

1. INIZIATIVA: spetta al Governo, a ciascun parlamentare e agli altri organi a cui è conferita dalla Costituzione (CNEL-Consiglio Regionale-Comuni- limitatamente alla modifica delle circoscrizioni provinciali) oltre che ad almeno 500.000 elettori mediante un progetto redatto in articoli.

Nella prassi il maggior numero di proposte di legge è presentato dai parlamentari ma è l’iniziativa governativa quella che ha maggiori probabilità di andare in porto;

2. ISTRUTTORIA ED APPROVAZIONE: fase disciplinata dall’art. 72 Cost. ed attiene all’esame, discussione e votazione.

Questa fase deve svolgersi obbligatoriamente nelle commissioni permanenti che compongono ciascun ramo del Parlamento.Procedura normale in cui la commissione (opera con funzione referente), esaminato ed eventualmente modificato il progetto, presenta all’Assemblea una relazione in cui propone di accoglierlo o respingerlo. Durante la fase di esame nelle commissioni queste possono chiedere informazioni al Governo e svolgere un’attività istruttoria e conoscitiva (la cd. Istruttoria legislativa in commissione) . Diversa è invece la funzione consultiva con la quale una commissione si limita ad offrire pareri su richiesta di altre commissioni .Dopo l’esame segue la discussione articolo per articolo e discussione finale . segue l’approvazione finale del progetto di legge.Procedura abbreviata per l’approvazione d’urgenza di alcuni disegni di legge i regolamenti parlamentari prevedono tempi di discussione e votazione più ridotti ;procedura decentrata nella quale la commissione assume il nome di “deliberante” o “legislativa”.La Commissione si sostituisce all’Assemblea nella discussione e nell’approvazione della legge.Il progetto di legge inizia e conclude il suo iter in commissione, dove viene esaminato discusso ed approvato salvo che il Governo, ovvero una minoranza all’interno dell’Assemblea o della commissione (1/10 dei componenti dell’Assemblea o 1/5 dei componenti della commissione) chiedano il ritorno al procedimento normale. Da questo procedimento sono esclusi, per riserva di legge d’assemblea art. 72 Cost. ultimo comma, i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e quelli di delegazione legislativa , di autorizzazione a ratificare trattati internazionali , di approvazione del bilanci e consuntivi;

procedura per commissione in sede redigente disciplinato dai regolamenti parlamentari, consiste nell’affidare alle commissioni la redazione del progetto di legge , cioè la sua definitiva formulazione in articoli , riservando l’approvazione finale alle Assemblee. Valgono ovviamente le riserve e il potere di rimettere il procedimento all’Assemblea per volontà del Governo o delle minoranze .Si tratta di un procedimento poco utilizzato.

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LA LEGGE DI BILANCIO Il procedimento per la sua approvazione, come per l’approvazione delle altre leggi ad essa collegate, come la legge di stabilità, ha , secondo le norme dei regolamenti parlamentari delle caratteristiche particolari:oltre alla commissione di bilancio vi partecipano anche tutte le commissioni permanenti ;è impedito che i caratteri della manovra vengano sostanzialmente alterati e che l’approvazione si protragga per lungo tempo visto che il bilancio deve essere approvato è il 31 dicembre e che deve essere evitato il cd “esercizio provvisorio”. Per raggiungere tale obiettivo è prevista l’istituzione della sessione di bilancio , periodo in cui le Camere sono impegnate esclusivamente nella discussione e approvazione delle leggi di bilancio e della legge di stabilità con una serie di regole che dettano tempi molto stretti per la discussione e le votazioni

3. PROMULGAZIONE E PUBBLICAZIONE : attiene alla produzione degli effetti normativi.La promulgazione deve avvenire entro 30 giorni dalla data di approvazione parlamentare o in un tempo minore se le Camere deliberano a maggioranza assoluta in questo senso, è disposta dal PdR (art. 87, COMMA 5 Cost.). Si tratta di un atto di controllo da parte del PdR che può anche rifiutarsi di promulgare la legge esercitando il potere di rinvio secondo quanto stabilito dall’art. 74 Cost.Alla promulgazione segue la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.La pubblicazione serve a rendere gli atti normativi conoscibili , perciò il nostro ordinamento prevede che entrino in vigore dopo un periodo di 15 giorni dalla loro pubblicazione ( vacatio legis)o un termine inferiore disposto dalla legge stessa (art. 73 Cost.) e durante tale periodo gli effetti della legge sono sospesi. Decorso il nuovo atto è pienamente obbligatorio e si applica il principio di ignorantia legis non excusat. Tale principio, previsto dall’art. 5 c.p. non è più così assoluto in quanto la Corte Costituzionale con sentenza n. 364/1988 ne ha dichiarato l’incostituzionalità , nella parte in cui non esclude dall’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile, stabilendo così che se un cittadino non è stato in grado di conoscere il contenuto di una legge per motivi non attribuibili a sua colpa o negligenza, a quel cittadino non potrà chiedersi di obbedire a quella legge.Il soggetto competente a inserire le leggi nella G.U. è il Ministro della Giustizia che viene per questo chiamato anche il GUARDASIGILLI.Tutti gli atti normativi pubblicati nella G.U. sono inseriti anche nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana (SISTEMA DI DOPPIA PUBBLICAZIONE)La Raccolta viene stampata annualmente e in caso di divergenza tra il testo pubblicato sulla G.U. da quella della Raccolta prevale quest’ultimo.

GLI ATTI DEL GOVERNO CON FORZA DI LEGGELa Costituzione attribuisce il potere legislativo anche al Governo che sotto il controllo del Parlamento può adottare due tipi di atti aventi la stessa forza di legge: il decreto legislativo e il decreto legge .Questa eccezione al principio della separazione dei poteri , per cui la funzione legislativa viene delegata al Governo è un dato comune a molte Costituzioni successive alla Seconda Guerra mondiale.Il potere legislativo esercitato dal Governo è formulato dagli art. 76 e 77 cost. come eccezione alla regola dell’art. 70 Cost..La legge n. 400/1988 ha cercato di circoscrivere la potestà normativa del Governo ma trattandosi di delimitazione espressa da fonte di pari grado e non da una modifica costituzionale lo sforzo è risultato inefficace .Le Camere non sono spogliate del potere legislativo in quanto con l’adozione dei decreti legislativi o dei decreti legge il Governo esercita un potere diverse da quello del Parlamento pu producendo atti dotati della stessa forza della legge.Questi provvedimenti legislativi sono indicati con la formula atti aventi forza di legge che esprime la loro equiparazione alla legge quanto all’efficacia e al controllo giurisdizionale di costituzionalità riservato in base all’art. 134 Cost. alla Corte Costituzionale.

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IL DECRETO LEGISLATIVOSecondo l’art. 76 Cost. l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazioni di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato.L’istituto della delegazione legislativa si realizza attraverso due procedimenti :

Legge delega , attraverso una legge il Parlamento trasferisce temporaneamente la funzione legislativa in capo al Governo ma rimane padrone di revocare la delega ovvero di approvare leggi sullo stesso oggetto.Deve determinare:

1. L’oggetto ovvero la precisa materia da disciplinare;2. I principi , ovvero le norme generali di carattere sostanziale immediatamente riconducibili all’oggetto

della delega e i criteri direttivi ovvero norme strumentali di carattere procedurale che guidano l’esercizio del potere delegato;

3. Il termine in quanto occorre fissare esattamente la data o il periodo di tempo entro il quale essa può essere esercitata. Decreto legislativo, costituito dall’approvazione dell’atto normativo deliberato dal Consiglio dei

Ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni della legge delega.

Il Governo nell’adozione del decreto legislativo deve rispettare tutti i limiti che la legge delega gli pone, in caso contrario è viziato e può venire dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale per violazione indiretta dell’art. 76 Cost. rispetto al quale la legge delega si configura come norma interposta.Molte leggi di delega oggi prevedono che il Governo prima di esercitare la delega debba ottenere un parere dalle competenti commissioni parlamentari sullo schema di decreto, divenendo così più partecipato (Parlamento-Governo) di quanto non preveda la Costituzione. Frequente è inoltre l’inserimento nelle leggi di delega di clausole che consentono al Governo di correggere il decreto legislativo emanato una volta scaduto il termine “principale” entro un successivo periodo di tempo e nel rispetto dei dei medesimi principi e criteri direttivi iniziali. Queste tipo di deleghe ( cd. Integrative-correttive)sono ritenute ammissibili a condizione che il potere venga disciplinato e che il procedimento non si trasformi in una generica attribuzione al Governo delle funzioni legislative .Vi sono dei limiti alla delega legislativa attribuibile al Governo.Con l’espansione del diritto dell’U.E. i decreti legislativi sono divenuti lo strumento ordinario di attuazione del diritto comunitario (insieme ai regolamenti del Governo).Una delle più frequenti applicazioni dell’istituto della delegazione legislativa trova luogo nel caso dei TESTI UNICI, particolari atti denominati in questo modo perché utilizzati per raccogliere e riordinare in unico testo la legislazione vigente in un determinato settore e dei codici che contengono la disciplina organica di un settore. L’art. 14 della legge 400/1988 prevede che tali fonti vengano pubblicate sempre con il nome “decreto legislativo “ e che si usi la numerazione progressiva delle leggi .

IL DECRETO LEGGE È un atto del Governo con forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità ed urgenza. Si tratta di una fonte nata nell’epoca fascista per far fronte a casi in cui non c’era tempo per le procedure legislative parlamentari.La Costituzione consente al Governo di alterare l’ordine normale dei poteri adottando “provvedimenti provvisori con forza di legge”. Il Governo nello stesso giorno in cui è emanato il DECRETO LEGGE ha l’obbligo di trasmetterlo alle Camere chiedendone la conversione in legge. Le Camere anche se sciolte sono convocate e si riuniscono entro 5 giorni . la conversione in legge deve avvenire entro 60 giorni dalla pubblicazione nella G.U. se ciò non avviene il decreto perde efficacia retroattivamente, cioè fin dal momento in cui è stato adottato (decadenza con effetto ex-tunc, cioè “da allora”). Appena adottato il decreto legge diventa oggetto di apposito disegno di legge di conversione ed in questa formula è presentato alle Camere (il decreto viene presentato come un allegato di un disegno di legge che contiene un unico comma:”E’ convertito in legge il decreto legge n….recante…..) la legge di conversione ha perciò l’effetto di ripristinare il normale ordine costituzionale per mezzo di una sostituzione (novazione)della fonte: la legge si sostituisce completamente al decreto legge anche per quanto riguarda la

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disciplina intervenuta nei 60 giorni di vigenza dello stesso. Il Decreto legge è quindi destinato a scomparire dopo 60 giorni o perché è convertito in legge, e allora la fonte che permarrà nell’ordinamento è la legge di conversione, o perché non è convertito ed allora è come se non fosse masi stato emanato. La conversione ad opera della legge potrà avvenire a condizioni che il decreto sia stato adottato in casi straordinari di necessità ed urgenza (art. 77 Cost). l’esistenza di tali presupposti viene effettuato in primis dal P.d.R. in sede di emanazione del Decreto, successivamente dal Parlamento in sede di conversione. Quando il decreto legge è stato convertito può essere sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale che può annullare la legge di conversione in quanto costituzionalmente invalida.Se il D.L. non è convertito per il voto contrario di uno dei due rami del Parlamento o per decorrenza del termine di 60 giorni , esso perde retroattivamente i suoi effetti , quindi la disciplina che per 60 giorni è stata vigente viene meno tamquam non esset (come se non fosse stata).L’art. 77 Cost. comma 3 prevede che le Camere possano regolare con legge (sanatoria)i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti, salvando così gli effetti prodotti dal decreto legge decaduto e sollevando il Governo dalle responsabilità alle quali sarebbe altrimenti tenuto.Oggi il Parlamento apporta molti emendamenti al decreto legge in sede di conversione, spesso stravolgendo completamente il testo originario del decreto. Tali modifiche entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo diversa disposizione.Il procedimento di conversione presenta alcune variazioni ,introdotte dai regolamenti parlamentari, rispetto al normale procedimento di approvazione delle leggi, e dettate dalla necessità di assicurare in tempi brevi e certi l’approvazione del disegno di legge..Oggi il decreto legge non ha più nulla della originaria figura costituzionale di fonte straordinaria ed eccezionale ma rappresenta un vero e proprio atto di legislazione ordinaria. Ogni tentativo di arginare l’abuso della decretazione d’urgenza sembra essere destinato al fallimento visto che la Corte Costituzionale è riuscita solo parzialmente a ricondurre la prassi al “testo” costituzionale .La Corte Costituzionale con la sentenza n. 360/1996 ha infatti interrotto la pratica della “reiterazione dei decreti legge”, con la quale al 60° giorno di vigenza di un D.L. non convertito se ne ripresentava un altro di identico contenuto mentre invece per i decreti legge adottati in palese violazione dell’art. 77 Cost. (in assenza di straordinaria necessità ed urgenza) le sentenze della CORTE (sentenze n. 171/2007-128/2008) appaiono inascoltate.Anche gli interventi del legislatore ordinario sono risultati inefficaci, come pure i rimedi di carattere regolamentare (cioè l’inserimento di specifiche disposizioni nei regolamenti delle Camere) si sono rivelati incapaci di bloccare la prassi di decretazione d’urgenza di fronte a maggioranze Parlamentari che hanno preferito “chiudere un occhio” dinanzi a D.L. del Governo che pur non straordinari ed eccezionali realizzavano obiettivi normativi condivisi.

IL REFERENDUM ABROGATIVOPrevisto dall’art. 75 Cost. è un istituto attraverso il quale il corpo elettorale è chiamato a pronunciare direttamente circa “l’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge” dello Stato. E’ collocato tra le fonti primarie in quanto un favorevole esito della votazione muta l’ordinamento normativo statale. La legge costituzionale n. 1/1953 introdusse il controllo di ammissibilità della Corte Costituzionale , anche se la disciplina legislativa fu adottata solo nel 1970 (LEGGE 352/1970) sotto la spinta di eventi contingenti (legge sul divorzio ).Possono essere oggetto del referendum abrogativo leggi e atti con forza di legge dello Stato totalmente o limitatamente a una parte. Attraverso il referendum se ne determina l’abrogazione ovvero la perdita di efficacia ex nunc per il futuro (non retroattiva). Sono escluse dal referendum, secondo l’art. 75 Cost. alcune categorie di leggi : tributarie e di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.IL PROCEDIMENTO REFERENDARIO SI ARTICOLA IN VARIE FASI:

a) INIZIATIVA : spetta a 5 Consigli Regionali o a 500.000 elettori mediante un comitato promotore composto dal almeno 10 cittadini . la richiesta deve essere depositata presso la CORTE DI CASSAZIONE- UFFICIO CENTRALE PER IL REFERENDUM entro il 30 settembre di ogni anno;

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b) L’UFFICIO CENTRALE PER IL REFERENDUM effettua il controllo sulla legittimità delle richieste, rilevando eventuali irregolarità entro il 31 ottobre e assegnando un termine ai proponenti per sanarle o per contestarne l’esistenza. Dopo un limitato contradditorio con i promotori l’Ufficio decide con ordinanza definitiva entro il 15 dicembre;

c) La Corte Costituzionale giudica sull’ammissibilità delle richieste dichiarate legittime con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio;

d) Se le richieste sono ammesse il P.d.R. su deliberazione del Consiglio dei Ministri indice il REFERENDUM fissando la data di convocazione elettorale in una domenica comprese tra il 15 aprile e il 15 giugno;

e) Sono previsti 2 quorum Di partecipazione in quanto il referendum è valido solo se hanno partecipato la metà più uno degli

aventi diritto L’abrogazione si ha con la maggioranza dei voti validif) L’abrogazione , che può essere posticipata fino a 60 giorni ,viene dichiarata con Decreto del P.d.R ,

in caso contrario l’esito del referendum è reso pubblico dal Ministro di Giustizia e per 5 anni la stessa disposizione non potrà essere sottoposta a referendum abrogativo.

L’istituto referendario è stato conformato dalla Corte Costituzionale attraverso il giudizio di ammissibilità , mediante un’interpretazione di carattere estensivo dei limiti espliciti dell’art. 75 Cost., enucleando anche a partire dalla sentenza n. 16/78 limiti impliciti.Nel fare questo la Corte ha seguito due direttrici.La prima assimilando al referendum ad una legge ordinaria meramente abrogativa, che comporta l’inammissibilità del referendum in tutti quei casi in cui non potrebbe validamente intervenire una legge parlamentare.La seconda direttrice su cui si è mossa la Corte fa perno sul requisito della libera espressione del cittadino di un voto libero come previsto dall’art. 48 , comma 2 Cost., in quanto il quesito proposto deve essere omogeneo , chiaro, univoco, non contradditorio.Dopo un timido sviluppo negli anni 70 si è verificato a partire dagli anni 80 una trasformazione dell’istituto referendario che ha perso il suo carattere abrogativo o di stimolo al legislatore, divenendo sempre più uno strumento di indirizzo politico, come i molteplici referendum proposti dal Partito radicale IDONEI A REALIZZARE UN INTERO PROGRAMMA POLITICO ALTERNATIVO, o un motore per le riforme introducendo direttamente nuove norme per mezzo dell’abrogazione di parti di leggi esistenti in modo che la “normativa di risulta” fosse in grado di produrre direttamente un nuovo testo, come ad esempio l’introduzione nel 1993 di un sistema elettorale maggioritario al posto di quello proporzionale.

I REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVOI Regolamenti governativi sono fonti secondarie, con le quali il Governo, nel rispetto delle fonti primarie, pone regole di carattere sostanziale, organizzativo , procedurale oppure provvede a disporre quanto necessario per dare attuazione ed esecuzione alle leggi..Spesso le leggi parlamentari per poter essere applicate necessitano di altre regole (secondarie) che specifichino come concretamente si può dare loro attuazione.Il potere regolamentare del Governo non è disciplinato dalla Costituzione , al quale si limita a richiamare questa fonte solo nell’art. 87,comma 5 (che elencando i poteri del P.d.R. include anche l’emanazione dei regolamenti ) e nell’art. 117, comma 6 che limita la potestà del Governo di emanare regolamenti solo nelle materie nelle quali lo Stato ha potestà legislativa esclusiva (art. 117 comma 2).Il potere regolamentare del Governo si fonda nella legge ordinaria secondo il principio di gerarchia ed è disciplinato dall’art. 17 della legge 400/1988 e dall’art. 11 della legge 11/2005 per i regolamenti di attuazione del diritto europeo..Si distinguono i REGOLAMENTI GOVERNATIVI (art. 17 commi 1,2 e 4bis della legge 400/1988 e art. 11 della legge 11/2005) deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati con Decreto P.d.R , che possono disciplinare l’esecuzione delle leggi, Decreti legislativi, e regolamenti dell’U.E. (regolamenti di esecuzione)o attuare e integrare leggi e decreti legislativi recanti norme di principio ad esclusione della materie di competenza regionale (regolamenti di attuazione) o regolare l’organizzazione e il

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funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge(regolamenti di attuazione) REGOLAMENTI MINISTERIALI ED INTERMINISTERIALI (art. 17 comma 3 della legge 400/1988) emanati dal singolo ministro o di concerto con uno o più ministri che devono rispettare i regolamenti governativi.I regolamenti indipendenti sono quelli emanati in materie non riservate alla legge e non disciplinate da da leggi o atti con forza di legge. Tali regolamenti non hanno un’indipendenza assoluta ma sono sottoposti ad una rete di criteri,estraibili dai principi generali dell’ordinamento, che contribuiscono al rispetto del principio di legalità (indipendenza relativa).Ai regolamenti previsti dal comma 2 dell’art. 17 e a quelli dei commi 4bis e 6 spetta il compito della delegificazione, ovvero l’istituto mediante il quale una legge attribuisce al potere regolamentare del Governo il compito di regolare una certa materia anche modificando la disciplina legislativa vigente e contestualmente dispone l’abrogazione di tale disciplina dall’entrata in vigore dei regolamenti dei delegificazione. E’ la legge di delegificazione a disporre l’abrogazione della legislazione non i regolamenti del Governo.

LE FONTI REGIONALI E LOCALIOltre alle fonti di carattere sovranazionale e statale il quadro normativo si completa con le fonti regionali e con quelle degli enti locali.L’Italia è uno Stato regionale in cui la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali in base all’art 5 Cost. L’art. 114 comma 1 Cost.: La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane , dalle Regioni e dallo Stato .Le Regioni a statuto speciale (Friuli V.G., Sardegna,Sicilia,Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta) sono disciplinate dai rispettivi statuti approvati con leggi costituzionali.Alle 15 Regioni a statuto ordinario è la Costituzione che attribuisce la potestà normativa primaria e secondaria, in particolare l’art. 123 Cost. prevede la necessità di dotarsi di uno statuto , fonte primaria del diritto con cui la Regione disciplina rilevanti aspetti della sua organizzazione e struttura interna:forma di governo,principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, diritto di iniziativa e referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione e pubblicazione di leggi e regolamenti regionali.Il procedimento di approvazione dello Statuto ordinario è simile a quello previsto dall’art. 138 Cost. per le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, infatti lo statuto ed le sue eventuali modifiche deve essere approvato per 2 volte dal Consiglio Regionale a maggioranza assoluta dei componenti dell’organo e con un intervallo tra la prima e la seconda approvazione di almeno due mesi . Dopo le due approvazioni la legge viene pubblicata ai fini notiziali sul BUR e da quel momento decorrono i tre mesi entro i quali 1/50 degli elettori della regione o 1/5 dei membri del CONSIGLIO REGIONALE possono richiedere un referendum sospensivo/approvativo sullo statuto (o sulla legge modificativa dello stesso). Decorsi i 3 mesi in assenza di richiesta referendaria la legge viene promulgata ripubblicata e decorso il termine vacatio legis entra in vigore. Nel caso in cui venga richiesto il referendum la legge è promulgata e quindi ripubblicata solo se approvata dalla maggioranza dei voti validi. L’art. 123 Cost. prevede anche la possibilità di un controllo di legittimità costituzionale sullo statuto su ricorso promosso dal Governo .Le Regioni hanno potestà legislativa in base all’art. 117 Cost. che elenca le materie di competenza esclusiva dello Stato e quelle di legislazione concorrente, mentre affida alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, ovvero la competenza residuale.Competenza legislativa esclusiva statale insieme di materie in cu lo Stato è il soggetto legittimato a porre le fonti legislative, nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e internazionale (art. 117 comma 1), dunque il Parlamento nazionale ovvero il Governo.Le materie indicate dall’art. 117 corrispondono ad interessi unitari che non possono essere logicamente o giuridicamente frazionati o differenziati tra i vari enti regionali (politica estera, immigrazione,difesa,forze armate,sicurezza dello Stato, moneta ,tutela della concorrenza,cittadinanza, stato civile, anagrafe,previdenza sociale,ecc.).

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Competenza legislativa concorrente regionale insieme di materie in cui i soggetti legittimati a porre le fonti legislative sono due: lo Stato che determina i principi fondamentali di ciascuna materia, le regioni a cui spetta la potestà legislativa di dettaglio (commercio estero, tutela e sicurezza del lavoro,tutela della salute, governo del territorio)Competenza legislativa residuale regionale s’intendono tutte le materie non ricomprese negli elenchi del secondo e terzo comma dell’art. 117 Cost. In questo caso le regioni hanno una potestà legislativa che vede come vincolo solo la Costituzione ovvero gli obblighi comunitari e internazionali.La Corte Costituzionale, chiamata a controllare la costituzionalità delle leggi statali e regionali, ha escluso che si possa automaticamente ricondurre un certo oggetto alla competenza residuale regionale di cui all’art. 117 comma 4 Cost. per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’art. 117 Cost.La Corte ha introdotto la chiamata in sussidiarietà, meccanismo che consente allo Stato di attrarre a sé la competenza legislativa regionale nel caso sussista un interesse unitario e nel rispetto del principio di leale collaborazione con le Regioni che sono coinvolte nel procedimento .La competenza regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia non esclusiva dello Stato come da comma 6 art 117 Cost o delle materie riguardanti l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni attribuite agli enti locali a questi riservate.

FONTI NORMATIVE DEGLI ENTI LOCALI Comuni,Province e città metropolitane (queste sono ancora inattuate) trovano riconosciuta nell’art. 114 comma 2 Cost. la potestà normativa statutaria e (art. 117 comma 6) regolamentare.Gli statuti e i regolamenti locali restano fonti secondarie in quanto le loro norme sulla produzione sono contenute in fonti primarie dello Stato al quale spetta la disciplina relativa alla legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di tali enti (art, 117 comma 2 lett. P) Cost.).Gli Statuti e regolamenti comunali provinciali e delle città metropolitane sono fonti secondarie ma a competenza riservata.La Corte Costituzionale ha ritenuto legittimo l’intervento del legislatore regionale volto a disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni conferite per assicurare requisiti essenziali di uniformità nei casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie, purché non si comprima eccessivamente l’autonomia degli enti locali (sent. 372/2004)

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DIRITTI E DOVERI

Introduzione:dalle Costituzioni liberali alle Costituzioni contemporanee

La garanzia dei diritti nello Stato Liberale di diritto acquista una posizione centrale soprattutto a partire dal Secondo dopoguerra nelle Costituzioni approvate dopo la tragedia dei totalitarismi.Le Costituzioni Europee del XX secolo si allontanano da quelle Ottocentesche, con le quali era stato superato la Stato assoluto, per la nascita dello Stato di diritto ma destinate a fallire in quanto flessibili.Il Parlamento imponeva le sue regole al monarca ma le maggioranze politiche, prive di limitazioni, attraverso la legge erano in grado di sopraffare le minoranze e cancellare i diritti di quest’ultime.Nello STATO CONTEMPORANEO nascono le COSTITUZIONI RIGIDE che garantiscono i diritti.Accanto alle libertà negative ,proprie delle Costituzioni liberali ,si scrivono nelle COSTITUZIONI CONTEMPORANEE anche le libertà positive , ovvero quelle che richiedono un intervento attivo dei pubblici poteri .Le Costituzioni del Secondo dopoguerra sono LUNGHE in quanto contengono sia diritti civili e politici che diritti sociali ed economici.La garanzia dei diritti nello Stato contemporaneo assume una dimensione sovranazionale con l’approvazione di alcuni documenti aventi come obiettivo la protezione dei diritti:

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO (1948); CONVENZIONE EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTA’

FONDAMENTALI (1950); CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA (1999).

Libertà ed uguaglianza nella Costituzione Italiana

L’architettura generale della CARTA COSTITUZIONALE dimostra di aver dato rilievo alla protezione dei diritti.Dopo i primi 12 articoli qualificati PRINCIPI FONDAMENTALI, segue al parte prima composta di 42 articoli ed intitolata DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI, articolata in 4 titoli dedicati ai rapporti civili,rapporti etico-sociali,rapporti economici e rapporti politicie la seconda parte contenente l’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA.

L’art. 2: i diritti inviolabili e i doveri inderogabili

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo , sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.L’ordinamento pone al centro la protezione dei diritti fondamentali della persona (principio personalista). La persona non è individuo considerato dome “singolo” ma è inteso nella sua proiezione sociale, nel suo essere inserito in contesti di vita, legato a gruppi umani ove sviluppa la sua individualità. Il contributo più alto della Costituzione italiana è quello di concepire l’uomo come persona caratterizzata da bisogni e di conseguenza dalle relazioni necessarie a rispondere a questi bisogni (socialità, lavoro,educazione,salute,assistenza, ecc.)Rispetto alla tradizione ottocentesca che vedeva nello Stato l’origine stessa dei diritti del cittadino e dava al legislatore sovrano la possibilità di limitare o restringere i diritti secondo i suoi intendimenti , l’art. 2 afferma una concezione opposta per la quale i diritti preesistono alla Repubblica, questa può solo riconoscere non creare o attribuire diritti, il proprietario dei diritti è la persona e non l’ordinamento giuridico statale .L’inviolabilità dei diritti è la garanzia che gli stessi non sono eliminabili neanche ad opera del Parlamento, organo espressivo della volontà popolare. La legge potrà pertanto solo disciplinarli nelle forme e nei limiti posti dalla Costituzione.

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La Costituzione afferma in modo espresso l’inviolabilità soltanto di quattro dei diritti del titolo I:LIBERTA’ PERSONALE (ART 13)LIBERTA’ DI DOMICILIO (ART. 14)LIBERTA’ E SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA (ART. 15)DIRITTO DI DIFESA (ART. 24 COMMA2);l’inviolabilità va riconosciuta, in via interpretativa, anche ad altri diritti come il diritto alla salute, alla vita, a manifestare il proprio pensiero, ad associarsi, a riunirsi , ecc.La Corte Costituzionale ha inoltre esteso a molti nuovi diritti (identità sessuale, ambiente, privacy, abitazione, ecc) la protezione costituzionale, sia interpretando estensivamente l’art. 2 in collegamento con altri diritti costituzionali , sia attraverso il richiamo a documenti internazionali come la CEDU (CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO).L’’ultima parte dell’art. 2 afferma che la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, tale formulazione sancisce la presenza del principio /valore della solidarietà che è la ragione dei doveri inderogabili a carico dei singoli e delle formazioni sociali.Il riconoscimento del principio solidaristico non significa che tutti i doveri previsti in Costituzione trovino in esso matrice e fondamento, bensì solo quelli che hanno una ragione nella solidarietà; pertanto potranno essere previsti anche altri doveri purché esprimano interessi costituzionalmente meritevoli di tutela. Il principio di solidarietà non trova espressione solo nell’adempimento dei doveri, ma è capace di estendersi anche alla categoria delle libertà come avviene nei casi in cui la solidarietà è frutto di una libera e spontanea espressione della persona stessa (esempio attività di volontariato o di associazionismo sociale e culturale).

L’art. 3: uguaglianzaIl principio di uguaglianza ha radici antichissime che possiamo far risalire alla polis greca, fino ad arrivare al pensiero rivoluzionario francese che aveva fatto dell’uguaglianza di fronte alla legge uno dei capisaldi della lotta contro l’Ancien Règime. Nelle Costituzioni liberali (compreso il nostro Statuto Albertino del 1848) influenzate dalla Rivoluzione francese, l’uguaglianza si collegava strettamente con il principio di legalità secondo il quale ogni limitazione della sfera di libertà degli individui doveva essere fondata su una legge.In Italia il principio di uguaglianza è il frutto dell’incontro in ASSEMBELA COSTITUENTE tra gli ideali del movimento operaio social-comunista, del movimento cattolico-democristiano e della tradizione liberale. Il primo comma riproduce la concezione liberale dell’uguaglianza in senso formale: è solennemente sancito nell’art. 3 comma 1 che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge , senza distinzione di razza, di lingua , di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.A questo comma ne segue un altro in cui si aggiunge l’affermazione di un nuovo principio indicato come uguaglianza in senso sostanziale in cui la Repubblica si impegna a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini , impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,economica e sociale del Paese”L’uguaglianza pertanto non è solo un punto di partenza ma anche un obiettivo.L’uguaglianza giuridica presuppone la diversità.Per stabilire se tra due soggetti vi è uguaglianza occorre definire l’aspetto che si assume come rilevante per il confronto. Occorre trattare in maniera uguale situazioni uguali e in maniera ragionevolmente differenziata situazioni diverse e pertanto nel giudizio un peso rilevante è giocato dalla valutazione circa la ragionevolezza o meno della differenziazione.Il principio di non discriminazione è la versione “internazionale” del nostro principio di uguaglianza nel senso che il suo impiego si deve soprattutto alle Corti (Corte europea di diritti umani e Corte di Giustizia dell’Unione Europea) e alle Carte Internazionali (Convenzione Europea dei diritti e delle libertà fondamentali e Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.) .

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Il principio di non discriminazione afferma lo stesso valore dell’uguaglianza, vietando le differenziazioni irragionevoli di trattamento, tuttavia, in fase applicativa, si tende a colpire “qualsiasi” differenziazione di trattamento ponendo in secondo piano il giudizio sulla ragionevole differenza delle condizioni che si pongono a paragone. Un esempio di differente applicazione del principio di uguaglianza rispetto a quello di non discriminazione è stata la decisione della Corte costituzionale italiana (sentenza n. 138/2010) sulla questione di legittimità costituzionale degli articoli del codice civile che impediscono una coppia dello stesso sesso di contrarre matrimonio civile. La Corte Costituzionale ha affermato che non c’è violazione del parametro dell’uguaglianza in quanto la normativa del codice civile prevede esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna che da un lato trova specifico fondamento nell’art. 29 della Costituzione e dall’altro no dà luogo ad una irragionevole discriminazione in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.

L’uguaglianza formale Si intende l’uguaglianza di fronte alla legge sulla quale si fonda lo stesso Stato di diritto, concetto strettamente connesso con il principio di legalità che contempla il divieto di comportamenti difformi da quanto previsto dalla legge. l’uguaglianza formale si traduce nel divieto per il legislatore di adottare trattamenti irragionevolmente differenziati tra i cittadini . Tale principio deve essere inteso come divieto di introdurre discriminazioni irragionevoli in quanto basate su una valutazione irrazionale o distorta delle situazioni di fatto da regolare.

Il primo divieto menzionato nella Costituzione è quello della distinzione in base al sesso è un divieto pari agli altri ma ritenuto “meno forte” perché bisogna tener conto da un lato le differenze fico-biologiche e dall’altro la presenza di norme costituzionali che postulano una differenza in relazione al sesso (es. art. 29 Cost. relativo alla famiglia, art. 37 Cost. relativo alla tutela della donna lavoratrice e art. 51 Cost. legato all’esigenza di promuovere le pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici).

Il secondo tipo di distinzione vietata è relativo alla razza,che pur essendo uno dei divieti più rigorosi, in quanto a differenza di altri non accetta deroghe sulla base di altre norme costituzionali , si tratta di una tipologia di discriminazione che spiega un divieto usato soprattutto per il passato.

Il divieto rispetto alla lingua va letto congiuntamente alla tutela delle minoranze linguistiche prevista all’art. 6 Cost.

Il divieto relativo alla religione previsto dall’art. 3 Cost. viene integrato e specificato in altre norme della Costituzione come gli artt. 8 e 19 , nonché la normativa prevista per regolare i rapporti con la Chiesa cattolica e le altre religioni.

Il divieto di discriminazione in base alle opinioni politiche trova i suoi riferimenti negli artt. 21,22,48 e 49 Cost. che tutelano l’esistenza di movimenti politici o partiti.

Con la formula condizioni personali e sociali, di difficile interpretazione, si può trarre il generale divieto di leggi ad personam , che tuttavia sono già precluse in forza del principio di uguaglianza di fronte alla legge .

L’uguaglianza sostanziale

il compito della Repubblica non è solo quello di riconoscere che tutti sono uguali davanti alla legge, ma anche di aiutare coloro che si trovano in condizioni svantaggiate a poter raggiungere la piena promozione della loro personalità al pari di chi si trova in condizioni migliori. L’uguaglianza sostanziale giustifica il riconoscimento dei diritti sociali quali il diritto al lavoro, i diritti dei lavoratori, il diritto al gratuito patrocinio, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione etc.

L’architettura dei diritti nella Costituzione e i loro limiti I quattro titoli che compongono la parte prima della Costituzione prescrivono il riconoscimento e la garanzia dei diritti secondo una logica che presuppone una classifica dei diritti.

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La distinzione più evidente si basa sulle tipologie di rapporti che vengono presi in considerazione per identificarne la tutela: rapporti civili (titolo I ), etico-sociali (titolo II), economici (titolo III), politici (titolo IV).Gli articoli tra 13 e 16 disciplinano i diritti a matrice individuale costruiti secondo l’immagine dei cerchi concentrici:

art. 13 libertà personale (cioè libertà della sfera fisica); art. 14 libertà di domicilio (si espande dalla sfera individuale a quella sociale) art. 15 libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione art. 16 libertà di circolazione.

Gli articoli tra il 17 e il 21 contengono diritti che attengono alla sfera pubblica della vita: art. 17 diritto di riunirsi art. 18 diritto di associarsi art. 19 libertà di coscienza legati all’ambito religioso art. 20 diritto di associazione art. 21 diritto di manifestazione di pensiero.

Il titolo I è completato con le previsioni relative alla garanzia giurisdizionale dei diritti di cui artt. 24,25,26,27, mentre l’art. 28 garantisce la responsabilità dei dipendenti e funzionari per gli atti compiuti in violazione dei diritti .

Il titolo II è rubricato RAPPORTI ETICO-SOCIALI e contiene: artt. 29,30,31 riferimento alla famiglia, art. 32 alla salute art. 33 alla sfera culturale art. 34 all’istruzione

Le libertà sociali sono inviolabili e si differenziano dalle libertà civili solo per le caratteristiche della tutela e per il diretto riferimento alla sfera dell’uguaglianza sostanziale ,, oltre che al principio di solidarietà contenuto nell’art. 2 Cost. Due sono le forme principali di garanzia costituzionale delle libertà :la riserva di legge e la riserva di giurisdizione, secondo la quale ogni atto che incide sulle libertà deve rinvenire nella legge la sua astratta previsione ma deve essere anche autorizzato dal giudice.

I singoli diritti costituzionali

LIBERTA’ PERSONALE (art. 13 Cost.)La tutela della libertà fisica e psichica della persona è considerata una priorità.Dopo l’affermazione della inviolabilità della libertà personale seguono 4 commi che individuano le condizioni che permettono allo Stato e soltanto ad esso, di limitare la libertà fisica della persona.Il comma 2 enuncia due garanzie della riserva di legge e di giurisdizione in quanto detenzione , ispezione , perquisizione personale e altra restrizione della libertà personale non sono ammesse se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.I commi 3 e 4 prevedono deroghe a queste garanzie: in casi eccezionali di necessità ed urgenza ,indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro 48 ore all’Autorità giudiziaria e se questa non li convalida nelle 48 ore successive si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.Questi casi sono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza e il fermo di indiziati di reato. In tali circostanze l’intervento dell’autorità giudiziaria non è necessario prima del provvedimento restrittivo ma successivamente al fine di convalidare gli atti adottati, al fine di verificarne i presupposti in fatto e in diritto.Nell’art. 13 sono contenuti anche 2 principi di tutela imposti alla legge:

punire ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà; stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva.

L’art. 111 Cost. inoltre prescrive la possibilità di ricorrere in Cassazione per tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale ad esclusione delle sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

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LIBERTA’ DI DOMICILIO (art. 14 Cost.)La seconda delle libertà menzionate è volta a proteggere lo spazio primario di vita ovvero il domicilio inteso come ogni luogo di cui la persona fisica o giuridica abbia legittimamente la disponibilità per attività connesse alla vita privata o di relazione e dal quale intenda escludere i terzi (abitazione, luogo di lavoro, camera di albergo, etc).L’art. 14 definisce 2 tipi di garanzie:

nella prima è previsto il regime ordinario di tutela in quanto ispezioni o perquisizioni o sequestri possono essere eseguiti solo nei casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale;

nella seconda si introduce una deroga al regime ordinario in quanto gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o ai fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.La ragione di questa deroga risiede nel fatto che gli interessi pubblici prevalgono su quelli di tipo economico della persona e che i mezzi di restrizione predisposti non sono misure di tipo coercitivo (perquisizioni, sequestri)ma interventi di natura conoscitiva , accertamenti, ispezioni .

LIBERTA’ E SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA (art. 15 Cost)Questa libertà deve essere intesa sia come il diritto di ciascuno di comunicare con altri soggetti sia come diritto di ricevere, senza interferenze , tali comunicazioni . Libertà e segretezza sono due concetti connessi ma distinti sotto il profilo della violazione in quanto in alcuni casi è possibile avere limitazioni della libertà ma non della segretezza (es. fermo posta) e in altri casi si possono avere condizionamenti della segretezza ma non della libertà (intercettazioni delle comunicazioni).Tale articolo tutela ogni forma di comunicazione quindi non solo quella epistolare.Gli strumenti di garanzia enunciati al comma 2 sono una riserva di legge e di giurisdizione in quanto la limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.

LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO (art. 16 Cost)La libertà di circolazione e soggiorno si riferisce alla protezione con quei provvedimenti obbligatori che pongono dei limiti alla libertà di circolare e soggiornare sul territorio della Repubblica o condizionano a determinati obblighi il diritto di lasciarlo o tornarvi.L’ART. 16 prevede che sia una legge a stabilire in via generale per motivi di sanità o sicurezza le limitazioni a questo diritto.L’articolo è composto di altre 2 diposizioni:

1. nessuna restrizione può essere determinata per ragioni politiche;2. la libertà di espatrio è garantita senza alcun limite specifico salvo l’adempimento degli obblighi di

legge.

LIBERTA’ DI RIUNIONE E DI ASSOCIAZIONE (art. 17 Cost. e 18 Cost.)La Costituzione garantisce tale libertà con limiti assai ampi , prevedendo solo il requisito che le riunioni si debbano svolgere in modo pacifico e senz’armi.Sono libere le riunioni in luoghi privati (in cui si può entrare solo con il consenso di chi ne dispone), in luoghi aperti al pubblico (in cui si può accedere liberamente od eventualmente con l’osservanza di determinate condizioni come il possesso di un biglietto),in luogo pubblico (una via, una piazza, etc) occorre invece dare un preavviso affinché l’autorità possa verificare l’esistenza di “comprovati” motivi di sicurezza o di incolumità che possono giustificarne il divieto.La riunione raggruppa un numero assai ampio di situazioni accomunate dalla contemporanea presenza di più persone fisiche nel medesimo luogo in seguito all’invito di alcuni o per accordo reciproco o per un fine condiviso (es. gara sportiva , cerimonia religiosa, spettacolo). Perché vi sia una riunione non occorre sempre che le persone si trovino nel medesimo luogo fisico, si può ritenere che attraverso i moderni strumenti informatici questo concetto sia stato trasformato divenendo più ampio che in passato.

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I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale (art. 18Cost).Il diritto di associazione reca in sé il diritto a non associarsi e quindi il diritto a non aderire ad alcuna associazione.Il comma 2 dell’articolo in questione invece proibisce le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.La legge n. 17/1982 ha stabilito cosa si intende per associazioni segrete, mentre il decreto legislativo n. 43/1948 ha definito all’art. 1 le associazioni militari.Il diritto di associazione trova disciplina in altre due disposizioni specifiche contenute nel titolo III e IV della parte prima che prevedono la libertà di associazione sindacale (art.39) e la libertà di formazione dei partiti (art.49) .

LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO (art. 21)Oggetto di tale diritto sono le manifestazioni del proprio pensiero verso un pubblico ampio di persone, ovvero tutte le ipotesi di manifestazione del pensiero orali scritte e espresse attraverso ogni possibile altro mezzo di comunicazione a una platea di destinatari indeterminata. L’interpretazione ha portato ad estendere tale nozione ricomprendendo anche la libertà di informazione e di cronaca.L’art. 21 della Cost. si riferisce principalmente alla stampa come mezzo di diffusione del pensiero ma la Corte Costituzionale ha esteso questi principi anche a nuovi mezzi di comunicazione di massa come la radiotelevisione o internet.Sono enunciati in a tale articolo 3 principi fondamentali:

1. il divieto di sottoporre la stampa ad autorizzazioni (controllo amministrativo sull’attività diretta alla produzione degli stampati) o censure (controllo sul contenuto):

2. l’obbligo di sottoporre la stampa a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria ,nel caso di delitti per il quali la legge espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili;

3. la possibilità che il legislatore imponga con norme di carattere generale che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Unico limite esplicito per tutte le forme di manifestazione del pensiero è il buon costume. Il riferimento normativo essenziale per la tutela del buon costume è rappresentato dall’art. 529 del c.p. che punisce gli “atti osceni e gli oggetti che secondo il comune sentimento offendono il pudore”.La libertà di manifestazione del pensiero incontra anche altri limiti rappresentati da interessi costituzionalmente protetti tra i quali il diritto all’onore e alla reputazione, il diritto alla riservatezza, alla sicurezza dello Stato.Il tema della libertà di manifestazione del pensiero comprende la tutela della libertà di informare e di essere informato ovvero una forma particolare della libertà prevista nell’art. 21 Cost. ricavata in via interpretativa allorché si è trattato di individuare a quali condizioni fosse legittima la cronaca che avesse contenuto ingiurioso e diffamatorio.Il diritto all’informazione,secondo il principio del pluralismo, tende ad evitare che la libertà di manifestazione del pensiero sia prerogativa esclusiva in capo a pochi soggetti .Il pluralismo si manifesta nella concreta possibilità di scelta per tutti i cittadini tra una molteplicità di fonti informative.

I DIRITTI SOCIALISono diritti sociali quelli che nascono da bisogni della persona (salute,lavoro,educazione,assistenza, previdenza) che trovano soddisfazione, in primo luogo in quegli ambiti di vita sociale o comunitaria (formazioni sociali,come recita l’art. 2 Cost.) necessari al libero sviluppo della persona umana (famiglia, scuola, università, luoghi di lavoro , autonomie locali, Stato, ecc) fino a richiedere l’azione della Repubblica laddove sia necessario rimuovere gli ostacoli che impediscono tale piena e libera soddisfazione (art. 3 comma 2).Questa caratteristica dei diritti sociali è ben evidente:

nell’art. 1Cost. dove si afferma che “la Repubblica è fondata sul lavoro”;

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nell’art.2 Cost. che introduce tra i principi fondamentali la solidarietà economica,politica e sociale; nell’art. 3 comma 2 Cost. che introduce il principio di uguaglianza sostanziale.

Il diritto all’istruzioneLe norme costituzionali dell’art. 33 prendono in considerazione un ambito di vita più vasto che completa anche altre disposizioni come quella prevista dall’art. 9 Cost. relativa alla promozione della cultura. La previsione dell’art. 33 si riferisce alla libertà dell’arte e della scienza e del loro insegnamento. La cultura è libera e può trovare espressione in diversi ambiti di vita:scuole pubbliche e private,università,accademie e istituzioni di alta cultura.

Tutela della saluteL’art. 32 Cost. dichiara che la “Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.Da questa previsione derivano numerose conseguenze:

1. la tutela della salute può avere ad oggetto tanto la sfera del singolo individuo quanto la sfera della collettività , si parla infatti di diritto collettivo alla salute ad es. diritto alla salubrità dell’ambiente, come diritto che implica la promozione, la tutela e la conservazione di condizioni ambientali idonee a tutelare la salute delle persone,

2. il diritto alla salute riguarda da un lato i rapporti tra il cittadino e il potere pubblico (es. cure garantite agli indigenti)e dall’altro i rapporti privati (es. risarcimento del cd “danno biologico” inteso come diminuzione dello stato di benessere psico-fisico che è prodotto dall’altrui azione illecita.

I DIRITTI POLITICI

Il TITOLO IV della prima parte della Costituzione è dedicato ai Rapporti politici comprende tanto i diritti politici (artt. 48-51) mediante i quali i cittadini contribuiscono alla formazione della volontà dello Stato (come il diritto di voto , di associazione in partiti politici , diritto di petizione , accesso ai pubblici uffici ) e i doveri (artt. 52-54) che sono diretta attuazione dell’art. 2 Cost. secondo il quale la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica , economica e sociale (dovere di difesa della patria , obbligo di concorrere alle spese pubbliche , dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi).Il diritto di voto (art. 48 Cost.) è definito dalla Costituzione anche un dovere civico nel senso che il suo adempimento non è un obbligo giuridico accompagnato da sanzioni ma risponde ad un sentimento di appartenenza e partecipazione alla vita pubblica della comunità nel momento di maggior espressione della sovranità popolare.Il voto per espressa previsione costituzionale deve essere personale- uguale -libero e segreto.I PARTITI POLITICI sono della associazioni di fatto (no persone giuridiche) dove gli elementi costitutivi sono la pluralità di persone, organizzazione e scopo per la sua costituzione .La legge prevede delle limitazioni all’iscrizione ai partiti politici per alcune categorie (magistrati, militari di carriera in servizio attivo , rappresentanti diplomatici e consolari, funzionari e agenti di polizia).

I doveri costituzionaliSi tratta di norme di principio che si riferiscono a comportamenti dovuti indipendentemente dall’esistenza di un corrispondente diritto altrui in funzione della tutela dell’interesse pubblico.Il doveri imposti nella Costituzione:

art. 4 comma 2 secondo il quale “ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo la propria possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”;

art. 23 Cost. che fissa i principio per il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge;

Art. 52 Dovere di difesa della Patria;

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Art. 53 dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva; Art. 54 comma 1 dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le Leggi.

I titolari dei diritti e dei doveri:cittadini e stranieriLa cittadinanza è uno status (ovvero una situazione giuridica soggettiva)cui l’ordinamento giuridico connette un insieme di diritti e di doveri.La Costituzione nell’art. 117 comma 2 stabilisce che si tratta di una materia riservata alla legge statale , mentre nell’art. 22 Cost. prevede che nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica,della cittadinanza, del nome.La legge n. 91/1992 reca NUOVE NORME SULLA CITTADINANZA.L’acquisto della cittadinanza italiana avviene secondo due modalità :

per fatto naturale ovvero si diventa cittadini se si nasce da almeno un genitore cittadino. L’art. 1 comma 2 della legge 91/92 stabilisce alcune limitate ipotesi di acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori relativamente a chi è

a) Figlio di ignotib) Figlio di apolidi (soggetti privi di cittadinanza)c) Figlio di genitori cittadini di uno Stato che segue esclusivamente lo IUS SOLI (nascendo sul

territorio). Per fatto volontario a seguito di richiesta e in questa categoria vi rientrano molteplici ipotesi tra

cui:a) Il coniuge di un cittadino o di una cittadina italiani che dopo il matrimonio risieda legalmente da

almeno 2 anni nel territorio della Repubblica o dopo 3 anni dalla data di matrimonio se residente all’estero;

b) Lo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età , che diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data;

c) Lo straniero che risiede legalmente da almeno 10 anni (cittadinanza per naturalizzazione) nel territorio della Repubblica(4 anni se cittadino di uno Stato U.E.) .

La legislazione italiana sulla cittadinanza si basa su un modello di carattere familistico , con l’attribuzione della cittadinanza prevalentemente a coloro che sono legati da vincoli familiari a cittadini italiani.Prevale pertanto il criterio dello IUS SANGUINIS e non vi è alcuna limitazione per l’acquisto della cittadinanza per discendenza in quanto anche i discendenti di cittadini italiani emigrati all’estero, che non siano mai stati residenti in ITALIA possono conservare la cittadinanza italiana.Oltre all’acquisto della cittadinanza la legge del 1992 regola un’altra serie di aspetti , in quanto consente il mantenimento della doppia cittadinanze ovvero può essere cumulata con una o più cittadinanze.La perdita della cittadinanza si ha se durante la guerra con uno Stato estero il cittadino italiano presta servizio militare per lo Stato Estero oppure se mantenga l’impiego pubblico che prestava nei confronti di quello Stato o se accetti un impiego pubblico per quello Stato.Il riacquisto della cittadinanza si può avere risiedendo per un anno sul territorio della Repubblica.

Dalla cittadinanza alla NazioneLa nazione etnos fa riferimento a elementi di tipo materiale come la lingua, la religione, la cultura, la storia, la razza che esistono a prescindere da ogni aspetto volontaristico. Nella Costituzione italiana incontriamo almeno due articoli di rilievo quanto alla nazione in senso etnico. Secondo l’art. 51 comma 2 la legge può per l’ammissione a pubblici uffici e alle cariche elettive parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.Altra norma di rilievo è l’art. 6 Cost. che parla di minoranze linguistiche.Anche questa norma è stata scritta e pensata in origine come quella dell’art. 51 Cost. in un determinato momento storico in riferimento essenzialmente alla minoranze di lingua tedesca dell’Alto Adige ed è stata poi utilizzata come riferimento per le leggi costituzionali che approvando gli Statuti Speciali hanno previsto una speciale disciplina in materia di uso della lingua.

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La nazione demos fa invece riferimento all’elemento volontaristico, è costituita da quei soggetti che manifestano la volontà di vivere insieme, di condividere una serie di principi e di valori comuni a prescindere da elementi materiali che li accomunano.Questa nozione è rinvenibile nella giurisprudenza costituzionale , in particolare nella sentenza n. 172/1999 la Corte ha fatto riferimento agli apolidi residenti in Italia come “parti di una comunità di diritti la partecipazione alla quale ben può giustificare la sottoposizione a doveri funzionali alla sua difesa.”Le due concezioni di nazione sono basate sui criteri di acquisto della cittadinanza :ius sanguinis dove c’è la volontà di far sì che il popolo coincida con la nazione etnos (sistema chiuso come quello italiano);ius soli dove si attribuisce la cittadinanza a chiunque nasca sul territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori (sistema aperta dal punto di vista etnico come STATI UNITI, CANADA, AUSTRALIA).

Profili evolutivi della cittadinanzaLa Costituzione contiene pochi riferimenti alla condizione giuridica dello straniero nell’art. 10 rimettendone la disciplina alla legge che è intervenuta soltanto nel 1998.In conseguenza dell’integrazione comunitaria nel 1992 con il TRATTATO DI MAASTRICHT si è introdotta la nozione di cittadinanza europea che si aggiunge alla cittadinanza nazionale , non la sostituisce, non ha regole proprie quanto all’acquisto e alla perdita ma segue quelle previste per la cittadinanze degli Stati Membri . Anche la cittadinanza europea è uno status dal quale discendono i diritti e doveri definiti dai trattati europei.La legge cost. n. 1/2000 ha stabilito i requisiti e le modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività istituendo una circoscrizione ESTERO per l’elezione delle Camere nella quale son eletti 12 deputati e 6 senatori (come modificato dalla legge Costituzionale n. 1/2001). LA COSTITUZIONE ECONOMICA

E’ l’insieme delle norme costituzionali che riguardano le posizioni e le relazioni degli individui intesi come soggetti economici.Con il termine Costituzione economica si può far riferimento alle disposizioni costituzionali che riguardano i diritti e le libertà economiche e il ruolo dello Stato nell’economia, in questo senso il prototipo è rappresentato dalla Costituzione tedesca di Weimar del 1919 che introdusse numerose disposizioni sul governo pubblico dell’economia e riconobbe i diritti sociali.Costituzione economica può essere intesa come l’insieme delle libertà economiche individuate dal titolo III della parte I della Costituzione, ma anche le disposizioni costituzionali che aiutano a comprendere quale posto ha voluto assegnare il costituente al soggetto decidente e agente sulle scelte economiche .Di Costituzione economica possono darsi due definizioni: una minimale, che si riferisce in particolare alla regolazione dei rapporti economici (impresa e proprietà) prevista nel titolo III parte I e una più ampia che si riferisce invece alla scelta costituzionale delle priorità e degli obiettivi economici e dei rapporti tra l’economia, la società e la politica.

Riferimenti costituzionali.Anche all’interno della Costituzione economica, come per le libertà in generale, al centro dell’attenzione c’è la persona umana, in questo caso nella qualità di lavoratore a cui debbono essere garantite delle condizioni minime vitali.Il lavoro in generale , e non solo quella dipendente, trova un posto fondamentale nella nostra Costituzione, tanto che su di esso è fondata la Repubblica (art. 1 Cost.) che sottolinea il valore fondante del lavoro inteso come “un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 comma 2 Cost.).Non è dunque i l lavoro in quanto tale ad essere tutelato dall’art. 1,ma il lavoro in quanto mezzo espressivo della persona umana e dunque fattore costitutivo della società nel suo complesso. (tanto che proprio sulla

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base di questo principio verrà riconosciuto uno specifico valore costituzionale anche dell’attività di volontariato disciplinata dalla legge n. 266/1991 ed intesa come attività gratuita)Il lavoro costituisce un diritto ma anche un dovere, uno dei fondamentali doveri di solidarietà sociale ed economica di cui parla l’art. 2 Cost. Nella equiparazione di tutte le categorie e tipologie di lavori il costituente è consapevole che nella realtà economica quello dipendente rappresenta l’anello debole della catena lavorativa a cui conferire una tutela maggiore. Nell’art. 35 Cost.: “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e le sue applicazioni “ si percepisce un certo favor costituzionale per il lavoro dipendente che trova, nell’art. 40 sullo sciopero, la più manifesta espressione.Oggi i cambiamenti delle forme organizzative del lavoro in particolare l’avvento dei rapporti di lavoro autonomo di tipo coordinato e continuativo (o a “progetto”) stanno spingendo ad una revisione di questa lettura della Costituzione .L’art. 35 detta una specifica disciplina di vari aspetti :

comma 2 stabilisce che la Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavorator; comma 3 stabilisce la promozione degli accordi e delle organizzazioni internazionali per

l’affermazione dei diritti del lavoro, di cui tra queste la più importante per il suo carattere universale è l’Organizzazione Internazionale del lavoro (ILO) ,agenzia delle Nazioni Unite incaricata di promuovere la giustizia sociale e i diritti attinenti al lavoro;

comma 4 è dedicato alla libertà di emigrazione che è divenuto sempre più attuale a seguito del processo di integrazione europea.

La mancanza di lavoro è infatti una posizione economica di svantaggio per la quale il costituente ha approntato specifiche tutele all’art. 38, ma si tratta di tutele pensate per un mercato del lavoro rigido e caratterizzato dal posto fisso.Indirizzi e limiti più specifici per la tutela del lavoro dipendente provengono dall’art. 36 Cost. che costituisce il fondamento costituzionale della legislazione sulle retribuzioni, sugli orari giornalieri, sui riposi e le ferie, rappresentando la norma basilare della statuto giuridico del lavoratore .La concezione costituzionale del lavoro come attività produce reddito ed è funzionale alla realizzazione della personalità del lavoratore in tutta la sua umana dimensione.L’orario giornaliero è sottoposto a riserva di legge,il riposo settimanale e le ferie annuali sono espressamente qualificati come diritti irrinunciabili. Ciò è motivato dal fatto che la sospensione dal lavoro è ritenuta essenziale per la salute del lavoratore e quindi non solo bene individuale ma interesse di tutta la comunità .Secondo la Costituzione al lavoratore deve essere garantita una retribuzione proporzionata al lavoro svolto sia per quantità che per qualità ma al tempo stesso non può essere troppo bassa da non consentirgli di vivere un’esistenza dignitosa e libera. L’individuazione della corretta ricompensa per il lavoro prestato segue da un lato il criterio minimo della sufficienza, a prescindere dalla qualità e quantità del lavoro prestato (limite minimo al di sotto del quale la ricompensa sarebbe illegittima), dall’altro il criterio ragionevole della proporzione tra remunerazione e lavoro svolto (parametro di proporzionalità tra il fattore lavoro e il fattore retributivo).In una Costituzione in cui il valore della solidarietà è essenziale alla realizzazione della personalità umana, il limite minimo della sufficienza conferma una dimensione non solo contrattuale ma anche sociale del lavoratore: la retribuzione non è mero corrispettivo del lavoro ma compenso del lavoro proporzionato alla sua quantità e qualità e insieme mezzo normalmente esclusivo per sopperire alle necessità vitali del lavoratore e dei suoi familiari , che deve essere sufficiente ad assicurare a costoro un’esistenza libera e dignitosa (Corte Cost. n. 559/1987).L’art. 37 Cost. prevede condizioni di tutela specifiche per le donne e i minori in quanto soggetti particolarmente vulnerabili .La previsione di tali tutele specifiche si giustifica in base all’obiettivo dell’uguaglianza sostanziale di cui art. 3 comma 2 Cost.Le donne sono considerati soggetti ai quali, in virtù della loro funzione materna, vanno garantiti i mezzi per avere una condizione di uguaglianza nelle possibilità lavorative rispetto agli uomini, secondo l’interpretazione dell’uguaglianza sostanziale come uguaglianza delle condizioni di partenza, ovvero pari

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opportunità. L’art. 37 prescrive infatti che le condizioni di lavoro devono consentire alla donna lavoratrice l’adempimento della sua essenziale funzione familiare, assicurando alla madre e ai figli una speciale e adeguata protezione. Alla base di tale articolo vi è la tutela dei figli attraverso la tutela della posizione genitoriale e non solo della lavoratrice e madre ma anche del ruolo di lavoratore e padre, con l’estensione delle previsioni a tutela della maternità anche ai padri . Tale allargamento si deve in gran parte al diritto europeo ma anche alle pronunce della Corte Costituzionale.In una prospettiva di uguaglianza, la tutela della maternità riservata alle sole donne lavoratrici dipendenti rappresenterebbe una violazione dell’uguaglianza formale di cui all’art. 3 comma 1 Cost., nei confronti delle altre donne lavoratrici. Mutando le caratteristiche del lavoro e aumentando sempre più le categorie professionali autonome è stato necessario regolare, con il TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI A SOSTEGNO DELLA MATERNITA’ E PATERNITA’, la tutela previdenziale anche per le lavoratrici autonome e libere professioniste in caso di maternità.L’ART. 38 COST. ha per destinatari in primo luogo i lavoratori richiedendo che vengano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,malattia,invalidità,vecchiaia,disoccupazione involontaria il cui verificarsi incide sulla capacità lavorativa e dunque sulla possibilità di produrre reddito a prescindere dalla volontà del soggetto.Il verificarsi di tali eventi è dunque motivo sufficiente per il riconoscimento di misure previdenziali ovvero assistenziali quali le cd pensioni sociali (assegni sociali), le pensioni e gli assegni di invalidità, gli assegni di accompagnamento, l’indennità di frequenza per i minori invalidi, la cassa integrazione guadagni, o di natura assistenziale quale l’assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro.L’aspetto più rilevante in cui si sostanzia la previdenza è nell’attribuire il diritto a una pensione adeguata(purché non inferiore a un trattamento minimo) conseguente al lavoro prestato durante gli anni di attività lavorativa.Il diritto all’assistenza è il riconoscimento di un aiuto a soggetti in stato di bisogno del minimo esistenziale.Rispetto alla previdenza non ha alcun carattere mutualistico (ovvero di corrispondenza tra contributi versati e provvidenze ricevute) ma solo solidaristico (ovvero di corrispondenza tra le provvidenze ricevute e i bisogni di ciascuno) e non si indirizza esclusivamente o preferenzialmente ai lavoratori bensì a tutti i soggetti.L’assistenza, proprio perché finalizzata a non compromettere la dignità dei bisognosi non è solo economica ma anche educativa secondo l’art. 38 Cost. comma 3 gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Tale comma è attuato mediante il collocamento obbligatorio dei portatori di handicap presso le pubbliche amministrazioni o le imprese con un numero minimo di dipendenti.La finalità innanzitutto assistenziale dell’articolo 38 Cost. comma 4 secondo cui “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato” ha fatto sì che fino a pochi anni fa previdenza e assistenza fossero servizi e prestazioni esercitati pressoché esclusivamente dallo Stato.L’intervento statale in queste materie non è imposto dalla Costituzione ma è espressione di un determinato indirizzo politico che ha accomunato le maggioranze politiche nei primi 50 anni di esperienza Repubblicana.

Strumenti di tutela e di partecipazione dei lavoratori.Gli artt. 39,40 e 46 Cost. riconoscono ai lavoratori anche il diritto a partecipare alla politica economica o alle scelte aziendali , in particolare i primi due articoli riconoscono ai lavoratori il diritto di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero.Il diritto di organizzazione sindacale appartiene a tutti i lavoratori, mentre del diritto di sciopero sono titolari innanzitutto i lavoratori dipendenti e soltanto a certe condizioni .L’art. 39 Cost. dopo avere affermato che “l’organizzazione sindacale è libera” prescrive che l’unico obbligo che si possa imporre ai sindacati è quello della registrazione previa verifica del carattere democratico dell’ordinamento interno.La registrazione conferirebbe personalità giuridica e farebbe sì che i contratti collettivi di lavoro, stipulati dai sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro, divengano efficaci per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce (erga omnes, quindi e non solo inter partes, tra i lavoratori e i datori di lavoro iscritti). La registrazione dei sindacati non è mai avvenuta per precisa scelta degli stessi di restare

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semplici associazioni libere, rispetto agli eventuali oneri e obblighi che sono imposti alle associazioni registrate. La mancata registrazione può ritenersi ormai definitiva e conseguentemente l’art. 39 Cost. inattuato nella sua parte prescrittiva.La libertà sindacale è innanzitutto libertà della persona , un diritto di partecipazione alle scelte economiche e di politica del lavoro. Essenziale è la volontà personale di partecipare a queste formazioni sociali, senza la quale il valore dell’attività sindacale sarebbe preminente rispetto alla libertà del singolo di aderirvi.L’inattuazione della registrazione dei sindacati ha comportato numerosi problemi relativamente all’efficacia dei contratti collettivi.I contratti collettivi, quanto alla forma sono accordi di natura privata ma ad effetti generali grazie alla rappresentatività dei soggetti stipulanti delle categorie dei lavoratori e datori di lavoro. Servono a stabilire una regolamentazione minima di rapporto di lavoro che i contratti aziendali e individuali dovranno rispettare. La dottrina ha in prevalenza ricondotto tali atti all’autonomia contrattuale privata, definendoli un tipo di manifestazione ora del contratto di mandato, ora della gestione di affari altrui o della stipulazione di un contratto a favore di terzi.I contratti collettivi, pur avendo in linea di principio efficacia inter partes, hanno in linea di fatto una sorta di efficacia erga omnes.La registrazione e la conseguente efficacia generale dei contratti collettivi avrebbe ovviato alla questione della rappresentanza sindacale , dando quindi copertura unitaria all’attività di negoziazione collettiva svolta dai soli sindacati registrati a prescindere dall’adesione del lavoratore.Il criterio che per lungo tempo ha prevalso nell’accreditamento dei sindacati alla contrattazione è stato quello della maggiore rappresentatività, che risulta dalla quantità di iscritti , dall’ampiezza e dalla diffusione dell’organizzazione, sia categoriale che territoriale. Con un referendum abrogativo si eliminarono i due parametri di rappresentatività contenuti nell’art. 19 dello “STATUTO DEI LAVORATORI”( L. 300/1970):

1. essere associati a confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale;2. essere firmatari di contratti collettivi di lavoro nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva .

Il ruolo dei sindacati resta preminente nella politica economica grazie ai meccanismi di concertazione con le istituzioni pubbliche e con le controparti sociali. I sindacati entrano come attori politici e in maniera imprevista per i costituente, sulla legislazione statale come dimostrano le leggi sui licenziamenti individuali (legge 604/1966) sulla cassa integrazione guadagni (l.164/75) sull’indennità di contingenza (l.91/77) che si sono rivelate frutto della concertazione.L’art. 40 riconosce il diritto di sciopero, ovvero il diritto all’astensione collettiva dal lavoro finalizzata al conseguimento di un comune interesse dei lavoratori.La Costituzione rinvia alla legge la regolamentazione del diritto. La legge è stata approvata solo nel 1990 e riguarda unicamente lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (legge 146/90) limitandolo e condizionandolo al rispetto degli altri diritti costituzionali delle persone che lo “subiscono”. Titolari del diritto di sciopero sono il lavoratori dipendenti ma a seguito dell’evoluzione del mondo del lavoro oggi anche alcune specie di lavoro autonomo presentino quelle caratteristiche di coordinazione o di parasubordinazione che giustificano lo sciopero come strumento di riequilibrio della condizione di debolezza contrattuale.Possono essere ricondotte nell’area dell’art. 40Cost. anche alcune forme di lavoro autonomo quali i lavoratori associati nei contratti agrari , gli agenti di commercio,alcuni collaboratori a progetto, etc.La legge 146/1990 ,modificata dalla legge 83/2000 ha reso applicabili le regole previste per lo sciopero oltre che al settore dei servizi pubblici essenziali anche alle astensioni dei lavoratori autonomi,piccoli imprenditori e liberi professionisti.Gli artt. 39 e 40 Cost. rappresentano l’espressione unitaria e più importante della partecipazione dei lavoratori alle scelte economiche , generali o aziendali. Anche l’art. 46 Cost. consente ai lavoratori una modalità partecipativa alle scelte dell’impresa in cui lavorano secondo il quale il lavoratori hanno diritto di collaborare, nei modi stabiliti dalle leggi alla gestione delle aziende. Tuttavia tale art. non ha riscosso fortuna per almeno due ragioni:

1. la scomparsa (1947) dei consigli di gestione, istituiti nel 1945 come sedi di collaborazione tecnica fra direzione aziendale e i lavoratori per le finalità di produzione ;

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2. affermazione del modello sindacale nella gestione dei rapporti fra lavoratori e datori di lavoro, modello che ha acuito la percezione delle due categorie come portatrici di interessi confliggenti e ha condotto alla mediazione del sindacato nella partecipazione dei lavoratori alla vita aziendale.

Impresa, proprietà e risparmioProprietà e iniziativa economica sono i diritti economici per eccellenza. Le libertà economiche secondo l’obiettivo del costituente sono strumenti per la promozione della persona e sono suscettibili di essere limitate laddove un esercizio privo di regolazione e controllo comprometta tale finalità .L’art. 41 Cost. riconosce la libertà di iniziativa economica e i limiti alla libertà di impresa sono elencati al comma 2 : l’attività non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e non deve recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.Il comma 3 dell’articolo affida alla legge la determinazione dei controlli e dei programmi affinché l’attività economica pubblica o privata sia indirizzata e coordinata ai fini sociali. Nell’art. 41 Cost. il costituente non ha preferito l’iniziativa pubblica rispetto a quella privata ma contempla entrambe purché concorrano alla ricchezza materiale e spirituale del paese.L’attività economica sia privata che pubblica, secondo la Costituzione deve sottostare a regole comuni che limitano la direzione politica dello sviluppo economica e costituiscono il parametro di condotta anche per l’attività economica pubblica.Alcuni principi ritenuti fondamentali nel mercato unico sono il diritto di proprietà, la libertà contrattuale, senza i quali l’iniziativa economica non potrebbe essere esercitata e la libertà di concorrenza.L’art. 43 Cost. consente la riserva originaria o il trasferimento allo Stato , a enti pubblici o a comunità di lavoratori o utenti di determinate imprese o categorie di imprese, precisa pertanto in quali occasioni può essere esercitata la libertà di iniziativa economica pubblica ovvero il diritto di proprietà pubblica.La giustificazione della nazionalizzazione mediante espropriazione o della riserva originaria di un’impresa o di un intero settore imprenditoriale discende, secondo l’articolo, dalla volontà del costituente di evitare la nascita di monopoli privati e di garantire l’erogazione dei servizi essenziali alle persone e alla collettività in condizioni di economicità..L’articolo è stato impiegato negli anni 60 e 70 per legittimare la creazione di monopoli pubblici come l’ENI,l’ENEL, la RAI e le POSTE, mentre la socializzazione dell’impresa, ovvero il suo trasferimento a comunità di lavoratori e utenti è rimasta inattuata.Oggi sotto l’impulso della crisi dello Stato sociale e dell’obbligo della conformazione alle regole comunitarie sulla concorrenza, l’art. 43 Cost. ha perso gran parte della sua attualità.A fianco del mod. previsto nell’art.43 Cost. l’intervento pubblico nell’economia ha storicamente seguito la creazione di enti pubblici incaricati di acquisire e gestire partecipazioni in società private di cui l’esempio primario è l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale.La crisi economica del ’29 ebbe profonde ripercussioni sul sistema bancario italiano che, analogamente a quanto avvenuto in crisi più recenti, per soccorrere le aziende in crisi, rilevò dal mercato quantità notevoli di azioni “tossiche” o sottoscrisse quote cospicue di aumenti di capitale. Occorreva quindi salvare tanto le partecipazioni acquisite dalle banche, quanto le banche stesse.L’ente venne istituito nel 1933 con la funzione di provvedere alla gestione delle partecipazioni di sua competenza sotto il controllo del Governo. Fino agli anni ’90 l’IRI fu la principale azienda economica italiana che produceva occhiali e forniva energia elettrica,manteneva le autostrade e trasmetteva i programmi radiofonici, faceva volare gli italiani e gestiva i loro risparmi, riforniva l’armamentario bellico e costruiva le navi, etc.L’IRI venne chiuso quando oltre alla sua insostenibilità economica emerse la sua incompatibilità con le regole concorrenziali dell’Europa unita. La garanzia pubblica dei debiti contratti dalle aziende di proprietà dell’IRI e le ricapitalizzazioni delle medesime aziende vennero considerate “aiuti di Stato” che secondo il diritto comunitario sono ammissibili soltanto in certe circostanze e comunque devono essere autorizzati dalla Commissione Europea .Mentre il limite all’iniziativa economica è l’utilità sociale, il limite costituzionale al diritto di proprietà è la funzione sociale. La proprietà che l’art. 42 Cost. individua come pubblica o privata è riconosciuta e garantita dalla legge,che ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne

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la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Il diritto di proprietà non è un diritto assoluto né inviolabile, ma graduabile a seconda della sua funzione.La possibilità di condizionare con legge il diritto di proprietà è stata ampiamente usata dal legislatore, dai limiti alle locazioni di immobili agli affitti dei fondi, dalle distanze nelle costruzioni ai vincoli urbanistici, ma la tipologia più rilevante di limitazione è costituita dall’espropriazione, ovvero il trasferimento coattivo della proprietà .La proprietà può essere soggetta ad espropriazione in presenza di 3 condizioni:

1. presenza di un titolo espropriativo, cioè la conclusione i un procedimento amministrativo con cui il bene da espropriare viene legittimamente sottoposto a vincolo di esproprio;

2. la sussistenza di un interesse generale che deve essere esplicitato nella legge;3. l’obbligo di indennizzo .

L’obbligo di indennizzo rappresenta la dimostrazione che l’atto autoritativo di espropriazione lede comunque un diritto, in quanto benché effettivo e non meramente simbolico non deve reintegrare completamente il patrimonio dell’espropriato perché il perseguimento dell’interesse generale può richiedere l’imposizione di un sacrificio .Numerosi cittadini vedendo preclusa la via della giustizia costituzionale nazionale si sono rivolti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo denunciando la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 sulla proprietà privata allegato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e ottenendo frequenti condanne per l’Italia. Per la Corte di Strasburgo, infatti deve valere il principio di una necessaria e ragionevole corrispondenza dell’indennizzo del bene espropriato con il valore di mercato.La Corte Costituzionale, alla luce dell’art. 42 e della norma CEDU, con le sentenze n. 348 e 349/2007 ha ritenuto illegittimi i criteri di calcolo dell’indennizzo in quanto non proporzionato al valore del bene.L’ART. 44 Cost. tratta specificatamente della proprietà terriera privata e prevede una riserva di legge per l’imposizione di obblighi e vincoli con la fissazione dei limiti alla sua estensione, secondo le regioni e le zone agrarie, la promozione e l’imposizione della bonifica, la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive, l’aiuto alla piccola e media proprietà terriera. I costituenti vollero tenere distinte la proprietà e l’attività agricole rispetto agli art. 41 e 42 Cost. indicando al legislatore l’oggetto della riforma agraria e le finalità.Una prima e importante riforma fondiaria fu realizzata negli anni ’50 con la trasformazione del latifondo e la distribuzione delle terre. Successivamente l’art. 44 Cost. è stato utilizzato per legittimare interventi più puntuali del legislatore come incentivi finanziari, agevolazioni fiscali,diritti di prelazione nell’acquisto del fondo a chi lo coltivasse, regime di contratti di affitto e associativi, interventi per la gestione dei terreni agricoli di montagna.L’ART. 47 Cost. tutela il credito e il risparmio proclamando che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme e disciplina,coordina e controlla l’esercizio del credito.Tale disposizione ha consentito allo Stato di esercitare un forte controllo sull’attività bancaria che fino agli anni ’90 era prevalentemente pubblica. Le banche non solo erano sottoposte ad autorizzazione e revoca da parte della Banca d’Italia ma in larga parte erano di natura pubblica. Solo nel 1993 su impulso dell’ordinamento comunitario che voleva il libero mercato bancario, venne approvato il TESTO UNICO BANCARIO a cui nel 1998 si è affiancato il TESTO UNICO IN MATERIA DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA.L’attività di risparmio è tutelata in modo particolare dalla Costituzione come bene in sé, in quanto risorsa indispensabile alla ricchezza delle persone e del paese e perciò gli istituti bancari, che sono preposti alla gestione dei risparmi e all’esercizio del credito da essi derivante , sono sottoposti a un controlla particolare attraverso la vigilanza della BANCA D’ITALIA. Il risparmio viene ritenuto una modalità di garanzia degli investimenti e uno strumento di distribuzione della proprietà e della ricchezza. Tra le varie modalità di risparmio popolare il comma 2 suggerisce quelle più meritevoli di tutela in quanto reputate più sicure e importanti per la realizzazione individuale:

la proprietà dell’abitazione; la proprietà diretta coltivatrice; il diretto o indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese .

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l’articolo non fa riferimento alla moneta tuttavia il fatto che l’esercizio del credito sia collegato alla capacità di risparmio induce a ritenere che il costituente abbia presupposto la necessità di un tendenziale equilibrio della moneta.Oggi la politica monetaria è interamente di competenza dell’U.E., tanto che la Banca Centrale in questo settore opera come autorità indipendente federata della Banca centrale europea.

Un altro modo di fare impresa:cooperative e artigiani

La Costituzione prevede anche una sorta di economia basata sulla formula “cooperativa” e “artigianato”.La cooperativa rappresenta un’ipotesi specifica di partecipazione e gestione dei lavoratori all’impresa.L’art. 45 riconosce “la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazioni privata”, ponendo una riserva di legge per la promozione di tale forma e per la garanzia degli opportuni controlli sul carattere e le finalità .Le cooperative non hanno come unico scopo quello della distribuzione degli utili e quindi non perseguono una finalità esclusivamente speculativa. In esse l’elemento personale è centrale ed è meno rilevante quello patrimoniale e pertanto sono ritenute forme di iniziativa economica svolgenti di per sé una funzione di utilità sociale che, nel caso delle altre iniziative economiche non è invece scontata.La Costituzione richiede la presenza di due requisiti:

1. il carattere di mutualità( lo scopo della cooperativa è la fornitura ai soci di quei beni o servizi per i quali essa è sorta).

2. l’assenza di fini di speculazioni privata in quanto è vietato al singolo socio la realizzazione di un suo utile personale rispetto agli altri,dovendo tutti esprimere le stesse pretese nei confronti della cooperativa.

La Cooperativa ha la struttura di una società di capitali, ma diversamente da questa è basata sull’elemento personale dei soci e non sull’elemento economico del patrimonio sociale, così per esempio il voto deve essere uguale tra tutti i soci, diversamente dalle società per azioni, dove il voto è ponderato in base al peso azionario.

L’impresa artigiana è un altro modello di iniziativa economica a cui al Costituzione nell’art. 45 riconosce una posizione di favore. Si distingue per la centralità dell’elemento personale che è dato dall’apporto lavorativo dei titolari dell’impresa che sono al tempo stesso gli artigiani che vi lavorano. L’artigiano resta nell’area dell’impresa privata che cerca la massimizzazione del profitto economico ma in vista della sua natura viene tutelato in quanto rappresenta un modello alternativo alle grande imprese private e limitativo dei rischi di monopoli o concentrazioni di mercato.

Il fisco e la finanza pubblicaGli articoli 23,53 e 119 compongono quella che può essere definita “Costituzione fiscale”, diretta ad incidere sul patrimonio economico dei soggetti dell’ordinamento spostando flussi finanziari da questi allo Stato con la finalità di contribuire alle spese pubbliche.Tali articoli hanno lo scopo di garantire un sistema tributario efficiente che attraverso le entrate fiscali adempia alla essenziale funzione di mantenimento dello Stato sociale e contribuisca alla rimozione degli ostacoli che impediscono il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale di cui la Repubblica si fa carico .L’art. 23 Cost. prevede che lo Stato possa, attraverso la legge, imporre al cittadino sia l’obbligo di prestazioni personali (es. partecipazione alla composizione delle giurie popolari) che di prestazioni patrimoniali..Il rapporto tributario si configura come un rapporto obbligatorio garantito dalla riserva di legge come indice di democraticità e motivato da una duplice ratio:

1. la prestazione patrimoniale si giustifica nell’ottica solidaristica per cui agli individui può essere richiesto un sacrificio economico se motivato dall’esigenza di solidarietà nei confronti dei consociati;

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2. la prestazione patrimoniale costituisce un obbligo di dare in cambio dell’erogazione pubblica di taluni beni e servizi di cui il soggetto obbligato alla prestazione può avvantaggiarsi. Il pagamento dei tributi rappresenta la categoria principale di prestazioni patrimoniali .

la riserva di legge (da intendersi come riserva relativa) sarebbe garanzia che le modalità di distribuzione dei carichi impositivi siano effettuate in seguito a una ponderazione in Parlamento. Per legge deve intendersi anche la legge regionale , specie alla luce della riforma del titolo V che ha riconosciuto competenza residuale regionale in relazione ai tributi non istituiti dalla legge statale ai sensi della lett. e) dell’art. 117, comma 2.La riserva non è formalmente applicabile alle norme comunitarie che sono emanazione di una fonte di produzione autonoma..L’art. 119 riconosce un’autonoma capacità impositiva delle regioni , salva la competenza dello Stato a fissare i principi fondamentali del coordinamento tributario. Per evitare un’eccessiva disparità di trattamento tra gli enti, l’articolo prevede comunque l’esistenza di un fondo perequativo statale per i territori con minore capacità fiscale per abitante e di risorse aggiuntive statali , se necessarie alla rimozione degli squilibri economici e sociali allo sviluppo economico, alla coesione e alla solidarietà sociale, all’effettivo esercizio dei diritti della persona. Tale articolo è rimasto da 2001 norma programmatica, in attesa della legge attuativa , approvata nel 2009 (legge 42/2009, sul federalismo fiscale).Le più recenti priorità e preoccupazioni degli Stati quanto all’eccessivo indebitamento sono per la prima volta state espresse nella disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 119 Cost. secondo cui le regioni e gli enti locali possono ricorrere all’indebitamento solo per spese di investimento e lo Stato non può farsi garante dei loro prestiti.L’ART 53 Cost. esplicita l’obbligo di contribuzione come categoria delle prestazioni patrimoniali . il concorrere alle spese pubbliche è innanzitutto un dovere da esercitare secondo due parametri che rappresentano un limite al legislatore fiscale:

1. la capacità contributiva 2. criterio della progressività.

Il dovere di contribuzione deriva dall’interesse dello Stato ad acquisire le risorse finanziarie necessarie ad erogare i servizi e a garantire lo sviluppo della collettività in diretta connessione con la garanzia dei diritti sociali. Il dovere nasce per legge senza bisogno di una manifestazione o di un’accettazione anche implicita da parte del contribuente.Con la capacità contributiva il costituente intende affermare che presupposto per il pagamento dei tributi deve essere l’esistenza di eventi che possono aver conferito una certa forza economica al contribuente e che , generando ricchezza, debbano rimanere per una parte nella sua disponibilità per il soddisfacimento dei sui bisogni essenziali ed essere destinati in una certa quota alle casse dello Stato.La Corte Costituzionale con la sentenza n. 645/1958 ha chiarito che la capacità contributiva non coincide con la percezione di un qualsiasi reddito e che la soggezione all’imposizione scatta solo al sussistere di una disponibilità di mezzi economici che consenta di farvi fronte.La soglia di indisponibilità per l’erario statale viene misurata dal legislatore col criterio della progressività che determina il rapporto di parte a tutto tra la quota destinata all’erario e la quota di ricchezza lasciata la contribuente.La capacità contributiva e progressività sono due parametri di cui solo un controllo di ragionevolezza consente di determinare l’adeguatezza.L’art. 81 Cost., che prevedeva la copertura finanziaria per ogni legge di spesa è stato letto quale divieto per le leggi di spesa prive di copertura di alterare gli equilibri di entrate e uscite stabiliti dal bilancio.L’unica forma di garanzia effettiva dell’art. 81 che si è avuta in questi anni è stata affidata al potere presidenziale di rinvio delle leggi, in alcuni casi infatti il P.d.R. si è rifiutato di promulgare una legge perché priva di copertura, obbligando il Parlamento ad una nuova delibera sul tema.La necessità di individuare un limite invalicabile al disavanzo ed alle manovre monetarie è tuttavia venuto dall’esterno con i principi di rigore finanziario e la competenza in materia monetaria dell’U.E., che hanno condotto all’approvazione da parte del Parlamento con ampia maggioranza della legge costituzionale 1/2012 finalizzata ad introdurre in Costituzione il cd principio del pareggio di bilancio.

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Tale revisione costituzionale ha inciso sull’art. 81, modificandone il testo per cui si stabilisce che lo Stato deve assicurare “l’equilibrio fra le entrate e le spese” del proprio bilancio (comma 1)Nel comma 2 del medesimo articolo il divieto di ricorso all’indebitamento, consentito solo con autorizzazione delle Camere a maggioranza assoluta, al solo fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi di eventi eccezionali che saranno definiti con successiva legge da approvarsi con maggioranza assoluta.Nel comma 3 è precisato che ogni legge deve provvedere ai mezzi per far fronte alla copertura delle leggi di spesa e non semplicemente indicare talli mezzi . Pertanto la copertura non può essere rinviata a norme future come i provvedimenti adottati in sede di manovra finanziaria . Anche la LEGGE DI BILANCIO ,che finora era esclusa, viene sottoposta all’obbligo di copertura per cui quando prevede entrate da indebitamento è tenuta ad indicare la copertura dei relativi oneri sugli esercizi successivi. La revisione costituzionale del 2012 oltre l’art 81 ha modificato gli artt. 97,117 e 119 della Costituzione , relativi rispettivamente alle pubbliche amministrazioni , al riparto delle competenze tra Stato e regioni agli enti territoriali ,nei quali si fa esplicito riferimento ai vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’U.E. che tutto il complesso delle amministrazioni pubbliche è tenuto ad osservare.Il rapporto flessibile tra intervento pubblico e libera iniziativa economica è stato ciò che ha permesso alla nostra Costituzione di restare coerente e immodificata , nonostante lo sviluppo di un diritto dell’economia internazionale e comunitario dotato di strumenti di intervento e regole molto diversi rispetto a quelli scritte in Costituzione , così siamo passati da un modello fortemente interventista ad un processo di privatizzazioni e liberalizzazioni a Costituzione invariata. Fino agli anni 90 la Stato è intervenuto sia in via diretta che indiretta.Quanto agli interventi diretti , un apposito Ministero, soppresso con referendum ne 1993, si occupava delle “partecipazioni statali” e dunque agli indirizzi ed orientamenti della gestione diretta di alcuni settori economici da parte dello Stato . Tali interventi potevano avvenire secondo 2 modelli :

1. gestione diretta dello STATO tramite enti che fossero organi del ministero competente ;2. gestione indiretta mediante enti di gestione di cui aveva il controllo .

il modello 1 è stato abbandonato gradualmente, mentre il modello 2 ha retto fino agli anni 90 (es. FFSS,ENI,ENEL, etc).tra gli interventi indiretti ci sono i finanziamenti che sviluppati in particolare tra glli anni 60 e 70 consistevano in contributi a fondo perduto, premi (ovvero contributi elargiti al raggiungimento dell’obiettivo) crediti agevolati (es. CASSA PER IL MEZZOGIORNO).A partire dagli anni 90 , in cui la globalizzazione dei mercati e le innovazioni tecnologiche hanno reso più vani i controlli statali e più superabili gli ostacoli dettati dai monopoli naturali , si sono unite le condizioni economiche e fiscali del paese e alla spinta al libero mercato impressa dalla Comunità Europea.L’art. 2 del TRATTATO ISTITUTIVO DELLA COMUNITA’ ECONOMICA EUROPEA fissa l’obiettivo della promozione di uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità.Strumentali a tale obiettivo sono le 4 libertà :

1. circolazione delle persone;2. circolazione dei servizi;3. circolazione delle merci; 4. circolazione dei capitali.

Per garantire queste 4 libertà è stato necessario fondare il mercato unico sul principio della libera concorrenza e sulla caduta delle frontiere fisiche e doganali tra gli Stati.La libertà di concorrenza vuol dire assenze di barriere all’ingresso del mercato ma anche di falsature interne dal mercato che possono essere generate sia dagli aiuti di Stato, i quali possono creare situazioni di vantaggio per alcune imprese o monopoli legali , sai dagli operatori stessi tramite intese , concentrazioni e abusi di posizione dominante che hanno per oggetto o effetto di impedire , limitare o falsare la concorrenza.L’ordinamento comunitario ha indotto un cambiamento nel governo italiano dell’economia in due direzioni:

1. il divieto di aiuti di Stato:2. obbligo di apertura dei mercati

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In virtù dell’art. 37 TCE gli Stati sono stati obbligati a un riordino dei monopoli nazionali che presentassero un carattere commerciale.I principi di rigore finanziario (crescita equilibrata e stabilità , divieto di disavanzo superiore al 3% del PIL,divieto di indebitamento eccessivo , principio di produttività della spesa pubblica, principio antinflazionistico,rispetto del patto di stabilità e crescita) introdotti dall’Europa hanno imposto un risanamento dei conti pubblici e un controllo dell’equilibrio finanziario che hanno obbligato gli Stati con un disavanzo enorme come l’Italia, a cercare di fare cassa anche attraverso la cessione delle proprie partecipazioni azionarie.La sottrazione della politica monetaria dalla competenze dei paesi dell’eurozona è avvenuta gradualmente con la realizzazione di un’UNIONE ECONOMICA E MONETARIA a partire dal 1988.Le scelte di politica monetaria, per i 17 paesi che hanno adottato l’euro, sono sottratte alla competenza degli Sati dell’U.E. e affidati alla Banca Centrale Europea.La privatizzazione degli entri pubblici economici (ovvero la loro trasformazione in soggetto di diritto privato) e la liberalizzazione dei mercati ovvero l’apertura degli stessi alle condizioni di concorrenza per consentire l’ingresso e l’operatività di nuovi soggetti economici, hanno rappresentato la necessità di risanamento pubblico ma anche un obbligo nei confronti del sistema comunitario.La Costituzione economica italiana, pensata in un cotesto politico ,economico e sociale molto diverso da quello di oggi ha subito le pressioni dei cambiamenti generati dalla globalizzazione, dall’innovazione tecnologica, dalla crisi di spesa dello Stato sociale , dal passaggio da un’economia agricola a un’economia di servizi e soprattutto dal diritto comunitario.Le regole comunitarie hanno spostato il ruolo del Governo in economia da una funzione di programmazione e intervento diretto a una funzione arbitrale di controllo del rispetto delle regole di libero mercato concorrenziale da parte degli operatori economici.Quando si esprime il concetto che la nostra Costituzione adotta un modello economico misto (tra sociale e liberale) si vuol dire che essa lascia alla discrezionalità del legislatore l’onere di definire l’intervento dello Stato in economia, valutando quanto e quando lasciarla alle forze del mercato.Il principio di sussidiarietà delimita l’iniziativa privata e l’intervento pubblico nel fine ultimo della persona umana ed è stato inserito esplicitamente nella Costituzione nel 2001 con la riforma del titolo V ed è un principio fondamentale per la distribuzione dei poteri e delle competenze.

LE FORME DI GOVERNO

La forma di governo indica le modalità con le quali la funzione di indirizzo politico, ossia la determinazione delle finalità da perseguire da parte dei poteri pubblici in un dato momento storico, è ripartita tra gli organi costituzionali e le relazioni che intercorrono tra questi.Il concetto di forma di governo è strettamente legato a quello di forma di Stato.

Forma di governo costituzionale puraIn tale forma di governo esiste una netta separazione dei poteri: al re e al suo Governo spetta il potere esecutivo, al Parlamento il potere legislativo, alla magistratura il potere giudiziario. Re e Parlamento titolari entrambi dell’ indirizzo politico avevano forme di legittimazione distinte: il re manteneva la legittimazione dinastica, che gli spettava già nello Stato assoluto, mentre i Parlamento (o almeno una delle Camere di cui si compone) era formato sulla base del principio rappresentativo, benché la rappresentanza fosse limitata a una parte di popolo a causa delle restrizioni del diritto di voto.Tale forma di Governo si sviluppò in Inghilterra alla fine del XVII secolo, molto prima rispetto agli altri Stati d’Europa che la recepirono dopo oltre 100 anni.Vicende storiche uniche e una borghesia matura e consapevole del proprio ruolo economico e sociale portarono alla concessione di una serie di atti di rilevanza costituzionale con i fu disciplinata la successione al trono e si dichiararono le libertà di espressione e religione e i principi della rappresentanza parlamentare.Sul Continente europeo la separazione tra Stato e sovrano avvenne dalla prima metà del XIX secolo (Costituzione francese del 1814, Costituzione belga del 1831, lo Statuto Albertino del 1848, etc.)In tali esperienze il potere esecutivo spettava al sovrano e al suo Governo.

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I membri del Governo erano liberamente nominati e revocati dal re e solo a lui rispondevano.Il potere legislativo era affidato al Parlamento ma il sovrano aveva un diritto di veto sulle leggi tramite l’apposizione della sanzione regia . Il Parlamento era solitamente composto da 2 Camere di cui soltanto una elettiva, con limitato corpo elettorale, mentre il Senato era nella maggior parte dei casi di nomina regia.La forma di governo costituzionale pura si caratterizzava per l’introduzione di alcune garanzie di indipendenza della magistratura dal potere regio.

Forma di governo parlamentare Deriva da quella Costituzionale pura ed è la forma di governo nella quale il Governo è legato al Parlamento da un rapporto di fiducia.La fiducia passa ad essere da elemento costitutivo del rapporto tra re e ministri , a elemento costitutivo del rapporto tra Governo e Parlamento.Fu l’ordinamento britannico a precorrere i tempi. Il primo segnale si ebbe con la prassi di re GIORGIO I, che disertando frequentemente le riunioni di Governo, determinò l’emersione di un ministro che per le sue doti personali assunse un ruolo di coordinamento fino a diventare nel tempo il cd primo ministro.Il Parlamento, grazie all’istituto dell’impeachment (messa in stato di accusa dei ministri), iniziò a condizionare in misura sempre maggiore il Governo fino ad arrivare, nel 1782 alle dimissioni, accettate da Re Giorgio III, del primo ministro North motivate dalla mancanza di consenso da parte della Camera dei Comuni. Il ruolo sempre più rilevante che acquistò il Parlamento determinò la situazione di “doppia fiducia” del Governo, essendo questi legato sia al Parlamento che al re (forma di governo parlamentare dualista).Con l’allargamento del suffragio giunse a maturazione la forma di governo parlamentare monista, dove il re perde ogni possibilità incidere sulla composizione del Governo che è determinata unicamente dalla volontà del Parlamento .Anche negli altri paesi europei, l’evoluzione dalla forma di governo parlamentare nell’800 vide un progressivo accrescimento del ruolo de Parlamento, che diventò progressivamente l’unico titolare della funzione di indirizzo politico. L’allargamento del suffragio e la nascita dei partiti di massa determinarono grandi difficoltà di funzionamento della forma di governo parlamentare. Agli inizi del XX secolo i Parlamenti diventarono il luogo dove si proiettava il conflitto sociale e divenne sempre più difficile assicurare la stabilità governativa.Di fronte a tale situazione, in alcuni paesi ,a partire dall’Austria (1920) iniziò a svilupparsi il tentativo di rendere più funzionale la forma di governo parlamentare attraverso la sua razionalizzazione ovvero la scrittura nella Costituzione delle regole sul rapporto di fiducia (fino ad allora sviluppate solo nella prassi).Rispetto agli strumenti di razionalizzazione previsti dalla Costituzione Italiana , Germania e Spagna hanno introdotto regole più incisive:

Il primo Ministro è l’unico destinatario della fiducia e propone la nomina e la revoca dei ministri al CAPO DELLO STATO;

MOZIONE DI SFIDUCIA COSTRUTTIVA , secondo la quale il Parlamento può votare la sfiducia al primo ministro solo se ne elegge contestualmente un altro.

La forma di governo parlamentare è profondamente influenzata dal sistema partitico (influenzato a sua volta dal sistema elettorale).In particolare in sistemi bipartitici o bipolari il Governo tende ad essere stabile e ad avere un ruolo di indirizzo, mentre in sistemi multipartitici specie se estremi (ovvero con numero elevato di partiti rappresentato in Parlamento) e polarizzati (con la presenza delle ali estreme dello schieramento politico) l’indirizzo politico si sposta verso il Parlamento e i Governi tendono ad essere di breve durata e alquanto deboli.

La forma di governo presidenzialeTale forma venne introdotta negli STATI UNITI D’AMERICA alla fine del XVIII secolo ed assomigli per molti aspetti a quella costituzionale pura in quanto si basa su una rigida separazione dei poteri.Si caratterizza per la presenza di un potere esecutivo monocratico, affidato a un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo, non legato al Parlamento da un rapporto di fiducia.

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Dopo la Dichiarazione di indipendenza dalla madrepatria Inglese del 1776, i padri fondatori optarono per un Capo dello Stato che avesse la stessa legittimazione dell’organo legislativo, vale a dire l’elezione popolare.In virtù di questa legittimazione democratica il Presidente della Repubblica non è solo capo dello Stato ma anche Capo del Governo. L’ ESECUTIVO è quindi monocratico , anche se il Presidente si avvale dei Segretari di Stato che svolgono una funzione simile a quella dei Ministri ma non rispondono al Parlamento (negli USA si chiama CONGRESSO ed è composta da 2 Camere ) ma bensì al Presidente che oltre al nominarli può revocarli.Il Gabinetto formato dal Presidente e dai Segretari non è un organo dotato di uno specifico rilievo e di competenze proprie. Il Presidente che detiene il potere Esecutivo non abbisogna della fiducia del Parlamento in quanto eletto direttamente dal popolo.Il Parlamento ha un potere di inchiesta esercitato solitamente dalla commissioni parlamentari che possono non solo acquisire conoscenze sui temi affrontati dal Congresso durante la sua attività legislativa,ma anche svolgere inchieste sull’attività amministrativa , con l’obbligo per i soggetti convocati di presentarsi davanti alla Commissione per riferire.Il Presidente, il Vicepresidente e tutti i titolari di cariche pubbliche civili ritenuti colpevoli di tradimento, di corruzione o di altri gravi reati possono essere messi stato d’accusa dal Congresso tramite l’impeachment.Si tratta di un istituto che non ha valenza penale ma è volto esclusivamente alla destituzione dall’ufficio. La Camera dei rappresentanti può avviare il procedimento, mentre il giudizio avviene di fronte al Senato. Per la condanna è necessario il voto favorevole dei 2/3 dei senatori presenti.Tutte le nomine che il Presidente può compiere (inclusa anche quella dei giudici della Corte Suprema) sono soggette a ratifica da parte del Senato che può in tal modo incidere sulle scelte del Presidente.Il presidente può influire sull’esercizio delle funzioni del Congresso mediante ad es Il veto presidenziale sulle leggi, motivato da obiezioni sia di legittimità che di merito e può essere superato con maggioranze qualificate.

La forma di governo semipresidenzialeÈ quella nella quale convivono un Presidente della Repubblica dotato di legittimazione popolare diretta, a cui spettano le competenze proprie del potere esecutivo, e un Governo collegiale condizionato all’esistenza di un rapporto di fiducia col Parlamento.L’esistenza di un Presidente dotato di rilevanti poteri e di un Governo responsabile davanti al Parlamento comporta un carattere bicefalo del potere esecutivo (Presidente della Repubblica e Primo Ministro) che vede prevalgono in modo alternato in base al concreto variare dei rapporti di forza tra Presidente e maggioranza parlamentare. Si può ritenere che la V Repubblica francese rappresenti il prototipo di tale forma di governo .Il Presidente gode di vasti poteri: nomina il primo ministro che non ha bisogno della fiducia iniziale e su proposta di questi i ministri; presiede il Consiglio dei Ministri, può su proposta del Governo o di entrambi i rami del Parlamento, sottoporre a referendum qualunque progetto di legge riguardante i pubblici poteri , può dopo aver consultato il primo ministro e i presidenti delle Camere sciogliere anticipatamente il Parlamento purché sia passato oltre un anno dalle elezioni, gli sono attribuite ampie competenze in materia di difesa e politica estera e gli spettano poteri eccezionali in caso di grave crisi.Il fattore più rilevante della forma di governo semipresidenziale è da ricercare nella coincidenza o meno tra la maggioranza parlamentare e quella che sostiene il Presidente. Nelle situazioni di coabitazione ove un Presidente di sinistra deve convincere con una maggioranza di destra o viceversa il ruolo del Presidente risulta notevolmente depotenziato.Il successo dell’esperienza francese ha determinato una notevole diffusione del modello soprattutto nei paesi che hanno avuto accesso all’indipendenza a seguito della decolonizzazione.

La forma di governo direttorialeLa caratteristica di questa forma di governo è l’assenza di figure monocratiche di rilievo costituzionale (come il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro) e la divisione del potere politico tra un Parlamento eletto e un Governo (DIRETTORIO) che svolge sia le funzioni di Esecutivo che di Capo dello Stato ed è composto da ministri individuati dal Parlamento. Lo Stato oggi retto dalla forma di governo direttoriale è la

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Confederazione Elvetica . In Svizzera accanto al Parlamento eletto a suffragio universale vi è un Direttorio che svolge sia funzioni tipiche del Governo che quelle del Capo dello Stato. Tale esperienza di governo è resa possibile dalla particolarità della CONFEDERAZIONE ELVETICA, in quanto piccolo Stato federale composto da una pluralità di componenti etniche e linguistiche, attive nella determinazione della politica nazionale tramite un uso costante e ordinario del referendum. Non risulta pertanto esportabile in democrazie più complesse , nelle quali gli strumenti di democrazia diretta svolgono un ruolo minore.

Sistemi elettorali e forme di governoEsiste un legame fondamentale tra le forme di governo e i sistemi politici in cui esse concretamente vivono. I sistemi politici son influenzati a loro volta dalle diverse legislazioni elettorali che costituiscono un elemento essenziale della democrazia rappresentativa, regolando le modalità mediante le quali il popolo esprime la sovranità attraverso l’elezione dei propri rappresentanti.La parte centrale della legislazione elettorale è il sistema elettorale ovvero il meccanismo volto a trasformare i voti in seggi.I sistemi elettorali si dividono in due grandi famiglie : quelli maggioritari e quelli proporzionali.Un sistema è maggioritario quando che ottiene più voti all’interno di una circoscrizione (definita anche collegio elettorale) conquista tutti i seggi assegnati alla circoscrizione stessa.Ogni partito o colazione di partito presenta un candidato e viene eletto quello che ottiene più voti. Tra i sistemi maggioritari si collocano oltre ai sistemi a turno unico, quelli a doppio turno in cui il candidato più votato viene eletto solo se conquista almeno una certa percentuale di voti (solitamente il 50%). Se questa percentuale non viene raggiunta si effettua una seconda votazione a breve distanza dalla prima detta ballottaggio alla quale partecipano quei candidati che al primo turno hanno ottenuto il maggior numero di voti. Viene eletto colui che ottiene più voti (almeno il 50% +1 nel caso in cui i candidati ammessi al ballottaggio siano due)Di norma il sistema maggioritario consente di individuare a seguito delle elezioni una chiara maggioranza politica capace di formare e sostenere il Governo, tuttavia in tale sistema vengono esclusi i partiti più piccoli con conseguente perdita di rappresentatività degli organi elettivi.I sistemi proporzionali prevedono circoscrizioni più grandi in quanto in esse sono eletti numerosi rappresentanti nelle quali la competizione si svolge tra liste concorrenti: i seggi sono attributi alle liste in proporzione ai voti che ottengono.Questo sistema funziona in modo più tipicamente proporzionale nelle circoscrizioni più grandi mentre nelle piccole si verificano distorsioni che favoriscono la rappresentanza dei partiti più grandi a scapito di quelli più piccoli. Il sistema proporzionale assicura una tendenziale corrispondenza tra l’organo elettivo e la volontà popolare espressa dai voti ma specie in paesi caratterizzati da un multipartitismo estremo non garantisce la governabilità in quanto l’organo elettivo risulta composto da un gran numero di partiti talvolta assai piccoli e pertanto in assenza di una maggioranza chiara può essere necessario formare governi di coalizione, sovente molto instabili in quanto dipendenti dal potere di ricatto dei partiti minori.Per cercare di minimizzare i difetti dei due sistemi sono stati elaborati i sistemi miste che introducono correttivi di tipo maggioritario nel sistema proporzionale .I correttivi più utilizzati sono la soglia di sbarramento con la quale non sono ammesse alla ripartizione dei seggi le forze politiche che non ottengono almeno una certa percentuale di voti e il premio di maggioranza che consiste nell’assegnazione di un numero di seggi supplementare rispetto a quello ottenuto con il sistema proporzionale a favore della forza politica che ha ottenuto più voti e consiste nell’assegnazione di un numero di seggi supplementare a quello ottenuto con il sistema proporzionale a favore della forza politica che ha ottenuto più voti.

Forma di governo e sistemi elettorali in Italia

Le origini: dal Regno d’Italia all’avvento del fascismo

L’evoluzione della forma di governo italiana non si discosta nell’800 da quelle delle principali monarchie europee. Nel 1861, al momento della proclamazione dell’unità d’Italia il paese aveva già una forma di

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governo parlamentare, anche se lo Statuto Albertino ereditato dal Regno di Sardegna, individuava una forma di governo costituzionale pura. Al Re appartiene il potere esecutivo e nomina e revoca i suoi Ministri, mentre il potere legislativo era collettivamente esercitato dal Re e da due Camere.Fin dai primi anni di vigenza dello Statuto la Camera dei Deputati (elettiva) era stata capace di imporsi al sovrano nel momento della scelta del Presidente del Consiglio e dei ministri come della loro revoca, trasformando l’originaria forma di governo costituzionale pura in una forma di governo parlamentare .L’indebolimento dei poteri del sovrano rappresentò una costante fino alla fine del regime monarchico , anche se il re riacquistò un’autonoma capacità di decisione nei momenti di più grave crisi politica attraversati dal paese (come l’incarico a Mussolini di formare un nuovo Governo nel 1922 dopo la Marcia su Roma e successivamente le “dimissioni” dello stesso dopo l’approvazione del cd ordine del giorno Grandi nel luglio del 1943).Il Regno d’Italia ha conosciuto un’alternanza di sistemi elettorali di tipo maggioritario basati su collegi uninominali o plurinominali di piccole dimensioni , fino all’introduzione, nel 1919, di un sistema elettorale di tipo proporzionale, con il voto espresso in vasti collegi plurinominali in cui competevano liste di candidati, rispetto alle quali l’elettore disponeva di un voto di preferenza.Decisivo per l’evoluzione della forma di governo e della forma di Stato sono stati l’allargamento del suffragio (in origine rigidamente censitario) e l’evoluzione del sistema partitico.I partiti politici di massa ,cattolico e socialista, sostennero fortemente la legge elettorale proporzionale del 1919, tuttavia l’esperimento di democrazia parlamentare condotto tra il 1919 e il 1922 si scontrò con la crisi del Primo Dopoguerra e in un quadro caratterizzato da instabilità governativa e disordine sociale si assistette all’affermazione violenta del movimento fascista con la Marcia su Roma e alla successiva nomina di BENITO MUSSOLINI, il 30/10/1922, Presidente del Consiglio.Una delle prime misure del nuovo Governo fu l’adozione di una nuova legge elettorale, la cd LEGGE ACERBO, legge n.2444/1923 ,che attribuiva i 2/3 dei seggi alla lista che avesse ottenuto la maggioranza dei voti, purché comunque avesse raggiunto almeno ¼ dei voti nel collegio unico nazionale. La vittoria del Partito fascista, ottenuta nel clima di violenza segnò un momento decisivo per l’avvento di un regime autoritario in Italia.

La forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione e la sua prima applicazione (1948-1953)

La Costituzione provvisoria, adottata in via transitoria con decreto legislativo luogotenenziale del 16/03/1946, prevedeva una forma di governo parlamentare destinata a durare fino all’entrata in vigore della nuova Costituzione.Tutti i principali partiti politici, con la sola eccezione del Partito d’azione, erano sostenitori della forma di governo parlamentare che fu adottata mediante l’approvazione a larga maggioranza del cd. “Ordine del giorno Perassi”, prevedendo dispositivi idonei ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo.Tali dispositivi di razionalizzazione sono contenuti nell’art. 94 della Costituzione , che disciplina il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento.Si regolamenta la mozione di fiducia con la quale il Governo, all’inizio della sua vita deve ottenere la fiducia del Parlamento. Dopo che il P.d.R. ha nominato il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri e tutti hanno prestato giuramento. Il Governo deve presentarsi alle CAMERE ENTRO 10GG. Illustrando il proprio programma, la mozione deve essere motivata con riferimento a tale programma e votata per appello nominale (mozione di fiducia). E’ prevista una maggioranza qualificata e la mozione è approvata a maggioranza semplice, cioè con la maggioranza dei presenti in ogni Camera.Si disciplina anche la mozione di sfiducia, stabilendo che non è sufficiente un semplice voto contrario delle Camere su una proposta del Governo per obbligarlo a dimettersi, ma occorre un voto su apposita mozione che deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti di una Camera e non può essere messa in discussione prima che siano trascorsi 3 giorni dalla sua presentazione. Deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ogni Camera.In questa fase era totalmente assente l’idea che il sistema elettorale potesse servire per assicurare stabilità all’Esecutivo ed incidere quindi sulla forma di governo che i partiti politici protagonisti dell’Assemblea costituente optarono senza incertezze per un sistema elettorale di tipo che proporzionale

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che rispecchiava quello utilizzato per l’elezione dell’Assemblea Costituente.In Italia il sistema elettorale non è costituzionalizzato, l’unica disposizione in materia è contenuta nell’art. 57 Cost. secondo il quale “il Senato della Repubblica è eletto a base regionale “.Il sistema elettorale era a prima vista diverso per le due Camere come conseguenza di due ordini del giorno approvati in Assemblea costituente:per l’elezione della Camera dei deputati si stabiliva il sistema proporzionale, per il Senato quello maggioritario. Nel corso della I LEGISLATURA (1948-1953) il sistema mostrò la tendenza ad un funzionamento bipolare (DC con il 48,5% dei voti e Fronte popolare, alleanza di comunisti,socialisti, con il 31% dei voti) e fin da allora emersero le difficoltà a garantire la stabilità di governo come testimonia il susseguirsi in tale fase di tre Esecutivi tutti guidati dal democristiano DE GASPERI. Il principale problema era rappresentato dalla presenza di Governi di coalizione e dalla fragilità delle coalizioni e ciò determinò l’esigenza di una riforma elettorale che rafforzasse la posizione di Governo .Tale riforma, nota anche come “legge truffa” (legge 148/1953), prevedeva una correzione maggioritaria alla legge elettorale della Camera : veniva assegnato ai partiti “apparentati”che avessero ottenuto ½+1 dei voti validi , un premio di maggioranza consistente nell’attribuzione del 61& dei seggi della Camera dei deputati, ma nelle elezioni politiche del luglio del 1953 i 4 partiti apparentati (DC-PSDI-PLI-PRI) per pochi voti non superarono la soglia del 50%+1 e il premio previsto non “scattò”. Il fallimento della legge segnò la conclusione del primo tentativo di dar vita, in Italia ad una democrazia maggioritaria. La legge fu abrogata e il sistema proporzionale venne ristabilito.

Una forma di governo a multipartitismo estremo e polarizzato (1953-1992)

Nelle successive legislature l’instabilità era generata da problemi interni alle coalizioni e a volte agli stessi partiti, rispetto ai quali i meccanismi previsti nell’art. 94 Cost. si dimostrarono inutili in quanto le crisi di Governo non furono mai conseguenza di un voto di sfiducia ma assumevano sempre carattere extraparlamentare. La causa di questa instabilità è stata individuata nel sistema partitico la cui frammentazione si proiettava, attraverso il sistema elettorale proporzionale,sulla composizione della Camere.Si è parlato di multipartitismo estremo e polarizzato per indicare un sistema caratterizzato da elevata frammentazione nel quale i partiti estremi (comunisti e neofascisti) avevano ideologie ritenute antisistemae non potevano partecipare alla maggioranza, mentre il partito di centro (DC) era costretto a governare con i piccoli partiti di centro-destra o centro-sinistra, per cui l’unico cambiamento possibile era la rotazione dei partner minori (liberali,repubblicani.socialdemocratici)A partire dagli anni 80 si è cominciato a discutere di modificare la forma di governo e a tal fine fu istituita nel 1983 una Commissione parlamentare per le riforme istituzionali che elaborò alcune proposte rimaste però senza seguito.

La riforma elettorale maggioritaria del 1993Solo agli inizi degli anni 90 si sono create condizioni politiche per introdurre alcune riforme istituzionali attraverso la legislazione.Diffusi sentimenti di insoddisfazione ( inchieste giudiziarie –Governi tecnici) che animavano la società favorirono la nascita di un “movimento referendario” trasversale rispetto ai partiti politici che promosse due referendum abrogativi volti a manipolare le leggi elettorali del 1948 stravolgendone il testo.Il primo referendum nel 1971 era finalizzato all’introduzione di una preferenza unica per porre fine ai brogli elettorali ed ottenne una percentuale di sì del 95,6% dei votanti.Il secondo referendum del 1993 mirava a rendere maggioritaria la legge elettorale del Senato , eliminando l’obbligo del raggiungimento del 65% dei voti nel collegio, ed ottenne l’82,7% dei si.In conseguenza di questo secondo referendum il Parlamento fu costretto ad affrontare il tema delle riforme elettorali, approvando nell’agosto del 1993 le nuove leggi per la Camera e per il Senato che introdusse il sistema elettorale misto : era previsto un meccanismo di votazione a turno unico con attribuzione di ¾ dei seggi (ovvero 475 deputati e 232 senatori) in collegi uninominali con sistema maggioritario mentre il restante quarto veniva attribuito alla Camera con sistema proporzionale puro

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all’interno di “liste bloccate” presentate dai diversi movimenti politici e con una soglia di sbarramento al 4%, mentre al Senato l’assegnazione dei seggi proporzionali avveniva in favore dei candidati che avessero ottenuto nei collegi la maggior percentuale di voti, senza però essere stati eletti.Era prevista una correzione in senso proporzionale per favorire i partiti più piccoli: nel riparto proporzionale dei seggi si scorporavano dai voti ottenuti da ciascuna lista di partito quelli che erano serviti per eleggere un rappresentante, ad essa collegato, nei collegi uninominali. A tal fine era obbligatorio per ogni candidato nei collegi uninominali collegarsi ad una lista per l’elezione proporzionale.

Verso il bipolarismo:tentativi di riforma costituzionale (1993-2006)

Il nuovo sistema, sperimentato nel 1994-1996-2001 ha prodotto risultati non univoci.Nella prima applicazione (elezioni del 1994) non ha semplificato il quadro politico e il Governo che si formò, guidato dal leader de centro –destra SILVIO BERLUSCONI, fu di breve durata (solo 8 mesi) e fu costretto a dimettersi secondo la vecchia prassi delle crisi extraparlamentari, per l’uscita dal Governo di un partito della coalizione (la LEGA NORD).Alcuni sostennero che la rottura dell’accordi di coalizione avrebbe dovuto determinare lo scioglimento delle Camere, quasi che si fosse trattato di un’elezione diretta del primo ministro ma il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro rifiutò questa interpretazione e senza sciogliere le Camere cerò una soluzione alla crisi all’interno del Parlamento, nominando un nuovo Primo ministro (un “tecnico” Lamberto Dini )sostenuto da una coalizione diversa da quella che aveva vinto le elezioni.Le successive elezioni del 1996 e poi quelle del 2001 hanno mostrato la tendenza ad un funzionamento bipolare del sistema politico e ad una crescente personalizzazione della competizione elettorale .Entrambe le legislature, benché durate più a lungo della maggior parte delle legislature repubblicane hanno evidenziato una serie di problemi irrisolti nel nuovo quadro bipolare :

1. Estrema frammentazione delle coalizioni che superato il momento elettorale tendono a scindersi in Parlamento in innumerevoli gruppi parlamentari con rilevante potere di ricatto sul Governo;

2. Presenza di transfughismo , ovvero spostamento di singoli parlamentari da un gruppo all’altro e da una coalizione all’altra.

L’ordinamento giuridico non contiene rimedi , la rottura della coalizione di Governo non determina automaticamente nuove elezioni.L’esperienza delle legislature del maggioritario ha fatto emergere tutti i limiti dell’utilizzo dei sistemi elettorali quali strumenti per incidere sul funzionamento della forma di governo e ha spostato di nuovo l’attenzione sul tema della riforme costituzionali.In questo campo a partire dal 90 si sono susseguiti vari tentativi di riforma tutti caratterizzati dal non aver avuto successo .Al contrario importanti modifiche alla forma di governo sono state realizzate a livello locale e regionale. Nei Comuni e nelle Province fina dal 1993 si è introdotta una forma di governo definita “neoparlamentare” basata sull’elezione diretta dell’organo monocratico (sindaco o presidente della provincia) accompagnata per l’elezione dell’assemblea locale da un sistema proporzionale con soglia di sbarramento a premio di maggioranza in favore della coalizione che sostiene il candidato che ottiene più voti e dal principio così che se per qualsiasi ragione venga meno il sindaco o il presidente eletto (anche in conseguenza della rottura del rapporto di fiducia) si torni a votare anche per l’Assemblea. Per le regioni a statuto ordinario nel 1999 una legge costituzionale ha posto le basi per una forma di governo simile a quella dei comuni e della province lasciando però alle regioni un certo margine di scelta autonoma. queste hanno però preferito seguire il modello prospettato dalla legge costituzionale.

Il nuovo sistema elettorale e le elezioni politiche del 2006 e del 2008.

La nuova legge elettorale (legge 270/2005) fortemente voluta dalla maggioranza di Governo di centro-destra e da questa approvata con il duro dissenso dell’opposizione, è analoga per le due Camere con l’unica differenza che, mentre alla Camera dei deputati i premi di maggioranza e soglie di sbarramento di calcolano a livello nazionale, al Senato ciò avviene a livello regionale.

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Trattasi di sistema proporzionale con scrutinio di lista e liste bloccate accompagnato da rilevanti correttivi.Per la Camera esistono 26 circoscrizioni plurinominali alle quali si aggiunge la circoscrizione uninominale della Valle d’Aosta, al Senato le circoscrizioni sono regionali.Con le leggi costituzionali n. 1/2000 e n.1/2001 dodici deputati e 6 senatori sono eletti nella “circoscrizione estero “ dai cittadini italiani all’estero con il sistema di elezione proporzionale previsto dalla legge 459/2001.Ci sono due significativi correttivi al sistema proporzionale: un premio di maggioranza eventuale e di entità variabile che scatta solo se nessuna lista o coalizione consegue più di 340 seggi alla Camera, ovvero più del 55% dei seggi assegnati alla circoscrizione per il Senato e soglie di sbarramento per le coalizioni e per le liste 8calcolate su base nazionale alla Camera e su base regionale al Senato). E’ infatti previsto che i partiti o i gruppi politici possano allearsi tra loro in una coalizione ovvero possano concorrere da soli.Al momento del deposito dei contrassegni , qualora si candidano a governare , depositano anche il programma elettorale in cui è indicato il capo unico della coalizione ovvero il capo del gruppo o partito politico e contestualmente depositano per ciascuna lista coalizzata o meno in ciascuna circoscrizione un elenco bloccato di candidati.L’elettore al momento del voto ha una sola scheda per la CAMERA ed una sola per il SENATO e potrà esprimere la preferenza per il solo partito senza indicare alcun nominativo in quanto saranno eletti per ciascuna circoscrizione i nominativi indicati dai singoli partiti nell’ordine da loro determinato.Le “soglie di sbarramento” è un sistema alquanto complesso:

Per la Camera dei Deputati: si eleggono 630 deputati di cui: 617 nelle 26 Circoscrizioni nazionali, 1 in Valle d'Aosta e 12 nella

Circoscrizione estero soglie di sbarramento: per le coalizioni è del 10% (su base nazionale) e per le singole liste

all'interno delle coalizioni è del 2%(su base nazionale); per le liste non in coalizione la soglia è del 4% (su base nazionale).

tra tutte le liste escluse al riparto dei seggi accede comunque al riparto la lista “miglior perdente” ossia quella che tra le liste che abbino conseguito meno del 2% dei voti risulta essere la più votata;

sono comunque ammesse al riparto dei seggi le liste rappresentative di minoranze linguistiche che abbiano ottenuto nella circoscrizione compresa in una regione il sui statuto speciale le riconosce, almeno il 20% dei voti

per il riparto dei seggi se una lista o una coalizione raggiungono il 55% dei voti il riparto dei seggi tra le liste indipendenti e le colazioni, fatta salva la soglia di sbarramento , è effettuato con metodo proporzionale

premio di maggioranza: alla coalizione o alla lista singola che ottiene più voti viene concesso un premio di maggioranza così da assegnarle 340 seggi

i candidati alla Camera vengono eletti a seconda della loro posizione nella lista, a cominciare dal capolista

Per il Senato: si eleggono 315 senatori, di cui 309 Italia e 6 estero soglie di sbarramento: per le coalizioni è del 20%(su base regionale) e per le singole liste

all'interno delle coalizioni è del 3%(su base regionale); per le liste non in coalizione la soglia è del 8% (su base regionale)

Non sono previsti meccanismi di “ripescaggio” come quello del “miglior perdente” previsto alla Camera

I seggi sono ripartiti con metodo proporzionale (secondo la tecnica dei quozienti interi e dei più alti resti ) salvo che nessuna lista o colazione abbia conseguito ad una prima attribuzione il 55% dei seggi previsti per la regione considerata e nel rispetto delle soglie di sbarramento

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premio di maggioranza: diversamente che alla Camera il premio di maggioranza viene concesso su base regionale; chi ottiene più voti in una Regione si aggiudica il 55% dei seggi, tranne che in Molise e all'estero

Le applicazioni di tale sistema elettorale nelle elezioni del 2006 e del 2008 ne hanno mostrato pregi e difetti in quanto da un lato la tendenza alla bipolarizzazione del sistema politico è risultata enfatizzata dalla legge e dall’altro è continuata la frammentazione delle forze politiche sia ne senso che le coalizioni risultano composte da un elevato numero di liste sia nel senso che esse tendono comunque a sciogliersi dopo le elezioni. Nel 2006 la competizione si è svolta tra 2 coalizioni:centro destra (CDL) centro sinistra (UNIONE). Alla Camera dei Deputati il premio di maggioranza ha prodotto un’ampia maggioranza: UNIONE con il 49,8% dei voti si è aggiudicata il premio ottenendo così 340 seggi, mentre al Senato il premio di maggioranza su base regionale ha prodotto un risultato di 155 seggi per CDL e154 seggi per l’UNIONE . Si è rivelata decisiva l’attribuzione dei seggi nella circoscrizione estero dove l’UNIONE ha avuto 4 senatori . Ciò ha determinato un Governo guidato da Romano PRODI estremamente debole che è sopravissuto per qualche tempo grazie all’oscillante voto al Senato di un indipendente eletto in Argentina e dei senatori a vita, per cadere nel 2008 su una questione di fiducia. Di fronte a questa crisi di Governo il P.d.R. ha optato per lo scioglimento delle Camere.Nelle elezioni del 2008 oltre alle due coalizioni hanno partecipato molteplici liste singole. La coalizione di centro-destra ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere (340 seggi alla Camera e 174 seggi al Senato), tuttavia la coalizione di Governo è apparsa rissosa e paralizzata e il Governo ha fatto ricorso con frequenza ancora superiore rispetto al passato alla questione di fiducia e alla decretazione d’urgenza.Ciò dimostra che la legge elettorale anche se in grado di assicurare maggioranze chiare ed eventualmente Governi stabili, non è però strumento idoneo a produrre Governi capaci di portare avanti il proprio indirizzo politico, ovvero a raggiungere la governabilità.La legge elettorale si presenta infatti in alcuni punti contraddittoria (a partire dalla differenza tra Camera e Senato nel metodi di assegnazione del premio di maggioranza) oltre ad altri fattori che rendono instabile il sistema politico come il finanziamento dei partiti che consente il rimborso delle spese elettorali anche ai gruppi politici che non hanno ottenuto una effettiva rappresentanza, alla regolazione dei gruppi parlamentari non pensata per assicurare un buon funzionamento del Parlamento.Privilegiando le esigenze della governabilità su quelle della rappresentanza è elevato il rischio di accentuare la distanza tra elettori ed eletti e la sfiducia dei cittadini per la politica e le istituzioni, accrescendo l’apatia e la disaffezione al voto.

IL CIRCUITO DELLA DECISIONE POLITICA

Nello Stato contemporaneo il principio della separazione dei poteri si sviluppa attraverso due distinti “circuiti”:

1. circuito della decisione politica2. circuito delle garanzie.

Il circuito della decisione politica è quel processo attraverso il quale la funzione di indirizzo politico si forma e si attua a partire dal momento delle elezioni , attraverso la formazione del Parlamento, dell’Esecutivo e poi lo svolgimento dell’attività di governo.Fanno parte di questo circuito il PARLAMENTO e GOVERNO, nonché (anche se in modo diverso) il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.Per perseguire il proprio indirizzo politico il Governo si avvale dell’amministrazione pubblica statale.

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IL PARLAMENTO È l’organo legislativo dello Stato italiano, si compone di 2 Assemblee (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) la cui funzione principale ma non unica è quella legislativa.Le previsioni che disciplinano il Parlamento sono contenute nel titolo I della parte II della Costituzione (artt. Da 55 a 82).L’istituzione parlamentare nacque in Inghilterra nel XVII secolo, affermando progressivamente la sua autonomia dalla corona.L’esperienza inglese su ripresa con molte varianti in quasi tutta l’Europa acquisendo sempre maggiori poteri fino a concedere e revocare la fiducia al Governo (nelle forme di governo parlamentari), rappresentare i grandi orientamenti dell’elettorato e della opinione pubblica, votare leggi e decidere funzioni statali.

IL PARLAMENTO NELLA COSTITUZIONEIn base all’art. 55 Cost. il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.La scelta del sistema bicamerale fu fatta dall’Assemblea Costituente alla scopo di consentire, attraverso la seconda Camera una rappresentanza delle diverse categorie economiche e sociali.Le due Camere sono elette a suffragio universale diretto, dotate di pari funzioni ma con una composizione in parte differente in quanto furono previsti un diverso numero di membri elettivi (630 deputati e 315 sentori a cui si aggiungono 5 senatori a vita, una differenza nell’elettorato attivo ( 18 anni per la Camera -25 anni per il Senato) e passivo (25 anni per la Camera-40 anni per il Senato),diversa formazione delle circoscrizioni elettorali (Camera eletta su base nazionale, il Senato su base Regionale).L’organizzazione e il funzionamento della Camera e del Senato sono disciplinati dalla Costituzione soltanto nei tratti generali mentre è lasciata ad altre fonti (regolamenti parlamentari, consuetudini e convenzioni)la disciplina di dettaglio, l’art. 64 Cost. stabilisce infatti che ciascuna delle due Assemblee elettive deve dotarsi di un proprio regolamento adottato con il favore della maggioranza assoluta dei componenti.La Costituzione stabilisce direttamente alcuni principi circa l’organizzazione e il funzionamento delle Camere.Ciascuna Camera dura in carica 5 anni (tale periodo assume il nome di legislatura).La legislatura dura dall’entrata in funzione delle Camere (prima riunione) fino alla loro naturale scadenza. La Costituzione (art. 61 comma 1) precisa che la prima riunione ha luogo non oltre il 20° giorno dalle elezioni. La legislatura può essere più breve per scioglimento anticipato delle Camere con atto del Presidente della Repubblica (che non si trovi nel semestre bianco). Possono anche essere prorogate ma soltanto in caso di guerra (art. 60 comma 2).Per evitare discontinuità nell’esercizio dei poteri parlamentari (art. 61 comma 2) nel periodo che intercorre tra lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni sono prorogati i poteri delle precedenti (prorogatio).Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti limitatamente alla cd “ordinaria amministrazione” (atti costituzionalmente necessari e non differibili.La Costituzione indica un numero minimo di sedute ordinarie (1° giorno non festivo di febbraio e di ottobre) e la possibilità di riunioni straordinarie (divenute nella realtà ordinarie) per iniziativa del presidente di ogni Assemblea, del P.d.R, o di 1/3 dei suoi componenti (ar. 62 Cost.) .Le Camere funzionano continuativamente per tutta le legislatura salvi i periodi di sospensione dei lavori.La Costituzione prevede il principio della pubblicità delle sedute a meno che non ne sia deliberata la segretezza (art. 64 comma 2) e il resoconti delle sedute sono tutti consultabili.In Assemblea è necessaria la presenza della maggioranza dei componenti per la validità delle sedute (quorum strutturale) mentre le decisioni sono assunte con la maggioranza dei presenti (quorum funzionale) (art. 64 comma 3). Il quorum funzionale coincide con la maggioranza semplice. La Costituzione può stabilire maggioranze più elevate, dette maggioranze qualificate (ovvero superiore a quella semplice) tra queste rientra anche ala maggioranza assoluta (maggioranza dei componenti).I membri del Governo hanno diritto a partecipare alle sedute e di essere ascoltati su loro richiesta, tuttavia se le Camere richiedono la loro presenza durante i lavori sono tenuti a prendervi parte (art 64 comma 4) .

Lo status del parlamentare

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I parlamentari godono di un insieme di diritti e doveri inerenti alla loro carica che formano il nucleo specifico del proprio status, non si tratta di privilegi ma di immunità ad esclusivo vantaggio della funzione svolta.La Costituzione stabilisce che sia la legge a determinare i casi di ineleggibilità e incompatibilità.

Ineleggibilità per condizioni personali o funzioni svolte che determinando un indebita influenza sull’elettorato precludono la possibilità di essere eletti;

Incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore nelle condizioni che tendono ad impedire che l’eletto eserciti contemporaneamente funzioni tra loro inconciliabili (es. parlamentare e componente CSM) e dispone il divieto di appartenere ad ambedue le Camere (art. 65, comma 2)

L’art 66 Cost. sancisce che ciascuna Camera giudica i titoli di ammissione dei suoi componenti e le cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità rimettendo il controllo sul rispetto di tali norme alla volontà delle maggioranze politiche anziché ad un giudice indipendente. Tale attività, denominata verifica dei poteri, è svolta da ciascuna Camera per mezzo di una giunta .In deroga al diritto comune sono previste anche garanzie, le immunità funzionali quali l’insindacabilità e inviolabilità, finalizzate ad affermare la più assoluta indipendenza dei singoli parlamentari e del Parlamento stesso rispetto a tutti gli altri poteri dello Stato.Insindacabilità: l’art. 68 comma 1 Cost. prevede che i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.Ciò comporta che nei confronti di deputati e senatori anche dopo la cessazione della carica non possono essere avviate azioni di responsabilità in sede civile, penale, amministrativa per le opinioni espresse e i voti dati , pertanto se durante un processo venga opposta l’insindacabilità, il giudice ha l’obbligo di sospenderlo e chiedere alla Camera cui il parlamentare appartiene se in questa circostanza è applicabile l’art. 68 comma 1 Cost. (l’attuazione di tale previsione è contenuta nell’art. 3 della legge n. 140/2003).Le previsioni dell’art. 68 comma 1 Cost. devono essere lette in stretto rapporto con le norme dell’art. 67 Cost, che vieta il cd mandato imperativo: “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Tale disposizione contribuisce a spiegare come mai esista l’insindacabilità e soprattutto la possibilità per gli elettori di fa valere solo una forma di responsabilità politica nei confronti dell’eletto attraverso la sua non rielezione. I membri del Parlamento non possono essere revocati ed ogni patto o promessa da essi sottoscritta non produce alcuna conseguenza giuridica . Il divieto di mandato imperativo implica anche la garanzia della libertà dei parlamentari dai partiti o dai movimenti politici che li hanno candidati e con i quali sono collegati. In nessun caso i parlamentari decadono dalla carica perché cambiano schieramento politico, questa norma consente pertanto che possano transitare verso partiti o coalizioni diversi da quelli nei quali sono stati eletti (transfughismo).

Inviolabilità: per i singoli parlamentari è prevista (art. 68 comma 2 Cost.) un’immunità agli arresti e da ogni altro atto di coercizione per reati non collegati direttamente alle funzioni e limitatamente al periodo di permanenza in carica. Questa norma è stata modificata con la legge costituzionale n. 3/1993, che ha mantenuto l’immunità dagli arresti e dalle perquisizioni ma ha reso possibile avviare procedimenti penali nei confronti di un deputato o un senatore “con autorizzazione della Camera di appartenenza ad eccezione del caso in sui si debba dare esecuzione a una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se il parlamentare è colto nell’atto di commettere un delitto per i l quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ”. analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.

Il Parlamento in seduta comuneL’art. 55 Cost. prevede che il Parlamento può riunirsi in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione . il Parlamento in seduta comune è un organo collegiale composto da tutti i parlamentari per lo svolgimento di funzioni tassativamente individuate nella Costituzione che riguardano per lo più l’elezione di alcune cariche dello Stato e la funzione accusatoria.E’ presieduto dal Presidente della Camera, si riunisce nell’aula della Camera dei Deputati e usa come proprie regole di funzionamento e organizzazione quelle del regolamento della Camera.

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Le competenze del Parlamento in seduto comune: art 83 Cost. elegge il P.d.R con l’integrazione del collegio dei delegati regionali ; art 91 Cost. assiste al giuramento del P.d.R.; art. 135 Cost. comma 1 elegge 1/3 dei membri della Corte Costituzionale; art. 104, comma 4 Cost. elegge 1/3 dei membri del Consiglio superiore della Magistratura; art. 90 comma 2 Cost. ha la competenza a mettere in stato di accusa il P.d.R; art. 135, comma 7 Cost. come attuato dal regolamento parlamentare per i procedimenti di accusa

approvato nel 1989 dal Senato e dalla Camera dei Deputati , provvede alla formazione e all’aggiornamento della lista di 45 nomi tra cui vengono sorteggiati i 16 giudici non togati che si affiancano alla Corte Costituzionale in sede di giudizio sui reati del P.d.R..

L’organizzazione delle Camere: presidenti, gruppi, commissioni, giunte

La Camera dei deputati si compone di 630 deputati e il Senato di 315 senatori, a questi si aggiungono un massimo di cinque senatori a vita nominati dal P.d.R. tra coloro che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, più gli ex P.d.R. che a fine mandato divengono di diritto senatori a vita. (art. 59 Cost.).Organi fondamentali delle due Camere sono il Presidente e l’Ufficio di Presidenza (al Senato si chiama Consiglio di Presidenza), la conferenza dei Presidenti dei gruppi, i gruppi, le giunte, le commissioni permanenti, le commissioni bicamerali e le commissioni speciali che possono essere istituite per particolari questioni.

Il primo degli atti da compiere nella prima seduta è l’elezione del Presidente e dei componenti dell’Ufficio (Consiglio) di Presidenza (art. 63 comma 1 Cost).

I regolamenti delle due Camere richiedono nelle prime votazioni maggioranze qualificate, al fine di consentire un consenso più ampio tra le forze politiche presenti in Parlamento. L'elezione del Presidente ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza dei due terzi dei componenti la Camera. Dal secondo scrutinio è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti computando tra i voti anche le schede bianche. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti.

Vengono scelti poi i 4 vicepresidenti, i quali coadiuvano i presidenti soprattutto nella direzione dell’Assemblea.

Il Presidente ha i compito di rappresentare all’esterno la Camera e di esprimerne la volontà, dirige i lavori dell’Assemblea e sicura il corretto svolgimento dei lavori e il buona andamento dell’amministrazione interna nel rispetto delle norme dalla Costituzione e del regolamento.I Presidenti dell’Assemblea definiscono il calendario dei lavori parlamentari ,potere questo condiviso con la conferenza dei capigruppo.L’ufficio di Presidenza, si compone oltre che dal Presidente, dai 4 vicepresidenti, dai questori e dai segretari, è un organo con compiti amministrativi di disciplina interna e di natura politico-organizzativa (formazione dei gruppi e composizione delle commissioni) ha anche potere normativo in ordine ai regolamenti minori delle Camere.I questori sovraintendono all’organizzazione interna e al bilancio interno delle Camere, i segretari assistono il presidente nelle attività legati ai lavori dell’Assemblea.

Successivo adempimento è la costituzione dei gruppi parlamentari, che sono la proiezione di partiti o dei movimenti politici in seno alle Camere, non agiscono nell’interesse delle assemblee ma nell’interesse proprio. Sul piano giuridico i gruppi sono organizzazioni volontarie e i regolamenti prevedono che ciascun parlamentare debba appartenere obbligatoriamente ad un gruppo e coloro che non esprimono una preferenza sono costretti ad iscriversi al gruppo misto. Al fine di evitare un’eccessiva parcellizzazione organizzativa i regolamenti delle Camere prevedono un numero minimo di partecipanti (20 deputati e 10 senatori ) con la possibilità di costituire gruppi in deroga.

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La conferenza dei presidenti dei gruppi o capigruppo (formata dal Presidente dell’Assemblea e dai presidenti dei gruppi) è l’organo collegiale la cui funzione principale è di predisporre il programma e il calendario dei lavori, stabilire i tempi dedicati alle attività parlamentari e le questioni prioritarie sulle quali l’Assemblea dovrà lavorare.Le giunte sono articolazioni interne che si occupano del corretto funzionamento delle Camere e dello status dei parlamentari, sono nominate dal Presidente di ciascuna Camera in proporzione alla consistenza dei rispettivi gruppi parlamentari. Le giunte più importanti sono: quella per il regolamento che ha il compito di proporre modifiche regolamentari e di esprimere pareri

in ordine all’interpretazione del regolamento vigente; quella delle elezioni la quale procede alla verifica dei poteri , cioè accerta la regolarità delle elezioni di

tutti i membri dell’Assemblea ed esamina ogni ricorso in merito (ineleggibilità ed incompatibilità); per le autorizzazioni a procedere,che esamina le richieste di autorizzazione a procede previste

dall’art. 68 Cost.

Le commissioni permanenti sono organi monocamerali composti in modo da rispecchiare la proporzione interna dei gruppi parlamentari. Attualmente sono previste 14 commissioni permanenti tanto alla Camera che al Senato e si distinguono in base alla materia trattata (affari costituzionali, giustizia, difesa, bilancio, ecc).Le funzioni delle commissioni permanenti possono essere raggruppate in 4 tipologie, le prime tre riguardano i procedimento legislativo, mentre la quarta ha a che fare con il ruolo politico di questi organi che può approvare una serie di atti relativi alle funzioni ispettive e conoscitive dell’organo parlamentare.Quando è presentato un disegno o progetto di legge le commissioni hanno:

a. il compito di rielaborarne il testo, se ritenuto necessario e di riferire all’Assemblea i risultati del loro esame (commissione in sede referente).

b. Su incarico del presidente, con assenso dell’Assemblea, i compito di deliberare una legge al posto dell’Assemblea (commissione in sede deliberante o legislativa) sempreché l’oggetto legislativo non sia riservato all’Assemblea (materia costituzionale ed elettorale, approvazione bilanci e consuntivi, ecc);

c. Su incarico dell’Assemblea, che definisce le direttive e deve approvarne definitivamente il testo,possono redigere definitivamente e approvare gli articoli di un progetto di legge (commissione legislativa in sede redigente o commissione redigente).

Accanto alle commissioni permanenti vi è la possibilità di istituire commissioni speciali, composte sempre in modo proporzionale ai gruppi parlamentari.Possono esistere commissioni monocamerali o bicamerali composte da un ugual numero di deputati e senatori che sono previste nella nostra Costituzione all’art. 126 . comma 1, in materia di questioni regionali, con compiti molto delicati connessi ai settori della vita costituzionale come ad esempio commissione di vigilanza per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi , alla commissione per il controllo degli enti di previdenza ed assistenza sociale, ecc.Un particolare tipo di commissione con funzioni molto specifiche (sia monocamerali che bicamerali ) è previsto all’art. 82 Cost. che permette alle Camere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse .Tali commissioni di inchiesta hanno un’importanza particolare perché procedono alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. La loro attività non si conclude con una sentenza, atto tipico del processo, ma con una relazione. La commissione di inchiesta resta un organo parlamentare che gode di ampia libertà nello svolgimento della sua attività e può ricorrere agli strumenti formali del codice di procedura penale,ascoltare i testimoni con lo strumento della testimonianza o procedere ad audizioni di tipo parlamentare.

Le funzioni del Parlamento

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La Costituzione non contiene un catalogo delle funzioni svolte dal Parlamento. Rintracciare le funzioni ed il ruolo delle Camere è possibile solo attraverso una lettura sistematica delle disposizioni contenute prevalentemente nella seconda parte della Costituzione.Nel nostro Parlamento possono essere identificate:

a. Funzione normativa;b. Funzione di indirizzo;c. Funzione di informazione e controllo.

La funzione normativa è quell’insieme di attività in cui il Parlamento produce o contribuisce a produrre norme giuridiche di diverso grado (e non solo leggi).La funzione legislativa (art. 70 Cost) è esercitata collettivamente dalle due Camere. Gli arti dal 72 al 74 Cost. individuano il procedimento legislativo, disciplinando con cura le diverse fasi (iniziativa, istruttoria, deliberazione, promulgazione e pubblicazione. Oltre al potere di approvare le leggi ordinarie , le Camere esercitano il potere di approvare le leggi costituzionali e di revisione costituzionale secondo il procedimento previsto dall’art. 138 Cost. Ciascuna Camera approva anche il proprio regolamento interno (approvato a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera) che disciplina l’organizzazione, il funzionamento e soprattutto contiene le disposizioni di attuazione dell’art. 72 Cost. in materia di procedimento legislativo.Espressione della funzione normativa parlamentare sono anche i pareri obbligatori che le Camere, per mezzo delle proprie commissioni sono chiamate a dare nel procedimento di approvazione dei decreti legislativi in base alle norme della legge n. 400/1988.Il Parlamento esercita la funzione di indirizzo nei confronti del Governo.I regolamenti della Camera e del Senato prevedono tre tipi di atti di indirizzo :

1. la mozione: consiste in un documento concernente tutti o determinati aspetti dell’azione del Governo, che l’Assemblea è chiamata a deliberare . La discussione sulla mozione si conclude con un voto che,se positivo impegna politicamente il Governo a comportarsi come indicato nella mozione . la mozione di fiducia è l’atto con il quale viene concessa la fiducia al Governo e con la mozione di sfiducia si mette fine al rapporto fiduciario;

2. la risoluzione: è un atto di indirizzo utilizzabile anche da un singolo parlamentare con il quale le commissioni e l’Assemblea possono esprimere il loro punto di vista e un indirizzo al Governo sull’argomento in discussione;

3. l’ordine del giorno: consiste in un documento a carattere accessorio rispetto ad un altro testo, un disegno di legge o una mozione, su cui l’Assemblea o una commissione è chiamata a deliberare. In questi casi l’ordine del giorno tende a circoscrivere o a precisare il significato della deliberazione principale, impegnando politicamente il Governo sul modo in cui essa vada interpretata o si debba procedere alla sua applicazione.

Gli atti di indirizzo politico-economico sono dei provvedimenti che provengono sia dal Parlamento che dal Governo ed hanno come obiettivo principale quello di assicurare il corretto funzionamento dei mercati, da un lato e di disciplinare l’intervento pubblico nell’economia dall’altro (leggi di bilancio, legge di stabilità,ecc).Numerosi sono gli strumenti per esercitare la funzione di informazione e controllo nei confronti del Governo e della Pubblica Amministrazione, alcuni di questi poteri possono essere esercitati dalle Assemblee, altri dalle Commissioni ed altri ancora sono nelle disponibilità dei singoli deputati e senatori.I due strumenti informativi più importanti sono le interpellanze e le interrogazioni.L’interpellanza, che può svolgersi solo in Assemblea consiste in una domanda rivolta al Governo circa i motivi o gli intendimenti della sua condotta su una questione di particolare rilievo o di carattere generale che può essere indirizzata per iscritto alla Presidenza da uno o più parlamentari.L’interrogazione è un atto di sindacato ispettivo di minore rilievo rispetto all’interpellanza, che consiste in una semplice richiesta che ogni deputato o senatore può rivolgere per iscritto o oralmente al ministro competente per avere informazioni o spiegazioni su un oggetto determinato.

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Con le riforme dei regolamenti parlamentari degli anni 80 sono state introdotte le interrogazioni a risposta immediata con le quali si è voluto rendere più flessibile il ricorso al sindacato ispettivo ed anche più diretto il rapporto tra le Camere e il Governo . Lo svolgimento di queste interrogazioni avviene in un contradditorio immediato che si svolge in un tempo definito a cadenza settimanale e in diretta radiotelevisiva (cd. question time) .Esiste anche una particolare tipologia di attività parlamentare che ha lo scopo di consentire alle Camere o alle commissioni di acquisire informazioni in generale sui temi ritenuti di rilevante interesse. Il più importante di questa categoria è la possibilità di ciascuna Camera, singolarmente o collegialmente, di istituire una commissione di inchiesta (art. 82 Cost.).Le commissioni permanenti possono assumere informazioni mediante audizioni di membri del Governo o di dirigenti pubblici responsabili di settori delle amministrazioni su determinati temi,infine hanno il potere di disporre indagini conoscitive dirette ad acquisire, anche da soggetti esterni, notizie, informazioni e documenti utili alla propria attività.E’ infine divenuto di prassi affiancare all’approvazione di nuove leggi l’obbligo, generalmente per il Governo, di presentare una relazione annuale sullo stato di attuazione della legge.

IL GOVERNO

E’ l’organo costituzionale responsabile di promuovere e attuare l’indirizzo politico della Stato ed è il vertice dell’amministrazione statale.Il Governo è un organo costituzionale complesso composto da 3 organi che hanno competenze proprie e una propria discrezionalità di azione. In base all’art. 92 comma 1Cost. sono:

Presidente del Consiglio (organo monocratico); ministri (organi monocratici); Consiglio dei Ministri (organo collegiale formato dalla riunione del P.d.C e dai Ministri).

Questo sono organi necessari in quanto individuati direttamente dalla Costituzione ma vi sono anche organi non necessari in quanto non previsti dalla Costituzione ma dalla legislazione ordinaria:

Vicepresidenti del Consiglio; Ministri senza portafoglio, ovvero senza dicastero ma facenti parte del Consiglio dei Ministri; Viceministri ,sottosegretari con deleghe particolari che possono essere invitati dal P.d.C., d’intesa

con il Ministro competente, a partecipare alle sedute del Consiglio dei Ministri senza diritto di voto; Sottosegretari ai quali sono affidati specifici settori di competenza del ministero di riferimento ; Comitati interministeriali, sede di concertazione e raccordo fra più ministri .

Il ruolo del Governo è quello di definire e tradurre in concreto l’indirizzo politico che gli elettori affidano al Parlamento e conseguentemente al Governo stesso in quanto espressione della maggioranza parlamentare.Per adempiere a questo ruolo di direzione politica del Paese il Governo svolge funzioni politiche, deliberative e di controllo.

Funzioni politiche che si manifestano nell’individuazione del programma di governo; funzione deliberative consistono nell’adozione degli atti aventi forza di legge, regolamentari,

amministrativi, conseguenti al programma di governo; funzioni di controllo mirano alla verifica del rispetto degli obiettivi posti da parte della pubblica

amministrazione di cui il Governo rappresenta il vertice.

Il Governo ha una doppia veste in quanto da un lato è organo di indirizzo politico, per attuare il quale può assumere decisioni politiche e di alta amministrazione, dall’altro è organo di vertice del potere esecutivo e come tale competente a controllarne l’attività di cui risponde.La Costituzione dedica solo 5 articoli al Governo in quanto organo di indirizzo politico, nel titolo III della parte II dedicata all’ordinamento della Repubblica.

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L’art. 92 Cost. individua la composizione indefettibile e le modalità di nomina; gli artt. 93 e 94 stabiliscono come esso entra in carica individuando l’elemento centrale della nostra

forma di governo parlamentare ovvero il rapporto di fiducia; l’art. 95 stabilisce il ruolo del Governo e degli organi necessari che lo compongono, nonché la sua

responsabilità politica . l’art. 96 ne fissa la responsabilità giuridica.

La Costituzione non è l’unica fonte della disciplina del Governo vi sono infatti altre fonti normative di vario grado, compresi i regolamenti interni di organizzazione, tra queste la più importante è la legge 400/1988 che è stata la prima a dare disciplina organica della struttura e delle funzioni del Governo in epoca repubblicana.

Il Governo nella CostituzioneLa formazione e la caduta del Governo

Fino a quando il sistema elettorale italiano è stato proporzionale, il Presidente della Repubblica ha avuto un ruolo molto attivo nella individuazione di un soggetto intorno a cui convergesse il consenso dei partiti, al fine di affidargli l’incarico di Presidente del Consiglio.Il P.d.R. esaurita la fase elettorale apriva in via di prassi le consultazioni con alcune figure chiave del sistema costituzionale allo scopo di individuare quale soggetto politico potesse essere nominato tenendo presenti i rapporti di forza politica risultanti dalle elezioni. Ricorreva inoltre frequentemente agli istituti del mandato esplorativo (affida solitamente ad uno dei presidenti delle Camere il compito di svolgere ulteriori consultazioni ristrette) o del preincarico ( affida a colui che con molta probabilità sarà il futuro Presidente del Consiglio il compito di effettuare nuove consultazioni).Oggi, con il susseguirsi delle leggi elettorali che hanno portato ad un tendenziale bipolarismo e alla preventiva individuazione dei leader delle coalizioni in competizione tra loro, grazie anche alla possibilità di indicare al momento del deposito dei contrassegni, il capo unico della coalizione,il P.d.R. effettua ancora le consultazioni ma si sono svuotate di significato in quanto i presidenti dei gruppi parlamentari si limitano ad indicare quale Presidente del Consiglio il leader della coalizione.Ciò accade nel caso di Governo formato in seguito al voto elettorale. Nel caso invece di crisi di Governo parlamentare, conseguente alla votazione di una mozione di sfiducia del Governo o alla bocciatura di un atto su cui lo stesso ha posto una questione di fiducia, ovvero extraparlamentare, in quanto non dovuta ad un atto approvato in Parlamento, che non richieda il ricorso alle urne , le consultazioni mantengono la loro originaria funzione potendo esercitare il Presidente della Repubblica un ruolo maggiormente discrezionale data l’assenza di un soggetto “investito” dell’incarico per volontà elettorale.Una volta nominati il Presidente del Consiglio e successivamente i ministri giurano nelle mani del Presidente della Repubblica prima di assumere le funzioni (art. 93Cost). Tale giuramento si inserisce nel quadro dell’obbligo di fedeltà alla Repubblica di cui all’art. 54Cost. ed ha un valore altamente simbolico.Il Governo, effettuati la nomina e la prestazione del giuramento non è tuttavia ancora pienamente in funzione e deve limitarsi a svolgere i compiti di ordinaria amministrazione (ovverosia non implicanti atti di indirizzo politico) finché non ottiene la fiducia delle Camere ai sensi dell’art. 94 Cost.Entro 10gg dalla nomina il Governo deve presentarsi alle Camere con il programma che intende attuare e in seguito a tale esposizione deve ottenere a maggioranza semplice in ciascuna aula la fiducia sulla base di una mozione motivata votata per appello nominale.Diversa dalla fiducia iniziale è la mozione di sfiducia quale atto attraverso cui la fiducia può essere revocata.La questione di fiducia, non è prevista dalla Costituzione ma dai regolamenti parlamentari e trova copertura costituzionale nell’art. 94, comma 3 Cost. secondo il quale il voto negativo di una Camera su una proposta del Governo non comporta l’obbligo di dimissioni, tuttavia se il Governo appone sulla proposta l questione di fiducia e questa non viene approvata, esso è obbligato alle dimissioni.Una conseguenza peculiare della questione di fiducia che ne rende molto frequente l’utilizzo è il fatto che le proposte su cui essa è apposta non sono emendabili pertanto il Parlamento è chiamato a votare un “no” o un “si” secco. Ciò ha dato origine negli anni alla prassi distorta dei maxiemendamenti che il Governo,

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ponendo la questione di fiducia, blinda rispetto a possibili modifiche in Parlamento. Trattasi di abuso dei poteri governativi.Il nostro ordinamento non prevede la revoca dei ministri da parte del Presidente del Consiglio, tuttavia con norme dei regolamenti parlamentari è stato esteso l’istituto della sfiducia anche ai singoli ministri.

La responsabilità del GovernoIl Governo è responsabile politicamente e giuridicamente.Sul piano costituzionale esistono diverse forme di responsabilità:

responsabilità di tipo giuridico è possibile citare in giudizio per violazione di norme giuridiche i titolari di funzioni pubbliche, come ogni funzionario dello Stato (ai sensi art. 28 Cost) i singoli esponenti del Governo sono civilmente responsabili per i danni arrecati a terzi nell’esercizio delle loro funzioni e innanzi alla Corte dei Conti per i danni arrecati alla pubblica amministrazione;

responsabilità penale, a norma dell’art. 96 Cost. il Presidente del Consiglio e i Ministri sono responsabili per i cd reati ministeriali, per quei reati cioè che commettono nell’esercizio delle funzioni di governo , dei quali rispondono anche dopo la cessazione della carica, dinanzi alla magistratura ordinaria (legge costituzionale n. 1/1996 modificativa dell’art. 96 Cost.) anche se occorre l’autorizzazione parlamentare (del Senato se essi non sono parlamentari, della Camera di appartenenza se rivestono anche tale carica) l’autorizzazione può essere negata a maggioranza assoluta se l’Assemblea ritenga che il Ministro (o il Presidente del Consiglio) abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico. Al di fuori dei reati ministeriali ciascun membro del Governo risponde dei reati comuni come qualsiasi altro cittadino.

Responsabilità politica , ogniqualvolta si ha la possibilità di chiedere conto delle azioni di una persona o di un organo investito di un pubblico potere, sul piano degli obiettivi o dei risultati politici che esso ha realizzato o intende realizzare. La responsabilità politica del Governo è sancita nel nostro sistema costituzionale dal rapporto di fiducia col Parlamento e dal correlativo potere di sfiducia che può essere individuale o collegiale.

Il Presidente del Consiglio è responsabile della direzione della politica generale del Governo, gli spetta inoltre il mantenimento dell’unità di indirizzo politico e amministrativo e la promozione e il coordinamento dell’attività dei ministri. Si trova quindi in una posizione di preminenza ma non di superiorità gerarchica rispetto ai ministri per cui non può revocarli. Tuttavia ai sensi della legge n. 400/1988 può sospendere l’adozione di un atto ministeriale sottoponendolo al Consiglio dei Ministri.I ministri sono invece individualmente responsabili degli atti che provengono dal ministero che dirigono, tale previsione va letta in combinato con l’art. 89, comma 1 Cost. secondo cui gli atti del Presidente della Repubblica non sono validi se non controfirmati dal ministro proponente, che con la controfirma ne assume la responsabilità.I ministri sono responsabili collegialmente, in quanto membri del Governo, degli atti del Consiglio dei Ministri.

Il Governo nella prassi: l’evoluzione della figura del Presidente del Consiglio

Il Presidente del Consiglio, nel disegno costituzionale è un primus inter pares, che avendo funzioni di direzione, impulso e coordinamento del Governo, si distacca rispetto agli altri componenti acquisendo una centralità che è divenuta oggi particolarmente accentuata nella prassi.L’evoluzione nella nostra forma di governo anche in conseguenza del mutamento del sistema elettorale ha portato all’individuazione del Presidente del Consiglio nel leader della coalizione o del partito vincente e alla valorizzazione della sua figura in quanto soggetto dotato di una legittimazione elettorale “quasi” diretta.

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La centralità assunta dal Presidente del Consiglio non dipende tuttavia soltanto dal cambiamento del sistema elettorale ma si collega ad una tendenza più generale di tutti gli Stati contemporanei al rafforzamento del potere esecutivo rispetto agli altri poteri.Nonostante questa evoluzione, in assenza di una modifica della Costituzione scritta, non è possibile ritenere di essere di fronte a una forma di governo nuova, diversa da quella parlamentare.La Corte Costituzionale ha avuto modo di riaffermare in occasione di una sentenza sul cd “legittimo impedimento” (norme processuali volte a sottrarre per la durata del suo mandato il Presidente del Consiglio ai processi pendenti contro di lui) che la nostra forma di governo non si è trasformata nella prassi ma che è e resta parlamentare così come scritto dai padri costituenti.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

E’ un organo costituzionale monocratico , la cui presenza qualifica il nostro ordinamento come repubblicano e contribuisce alla realizzazione della forma di governo parlamentare.La forma repubblicana è principio costituzionale immodificabile in base all’art. 139 Cost. Gli ordinamenti, a prescindere dalla loro forma di governo, possono essere monarchici o repubblicani a seconda che il loro supremo rappresentante sia individuato per via ereditaria o tramite formule elettive che ne rafforzino il vincolo rappresentativo.La razionalizzazione della forma di governo parlamentare viene attuata mediante gli strumenti politici e giuridici con i quali il Presidente della Repubblica può temperare le frizioni tra gli organi costituzionali e, se necessario, ristabilire l’ordine costituzionale, nel caso in cui esso venga compromesso dall’azione della maggioranza politica.La definizione di sintesi del suo ruolo si trova nell’art. 87 comma 1 Cost. che lo qualifica come capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale.Come CAPO DELLO STATO è chiamato a verificare il corretto funzionamento dell’’ordinamento costituzionale e a fungere da arbitro finale delle controversie politiche tra essi, quale “gran consigliere” della Repubblica.Come RAPPRESENTANTE DELL’UNITA’ NAZIONALE, invece egli rappresenta simbolicamente non soltanto l’unità della popolazione, ma l’unità di una comunità statale che condivide un insieme di valori comuni.La figura costituzionale dl Presidente della Repubblica è alquanto elastica e può essere plasmata in modo diverso dal suo titolare, in relazione alle concrete circostanze politiche,elettorali, istituzionali.

Il Presidente della Repubblica nella Costituzione

Il mandato presidenzialeAi sensi dell’art. 83 commi 1 e 2 Cost. il P.d.R. è eletto da un collegio elettorale composto da tutti i parlamentari ai quali si aggiunge un numero fisso di delegati regionali (conseguenza necessitata dalla forma di governo parlamentare).L’elezione avviene nel Parlamento in seduta comune, con l’aggiunta di tre delegati appositamente eletti dai Consigli regionali per ogni regione (ad eccezione della Valle d’Aosta che ne ha uno solo) in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. L’integrazione dei delegati regionali è motivata dalla ratio di rendere il Presidente rappresentante non solo dello Stato centrale ma anche delle realtà territoriali (dell’intera Repubblica, nella definizione che ne dà l’art. 114 comma 1 Cost.). il valore dell’ampliamento del collegio elettorale alle istanze regionali è in verità più simbolico che reale, data l’esiguità del numero degli elettori regionali.Ai parlamentari e ai delegati regionali è chiesto di esprimersi con voto segreto. La segretezza del voto è prevista per garantire ai votanti una scelta libera ed indipendente rispetto ad eventuali pressioni (specie di partito).I costituenti hanno previsto un quorum qualificato pari a 2/3 dei componenti il collegio elettorale, per assicurare che sul Presidente ricada il consenso di una maggioranza più ampia rispetto a quella che sostiene il Governo, in quanto egli rappresenta la Nazione intera e non soltanto la maggioranza politica del momento .

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Dalla 3° votazione in poi è sufficiente la maggioranza assoluta, ovvero il sostegno del 50%+1 dei componenti del collegio medesimo.Per quanto riguarda i requisiti soggettivi, l’art. 84 Cost. richiede che, al momento della votazione, il Presidente sia cittadino italiano, abbia compiuto 50 anni e goda dei diritti civili e politici, ovvero abbia la piena capacità di agire e sia titolare del diritto di voto di cui l’art. 48 Cost.. L’ufficio presidenziale è sempre in virtù dell’art. 84, incompatibile con qualsiasi altra carica da intendersi di carattere sia privato che pubblico. L’incarico dura 7 anni , ex art. 85 comma 1Cost., in maniera tale da differenziarlo rispetto alla durata della legislatura: si tratta di una misura che serve ad assicurare l’indipendenza del Presidente , che ha una durata in carica più lunga della maggioranza che lo ha eletto. Può terminare anticipatamente per cause naturali, come la morte o l’impedimento permanente,oppure a seguito di dimissioni o di destituzione (ipotesi mai verificata) in caso di condanna per attentato alla Costituzione e alto tradimento da parte della Corte Costituzionale.Se il Presidente è temporaneamente impossibilitato (malattia o nelle more del giudizio penale) a svolgere il suo ruolo, la supplenza spetta al presidente del Senato, ai sensi dell’art. 86, comma 1 Cost.Finora i mandati presidenziali si sono conclusi o al naturale compimento del settennato, o a seguito di dimissioni.La durata del mandato comincia a decorrere quando il Presidente presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e osservanza della Costituzione davanti al Parlamento in seduta comune, assumendo in tal modo le sue funzioni (art. 91 comma1 Cost.) . il giuramento presidenziale può essere considerato una forma di giuramento rafforzato rispetto a quello richiesto in via generale dall’art. 54 Cost. ai cittadini a cui sono affidata funzioni pubbliche.Trenta giorni prima che scada il settennato, il Presidente della Camera dei deputati è tenuto a convocare il Parlamento in seduta comune integrato dai delegati regionali (art. 85 comma 2 Cost.) affinché l’elezione del successore possa svolgersi prima del termine del suo mandato. Si ritiene possa aversi la prorogatio del Presidente uscente , ovvero che egli sia abilitato all’ordinaria amministrazione e allo svolgimento degli atti improrogabili, nel caso in cui l’Assemblea elettiva non faccia in tempo ad eleggere il successore entro il termine.Eccezioni ai tempi e alle procedure dal comma 3 art. 85 e comma3 art. 86:

1. Se la fine del mandato presidenziale coincide con l’ultimo trimestre di legislatura o se nel frattempo le Camere sono sciolte, il Presidente sarà eletto dalla nuove Camere entro 15 gg dalla loro prima riunione, con prorogatio dei poteri del Presidente uscente;

2. Se la fine del mandato è da attribuirsi a impedimento permanente, morte o dimissioni del P.d.R., allora è il presidente della Camera dei Deputati a indire le elezioni del successore entro 15 gg. (sempre che le Camere non siano nel frattempo sciolte o manchino meno di 3 mesi alla loro cessazione, nel qual caso si seguono i tempi previsti dall’art. 85, comma 3 Cost.

La Costituzione non menziona nulla circa la rieleggibilità del Presidente uscente per cui l’orientamento prevalente lo considera ammissibile.Al termine del mandato, ai sensi dell’art. 59 Cost., i Presidenti della Repubblica diventano di diritto senatori a vita salvo rinuncia. L’ultimo comma dell’art. 84 Cost. è dedicato alla dotazione e all’assegno presidenziali che sono sottoposti a riserva di legge.

Le funzioni del Presidente della RepubblicaLe principali funzioni sono previste all’art. 87Cost. , oltre a quelle contenute nella parte II della Costituzione.In qualità di rappresentante della nazione e di garante della sua unità, spetta al Presidente la funzione (anche simbolica) di indire le elezioni e i referendum e di convocare le Camere per la loro prima seduta e in via straordinaria (ai sensi dell’art. 62, comma 2 Cost) al fine di garantire il funzionamento dell’organo rispetto ad eventuali prevaricazioni della maggioranza di governo (potere mai utilizzato).Con riferimento alla funzione normativa il Presidente promulga le leggi e ha un potere autonomo di rinvio alle Camere nel caso ravvisi una manifesta incostituzionalità, ex art. 74 Cost.

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Emana gli atti del Governo aventi forza di legge e i regolamenti governativi e autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge.Con riferimento alla funzione giurisdizionale, il Presidente emana con proprio decreto i ricorsi straordinari contro gli atti amministrativi, che sono decisi dal Consiglio di Stato , concede la grazia e commuta le pene, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura.Con riferimento alla funzione esecutiva, nomina i più alti funzionari dello Stato, su indicazione del Governo.Nomina anche 5 membri della Corte Costituzionale e i senatori a vita.Nei rapporti internazionali il Presidente accredita e riceve i rappresentanti diplomatici e ratifica i trattati internazionali dietro autorizzazione, per i principali,delle Camere.Nelle funzione esercitate per la difesa dello Stato egli ha il comando delle forze armate, presiede il Consiglio Supremo di Difesa e dichiara lo stato di guerra previa deliberazione delle Camere.Il Presidente conferisce onorificenze della Repubblica per alti meriti.Oltre a questi specifici poteri fondamentali sono le funzioni che sono assegnate al Capo dello Stato nell’ambito del rapporto tra Parlamento e Governo.Il P.d.R. ha il potere di nominare il Presidente del Consiglio e i ministri e quello di sciogliere le Camere (o anche una sola di esse( ai sensi dell’art. 88 Cost. ) ad eccezione degli ultimi 6 mesi del suo mandato, sempre che non coincidano con gli ultimi 6 mesi della legislatura. La combinazione di questi due poteri che il Presidente esercita discrezionalmente ,ma in collaborazione con i presidenti delle Camere e il Presidente del Consiglio, vale a dare al Presidente un ruolo attivo nella gestione delle crisi parlamentari ed extraparlamentari e nella riattivazione del circuito fiduciario che lega il Parlamento e Governo E può scegliere se sciogliere le Camere e far pronunciare l’elettorato o invece formare un nuovo Governo senza ricorrere alle urne. Al di là degli scioglimenti tecnici (non dovuti a ragioni politiche ma ad esempio motivati dalla necessità di agevolare lo svolgimento delle elezioni in date adeguate), lo scioglimento delle Camere può essere motivato da ragioni molto variegate.

La responsabilità della Presidente della Repubbliche e la controfirmaL’art. 91 Cost. imponendo al Presidente della Repubblica di giurare alla Repubblica di giurare fedeltà alla Repubblica e osservanza della Costituzione,esplicita una responsabilità politica “diffusa” nei confronti del paese, delle sue istituzioni e del suo ordinamento, che può in certi casi portare alle sue dimissioni (vedi Presidente Leone). Al di là di questa generica forma di responsabilità, il P.d.R. è politicamente irresponsabile.Ai sensi dell’art. 90, comma 1Cost., Il Presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.L’art. 89, comma1 Cost. prevede che nessun atto del Presidente è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità.La controfirma, oltre alla funzione di garantire l’irresponsabilità presidenziale rappresenta uno snodo essenziale nel rapporto tra Presidente della Repubblica e Governo e a tal proposito si possono distinguere gli atti presidenziali in tre categorie:

1. Quelli formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi la controfirma vale come attestazione della conformità del decreto presidenziale all’atto “proposto” dal Governo e come indicazione della provenienza dell’atto (nomina dei ministri, emanazione dei regolamenti e degli atti aventi forza di legge, la nomina degli alti funzionari dello Stato , lo scioglimento anticipato dei Consigli Regionali e la rimozione del Presidente della giunta ex art. 126 Cost.);

2. Quelli sostanzialmente e formalmente presidenziali, la controfirma vale invece come presa d’atto della volontà presidenziale e assunzione da parte del Governo della responsabilità dell’atto ( promulgazione delle leggi e il loro rinvio alle Camere, la concessione della grazi, la nomina dei 5 giudici costituzionali, la nomina dei senatori a vita, i messaggi presidenziali alle Camere, la loro convocazione straordinaria ex art,. 62 Cost.;

3. I cd atti complessi, la controfirma vale come indicazione della provenienza complessa dell’atto e come reciproco controllo ( la nomina del Presidente del Consiglio e lo scioglimento delle Camere).

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La Costituzione individua nel ministro “proponente” da intendersi come quello competente, il titolare del potere di controfirma, tuttavia l’art. 89 comma 2 pone in capo al Presidente del Consiglio il potere di controfirma quanto meno per gli atti che hanno valore legislativo (decreti legge e decreti legislativi) e gli ulteriori atti che siano indicati dalla legge. Tale firma del Presidente del Consiglio può essere esclusiva (come nel caso della sua nomina, dell’accettazione delle dimissioni del Governo, dello scioglimento delle Camere e dei Consigli Regionali, della nomina dei senatori a vita e dei giudici della Corte Costituzionale , dei messaggi ex art. 87 Cost) o concorrente con quella del ministro competente (come negli atti aventi valore legislativo) . la controfirma del Presidente del Consiglio in queste ultime ipotesi vale a garantire che l’atto è espressione dell’indirizzo politico del Governo e ad accertare la conformità della volontà del ministro proponente con quella del Consiglio dei ministri.Non tutti gli atti del P.d.R. debbono essere controfirmati , sono esclusi gli atti che egli adotta in qualità di Presidente del CSM e di Presidente del Consiglio Supremo di Difesa, nonché i cd atti personalissimi.L’individuazione degli atti personalissimi avviene per prassi: si riteine che le dimissioni e la dichiarazione di impedimento permanente non debbono essere controfirmate, mentre le dichiarazioni di impedimento temporaneo (ad es. per viaggio all’estero) risultano finora essere state controfirmate. Non vengono controfirmati nemmeno gli atti frutto di esternazioni atipiche come i messaggi orali, le comunicazioni , le dichiarazioni di volontà..Al di fuori dell’esenzione della responsabilità tramite la controfirma ministeriale il Presidente è responsabile soltanto per i reati di attentato alla Costituzione e di alto tradimento.In tal caso il Presidente viene messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta (art. 90 Cost) ed è giudicato dalla Corte Cost. (art. 134Cost) in composizione integrata con la presenza oltre che dei 15 giudici che di norma lo compongono, di 16 giudici aggregati selezionati dal Parlamento in seduta comune. Il giudizio si conclude con l’applicazione da parte della Corte Costituzionale di sanzioni penali costituzionali, amministrative e civili.Il P.d.R. risponde come qualsiasi cittadino per gli atti compiuti al di fuori delle sue funzioni,sia in sede civile che amministrativa e penale.

Il Presidente delle Repubblica nei mutamenti della forma di governoLa figura del Presidente della Repubblica nel corso degli anni ha cambiato più volte fisionomia divenendo ora notaio silente ora arbitro attivo dell’ordinamento costituzionale, anche in aperta polemica con gli altri organi. L’una veste piuttosto che all’altra sono dovute:

1. al grado di stabilità del sistema politico, conseguenza sia del rispetto reciproco tra partiti che del livello di efficienza del Parlamento e del Governo:

2. alla personalità del Presidente, che può produrre un diverso modo di interagire con gli altri soggetti istituzionali e col corpo elettorale;

3. al sistema elettorale, in quanto un sistema tendenzialmente maggioritario rende i poteri presidenziali di nomina del Presidente del Consiglio e di scioglimento delle Camere meno discrezionali, mentre un sistema proporzionale induce il Presidente ad un intervento attivo nei rapporti tra le forze politiche, nell’esercizio dei suoi poteri di soluzione delle crisi e di individuazione del Presidente del Consiglio.

LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La Pubblica amministrazione è l’insieme delle strutture, delle persone, delle risorse e delle attività preposte stabilmente dalla legge alla gestione e alla cura concreta degli interessi generali.L’amministrazione pubblica rientra nell’elemento “organizzazione” dell’ordinamento giuridico statale. Benché la burocrazia, quale organizzazione di persone e risorse preposte al fine di realizzare interessi

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generali secondo criteri predefiniti, esistesse anche nell’antica Roma o nell’ordinamento patrimoniale, l’origine dell’amministrazione pubblica in senso stretto si fa risalire alla nascita dello Stato moderno.Per gli ordinamenti di civil law, come l’Italia, il prototipo di amministrazione pubblica per eccellenza resta quello francese designato da Napoleone Bonaparte e basato su un forte accentramento amministrativo, sulla responsabilità ministeriale e sull’asimmetria tra la pubblica amministrazione e i soggetti dell’ordinamento giuridico, giustificata dal fatto che la prima persegue interessi generali mentre i secondi perseguono interessi individuali.Nello Stato liberale di diritto per definire la pubblica amministrazione come l’organizzazione” dell’ordinamento statale considerato unitariamente.Lo Stato contemporaneo ha messo in crisi la nozione omogenea e chiusa di pubblica amministrazione: da un lato con l’allargamento delle funzioni statali specie nel campo economico sono nati e cresciuti soggetti formalmente privati ma sostanzialmente pubblici o viceversa , dall’altro lato il riconoscimento di livelli di governo ulteriori rispetto quello statale, superiori come l’ U.E. o inferiori come le regioni e gli enti locali, ha aumentato notevolmente il novero di soggetti appartenenti all’amministrazione “pubblica” che non fanno parte dell’apparato statale.Il diritto europeo ha elaborato una nozione di “soggetto pubblico” molto flessibile ma al tempo stesso adeguata a fotografarne le caratteristiche attuali. Per la legislazione europea sono soggetti pubblici lo Stato ogni “ente pubblico territoriale” nonché ogni “organismo di diritto pubblico” quale soggetto giuridico istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, dotato di personalità giuridica la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico , oppure la cui gestione è sottoposta a controllo di questi ultimi , oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato , dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico (art. 1 direttiva n. 2004/18/CE)Secondo tale definizione i parametri di individuazione di un soggetto pubblico sono non solo strutturali -formali (personalità giuridica) ma soprattutto sostanziali -funzionali (il fine del soddisfacimento di bisogni di interesse generale di natura non industriale o commerciale e la sottoposizione ad un’influenza pubblica.Possono quindi essere considerate appartenenti alla pubblica amministrazione anche quelle società di capitali che, pur rivestendo la forma di soggetto privato, per le finalità perseguite o per il controllo pubblico a cui sono sottoposte non possono essere considerate alla stregua di una comune società commerciale.Ogni soggetto avente personalità giuridica che risenta del controllo dello Stato, di un ente locale o di un altro organismo di diritto pubblico e che sia costituito per soddisfare bisogni generali non reperibili nel mercato, è quindi da considerarsi soggetto gravitante nell’orbita della pubblica amministrazione.La definizione classica di amministrazione non è pertanto dal molto tempo utile a descrivere il fenomeno amministrativo, tagliando fuori aziende autonome municipali, società partecipate, enti pubblici economici, enti autarchici e tutta la galassia di soggetti giuridici “ibridi” che non svolgono la classica attività amministrativa autoritativa, ma hanno in cura la fornitura di servizi e beni che devono essere garantiti secondo l’art. 3 Cost., a prescindere dalle condizioni economiche degli individui.L’attività amministrativa è l’insieme di atti e comportamenti posti in essere da una pubblica amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni per raggiungere gli interessi generali della collettività di riferimento, interessi che vengono individuati dagli organi di indirizzo politico attraverso la legislazione e, in ultima analisi, dalla stessa Costituzione. Tali atti possono quindi essere adottati non solo a prescinder da, ma anche contro la volontà dei soggetti su cui i loro effetti ricadono. Questi li distingue dagli atti consensuali che sono le tipiche manifestazioni di volontà con cui gli individui regolano i loro rapporti giuridici. Rispetto ad essi l’atto o il comportamento amministrativo è imperativo ovvero dotato di una particolare forza giuridica che lo rende efficace ed eseguibile nei confronti del destinatario,in forza dell’autoritarietà del soggetto amministrativo che lo pone in essere (esecutorietà dell’atto amministrativo). L’attività della pubblica amministrazione può concludersi tramite atti consensuali, contratti ad oggetto pubblico e procedimenti che garantiscono una maggiore partecipazione degli interessati rispetto al modello tradizionale.

Principi di rilevanza costituzionale in materia di pubblica amministrazione

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La Costituzione dedica espressamente alcune norme alla pubblica amministrazione, mentre altre si possono desumere implicitamente. Vi è poi una categoria di principi di derivazione comunitaria che sono fondamentali per determinare l’assetto e le linee evolutive della pubblica amministrazione.

L’amministrazione per ministeri

Il modello della Pubblica amministrazione italiana riflette originariamente quello napoleonico, al momento dell’unificazione italiana, infatti venne allargato a tutta la penisola il sistema amministrativo vigente nel Regno di Sardegna che era stato ricalcato proprio su quello francese.La legge n. 1486/1853 (c. legge Cavour) pose a capo di ogni settore amministrativo il ministro competente per materia. Il modello dell’amministrazione per ministeri, caratterizzato da una forte gerarchia e dalla responsabilità diretta dei ministri per l’attività amministrativa esercitata nel loro settore, rappresenta il primo e più risalente modello burocratico dello Stato Italiano, nel quale l’amministrazione statale ministeriale coincide con l’amministrazione pubblica, non essendoci altre strutture pubbliche preposte alla cura degli interessi generali.L’aumento dei compiti statali, l’impegno dello Stato a garantire alcuni diritti sociali, il controllo e la gestione diretta o indiretta di alcuni settori dell’economia portarono alla constatazione che l’amministrazione per ministeri, tipica di uno Stato liberale, dai compiti ridotti non era più sufficiente ma doveva essere abbinata a forme di amministrazione parastatali legate allo Stato e all’Esecutivo, ma estranee e parallele al modello ministeriale, alle quali furono affidate i cd fini secondari dello Stato , ovvero la cura dei servizi pubblici, l’intervento dell’economia con finalità sociale, la promozione dello sviluppo economico del paese.In epoca fascista il cd parastato raggiunse il livello più alto con la creazione di un’amministrazione parallela a quella ministeriale e difficilmente governabile dai ministri.Nonostante il proliferare di un’amministrazione sempre più capillare e disomogenea, la struttura portante della pubblica amministrazione restò quella ministeriale.Tale struttura fu riprodotta sostanzialmente nella Costituzione del 1948, correggendo ma non rivoluzionando l’assetto dello Stato liberale e di quello fascista.

La riserva di legge e il principio di legalità La Costituzione si preoccupa anche di garantire che il funzionamento della pubblica amministrazione non sia totalmente assoggettato all’indirizzo politico di maggioranza. Tra i vari istituti previsti a tal fine si colloca la riserva di legge dell’art. 97 Cost. riguardo all’organizzazione degli uffici pubblici, alle attribuzioni e alle responsabilità dei funzionari. Altra riserva di legge è posta dall’art. 98 Cost. , laddove dispone che per alcune particolari categorie di funzionari pubblici (magistrati, militari di carriera, agenti di polizia , rappresentanti diplomatici) possa essere limitato il diritto di iscriversi ai partiti politici e che i pubblici impiegati che siano anche membri del Parlamento non possono conseguite promozioni se non per anzianità.Accanto alla riserva di legge si colloca il tradizionale principio di legalità come corrispondenza dell’attività amministrativa alla disciplina legislativa. Trova fondamento in varie disposizioni costituzionali oltre allo stesso art. 97, va richiamato l’art. 113 Cost. sulla giustizi abilità degli atti amministrativi, che reca con sé la conseguenza che l’attività amministrativa non può svolgersi in contrasto con la legge (la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa).Dal principio di legalità discendono alcune caratteristiche fondamentali dell’attività amministrativa:

tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi per cui l’autorità amministrativa può adottare solo atti previsti dalla legge e secondo le modalità procedurali ivi prescritte;

eccezionalità degli atti atipici o innominati, come le ordinanze di necessità ed urgenza; discrezionalità amministrativa, per cui la p.a. non è libera di scegliere gli obiettivi da perseguire,

ma dovendo rispettare i limiti positivi e negativi previsti dal legislatore, mantiene una libertà di giudizio e di scelta solo nella misura in cui il legislatore gliela concede. Capita così che vi sia attività e atti in cui la p.a. non ha alcuna libertà di scelta (cd atti dovuti o attività vincolata) e attività e atti

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per i quali ha un margine più ampio nella determinazione dei contenuti pur nel rispetto della legge e dei confini da questa delineati.

La responsabilità della pubblica amministrazione

Nell’impostazione francese napoleonica, responsabile sia politicamente che gestionalmente degli atti amministrativi era il ministro competente per materia. La Costituzione italiana, invece, responsabilizza i singoli agenti della pubblica amministrazione prevedendo all’art. 28 che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili sul piano penale, civile e amministrativo degli atti compiuti in violazione di diritti. Dei danni civilmente liquidati rispondono tuttavia anche le amministrazioni di riferimento. Pertanto ogni singolo agente della pubblica amministrazione può essere citato in giudizio per rispondere di illeciti civili, penali e amministrativi commessi nell’esercizio delle su funzioni, di cui risponde personalmente, mentre a tutela del soggetto danneggiato, è possibile ottenere il risarcimento sia dall’impiegato che dall’amministrazione di cui è dipendente (che potrà poi rifarsi sul patrimonio del funzionario responsabile.L’art. 28 Cost. va letto in combinato con altri due articoli della Costituzione che pongono a carico degli impiegati pubblici doveri più generici e solenni, come quello ad operare in maniera disinteressata al servizio esclusivo della nazione (art. 98 comma 1) e ad adempiere con disciplina e onore alle funzioni pubbliche (art. 54 comma 2).La dimensione della responsabilità della pubblica amministrazione distinta dalla responsabilità politica dei ministri, serve a garantire l’azione amministrativa dal controllo politico del Governo. Separare la responsabilità politica da quella gestionale comporta la garanzia di una maggiore autonomia di operatività dei dirigenti amministrativi rispetto al mondo politico.La Costituzione prevede che all’impiego presso la p.a si acceda, di norma, con concorso pubblico (art. 97, comma 39) evitando che i posti vacanti siano occupati da persone legate al potere politico o comunque non meritevoli.La Costituzione stabilisce che contro gli atti della p.a. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (art. 113 comma 1) e che il “Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della p.a. degli interessi legittimi e in particolare materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. (art. 103 comma1).L’interesse legittimo è la tipica situazione giuridica soggettiva individuale nei confronti dell’amministrazione che si contrappone a quella di diritto soggettivo.

La separazione tra politica e amministrazione

Le disposizioni costituzionali salvaguardano la p.a. da indebite influenze politiche, facendone un soggetto distinto e come tale responsabile del proprio operato, tuttavia hanno trovato sviluppo legislativo a partire a livello locale con la legge 142/1990 (ORDINAMENTO DELLE AUTONOMIE LOCALI, sostituto successivamente dal D.L.vo 267/2000 –TESTO UNICO DLELE LEGGI SULL’ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI) Il D. L.vo 29/1993 sancì la separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione, proprio al fine di aumentare l’autonomia dei dirigenti dalla politica. Tale processo è continuato con il D. L.vo 80/1998, successivamente modificato dal D. L.vo 165/2001, che stabilisce che i Ministri non possono essere revocare,riformare,riservare o avocare a sé o comunque adottare atti di competenza dei dirigenti, ma possono svolgere una funzione di definizione degli obiettivi e programmi e di verifica e controllo dei risultati. Pertanto in caso di inerzia del dirigente il ministro non può sostituirsi ad esso ma può nominare un commissario incaricato di compiere gli atti che il primo avrebbe dovuto adottare. Gli atti dei dirigenti generali non possono essere annullati dal ministro perché non vi è rapporto gerarchico tra questi.Il Governo esercita un potere di indirizzo e controllo sull’amministrazione statale e quest’ultima deve per poter operare perseguendo gli interessi generali di cui ha la cura concreta, anteponendoli ai desideri politici.

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Lo spoils system è un istituto, di derivazione anglosassone, che consiste nella possibilità per la nuova maggioranza politica di collocare persone di propria fiducia nei ruoli apicali della p.a.Ciò può apparire in contraddizione con il principio dell’autonomia e della responsabilità gestionale, tuttavia è attuazione del principio di correlazione tra attività di indirizzo politico e attività amministrativa. Il corretto bilanciamento tra questi opposti principi dipende dalle modalità attuative dello spoils system: esso sarà conforme alla Costituzione nella misura in cui riguarderà i ruoli di maggiore responsabilità dell’apparato burocratico mentre sarà difficilmente giustificabile per le posizioni amministrative che non sono a stretto contatto con i vertici politici.

Decentramento e pluralismo amministrativo

La Costituzione accoglie l’obiettivo del più ampio decentramento amministrativo e mentre mantiene l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, consacra i principi dell’autonomia e del decentramento , promuovendo le autonomie locali (art. 5). L’autonomia delle amministrazioni territoriali è stata rafforzata negli ultimi anni grazie al conferimento di potestà e funzioni amministrative effettuato nel 1997 da una riforma legislativa, poi nel 2001 attraverso la revisione del titolo V che individua come enti fondamentali prima gli enti locali e poi l’ente regionale ed infine lo Stato.In base all’art. 118 le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni,Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione adeguatezza.Il principio di sussidiarietà nei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali (cd. sussidiarietà verticale) prevede che i comuni sono titolari naturali delle funzioni amministrative salvo che esse non possano essere svolte in maniera più efficiente ed efficace dagli enti di governo superiori.Accanto alla sussidiarietà verticale vi è la sussidiarietà orizzontale mirante a regolare le capacità gestionali degli enti pubblici con quelle dei soggetti dell’ordinamento giuridico. Tutti i livelli di governo , dallo Stato ai Comuni, debbono infatti favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.La Costituzione italiana, dopo la riforma del 2001 va pertanto oltre il semplice decentramento amministrativo, introducendo un pluralismo amministrativo che comporta il riconoscimento della capacità di cure e gestione degli interessi generali anche da parte dei privati in forma individuale o associata.

I principi relativi al rapporto tra la P.A. e i soggetti dell’ordinamento giuridico

Alcuni dei principi di rilevanza costituzionale riguardano direttamente il rapporto tra la sfera pubblica e la sfera privata.Principio di imparzialità sottintende l’obbligo per la P.A. di svolgere la propria attività in maniera disinteressata rispetto alle situazioni giuridiche coinvolte dall’azione amministrativa e in maniera equidistante rispetto ai soggetti interessati. Tale principio previsto espressamente dall’art. 97 comma 1 Cost. si desume implicitamente anche dagli artt. 54, comma 2 e 98, comma 1 sul dovere del funzionario di svolgere il proprio lavoro con disciplina e onore, al servizio esclusivo della nazione. Il fine dell’imparzialità è quello di obbligare l’amministrazione, nella ponderazione degli interessi generali e particolari che deve compiere ogni volta che deve adottare un atto o assumere un comportamento, a valutare oggettivamente tali interessi.Imparzialità significa non solo equidistanza tra gli interessi in gioco ma anche capacità di individuare, tramite una corretta ponderazione di questi , l’interesse prevalente a cui prestare tutela e il modo migliore per realizzarla . Da ciò discendono alcuni principi che si collegano alla nozione, peraltro mutuata dal diritto comunitario, di un giusto procedimento amministrativo e i principi di pubblicità e trasparenza di cui la legge 241/1990 sul procedimento amministrativo e di partecipazione.La conoscibilità dell’attività amministrativa, generalmente garantita tramite la pubblicità e la motivazione degli atti, attuata tramite il diritto di accesso agli interessati è sia uno stimolo per l’amministrazione ad agire legittimamente, sia una garanzia di maggiore possibilità di considerare ,durante la fase istruttoria del

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procedimento tutti gli interessi, pubblici, privati, collettivi, diffusi, coinvolti nella decisione che dovrà adottare la P.A. Il principio del buon andamento di cui all’art. 97, comma 1 Cost. è quello che reca con sé la maggior parte dei principi impliciti, trattandosi di una clausola aperta e molto generica. L’attività amministrativa deve essere orientata all’ottimizzazione dei risultati in relazione ai mezzi utilizzati ( p. economicità),all’adeguamento delle risorse rispetto agli obiettivi da realizzare (p. efficienza) e alla capacità di raggiungere utilmente i risultati richiesti (p. efficacia).Mentre economicità ed efficacia sono espressamente previsti dalla legge 241/1990, l’efficienza, quale capacità della P.A. di agire tempestivamente con il minor dispendio di risorse raggiungendo lo scopo desiderato, non è espressamente menzionato ma viene ricondotto al più ampio dovere del buon andamento della P.A.La P.A. non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dall’istruttoria (divieto di aggravamento del procedimento).L’azione amministrativa deve essere condotta secondo regole di snellezza e di celerità che evitino irrigidimenti e aggravamenti burocratici (principio di semplificazione).Vi sono inoltre dei principi di derivazione comunitaria che sono riconosciuti tra i principi generali dell’attività amministrativa ai sensi della legge 15/2005, di modifica del procedimento amministrativo, tra questi il principio di certezza del diritto che garantisce la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici collegandosi direttamente al principio del legittimo affidamento (che garantisce la posizione giuridica di colui al quale l’amministrazione ha indotto ragionevoli aspettative di tutela), restringendo l’utilizzabilità della revoca degli atti amministrativi e il principio di proporzionalità il quale garantisce che la P.A. agisce solo e nella misura in cui ritenga necessario intervenire, assicurando il minor sacrificio possibile per coloro che sono contro-interessati alla sua attività.

GLI ATTI AMMINISTRATIVI, I VIZI E I RIMEDI

Gli atti della P.A.La P.A. persegue gli scopi per i quali è costituita attraverso una serie di atti, comportamenti e attività giuridicamente distinti rispetto a quelli di natura privata, tuttavia può adottare anche atti di diritto privato, anzi la legge sul procedimento amministrativo impone che debba agire secondo regole di diritto privato ogni qualvolta non debba adottare atti autoritativi.Gli atti di diritto pubblico restano comunque la categoria principale degli atti adottati da una P.A.L’insieme più importante di atti amministrativi è costituito dai provvedimenti: manifestazioni di volontà aventi rilievo esterno che provenendo dalla P.A. nell’esercizio delle sue funzioni sono in grado di determinare effetti giuridici in maniera unilaterale, a prescindere dal concorso della volontà dei soggetti su cui tali effetti ricadono.Sono atti imperativi capaci di costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive (imperatività del provvedimento). Nel caso in cui i destinatari dell’atto non collaborino al raggiungimento degli effetti da esso prodotto, esso può comunque trovare esecuzione unilateralmente (esecutorietà del provvedimento). Per evitare che la P.A. abusi dei suoi poteri e agisca arbitrariamente il principio di legalità la obbliga ad utilizzare procedimenti e modelli provvedi mentali previsti tipicamente e nominativamente dalla legge.I provvedimenti sono solo quelli previsti dall’ordinamento e ciascuno di essi è funzionale a realizzare un interesse pubblico specifico (tipicità e nominatività dei provvedimenti). Provvedimenti restrittivi riducono la sfera giuridica del destinatario imponendogli obblighi o divieti

oppure limitandone facoltà e diritti. Fanno parte di questa categoria i comandi (es. ordine di demolizione di un fabbricato) divieti ( es. circolazione automobilistica), i provvedimenti ablativi (es. l’espropriazione)

Provvedimenti ampliativi che aumentano la sfera giuridica del destinatario consentendogli o conferendoli nuove posizioni giuridiche attive. Tra esse vi sono le ammissioni (es. conferimento di cittadinanza), le iscrizioni (es. iscr. Albo professionale) le autorizzazioni (rilascio della patente) le

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concessioni ( es. all’uso di un bene demaniale) le dispense ( es. dal servizio militare). Importante è la distinzione tra:

Autorizzazioni in quanto la P.A. rimuove l’ostacolo dell’esercizio di un diritto comunque spettante al soggetto richiedente

concessioni viene attribuito al richiedente un diritto che originariamente non possiede .

I provvedimenti amministrativi sono adottati a seguito di un procedimento amministrativo ovvero una sequenza preordinata di atti (atti endoprocedimentali, manifestazioni di conoscenza e giudizio, atti di controllo) , finalizzati a produrre un atto finale.Provvedimenti e atti amministrativi rappresentano la modalità tradizionale con cui la P.A. svolge la propria attività , tuttavia accanto a questi vi sono anche i contratti pubblici e gli atti consensuali che può stringere sia con soggetti dell’ordinamento giuridico che con altre P.A., secondo gli schemi tipici del diritto privato, benché permangano specifiche regole giuridiche che li distinguono dagli ordinari negozi giuridici tra privati.

I vizi degli atti amministrativi

La patologia dell’atto amministrativo , cioè i casi in cui l’azione della P.A. si presenti viziata sul piano giuridico , segue regole che discendono dai caratteri tipici dell’attività amministrativa rispetto all’attività di diritto privato.I vizi degli atti amministrativi conseguenti alla loro contrarietà alla norma previa , così come quelli degli altri atti giuridici assoggettati al principio di legalità, sono definiti vizi di legittimità e si distinguono in:

Vizi formali ,qualora siano violate le norme che disciplinano il procedimento di produzione dell’atto;

Vizi sostanziali, quando si tratti di contrasto con il contenuto della norma previa; Vizi di merito, quando si tratta di atti inopportuni;

I vizi di legittimità sono di tre tipi: Violazione di legge: consiste nel mancato rispetto di norme giuridiche inderogabili ( non solo della

legge come atto tipico del Parlamento), Incompetenza: si verifica quando l’autore dell’atto è diverso da quello a cui l’ordinamento assegna

il potere di emanare l’atto stesso. Si distingue incompetenza relativa se l’amministrazione da cui proviene l’atto è competente ma non lo è il soggetto autore dell’atto stesso (es. un dirigente comunale emana un atto di competenza del sindaco), da incompetenza assoluta, che determina un atto nullo per difetto assoluto (es. un rettore che emana un atto di competenza del sindaco).

Eccesso di potere: è un vizio che riguarda la discrezionalità amministrativa e si può realizzare con modalità diverse anche se esistono alcune figure sintomatiche ovvero situazioni che sono sintomo di un possibile vizio dell’atto:travisamento dei fatti (quando la decisione dell’amministrazione si basa su un’erronea rappresentazione di alcuni fatti concreti;sviamento di potere (quando l’amministrazione emana un atto per raggiungere uno scopo diverso da quello per il quale è previsto);l’illogicità (quando l’atto è viziato da una contraddizione interna, ad esempio tra la motivazione -che è sempre obbligatoria- e la decisone)la disparità di trattamento (quando l’amministrazione in due situazioni uguali è giunta a conclusioni diverse o quando, senza alcuna motivazione, l’amministrazione si discosta da prassi consolidate).

Occorre distinguere i vizi degli atti amministrativi in base alle conseguenze che possono produrre: Nullità: è la conseguenza della mancanza degli elementi essenziali, del difetto assoluto di

attribuzione e della violazione o elusione del giudicato (art. 21 septies, legge n. 241/1990) che non può essere sanata;

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Annullabilità: è quella che colpisce più frequentemente gli atti amministrativi ed è determinata da vizi meno gravi.

I rimedi contro i vizi degli atti amministrativi:tutela amministrativa e giurisdizionale

La P.A. dinanzi ad un proprio atto annullabile può decidere autonomamente di sanare il vizio (se sanabile) o di annullare l’atto (autotutela).In entrambi i casi la legge prevede che la decisione circa la sanatoria o l’annullamento debba essere presa dall’amministrazione stessa sempreché sussistano ragioni di interesse pubblico e comunque entro un tempo ragionevole. In caso di annullamento l’amministrazione deve tenere conto degli interessi dei destinatari e degli eventuali contro-interessati. Oltre all’autotutela, di fronte ad un atto della P.A. che presenti un vizio esistono due tipi di rimedi:

1. VIA AMMINISTRATIVA : facendo valere i vizi di fronte alla P.A. 2. VIA GIURISDIZIONALE: facendo valere i vizi dinanzi al giudice.

RIMEDI IN VIA AMMINISTRATIVALa tutela amministrativa si attiva mediante un ricorso all’amministrazione:

1. Ricorso in opposizione: ha come destinatario l’organo che ha emanato l’atto e può essere presentato solo nel caso in cui sia espressamente previsto dalla legge;

2. Ricorso gerarchico proprio: il soggetto si rivolge all’organo gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l’atto viziato chiedendo di revocare, annullare o modificare l’atto. Tale ricorso è sempre ammesso, a meno che non sia espressamente escluso dalla legge e va presentato entro 30 giorni dal momento in cui il soggetto ne ha avuto conoscenza. Si intende respinto se l’amministrazione non risponde entro 90 giorni (cd silenzio rigetto) .

3. Ricorso gerarchico improprio: il soggetto si rivolge a un organo diverso da quello gerarchicamente superiore all’autore dell’atto viziato. Può essere presentato solo nel caso in cui la legge lo preveda espressamente;

4. Ricorso straordinario al capo dello Stato: può riguardare solo provvedimenti definitivi (cioè atti rispetto ai quali non sia più esperibile alcun tipo di ricorso amministrativo o comunque se proposto sia stato respinto e può avere ad oggetto solo vizi di legittimità. E’ un rimedio alternativo alla tutela giurisdizionale ovvero chi presenta ricorso straordinario al capo dello Stato non può chiedere ad un giudice di annullare l’atto viziato.

RIMEDI IN VIA GIURISDIZIONALE

Attraverso la tutela giurisdizionale possono essere fatti valere solo vizi di legittimità degli atti amministrativi.La Costituzione riconosce a tutti la facoltà di ricorrere ad un giudice per la violazione dei propri diritti soggettivi ovvero dei propri interessi legittimi causata da un atto della P.A. Se è leso un diritto soggettivo si potrà ricorrere al giudice ordinario, se è leso l’interesse legittimo si ricorrerà al giudice amministrativo.

La burocrazia pubblica in Italia e la necessità di una riforma

L’esperienza dello Stato sociale ha dimostrato che un eccesso di burocrazia oltre che inutile al soddisfacimento dei bisogni sociali è dannoso alle casse pubbliche e dunque ai soggetti dell’ordinamento giuridico che sono costretti tramite la fiscalità a sostenere il sistema amministrativo.Si è avviato un processo di snellimento della P.A. attraverso la:

1. Semplificazione;2. Soppressione degli enti inutili ;3. Privatizzazione degli enti pubblici economici e liberalizzazione dei servizi pubblici ;4. Informatizzazione, anche attraverso il modello cd. e-government che dovrà facilitare gli individui ad

interagire con la P.A.;

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5. Responsabilizzazione:una recente riforma del pubblico impiego del 2009 (legge delega 15/2009 e relativo D. L.vo 150/2009) ha reso sanzionabili i comportamenti inefficienti del personale della P.A., prevedendo una serie di strumenti di verifica , controllo e sanzione disciplinare e contrattuale delle inefficienze dovute alla mancata responsabilizzazione del personale. La riforma ha investito la disciplina della dirigenza pubblica in quanto i dirigenti diventano i reali e definitivi responsabili della gestione delle risorse umane e del rendimento degli uffici che dirigono.

IL CIRCUITO DELLE GARANZIE

Esiste un ambito di scelte che la Costituzione sottrae alle maggioranze politiche per affidarlo al circuito delle garanzie cioè all’insieme di organi indipendenti dal potere politico e sprovvisti di legittimazione democratica che agiscono sulla base di una legittimazione di tipo tecnico-giuridico.Tali organi sono guidati dalle regole giuridiche che istituzionalmente sono chiamati a garantire e devono motivare le decisioni che prendono, indicando i vari passaggi logici del ragionamento in modo da dimostrare di aver svolto correttamente il proprio ruolo al riparo da spinte politiche.Tra gli organi di garanzia :

CORTE COSTITUZIONALE che esercita la funzione di giustizia costituzionale e che rappresenta un elemento caratteristico dello Stato contemporaneo;

MAGISTRATURA che applica le regole giuridiche alla risoluzione delle controversie; AUTORITA’ INDIPENDENTI nuovi organi di garanzia che sono stati introdotti nel nostro

ordinamento negli ultimi decenni attraverso la legislazione ordinaria per tutelare alcuni diritti o regolamentare specifici settori e che sono sprovvisti di specifica disciplina di rango costituzionale;

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA svolge un’importante funzione di garanzia collocandosi sulla linea di snodo tra circuito della decisione politica e circuito delle garanzie.

La giustizia costituzionale

E’ una forma di garanzia giurisdizionale cella rigidità della Costituzione ovvero della sua supremazia su tutti gli atti e i comportamenti dei poteri pubblici compresa la legge del Parlamento.Questa funzione è svolta dalla CORTE COSTITUZIONALE, soggetto estraneo al circuito dell’indirizzo politico che agisce attraverso lo strumento del processo e si pronuncia con le forme tipiche del potere giudiziario (ordinanze, decreti e soprattutto sentenze).Il nucleo centrale della giustizia costituzionale è il controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi oltre che altre varie competenze: risoluzione dei conflitti,controllo sulle elezioni, controllo sui partiti etc,)La giustizia costituzionale risale al 1803 quando la Corte Suprema statunitense stabilì di poter controllare la costituzionalità di una legge.In Europa, la diffidenza nei confronti del potere giudiziario e il ruolo centrale della legge impedirono per tutto l’800 l’introduzione di qualsiasi forma di giustizia costituzionale. Fu dopo la Prima guerra mondiale che il controllo della costituzionalità delle leggi fu introdotto nelle Costituzioni di Austri e Cecoslovacchia (1920) (modello austriaco)Il modello statunitense viene definito:

Diffuso in quanto il controllo della costituzionalità delle leggi è svolto da qualsiasi giudice nell’esercizio dei suoi ordinari poteri interpretativi;

Concreto in quanto il controllo viene svolto nel momento in cui il giudice deve applicare una legge ad un caso concreto;

Incidentale il controllo di costituzionalità costituisce un “incidente” processuale nell’ambito di un giudizio che ha un oggetto diverso, nel quale ad un certo punto sorge un dubbio sulla costituzionalità di una norma che deve essere applicata.

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EFFETTI:le decisioni di incostituzionalità producono la disapplicazione della legge nel caso concreto (inter partes) e retroattiva (ex tunc) riguardando comunque eventi del passato ai quali se non fosse ritenuta incostituzionale la legge dovrebbe essere applicata.

Il modello austriaco viene definito: Accentrato in quanto ai singoli giudici non è consentito disapplicare le leggi incostituzionali ma tale

controllo può essere svolto soltanto da un giudice specializzato (tribunale costituzionale); Astratto in quanto il controllo di costituzionalità delle leggi svolto indipendentemente

dall’applicazione della legge ad un caso concreto; Principale in quanto esiste un giudizio che si instaura appositamente per il controllo della

costituzionalità della legge, su iniziativa dei soggetti ai quali tale potere è conferito dall’ordinamento (solitamente organi dello Stato o minoranze parlamentari).

EFFETTI: le decisioni di incostituzionalità producono la privazione di efficacia della legge per tutti i soggetti dell’ordinamento (erga omnes) e per il futuro (ex nunc).Questo modello di giustizia costituzionale, seppure con diversi adattamenti e modifiche, ha avuto larghissima diffusione a partire dal Secondo dopoguerra , quando fu introdotto nelle Costituzioni Dell’Italia e della Germania.

La giustizia costituzionale in Italia:un sistema accentrato in un giudice speciale

In Itali il controllo di costituzionalità delle leggi è stato introdotto per la prima volta nella Costituzione del 1948, anche se la giustizia costituzionale ha iniziato effettivamente a funzionare solo nel 1956, anno in cui sono stati nominati tutti i membri della Corte Costituzionale.Il sistema di giustizia costituzionale disciplinato nella Costituzione Italiana rientra nel modello austriaco a privilegio del legislatore, in quanto solo la Corte Costituzionale può dichiarare l’incostituzionalità delle leggi: i giudici comuni, pertanto non possono rifiutarsi di applicare le leggi incostituzionali ma devono rivolgersi alla Corte Costituzionale, qualora abbiano dubbi sulla costituzionalità delle leggi che debbono applicare nel giudizio.La Corte Costituzionale è disciplinata dalla sezione I del titolo VI della Costituzione (garanzie costituzionali) agli artt. 134-137 oltre che dalla legge cost. n. 1/1948, dalla legge cost. n.1/1953 e dalla legge n. 87/1953.Come elencato nell’art. 134 Cost. giudica:

Sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni (attualmente circa il 90% delle sentenze) ;

Sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le regioni e tra le regioni; Sulle accuse promosse dal Parlamento in seduta comune contro il P.d.R.; esercita il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo (legge cost. n. 1/1953) .

L’art. 135 Cost. stabilisce che è composta da 15 giudici che sono nominati per 1/3 dal P.d.R., per 1/3 dal Parlamento in seduta comune e per 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa (3 dalla Corte di Cassazione, 1 dal Consiglio di Stato e 1 dalla Corte dei Conti).I giudici costituzionali sono selezionati tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo 20 anni di esercizio della professione forense. Nel giudizio per i reati Presidenziali la composizione (composizione integrata) della Corte è estesa a 16 giudici aggregati tratti a sorte da un elenco compilato in Parlamento ogni 9 anni.La durata della carica di giudice costituzionale è di 9 anni e il mandato non può essere rinnovato. Tra i suoi membri la Corte elegge un Presidente che resta in carica per 3 anni.Le competenze tecniche-giuridiche sono assicurate dai requisiti che i giudici costituzionali devono avere (consolidata esperienza nel mondo del diritto + la presenza di 5 giudici eletti dalla supreme magistrature).La sensibilità politica è garantita dal fatto che 10 giudici sono eletti da soggetti non giurisdizionali , che 5 giudici eletti dal Parlamento in seduta comune lo sono con maggioranza qualificata del 2/13 nei primi 2 scrutini e successivamente dei 3/5, e che altri 5 giudici sono direttamente nominati dal P.d.R.Senza nessuna partecipazione del Governo.

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Il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi

Può essere instaurato attraverso 2 vie:1. il giudizio in via incidentale: si caratterizza per l’importante ruolo svolto dal giudice comune (giudice a

quo) che può sollevare la questione di costituzionalità nel momento in cui deve applicare una legge in un giudizio pendente di fronte a lui. Egli qualora abbia un dubbio (sorto d’ufficio o su istanza di parte) sulla costituzionalità della legge che deve applicare, può sospendere il processo e richiedere l’intervento della Corte Costituzionale. A tal fine deve emanare un’ordinanza di rimessione, nella quale deve motivare l’esistenza della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Per rilevanza della questione di legittimità costituzionale si intende l’applicabilità del testo normativo che si ritiene incostituzionale nel giudizio innanzi al giudice a quo: il giudice deve motivare sulla necessità di applicare la norma per risolvere la controversia.Per non manifesta infondatezza si intende l’esistenza di un dubbio ragionevole circa la costituzionalità della norma. Il giudice deve dimostrare che la questione di legittimità costituzionale ha un fumus ovvero che egli nutre un dubbio ragionevole e non campato in aria sulla costituzionalità della norma

2. Il giudizio in in via principale è disciplinato nell’art. 127 Cost. e può essere promosso con ricorso dallo Stato qualora ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione o dalle regioni quando ritengano che una legge statale invada la loro competenza. La legge deve essere impugnata entro 60 giorni dalla pubblicazione, per cui una volta decorso questo termine tale rimedio non è più esperibile e per ottenere l’eliminazione di una legge incostituzionale non resta che la via incidentale.Per le regioni il giudizio in via principale serve a difesa delle proprie competenze legislative, per lo Stato è uno strumento attraverso il quale far valere le esigenze unitarie dell’ordinamento nei confronti delle regioni. Dopo la riforma costituzionale del 2001 tale giudizio ha conosciuto un incremento quantitativo considerevole, dovuto alle incertezze generate dal nuovo testo dell’art. 117 Cost, ma il giudizio incidentale resta ancora la via d’accesso più utilizzata.Non esiste la possibilità di un accesso diretto da parte dei singoli individui , i quali possono solo impugnare un atto applicativo della legge e chiedere al giudice di sollevare la questione di legittimità costituzionale, ma questi può anche rifiutarsi.

L’oggetto e il parametro del giudizio di legittimità costituzionale

Nell’atto introduttivo del giudizio (ordinanza di remissione nel giudizio in via incidentale o ricorso nel giudizio in via principale) deve essere indicata la questione (thema decidendum sul quale la Corte è chiamata a decidere) si costituzionalità che si compone di 2 elementi:

1. Oggetto del giudizio di legittimità costituzionale è costituito dagli atti della cui legittimità costituzionale si dubita, in particolare possono essere oggetto del giudizio tutte le fonti primarie mentre sono esclusi i regolamenti governativi, le altre fonti secondarie e gli atti amministrativi. Tali fonti e atti possono essere disapplicati inter partes dai giudici ordinari o annullati con effetti erga omnes dai giudici amministrativi.La Corte Costituzionale ha rifiutato di sindacare i regolamenti parlamentari poiché atti interni alle Camere. Quanto ai regolamenti comunitari la Corte li ritiene esclusi dal suo sindacato poiché non rientrano tra gli atti aventi forza di legge “dello Stato e delle regioni” ai quali si riferisce l’art. 134 Cost.

2. Parametro, ovvero la norma della Costituzione (o legge costituzionale) che si reputa violata ( sono escluse le fonti primarie). In alcuni casi è possibile che le fonti primarie operando come norme interposte costituiscano paramenti in via indiretta del giudizio.

Le decisioni: tipologie ed effetti

La Corte Costituzionale al termine del suo giudizio può pronunciarsi con ordinanza o con sentenza.

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Le ordinanze sono decisioni brevi, motivate sinteticamente con le quali la Corte rigetta la questione di legittimità costituzionale senza entrare nel merito , ritenendo che manchino alcuni requisiti essenziali, oppure dichiara la questione inammissibile in quanto già risolta in senso positivo; o ancora la dichiara manifestamente infondata perché del tutto carente del fumus necessario.Le sentenze, invece sono decisioni più ampiamente motivate con le quali la Corte si pronuncia sul merito della questione di legittimità costituzionale che le è stata sottoposta; in esse la Corte effettua il confronto tra l’oggetto ed il parametro. Possono essere di accoglimento o di rigetto. Con le sentenze di accoglimento la Corte accoglie la questione di legittimità costituzionale quindi dichiara la incostituzionalità degli atti normativi sottoposti al suo giudizio e sulla base dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge 87/1953, determinano la perdita di efficacia, erga omnes ed ex tunc (retroattiva) delle norme dichiarate incostituzionali che non possono più trovare applicazione in nessun giudizio.L’effetto retroattivo delle sentenze di accoglimento incontra il limite dei cd rapporti esauriti, in quanto qualora in applicazione della legge successivamente dichiarata incostituzionale sia stata pronunciata una sentenza passata in giudicato, oppure siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza per poter promuovere un giudizio, tali rapporti non vengono rimessi in discussione e la legge incostituzionale continua a trovare applicazione. Il valore della certezza del diritto è stato ritenuto prevalente sull’esigenza di assicurare la conformità a Costituzione di tutte le leggi ad eccezione nei casi in cui con la sentenza passata in giudicato sia stata disposta una pena che comporta la limitazione della libertà personale.Con le sentenze di rigetto la Corte Costituzionale rigetta la questione di legittimità, così come le è stata proposta, dichiarandola non fondata. La questione in futuro può essere riproposta anche negli stessi termini. Gli effetti di questo tipo di sentenza hanno carattere preclusivo in quanto il giudice a quo nello stesso giudizio non può risollevare la stessa questione (può farlo in un altro giudizio oppure lo può fare un altro giudice in un altro grado dello stesso giudizio).Oltre alle sentenze di accoglimento o di rigetto la Corte può pronunciare:

Sentenze interpretative di accoglimento con le quali la Corte accoglie la questione di legittimità costituzionale con esclusivo riferimento ad una norma desumibile dalla legge per via interpretativa (dichiarandola incostituzionale “nella parte in cui prevede ….”) ;

Sentenze interpretative di rigetto con le quali la Corte rigetta la questione sulla base di una specifica interpretazione della legge (dichiarandola non fondata “nei sensi e nei modi di cui in motivazione”);

Sentenze di inammissibilità quelle con le quali la Corte dichiara inammissibile una questione sollevata in via incidentale perché il giudice a quo non ha tentato di dare alla disposizione un’interpretazione conforme a Costituzione;

Sentenze manipolative sono sentenze di accoglimento che non si limitano ad eliminare una norma nell’ordinamento ma introducono nuove norme ritenute costituzionalmente necessarie come le sentenze additive e quelle sostitutive.Con le sentenze additive la Corte dichiara l’incostituzionalità di una omissione legislativa aggiungendo allo stesso tempo la norma mancante.Con le sentenze sostitutive dichiara incostituzionale una norma e nello stesso momento colma il vuoto che si viene a determinare, aggiungendo la norma mancante.

Con le decisioni manipolative la Corte si sostituisce al legislatore ma ne invade la sfera. Ciò spiega la grande cautela con la quale si fa ricorso a questa tecnica decisionale, circoscrive nolo ai casi in cui esista un’unica soluzione conforme a Costituzione che necessita della “addizione” di una norma mancante.

Le altre competenze: in particolare i conflitti di attribuzione

La seconda competenza della Corte Costituzionale è il giudizio sui conflitti di attribuzione.a) I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato

Possono essere ricondotti a questa categoria non solo il potere legislativo, esecutivo e giudiziario (Ogni singolo giudice è legittimato a sollevare un conflitto di attribuzione poiché si tratta di un “potere diffuso”) ma anche tutti gli organi costituzionali compresi il P.d.R. e la Corte Costituzionale ,

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nonché ogni altro organo a rilevanza costituzionale come la Corte dei Conti e figure soggettive esterne allo Stato apparato , quando esercitano funzioni pubbliche di rilievo costituzionale come i promotori dei referendum.L’oggetto del conflitto è costituito da qualunque atto anche omissivo imputabile a un potere dello Stato che sia ritenuto lesivo della sfera costituzionale di un altro potere.Il parametro è invece dato da tutte le norme costituzionali che determinano la sfera di competenza a ciascun potere.Il procedimento può essere avviato attraverso un ricorso con il quale uno dei poteri dello Stato denuncia una lesione delle sue attribuzioni .La decisione dovrà dichiarare qual è il potere al quale spetta la competenza controversa e se necessario annullare l’atto che ha dato luogo al conflitto.

b) I conflitti di attribuzione tra Stato e regionil’oggetto del conflitto è costituito da qualsiasi atto dello Stato o delle regioni che invada la sfera di competenza dell’uno o dell’altre (es. gli atti amministrativi, le sentenze, le fonti secondarie . Sono escluse le leggi in quanto sono oggetto del giudizio in via principale.Il parametro è costituito da tutte le disposizioni della Costituzione talvolta anche dalle fonti primarie integrative del testo costituzionale.Il giudizio si instaura con un ricorso dello Stato o della regione contro l’atto ritenuto lesivo della propria sfera di competenza che deve essere promosso entro 60 giorni dal momento in cui ne vengono a conoscenza.Sulla base del ricorso la Corte Costituzionale individua l’ente cui spetta la competenza e se necessario annulla l’atto adottato dal soggetto incompetente.

c) Il giudizio sulle accuse promosse contro il P.d.R.;d) Il giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo (introdotto dalla legge costituzionale n.

1/1953).

L’evoluzione del sistema di giustizia costituzionale in Italia dal 1956 ad oggi

La Corte Costituzionale ha contribuito,nei 55 anni dalla sua istituzione, a difendere i principi e i valori dello Stato costituzionale e a rendere viva la Costituzione attraverso la sua attività di interpretazione e attuazione.Ciò è avvenuto attraverso 4 fasi che corrispondono alle diverse epoche dello sviluppo dell’Italia Repubblicana:1. Dal 1956 agli inizi anni 70 -Attuazione della Costituzione o promozione delle riforme

Elimina, attraverso la dichiarazione di incostituzionalità, le leggi adottate durante il regime fascista, operando, sostituendosi talvolta al legislatore, come organo di modernizzazione e di democratizzazione dell’ordinamento italiano;

2. Dalla metà degli anni 70 fino alla metà degli anni 80 –mediazione dei conflitti sociali e politiciGiudica la costituzionalità di leggi più recenti, approvate dal Parlamento repubblicano, operando attraverso lo strumento del controllo di ragionevolezza, ovvero all’adeguatezza delle decisioni del legislatore alla realtà concreta, alla loro proporzionalità ed equità;

3. Dalla metà degli anni 80 fino alla metà degli anni 90-efficienza operativa La Corte si è impegnata a smaltire l’arretrato che si era venuto a creare negli anni precedenti

4. Dalla metà degli anni 90 –multilivello di giustizia costituzionaleAttraverso il dialogo con i giudici nazionali ed sovranazionali cerca di difendersi dal coinvolgimento nell’attualità politica . Da una parte tende a decentrare il controllo di costituzionalità richiedendo sempre più spesso ai giudici comuni di fornire un’interpretazione della legge conforme alla Costituzione prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale in quanto in caso contrario sono dichiarate inammissibili.Dall’altra fa di frequente riferimento alle fonti e alle giurisdizioni sovranazionali. Con le sentenze 348 e 349/2007 ha infatti dichiarato che la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, così come applicata e

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interpretata dalla Corte Europea, è una norma interposta e di conseguenza le leggi italiane che la violano sono incostituzionali .

LA MAGISTRATURA

I giudici nella tradizione degli ordinamenti di civil law e di common law

A seguito della Rivoluzione francese, in Francia e nell’Europa continentale si è affermato il sistema di civil law dove ai giudici viene attribuito un ruolo subordinato a quello del potere legislativo e hanno soltanto la funzione di applicare la legge ai casi concreti. Le loro decisioni servono a risolvere le singole controversie e non creano vincoli nei confronti degli altri giudici: i precedenti giudiziari non sono vincolanti.Nel Regno Unito si è sviluppato il sistema common laz, nel quale i giudici godono di un margine di creatività molto più ampio in quanto non si limitano ad applicare meccanicamente la legge alle singole fattispecie concrete, ma attraverso l’interpretazione l’innovano . Le pronunce adottate sono vincolanti nei confronti degli altri giudici che hanno l’obbligo di conformarsi al loro contenuto quando decidono casi analoghi (principio del precedente vincolante o dello stare decisis).L’ordinamento italiano appartiene alla tradizione giuridica di civil law per cui nell’epoca dello Stato liberale i giudici godevano di un limitato margine di discrezionalità nell’applicazione del diritto. Circoscritte erano anche le garanzie di indipendenza dal potere esecutivo in quanto, secondo lo Statuto Albertino, i giudici erano nominati dal re e ampie competenze spettavano al ministro della giustizia, mentre il P.M era il rappresentante del governo presso l’autorità giudiziaria.Durante il fascismo l’indipendenza della magistratura fu ulteriormente circoscritta a causa del generale contesto di soppressione dei diritti e delle libertà fondamentali.Sulla base di queste premesse storiche i costituenti elaborarono i principi costituzionali sulla magistratura, che hanno assicurato alla stessa un livello di indipendenza tra i più elevati al mondo.

I principi costituzionali sulla magistratura e la giurisdizione

I Principi relativi alla magistratura e alla giurisdizione sono contenuti sia nella prima che nella seconda parte della Costituzione e possono essere letti da un duplice punto di vista, quello degli individui, rispetto ai quali costituiscono altrettanti diritti e quello delle istituzioni, rispetto alle quali si configurano come principi organizzativi.Dal punto di vista dei soggetti dell’ordinamento, l’art. 24 Cost. stabilisce che il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del giudizio e riconosce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. In tale disposizione si afferma inoltre che sono garantiti ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio.L’art. 111 Cost.(modificato dalla legge cost. 2/1999) stabilisce i principi relativi alle modalità di svolgimento del processo, in particolare al primo comma si afferma che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”.Secondo tale disposizione il processo si svolge sulla base del principio del contradditorio tra le parti: l’imputato e la parte lesa dal reato sono posti in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo e imparziale ed hanno le stesse garanzie di difesa. Il contradditorio deve caratterizzare non solo lo svolgimento del processo ma anche la fase di ricerca delle prove.L’art. 111 Cost. stabilisce il principio dell’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali e tale obbligo è funzionale alla garanzia del doppio grado di giudizio.L’art. 25Cost. afferma che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. In base a tale principio (precostituzione del giudice)il giudice competente a risolvere una controversia deve essere stato determinato prima che sia avvenuto il fatto dal quale essa ha avuto origine.I principi relativi alla posizione e alle funzioni dei magistrati sono contenuti nel titolo IV della parte II della Costituzione, tra questi vi sono l’autonomia e l’indipendenza espressi dall’art. 104 comma 1 Cost. secondo il

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quale “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” e dall’art.101, comma 2 Cost. , il quale stabilisce che “ i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.La posizione dei giudici è protetta dall’influenza e controllo all’interno ( indipendenza interna) dello stesso potere giudiziario sia con l’esclusione di interferenze di altri poteri dello Stato (indipendenza esterna) INDIPENDENZA INTERNA:organizzazione della magistratura e funzionamento della stessa

Nell’organizzazione della magistratura è escluso il principio gerarchico in quanto non esiste nessun vincolo di subordinazione dei magistrati rispetto ad altri giudici superiori (art. 107 comma 3 Cost.) ma si distinguono solo per diversità di funzioni.Ogni giudice è titolare in via diretta e definitiva della funzione giurisdizionale: la sentenza di ogni giudice, se non impugnata, rappresenta la decisione definitiva sulla controversia. La competenza ad esprimere la volontà dell’ordine giudiziario no spetta ad un unico organo ma è affidata a ciascun giudice (magistratura=potere diffuso).

INDIPENDENZA ESTERNA : rapporti tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato.All’indipendenza esterna fa riferimento in particolare l’art. 104 Cost. la cui principale garanzia è il CSM al quale sono dedicati gli art. 104 e 105 Cost. tali articoli trovano attuazione nella legge n. 195/1958 che ha stabilitole norme sulla Costituzione e il funzionamento del CSM.Il CSM è l’organo istituito per garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Le funzioni che oggi gli spettano erano svolte, nel Regno d’Italia, dal Ministro della Giustizia (denominato fino al d.lgs. 300/1999 “Ministro di grazia e giustizia”) al quale oggi residuano solo quelle definite dall’art. 110 Cost. ovvero “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”.La Costituzione non stabilisce il numero dei membri del CSM ma si limita a prevedere che sia composto da 3 membri di diritto e da altri componenti, che secondo la legge attualmente in vigore sono 24.I membri di diritto, come stabilisce l’art. 104, comma2 Cost., sono il P.d.R. che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati ordinari tra i giudici, pubblici ministeri e magistrati della Corte di Cassazione (componenti togati) e per 1/3 dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari in materie giuridiche e avvocati dopo 15 anni di esercizio della professione (componenti laici). Tra i componenti laici il Consiglio elegge un vice presidente. I membri elettivi del CSM durano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili.Il CSM adotta tutte le decisioni relative alla carriera e allo status dei magistrati , in particolare,secondo quanto stabilito dall’art. 105 Cost., le funzioni del CSM riguardano le assunzioni , le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei loro confronti.Il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati prevede la partecipazione, oltre che del CSM anche del ministro della giustizia il quale promuove l’azione, il procedimento è avviato dalla sezione disciplinare del CSM; mentre la decisione finale è assunta dall’intero Consiglio.L’elenco delle funzioni previsto dall’art. 105 Cost. non è tassativo ma solo esemplificativo e si aggiungono funzioni atipiche quali la redazione di relazioni per il Parlamento, l’attività di proposta nell’ambito dei settori dell’ordinamento giudiziario , lo svolgimento di inchieste riguardanti uffici giudiziari o singoli magistrati, lo svolgimento di attività di esternazione,etc.Altro meccanismo che garantisce l’indipendenza esterna della magistratura è l’accesso alla carriera giudiziaria solo in seguito a concorso pubblico, fatti salvi i casi di nomina anche elettiva di magistrati onorari e di designazione da parte del CSM di consiglieri di Cassazione (art. 106 comma 1Cost.)L’art. 98 comma 2 Cost. prevede la possibilità che siano introdotte limitazioni al diritto dei magistrati di iscriversi a partiti politici e l’art. 8 comma 2 del D.P.R. 36181957 limita l’eleggibilità degli stessi alle elezioni politiche e amministrative.

Giudici ordinari e giudici speciali Sono giudici ordinari i tribunali, le Corti d’appello e la Corte di Cassazione: essi possono esercitare funzioni civili o penali e giudicano sulla lesione dei diritti soggettivi.I tribunali svolgono funzioni giurisdizionali civili o penali di I° grado. Il nostro sistema giudiziario si basa sul meccanismo del doppio grado di giudizio in quanto le parti del processo possono richiedere alle

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Corte di appello il riesame delle decisioni dei tribunali (di primo grado) per i motivi e nei termini stabiliti dal c.p.p. e dal c.p.c.. Le sentenze del tribunale se non impugnate entro i termini stabiliti dalla legge diventano definitive e acquistano forza di giudicato.Le Corti d’appello sono organi giurisdizionali collegiali di II° grado, competenti a giudicare sui ricorsi proposti contro le sentenze deI tribunali, possono essere civili o penali. Contro le sentenze delle Corti di Appello è possibile fare ricorso alla Corte di Cassazione . scaduto il termine per i l ricorso alla Cassazione le sentenze delle Corti di Appello diventano definitive.La Corte di Cassazione è l’organo giudiziario di vertice dell’ordinamento italiano in quanto le sue sentenze sono definitive e contro di esse non è ammesso alcun ricorso ulteriore.Le sue funzioni principali si distinguono in impugnatoria e nomofilattica.IMPUGNATORIA: la Corte giudica sui ricorsi provenienti dalle Corti di Appello e non svolge un III° grado di giudizio ma effettua un giudizio di legittimità ovvero si limita a verificare nelle sentenze delle Corti di Appello l’esatta interpretazione e applicazione del diritto.NOMOFILATTICA: assicura l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale.A tribunali, Corti di Appello e Corte di Cassazione si aggiungono i giudici di pace, magistrati onorari che si distinguono dai magistrati di carriera in quanto non accedono alla funzione giurisdizionale mediante concorso pubblico ma a seguito di nomina da parte del CSM e sono competenti a giudicare cause di lieve entità.L’art. 102 comma 2 Cost. stabilisce il divieto di istituire giudici straordinari o giudici speciali, sono ammesse esclusivamente presso gli organi giurisdizionali ordinari, sezioni specializzate per determinate materie.I giudici speciali no fanno parte dell’ordinamento giudiziario ma sono i tribunali amministrativi regionali (TAR) art. 125 Cost., il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e i tribunali militari in tempo di pace (art.103 Cost)I TAR e il CONSIGLIO DI STATO esercitano le funzioni di giustizia amministrativa rispettivamente in I° e II° grado contro le decisioni del TAR è ammesso il ricorso al Consiglio di Stato le cui sentenze sono definitive.Essi sono competenti a giudicare nelle controversie nelle quali una delle parti sia un soggetto pubblico. La Corte dei Conti è un organo giurisdizionale competente nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge (art. 103, comm 2 Cost).I Tribunali militari in tempo di pace hanno giurisdizione per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate (art. 103, comm 3 Cost).

diritti soggettivi, interessi legittimi e doppia giurisdizione

Ogni soggetto è titolare di due diverse posizioni giuridiche: il diritto soggettivo ovvero la pretesa del soggetto che l’ordinamento giuridico protegga un suo

interesse (sia esso legato ad un bene o ad un rapporto); interesse legittimo , ovvero la pretesa che la pubblica amministrazione quando interferisce con

l’interesse qualificato di un soggetto privato, agisca rispettando la legge.Sulla base di queste due diverse posizioni vengono ad esistere due diverse giurisdizioni:

giustizia ordinaria che si occupa dei diritti; giustizia amministrativa che si occupa degli interessi legittimi.

L’istituzione della doppia giurisdizione, avvenuta con la legge Crispi del 1889, fu un passo verso il più ampio controllo dell’operato amministrativo , furono infatti rese sindacabili anche le ipotesi in cui, pur non essendo stato violato alcun diritto soggettivo era violato un interesse legittimo.La Costituzione ha cristallizzato la distinzione diritti/interessi legittimi negli art. 24 (diritto di difesa) 103 (giustizia amministrativa) e 113 (tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della P.A.)Oggi i giudici ordinari possono in alcuni casi tutelare anche gli interessi legittimi ovvero annullare gli atti amministrativi e dall’altro il giudice amministrativo può giudicare talora la lesione di diritti (la cd.

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giurisdizione esclusiva): la tendenza è quella a una ripartizione della giurisdizione basata sulla materia, più che sulla situazione soggettiva coinvolta.Le due giurisdizioni stanno convergendo verso la de-specializzazione che spinge il diritto amministrativo ad avere caratteri sempre più vicini al diritto civile basti pensare alla risarcibilità del danno derivante dalla lesione dell’interesse legittimo, principio per molto tempo riconosciuto solo per la violazione di diritti e negato per gli interessi legittimi in ragione della loro “specialità”.

Il pubblico ministero

In base all’art. 112 Cost. (specificato dall’art. 74 comma 1 della legge sull’ordinamento giudiziario) il pubblico ministero esercita l’azione penale, ovvero adotta gli atti dai quali prende avvio il processo penale.Non si tratta di un’attività discrezionale ma di un obbligo che il pubblico ministero che è tenuto ad esercitare l’azione ogni qualvolta venga a conoscenza di una notizia di reato (principio dell’obbligatorietà dell’azione penale). L’esercizio dell’azione penale costituisce la funzione principale ma non esclusiva del pubblico ministero, egli infatti può essere definito come magistrato che vigile sull’osservanza della legge, sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, sulla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci e da eseguire i giudicati e ogni altro provvedimento del giudice (art. 73, legge sull’ordinamento giudiziario).L’art. 107, comma 4 Cost. stabilisce che il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario e l’art. 108, comma 2 Cost, prevede che ne debba essere assicurata l’indipendenza .A partire dalla fine degli anni 80 si è aperto un dibattito sull’opportunità della separazione della carriera di giudice da quella di pubblico ministero, in quanto secondo alcuni la facilità di passaggio dalla funzione di accusa da quella di giudicante mette a rischio l’imparzialità del giudice mentre altri si oppongono in quanto temono che l’obiettivo finale della separazione delle due funzioni sia quello di rendere il pubblico ministero un organo separato dalla magistratura, sottoposto al controllo del potere esecutivo. A causa quindi di tali profonde divergenze la riforma volta ad introdurre la separazione delle carriere non è ancora stata approvata.

Profili evolutivi del ruolo del giudice nello Stato contemporaneoNello Stato contemporaneo, retto da una Costituzione rigida si è determinato un mutamento profondo dell’attività giurisdizionale. La magistratura è passata da essere custode della legge, cioè organo di mera applicazione delle leggi , subordinato al Parlamento e Governo , come nello Stato liberale, a custode dei diritti, organo finalizzato al riconoscimento dei diritti costituzionali dei cittadini, anche contro la volontà del Parlamento e del Governo. L’incapacità degli organi politici di fornire risposte alle nuove esigenze che sorgono a seguito dell’evolversi della società e della tecnologia ha determinato una sorta di supplenza giudiziaria alla quale si aggiunge la complessità del sistema delle fonti , l’incertezza del diritto e l’oscurità delle leggi che in sostanza rimettono agli interpreti la determinazione del loro significato.L’attivismo giudiziario si configura come una conseguenza della crisi che ha investito il legislatore e più in generale gli organi della decisione politica nello Stato contemporaneo.Un’ulteriore conseguenza del trasferimento ai giudici di ampie quote di potere decisionale è il sovraccarico di lavoro che grava sugli uffici giudiziari, con la conseguente lunga durata dei processi. La lunghezza dei tempi di giudizio si traduce spesso in denegata giustizia , con grave violazione dei diritti degli individui.La ragionevole durata del processo è stata introdotta nell’art. 111 Cost. con la revisione costituzionale del 1999 anche se in realtà non ha comportato sensibili differenze rispetto alla situazione precedente. Anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ripetutamente condannato l’ Italia per la lunghezza dei processi ma le sue sentenze si limitano ad ingiungere allo Stato di pagare un risarcimento monetario al ricorrente nel caso di specie, senza avere la capacità di imporre riforme strutturali .

Le autorità indipendenti

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Sono organi statali che, in condizioni di autonomia rispetto agli altri poteri pubblici e nel rispetto dei principi di neutralità e imparzialità , svolgono un ruolo di garanzia di alcuni diritti fondamentali ovvero di regolazione di settori legati alle libertà economiche.La previsione costituzionale manca anche perché la principale spinta alla creazione di questa autorità è emersa piuttosto di recente , legata alla necessità di regolare i processi di liberalizzazione del mercato avviati negli anni 90.Lo Stato ha visto progressivamente mutare il proprio ruolo da attore economico ad arbitro del sistema che deve assicurare il rispetto delle regole di mercato al fine di garantire la parità di condizioni tra gli operatori economici e la trasparenza per gli utenti finali.Il legislatore ha ritenuto opportuno affidare questo compito di garanzia ad organismi indipendenti che potessero assicurare meglio il corretto svolgimento di questo ruolo arbitrale di garanzia. I loro componenti sono scelti tra persone altamente qualificate e con modalità che tendono a garantire l’autonomia rispetto alle maggioranze di governo.E’soprattutto la giurisprudenza, insieme alla dottrina ad aiutarci a trovare un’adeguata definizione delle autorità indipendenti: corpi amministrativi dotati di particolari competenze tecniche preposti alla cura delgi interessi ordinamentali “sensibili” che abbisognano dell’apporto qualificato di organismi muniti di una praticolare posizione di terzieta’.

Le caratteristiche delle autorità indipendenti

Sono:a) organi di natura amministrativa perché la loro funzione consiste nel provvedere al corretto

svolgimento di taluni diritti e libertà specialmente economici . Sono dotate di poteri amministrativi ma anche di poteri normativi e quasi –giurisdizionali in quanto possono emanare atti-vincolanti a carattere generale. Le relative deliberazioni e decisioni sono sottoposte a controllo giurisdizionale mentre la verifica contabile spetta alla Corte dei Conti.

b) Indipendenti rispetto al Governo garantita dalle modalità di nomina che prevedono, seppure con tecniche diverse, uno sganciamento rispetto alle maggioranze di governo, dalle modalità di decadenza,che prevedono un esercizio al termine del mandato con rigide incompatibilità e divieti di riconferma, dall’autonomia rispetto alle direttive del Governo nell’esercizio del mandato, dall’autonomia contabile e organizzativa.

c) Neutrali ed imparziali rispetto ai consociati che si concretizza nella fissazione di garanzie di trasparenza e partecipazione nei procedimenti

d) necessarie allo svolgimento di un ruolo di garanzia di diritti legati prevalentemente alla libertà economica .

le principali autorità indipendenti

alla luce dei requisiti minimi delle autorità indipendenti si possono far rientrare in 2 categorie.1) categoria con ruolo di garanzia del rispetto delle regole imposte al mercato e quindi la tutela della

concorrenza e l’eliminazione degli ostacoli e delle asimmetrie di mercato in particolare a tutela degli operatori più deboli e degli utenti:

la banca d’italia;la commissione nazionale per le societa’ e la borsa (consob);l’istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (isvap);l’autorita’ garante per la concorrenza e il mercato (agcm o antitrust);l’autorita’ per l’energia elettrica e il gas (aeeg);l’autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni (agcom);l’autorita’ per la vigilanza sui lavori pubblici;2) con ruolo di garanzia dell’osservanza del diritto al corretto trattamento dei dati personali che secondo

alcuni può farsi discendere dalla libertà personale (ex art. 13 Cost.) o garantisce la tutela alcuni diritti

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fondamentali dei cittadini/utenti (sicurezza,circolazione,istruzione,informazione, etc) che possono entrare in conflitto col diritto di sciopero:

il garante per la protezione dei dati personali; la commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei serv. pubblici essenziali.

Debbono invece essere tenute fuori da tali autorità indipendenti le agenzie dotate di una certa autonomia e di poteri esclusivi ma non separate dal Governo e non preposte alla vigilanza su settori che non sopportano ingerenze politiche dirette o indirette come nel caso dell’Agenzia per la contrattazione collettiva nel pubblico impiego o delle Agenzie fiscali.

LA BANCA D’ITALIAIstituita nel 1893, rappresenta il primo tentativo di autorità indipendente nel nostro paese, , nel 1926 le venne concesso il potere esclusivo di battere moneta e nel 1998 le venne aggiunto il potere di vigilare sugli intermediari finanziari.Ha 2 macro funzioni:1) monetaria e di controllo sulle banche e sugli intermediari finanziari in generale.Dall’istituzione della Banca centrale Europea (BCE) nel 1998 la funzione monetaria è svolta alle dipendenze delle direttive della BCE quanto a emissione di moneta,determinazione del tasso di sconto e disciplina e controllo del sistema dei pagamenti .2) vigila sulle banche e sugli operatori finanziari nonché controlla il rispetto della normativa sulla

concorrenza nei confronti delle imprese bancarie. La sua indipendenza è garantita dall’art. 19 della legge n. 262/2005, secondo cui le disposizioni normative nazionali di rango primario e secondario assicurano alla Banca D’Italia e ai componenti dei suoi organi l’indipendenza richiesta dalla normativa comunitaria per il migliore servizio dei poteri attribuiti nonché per l’assolvimento dei compiti e dei doveri spettanti.

CONSOBNasce nel 1974 per il controllo del mercato mobiliare ma solo dalla metà degli anni 80 acquista prerogative di autorità indipendente.Deve assicurare la correttezza delle operazioni del mercato mobiliare con la finalità di tutelare, attraverso poteri ispettivi, informativi, regolativi e di amministrazione attiva, le operazioni di risparmio diffuso garantendo la massima trasparenza informativa e la correttezza degli operatori.La legge 216/1974 stabilisce all’art. 1 che i membri sono nominati con D.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri previa deliberazione del Consiglio stesso fra persone di indiscussa moralità e indipendenza di specifica comprovata esperienza e competenza ,

ISVAPE’ stato istituito nel 1982 per garantire agli assicurati la stabilità e la solvibilità delle imprese di assicurazione e solo dal 1994 (legge n. 385 /94) con l’eliminazione della vigilanza del Ministero dell’Industria e del CIPE è divenuto autorità indipendente . in sostanza l’ISVAP garantisce gli interessi dei risparmiatori alla massima trasparenza informativa e alla concorrenza delle imprese di assicurazione. I membri sono nominati, ai sensi dell’’art. 10 l della Legge 576/1982, con D.P.R. previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Industria, fra persone di indiscussa moralità ed indipendenza, esperte nelle discipline tecniche e amministrative interessanti l’attività assicurativa.

AGCM O ANTITRUSTÈ stata istituita nel 1990 e deve assicurare il rispetto delle regole della concorrenza nel libero mercato dei beni e servizi, salvo che tale competenza per alcuni settori specifici non sia già assegnata ad altri autorità.Svolge pertanto una importante funzione di controllo dei liberi mercati, che condivide con la Commissione europea garante per i mercati europei, applicando la normativa sulla concorrenza tramite la sorveglianza delle intese restrittive della stessa, gli abusi di posizione dominante, le operazioni di concentrazione tali da ridurre o eliminare la concorrenza, il divieto di pubblicità ingannevole.

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La nomina dei membri è adottata con determinazione d'intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il presidente è scelto tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo. I quattro membri sono scelti tra persone di notoria indipendenza da individuarsi tra magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti o della Corte di cassazione, professori universitari ordinari di materie economiche o giuridiche, e personalità provenienti da settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità.

AEEG e AGCOMIstituite dalla legge 481/1995 come autorità di regolazione e controllo dei servizi pubblici .

L’AEEG deve assicurare il rispetto delle regole nel mercato della fornitura di gas ed energia elettrica,

vigila sulla transizione del mercato nazionale dell’energia e del gas da monopolio a mercato libero come pretende l’ordinamento comunitario e promuove la concorrenza e l’efficienza nei servizi dell’energia elettrica e del gas assicurando adeguati livelli di qualità a condizioni di economicità, fruibilità e diffusione omogenea sul territorio nazionale.I Suoi membri sono nominati, tra persone di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore specifico, con D.P.R. previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del ministro competente per materia e parere obbligatorio e vincolante delle commissioni parlamentari competenti reso a maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti.

l’AGCOM garantisce il rispetto delle regole nel mercato delle telecomunicazioni , dell’audiovisivo e dell’informazione tutelando il pluralismo informativo.

I suoi membri sono eletti , tra persone di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore specifico , 4 dal Senato e 4 dalla Camera dei deputati mentre il Presidente viene nominato con D.P.R. previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del ministro competente per materia e parere obbligatorio e vincolante delle commissioni parlamentari competenti reso a maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti.

LA COMMISSIONE DI GARANZIA PER L’ATTUAZIONE DELLA LEGGE SULLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALIHa il compito di tutelare i diritti della persona alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla circolazione, all’assistenza e previdenza sociale,all’istruzione e alla comunicazione rispetto all’esercizio del diritto costituzionalmente garantito dello sciopero. Deve quindi assicurare la fornitura dei servizi pubblici essenziali in caso di sciopero e relativamente al rapporto tra datore di lavoro e lavoratori, la Commissione garantisce anche la parità di armi nei conflitti relativi al mercato del lavoro che si manifestano tra l’altro anche con l’esercizio dello sciopero.I membri, secondo l’art. 12 della Legge istitutiva n. 146/1990, sono nominati con DPR su designazione dei presidenti delle Camere fra esperti di diritto costituzionale,diritto del lavoro e relazioni industriali e non sono sottoposti a poteri di controllo né di direttiva da parte del Governo o delle Camere.

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALITrova la sua origine legislativa nell’ordinamento comunitario la cui direttiva legislativa n. 95/46/ce ha espressamente richiesto agli Stati membri di istituire un’autorità a garanzia del rispetto del diritto al corretto trattamento dei dati personali . la garanzia che il Garante deve assicurare è quella della correttezza del trattamento dei dati personali che nell’attuale società dell’informazione e dell’informatica ha acquisito il carattere di diritto individuale. L’art. 153 del decreto legislativo n. 196/2003 richiede che il Garante operi in piena autonomia e indipendenza. Si compone di 4 membri, 2 eletti dalla Camera e 2 al Senato, scelti tra persone di sicura indipendenza e riconosciuta competenza nelle materie del diritto e dell’informatica.

AUTORITA’ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE.

E’ stata istituita nel 1994 per verificare la correttezza delle procedure di appalto pubblico . deve assicurare il rispetto dei criteri di efficienza e di efficacia negli appalti pubblici, secondo procedure improntate a

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tempestività , trasparenza, correttezza, nel rispetto del diritto comunitario e della libera concorrenza tra gli operatori. Secondo la legge istitutiva n. 109/1994, ora abrogata dal Testo unico sugli appalti, l’Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione, vigila con poteri ispettivi e sanzionatori sulla partecipazione, sullo svolgimento e l’affidamento degli appalti pubblici.

Autorità indipendenti e trasformazioni della democrazia

Le autorità indipendenti costituiscono una novità per i sistemi democratici modellati sulla ripartizione delle funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria e sulla rappresentatività degli organi di indirizzo politico. Svolgono funzioni amministrative, assumono una serie di decisioni fondamentali che vengono sottratte al Parlamento e al Governo e al tempo stesso si collocano al di fuori del circuito della decisione politica sfuggendo ai meccanismi attraverso i quali viene fatta valere la responsabilità politica collocandosi in un’area di garanzia.Per sanare questa assenza di responsabilità nei confronti dell’elettorato e per scongiurare il rischio della “cattura del regolatore” , l’ordinamento giuridico ha previsto il rafforzamento di alcune garanzie nei procedimenti delle autorità indipendenti volte a conferire loro maggiore trasparenza e partecipazione .Sono la trasparenza e la partecipazione che conferiscono alle autorità una legittimazione, incardinando la loro responsabilità sul contradditorio con le parti, sulla consultazione con i portatori di interessi direttamente o indirettamente coinvolti, sulla motivazione degli atti, sulla possibilità di impugnativa dei provvedimenti. Se la partecipazione si rivolge alla società civile, compresi gli operatori economici, la trasparenza opera non solo nei loro confronti ma anche nei confronti degli attori istituzionali. Le Autorità, pur essendo indipendenti dagli organi costituzionali hanno una responsabilità diffusa anche nei confronti di questi ultimi, che si esercita principalmente attraverso le relazioni annuali sull’attività presentate solennemente al pubblico e agli altri soggetti istituzionali oltre che ad altri meccanismi di dialogo come i poteri consultivi e le audizioni parlamentari che possono costituire un’occasione di confronto e di conoscenza degli orientamenti delle autorità.

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