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CAPITOLO I IL DIRITTO E IL GIURISTA SOMMARIO: L Ubi societas, ibi ius: l'apologo di Robinson Crusoe. - 2. La vita quoti- diana e il "diritto». - 3. TI diritto e le sue concezioni. - 4. Diritto e legge. Diritto e ordinamento giuridico. Diritto e Stato - 5. Diritto «e» mercato. - 6. Diritto e giustizia. Eguaglianza e redistribuzione. - 7. I ruoli del giurista. 1. Ubi societas, ibi ius: l'apologo di Robinson Crusoe (a) L'isola di Robinson quale nucleo primigenio della società Quella di Robinson (1) è la storia al tempo stesso più avvincente e semplice cui si possa ricorrere per spiegare una delle funzioni del diritto: l'ordine dell' aggregazione sociale. Finché Robinson vive, solitario, nel- l'isola dispersa nell'oceano e si procura a fatica e con ingegno i mezzi di sostentamento, gli utensili e un ricovero dove difendersi dalle intempe- rie, dagli animali, dai potenziali nemici, non v' è ragione di pensare che sia necessario ricorrere a regole di comportamento. Tutto ciò che Ro- binson fa è spontaneo, e quindi è ben fatto. Anzi ogni valutazione divie- ne irrilevante: nessuno può contestare i suoi comportamenti. Robinson è padrone di stesso, dei propri atti, delle cose che produce. Ma nel momento in cui egli scopre tracce di esistenze umane nel- l'isola tutto cambia: prima deve accertarsi per ragioni di sopravvivenza se la presenza dell' altro gli sia ostile o benevola; poi, nasce il problema del rapporto con 1'altro. Ciò che stupisce il lettore, però, è il fatto che Defoe non presenta questo rapporto come problema, ma ne dà per scontata la soluzione, quasi essa fosse un naturale portato delle cose del- la vita. Chi è quell'essere dalle sembianze umane che si avvicina tremante e pauroso a Robinson? Appartiene ad altra specie, è privo di cultura, di linguaggio, di azione (e di potere), di abiti, di abitudini civili, di religio- (1) DANIEL DEFOE, The L,le and Strange Surprising Adventures 01 Robinson Crusoe, London, 1719 (trad. it., Oscar Mondadori, Milano, 2003).

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Primi quattro capitoli del libro di Alpa

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CAPITOLO I

IL DIRITTO E IL GIURISTA

SOMMARIO: L Ubi societas, ibi ius: l'apologo di Robinson Crusoe. - 2. La vita quoti­diana e il "diritto». - 3. TI diritto e le sue concezioni. - 4. Diritto e legge. Diritto e ordinamento giuridico. Diritto e Stato - 5. Diritto «e» mercato. - 6. Diritto e giustizia. Eguaglianza e redistribuzione. - 7. I ruoli del giurista.

1. Ubi societas, ibi ius: l'apologo di Robinson Crusoe

(a) L'isola di Robinson quale nucleo primigenio della società

Quella di Robinson (1) è la storia al tempo stesso più avvincente e semplice cui si possa ricorrere per spiegare una delle funzioni del diritto: l'ordine dell' aggregazione sociale. Finché Robinson vive, solitario, nel­l'isola dispersa nell'oceano e si procura a fatica e con ingegno i mezzi di sostentamento, gli utensili e un ricovero dove difendersi dalle intempe­rie, dagli animali, dai potenziali nemici, non v' è ragione di pensare che sia necessario ricorrere a regole di comportamento. Tutto ciò che Ro­binson fa è spontaneo, e quindi è ben fatto. Anzi ogni valutazione divie­ne irrilevante: nessuno può contestare i suoi comportamenti. Robinson è padrone di sé stesso, dei propri atti, delle cose che produce.

Ma nel momento in cui egli scopre tracce di esistenze umane nel­l'isola tutto cambia: prima deve accertarsi per ragioni di sopravvivenza se la presenza dell' altro gli sia ostile o benevola; poi, nasce il problema del rapporto con 1'altro. Ciò che stupisce il lettore, però, è il fatto che Defoe non presenta questo rapporto come problema, ma ne dà per scontata la soluzione, quasi essa fosse un naturale portato delle cose del­la vita.

Chi è quell'essere dalle sembianze umane che si avvicina tremante e pauroso a Robinson? Appartiene ad altra specie, è privo di cultura, di linguaggio, di azione (e di potere), di abiti, di abitudini civili, di religio-

(1) DANIEL DEFOE, The L,le and Strange Surprising Adventures 01 Robinson Crusoe, London, 1719 (trad. it., Oscar Mondadori, Milano, 2003).

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4 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

ne rivelata, di norme, In altri termini è un «selvaggio», Di qui due con­seguenze anch'esse naturali: Robinson non lo considera un altro pari a sé, ma un servo: si istituisce un rapporto di sudditanza dovuto alla «di­versità» del selvaggio, la sua diversità ne fa un inferiore. Il selvaggio inol­tre deve essere identificato con un nome; e Robinson, che si considera ormai il padrone dell'isola, glielo impone, Venerdì segue, abitando sul­l'isola, le regole dettate da Robinson.

Anche il lettore, affascinato da questa storia o mito del buon selvag­gio, del neonato pronto alla acquisizione della civiltà occidentale non si pone, come non se lo pone Defoe (ma non se lo poneva davvero?), il problema della diversità e delle conseguenze sul piano giuridico che ne derivano: il selvaggio non può che avere questo trattamento, è un fatto per così dire naturale.

La distribuzione del potere, la imputazione del potere, avviene, diremmo noi, secondo la classificazione delle categorie e imputazioni a categorie: al genti­luomo inglese, colonialista colto ed esperto, civile e potente, si confà lo status di padrone; al selvaggio incivile che si assume, si confà lo status di servo. L'acci· dente storico di essere nati padroni e servi è poi giustificato, eticamente e reli­giosamente, attribuendo la scelta a una volontà superiore (predestinazione), o a un fatto accidentale che si può cambiare (libero arbitrio) ma si consolida giuri­dicamente rendendo precostituito e tendenzialmente immutabile lo status.

I! testo, ovviamente, è solo allusivo e molto più sintetico,

(b) La scoperta dell'«altro» e la classificazione degli «individui» (2)

È interessante seguirne l'aggettivazione e i sostantivi usati: dapprima Defoe individua l'aborigeno con un semplice (man), ma subito dopo lo chiama «my sa­vage» (come si ricorderà, il lungo racconto è scritto in prima persona). Ora, la denominazione corrisponde all'idea che alla metà del Seicento (epoca in cui è ambientato il romanzo) e nel primo Settecento (epoca di sua edizione) avevano gli europei degli abitanti delle Indie: individui incivili, da educare e da sfruttare. È sintomatico il fatto che nella descrizione del suo aspetto fisico Defoe-Robin­san ne fa il raffronto con un «negro», compiacendosi della maggiore beltà dei

(') Secondo gli studiosi la scoperta dell'altro - cioè di un «soggetto» che, pur non possedendo i medesimi connotati nostri, tuttavia può essere considerato tale - è piuttosto tarda nella storia dell'Occidente. Essa non avviene né all'epoca della sco­perta del Catai (l'odierna Cina) da parte di Marco Polo, né all' epoca delle guerre contro i Saraceni, portatori di un'altra fede, ma all'epoca della scoperta del Nuovo Continente, Gli «esseri» che scopre Colombo sono animali con sembianze umane, selvaggi o solo uomini non battezzati? E se fossero altri perché diversi, è possibile appropriarsi delle loro terre e dei loro tesori? I! dibattito si avvia nel Cinquecento e già dal suo debutto le tesi sono divise tra quanto ritengono che i selvaggi debbano essere dominati e quanti invece restituiscono loro la dignità di esseri umani: v. To· DOROV, La conquista dell'America. La scoperta dell'«altro», trad. it., Torino, 1984.

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CAPITOLO I - IL DIRITTO E IL GIURISTA 5

tratti. L'uso del possessivo my savage potrebbe essere dovuto semplicemente a un artificio letterario, come è d'uso quando ci si riferisce a un personaggio di cui si è già parlato; e quindi si potrebbe tradurre con «il nostro». Ma non sem­bra che questa possa essere l'interpretazione più fedele: forse qui Defoe-Robin­son vuoI proprio esprimere, anticipandola, l'idea di proprietà. E infatti subito dopo ci racconta come il selvaggio, al quale è imposto il nome di Venerdì, si prostri dinanzi a Robinson, in segno di devozione, gli prenda il piede e se lo ponga sulla testa. Gesto interpretato da Robinson in modo inequivoco: volontà di sottomissione.

In parte questo rapporto di somma devozione potrebbe essere dovuto al fatto che Robinson ha salvato la vita a Venerdì, sottraendolo alla fine macabra a cui l'avrebbero destinato i cannibali di cui era preda. Venerdì quindi gli deve la vita. E Robinson se ne sente creditore.

(c) L'appropriazione dei beni

Più esplicito è però l'autore quando, dopo qualche altra vicenda, descriven­do l'isola ormai abitata da più persone, uno spagnolo e il padre di Venerdì, an­ch'essi fortuitamente portati sull'isola dai cannibali e salvati dal nostro eroe e dal dice: «La mia isola era ora abitata, mi sentivo davvero ricco (, .. ): in primo luogo l'intero paese era di mia proprietà, così che ne avevo un indiscutibile di­ritto dominicale (right oj dominion) e legislatore (lawgiver); tutti loro mi doveva­no la vita e l'avrebbero sacrificata, all' occasione, per salvare la mia».

Ma proseguiamo in questa dissezione del testo decifrandone gli aspetti giu­ridicamente rilevanti, senza curarci dei segni di fastidio che i critici letterari, a buon diritto, potrebbero manifestare vedendo le pagine di questo capolavoro così bistrattate. Scegliendo la pedanteria come guida, potremmo ancora osserva­re che Robinson raccoglie utensili, casse, armi e altri pezzi rimasti sul relitto del­Ia nave e se ne appropria legittimamente (giuridicamente, si potrebbe dire che si è in presenza di res derelictae); così come si appropria di frutti e animali, an­ch'essi res nullius; in più si costruisce un fortilizio, frutto di duro lavoro.

All' «occupazione» o all' «invenzione» si aggiunge il frutto del davoro». Ro­binson è quindi «proprietario» a doppio titolo.

TI contrasto tra l'incontro con Venerdì e quello successivo con il prigionie­ro, predestinata vittima dei cannibali, che usano l'isola dove sopravvive Robin­son per i loro feroci banchetti, è netto: la prima parola che il prigioniero libera­to da Robinson pronuncia è un termine qualificante. Non conoscendo la nazio­nalità del suo salvatore, il prigioniero esprime in latino il termine di appartenen­za differenziata: «Christianus», che riassume in sé, quasi ne fosse l'essenza, le coordinate distintive del singolo: è civile, è battezzato, è quindi persona; ha una sua dignità conferitagli dalla conoscenza del latino, un suo status, derivante dal­l'appartenenza a una religione e a una comunità (la cristiana), non è cioè un sel­vaggio, né un infedele. È un «confratello». La precisazione dell'appartenenza al­la cristianità precede quella relativa alla nazionalità.

Quelle pagine ci fanno toccare con mano come fosse, ancora nel pri­mo Settecento, naturale distinguere le persone e attribuire loro qualità considerando tutto ciò lo specchio di una naturale e insopprimibile divi-

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Atti giuridicamente rilevanti nella vita quotidiana

6 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

sione in caste, E come il diritto fosse il suggello di queste distinzioni, proprie della distribuzione del potere nell'aggregato sociale (3), Il diritto permea la vita sociale, vi sono regole per ogni atto della vita quotidiana,

2. La vita quotidiana e il «diritto»

La vita quotidiana di ogni persona, a qualsiasi ceto o età essa appar­tenga, è fitta di atti, di rapporti, di scelte che hanno rilevanza giuridica, hanno cioè una valenza che risulta importante per il diritto. Nella mag­gior parte dei casi si tratta di atti, rapporti, scelte, che il singolo compie in modo meccanico, inconsapevole, o indifferente per gli aspetti giuridi­ci che vi sono coinvolti,

È sufficiente riflettere sui momenti consueti della vita quotidiana per con­vincersi di ciò: al mattino, quando ci si sveglia, si accende la luce e si compie un atto esecutivo di un rapporto instaurato con il fornitore di energia elettrica, si fa una telefonata e si compie un atto esecutivo di un rapporto che si è instaurato con il fornitore del servizio telefonico, si beve un caffè al bar e si compie un contratto di compravendita, e così pure per il giornale, un capo di vestiario e così via; si usa il tram, la metropolitana, il treno, e si conclude un contratto di trasporto, ci si imbatte in un questuante e, facendogli l'elemosina, si compie un contratto di donazione, Allo stesso modo l'operatore economico ogni giorno compie atti di acquisto e di vendita, fruisce delle utenze, organizza la produzio­ne,

L'essere causa di, o l'essere coinvolti in tutti questi rapporti aventi natura giuridica non deve impensierire: essi si compiono meccanicamente, senza spesso meditare sui loro effetti, senza che vi siano, normalmente, intoppi o ragioni di doglianza, E tuttavia è necessario che questi atti siano rilevanti per il diritto, sia­no regolati dal diritto, abbiano, in altri termini, un aspetto giuridico (oltre che sociologico, o psicologico, o economico): sia perché ciascuno di noi deve sapere se può compierli, in che modo deve compierli, che effetti possono avere; sia perché, nel caso appunto di intoppi, di doglianze, di risultati inferiori rispetto al previsto e al consueto, di veri e propri conflitti, le regole che quei rapporti disci­plinano diano le necessarie risposte_

Il «diritto» svolge molteplici funzioni, molte di più di quelle che normal­mente si sogliano individuare, quasi che «diritto» significasse soltanto <<insieme di regole giuridiche destinate a disciplinare i comportamenti dei soggetti, privati e pubblici»_ È vero, il diritto regola innanzitutto la convivenza, ma svolge anche altre importanti funzioni: dirime i conflitti, assegna le risorse, protegge i beni, regola il mercato, promuove le iniziative solidaristiche, stabilisce il ruolo di cia­scuno nella società (4 ),

(3) Sul punto v_ ALPA, La persona tra cittadinanza e mercato, Milano, 1992, ( 4 ) Sulle funzioni del diritto la letteratura è immensa: per le prime letture v,

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CAPITOLO I - IL DIRITTO E IL GIURISTA 7

3. Il diritto e le sue concezioni

Occorre meglio definire il significato (o i significati) del termine di­ritto. Anche questo è un termine evocativo: gli antropologi spiegano co­me nelle c.d. società primitive diritto e magia siano un tutt'uno, difficil­mente separabili. Solo con le prime raccolte di regole di comportamen­to, fissate su supporti duraturi, scolpite nella pietra o incise nel bronzo, i! diritto acquista una fisionomia propria: gli esempi più eclatanti alludo­no al codice di Hammurabi, che regnò a Babilonia tra i! 1792 e il 1750 a.c., alla legge delle XII Tavole, compilate dai Romani nel 451 a.c. e co­sÌ via.

(a) Accezioni del termine «diritto»

Nel linguaggio colloquiale si fa un uso frequente dell' espressione «diritto»; l'espressione deve essere decodificata, esaminata cioè nei di­versi contesti e nelle diverse accezioni in cui essa è impiegata: ad es., (i) si usa questo termine con riguardo al complesso delle regole che vigono in un determinato Paese in un determinato momento storico (<<i! diritto degli Irochesi è fondato sulla possibilità di sopravvivenza attraverso la caccia») e cioè nell' accezione di diritto oggettivo; oppure (ii) si usa con Diritto oggettivo

riguardo alla qualificazione di un sistema di potere (<<lo Stato di diritto, contrapposto allo Stato assoluto e allo Stato di polizia»), oppure (iii) co-me complesso delle forme di protezione del singolo di fronte allo Stato o di fronte alla collettività, alla comunità, alla maggioranza, e cioè nell' ac-cezione di sistema di garanzie; (iv) oppure si usa con riguardo alla titola-rità di poteri in capo ad un singolo soggetto (<<è mio diritto attraversare il campo»), e cioè nell'accezione di diritto soggettivo; (v) oppure si usa con Diritto soggettivo

riguardo alle regole che si è data una aggregazione (<<dell'associazione per il miglioramento della qualità della vita urbana è membro di dritto il sindaco della città»), e cioè nell'accezione di conformità ad uno statuto, ovvero di automaticità nella scelta; ma le accezioni sono molte, e non è qui il caso di riprodurle compiutamente (5).

Poiché i corsi di Istituzioni di diritto privato conservano ancora la fi­nalità di introdurre allo studio del diritto tout court, occorre svolgere qualche considerazione sulla definizione di diritto, sulla sua produzione,

FALZEA (A.), Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto, ed. Milano, 2008; G. TARELLO, Diritto, enunciati; usi, Bologna, 1974; V. FERRARI, Dirzfto e socie­tà, Roma-Bari, 2004; FERRAJoLl,Principia iuris, Roma-Bari, 2007.

(') R. GUASTINI, in Glossano, Trattato di diritto privato, a cura di IUDICA e ZATTI, Milano, 1994, pp. 99 SS.; N. LIPARI, Per un tentativo di definizione del "din-t­to», in Soc_ dir_, 1994, pp. 7 SS. Ulteriori ragguagli in ALPA, Trattato di dirzfto civile, t. I, Storia, fontz; interpretazione, Milano, 2000.

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Concezione formalista

Concezione funzionalista

Concezione realista

8 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

sulla sua interpretazione e sulla sua elaborazione da parte degli scienziati del diritto (i giurisperiti o giuristi, essendo la scienza giuridica denomi­nata in senso aulico), con !'intesa che un discorso più articolato su questi temi è svolto nell'ambito dei corsi di Istituzioni di diritto pubblico, di Diritto costituzionale, di Filosofia del diritto e di Teoria generale del di­ritto,

(b) Il diritto in senso oggettivo

Definire il diritto (inteso nell' accezione sub [t], come diritto oggettivo) ammesso che sia possibile, è impresa assai difficile, non solo perché le de­finizioni sono sempre riduttive e semplicistiche, e quindi pericolose e non solo perché la sintesi rischia di appiattire e falsificare la realtà; ma soprat­tutto perché i giuristi sono continuamente alle prese con questo problema ed ogni tentativo di risolverlo in modo definitivo appare illusorio; osserva­zione che faceva dire nel Settecento a Emanuele Kant che, «i giuristi sono sempre intenti a definire il proprio concetto di diritto», e a Geremia Ben­tham all'inizio dell'Ottocento che i «giuristi parlano del nulla» (6).

Secondo la concezione formalista - la concezione ancor oggi più diffusa nella cultura giuridica del nostro Paese - il diritto è un complesso di regole di condotta ordinate in forma piramidale, a seconda della loro forza, che traggono la loro validità dalla regola fondamentale (<<norma fondamentale») che aSsume la denominazione di norma costituzionale (e, là dove esista una costituzione scritta, per l'appunto «Costituzione»), La regola giuridica si differenzia dalle al­tre regole che si osservano nell' ambito di una comunità perché ha caratteri pro­pri: è generale, astratta, coercibile, nel senso che la sua osservanza è obbligatoria per tutti gli appartenenti alla comunità e in caso di violazione, è prevista una sanzione per il trasgressore.

Secondo la concezione funzionalista, il diritto è un complesso di regole che serve a risolvere problemi, in cui la tecnica è unita agli scopi metagiuridici che si vogliono realizzare.

Secondo la concezione realista - ancor poco diffusa nella cultura giuridica del nostro Paese, ma molto apprezzata in Scandinavia e negli Stati Uniti - il di­ritto è un complesso di regole immaginarie, che la comunità ritiene di dover os­servare perché convinta che siano indispensabili alla conservazione e alla pro­sperità di una comunità; non è un sistema di regole avulse dalla realtà, ma un si­stema di soluzioni dei conflitti di interessi radicati nella realtà. Secondo la con­cezione economica del diritto, anch'essa di provenienza nord-americana - a cui

(') Le concezioni del diritto sono molteplici e cambiano sia in senso diacronico sia in senso geo-culturale. Guido Calabresi (già preside della Law School dell'Uni­versità di Yale e noto gius-economista) ne individua essenzialmente quattro: la con­cezione formalista, la concezione realista, la concezione funzionalista, la concezione collegata agli status della persona (Una introduzione al pensiero giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 1995).

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CAPITOLO I ~ IL DIRITTO E IL GIURISTA 9

talvolta si farà cenno - il diritto è un complesso di regole che traduce in formule comportamentali le esigenze economiche, è in altri termini un sistema di alloca­zione, cioè di distribuzione dei beni, nel modo ottimale, cioè nel modo più effi­ciente secondo la concezione di Pareto 0848-1923).

Si conoscono molte altre importanti concezioni del diritto: da quella antro- Allre concezioni

pologica a quella ermeneutica, da quella assiomatica a quella tassonomica, a quel-la giusnaturalista. Ciascuna di esse avrà modo di rivelare i suoi contenuti interes-santi nel corso di questa esposizione (7).

4. Diritto e legge. Diritto e ordinamento giuridico. Diritto e Stato

Nel sentire comune il diritto si confonde con la legge, anzi, il lin­guaggio più povero costruisce l'immagine della legge come l'unica fonte del diritto, autoritativa, associata alla sanzione, tendenzialmente oppres-siva. Tecnicamente parlando, legge è espressione polisensa: vuoI dire re- Diritto, legge, valori

gola giuridica, vuoI dire comando, precetto, costrizione; diritto è al tem-po stesso una scienza (sociale), un sinonimo di legge (ad es. il diritto ita-liano, il diritto francese), una prerogativa del singolo (il diritto di pro-prietà di Tizio), un settore dell'ordinamento (il diritto di proprietà) ma anche il complesso dei modi per studiare e applicare la legge e il com-plesso di tutte le regole che non si esauriscono nella legge. Il diritto comprende anche i valori sui quali esso si basa.

(a) L'ordinamento giuridico

Secondo la teoria formalista, le regole giuridiche, nel loro comples­so, formano un ordinamento giuridico. Si tende cioè a considerare le re­gole giuridiche, emanate dai diversi organi competenti a produrle, o create dai privati, cioè dai singoli che non rivestono alcun ruolo pubbli­co, per spontanea osservanza (usi o consuetudini), come facenti parte di un «tutto» che ha una natura organica, una struttura e una compattezza, una sua propria completezza,

La nozione di «ordinamento giuridico» è stata studiata approfonditamente da un giurista che svolse un ruolo importante nel corso del primo Novecento, ricoprì rilevanti ruoli istituzionali, fu anche Presidente del Consiglio di Stato, ol­tre che docente di diritto pubblico e diritto costituzionale, Santi Romano (1875-1947). Così rappresentato, l'ordinamento giuridico è frutto di una ideologia, che vede nello Stato il suo principale artefice, Ma si deve alla intuizione di Santi Romano l'idea che uno stesso individuo possa essere assoggettato a diversi ordi-

(') Per tutti v. FERRA]OLl, La cultura giuridica nell'Italia del Novecento, Roma­Bari, 1999; FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, cit.; SACCO, Antropologia giuridica, Bologna, 2007.

Pluralità degli ordinamenti giuridici

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Diritto, Stato, territorio

Ordinamento sportivo

lO PARTE I ,INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

namenti giuridici, purché essi abbiano una natura diversa e siano governati da istituzioni diverse, È la teoria della «pluralità» degli ordinamenti giuridici (8).

(b) Pluralità degli ordinamenti giuridici

L'ordinamento giuridico è dunque collegato ad un Paese, allo Sta­to. Ma nell'ambito di uno stesso territorio possono convivere più ordi­namenti. Così, in Italia convivono: l'ordinamento dello Stato; l'ordina­mento delle Regioni (nei limiti di autonomia stabiliti dalla Costituzione, ex art. 117); l'ordinamento delle autonomie locali; l'ordinamento dei privati, dato dalle regole che i privati nei limiti stabiliti sempre dall' or­dinamento statuale possono liberamente scegliere; 1'ordinamento sporti­vo, costituito dal complesso delle regole che disciplinano i diversi sport (9), e anche ordinamenti «stranieri», come l'ordinamento della

(8) In particolare v. S, ROMANO, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947 sul cui pensiero v, ora GROSSI, Società, diritto, Stato, Un recupero per il dÙ'itto, Milano, 2006, p, 143 ss.

(') L'autonomia dell'ordinamento sportivo è più nominale che reale, L'orienta­mento della giurisprudenza fa salve le regole che appartengono alle associazioni sportive, alle loro aggregazioni e agli organi disciplinari, ma con limiti assai netti, Ad es" in un caso che riguardava la Soc, Cosenza Calcio c. Coni, il TAR Lazio, con sen­tenza dell'L4,2004, n, 2987, ha deciso che senza incidere o modificare autoritativa­mente le regole dello sport, quelle statali non rinunciano a disciplinare (e tutelare) le posizioni dei soggetti di diritto quando operino in entrambi i settori, Dunque, quan­do vi sono atti il cui effetto finale è l'esclusione (o la revoca dell'affiliazione ad una Federazione sportiva), ossia lo scioglimento del vincolo associativo rispetto al singo­lo associato, una volta divenuto definitivo il provvedimento, il soggetto non appar­tiene più al gruppo sociale (la Federazione), di talché questi, esauriti tutti i gradi del­la giustizia sportiva e, se del caso, l'adizione della via arbitrale, si può rivolgere al giudice amministrativo, posto che la revoca è formalizzata in un provvedimento del­la Federazione stessa, Ebbene, il rapporto associativo (e, quindi, la sua cessazione), in sé considerato, è certo rilevante per l'ordinamento sportivo, ma impinge altresì su posizioni regolate dall'ordinamento generale, onde la relativa tutela spetta al giudice amministrativo, nella propria competenza esclusiva di cui all'art. 3, 10 c., per. I, d.!. n, 220 del 2003. E il Consiglio di Stato (Atti norm,), con sentenza del 14.7.2003, n. 2694 ha precisato che le norme relative al procedimento di affiliazione e di ricono­scimento ai fini sportivi delle associazioni e società sportive dilettantistiche di cui al­l'art. 90, I. 27.12.2002, n, 289, nonché quelle concernenti le misure da adottare in ca­so di irregolare funzionamento delle stesse società sportive si collocano al di fuori dell'ambito dell'ordinamento civile, rientrando in quello tipico dell'ordinamento sportivo, come tale attribuito alla legislazione regionale concorrente, Difatti, la disci­plina della affiliazione alle federazioni sportive e del riconoscimento, così come quel­la dei casi di irregolarità di comportamento, pertiene ad aspetti caratteristici della appartenenza di tali soggetti ad un, con regole di funzionamento sue proprie - di di­ritto speciale tout court - qual è quello sportivo; regole che prescindono dalla costi­tuzione o dal normale funzionamento delle società o associazioni dilettantistiche nel­la qualità di soggetti di diritto civile. Di più. Lo stesso legislatore statuale è interve-

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CAPITOLO I -IL DIRITTO E IL GIURISTA 11

Chiesa cattolica (costituito dal complesso delle regole del diritto cano­nico), l'ordinamento internazionale, costituito dalle regole composte dai trattati, dalle convenzioni, dalle consuetudini, dalle prassi, dai prin­cipi del diritto internazionale.

Da quando, nel 1957, con il Trattato di Roma, il nostro Paese ha aderito alla CEE (Comunità economica europea) poi CE (Comunità eu­ropea), ed ora UE (Unione europea) in Italia vige anche l'ordinamento comunitario, che non si sovrappone all'ordinamento interno, ma ad esso si affianca, in quanto, per le materie di competenza dell'Unione euro­pea, il nostro Paese ha rinunciato alla propria sovranità. La dottrina ri­tiene tuttavia che in caso di contrasto tra ordinamento comunitario e Costituzione della Repubblica, prevalga la seconda sul primo (lO).

Secondo la concezione tradizionale e formalista del diritto, l'ordinamento giuridico si compone di diverse branche; le regole che riguardano i rapporti tra i privati (come, ad es., le regole sulla proprietà, sui contratti, sulla responsabili­tà) compongono il diritto privato; e questo a sua volta comprende il diritto civi­le, il diritto commerciale, il diritto industriale, il diritto marittimo, ecc.; le regole che riguardano i rapporti tra il privato e lo Stato o gli altri enti pubblici (ad es., le Regioni, le Province, i Comuni) compongono il diritto pubblico; e questo a sua volta comprende il diritto costituzionale, il diritto amministrativo, il diritto penale, il diritto processuale civile e penale, il diritto internazionale, ecc.

Talvolta l'ordinamento giuridico è denominato anche sistema giuridico, per­ché si ritiene ancora da molti che l'ordinamento sia in sé conchiuso, completo o completabile mediante l'applicazione delle regole di interpretazione delle dispo­sizioni giuridiche. Ogni sistema ha caratteri propri, e può essere comparato con altri sistemi.

(c) Diritto e luoghi

Dal corso di diritto pubblico si apprende che l'ordinamento giuridico è col·

Ordinamento canonico

Ordinamento internazionale

Ordinamento comunitario

Sistema giuridico

legato con la sovranità dello Stato, che si esercita sul territorio; ciò significa che Sovranità

lo Stato non può porre norme al di fuori del proprio territorio, né un altro Stato può porre norme all'interno di quel territorio. Tuttavia, di territorio si dànno due concezioni; quella fisica (Cari Schmitt, 1888-1985) e quella giuridico-forma-

nuto per delimitare i confini tra l'ordinamento giuridico (dello Stato e delle Regioni) e le regole che appartengono all'ordinamento sportivo; v. il d.!. 19.8.2003, n. 220, convertito con modifiche in I. 17.10.2003, n. 280.

La Corte di Giustizia europea, nel caso Bosman, causa C-415/93 del 15.12.1995, ha stabilito che i rapporti economici (ad es. «cessione» di un calciatore) sono materia in cui è competente l'Unione europea, ed alla quale si applica dunque il diritto comunitario.

(IO) P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il siste­ma itala-comunitario delle fonti, voli. I e II, Napoli, 2006; P. PERLINGIERI e RUGGE­RI, Diritto privato comunitario, Camerino, 2009.

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Ruolo insopprimibile de! diritto

12 PARTE I . INmODUZIONE STORlA, FONTI, INTERPRETAZIONE

le (Rans Kelsen, 1881-1973). Quest'ultima è una nozione artificiale, ma serve per giustificare anche la emergenza dei nuovi grandi spazi, i mercati, che si estendono al di sopra dei territori statuali, nei quali si applicano regole concor­date tra gli Stati, prassi autonome, clausole contrattuali concluse tra le parti pri­vate contraenti ("). Oggi il diritto ha vocazione globale, e si può distinguere, ol­tre al diritto interno, statuale (o nazionale), il diritto sopranazionale (come il di­ritto comunitario) e il diritto transnazionale (come il diritto internazionale e il diritto concertato tra più Stati o il diritto creato dai privati di diversa nazionali­tà.

(d) Diritto e Stato

Lo Stato (composto da popolo, territorio, poter sovrano) assicura l'osservanza del diritto mediante i suoi appurati. Il diritto è imposto dal­lo Stato, sì che per tutto l'Ottocento e la prima metà del Novecento, il diritto era di origine statuale con il riconoscimento delle autonomie, si è introdotto il diritto regionale. Con i Trattati europei si è introdotto il di­ritto extrastatuale. L'ordinamento dello Stato riconosce l'autonomia pri­vata, consentendo ai singoli in determinati scenari (es. famiglia, associa­zioni, società, etc.) di creare regole destinate alla disciplina nei loro rap­porti.

5. Diritto «e» mercato

(a) Il mercato come risultante diforze spontanee dell'economia?

Il diritto non riguarda solo i rapporti economici, e non ha solo con­tenuti patrimoniali. Ma nella maggior parte dei casi le regole giuridiche hanno ad oggetto rapporti a contenuto patrimoniale e situazioni create dagli scambi di mercato. Che rapporto si istituisce tra regole giuridiche e regole economiche? Può esistere un mercato spontaneo sema diritto?

Uno degli esempi che qualche autore offre per dimostrare che può esistere un mercato anteriormente all'intervento del legislatore, e quindi che esistano re­gole economiche che anticipano l'intervento - ove necessario - delle regole giu­ridiche, riguarda i grey markets «indicati dagli stessi giuristi anglosassoni come il luogo dove c'è il mercato ma non c'è ancora il diritto» (12); una sorta di autorego­lamentazione dei mercati finanziari che dà luogo ad un ordinamento, scevro da interventi legislativi.

(Il) IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2001; FERRARESE,

Diritto sconfinato, Roma-Bari, 2006. (1') ROSSI, Diritto e mercato, in Riv. soc., 1998, p. 1446.

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CAPITOLO I . IL DIRITTO E IL GIURISTA 13

Mi sembra difficile poter sostenere che il mercato, indipendente­mente dalla circostanza che possa essere considerato locus naturalis, piuttosto che locus arti/icialis, possa sussistere senza regole giuridiche. Per poter rendere certi e immodificabili gli scambi, è necessario che essi siano fondati su regole giuridiche. Ciò che può variare è il come regolare il mercato, e da parte di chi introdurre le regole.

Di qui, per chi crede nel mercato come entità autonoma, squisita­mente economica, la registrazione del suo fallimento: in ogni Paese del­l'Unione, e l'Unione stessa con le sue regole, ha preso atto di questo suo fallimento ed ha ritenuto di intervenire in via legislativa, perché gli ope­ratori, lasciati a se stessi, possono alterare le condizioni ottimali per un mercato efficiente. È necessaria una regolazione del mercato (13).

(b) La «regolazione» del mercato

Regolazione del mercato non significa però regolazione con leggi dello Stato e neppure intervento dello Stato nell' economia. Siamo tutti ormai convinti che il diritto - inteso nella sua accezione più ampia - sia costituito da una molteplicità difonti, da quelle legislative, scritte, a quel­le non scritte, di cui fanno parte l'interpretazione, i principi generali, le prassi, ecc. Ma tutte queste fonti, anche quelle non scritte, in tanto pos­sono esprimere la loro efficacia vincolante in quanto lo Stato le ricono­sca e le legittimi. E lo Stato assume molteplici forme e vesti: si presenta sotto le spoglie del legislatore parlamentare, del legislatore governativo, delle autorità amministrative indipendenti, del giudice che sindaca i rap­porti tra privati, del vincolo riconosciuto agli accordi collettivi, alle ne­goziazioni tra privati, e così via.

Fallimento de! mercato

Lo Stato si presenta anche sotto le spoglie dell'imprenditore, sotto le spoglie Stato imprenditore

dell' apparato che offre sovvenzioni e soccorso alle fasce socialmente deboli, e cosÌ via. Lo Stato si presenta anche come regolalare, sia dall'alto, sia dal basso. La riduzione dell'intervento dello Stato, tanto conclamata dai Iiberisti puri, ri-guarda sia l'intervento dello Stato come imprenditore, sia l'intervento dello Sta-to come impositore di lacci e Iacciuoli, sia l'intervento dello Stato diretto ad al-terare le regole della libera concorrenza. Di qui la discussione avviata anni fa sulla possibilità di un diritto «senza Stato». La grave crisi economica che ha col-pito l'emisfero occidentale ci ha insegnato che il mercato deve essere regolato e che lo Stato deve garantire la sicurezza dei rapporti giuridici e degli investimen-ti, e deve incentivare lo sviluppo economico, oltre che provvedere ai servizi so-ciali fondamentali.

(13) Per una approfondita analisi v. IRTI, L'ordine giuridico del mercato, Roma­Bari, 1998; FERRARESE, Diritto e mercato, Torino, 1992.

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Prospettive di ricerca sulla regolazione del mercato

14 PARTE I . INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

(c) La definizione giuridica del mercato

La definizione giuridica di mercato implica che gli interessi espressi dal mercato possano raggiungere un equilibrio ottimale solo se essi sono posti in grado di combattere ad armi pari. Per poterlo fare, occorre l'in­tervento dello Stato, altrimenti gli interessi forti soffocherebbero gli in­teressi deboli, prevaricandoli e quindi violando i valori fondamentali di ogni Paese occidentale, che sono, riassuntivamente, i valori della perso­na.

Sulla base di queste premesse metodologiche, sinteticamente richia­mate, possiamo isolare gli indirizzi che si occupano dei seguenti temi:

(i) l'allocazione delle risorse, la concorrenza e la redistribuzione del reddito (,4);

(ii) l'efficienza economica e la libertà ('5); (iii) l'intervento dello Stato e la «rivincita del mercato» ('6); (iv) la globalizzazione dei mercati (17); (v) la nuova costituzione economica (18); (vi) la costruzione del mercato europeo (19),

(d) Gli attori e gli interessi nel mercato

La scomposizione di questi profili è puramente didascalica, perché essi si intrecciano vicendevolmente; la loro trattazione analitica (se mai se ne avessero le forze, oltre che la competenza) porterebbe molto lonta­no, Una linea del percorso descrittivo potrebbe tuttavia svolgersi attor­no ad alcuni nuclei di riflessione, a tre interrogativi di base:

(14) Per tutti v. GUESNERIE, L'economia di mercato, Milano, 1998. (") FRIEDMAN, Efficienza economica e libertà, trad. iL, Firenze, 1967; VON

HAYEK, Legge, legislazione e libertà, trad. iL, a cura di MONATERI, Milano, 1986. (") BosANQuET, La rivincita del mercato, trad. iL, Bologna, 1985: la critica a

Bosanquet è ferocemente formulata da KUTTNER, Everytbing Far Sale. Tbe Vìrtues and Limits ofMarkets, N,V" 1997.

(17) Nell'ampia letteratura v. AA.VV., Globalizzazione dei mercati e capitalismo, a cura di ARCELLI, Bari-Roma, 1997; LAFAY, Capire la globalizzazione, trad. it., Bolo­gna, 1996; HIRST e THOMPSON, La globalizzazione dell'economia, trad. iL, Roma, 1997; FANTozzl e NARDUZZI, Il mercato globale, Milano, 1997; THUROW, Il futuro del capitalismo, trad., iL, Milano, 1997; da ultimo v. GREIDER, One World, Ready or Not, Londra, 1998.

(") S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 1995; ID., Per una nuova costituzione economica, a cura di DELLA CANANEA e G. NAPOLITANO, Bolo­gna,1998.

(") Nella letteratura variegata v. R SANTANIELLO, Il mercato unico europeo, Bologna, 1998; MARÈ e SARCINELLI, Europa: cosa ci attende?, Bari-Roma, 1998; PA­PADIA e SANTlNI, La Banca centrale europea, Bologna, 1998; SECCHI, Verso l'euro, Venezia, 1998; BINI SMAGHI, L'euro, Bologna, 1998.

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CAPITOLO I " IL DIRITTO E IL GIURISTA 15

(a) chi sono gli attori del mercato? (b) quali interessi operano e sono tutelati (o SI autotutelano) nel

mercato? (c) chi fissa le regole del mercato?

La scomposizione di «attori» e di «interessi» è necessaria, perché non vi è Modelli di mercato

sempre coincidenza tra i primi e i secondi; lo Stato che opera come imprendito-re persegue l'interesse pubblico, operando come privato; il privato che opera come imprenditore persegue un interesse privato che non può essere «funziona-lizzato»; lo Stato che regola gli interessi tutela un interesse pubblico, ma può an-che tutelare interessi privati; i privati che autoregolano i propri interessi, li tute-lano talvolta a scapito dell'interesse pubblico; lo spettro dell'interesse pubblico non sempre abbraccia tutti gli interessi privati, cioè gli interessi di tutti i conso-ciati, e lo spettro degli interessi privati può spingersi a tutelare interessi «terzi», come accade per il c.d. terzo settore; nel mercato non si radica e germoglia solo la competizione, la lotta, la sopraffazione, ma può avere spazio la solidarietà; tra gli estremi di collettivismo e dirigismo puro, da un lato, e capitalismo individua-lista ed egoistico dall'altro lato, si collocano posizioni intermedie, ora vestite dalle teorie di Keynes, ora vestite dalle teorie di Pareto, ora vestite dalle teorie marginaliste, ora vestite dalle teorie contemporanee della «giustizia sociale» propugnate da Rawls, Dworkin, Ackerman, o dall'indirizzo del welfare tempe-rato. L'idea che nel mercato possano sussistere solo privati con la qualifica di imprenditori e che il mercato sia costituito solo da homines oeconomici da tem-po è stata superata e non ha più cittadinanza in una società moderna e democra-tica.

Pertanto: (a) tra gli attori del mercato si debbono annoverare anche coloro a

mezzo dei quali produzione e distribuzione di beni e servizi sono rese possibili, cioè la forza lavoro, e coloro che risultano destinatari di pro­dotti e servizi, i consumatori e i risparmiatori;

(b) gli interessi tutelati nel mercato sono gli interessi della collettivi­tà, gli interessi degli imprenditori, gli interessi dei lavoratori, gli interessi dei consumatori e dei risparmiatori;

(c) le regole sono fissate dalla collettività attraverso i propri rappresen­tanti politici, a mezzo della legislazione, dalle autorità amministrative indi­pendenti, dalle forme di autodisciplina, dalla negoziazione tra le categorie interessate (le associazioni di imprenditori e le associazioni di consumato­ri, risparmiatori, ambientalisti, solidaristi, ecc.); la soluzione dei conflitti di volta in volta è offerta dal legislatore, dalle autorità amministrative indipen­denti, dal giudice togato, da arbitri, mediatori, conciliatori privati.

In questo quadro, «libertà di mercato» non significa più - e soltanto - libertà dalle imposizioni, libertà di competizione, libertà di accesso, ma significa regulation, cioè creazione di regole rivolte alla composizione degli interessi in gioco secondo una logica democratica.

Imprenditori, lavoratori subordinati, consumatori, risparmiatori

Le tecniche della negoziazione

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Giustizia forma!e e giustizia socia!e

Il nuovo contesto socia!e

Eguag!ianza delle opportunità

16 PARTE I - INTRODUZIONE STORlA, FONTI, INTERPRETAZIONE

Ma oggi il quadro è ancora più complesso: il mercato interno deve convive­re con il mercato europeo e con la globalizzazione dei mercati; il mercato deve fare i conti con la dematerializzazione della moneta e con le tecnologie informa­tiche e telematiche; deve fare i conti con le sempre più scarse risorse pubbliche, che hanno portato al ridimensionamento dello Stato sociale, e con la graduale scomparsa dell'assistenzialismo; di qui il fenomeno delle «privatizzazioni», con la graduale riduzione dei settori in cui lo Stato opera come imprenditore e come sostegno delle attività private; di qui il sopravvento del diritto privato sul diritto pubblico, o, meglio, l'espansione del c.d. diritto comune (20).

6. Diritto e giustizia. Eguaglianza e redistribuzione

(a) Il diritto è «giusto»?

Altro problema capitale è quello che investe i rapporti tra diritto e giustizia. Le regole giuridiche sono di per sé giuste? Assicurano l'egua­glianza dei soggetti ad esse subordinati? Le risposte sono molteplici, perché dipendono dal punto di partenza del ragionamento e dall'orien­tamento ideologico di chi deve dare la risposta.

L'eguaglianza implica, nella sua accezione sostanziale, la trattazione dei profili di giustizia (c.d, giustizia sociale) e di redistribuzione. Si tratta di una questione vitale delle società occidentali, attorno alla quale è sempre rimasto vi­vo il dibattito tra giuristi, filosofi, economisti, politologi; un rinnovato interesse per la questione si è manifestato nell'ultimo quarto di secolo, a seguito della pubblicazione di un libro profondo, meditato e provocatorio ad opera di J ohn Rawls (21). Rawls muove dalla teoria del contratto sociale e illustra un modello di società governato dall'equità. L'equità è data dai criteri di giustizia che perso­ne razionali sceglierebbero se fossero in una situazione iniziale di eguaglianza; TI nuovo contesto sociale ignorando la propria situazione personale, sopprimendo le differenziazioni portate dal caso, gli individui razionali distribuirebbero costi e benefici della coesistenza sociale con criteri equi. Ne nasce l'immagine di una società tollerante, che premia le aspettative ragionevoli, che elimina le distribu­zioni di risorse fortemente diseguali,

Alla posizione liberaI-radicale di Rawls fa da contraltare la risposta del con­servatore Robert Nozick (22) il quale muove dalla giustificazione dello stato di natura, lascia al libero sprigionarsi delle forze la predisposizione delle regole della convivenza e quindi della dinamica sociale Eguaglianza delle opportunità, è contrario ad ogni forma di redistribuzione, ma propende per la tutela massima

(20) Da ultimo v, F, GALGANO, La globalizzazione nello specchzo del diritto, Bo­logna, 2005; GOODE, Commercù:d law, Lexis-Nexis, 2006.

(21) Una teoria della giustizia, Cambridge, Mass. 1971, trad, it., Milano, 1982, (22) Anarchùl, Stato e utopia, I fondamenti filosofici dello «Stato minimo», N,Y.,

1974, trad. it., Firenze, 1981.

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CAPITOLO I . IL DIRITTO E IL GIURISTA 17

delle libertà individuali, per l'eguaglianza delle opportunità, e propone la crea­zione di uno "Stato minimo», che assolva le funzioni elementari di protezione dai nemici esterni, di ordine interno, di sanzione degli inadempimenti, ecc.

Rawls e Nozick continuano ad incarnare due modelli antitetici di eguaglian­za e di giustizia. Gli interventi che si sono susseguiti li hanno presi a confronto, a critica, a modello. Vicino a Rawls pur con differenziazioni di prospettive cul­turali si colloca Ronald Dworkin (23), che critica l'utilitarismo e il positivismo giuridico, e fa una analisi delle libertà, dei diritti così come proposti nei testi co­stituzionali e nelle interpretazioni dei giudici; Bruce Ackerman (24) critica Rawls, Nozick e propone la tesi di uno stato liberale in cui la giustizia sociale si realizza per interventi successivi, con distribuzione del potere secondo principi di razionalità, congruenza, neutralità.

Proposta ancora diversa è quella elaborata da Michael Walzer (25) per il quale occorre frantumare l'idea di eguaglianza, che da semplice diviene com­plessa: ogni bene, ogni risorsa, ha i suoi propri criteri di appartenenza e di redi­stribuzione; pluralisticamente considerati, ciascuno di essi è al centro di sfere diverse di giustizia; abbattere il monopolio per ciascun bene porta a realizzare una redistribuzione articolata.

(b) Eguaglianze e diseguaglianze

Infine, il problema è stato interamente riesaminato da Amartya Sen (26) con approccio pragmatico e concreto. Sen muove dalla conside­razione che gli individui differiscono tra loro (cioè sono diseguali) per caratteristiche personali, per circostanze esterne che hanno influito sulla distribuzione dei beni, sulla collocazione sociale, sulla collocazione am­bientale; parlare di eguaglianza senza considerare da dove provenga lo status in cui si trovano gli individui, o di eguali opportunità senza chie­dersi se ciascuno di essi abbia goduto della libertà e della possibilità di migliorare lo status, appare a Sen discorso astratto e quindi fuorviante, imponendosi una analisi diversificata dell'eguaglianza a seconda dei cri­teri distributivi dati e proponendosi allora una giustizia sociale redistri­butiva che tenga conto delle esigenze basilari della sopravvivenza e delle scelte individuali in ordine all'impiego delle risorse.

(") I diritti presi sul serio, Cambridge, Mass. 1977, trad. it., Bologna, 1982. (") La giustizia sociale nello stato liberale, New Haven, 1980, trad. it., Bologna,

1984. (25) Sfere di giustizia, N.Y., 1983, trad. it., Milano, 1987. (") La diseguaglianza. Un riesame critico, Oxford, 1992, trad. it., Bologna,

1994.

I diritti presi sul serio

Sfere di giustizia

Eguaglianza, status, povertà

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18 PARTE I, INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

(c) Diritto e linguaggio di genere

Che sia importante riflettere sulla lingua di genere, sull'impiego al maschile o al femminile di termini impiegati tecnicamente, è una convin­zione che è maturata in Italia qualche anno fa, e si è fatta strada con molte difficoltà, perché l'unificazione dei termini al maschile poggiava su valori e su una mentalità condivisa e, nonché su tradizioni storiche ra­dicate, Anzi, proprio dalla diversità dei generi impiegata dal legislatore si traevano argomenti per accertare l'esistenza o meno di diritti, Insom­ma, la lingua non è solo manifestazione del potere, ma è anche strumen­to di attribuzione o di negazione di diritti,

La storia dell' avvocatura ne è un esempio eclatante, Tra gli argo­menti che furono utilizzati dalla Corte di Cassazione di Torino all'inizio del Novecento per non ammettere una donna all'esercizio della profes­sione forense si trova proprio l'argomento letterale di genere: poiché il legislatore non si riferiva alle avvocate ma solo all' avvocato per stabilire i requisiti di iscrizione all' albo, se ne inferiva, insieme ad altre considera­zioni, che le donne non potessero essere abilitate,

La sentenza non fece scalpore, anzi, fu salutata con manifestazioni di assenso da parte dei giuristi. Una raccolta di saggi curata da Nicola Sba­no per iniziativa del Consiglio Nazionale Forense (27) documenta con dovizia di argomentazioni come il linguaggio, i concetti, le stesse dispo­sizioni applicate da avvocati, giudici e teorici del diritto militavano tutti a sostenere il <<ffiaschilismo» nel diritto, Solo i grandi del tempo, tra po­litici giudici ed accademici, avevano espresso un orientamento opposto: tra i politici Filippo Turati, tra i giudici Lodovico Mortara, tra gli acca­demici Vittorio Scialoja, Ma la tesi maschilista era dominante, Tuttavia, se si trovava il tempo, l'impegno e l'ardire di scrivere un libro per soste­nere la tesi maschilista, come fece Carlo Francesco Gabba nel 1866 (Le donne non avvocate, Pisa) vuoI dire che la questione non si poteva risol­vere né in modo semplicistico né in modo sarcastico,

Le donne sapevano ben argomentare, anche in termini giuridici, era­no eccellenti avvocate anche senza essere iscritte all' albo, L'ho dimostra­to nella raccolta di discorsi per l'Unità d'Italia, pubblicati in occasione del Centocinquantenario, sempre per iniziativa del Consiglio N azionale Forense (28) riprendendo pagine di Cristina di Belgioioso e di Anna Ma­ria Mozzoni,

Il linguaggio è dunque uno degli aspetti di ciò che oggi definiamo «politically correct» e si accompagna agli altri aspetti dell'universo dei diritti, l'eguaglianza, la discriminazione, le pari opportunità, le quote ri-

(27) Donne e diritti, Dalla sentenza Mortara del 1906 alla pn'ma avvocata italiana, Bologna, 2004,

(28) L'Unità d'Italia nella tradizione dell'Avvocatura, Matera, 2011.

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CAPITOLO I - IL DIRITTO E IL GIURISTA 19

servate nell' attribuzione di incarichi o nell' assunzione di ruoli e cosi via. Un quadro molto complesso della realtà contemporanea che Facchi, Fa­ralli e Pitch hanno decritto in modo esemplare (29).

Il ruolo sociale delle istituzioni è anche questo: promuovere i diritti per rimuovere le discriminazioni e il linguaggio ne è uno specchio fede­le eO).

7. I ruoli del giurista

Chi si occupa professionalmente di diritto è denominato giurista. Le tecniche di educazione e di formazione del giurista, così come i

caratteri e l'organizzazione della sua professione cambiano nel tempo: se nel Medioevo il giurista è l'esperto di scienze umane, solo nell'Ottocen­to il giurista è considerato l'esperto di una scienza autonoma, la scienza del diritto ( 1

).

li giurista non è solo uno scienziato. È coinvolto nella dinamica sociale e quindi nella dinamica politica: è coinvolto nelle lotte tra i portatori dei diversi interessi, di volta in volta svolgendo il compito di consigliere del principe, di di­fensore dei singoli di fronte all'autorità, di organizzatore del diritto; con l'insor­gere degli Stati pluriclasse, il giurista si trova a difendere sia gli interessi della classe al potere, sia gli interessi degli appartenenti alle classi che urgono per ave­re maggior coinvolgimento nel governo della cosa pubblica, e non mancano giu­risti che affiancano gli appartenenti alle classi più deboli, e che lottano con que­sti per migliori condizioni economiche e sociali; nell'Ottocento il giurista svolge i ruoli più rilevanti, sia per l'organizzazione dello Stato borghese, sia per l'orga­nizzazione del libero mercato, per la diffusione dell'industrializzazione e del commercio ma anche per l'affennazione dei diritti civili e dei diritti dei presta­tori di lavoro (32). Spetta ai giuristi il merito di aver promosso e governato alcu­ni dei più importanti rivolgimenti epocali, come la Rivoluzione francese e le Ri­voluzioni italiane della fine del Settecento, e poi il Risorgimento.

È alla metà dell'Ottocento che si definiscono, con l'unità del Paese e la sua organizzazione amministrativa, i ruoli professionali - oggi ormai tradizionali -del giurista, cioè l'avvocato, il magistrato, il notaio. Si stabilizza e diviene istitu­zionale anche il ruolo del docente di materie giuridiche, che raccoglie una tradi­zione quasi millenaria, iniziata con la fondazione delle prime facoltà giuridiche nelle più antiche Università (Bologna, Padova, Pavia, La Sapienza di Roma).

Nella realtà odierna, caratterizzata da un accentuato pluralismo, da

(29) Eguaglianza, donne e diritto, Bologna, 2007. (30) Da ultimo v. Cavagnolo, ..... (,1) P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 2003. (32) GIANNINI, L'amministrazione pubblica dello Stato contemporaneo, Padova,

1988; S. CASSESE, Le basi del diritto amministrativo, Milano, 2000.

Stato pluriclasse

Ruolo del giurista nelle istituzioni

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e nella società

20 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

una maggior mobilità sociale, da una omogeneità del ceto medio, dalla marginalità delle categorie disagiate, si registrano ulteriori cambiamenti: la funzione del giurista è quella di «dominus delle istituzioni», di colui che conosce il modo in cui si svolgono le attività degli organi e degli uf­fici, delle istituzioni e dei gruppi di interesse. Nel contempo è il giurista che crea le formule per l'impiego dei capitali, del credito e del rispar­mio, l'organizzazione societaria, i rapporti del commercio internaziona­le. Sono così nate nuove figure professionali, come il giurista che si dedi­ca alla consulenza, il giurista d'impresa, il giurista «d'affari». Ma il giuri­sta è in primo luogo il custode dei diritti delle libertà degli individui con­tro le sopraffazioni degli altri associati e contro gli atti illegittimi della Pubblica Amministrazione,

Il giurista segue quindi tutte le fasi evolutive dell'organizzazione del mercato, inventando gli strumenti ad essi necessari: dalla lex mercatoria al capitalismo incipiente, al capitalismo maturo ed ora alla globalizzazio­ne dei mercati.

I! giurista diviene - di volta in volta, o, più raramente nello stesso momento - un ingegnere sociale, il critico delle istituzioni, il promotore del cambiamento, il mediatore degli interessi individuali e di gruppo, I! giurista si fa legislatore, giudice, politico, difensore degli interessi deboli, consigliere degli operatori economici, controllore delle attività private e pubbliche.

Cambiando l'oggetto della scienza del diritto, non cambia tuttavia l'attività in senso professionale del giurista: cambia la scienza a cui egli si applica.

Nel corso dei secoli, dunque, i giuristi si sono ritagliati uno spazio sia nella società sia nell' ambito della cultura, umanistica e tecnica; le re­gole che essi creano e applicano, le tecniche che utilizzano, la scienza che costruiscono, definiscono una sorta di sapere «monopolistico» che rende ineluttabile il ruolo del giurista in ogni società (").

I! giurista fa parte ormai dell'immaginario collettivo, Si è anche provveduto a identificare alcuni modelli mitologici del giurista: illegisla­tore supremo (Giove), il sopportatore di enormi fatiche per rendere ef­fettiva la legge (Ercole), l'interprete riflessivo (Mercurio) (34).

Ovviamente questi ruoli non sono esclusivi, né univoci, nel tempo e nello spazio. Così come molteplici e meritevoli sono gli indirizzi cultura­li nella formazione del giurista (35),

(3') BOURDIEU, ne La farce du drozf, Parigi, 1991. (34) OST, in Normes juridiquer et régulation sociale, Parigi, 1991. (") ALPA, Trattato di diritto ciVIle, I, Storia, fonti, interpretazione, Milano, 2000:

FERRA]OLI, La cultura giuridica nell'Italia del Novecento, Roma-Bari, 1999: GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità, Milano, 2005 e Novecento giuridico: un secolo por-moderno, Napoli, 2011.

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CAPITOLO II

IL DIRITTO PRIVATO

SOMMARIO: 1. Definizioni. - 2. Il diritto privato e l'Unione europea. - 3. I significati di «codice». - 4. Le codificazioni dell'Ottocento. - 5. Il Codice civile italiano del 1865 e i suoi modelli. - 6. I Codici di commercio. - 7. La legislazione del primo dopoguerra e le proposte di riforme del codice civile del 1865. - 8. Dirit· to civile e diritto cOlnrnerciale. - 9. Dalla unificazione ad una nuova 5eparazio~ ne? - IO. I settori speciali del diritto privato.

1. Definizioni

La nozione (o !'idea) di diritto privato inteso in senso moderno si ri­solve nella sua storia. È una storia complessa che si dipana per più di due secoli.

I! diritto privato, in senso moderno, prende avvio alla fine del Sette­cento, con il fenomeno delle codificazioni, cioè con la confezione dei co­dici, che raccolgono regole generali ed astratte, per singoli settori del­l'ordinamento e sono imposti dall' autorità. A quell' epoca, diritto privato infatti è sinonimo di diritto del codice civile, e quindi di diritto dei priva­ti, in quanto il codice, è considerato come la legge costituzionale dei rapporti tra privati.

Considerato nel suo insieme, il diritto è metaforicamente rappresen­tato da un grande albero, il cui tronco si divide in due grandi rami, il di­ritto privato e il diritto pubblico e da questi derivano altri rami più pic­coli; dal diritto privato il diritto civile, il diritto commerciale, il diritto industriale, ecc.; dal diritto pubblico, il diritto penale, il diritto interna­zionale, le procedure, ecc.

Ma che significato si deve assegnare al sintagma «diritto privato»?

(a) Accezioni e definizioni di «diritto privato»

Le definizioni di diritto privato variano in funzione dello scopo che si vuoI perseguire nel fissarne la definizione.

(i) Se lo scopo concerne la ripartizione didattica delle materie og­getto dei corsi, il diritto privato comprende: l'introduzione allo studio

Diritto privato e codice civile

Partizioni del diritto privato

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Accezioni del diritto privato

lus privatum/ius publicum

22 PARTE I - INTRODUZIONE STORlA, FONTI, INTERPRETAZIONE

del diritto, il diritto civile, il diritto commerciale (diritto dell'impresa e dei contratti commerciali, diritto delle società, diritto industriale, diritto bancario, assicurativo e dell'intermediazione mobiliare, diritto fallimen­tare, diritto commerciale europeo), il diritto agrario, il diritto del lavoro, il diritto matrimoniale, e si contrappone al diritto pubblico (che com­prende il diritto costituzionale, il diritto penale, le procedure, il diritto ecclesiastico, il diritto internazionale, il diritto tributario).

(ii) Se lo scopo concerne la distinzione tra sfere di interessi, tenden­zialmente il diritto privato si identifica con il diritto «dei privati», anche denominato diritto della «società civile».

(iii) Se lo scopo riguarda la definizione delle tecniche e dei modelli, il diritto privato si identifica con il diritto «comune».

(iv) Se lo scopo concerne le tecniche del controllo, il diritto privato si identifica con le tecniche di «controllo sociale», e così via. In altri ter­mini, la distinzione è oggetto di molte perplessità (1), anche perché i confini del diritto privato sono mutevoli, variando a seconda delle situa­zioni storiche, politiche, economiche, culturali che si prendono in consi­derazione.

(b) Fattori di evoluzione del diritto privato

Giuridificazione, secolarizzazione, innovazione tecnologica, inge­gneria economica, mutamento sociale, adeguamento al diritto comunita­rio, ingegneria fiscale sembrano, allo stato, i fattori più rilevanti della evoluzione del diritto privato; a questi si può aggiungere la circolazione dei modelli giuridici, che però, più che un fattore del mutamento, sem­bra essere una tecnica, una modalità di adeguamento dell'ordinamento alle nuove esigenze (2).

(c) Diritto privato e diritto pubblico

La distinzione tra diritto privato e diritto pubblico e quindi le ri­spettive nozioni per risalente tradizione nascono dalla contrapposizione di queste due branche. Osservava Pietro Bonfante, in un fortunato ma­nuale, che «il diritto, ius civile, si distingue in pubblico e privato». Que­sta distinzione ha presso i Romani un duplice significato, che si ricollega al senso ambiguo delle parole pubblico e privato: pubblico (da populus) è un concetto che oscilla tra lo Stato e la società, e può anche nella no-

(l) GALGANO, Il diritto privato tra codice e costituzione, 2a ed., Bologna, 1998, pp. 37 SS.; PERLINGIERI, Profili istituzionali di diritto civile, Napoli, 1986, pp. 54 SS.

(2) P. GROSSI, La scienza giuridica italiana. Un profilo storico, Milano, 2000; AL­PA, Trattato di diritto civile. L Storia, fonti, interpretazione, cit.; ID., La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 2000.

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CAPITOLO 11- IL DIRITTO PRIVATO 23

stra lingua aver tratto così dall'uno (per esempio, pubblico erario), come dall'altra (per esempio, la pubblica economia, la pubblica stima), o an­che esserne quasi ambiguo il senso (per esempio, la pubblica ricchezza) (. .. ). La definizione accolta nelle Istituzioni di Giustiniano ricavata (. .. ) dal giureconsulto Dlpiano, rispecchia l'opposizione tra lo Stato e i singo­li. Il ius publicum regola i rapporti politici, i fini che lo Stato deve rag­giungere: ad statum rei romanae spectat; il ius privatum regola i rapporti tra i privati cittadini, fissa condizioni e limiti nell'interesse dei singoli: ad singulorum utzlitatem pertinet D. 1. 1. 1.2 (3).

Questa concezione permane anche nel corso del diritto intermedio; si verifica però, con i Glossatori e i Commentatori, un fatto nuovo: il di­ritto romano, «italianizzato», adattato alle nuove esigenze, si espande sotto forma di diritto nuovo, scientifico, in tutta Europa, e diviene jus commune. Il diritto pubblico riflette quindi le regole imposte alle comu­nità dapprima dai dominatori stranieri e poi dalle organizzazioni libere (j Comuni) e quindi dalle Signorie e dai Principati, mentre il diritto pri­vato trova le sue radici nel diritto romano «aggiornato» (4).

La distinzione entra in crisi all'inizio del Novecento e la partizione è travolta subito dopo la la Guerra mondiale. Già Lodovico Barassi nel 1914 (5) osservava che nel diritto privato vi sono norme di diritto pub­blico in quanto inderogabili (ad es., la disciplina degli incapaci, lo stato delle persone, ecc.); che le regole del diritto privato non perseguono so­lo interessi privati o solo interessi patrimoniali, e le regole che lo Stato per ragioni sociali introduce (ad es., per tutelare i lavoratori nel rappor­to di lavoro), sono regole che hanno natura pubblicistica ancorché inci­dano su di un rapporto di natura privatistica quale quello che si instaura tra il datore e il prestatore di lavoro (6 ).

(3) Istituzioni di diritto romano, VI ed., Milano, 1919, p. 12. (4) SALVIOLI, Manuale di storia del diritto italiano. Dalle invasioni germaniche ai

nostri giorni, II ed., Torino, 1892, p. 3 ss. (') Istituzioni di diritto civile, Milano, 1914, p. 27 ss. (6) In giurisprudenza i criteri di distinzione tra diritto privato e diritto pubbli­

co sono molteplici. La Corte Costituzionale, con sentenza del 28.7 .2004, n. 282, nel valutare la rispondenza alla Costituzione (e ai poteri legislativi delle Regioni rispet­to ai poteri legislativi dello Stato) di una legge della Regione dell'Emilia Romagna ne ha dichiarato la illegittimità, quanto all'art. 4, l. reg. Emilia Romagna 23.4.1987, n. 16. Tale disposizione, infatti, non si limita a riordinare l'esercizio delle attività di bonifica e la gestione delle relative opere, ma dispone senz' altro la soppressione «ex lege» di organismi e di gestioni, anche di carattere privato, stabilendo che i consorzi di bonifica - enti pubblici economici a base associativa, nell' attuale confi­gurazione - non solo subentrino nell' esercizio dei compiti e delle funzioni dei pre­detti organismi, ma succedano ad essi nei rapporti giuridici e amministrativi, e quindi anche nella titolarità dei beni eventualmente posseduti, al di fuori di ogni procedura di eventuale ablazione per ragioni di interesse pubblico, con conseguen-

lus commune

La crisi della distinzione

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24 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPHETAZIONE

(d) Diritto privato e globalizzazione dei mercati

Alle soglie del nuovo millennio si avverte 1'effetto delle grandi inno­vazioni registrate nelle tecniche di comunicazione, l'effetto della diffu­sione della «ideologia del mercato», 1'effetto della globalizzazione delle operazioni economiche, sicché lo spazio per le regole del diritto privato - inteso in senso più restrittivo di come sopra si è detto, cioè come com­plesso delle regole che riguardano i rapporti patrimoniali tra i singoli -

te corresponsione di indennizzi, cosÌ travalicando il limite del divieto di alterare le fondamentali regole del diritto privato e risolvendosi in una violazione dei principi costituzionali di autonomia e di salvaguardia della proprietà privata e della libertà di associazione, Quanto alla questione della c,d, pregiudizialità amministrativa, cioè se sia necessaria, per ottenere il risarcimento deI danno da interesse legittimo, la preventiva declaratoria di illegittimità dell'atto amministrativo, sussiste contrasto tra il Consiglio di Stato, secondo il quale «va deferita all' Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione inerente il carattere pregiudiziale dell'impugnazione dell'atto amministrativo ritenuto illegittimo_ infatti quando è stabilito un termine di decadenza per instaurare una contestazione in sede giurisdizionale, lo spirare del termine non consente di far valere né quel diritto, né le conseguenze che seguireb­bero se fosse fondata la pretesa, in quanto come chiatito anche dalla Corte Costitu­zionale (sentenze n, 204/2004 e n. 19112006) il risarcimento del danno è uno stru­mento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (eia conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica ammini­strazione. Quindi, lasciandosi al privato la scelta tra azione di annullamento e azio­ne per il risarcimento del danno, verrebbe accettata e per cosÌ dire consolidata (ol­tre che monetizzata), con irreparabile vulnus del principio di legalità espresso dal­l'art, 97 della Costituzione e della ragione stessa di tutela dell'interesse legittimo, che riposa sul coincidente perseguimento di quello pubblico mediante l'eliminazio­ne delle patologie nei singoli casi concreti. Neppure può essere trascurato che, ave dovesse darsi ingresso principale al risarcimento del danno per lesione dell'interes­se legittimo, non potrebbe negarsi in via di forme di ristoro del tutto identiche a quelle demolitorie dell' annullamento, pur non ottenuto attraverso le forme pre­scritte dall'ordinamento_ Tale conclusione appare insanabilmente in contrasto (non solo con tali norme, ma anche) con il principio della intangibilità, ad opera del giu­dice, e dopo lo spirare del termine per impugnare, dell' atto che si assume illegitti­mo» (Ad, Plen" 21.4.2009, n, 2436) e la Corte di Cassazione (SS_UU" 23.12.2008, n. 30254) secondo la quale «Proposta al giudice amministrativo domanda risarcito­ria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'eserci­zio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la de­cisione del giudice amministrativo che nega alla tutela risarcitoria degli interessi le­gittimi sul presupposto che l'illegittimità dell' atto debba essere stata precedente­mente richiesta e dichiarata in sede di annullamento»,

Per i primi riferimenti v, RODOTÀ, Il diritto privato nella società moderna, Bolo­gna, 1971; AkVV., Il diritto privato nella società moderna. Seminario in onore di S. Rodotà, a cura di G. ALPA e V. Roppo, Napoli, 2005; Il diritto civile oggi, Atti della S.LS.Di,C., Napoli, 2006,

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CAPITOLO Il - IL DIRITTO PRIVATO 25

tende ad espandersi in misura sempre crescente, rispetto alla perdita di terreno segnata dagli ordinamenti statuali C).

La definizione complessiva di diritto privato può quindi essere il ri­sultato della sua intera (sintetica) descrizione, che si dipana nelle pagine di questo volume_ E quindi la si potrà intendere nella sua compiutezza proprio all' esito del discorso.

Già fin d'ora val la pena di mettere in evidenza che l'aggettivo quali­ficativo «privato» si associa non solo al diritto, ma a tutto ciò che attiene alla sfera dei «privati», cioè dei soggetti (persone fisiche, come i cittadi- Sfera dei privati

ni, O gli stranieri; enti, come le associazioni, le fondazioni, le società) che operano sulla base delle regole del diritto privato. La distinzione tra ciò che è privato e ciò che è pubblico (nonostante la convergenza dei due settori) è ancora molto netta: si pensi alla proprietà privata e alla pro-prietà pubblica, agli enti privati (es. un'associazione culturale) e agli enti pubblici (ad es., il Comune, la Provincia, la Regione, che pure svolgono attività culturali).

2. Il diritto privato e l'Unione europea

La Comunità europea dapprima, e l'Unione europea di poi hanno notevolmente inciso sul diritto privato, sia regolando materie a livello comunitario che appartengono all' area tradizionalmente ascritta al dirit­to privato, sia penetrando direttamente nell' ordinamento degli Stati membri, e non solo attraverso le fonti normative, ma anche attraverso le sentenze rese dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea (8). Basta pensare, e lo si vedrà più oltre, alle materie dei contratti dei consumato­ri, della responsabilità del produttore di beni e di servizi, della concor­renza per avvedersi che oggi ormai gran parte, spesso interi settori, del diritto privato sono assoggettati a regole derivanti dall' ordinamento co­munitario (9).

«L'Europa e il diritto romano» è il titolo di un poderoso volume di uno stu­dioso, Paul Koschacker (1879-1951), in cui si illustra l'influenza del diritto ro-

(') Sul punto v. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bolo­gna, 2005; FERRARESE, Il diritto al presente_ Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002.

(8) TIZZANO, Presentazione, ne Il diritto privato dell'Unione europea, t_ I, nel Trattato di diritto privato, diretto da M_ BEssoNE, Torino, 2000, p_ XIII_

(9) PERLINGIERl, Diritto comunitario e legalità costituzionale, Napoli, 1992; ID_, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema itala-comunitario delle fonti, 3a ed. rinn., Napoli, 2006; LIPARI (a cura di), Diritto privato europeo, I e II, Padova, 1997; CASTRONOVO e MAZZAMUTO, Manuale di diritto europeo, voll_ I e II, Milano, 2007_

Nascita del1'Europa del diritto

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26 PARTE I ~ INTRODUZIONE STOIUA, FONTI, INTERPRETAZIONE

mano giustinianeo - il diritto sul quale poggia gran parte della nostra tradizione giuridica - sulla cultura, sulla politica e sulla struttura stessa dei Paesi europei, non solo continentali, ma anche insulari (l0), Attraverso il diritto romano e la sua trasmissione, il suo studio, il suo adattamento, nel corso del Medioevo si conserva una tradizione pressoché unitaria, in cui si innestano le tradizioni, gli usi e i costumi dei popoli che provengono dalle regioni estranee all'influenza ro­mana, Si forma uno ius commune che, superando le frontiere degli Stati nazio­nali che si vengono formando, dei Principati e delle Signorie, dei piccoli Domi­nii, costituirà per secoli l'ossatura del diritto studiato e praticato, È un diritto che oggi diremmo dedicato al diritto civile e al diritto commerciale, cioè al dirit­to privato nel suo complesso,

A distanza di un millennio si rinnova questo fenomeno, di un diritto che su­pera le frontiere: ma la prospettiva è ben diversa, Il nuovo ius commune è il frut­to spontaneo di comunità che trovano nel diritto romano e nel diritto consuetu­dinario, poi nel diritto giurisprudenziale delle Rate, le regole loro necessarie; è il prodotto di autorità sovranazionali che per determinati settori uniforma la disci­plina dei rapporti privati, in attesa della realizzazione di un unico Stato federale, con una unica costituzione, un unico codice e così via,

Nella descrizione delle fonti del diritto privato si deve annoverare anche il di­ritto comunitario ordinamento che, dopo la modificazione del nome della Comu­nità Europea in Unione Europea oggi si denomina «diritto dell'Unione Europea»,

3. I «codici» e i loro significati

Fino alla comparsa delle costituzioni moderne, che appartengono al­l'epoca del secondo dopoguerra, le regole fondamentali dirette a regola­re i rapporti tra i privati erano affidate ai codici civili e ai codici di com­mercio.

Etimologia, funzioni «Codice» (dal lat. codex) significava originariamente libro compatto e cucito sul dorso. In senso traslato, dalla forma si è passati, nellinguag­gio tecnico, al contenuto, sicché da alcuni secoli al «codice» si associano materiali di contenuto giuridico, organizzati secondo un ordine sistema­tico, Normalmente, l'introduzione di un codice ha lo scopo di dettare nuove regole rivolte al futuro, anche se di fatto cristallizzano il passato. Le nuove regole abrogano quelle precedentemente vigenti. Un codice, in senso moderno, cioè dalla fine del Settecento, allude ad un «libro di leggi fatto da qualcuno» e destinato ai soggetti dall' autorità che introdu­ce il codice; il codice è fatto in modo sistematico per rendere chiaro e

(IO) Trad. it., Firenze, 1962. Per la ricostruzione dell'idea di Europa nella sto­riografia del Novecento v. ALPA e ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, Milano, 2005. Sul significato dei codici e sulle tecniche della codificazione v. RESCI­

GNO (P.l, Codici. Storia e geografia di un'idea, Roma, 2013.

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CAPITOLO Il - IL DIRITTO PRIVATO 27

comprensibile il testo della legge, e per rendere organico il dettato nor­mativo (11).

Dietro questa idea di codice e dietro i caratteri di un codice (civile, penale, di commercio, ecc.) stanno alcune ideologie.

4. Le codificazioni dell'Ottocento

(i) Le ideologie della codificazione

Le ideologie della codificazione concernono: il volontarismo, cioè la concezione della provenienza delle regole giuridiche da una autorità su­prema; l'imperativismo, nel senso che, trattandosi di leggi secolari, esse costituiscono un complesso di comandi; lo psicologismo, nel senso che la volontà dell'autorità è la volontà del «legislatore». A queste ideologie potremmo associare anche quella garantistica: se il codice esprime in modo chiaro le regole, ogni destinatario sa o può sapere quali sono le re­gole che deve osservare, quali le sanzioni che gli saranno applicate in ca­so di loro violazione; quindi il codice offre garanzie di certezza e cono­scibilità del diritto (I2).

(ii) Le tecniche della codificazione

Per redigere un codice si possono seguire varie tecniche. I raziona­listi (come Leibniz, 1646-1716) eleggono a codice ideale il codice che è descrittivo di proposizioni giuridiche e sistematico, nel senso che le proposizioni giuridiche seguono un ordine, dal generale al particolare, e sono composte in settori a seconda degli oggetti norma ti. Segue que­sto modello il Codice prussiano del 1794 (Allgemeines Landrecht jur die Koeniglich-Preussischen Staaten). Un modello parzialmente diverso, non espresso in un codice, ma in opere teoriche destinate a rendere elementare la scienza giuridica, a unificare le fonti del diritto, a razio­nalizzarne il contenuto, è seguito dai giuristi francesi dell'inizio e della metà del Settecento, come Domat (1625-1696) e Pothier (1699-1772): far discendere dal diritto naturale, dal diritto romano e dal diritto con­suetudinario regole omogenee, applicabili in ogni regione dello Stato, non poggianti su concetti, ma su situazioni pratiche descritte in modo elementare.

(") TARELLO, Ideologie settecentesche della codificazione e struttura dei codici, ora in Cultura giuridica e politica del diritto, Bologna, 1988, pp. 43 ss.; HANSENNE,

Introduction au droit privé, Bruxelles, 1990; VAN CAENEGEM, Introduzione storica al diritto privato, Bologna, 1995.

(12) FERRANTE, Dans l' ordre établi par le code civil. La scienza del diritto al tra­monto dell'illuminismo giuridù:o, Milano, 2002.

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28 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

(iii) I valori delle codificazioni dell'Ottocento

Nelle codificazioni dell'Ottocento, temporalmente succedutesi dal Code civil (1804) e dal Code de commerce (1807) al Codice civile austria­co (1811), ai Codici italiani preunitari, al Codice civile e di commercio italiani (1865), al nuovo Codice di commercio italiano (1882), al Codice tedesco (1896-1900), i valori sono sufficientemente omologhi: il codice è destinato ad un soggetto unitario, e i soggetti sono considerati (formal­mente) eguali tra loro; il Codice prende in considerazione l'istituto prin­cipe, quale motore dell' economia, cioè la proprietà, e accanto a questa il commercio; i soggetti sono considerati in quanto proprietari o commer­cianti.

(iv) I rapporti disciplinati dai Codici

I codici disciplinano i rapporti tra i privati, operanti nell'ambito del­la società civile, I rapporti tra i soggetti (intesi questa volta come subiec­ti) e l'autorità, cioè lo Stato, sono regolati da carte costituzionali; dopo le prime carte dei diritti (dei cittadini) della fine del Settecento, con i primi moti del 1821, le carte costituzionali più rilevanti si susseguono a partire dal 1848. Tali carte, concesse dall' autorità (il monarca), ricono­scono ai subiecti alcune libertà fondamentali, e, soprattutto, introducono la divisione dei poteri secondo il modello attribuito a Montesquieu (po­tere legislativo, potere esecutivo, potere giudiziario), La separazione tra le due categorie di rapporti è netta: gli «statuti» (le costituzioni) sono circoscritti al rapporto cittadino-Stato; i codici civili e di commercio ri­guardano i rapporti tra cittadini.

(v) I settori disciplinati dalle leggi speciali

Il codice assolve anche ad una funzione di «collante»: è la costituzio­ne dei rapporti tra privati; ma certi rapporti, per la loro rilevanza e per la loro complessità, sono disciplinati con leggi ad hoc, per l'appunto de­nominate «speciali»: ad es., le leggi sugli espropri, le leggi sull'ammini­strazione pubblica, sulla cittadinanza, ecc. (13).

(13) P. RESCIGNO, Introduzione al Codice civile, Roma-Bari, 1991: AA.VV., Co­dici. Una riflessione di fine millennio, a cura di P. CAPPELLINI e B. SORDI, Milano, 2002.

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CAPITOLO II· IL DIRITTO PRIVATO 29

5. Il Codice civile italiano del 1865 e i suoi modelli

(i) Il Code civil napoleonico del 1804

Il primo non solo per priorità temporale ma anche per rilevanza, è il Code civil, emanato in Francia nel 1804 ed esportato da Napoleone via via nei territori conquistati. È ancora in vigore in Francia, anche se ag­giornato ed ora in corso di revisione, ed è stato imitato quasi in tutto il mondo. Il Code civil fu tradotto in italiano e nel 1806 entrò in vigore nelle regioni che componevano il Regno d'Italia di origine napoleonica. Per espressa prescrizione di legge (Ld. 15.11.1808) la versione italiana venne adottata come libro di testo introdotta nelle Università e nei licei con il raffronto con il diritto romano (al riguardo è significativa l'edizio­ne a cura di Onofrio Taglioni, pubblicata a Milano nel 1809). Dal codice civile era separato il codice di commercio, relativo alle operazioni eco­nomiche dei «commercianti» (1807).

Sorto come atto politico borghese necessario ad esprimere la frattu­ra con l'Ancien Régime, e come complesso normativo destinato a unifi­care e razionalizzare le regole che governavano i rapporti tra privati, il Code civil reca le stimmate dell'Illuminismo, ma non è la completa espressione degli ideali della Rivoluzione francese; anzi, si ritiene che, con l'avvento di Napoleone essendosi arrestato il processo politico-so­ciale rivoluzionario, il Code esprime piuttosto le esigenze del ceto bor­ghese che aveva raggiunto il potere e con il Codice voleva rinsaldarlo. In ogni caso, è un capolavoro, di chiarezza, di sintesi e di acume tecnico.

Le diverse redazioni (le prime tre dovute a Cambacérès, e l'ultima all'impegno di Portalis) tendono a contemperare le regole della tradizio­ne romanistica, la loro sistemazione ad opera di Domat e Pothier, con le consuetudini e le discipline locali particolari. Il Code civil si compone di un titolo preliminare, e di tre libri (secondo lo schema delle Istituzioni di Gaio - personae, res, actiones -l; i titoli dei libri sono: le persone, i be­ni, i modi di acquisto della proprietà; la disciplina del contratto e delle responsabilità civile, così come quella delle successioni, sono perciò con­tenute nel III libro. Tutto l'impianto si incentra sulla tutela della pro­prietà.

La caduta di Napoleone non comportò, automaticamente, l'abroga­zione del suo Codice, né in Francia, né nei territori conquistati. Ad esempio, nel Regno di Sardegna, mentre in Piemonte ritornavano in au­ge le costituzioni pre-rivoluzionarie, in Sardegna si dava piglio alla intro­duzione di nuove leggi, il Codice civile napoleonico restò in vigore in Li­guria fino alla elaborazione del nuovo Codice emanato dal re Carlo Al­berto nel 1837.

Illuminismo, Rivoluzione, società borghese

Proprietà

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30 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

(ii) I Codici civili preunitari (14)

Il Codice francese è padre di molti figli. Oltre ad influenzare incisi­vamente il Codice albertino (del 1837) funge da modello per il Codice parmense, per il Codice estense e per lo stesso Codice del Regno delle due Sicilie del 1819, e soprattutto per il primo Codice dell'Italia unita, del 1865.

Dal Code civil ha tratto modelli, terminologie, regole (così come dai Codici preunitari che si erano ispirati al Code civi!) il primo Codice uni­tario italiano del 1865.

Non dobbiamo dimenticare che fino al 1918, nelle province italiane dell'impero asburgico si applicava il Codice civile austriaco, introdotto nel 1811 e nella versione italiana nel 1816. Di questo fatto storico è ri­masta traccia non solo nel tessuto costituzionale (con l'autonomia spe­ciale della Regione Trentino-Alto Adige, nelle sue due province di Tren­to e Bolzano, e della Regione Friuli-Venezia GitÙia) ma anche nella di­sciplina di istituti locali (come il maso chiuso) e nella disciplina della pubblicità immobiliare, in cui si applica il c.d. diritto tavolare,

(iiz) L'unificazione legislativa e amministrativa

Avvenuta l'unificazione politica nel 1861, con l'estensione del domi­nio di casa Savoia sugli altri Stati della penisola (che si sarebbe comple­tata con l'annessione dello Stato pontificio nel 1870), occorreva risolvere il problema della unificazione legislativa e amministrativa, la quale, da un lato, avrebbe consolidato e rafforzato l'unificazione, dall' altro avreb­be consentito di introdurre regole giuridiche e amministrative più con­formi alle esigenze dei tempi. Attesa l'eterogeneità della disciplina, i Sa­voia non pretesero di estendere ai nuovi territori l'ordinamento vigente nel Regno sardo-piemontese, ma procurarono di dare al nuovo Stato un nuovo ordinamento. Sicché in pochi anni i giuristi compirono un'opera straordinaria: elaborarono un nuovo Codice civile e un Codice di com­mercio (1865); in più, predisposero alcune leggi amministrative fonda­mentali in materia di attività della P.A., di espropri, ecc. ('5).

Anche il Codice civile del 1865 era articolato in tre libri, ruotanti in­torno alla proprietà (persone, proprietà, modi di acquisto della proprie­tà). Attraverso il filtro dei Codici degli Stati italiani anteriori alla unifica­zione politica del 1861 sotto il Regno sabaudo risaliva al modello princi-

(14) In argomento v. ALPA, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italia­no, cit.; GROSSI, Scienza giuridica italiana 1860/1950. Un profilo storico, Milano, 2000.

(1') GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993; CASSESE, Il sistema ammi­nistrativo italiano, Bologna, 1983.

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CAPITOLO II· IL DIRITTO PRIVATO 31

pe, cioè al Codice napoleonico. In materia di rapporti familiari, era un codice autoritario, affidando al marito il governo della vita della moglie e dei figli; era un codice laico, perché riconosceva solo il matrimonio ci­vile, e lasciava aperta la via alla introduzione del divorzio. Ma, a diffe­renza di quanto era avvenuto in Francia, non lo previde.

Dalla sua introduzione passarono cinquant' anni senza riforme, salva la legge che concesse alle donne la capacità di testimoniare negli atti pubblici e privati (1. 9.12.1877, n. 4167), e salve le leggi che abolirono la carcerazione per debiti (6.12.1877, n. 4166) e quelle che modificarono la disciplina degli espropri. Alla fine del secolo il Parlamento cominciò ad occuparsi delle questioni sociali, introducendo provvidenze per le classi lavoratrici. Si avvertì pure l'esigenza di modificare il Codice di commer­cio, prendendo a modello non più il Codice napoleonico, ma il Codice di commercio tedesco del 1861. il nuovo Codice di commercio fu defi­nito da Antonio Labriola (1843-1904) «il libro d'oro della borghesia»; esso fu il bersaglio degli strali di un maestro del diritto commerciale, Ce­sare Vivante, il quale vide nelle nuove regole lo specchio delle richieste di privilegi avanzate dai commercianti, cioè dai banchieri, dagli assicura­tori, dai vettori, dai rivenditori, a danno del pubblico dei consumatori, e, sostanzialmente, delle classi deboli ('6).

6. I Codici di commercio

(i) Il Code de commerce napoleonico del 1807

Il Code de commerce aveva avuto una gestazione lunga e diffusa, era passato attraverso più progetti, ed occorse l'intervento dello stesso Na­poleone per sveltirne l'approvazione e per compiere alcune scelte di fon­do. Esso risolve anche il contrasto tra il gruppo dei civilisti e il gruppo dei commercialisti. I primi, considerando il Code civil come la legge fon­damentale che riguarda tutti i privati e tutela i valori prioritari (connessi con la proprietà), ritenevano che il Code de commerce dovesse essere su­bordinato al Code civil, fosse una legge speciale a tutela di interessi di settore, e potesse articolarsi in una mentalità del ceto commerciale; i ci­vilisti si preoccupavano che il Code desse piena rispondenza ai bisogni del commercio, che tutelasse gli interessi dell'intera collettività, garantis­se il libero esercizio di mestieri e professioni, la libertà di commercio e offrisse al commercio i vantaggi di cui abbisognava. Ciò che preoccupa­va maggiormente i redattori era la eliminazione delle barriere di casta e

(") Nell'ampia letteratura v. P. GROSSI, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998; In., Scienza giuridica italiana 1860/1950. Un profilo storico, Milano, 2000; ALPA, La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, cito

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32 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

di status, l'introduzione di regole chiare, uniformi, e tali da moralizzare il commercio, impedendo o prevenendo i fallimenti dolosi e imponendo la tenuta dei libri e dettando regole sui mezzi di pagamento, Così nel 1807 viene alla luce un Codice che disciplina nel libro I il commercio in generale e gli atti di commercio, nel libro II il commercio marittimo, nel libro III il fallimento, nel libro IV la giurisdizione in materia commercia­le, Nel Code si trovano regole sulle società, sulla borsa e sugli agenti di cambio, sulle banche e sulle assicurazioni, sui titoli di credito, sul!' arre­sto per debiti, sugli interessi legali.

Il Code de commerce fu rivisto nel 1838, con la riforma integrale del libro III e nel 1841 con un aggiornamento generale; esso rimase per più decenni inalterato, salve le innovazioni introdotte con leggi speciali (17),

Il Code de commerce, tradotto in italiano, entra in vigore nelle pro­vince conquistate da Napoleone e riunite nel Regno italico il 1.9,1808, Due anni prima era entrato in vigore il Codice civile,

Dopo la Restaurazione il Codice di commercio napoleonico rimane in vigore nel Lombardo-Veneto, in Toscana, a Genova e a Parma; a Na­poli, nello Stato Pontificio, in Piemonte, a Modena, vengono introdotti nuovi Codici che però lo riproducono quasi alla lettera,

(ii) Il Codice di commercio italiano del 1865

Con l'unificazione legislativa promossa dal Regno d'Italia negli anni 1864-1865 si estende alle altre province il Codice sardo-piemontese del 1842, che però ricalcava fedelmente il modello francese, e vi si apporta­no alcune modifiche, specie in materia di biglietto di cambio e di sensali; e il testo è emanato sotto forma di Codice di commercio nel 1865.

Già quattro anni dopo, sia per le nuove esigenze che l'incipiente industrializzazione aveva fatto emergere, sia perché le ex-province au­striache avevano goduto di uno dei Codici migliori dell' epoca (il Codi­ce tedesco del 1861) si avviano i lavori per la redazione di un nuovo te­sto.

(iii) Il Codice di commercio italiano del 1882

Dopo ulteriori stesure, viene alla luce un progetto organico prepara­to nel 1877, da Pasquale Stanislao Mancini; ulteriormente discusso, e approvato con modifiche prinla al Senato e poi alla Camera, non senza discussioni e contrasti, sapientemente ricomposti dal relatore Mancini; il nuovo testo è affidato al Senato e riesaminato e revisionato da una com-

(17) A. PADOA-SCHIOPPA, Saggi di storia del diritto commerciale, Milano, 1992, pp. 80 ss,

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CAPITOLO II - IL DIRITTO PRIVATO 33

missione costituita all'uopo; il nuovo Codice vede finalmente la luce nel­l'ottobre 1882 ed entra in vigore il 1.1.1883. La dottrina dà un giudizio favorevole di questo Codice (18) avendo riguardo alle notevoli innova­zioni introdotte in materia di fallimento, cooperativa, conto corrente e riporto, trasporto, diritto cambiario. il Codice del 1882 era figlio della sua epoca; favoriva traffici e commerci, in un momento importante per l'economia italiana, ormai in fase di industrializzazione diffusa, soprat­tutto alimentati da capitali stranieri (tedeschi, inglesi, francesi) e tutelava interessi sottostanti dei capitalisti (19) in contrapposizione con gli inte­ressi del ceto agrario, che faceva capo ai proprietari rentiers. Rimase in vigore fino al 1941, anno in cui, con grandi modifiche, entra nel nuovo Codice civile, sotto la veste del libro V.

7. La legislazione del pt'imo dopoguerra e le proposte di riforma del codice civile del 1865 (20)

Durante e subito dopo il primo conflitto mondiale (1915-1918) si re­gistrano le grandi innovazioni, introdotte con leggi speciali. Esse riguar­dano l'abolizione dell'autorità maritale (1919), l'unificazione legislativa con le nuove province (Trento e Trieste) con cui si salvava però !'istituto proprietario-agrario del maso chiuso, il sistema pubblicitario tavolare, il divorzio, l'introduzione della legislazione vincolistica in tema di locazio­ni. Si era anche provveduto a introdurre una nuova disciplina della citta­dinanza (I. 13.6.1912, n. 555) e alcune modifiche alla disciplina delle successioni, con la limitazione della successione legittima (ab intestato)

ai parenti entro il sesto grado, con la vocazione dello Stato alle succes­sioni vacanti (d.lgs. 16.11.1916, n. 1688).

La legislazione di guerra è molto importante, perché spezza la ripartizione tra diritto dei privati e diritto pubblico, obbliga a rimeditare le categorie portanti del diritto privato (in particolare, la nozione di proprietà) e si presenta come portatrice di valori egalitari e sociali.

TI diritto privato non è più soltanto il diritto del codice civile, ma è il diritto che trova sempre più le sue fonti nella legislazione speciale.

Dopo la «marcia su Roma» (28.10.1922) e la presa di potere di Benito Mus­solini, si avvia la costruzione di un nuovo ordinamento, informato alla ideologia del regitne fascista. Si propone e si approva la delega al Governo per emenda· menti al Codice civile (I. 30.12.1923, n. 2814). Viene istituita una commissione reale, divisa in quattro sottocommissioni, di cui la prima è presieduta da un maestro del diritto romano e del diritto civile, Vittorio Scialoja.

(1') A. PADOA-SCHIOPPA, op. cit., p. 202. (19) GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 1993. (20) RONDINONE, Storia inedita della codificazione civile, Milano, 2003.

La proposta del primo dopoguerra

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Lavori preparatori e approvazione

34 PARTE I· INTRODUZIONE STORIA. FONTI. INTERPRETAZIONE

La Commissione reale, presieduta da Vittorio Scialoja, e composta da civili­sti e romanisti, magistrati e avvocati, iniziò i suoi lavori già nel 1924; nel 1928, parallelamente, fu redatto un Codice italo-francese delle obbligazioni; nel 1930 era pronto il progetto del I libro sulle persone comprensivo delle norme sulla famiglia; il progetto del libro delle successioni e donazioni (allora, libro III) vide la luce nel 1936, e il progetto sulle cose (allora, libro II) vide la luce nel 1937. I progetti furono diffusi nelle Università e sottoposti al parere della magistratura e dell' avvocatura; tutti concorsero con osservazioni, suggerimenti, proposte di emendamento, a discutere i progetti.

li Codice entrò in vigore con r.d. 16.3.1942, n. 262 (approvazione del testo del Codice civile), accompagnato da una Relazione al Re, che corrispondeva alle ampie relazioni normalmente redatte per chiarire le scelte di principio, le solu­zioni tecniche, le ragioni delle innovazioni (21). Al Codice si sono anteposte «di­sposizioni sulla legge in generale (o preleggi)>>, e con r.d. 30.3.1942, n. 318 si so­no posposte le disposizioni per l'attuazione e le disposizioni transitorie.

Al suo apparire il Codice era preceduto dalla Carta del Lavoro, un manife­sto del regime, approvato con legge del 1926, in cui si enunciavano i principi ge­nerali del nuovo ordine.

Fino al 1939-1940 il Codice civile restò separato dal Codice di commercio, alla cui revisione attendeva un'altra commissione.

È in questo torno d'anni che si riprende l'idea della unificazione dei due Codici, che troverà la sua naturale realizzazione nel Codice civile unificato del 1942, oggi vigente, di cui si dirà più ampiamente tra poco.

Dal punto di vista storico, il Codice civile italiano del 1942 è l'ultimo dei di­versi Codici che hanno governato i rapporti privatistici nel nostro Paese dall'ini­zio dell'Ottocento, e, attesa la sua riconosciuta perfezione tecnica, è stato preso a modello dai nuovi Codici dell' America latina.

8. Diritto civile e diritto commerciale

Usualmente, il diritto privato si identifica con il diritto civile per an­tonomasia; ma esso è composto da un'altra branca, il diritto commercia­le; la bipartizione è rimasta nella organizzazione degli studi; però a se­guito della unificazione del Codice civile e del Codice di commercio, mantenere la separazione non ha più senso (22).

La branca del diritto commerciale fino al 1942 ha in ogni caso regi­strato uno sviluppo autonomo.

Nel suo corso di diritto commerciale Tullio Ascarelli (1903-1959) (23), uno

(21) V. ad es. i Motivi del Codice civile del 1865; i Motiven del BGB, ecc. (22) CIAN, Il diritto civile come diritto privato comune, in Riv. dir. civ., 1989, I,

pp. 1 ss. (") Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell'impresa, Milano,

1962.

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CAPITOLO II· IL DIRITTO PRIVATO 35

dei massimi commercialisti del XX secolo, osservava che a partire dalla caduta dell'impero romano e dal progressivo assorbimento da parte del diritto romano di istituti consuetudinari e locali fino a divenire diritto positivo, e per i vari se­coli che ci separano dalla unificazione di diritto commerciale e di diritto privato (1942), il diritto comune, nella dicotomia «naturale», costituiva la parte più va­riabile, più evoluta e aderente alla realtà concreta; una sorta di ius honorariuln rispetto alla fissità del ius civile. Questa branca del diritto progredisce con il progredire dell' economia, regolando gli scambi; nascono le obbligazioni, i cam­bi, gli istituti di credito, le assicurazioni, le azioni (la cui derivazione è di natura processuale indicando appunto il mezzo per riottenere la quota conferita) e così V1a.

Come si è detto, in Italia i vari codici di commercio si sono susseguiti in modo distinto ed autonomo dai codici civili; sia nel 1865 che nel 1882 (i primi codici di commercio unitari) si mantiene questa distinzione; muta però, soprat­tutto per merito del Codice di commercio napoleonico (1806-1807), il criterio di qualificazione degli atti commerciali: si passa cioè da un profilo «soggettivo», che qualifica come «commerciali» gli atti compiuti dal soggetto che possiede la qualità di «commerciante», ad un profilo oggettivo che, tralasciando il soggetto che li pone in essere, considera tali gli atti che intervengono a regolare attività commerciali (es. vendita). Questo passaggio fino al 1942 non è completo in Ita­lia: sono aboliti dalla I. 25.1.1888 i Tribunali di Commercio, ma continuano ad esser qualificati come «commerciali» gli atti compiuti dai «commercianti». Sic­ché si ha l'assurda situazione secondo cui una semplice vendita intercorrente tra produttore (o rivenditore) e consumatore è unilateralmente atto commerciale in quanto posto in essere da un commerciante, e, da parte dell' acquirente, è un at­to «civile».

TI diritto commerciale che prima era diritto di una determinata classe (com­mercianti; «borghesia») si estende quindi a tutti i consociati ed i suoi principi diventano principi di diritto comune. Se volessimo cogliere il senso di questa estensione dell' ambito delle norme mercantili lo potremmo indicare nella pro­gressiva «oggettivazione» del diritto commerciale. TI diritto si applica agli atti oggettivamente considerati prescindendo dalle qualifiche soggettive; ai regimi diversi secondo le varie classi si sostituisce un diritto uniforme per tutti i sogget­ti.

9. Dalla unificazione ad una nuova separazione?

L'unificazione di diritto civile e diritto commerciale è avvenuta, per ragioni politiche con il codice civile vigente del 1942 (v. cap. III, § 8). Per più di mezzo secolo questa unificazione ha retto dal punto di vista normativa, mentre, dal punto di vista didattico, i due settori sono rima­sti separati. Qualche legislatore in Europa ha seguito il modello italiano: è accaduto, ad esempio, nei Paesi Bassi, il cui nuovo codice civile del 1980 ha inglobato la materia del diritto commerciale. In tutti gli altri or­dinamenti europei a codificazione scritta, per contro, la separazione è stata conservata.

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Diritto del lavoro

Diritto urbanistico

Settori speciali del diritto commerciale

36 PARTE I - INTRODUZIONE STOillA, FONTI, INTERPRETAZIONE

Nell' ambito del diritto comunitario si è adottato - come si vedrà più in dettaglio nel prosieguo - un linguaggio giuridico e categorie concet­tuali assai affini ai modelli francesi e tedeschi, talvolta commisti ai mo­delli inglesi, sicché le regole di derivazione comunitaria hanno finito per perpetuare la distinzione tra le due partizioni del diritto privato. E cosÌ si va radicando anche nel nostro ordinamento e nella nostra cultura giu­ridica una nuova separazione, non più assistita dai presupposti ideologi­ci che sorressero la precedente, ma comunque antitetica alla unificazio­ne oggi ancora vigente, Di questo problema si parlerà oltre, anche a pro­posito della distinzione tra contratti dei consumatori, contratti dei pro­fessionisti e contratti tra privati.

10. I settori speciali del diritto privato

Per ragioni di tutela di interessi particolari - talvolta l'interesse pubblico, talvolta l'interesse di categorie di privati - e per ragioni -susseguenti - di carattere scientifico e di coordinamento tecnico, mate­rie che un tempo erano proprio del diritto civile si sono rese autonome, anche se sempre dipendenti dal diritto civile per la terminologia, i con­cetti, le regole del ragionamento giuridico. Talvolta esse hanno svilup­pato un versante pubblicistico, sicché si possono distinguere materie che hanno una matrice privatistica e una cortina pubblicisti ca, materie nelle quali l'intervento dello Stato è divenuto prevalente, materie in cui i rapporti intrecciati dallo stesso Stato ora hanno una matrice pubblici­stica ora hanno moduli privatistici. Si sono separati dal diritto civile, al­la fine dell'Ottocento, il diritto del lavoro e sotto il Regime fascista tut­ta la materia delle associazioni sindacali, dando luogo al fenomeno del Corporativismo, nonché la materia della previdenza e assistenza sociale, Dopo la metà del Novecento si è separato il diritto agrario; sempre in quel periodo si è venuto formando il diritto urbanistico. Nell'ambito del diritto commerciale, dopo la metà del Novecento si è reso autono­mo il diritto industriale, il diritto assicurativo e il diritto bancario, ora di­ritto dei mercati finanziari. Dal punto di vista della organizzazione acca­demica dell'insegnamento, si è reso autonomo il diritto comparato. Le materie bi-fronte sono il diritto dell'economia, il diritto dell'ambiente e dei beni culturali, il diritto dell'informatica. Ma seguendo le vicende dell'economia e degli assetti istituzionali molti settori che un tempo erano affidati solo a moduli pubblicistici si sono riconvertiti ai moduli privatistici: si pensi al fenomeno della privatizzazione delle società in mano pubblica, delle società miste pubbliche e private, della previdenza integrativa e complementare.

L'intensificarsi della legislazione speciale ha portato alla predomi­nanza delle regole speciali su quelle generali raccolte nel codice civile.

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CAPITOLO II· IL DIRITTO PRIVATO 37

Si è parlato di «decodificazione» del diritto privato (24). La decodifica­zione oggi avviene attraverso la raccolta sistematica delle leggi speciali in «codici di settore».

(24) IRTI, L'età della codificazione. «L'età della codificazione» vent'anni dopo, Milano, 1999.

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CAPITOLO III

LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO

SOMMARIO: l. Le fonti del diritto. - 2. Fonti di produzione e fonti di cognizione. -3. La gerarchia delle fonti di produzione. - 4. La norma come il «precipitato» di disposizione e interpretazione. - 5. L'ignoranza della legge. - 6. La Costituzio­ne. - 7. L'applicazione diretta delle norme costituzionali ai rapporti privati. - 8. Le leggi ordinarie. Il Codice civile. - 9. Le novità del Codice civile del 1942. -lO. li Codice civile del 1942 e le riforme legislative del secondo dopoguerra. -Il. Leggi ordinarie e leggi speciali. - 12. Le fonti sotto-ordinate. -13. Un dirit­to privato regionale? - 14. I regolamenti esecutivi e di attuazione. - 15. Le «nor­me corporative». - 16. Gli usi o consuetudini. - 17. Le regole deontologiche. -18. L'interpretazione giurisprudenziale e dottrinale. - 19. L'equità.

I. LE FONTI SCRITTE

1. Le fonti del diritto

(a) Nozione di «fonte» del diritto

Si è detto che il giurista esercita un'arte maieutica, perché presta il suo ingegno per «far nascere» il diritto. Quando riveste i panni dell'au­torità crea egli stesso la regola; quando indossa la toga la interpreta o la applica. Ma come nasce il diritto? Ancora una volta, spetta all' antropo­logo spiegare quali sono le primitive forme di organizzazione sociale di una comunità e al giurista tracciare la storia di queste forme. Nella con- Etimologia

cezione formale del diritto - che sottolinea del diritto soprattutto l'aspetto di complesso di regole - si fa ricorso, per spiegare le origini del diritto, cioè delle regole, al concetto di fonte. È un concetto diffuso in tutte le culture occidentali per indicare «ciò che crea il diritto», ciò da cui «sgorga il diritto».

(b) Alle origini delle fonti del diritto

L'espressione fonte del diritto è una metafora, ed è una metafora antica. Es­sa avvicina il diritto alla sua origine, che è simile alla fonte, cioè all' acqua che sgorga da una cavità risalendo dalle falde sotterranee, e scorrendo pura e limpi-

Storia dell'idea di "fonte»

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40 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

da nello stesso tempo; in superficie è il punto di inizio (principium) del diritto, La duplicità di significato, come creazione e come principio si mantiene nel corso dei secoli, La metafora deriva dall'insegnamento di Platone; già Cicerone usa l'espressionefons iuris (') come «origine del diritto». Livio comincia a distingue­re le fonti prime, cioè le prime leggi (le Tavole) dalle leggi successive. Nel perio­do medievale le fonti sono le fonti romane, cioè gli scritti dei giuristi romani clas­sici. Nel Seicento l'espressione inizia ad essere usata in senso tecnico, cioè come fattore creativo del diritto. Le due fonti archetipiche del diritto sono la legge, che viene imposta «dall'alto», dall'autorità, e la consuetudine, che sorge «dal basso», spontaneamente, come comportamento che i consociati osservano perché lo riten­gono obbligatorio. Nel corso delle diverse epoche, nelle diverse aree geografiche, il rapporto tra legge e consuetudine è variato: la legge è prevalsa sulla consuetu­dine, e il diritto è divenuto essenzialmente diritto statuale. Nell'Europa moderna è netta anche la distinzione tra legge umana, laica, e legge religiosa, divina. La se­colarizzazione delle istituzioni ha portato alla separazione tra le regole giuridiche e le regole religiose e le regole morali, anche se molte regole giuridiche affondano le loro origini, le loro radici, il loro contenuto nelle leggi religiose e morali.

2. Fonti di produzione e fonti di cognizione

Fonti di produzione Le fonti del diritto si distinguono correntemente in: (i) fonti-atti e fonti-fatti; (ii) fonti di produzione e fonti di cognizione.

Fonti-alli Le fonti-atti sono date dal diritto scritto, cioè dalle regole imposte dalle autorità preposte alla creazione del diritto scritto, secondo quanto è previsto dalla «norma fondamentale» (Grundnorm) che in Italia dalI o

gennaio 1948 è la Costituzione della Repubblica. Esse possono essere statali e non statali (regionali, provinciali, comunali, oppure comunita-

FontHalli rie). Le fonti-fatti sono le regole che compongono il diritto non scritto, originato spontaneamente dalla convinzione di dover osservare una re­gola di comportamento, cioè la consuetudine. Alle fonti non scritte la

Giurisprudenza dottrina recente (2) aggiunge: la giurisprudenza, cioè la creazione di re­gole, pedissequamente applicate, mediante l'interpretazione del diritto,

Prassi e le prassi, in cui si collocano anche i codici deontologici che regolano le professioni intellettuali, oppure i comportamenti degli imprenditori (3 l, nonché i modelli contrattuali osservati nella conclusione di affari.

Le fonti di produzione sono gli atti e i fatti idonei a produrre diritto: secondo alcuni autori le fonti di produzione comprendono sia gli organi e i procedimenti attraverso i quali le regole giuridiche sono poste in es-

(1) De Officiis, 3, 72. (') SACCO, Le fonti non scritte e !'interpretazione, in Trattato di diritto civile, di­

retto da R. SACCO, Torino, 1999. (') ALPA, Autodisciplina e codice di condotta, ne Le fonti di autodisciplina, a cu­

ra di P. ZATTI, Padova, 1996; PERFETTI, Corso di deontologia forense, Padova, 2007.

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CAPITOLO III· LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 41

sere sia il prodotto di quegli organi e di quei procedimenti. Corrente-mente, le fonti di produzione sono la legge, intesa come atto normativo Legge/consuetudine

imposto dall'autorità, e la consuetudine, intesa come regola osservata spontaneamente con la convinzione della sua vincolatività. Dalle fonti si esclude la dottrina, cioè l'elaborazione scientifica del diritto.

In ogni ordinamento, però, attesa la sua formazione storica e il mo­dello politico che esprime, questa classificazione subisce variazioni e in­tegrazioni.

È appena il caso di accennare che nel processo storico che ha segnato la contrapposizione tra legge (-diritto scritto) e consuetudine, si incontrano fasi storiche in cui la seconda prevale sulla prima, e intere aree geografiche in cui si potevano distinguere Paesi a diritto consuetudinario e Paesi a diritto scritto. Ad es., la Francia del Sud, fino alla codificazione napoleonica, seguiva il diritto scritto (diritto romano ammodernato) e la Francia del Nord seguiva il diritto consuetudinario. Nei Paesi di lingua inglese per molto tempo è prevalso il com­mon law, cioè un diritto creato mediante la formazione di regole applicate dai giudici; ora si sta espandendo il diritto scritto (statutes).

La contrapposizione tra legge e consuetudine è non solo il frutto della ca· sualità storica, ma anche il precipitato di diverse ideologie. Nella consuetudine si vede il diritto spontaneo, il diritto che una comunità, anche piccola, sente di dover seguire, ed è quindi un diritto che sorge per così dire "dal basso», non coartato, ma è anche un diritto frammentario, perché le consuetudini variano da paese a paese, da regione a regione, e non facilmente conoscibile. Nella legge scritta si vede il diritto imposto dall'autorità che discende «dall'alto», che deter· mina con segni certi, perché scritti e quindi facihnente conoscibili e controllabi­li, le regole della società. La nascita degli Stati moderni implica la nascita del di­ritto imposto esclusivamente dallo Stato (diritto statuale). E poiché lo Stato non tollera altre autorità e quindi altre fonti del diritto, lo Stato tende a soffocare, con il diritto statuale, le consuetudini.

Si qualificano poi come fonti di cognizione gli atti e i documenti uffi­ciali mediante i quali si può conoscere il diritto, come la Gazzetta Uffi­ciale, le raccolte di leggi e di giurisprudenza, ecc. (4 ).

3. La gerarchia delle fonti di produzione

(a) Il vecchio ordine delle fonti

Il complesso delle fonti di produzione è disciplinato da regole (sono le «norme sulle norme») anteposte al testo del Codice civile (c.d. preleg­gi). L'art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale (che sono coeve al

(4) GUASTINI, Le fonti del diritto e l'interpretazione, Milano, 1993, pp. 1 SS.

Diritto scritto

Diritto giurisprudenziale

Diritto positivo

Diritto spontaneo

Fonti di cognizione

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Diritto interno

42 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

Codice civile del 1942) indica, quali fonti del diritto, nell'ordine: le leggi I i regolamenti I le norme corporative I gli usi.

Le disposizioni successive riguardano la formazione delle leggi (art. 2), i regolamenti (artt. 3 e 4), le norme corporative (artt. 5-7), gli usi (artt, 8 e 9). Questa disposizione corrisponde alla distinzione generale tra legge, quale atto normativo imposto dall'alto, dall'autorità avente potere normativo, da un Iato e consuetudine dall' altro Iato, quale prati­ca di comportamento non creata ma osservata spontaneamente, «sgor­gante» dal basso, dai singoli individui facenti parte di un aggregato so­ciale. Vi è, in più, una fonte tipica del regime dell' epoca, che aveva af­fidato alle Corporazioni, cioè alle associazioni miste e unitarie di im­prenditori e di dipendenti, di disciplinare gli accordi collettivi di lavo­ro.

(b) Il nuovo ordine delle fonti

Questo ordine delle fonti, caduto il fascismo, soppresso il corporati­vismo, e sostituita nel 1948 la Costituzione della Repubblica allo Statuto albertino del 1848, non è più attuale e deve essere integrato.

L'ordine delle fonti infatti oggi è il seguente (5): 1) la Costituzione, quale legge fondamentale dello Stato; essa è rigi­

da (soggetta cioè a revisione secondo il procedimento indicato nella Co­stituzione stessa, agli artt. 138 e 139), lunga, perché si occupa di nume­rose materie;

2) le leggi costituzionali, ne sono esempio le leggi istitutive degli or­gani costituzionali, come la Corte Costituzionale, il Consiglio superiore della Magistratura, il Consiglio nazionale dell' economia e del lavoro, ecc. e le leggi di revisione costituzionale;

3) gli statuti regionali, si distinguono qui le Regioni a stato speciale da quelle a statuto ordinario;

4) la legge ordinaria, approvata secondo il procedimento indicato nella Costituzione, e gli atti ad essa equiparati, il decreto legislativo e il decreto legge, nonché gli statuti provinciali e comunali; tra le leggi ordi­narie occorre considerare i codici: il Codice civile, il Codice di procedura civile, il Codice della navigazione, il Codice penale e il Codice di proce­dura penale; le leggi che trattano singoli settori, singoli tipi di rapporti, ove specifiche di interessi si denominano leggi speciali; tra le nuove fonti si debbono considerare anche i codici di settore.

Secondo alcuni autori, in posizione equiordinata rispetto alla legge ordina-

(') V.le pagine di PARODI, in Commentario del Codice civile, Milano, 2009, t. I, sub art. l disp. prel. BIN-PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, 20lO, p. 293 SS.

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CAPITOLO III . LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 43

ria, sono alcuni atti normativi che sono emersi dalle comunità locali (Comuni, Province), che prendono il nome di Statuti (Statuti comunali, Statuti provincia­li). Tale potestà normativa è stata concessa alle cd. autonomie locali dalla l. n. 142 del 1990; la materia dei decreti è stata riformulata con la l. n. 400 del 1988, la legge di riordino della Presidenza del Consiglio dei Ministri (6).

Le sentenze abrogative della Corte Costituzionale hanno effetto nor­mativa, al pari di una norma imposta dalla legge ordinaria.

5) le leggi regionali, emanate dalle Regioni a statuto speciale e a sta­tuto ordinario e le leggi provinciali, riservate alle Province di Trento e di Bolzano; sull'incidenza delle leggi regionali sul diritto privato;

6) le norme sub-primarie, emanate dalle Autorità amministrative in­dipendenti come la Banca d'Italia, la Consob, l'Isvap, l'Autorità anti­trust, ecc. mediante le rispettive circolari, deliberazioni, istruzioni, rego­lamenti;

7) i regolamenti, che si distinguono in regolamenti di esecuzione, in­terpretativi, integrativi, delegati o liberi, e costituiscono fonti secondarie;

8) le norme corporative, siano esse quelle rimaste in vigore dall'epo­ca in cui furono emanate e quelle contenute negli accordi collettivi; se ne tratta in materia di rapporti di lavoro;

9) gli usi (o consuetudinz). Fin qui le fonti scritte del diritto interno. Ma con l'adesione del nostro Paese alle Comunità europee si sono Diritto comunitario

introdotte altre fonti, e, in un certo senso, si è rivoluzionato lo stesso concetto di fonte - ormai collegata all'autorità statuale o alle autorità su-bordinate allo stato - perché accanto alle fonti del diritto interno occor-re indicare anche le fonti del diritto comunitario che creano regole imme-diatamente vigenti negli ordinamenti degli Stati membri (regolamenti co-munitari) oppure obbligano gli Stati membri ad introdurre con le pro-prie forme di produzione le regole contenute in atti comunitari (diretti-ve). Accanto ai regolamenti comunitari e alle direttive comunitarie vi so-no fonti minori. Di tutte queste fonti si tratterà tra poco.

4. La norma come il «precipitato» di disposizione e interpretazione

Parlando di diritto come complesso di regole, e di fonti del diritto, scritto o consuetudinario, si è sempre avuta l'accortezza di non usare o di usare con discrezione il termine norma. L'espressione è usata anche nel linguaggio colloquiale, spesso come sinonimo di regola o disposizio­ne. Nel linguaggio giuridico tecnico la disposizione è l'enunciato giuridi-

(') PALEOLOGO, L'attività normativa del Governo nella legge sull'ordinamento della presidenza del consiglio dei ministri, in Foro it., 1989, V, p. 344.

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Giurisprudenza

Dottrina

Formanti

44 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

CO che detta una prescrizione, un comando, un ordine comportamenta­le. Ma un testo scritto di per sé è muto, per poter avere un senso deve essere interpretato, e quindi essere suscettibile di un sigmficato. Per at­tribuire un significato ad una disposizione (o regola) occorre procedere alla sua interpretazione.

Ad esempio, l'art. 1, lO c. del codice civile recita: «la capacità giuridi­ca si acquista dal momento della nascita», Se il lettore non conosce il si­gnificato di «capacità giuridica» non comprende il senso del precetto; così, se non si stabilisce che l'espressione <<Ilascita» è riferita al feto, si potrebbe essere indotti a credere che essa possa essere riferita all' em­brione.

L'operazione che si deve compiere sulla disposizione per renderla comprensibile si può esprimere in questi termini:

disposizione + interpretazione = norma.

La norma è il prodotto della interpretazione della disposizione (7). Si vedrà tra poco quali siano il ruolo della interpretazione e della ap­

plicazione del diritto, chi sia dotato di potere interpretativo e applicati­vo e così via.

Occorre ora solo completare il discorso sulle fonti precisando che il diritto non è dato solo dal diritto scritto e dalla consuetudine: compon­gono il diritto vigente in un determinato momento storico in un deter­minato paese anche le regole create dalla interpretazione del diritto scritto attraverso le sentenze emanate dai giudici (giurisprudenza).

La dottrina, cioè il complesso delle elaborazioni tecniche delle illu­strazioni e delle critiche alle norme, pur non essendo fonte del diritto, non è trascurabile, anzi, la sua considerazione è indefettibile, perché so­lo attraverso la dottrina si creano gli strumenti di comprensione e quindi di interpretazione e applicazione del diritto.

Leggi, giurisprudenza e dottrina sono considerate i formanti del di­ritto (8).

Si tratta cioè delle componenti di un ordinamento giuridico. Non è possibile conoscere un ordinamento se, oltre alla legge scritta e alla con­suetudine, non si considerano il modo in cui le disposizioni sono inter­pretate e applicate dai giudici e il modo in cui gli scienziati del diritto procedono alla conoscenza, alla vivisezione e alla sistemazione delle nor­me, alla critica delle sentenze, alla costruzione e alla critica dei modelli

C) GUASTINI, Le fonti del diritto e l'interpretazione, Milano, 1993; PARODI, Le fonti del diritto. Linee evolutive, Milano, 2012; VIOLA e ZACCARI, Diritto e interpreta­zione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, VIII ed., Roma-Bari, 2013.

(') SACCO, Introduzione al diritto comparato, V ed., Torino, 1992, pp. 43 SS.;

SACCO e GAMBARO, Sistemi giuridici comparati, Torino, 2008.

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CAPITOLO III· LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 45

culturali, del ragionamento giuridico e così via. Il diritto è dato anche dal complesso delle manipolazioni delle regole fatte dai giuristi, che «con le regole fanno cose» (9).

5. L'ignoranza della legge

Il diritto come complesso di regole destinate alla convivenza di un aggregato di persone implica che tutti osservino le regole di cui sono i destinatari.

Nessuno può ignorare la legge. Se ci si potesse giustificare adducen­do l'ignoranza della legge (cioè l'impossibilità di conoscere la legge, la sua dimenticanza, la sua inavvertenza) si infirmerebbe lo stesso valore del comando giuridico, e ci si potrebbe sottrarre facilmente alla sanzio­ne della sua violazione.

Si tratta, ovviamente, di una convenzione: non solo il cittadino co­mune, ma neppure il più esperto giurista sarebbe in grado di conoscere l'esistenza e i contenuti delle leggi. La finzione tuttavia è necessaria per salvaguardare l'ordine in un aggregato sociale.

Il Codice penale contiene un articolo che espressamente formula questo principio: <<nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza del­la legge penale» (art. 5).

La Corte Costituzionale ha precisato che l'ignoranza della legge penale (non di quella civile) non scusa tranne che si tratti di ignoranza inevitabile (IO). Non basterebbe, cioè, dare prova di aver osservato l'ordinaria diligenza per infor­marsi sull' esistenza e sui contenuti della legge, per potere essere scusati. Chi svolge una attività deve conoscere i limiti entro i quali essa è ammessa; in più, vi sono regole che nessuno può ignorare perché poste a fondamento di una civiltà, come, ad es., le norme che vietano la riduzione in schiavitù. La Corte di Cassa­zione ha attenuato questo principio (11) precisando che l'inevitabilità dell'igno­ranza si ha ogni volta che il comune cittadino, usando l'ordinaria diligenza, ab­bia assolto il dovere di informazione, attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conoscere la legislazione in materia. L'obbligo è particolar­mente rigoroso per tutti coloro che svolgano professionalmente una determina­ta attività. Tuttavia, in un caso nel quale l'assicuratore, concluso un contratto di assicurazione sulla vita di un terzo, non aveva comunicato al contraente benefi­ciario la necessità del consenso scritto dell'assicurato ai fini della validità del

(') TWINING e MIERs, Come fare cose con regole. Interpretazione e applicazione del diritto, Milano, 1990.

(l0) SenI. del 24.3.1988, n. 364. (") Con sentenza del 10.6.1994, in Foro it., 1995, II, 154, con nota di E. BEL­

FIORE.

Finzione di conoscenza

Legge civile e legge penate

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Diritti inviolabili

Persona

Famiglia

46 PARTE [- INTRODUZIONE STORlA, FONTI, INTERPRETAZIONE

contratto, non è stato ritenuto responsabile per culpa in contrahendo (1'). Se vi sono dubbi interpretativi, orientamenti contrastanti dei giudici, chi agisce deve attenersi all' orientamento prevalente.

6. La Costituzione

(a) La Costituzione e il diritto privato. I diritti «inviolabili» della persona

Esaminate le fonti del diritto per semplici cenni, val la pena di consi­derare come le singole fonti operino nell' ambito del diritto privato.

Proprio perché sono cambiati, nell' evolvere storico delle istituzioni, i rapporti tra Stato e privati, è possibile, oggi, parlare di rilevanza costi­tuzionale dei rapporti privati, e, allo stesso modo, di incidenza delle nor­me costituzionali nell' agire dei privati.

La separazione tra sfera privata e sfera pubblica dei rapporti ha su­bìto molteplici eccezioni; mentre nel regime costituzionale previgente le norme si occupavano dei rapporti tra privati soltanto per tutelare la loro autonomia rispetto all'intervento dello Stato (lo Statuto albertino all' art. 29 definiva inviolabile la proprietà privata), oggi la Costituzione consi­dera numerosi altri rapporti, come il rapporto di lavoro, il risparmio, l'accesso all'abitazione, la famiglia, e così via, con svariati interventi sta­tuali nei settori tradizionalmente riservati ai privati.

Riservandoci di richiamare in seguito, nella trattazione degli specifici argomenti, il particolare rilievo che hanno le diverse norme costituziona­li, ricordiamo qui in una rassegna elementare i principi maggiormente ri­levanti per il nostro campo di studio.

La Costituzione si apre con le norme che tutelano la persona e i cc.dd. diritti «inviolabili»; tali norme offrono protezione al singolo, sia inteso individualmente, sia nelle formazioni dove si svolge la sua perso­nalità (art. 2 Cost.): famiglia, scuola, fabbrica, associazioni di varia natu­ra; in questo ambito particolare rilievo è dato al principio di eguaglian­za, e alle libertà individuali.

Nella parte I, che tratta dei diritti e doveri dei cittadini, vengono sanciti importanti diritti della persona, dalla inviolabilità personale a quella del domicilio, dal segreto della corrispondenza al diritto di asso­ciazione alla libertà di opinioni, di stampa e così via (artt. 13 ss. Cost.). Particolare rilievo hanno le norme dedicate alla famiglia, protetta come «società naturale» (art. 29 Cost.), come comunità nella quale si assicura l'eguaglianza giuridica e morale dei coniugi (art. 29, 2° c., Cost.), come centro di educazione, di istruzione e mantenimento dei figli (art. 30

(12) Casso 26.6.1998, n. 6337, in Giur. it., 1999, 924.

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 47

Cost.), siano essi nati dal matrimonio, o fuori di esso da persone tra loro non coniugate. Tra i diritti della persona la Costituzione individua anche il diritto alla salute (art. 32 Cast.), inteso non solo come diritto a non su- Salule

bire trattamenti sanitari senza il consenso dell'interessato, ma anche co-me diritto soggettivo perfetto che ciascuno può rivendicare nei confron-ti dei terzi che dovessero violarlo o parlo in pericolo, mediante attività industriali rischiose, fenomeni di inquinamento ambientale (vedi anche art. 9 Cost.), condizioni di lavoro pericolose.

Il lavoro (e il rapporto di lavoro) è oggetto speciale di tutela: già Lavoro

l'art. 1 ne fa prova, essendo il lavoro assunto a fondamento della Repub-blica, e strumento di differenziazione dei cittadini (art. 3, 2° c., Cast.); l'ordinamento stabilisce provvidenze a favore dei lavoratori (artt. 35 ss. Cost.).

(b) La Costituzione economica

Ma uno degli aspetti più profondamente innovativi della Costituzio-ne è rappresentato dalla prospettiva sociale in cui sono considerati i rap- Altività economica

porti economici. Infatti l'impresa (art. 41 Cast.) e la proprietà (art. 42 Proprietà

Cast.) sono intese non più come privilegio di pochi, ma come oggetto di attività economica libera che non si può svolgere in contrasto con l'utili-tà sociale, né in violazione della sicurezza, della dignità e della libertà umana, dei singoli lavoratori e, più in generale, dei cittadini (13).

La Costituzione protegge il risparmio (art. 47). Risparmio

La Costituzione continua a garantire la proprietà privata individuale, ed esclude che essa possa essere soppressa, ma riserva al legislatore la possibilità di intervenire mediante norme limitative della proprietà privata volte a garantirne la funzione sociale attraverso la tutela di interessi collettivi o generali.

Un esempio ci è offerto dalla legge sulle locazioni che realizza certamente la funzione sociale della proprietà, nella misura in cui limita i poteri del proprieta­rio a vantaggio delle categorie dei locatari, gli inquilini per assicurare il diritto alla abitazione. Così pure la legge sulle terre incolte (n. 439 del 2.8.1978) limita i poteri dei proprietari terrieri per assicurare ai non abbienti la possibilità di col­tivare la terra non utilizzata e trarne prodotti.

Alla stessa logica risponde la disciplina dell'impresa. Si riconosce infatti la libertà di iniziativa economica privata, ma si afferma il principio che essa può essere limitata, per la realizzazione dei fini sociali, persino mediante provvedi­menti di programmazione economica che stabiliscano che cosa e quanto si deve produrre o dove debbono essere localizzate le imprese. Inoltre, mentre alcuni settori possono essere affidati interamente ai privati, o ai privati sotto la direzio­ne dello Stato, lo Stato stesso si può riservare la possibilità di esercitare alcune

(13) Sul punto v. GARILLI, Tutela della persona e tutela della sfera privata nel rapporto di lavoro, in Riv. crit. dir. priv., 1992, p. 321.

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48 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

attività economiche direttamente, come quando assicura i servizi pubblici essen­ziali (art. 43 Cost.) o addirittura la possibilità, mediante l'adozione di provvedi­menti legislativi appositi, di nazionalizzare o collettivizzare imprese o settori in mano dei privati.

Ulteriori profili della rilevanza costituzionale degli istituti di diritto privato sono esaminati in materia di principi generali e nell'ambito della illustrazione dei singoli istituti.

(c) L'interpretazione adeguatrice

Tutte le fonti di produzione sono assoggettate alla Costituzione, che, appunto, costituisce la norma fondamentale sulla quale poggia l'intero ordinamento. Anche le regole vigenti anteriormente alla Costituzione (leggi risalenti come quelle coeve alla unificazione legislativa del Regno d'Italia, riguardanti, ad es., l'espropriazione, il contenzioso amministra­tivo, diverse categorie di beni, gli stessi codici - civile, di procedura civi­le, penale, di procedura penale, della navigazione) debbono essere con­formi a Costituzione. La conformità si ottiene attraverso l'interpretazio­ne adeguatrice (14).

Alla Costituzione sono equiparate le leggi costituzionali e le leggi di revisione costituzionale (ex art. 138 Cost.), nonché gli statuti delle Regio­ni ad autonomia speciale.

7. L'applicazione diretta delle norme costituzionali ai rapporti privati

(a) Rilevanza diretta delle norme costituzionali

Già dalle sue prime sentenze (n. 1 del 1956) la Corte Costituzionale ha precisato che tutte le disposizioni della Costituzione sono immediata­mente precettive, e la distinzione dottrinale tra norme precettive e norme programmatiche non ha rilievo alcuno. Inoltre, la loro precettività non ha come destinatario soltanto il legislatore, ma tutti i soggetti: i giudici, che applicano la legge, e i privati, che debbono osservare la legge.

I rapporti tra privati pertanto non sono più considerati come un af­fare del quale lo Stato si deve disinteressare, ma fenomeno di precisi ri­ferimenti costituzionali. Cosa si intende con questa espressione? Si vuoI dire, ad esempio, che il singolo imprenditore non può svolgere attività in contrasto con i valori tutelati dalla Costituzione e che chiunque può chiedere, nel caso positivo, la cessazione della sua attività? O che il giu­dice può ordinare la cessazione di tali attività? Si tratta di una questione complessa, alla quale non è possibile dare una risposta definitiva e preci­sa.

(14) Corte Cast., n. 198/2003; n. 316/2001; n. 277/2000.

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 49

Di solito si dice che le norme costituzionali hanno rilevanza indiretta Rilevanza indiretla

sui rapporti tra privati, giacché esse sono comandi indirizzati allegisla-tore, nel senso che nel disciplinare la proprietà, l'impresa, e così via, il legislatore dovrà attenersi ai principi costituzionali.

È avvenuto, ad esempio, che in alcuni casi il legislatore non abbia rispettato le garanzie di tutela del singolo proprietario, come nella disciplina dei fondi ru­stici: la Corte Costituzionale da ultimo dichiarò illegittime le norme che privile­giavano troppo l'affittuario, a danno del proprietario (1'). In altri casi invece il legislatore, o perché aveva emanato la normativa prima dell' entrata in vigore della Costituzione, o perché non ne aveva rispettato il dettato, ha tutelato ecces­sivamente l'imprenditore, a svantaggio degli utenti (ad esempio nella disciplina dei prezzi, o delle tariffe di servizi pubblici: anche in questi casi la Corte Costi­tuzionale è intervenuta, riportando in equilibrio il rapporto).

Invece secondo la tesi della rilevanza diretta delle norme costituzio- Rilevanza direlta

nali, queste, oltre che aver rilievo nel modo di cui sopra, potrebbero es-sere direttamente applicate dal giudice: il giudice, richiesto dalle parti, potrebbe stabilire se nello svolgimento della sua attività il privato ha contrastato le norme costituzionali, e potrebbe prendere i necessari provvedimenti e le opportune sanzioni. Di solito si respinge la tesi della rilevanza diretta; tuttavia sembra che vi siano ipotesi in cui il giudice può riferirsi alla Costituzione per reprimere fatti illeciti, o per dare con-tenuti alla sua decisione. È 1'ipotesi delle immissioni di liquami e fumi che, violando il principio di tutela della salute (art. 32 Cost.), si debbono di per sé considerare illecite; oppure, il caso della «correttezza» profes-sionale nella concorrenza sleale (art. 2598 c.c.), i cui contenuti si devono ricavare dal disposto dell' art. 41 Cost.

(b) Problemi attuali

La questione è molto complessa. La dottrina tradizionale esclude che le norme di rango costituzionale possano essere applicate diretta­mente dal giudice ordinario ai rapporti privati: ma i moderni studiosi della materia aprono qualche possibilità di applicazione diretta, in parti­colare nei casi di tutela della persona e di definizione dei contenuti delle clausole generali (delle quali tratteremo nei prossimi capitoli). Ed è que­sta la tesi preferibile.

li rapporto tra diritto privato e Costituzione, per riassumere, si può consi­derare sotto due diversi profili:

a) l'intervento nei rapporti tra privati del legislatore che prevede la realiz-

(") Corte Cost., n. 153/1977.

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Diritti fondamentali della persona e rapporto Ira privati

\I Codice civile come legge ordinaria

Codice civile/leggi speciali

50 PARTE I. INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

zazione di fini sociali e di interessi generali mediante l'uso degli istituti di diritto privato (proprietà, impresa, contratto, responsabilità);

b) la tutela del singolo di fronte all'intervento dello Stato, che prevede la protezione della persona sia come individuo, sia come esponente o membro di gruppi e comunità (famiglia, associazioni, partiti, sindacati, categorie professio­nali, società) e predispone i necessari strumenti per assicurare l'eguaglianza dei cittadini.

In questo senso, i principi fondamentali di tutela della persona, di egua­glianza in senso sostanziale, quale rimozione degli ostacoli che di fatto, per ra­gioni economico-sociali, impediscono a tutti (e, in particolare, ai meno abbienti) di prendere parte alle decisioni del Paese, si trovano oltre che nella costituzione formale, nella costituzione materiale, cioè in quel complesso di principi alla base del patto tra le forze politiche e le forze sociali stretto con la fondazione della Repubblica e via via modificato con l'evolvere della società,

L'ambito del diritto privato si delinea dunque muovendo dalla considera­zione della persona, dei diritti di libertà, delle comunità nelle quali la persona svolge la sua personalità, e dei mezzi (proprietà, impresa, contratto) con i quali la persona svolge la sua attività, La protezione del singolo è quindi connessa con l'intervento dello Stato e con la realizzazione del principio di eguaglianza.

8. Le leggi ordinarie. TI Codice civile

(a) Caratteri del Codice civile

Il Codice civile è una legge ordinaria: la più lunga, articolata, organi­ca, legge ordinaria. Il Codice civile è diviso in sei libri: "delle persone e della famiglia» (I), "delle successioni» (II), «della proprietà» (III), «delle obbligazioni» (IV), «del lavoro» (V), «della tutela dei diritti» (VI). Ogni libro è diviso in titoli, i titoli sono suddivisi in capi e i capi in sezioni.

Originariamente conteneva 2969 articoli e si presentava, ed è tutto­ra, come uno dei Codici più lunghi del mondo (è stato però superato dal Codice olandese del 1980-1990); con il tempo molti articoli sono caduti per effetto di abrogazione legislativa o per declaratoria di incostituziona­lità, altri sono stati introdotti in occasione di riforme, con la tecnica della novellazione (cioè la sostituzione del vecchio testo con quello nuovo) e con l'inserzione di articoli con numeri accompagnati da aggettivazione latina (bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, ecc,).

Alcune materie sono state invece regolate con leggi speciali (falli­mento, divorzio, adozione dei minori, ecc.).

L'ordine di esposizione è nuovo: non si tratta solo di un segno di modernità dovuto ad esigenze di immagine del regime fascista, sotto il quale è nato, anche se non ne ha portato le stimmate, ma di una esigenza di adeguamento della con­cezione del Codice e del diritto privato ai risultati della elaborazione scientifica. Si è superato quindi lo schema tripartito di Gaio (personae, res, actiones) per se-

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 51

guire questo itinerario: la persona intesa come individuo e gli enti (cioè i sogget­ti di diritto); la persona nella famiglia; dai rapporti familiari, intesi in senso pa­trimoniale, si passa al trasferimento dei rapporti e dei beni per causa di morte (successioni); seguono i beni; le obbligazioni; l'impresa, il lavoro e le società; fi­nalmente gli istituti residuali. I titoli dei libri sono solo in parte riferitivi dei con­tenuti, dando rilevanza ai fenomeni più importanti (ad es. nel libro delle succes­sioni si trattano anche le donazioni) oppure riflettendo l'ideologia corporativa (il libro del <<lavoro» comprende tutte le forme di esercizio dell'attività econo­mica a titolo individuale e poi le regole di funzionamento delle società), oppure riassumendo argomenti eterogenei tra loro (tutela dei diritti).

Il Codice non è una tavola combinatoria da cui si possono dedurre tutti i casi futuri, bensì un principio di selezione strutturale dei conflitti mano a mano che si presentano e uno strumento di organizzazione delle relative decisioni nell'unità del sistema giuridico, garantendo così al suo interno il primato dell'argomentazione giuridica (16).

9. Le novità del Codice civile del 1942

Sono notevoli le innovazioni rispetto al Codice del 1865 (17). Talvolta esse riflettono esigenze di carattere tecnico e pratico (come accade, ad es., per la più articolata disciplina del contratto o della responsabilità civile); altra volta riflet­tono esigenze del momento (come accade per la legislazione di guerra: ad es., ammassi, requisizioni); altra volta ancora si introducono nuovi istituti: ad es. la cessione del contratto, e molti contratti tipici. Anche il linguaggio è tecnicamen­te più preciso e più moderno.

L'innovazione più rilevante è però segnata dalla fusione di Codice civile e Codice di commercio: il che costituisce una novità, dal momento che ancor oggi in molti Paesi i due testi sono rimasti separati (come in Francia, in Spagna, ecc.).

Essa, almeno dichiaratamente, rispondeva alla concezione corporativa di unificare in un solo Codice tutte le regole destinate a disciplinare i comporta­menti dell' homo oeconomicus. Le particolari circostanze in cui si decise il muta­mento di orientamento sono ancora oggi oscure (18).

Quanto alle altre novità, si è soppresso il consiglio di famiglia, si è prevista una disciplina di coordinamento tra il matrimonio civile e il matrimonio religio­so ad effetti civili, si sono regolati in modo più articolato i rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi; il Codice aveva previsto anche la dote, poi soppressa dalla riforma del 1975; ha reintrodotto seppure nei limiti angusti la sostituzio-

(") MENGONI, L'Europa dei codici o un codice per l'Europa?, nella Collana del Centro di studi e ricerche di diritto comparato e straniero diretto da M.]. BONELL, n. 7 Roma, 1992.

(17) RESCIGNO, Introduzione al codice civile, Roma-Bari, 2001. (18) Sul punto v. TETI, Codice civile e regime fascista, Milano, 1990.

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52 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

ne fedecommissaria; nella disciplina della proprietà ha mantenuto una miriade di regole sui rapporti di vicinato, ma ha introdotto regole sulla bonzfica e sui consorzi; ha disciplinato il condominio; nella materia delle obbligazioni pur sot­to l'imperante influsso culturale tedesco ha evitato di disciplinare il negozio giurzdico, unificando le regole sotto la disciplina del contratto; ha ripudiato la distinzione tra contratti e quasi-contratti, delitti e quasi-delitti di derivazione francese. Nel libro V, accanto alla disciplina del rapporto di lavoro che è del tutto innovativa, ha introdotto più precise disposizioni in materia di impresa e di società,

10. Il Codice civile del 1942 e le riforme legislative del secondo dopo­guerra

Il Codice civile ha subìto notevoli modificazioni dal 1942 ad oggi, e gli interventi sul testo, insieme con il moltiplicarsi di numerose leggi spe­ciali destinate a innovare profondamente singoli settori dell'ordinamen­to privatistico, documentano l'evoluzione del diritto civile, la sua pro­gressiva integrazione con il diritto pubblico, il delinearsi di una nuova partizione del diritto (tra diritto comune e diritto dello sviluppo econo­mico), infine una vera e propria fase innovativa del diritto civile.

Considerando tali innovazioni non in senso temporale, ma seguendo l'ordine dei libri del Codice, è sufficiente indicare alcune notevoli modi­fiche per intendere in che modo sta evolvendo il diritto civile, e quindi in che modo si trasforma il Codice civile.

(a) La persona fisica e le persone giuridiche.

Con l'abrogazione dell' ordinamento corporativo si è soppresso il terzo comma dell'art. 1 in materia di capacità giuridica; si sono poi introdotte leggi speciali sulla donazione di sangue e sul prelievo delle cellule staminali (I. 21.10.2005, n. 219); sono state approvate norme sul trapianto di rene (26.6.1967, n. 458) e di fegato (1.16.12.1999, n. 483); sui prelievi di altri organi e di tessuti v. l. 1.4.1999, n. 91, d.lgs. 25.1.2010, n. 16 e d.lgs. 30.5.2012, n. 85; per i prelievi ed innesti di cornea v. l. 12.8.1993, n. 301, sulla donazione di mi­dollo osseo l. 6.3.2001, n. 52,

La disciplina del nome è oggetto di riforma. La raccolta, conservazione e la diffusione di dati personali sono oggetto di

un Codice, il c.d. «codice della privacy», d.lgs. 30.6.2003, n. 196, più volte ag­giornato.

Il riconoscimento delle persone ginridiche è stato semplificato con d.p.r. 10.2.2000, n. 361; gli enti non commerciali sono stati oggetto di una intensa normazione di cui si tratta nell'apposito capitolo; l'intera materia del Libro I è da anni oggetto di attenzione da parte dei Governi che si sono succeduti, ma at­tualmente non vi sono testi progettuali in discussione.

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CAPITOLO JII - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 53

(b) Famiglia e successioni

L'intera materia dei rapporti familiari è stata modificata con la legge di ri­forma del diritto di famiglia, del 19.5.1975, n. 151, che reca anche importanti innovazioni nel settore delle successioni legittime; si è introdotto l'istituto del divorzio (l. 1.12.1970, n. 898, con le modificazioni della l. 1.8.1978, n. 436 e della l. 6.3.1987, n. 74) e una diversa forma di adozione per i minori (l. 5.6.1967, n. 431 e l. 4.5.1983, n. 184); il regime del matrimonio concordatario è stato rivisto con l'accordo di Villa Madama del 18.2.1984 (reso esecutivo con l. 25.5.1985, n. 121, che modifica il Concordato del 1929). È stata poi ap­provata la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (l. 22.5.1978, n. 194).

La disciplina del matrimonio per i culti acattolici è oggetto di intese dello Stato con le diverse Chiese o Rappresentanze religiose: per la Tavola Valdese, v. l. 11.8.1984, n. 449; per gli Avventisti v.l. 22.11.1998, n. 516; per le Assemblee di Dio v. 1. 22.11.1998, n. 517; per l'Unione delle Comunità Ebraiche v. 1.4.3.1989, n. 101; per gli Evnagelici Battisti v. 12.4.1995, n. 116; per i Luterani v.l. 29.11.1995, n. 520; è in corso il negoziato con le Comunità islamiche (coor­dinate dal CO.RE.lS).

Notevole rilievo ha, per l'intero ordinamento, la recente riforma della disci­plina della filiazione, che ha equiparato lo status giuridico dei figli, precedente­mente distinti tra quelli nati nel matrimonio (c.d. figli legittimi) e quelli nati fuo­ri dal matrimonio (c.d. figli naturali): v.l. 10.12.2012, n. 219, che deve essere at­tuata con decreti legislativi affidati al Governo.

Precedentemente la filiazione era stata oggetto di riforma con riguardo alla adozione dei minorenni (1. 4.5.1983, n. 184).

Sulla fecondazione artificiale (o maternità assistita) v. 1. 12.2.2004, n. 40.

(c) Proprietà

La disciplina della proprietà ha subìto grandi trasformazioni, non solo per !'intervento dello Stato, ma anche per effetto della disciplina comunitaria e della disciplina regionale in materia di proprietà agraria, di caccia, di tutela della flora e della fauna, di beni culturali e ambientali (d.p.r. n. 616 del 1977); ed inoltre per l'introduzione di importanti corpi legislativi in materia di disciplina della proprietà edilizia (1. 28.1.1977, n. lO), delle locazioni urbane (1. sull'equo cano­ne, 27.7.1978, n. 392), delle terre incolte (1. 2.8.1978, n. 439) (").

Una teoria di leggi e leggine ha modificato la disciplina della espropriazione e della occupazione acquisitiva (d.p.r. 8.6.2001, n. 327); sono stati approvati il Codice di settore sui beni culturali e ambientali e diversi provvedimenti sull' am­biente.

La disciplina del condominio è stata modificata con una radicale riforma (I. 11.12.2012, n. 220).

(1') Sul punto v. BRECCIA, I quarant'anni del libro terzo del codice civile, in Riv. crit. dir. priv., 1983, p. 377.

Riforma del diritto di famiglia

Proprietà, locazione, diritto agrario

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Lavoro

Riforma delle società

Recenti leggi speciali

54 PARTE I· INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

(d) Obbligazioni e contratti

Il settore delle obbligazioni e dei contratti ha subìto in genere mino­ri modifiche: importanti interventi sono stati però operati sulla discipli­na delle locazioni di immobili urbani (l. 27,7,1978, n, 392); dei contratti agrari (l. 15,9,1964, n, 756) e dei fondi rustici (l. 11.2,1971, n,Ile l. 3.5,1982, n, 203) (20), nonché del diritto dei consumatori (d.lgs, 6,10,2005, n, 206),

Completamente modificato è poi il rapporto di lavoro, sia per la espansione dei contratti normativi di categoria, sia per la introduzione di una legge sui principi fondamentali del lavoro, lo Statuto dei lavoratori (l. 20.5,1970, n, 300), insieme con l'introduzione di un nuovo processo di lavoro (l. 11.8,1973, n, 533) (21),

Ma la materia è stata oggetto di importanti riforme (l. 28,6,2012, n, 92),

(e) Società

Inoltre si è avviata la riforma delle società per azioni (l. 7,6,1974, n, 216, recante disposizioni relative al mercato mobiliare e al trattamento fiscale dei titoli azionari; l. 10.2,1986, n, 30, contenente norme di modi­fica del Codice civile) e si è dato vita ad un primo nucleo di disciplina del «mercato mobiliare» (l. 23,3,1983, n, 77, l. 4,6,1985, n, 281, l. 2,1.1991, n,I), Altre riforme importanti riguardano settori specifici, co­me quello dell' assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e dei na­tanti (l. 24,12,1969, n, 990; l. 26,2,1977, n, 39) e la disciplina del com­mercio (l. 11.6,1971, n, 426), Le società - in particolare le società di ca­pitali - sono state investite nuovamente da una radicale riforma con il d.lgs, 17,1.2003, n, 6 (e con d.lgs, 17,1.2003, n, 5 per il processo in ma­teria societaria), successivamente corretto con d.lgs, 30,12,2003, n, 394, 6,2.2004, n, 37, 28,12.2004, n, 310, con riguardo alla c.d corporate gover­nance e alla riforma del t,u, bancario (d.lgs, n, 395 del 1993 ),

In tutti questi campi si sono avvicendati molti cambiamenti, che ri­guardano la fonte legislativa, piuttosto che non la fonte interpretativa, Su quest'ultimo versante, grazie al rinvigorimento della funzione nomo­filattica della Corte di Cassazione, si avverte una certa stabilità ermeneu­tica, che non implica però la stasi del «diritto vivente», Ed anche impor­tanti arresti, come quelli che hanno consolidato l'ingresso dell'abuso del

(20) Sul punto v, GANDOLFI, L'attualità del libro quarto del codice civile nella prospettiva di una codificazione europea, in Riv. dir. civ., 1993, I, p, 415,

(") COTTINO, I cinquant'anni del codice civile: il libro del lavoro, in Giur. comm., 1993, I, p, 5.

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CAPITOLO II1- LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 55

diritto, anche sotto forma di abuso del processo, l'intensificarsi dell' at­tenzione per le clausole generali, la considerazione delle funzioni sanzio­natorie, oltre che risarcitorie, della responsabilità civile, l'espansione delle regole contrattuali anche alla fase prenegoziale, e cosÌ via.

Si è poi potuto saggiare il coordinamento tra il codice civile e i codici di settore, introdotti a partire dal 2005. Il codice civile ha conservato la sua duplice funzione, di codice del diritto comune e di collante della le­gislazione di settore e della legislazione speciale. La scarna giurispruden­za che si è al momento raccolta intorno ai codici di settore - si pensi in particolare al codice del consumo (d.lgs. 6.9.2005, n. 206) - non ha se­gnato una svolta nella disciplina dei rapporti privati, come lo è stata in­vece nella tecnica della redazione degli atti normativi. La traslazione del­le regole sulle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori e sulle garanzie nelle vendite ai consumatori dal codice civile, nel quale erano state inserite per effetto di innovazioni introdotte dal diritto comunita­rio, al codice del consumo (ex art. 1469 ter-sexies, ed ex artt. 1515 bis­nonies) non ha subito l'impatto negativo che da qualcuno si era pavesa­to: il codice del consumo continua ad essere considerato, per le materie che riguardano direttamente i rapporti tra privati e le deroghe al diritto comune, come raccolta di norme di «diritto civile speciale». Allo stesso modo il codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. 7.3.2005, n. 82) ha modificato soltanto l'art. 2712,

Si è invece moltiplicato il numero delle leggi speciali, in contrasto con quell'indirizzo politico-istituzionale che avrebbe voluto introdurre la «semplificazione normativa». Se di semplificazione si può parlare, si deve intendere questo termine in modo restrittivo, e cioè di coordina­mento di atti normativi e di abgrogazione di atti obsoleti, piuttosto che non di semplificazione nella formulazione dei testi, nella confezione di enunciati chiari, inequivoci, comprensibili.

Nell'ultimo triennio la legislazione speciale ha inciso sul testo del co­dice civile, a smentire - una volta per tutte -la convinzione che i codici (civili) costituiscano tavole della legge destinate a durare nel tempo. mi riferisco alle modifiche apportate agli artt. 1555-1555 sexies della 1. 8.2.2006, n. 54 in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli; agli art. 415, 603, 605 che recano disposizioni a favo­re dei minorati auditivi (1. 20.2.2006, n. 95) all' art. 463 sull'indegnità a succedere (1. 8.7.2005, n. 137); alla introduzione della disciplina del «patto di famiglia», con gli artt. 458, 768 bis-octies); agli interventi molto rilevanti in favore dei risparmiatori e per la stabilità del mercato finan­ziario che hanno portato alla riscrittura di una cinquantina di disposizio­ni del libro quinto e del libro sesto del codice. E si annunciano ulteriori interventi, ivi compreso quello sulle azioni collettive risarcitorie, sul codi­ce di procedura civile, sui procedimenti di conciliazione e di mediazione, che avranno una grande incidenza anche sull'interpretazione del diritto so-

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56 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

stanziale, nella misura in cui si moltiplicheranno i centri di amministrazio­ne della giustizia e il numero (e la qualificazione) degli interpreti.

(j) Prospettive di riforma

A più di settanta anni dalla sua promulgazione, il Codice civile comincia a mostrare qualche segno di invecchiamento anche nelle materie in cui la norma­tiva ha retto nel corso del tempo rispetto a tutte le innovazioni di natura tecno­logica e bioetica, e all' evoluzione economica e sociale. In particolare, richiedono un aggiornamento il Libro I, atteso che ormai le molte leggi di natura speciale dovrebbero essere tra loro coordinate, ma le stesse norme previste dal codice presentano lacune che debbono essere colmate, e il Libro IV. Per questo libro il lavoro è più complesso. Vi sono modelli stranieri che si pongono all'attenzione, in particolare la riforma dell' omologo Libro (il II) del codice civile tedesco (B,G.B.), che aveva già introdotto nel testo le definizioni di professionista e con­sumatore, e con la riforma del 2000 ha innovato la normativa tenendo conto del­l'evoluzione della giurisprudenza (ad es., codificando la figura della presupposi­zione come causa di scioglimento del rapporto), delle numerose direttive comu­nitarie in materia di contratti dei consumatori e tenendo pure conto dei progetti di codice civile europeo, in cui si è suggerita la enucleazione di principi generali (ad es., il principio della rinegoziazione del contratto successiva allo sconvolgi­mento della base contrattuale dovuto a circostanze imprevedibili).

Tra i grandi progetti di armonizzazione delle regole di diritto privato si è anche posto mano alla redazione di un «codice civile europeo» (22).

Dapprima sono stati redatti «Principi di diritto contrattuale europeo» (1989), poi si è proposto un progetto di «codice» civile europeo (Draft Com­mon Frame of Reference, 2008-2009); poi un testo abbreviato (Feasibility Text, 2011), e finalmente un progetto di regolamento comunitario limitato alla vendi­ta (CESL, 2012). Il dibattito è in corso ed ora si diacute se convertire il progetto di regolamento in un progetto di direttiva limitato alla vendita di prodotti di contenuto digitale.

11. Leggi ordinarie e leggi speciali

(a) Le leggi «speciali»

Si denominano leggi speciali i provvedimenti (di rango ordinario) che attengono alla disciplina di un settore dell'ordinamento (es., l. sugli espropri, t,u. delle imposte dirette, t.U. bancario), di una fattispecie o di un rapporto (es" l. sull'equo canone, 1. sulla cessione dei crediti di im­presa), di una procedura (es., 1. sul fallimento), di un titolo (es., 1. sulla

(22) V. i saggi raccolti ne Il codice civile europeo, a cura del Consiglio Nazionale Forense, Milano, 2000.

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 57

cambiale, sull'assegno), ovvero recepiscono nel diritto interno una con­venzione internazionale (es., 1. sulla disciplina applicabile alle obbliga­zioni) o una direttiva comunitaria (d.p.r. sulla responsabilità del produt­tore). Le leggi speciali sono centinaia di migliaia, e la loro conoscenza completa è praticamente impossibile; la loro conoscibilità è agevolata dalle raccolte ufficiali, dalle raccolte private, dalle banche di dati legisla­tivi automatizzate. Le più usate sono collocate in appendice alle edizioni del Codice civile.

(b) Gli atti equiparati alla legge ordinaria

Dal testo della Costituzione e dai corsi di diritto pubblico si appren­de poi che alle leggi ordinarie sono equiparati i decreti-legge (assunti dal Governo, normalmente in via di urgenza) e i decreti legislativi (decreti de­legati, redatti dal Governo sulla base di una legge di delega). A cui si ag­giungono poi il referendum abrogativo, gli statuti delle Regioni ordinarie, i regolamenti parlamentari. Secondo alcuni studiosi sono da annoverarsi tra le fonti anche le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale.

(c) I testi unici

Sulla base della normativa che disciplina le modalità di produzione delle leggi sono stati emanate - e saranno emanati in futuro, secondo i programmi governativi - diverse raccolte di leggi speciali che, anziché operare come semplici testi unici, cioè l'assemblaggio ottenuto mediante la giustapposizione delle regole via via che sono emanate (ad es. il t.U. delle leggi di pubblica sicurezza), operano come veri e propri codici di settore.

(d) I codici di settore

Le regole introdotte dalla fine del 1996 sui dato personali e sulle banche di dati, sulla riservatezza e sulle tecniche di tutela di questi diritti sono state raccolte in un testo unico ora denominato Codice della prz~ vacy (d.lgs. 30.6.2003, n. 196).

Nello scorcio della XIV legislatura 00.5.2001-27.4.2006) il Governo ha predisposto per delega del Parlamento altri «codici di settore» oltre a quelli già menzionati. Tra i più rilevanti si debbono annoverare il Codice del consumo (d.lgs. 6.9.2005, n. 206), il Codice delle assicurazioni priva­te (d.lgs. 7.9.2005, n. 209), il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22.l.2004, n. 41; il Codice dell'ambiente (d.lgs. 3.4.2006, n. 152), il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. 11.4.2006, n. 198). Nell'attuale legislatura (XV) sono stati annunciati numerosi emen­damenti ai codici di settore e ai testi unici (in particolare al t.U. bancario

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58 PARTE I . INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

e al t.u. dell'intermediazione finanziaria). Le modificazioni più rilevanti sono state apportate dalla c.d. legge sul risparmio (L 28.12.2005, n. 262).

(e) Decodificazione?

Dalla fine della seconda guerra mondiale il legislatore ha dato piglio ad una produzione straordinaria di leggi speciali, invadendo molti setto­ri del diritto privato, sicché - secondo una fortunata formula creata da Natalino Irti - si cominciò a pensare al declino del Codice civile quale fonte primaria delle regole di diritto privato, alla sua riduzione a sempli­ce «collante» delle regole di diritto speciale, e sostanzialmente al suo su­peramento attraverso regole concernenti «microsistemi» (23).

Questo processo si è poi rallentato, anche perché la trama di concet­ti e regole espressa dal Codice civile ha mantenuto salda la sua centralità nel sistema. Tuttavia, il fenomeno non è scomparso, si è solo razionaliz­zato, attraverso la aggregazione di regole settore per settore, mediante, per l'appunto i «codici di settore» (24).

12. Le fonti sotto-ordinate

(a) Regolamenti delle autorità indipendenti

Proseguendo nella graduazione delle fonti, in posizione subordinata si collocano i provvedimenti delle cosiddette autorità amministrative in­dipendenti (Banca d'Italia, Consob, Ivass, Autorità per la concorrenza e il mercato, Autorità per le telecomunicazioni, Autorità per l'Energia). T ali provvedimenti, variamente denominati (deliberazioni, regolamenti, etc.) sono classificati come norme sub-primarie (25).

(b) Leggi regionali

Ancora si registrano le leggi regionali ex art. 117 Cast. Fino al 2001 - cioè fino alla revisione costituzionale con cui si sono

ripartiti i poteri legislativi tra lo Stato e le Regioni - le Regioni a statuto speciale e le Regioni a statuto ordinario avevano settori riservati (mate­rie) elencati dall'art. 117 Cost., ma potevano esercitare la funzione legi­slativa solo entro le leggi-quadro (c.d. leggi cornice) emanate dallo Stato.

(") IRTI, L'età della decodificazione, Milano, 1979. (24) SORRENTINO, Dai testi unici misti ai codici di settore: profili costituzionali,

in Dir. amm., 2005, 2, p. 26l. (25) AA.VV., L'autonomia privata e le autorità indipendenti. Le metamorfosi del

contratto, a cura di G. Gitti, Bologna, 2006.

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 59

Le norme regionali in contrasto con l'ordinamento statale erano dichia­rate incostituzionali dalla Corte Costituzionale. Le leggi regionali erano sotto-ordinate rispetto alle leggi dello Stato.

Con la riforma introdotta dalla L n. 3 del 2001 il sistema (che ha at­tuato una sorta di devolution del potere legislativo statuale alle Regioni) è stato innovato e allo Stato sono stati riservati alcuni settori; vi sono poi settori di legislazione concorrente; tutte le altre materie non espressa­mente nominate sono di competenza della legislazione regionale. In que­sto settore non si può più parlare di subordinazione delle leggi regionali.

Per molto tempo, anche successivamente alla introduzione dell' ordi­namento regionale (sulla carta, previsto in Costituzione già nel 1948, nella realtà istituito, a livello ordinario, sono a partire dal 1970), si è rite­nuto che le materie riguardanti il diritto privato appartenessero ad un' area riservata allo Stato, anche se qualche incursione della legislazio­ne regionale - ad es. in materia di urbanistica, afferente alla proprietà privata - era stata tollerata. Dopo la riforma del 2001 la questione è di­ventata più complessa.

Si deve innanzitutto precisare che è lo stesso novellato testo dell' art. 117 Costo che prevede la riserva legislativa allo Stato per alcuni settori che, per tradizione e sentire comune, rientrano nell'area del diritto pri­vato. Essi riguardano: moneta, tutela del risparmio, mercatifinanziart; tu­tela della concorrenza, sistema valutario, cittadinanza, stato civile e ana­grafi; giurisdizione e norme processualt; determinazione dei livelli essen­ziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e soci alt; pesi, misure, de­terminazione del tempo, ambiente, beni culturali.

Nei settori di legislazione concorrente: tutela e sicurezza del lavoro, professiom; salute, ordinamento sportivo, casse di risparmio, case rurali e aziende di credito a base regionale.

Ma che dire di tutte le materie che afferiscono al diritto privato, dal­le persone agli enti, dalla proprietà ai contratti, dalla responsabilità civile alla tutela dei diritti, dall'impresa alle società, e così via?

Nel testo dell'art. 117 Cost., tra i settori riservati allo Stato si usa un'endiadi di oscuro significato: ordinamento civile. A seconda che si amplino o si restringano i confini di questa espressione si possono am­mettere oppure escludere leggi regionali afferenti il diritto privato.

Oggi perciò si discute se le leggi regionali possano avere ad oggetto rapporti di diritto privato (26).

(26) V. Parte II.

La riforma costituzionale del 2001

Ambiti riservati aUo Stalo

Legislazione concorrente

Ordinamento civHe

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Giurisprudenza costituzionale sulla nozione di «ordinamento civile»

Conflitti tra Stato e regioni

60 PARTE I, INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

13. Un diritto privato regionale?

Dal 1970 al 2001 le Regioni hanno tentato di legiferare in materia di dirit­to privato, ma nella gran parte dei casi, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità delle norme introdotte (27), Dal 2001 le Regioni, profittando del nuovo dettato dell' art. 117 Cost., hanno ripreso a legiferare nei settori del di­ritto privato senza però attendere che lo Stato fissasse con propria legge prin­cipi generali uniformi. La Corte Costituzionale è intervenuta in diverse occa­sioni, soprattutto a proposito delle nuove professioni. La dottrina ha concen­trato la discussione sulla espressione ordinamento dvile. Si possono contare molti significati di questa endiadi, ma quello che a me sembra più appropriato - tenendo conto dell' excursus storico e dell' orientamento della Corte Costitu­zionale - corrisponde alle materie tradizionalmente inserite nel codice civile, al­le materie che per tradizione sono trattate nella cultura del diritto privato, e, soprattutto, alle regole che riguardano il diritto comune ai soggetti privati e ai soggetti pubblici.

Non è facile tuttavia tracciare una netta linea di demarcazione. Ad es., la Corte Costituzionale ha stabilito che Wla legge della Provincia di Bolzano (3.10.2003, n. 15) che prevedeva la possibilità della Regione di erogare l'assegno alin1entare a tutela del minore e di surrogarsi, cioè sostituirsi al genitore affida­tario o al tutore, che avrebbe potuto esercitare il diritto di credito nei confronti del genitore inadempiente, è costituzionalmente legittin1a nella parte in cui ero­ga anticipatamente questa provvidenza, e illegittima nella parte in cui dispone la surtogazione, essendo quest'ultimo W1 istituto di diritto privato, disciplinato dal Codice civile, assegnando all'istituto regole che sono eguali per tutti (Corte Cost., n. 106 del 2005).

Si discute nell'ambito della dottrina costituzionalistica se alle Regioni possa competere comunque in via delegata o in via integrativa una potestà legislativa rispetto alla potestà riservata esclusivamente allo Stato allorché si tratti di disci­plinare diritti fondamentali, owiamente entro i confini regionali.

La Corte Cost., con la sentenza n. 253 del 2006, non ha fatto obiezioni sul pro­blema generale, nel procedimento in cui si disputava se la legge della Regione To­scana n. 63 del 2004 sulla eliminazione delle discrin1inazioni tra le persone, in par­ticolare le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, fosse conforme al­la Costituzione. Ha però ritenuto in contrasto con la Cost.l' art. 16 di questa leg­ge, in quanto, prevedendo sanzioni a carico di chi rifiutasse di contrarre con o pre­disponesse condizioni più sfavorevoli nei confronti di controparti contrattuali per ragioni di discrin1inazione sessuale, aveva leso un principio, quello di tutela del­l'autonomia privata, che appartiene all' ordinamento statale.

La tesi dominante ritiene che l'ordinamento civile debba essere materia ri­servata allo Stato: quindi ogni legge regionale che pretenda di disciplinare mate­rie rientranti in questo settore è in contrasto con l'art. 117 Cost. In questo senso si è espressa la Corte Cost., che con sentenza n. 405/2005 ha ritenuto in contra­sto con la Costo la legge della Regione Toscana n. 50 del 2004 perché imponeva

(27) Sul punto V. ALPA, Ordinamento civile e diritto privato regionale, www.alta­lex.com; BENEDETTI (A.M.), Il diritto privato delle Regioni, Bologna, 2008.

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CAPITOLO III ~ LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 61

determinati requisiti alle organizzazioni professionali che volessero giovarsi di finanziamenti messi a disposizione per iniziative di qualificazione.

Allo stesso modo la Corte Cost., con sentenza n. 173/2006, ha ritenuto in­costituzionale le legge della Regione Piemonte n. 39 del 2004, perché trasferiva alle aziende sanitarie locali i beni della Fondazione Ordine Mauriziano, già ente ospedali ero, incidendo sulla disciplina delle persone giuridiche, tema riservato allo Stato.

E così pure per la legge della Regione Emilia Romagna n. Il del 2004, che la Corte Cost., con sentenza n. 271 del 2005 ha ritenuto incostituzionale in quanto, essendo diretta ad istituire una unica banca di dati pubblici con la fina­lità di organizzare un sistema informativo pubblico accentrato, si poneva in con­trasto con la disciplina dei dati personali e con la loro tutela, materia che attiene alla protezione della persona e quindi afferisce alla competenza esclusiva dello Stato.

La Corte ha delimitato l'ambito della legislazione regionale con la, a propo­sito del giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, 2° c., e 3°, 4° e 7" c. della legge della Regione Puglia del 22 novembre 2005, n. 13 che disciplina l'ap­prendistato professionalizzante. Particolare importanza riveste, per i suoi conte­nuti riferiti alla disciplina delle professioni organizzate secondo il sistema ordi­nistico, e in particolare per la professione dell'avvocatura, la in ordine alla legit­timità delle disposizioni del c.d. decreto Bersani (d.1. n. 233 del 2006) convertito in l. 4 agosto 2006, n. 408, concernente il compenso della prestazione professio­nale secondo tariffe, la pubblicità commerciale, la soppressione del divieto del patto di quota lite, la possibilità di svolgere l'attività professionale mediante ag­gregazioni societarie. Nella specie la Corte ha ritenuto che le Regioni non siano competenti a disciplinare (e quindi a derogare alla disciplina statale impugnata) il contenuto del rapporto privatistico della professione perché tale materia ab­braccia sia il settore della concorrenza sia il settore dell' ordinamento civile, en­trambi riservati allo Stato.

Sempre con riguardo alla tutela della concorrenza - materia riservata allo Stato -la Corte si è espressa favorevolmente alla legittimità costituzionale della normativa statale sulle vendite sottocosto e sui saldi di stagione, ritenendo che non fossero lesi i poteri legislativi delle Regioni (nella specie ancora la Regione Veneto e la Regione Sicilia) che avevano normato la materia (28).

Due pronunce riguardano la normazione da parte di Regioni o di Province autonome di statuti di enti privati: nel primo caso si trattava dell'Ordine Mauri­ziano, nel secondo della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.

Una vasta legislazione regionale ha assunto ad oggetto gli appalti pubblici. Di qui le numerose questioni sottoposte alla Corte Costituzionale.

Una sentenza ha avuto ad oggetto la introduzione dell'istituto della revisio­ne dei prezzi mediante il contenuto dell' art. 1664 c.c. da parte della l. provo Bol­zano 3 ottobre 2005, b. 8; la Corte, con la sentenza n. 447/2006, ricostruita l'in­tricata vicenda legislativa ha argomentato la illegittimità costituzionale della leg­ge provinciale.

Ancora. Con la sentenza n. 401/2007 la Corte ha ritenuto che la disciplina

(28) Sentenza 14 dicembre 2007, n. 430.

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Leggi regionali e decreti fondamentali

62 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

delle procedure di gara, la qualificazione e la selezione dei concorrenti e i criteri di aggiudicazione sono materie di legislazione comunitaria perché investono la libera circolazione delle merci, la libera prestazione dei servizi, la libertà di sta­bilimento, nonché i principi di trasparenza e parità di trattamento e quindi ap­partengono all'area della legislazione statale (art. 117,20 c., lett. e).

Con la sentenza 23.10.2007, n. 431 la Corte è stata ancora più esplicita nel delimitare l'ambito della legislazione regionale. Le questioni riguardavano la le­gittimità costituzionale della l. della Regione Campania sulla contabilità (n. 12 del 2006) oltre che altre disposizioni oggetto di legislazione regionale abruzzese.

L'«ordinamento civile» - oltre che le altre materie e/o ambiti oggetto di ri­serva statale - è un baluardo alla moltiplicazione delle regole di diritto privato con colorazioni regionali, alla moltiplicazione degli istituti privatistici, alle dif­formità di trattamento dei rapporti economici, sociali, familiari, sembra allora la più opportuna.

Ma la regola deve applicarsi in ogni caso o si può fare una eccezione quan­do la legge regionale tutela diritti fondamentali? La Corte, con sentenza del 4 luglio 2006, n. 253 ha considerato incostituzionali le norme regionali volte a prevenire le discriminazioni.

Con sentenza del 29.4.2010, n. 151 la Corte Costituzionale ha di­chiarato la illegittimità delle disposizioni contenute nella legge regionale della Valle d'Aosta n, 5 del 2009, che prevedeva l'obbligo del controllo in ordine alla sussistenza della malattia dei dipendenti regionali nel solo caso in cui l'assenza fosse continuativa per almeno dieci giorni, in tal modo escludendo l'obbligatorietà del controllo nei casi di assenza per periodi più brevi, come previsto dalle leggi dello Stato, in particolare dall'art. 71, 30 c., del d.!. 25.6.2008, n, 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazio­ne della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla l. 6.8.2008, n. 133. La Corte ha ritenuto che tali nor­me regolano un'espressione particolare del più generale potere di con­trollo che l'ordinamento riconosce in capo al datore di lavoro. La fonte di tale potere è il contratto di lavoro laddove si tende a garantire l'inte­resse della parte datoriale ad una corretta esecuzione degli obblighi del prestatore di lavoro. Trattandosi di uno dei poteri principali che l'ordi­namento attribuisce ad una delle parti di un rapporto contrattuale (quel­lo di lavoro subordinato), la relativa disciplina deve essere uniforme sul territorio nazionale e imporsi anche alle Regioni a statuto speciale, così come già affermato da questa Corte con riferimento a norme concernen­ti altri istituti del rapporto di pubblico impiego «contrattualizzato» (sen­tenze n. 189 e n. 95 del 2007), IlIO e 20 c. dell'art. 2 della legge reg. Val­le d'Aosta n. 5 del 2009 sono dunque stati dichiarati illegittimi, essendo riconducibili alla materia «ordinamento civile» che l'art, 117,20 c., lette­ra l), Cast., riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 63

14. I regolamenti esecutivi e di attuazione

Le leggi ordinarie e gli atti ad esse equiparati sono seguite spesso da di­sposizioni che ne recano in dettaglio l'articolazione rispetto alle diverse fat­tispecie a cui si applicano, ne precisano il contenuto, ne delimitano l'am­bito di applicazione. Si tratta di fonti sotto-ordinate alla legge ordinaria.

Non è agevole distinguere tra queste tipologie di regolamenti. TI criterio de­sumibile dalla l. n. 400 del 1998 fa riferimento al grado di indeterminatezza del­la legge. Perciò il regolamento sarà di attuazione se la legge contiene principi o formule indeterminate; di esecuzione se la legge ha bisogno di ulteriori dettagli per poter operare.

15. Le «norme corporative»

L'espressione «nonna corporativa» ha un significato storico ben preciso: discende dal c.d. «ordinamento corporativo» istituito dal Regi­me fascista per disciplinare i rapporti di lavoro con l. n. 563 del 1926 e n. 163 del 1934. Le aggregazioni di datori di lavoro e di dipendenti furo­no fuse in «corporazioni», al fine di superare la lotta tra le classi e con­temperare gli opposti interessi. Gli accordi effettuati tra i rappresentanti delle Corporazioni per disciplinare i rapporti di lavoro acquisivano un potere normativo e quindi le loro disposizioni furono considerate «nor­me» (corporative).

Con la caduta del Regime fascista è stato abrogato l'ordinamento corporativo (r.d.l. 9.8.1943, n. 72, d.lgs.lt., 23.11.1944, n. 369). Il rinvio che nell' attuale legislazione ancora talvolta si rinviene alle norme corpo­rative deve quindi intendersi come effettuato agli accordi collettivi di la­voro che hanno sostituito le norme corporative (29). La legge ordinaria può delegare funzioni di produzione normativa con efficacia generale al­la contrattazione collettiva (30). Ulteriori considerazioni si faranno nei paragrafi relativi al diritto del lavoro.

II. LE FONTI NON SCRITTE

16. Gli usi o consuetudini

Fin qui abbiamo trattato sempre di fonti che provengono «dall' al­to». Le fonti che provengono «dal basso» sono frutto o della spontanea

(29) Casso n. 1179 del 1982. (30) Corte Cost., n. 344 del 1996.

Accordi collettivi di lavoro

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Diritto scritto e «assolutismo giuridico»

Distinzione degli usi

64 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERI'llliTAZIONE

osservanza di regole di comportamento in determinati ambiti circoscritti (usi e consuetudini locali) ovvero sono frutto dell'esplicazione della au­tonomia privata,

Sia nel primo caso, sia nel secondo, lo Stato ha avocato sempre a sé il potere di controllare la produzione e la formazione del diritto: gli usi sono infatti considerati fonte sussidiaria; 1'autonomia privata si deve esplicare entro i limiti fissati dall' ordinamento giuridico statuale (artt, 41 Cost" 1322, 1372, lO c" c.c,),

In ogni caso, però, si è in presenza di fonti di diritto «interno», Con l'adesione dell'Italia alla Comunità (ora Unione) europea lo

Stato ha rinunciato alla propria sovranità, cioè al proprio potere norma­tiva autonomo in alcuni settori, di competenza degli organi legislativi comunitari (concorrenza, libertà di circolazione, ecc.), Si è perciò in pre­senza di fonti non statuali, non provenienti dalla società civile, bensì dal­l'esterno: si tratta del diritto comunitario,

In una fase storica come quella che stiamo vivendo, in cui il diritto scritto è omnipervasivo, lo spazio affidato alle consuetudini (o usi normativi) è sempre più circoscritto, Ciò per due ragioni essenziali: (i) nell'ordinamento, la creazione spontanea del diritto è tollerata, ma la legge positiva ormai prevale sul compor­tamento consuetudinario; (ii) la statalizzazione del diritto dà maggiori certezze e offre una maggiore coerenza normativa, L'art. 8 prel. dispone che gli usi (nor­mativi) abbiano vigore solo ove richiamati, nelle materie normate da leggi e re­golamenti,

Gli usi normativi sono dunque - in oggi - una fonte solo sussidiaria del di­ritto, Da questi si distinguono:

(i) gli usi interpretativi, o negoziali, che costituiscono un mezzo di interpre­tazione della volontà dei contraenti (art. 1368 c.c,) e un mezzo di integrazione del contratto (art, 1374 c,c,); essi, a differenza degli usi nonnativi, esplicano la loro efficacia senza necessità di espresso richiamo, e anche in deroga a norme dispositive di legge, sono vincolanti anche se ignorati dalle parti;

(ii) gli usi aziendali, che sono anch'essi usi negoziali, consistenti nella prassi adottata dal datore di lavoro con reiterati comportamenti adottati all'interno dell' azienda; essi si inseriscono nel contratto di lavoro individuale (art. 1340 c.c,);

(iii) gli usi civici, che sono un limite o una forma di concorrente godimento che si affianca, limitandolo, al dominio del privato o si costituisce su beni dema­niali; essi discendono da una antica tradizione, ab immemorabili, e pervengono a tutti gli abitanti di una determinata zona (ad es" uso di taglio di legna, d'erba, ecc.),

17. Le regole deontologiche

Nell'ambito dell'autonomia privata (nozione sulla quale ci si intrat­terrà più oltre) si ammette che i privati possano regolare tra loro i rap-

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CAPITOLO III . LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 65

porti di natura familiare, di natura economica, di natura associativa, e possano darsi regole di comportamento di carattere deontologico (31).

L'espressione «deontologia» è piuttosto recente, essendo stata co­niata, a quanto asseriscono gli storici della filosofia, e riportano i voca­bolari, da J eremy Bentham nel Settecento; originariamente, essa indica­va la scienza dei doveri, intesi come regole del comportamento utilitari­stico. Oggi il significato è al tempo stesso più esteso e più sfumato, in quanto allude a regole di condotta di varia natura: morale, professionale, giuridica. Vi sono regole deontologiche erette a regole giuridiche e assi­stite da sanzioni giuridiche; non vi è quindi né incompatibilità, né esclu­sività dell' ordine morale, dell' ordine professionale e dell' ordine giuridi­co; talvolta essi si sovrappongono, altra volta si differenziano: ad es., per gli avvocati, il divieto del patto di quota lite è previsto dalla L 31.12.2012, n. 247 che fissa i criteri per la determinazione degli onorari e delle spese esplicitato nel Codice deontologico degli avvocati della Co­munità europea, art. 3.3 .1.; ma potrebbe ricavarsi anche dalle regole morali imperanti nell'Europa continentale, ove alle professioni intellet­tuali si riconosce un ruolo sociale tale da impedire che al corrispettivo della prestazione del professionista si possa assegnare una funzione re­tributiva, e non meramente satisfattiva delle spese e dell'impegno profu­si (si parla, infatti, a questo riguardo, di onorario professionale). Le re­gole contenute nel codice deontologico forense sono equiparate dalla Cassazione a regole giuridiche di rango primario (32).

N elle organizzazioni dove è più forte il riconoscimento e il rispetto Codici etici

dei valori morali non è necessario redigere regole di comportamento, perché esse sono spontaneamente osservate e si radicano nella prassi so-ciale, diventano modelli o standard accreditati e perciò moralmente vin-colanti.

N elle organizzazioni ove è forte e radicata l'osservanza delle regole sociali di condotta professionale non si avverte l'esigenza di erigerle a norme giuridiche: è il caso, ad es., dell'esperienza inglese, ove il mercato bancario e il mercato dei valori mobiliari sono retti da regole emanate dagli organismi professionali (33) a ciò deputati da regole legislative; è il caso dell'esperienza italiana per quanto riguarda, ad es., il Codice di au­todisciplina pubblicitaria; talvolta la elaborazione di regole di condotta di natura professionale e di natura morale, e quindi di osservanza non coattiva, prepara l'intervento legislativo, addirittura articolandone le di­sposizioni.

(li) Le fonti di autodisciplina. Tutela del consumatore, del risparmiatore, del­l'utente, a cura di P. UTTI, Padova, 1996.

(J2) Sul punto v. PERFETTI, Ordinamento e deontologia forensi, Padova, 2011. (3J) Nella specie, v. il Code of Banking Practice del 1992, le regole del Security

Investment Board, del 1986.

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Le fasi storiche dell'esegesi

66 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

Ma il legislatore comunitario dapprima e quello italiano di poi han­no introdotto regole in materia di pubblicità commerciale: v. la discipli­na delle pratiche commerciali scorrette (art. 21 ss. del codice del consu­mo e attribuito competenze in materia al!' Autorità Antitrust (d.lgs. 2.8.2007, n. 146; d.lgs. 2.7.2010, n. 104).

Nelle organizzazioni, o nei settori economici e professionali, in cui regole di condotta morale e professionale sono osservate meno sponta­neamente, o ricevono minor credito, o sono di recente istituzione, o la loro violazione crea allarme sociale e gravi danni all'interesse pubblico, l'intervento legislativo si impone: è il caso delle regole di comportamen­to prescritte per gli intermediari finanziari dal T.D. n. 58 del 1998 (art. 21) società di investimento mobiliare e per i promotori finanziari dalla L 2.1.1991, n. 1 e dai regolamenti attuativi predisposti dalla Consob, in cui si enunciano prescrizioni di comportamenti assai simili a quelli previsti, per altre professioni, solo nei rispettivi Codici deontologici.

Di recente è stato approvato il codice di autodisciplina delle società quotate in borsa,

18. L'interpretazione giurisprudenziale e dottrinale

Come si è detto, tra le fonti del diritto (e quindi del diritto privato) hanno incerta collocazione la giurisprudenza e la dottrina.

(a) Diritto giurisprudenziale

La giurisprudenza però ha conquistato il suo posto tra le fonti. Le si darà ampio risalto nei settori in cui ha avuto maggior peso, «ri­

scrivendo» o «integrando» il codice civile, come è accaduto per la re­sponsabilità civile, per alcuni settori del contratto, per i diritti della per­sonalità e così via.

Quanto alla dottrina, più che fonte formale, essa è un formante del diritto, cioè un fattore che contribuisce alla sua creazione (da parte del legislatore e da parte del giudice) e alla sua evoluzione. Come si presenta oggi la dottrina? Anche a questo proposito è necessario rivolgersi al pas­sato, per intendere le radici degli indirizzi imperanti.

L'evoluzione della scienza del diritto privato in Italia può essere ri­partita in tre periodi: la fase dell' esegesi, la fase della sistematica (con la breve stagione del socialismo giuridico), la fase formalista. Si tratta ov­viamente di una scomposizione arbitraria, in attesa di una compiuta e approfondita descrizione di questa intensa e affascinante vicenda intel­lettuale, a cui dovrebbero attendere gli storici di professione. La riparti­zione deve essere intesa non solo in senso diacronico, ma anche (almeno parzialmente) in senso sincronico: non tutti i protagonisti del primo pe-

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CAPITOLO IJl . LE FONTI DEL DIRlTTO ITALIANO 67

riodo furono meri esegeti, non tutti quelli del secondo periodo furono sistematici; e si deve anche segnalare che i caratteri «origiDali» della scienza del diritto privato si espressero di più nella elaborazione dei testi normativi che non nella organizzazione del pensiero giuridico (34).

(b) Nomofilachia

Nel nostro ordinamento non esiste un sistema come quello invalso nell' or­dinamento inglese in cui i giudici delle corti di grado inferiore non possono de­rogare alle regole giurisprudenziali statuite dai giudici delle corti di grado supe­riore, mentre solo il giudice di ultima istanza, la House 01 Lords, può modificare il proprio orientamento interpretativo.

Nel nostro ordinamento è previsto tuttavia che la Corte di Cassazione, in quanto Corte Suprema che sindaca la legittimità (cioè la corrispondenza della sentenza appellata alla legge), eserciti una funzione di coordinamento - c.d. nomolilachia - perché ponendo il principio di diritto nella motivazione del caso deciso, vi si possa adeguare non solo il giudice di rinvio (se la sentenza appel­lata è cassata con rinvio ad altro giudice d'appello) ma tutti i giudici di grado inferiore (i c.d. giudici del merito). La disposizione è contenuta nell'art. 65 del­l'ordinamento giudiziario e nelle norme di attuazione del C.p.c. Secondo le previsioni contenute nella disciplina della riforma della Corte di Cassazione questa funzione sarà irrigidita. Si discute però se si tratti di una scelta oppor­tuna o no, dal momento che nella nostra esperienza la gran parte delle innova­zioni dell'ordinamento è dovuta a coraggiose interpretazioni dei giudici di me­rito, piuttosto che non alla paludata giurisprudenza della Corte di Cassazione. Si vedrà più oltre che diritti soggettivi della personalità, come il diritto alla ri­servatezza' il diritto alla identità personale, il diritto alla salute, il c.d. danno biologico, per citare solo talune delle vicende giurisprudenziali più note ed eclatanti, si debbono alle innovative sentenze dei giudici di merito. Se essi si fossero sempre adeguati ai modelli della Suprema Corte l'ordinamento sarebbe rimasto anchilosato e del tutto inadeguato alle necessità della vita dinamica, sociale ed economica (35).

(c) La nomofilachia della Corte di Cassazione

La riforma del giudizio di cassazione e dell'arbitrato, disposta con d.Igs. n. 40 del 2006, prevede molte disposizioni che consolidano la funzione nomofi­lattica della Corte di Cassazione. In particolare il d.Igs. ha modificato l'art. 363

(H) Al. Rocco, La scienza del diritto privato in Italia, in Riv. dir. comm., 1910, I, p. 285; IRTI, Introduzione al diritto privato, Padova, 1986; PERLINGIERI, Scuole, tendenze e metodi, Napoli, 1989; PATTI, Codificazioni ed evoluzione del diritto priva­to, Roma-Bari, 1999; P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit.; ALPA, La cultura delle regole, cito

(") Una rassegna delle decisioni più importanti è stata curata dalla stessa Corte di Cassazione, nel volume La Corte «dei diritti», Roma, 2009.

Ruolo della Corte di Cassazione

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68 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

del C.p.C. affidando al Procuratore generale il potere si rimettere alla Cassazio­ne una questione che implichi l'affermazione di un principio di diritto, anche se il ricorso è inammissibile. Di più. L'art. 374 C.p.C., nella nuova formulazio­ne, prevede che i contrasti tra gli orientamenti delle sezioni semplici della Cor­te siano risolti dalle Sezioni Unite; e che ove la sezione semplice volesse disco­starsi dall' orientamento delle Sezioni Unite, la questione non debba essere de­cisa direttamente ma debba piuttosto essere rimessa alle Sezioni Unite.

Anche la «riforma della giustizia» attuata con I. 18.6.2009, n. 69 nl. 47 ha rafforzato la funzione nomofilattica della Corte, modificando la disciplina del ri­corso per cassazione, e sindacando l'ammissibilità dei ricorsi avverso sentenze conformi all'orientamento della Corte (art. 360 bis del c.p.c.): «il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di di­ritto in modo confonne alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa».

19. L'equità

Legislatori e i giudici usano spesso il termine «equità». La ricognizione dei significati attribuiti all' equità nella elaborazione

dottrinale e giurisprudenziale indica che la costruzione del significato è strettamente correlata - si potrebbe dire funzionale - al ruolo che si vuoI far sostenere al!' equità. Questo assunto potrebbe apparire frutto di una inversione logica, in quanto - secondo logica - dapprima si potrebbe definire il significato dello strumento e di poi si dovrebbe accertare in che modo lo si può usare. Ma i processi logici del ragionamento giuridi­co non sono così lineari, specie quando si tratti di fare impiego di for­mule, espressioni o concetti a contenuto indefinito e vago, che richiedo­no necessariamente l'apporto additivo dell'interprete.

Equità e strictum ius Qualche esempio può suffragare l'assunto. Se di equità si dà la definizione attribuita al pensiero aristotelico, cioè di «giustizia del caso singolo», il ruolo dell'equità diviene suppletivo (rispetto allo strictum ius) e occasionale (rispetto al singolo caso); sicché l'equità diviene uno strumento correttivo degli effetti della applicazione rigida di una disposizione di diritto, piegati alla considerazio­ne delle particolari circostanze di specie, per modo che questi effetti non siano «eccessivÌ», «penalizzanti», «rigorosi», ma piuttosto siano adeguati, misurati, equilibrati, ecc.

Se di equità si dà una definizione collegata con l'eguaglianza, essa si stem­pera in parità di trattamento, ed appare il frutto di una scelta di ruoli che è ri­volta ad orientare l'interprete nel prendere consapevolezza del pericolo di di­scriminazioni, a cui solo l'equità potrebbe porre rimedio.

Se di equità si dà una definizione collegata con postulati etici, il ruolo che le si imputa appare un ruolo di moralizzazione dei comportamenti, quei compor­tamenti che risponderebbero sì alla conformità all'ordinamento giuridico in sen­so formale, ma urterebbero contro il senso di giustizia, sarebbero cioè contrari alla «giustizia sostanziale».

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 69

Se di equità si dà un significato formale ed unitario, inteso come sintesi dei principi dell' ordinamento, le si attribuisce un ruolo ordinatore i cui effetti por­terebbero a collocare il giudizio finale nell'ambito di un novero ampio di riferi­menti (ciascuno di essi richiamando un principio), sì che l'equità potrebbe gio­care il ruolo di riequilibratore degli interessi in conflitto tra loro comparati e composti.

Questa teoria di significati non finisce qui. Ma se l'inversione logica di cui si è detto ha un senso, è preferibile organizzare il discorso sull' equità muovendo dai ruoli piuttosto che non dai significati. In altri termini, quando il giurista pensa all' equità, a che ruolo pensa?

(a) Accezioni e funzioni dell' equità

Di volta in volta il ruolo dell' equità è pensato e utilizzato come: (I) un valore; binomi «equità/diritto», «ius/aequum», «giustizia formale/ Valore

giustizia sostanziale», «giustizia giusta/giustizia ingiusta», e così via, percorrono la storia filosofica e giuridica dell'Occidente, dal pensiero greco al pensiero ro-mano a quello medievale a quello moderno e a quello attuale; ciò significa che il ruolo dell' equità come valore è un ruolo fondamentale, ma anche altamente connotato, cioè ideologizzato; quindi di un valore relativo;

Principio (II) un principio; se si muove dalla equiparazione di valori e prin­cipi (nel senso che i principi sarebbero la veste formale dei valori), dire che l'equità è un principio significa dire che in questo contenitore si raccolgono i ca­ratteri di un ordinamento; se invece si ritiene che il principio sia una norma giu­ridica di secondo grado, costruita mediante un procedimento logico induttivo (che procede dal particolare al generale), allora l'equità non può essere conside­rata un principio, ma alternativamente o un quadro o una rete o una sintesi di principi, oppure uno strumento diverso dal principio; nel nostro ordinamento si possono rintracciare disposizioni, anche a livello costituzionale, che si ispirano all' equità, ma di volta in volta esse fanno riferimento ad un significato e ad un ruolo di equità non univoci: ad es., la solidarietà di cui parlano gli artt. 2 e 3, 20

c., Costo è diretta a consentire interventi legislativi perequativi dal punto di vista economico e dal punto di vista sociale, e così pure l'equità di cui letteralmente parla l'art. 44 Cost., a proposito degli equi rapporti sociali in materia di rapporti agrari; l'equità di cui parlano le norme di codice tende talvolta a perequare, tal­volta a correggere; l'equità di cui parla il codice di procedura civile si riferisce ad un sistema alternativo di giudizio;

(III) una clausola generale; dire che l'equità è una clausola generale significa Clausola generale

ancorare l'equità al testo normativo, nel senso che non vi sarebbe spazio per l'equità al di fuori delle sole disposizioni che esplicitamente la richiamano; poi-ché le disposizioni sono eccezionali, all' equità si riserva un ruolo affatto margi-nale; il ruolo riduttivo giustifica un significato riduttivo; in questo senso, si ri-durrebbe l'equità al solo ruolo normativo; ma anche chi si riconosce in tale po-sizione, non esprime poi univoche concezioni del ruolo assolto; ad es., si è detto che in materia contrattuale la buona fede «aggiunge» e l'equità «sottrae» conte-nuti agli obblighi contrattuali; ma la realtà normativa è più complessa: vi sono casi in cui effettivamente l'equità sottrae o riduce, come accade per la riduzione della clausola penale (ex art. 1384) o per la controprestazione in materia di ec-

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Formula aperta

70 PARTE I . INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

cessiva onerosità sopravvenuta (ex art. 1467); ma vi sono casi in cui l'equità con­tempera (ex art. 1371), altri in cui integra (ex art, 1374), altri in cui accresce (ex art, 1450), altri in cui adatta la valutazione alle circostanze (come nella valuta­zione equitativa del danno ex art, 1226 e 2056);

(IV) una/ormula aperta, equipollente alle formule generali quali «natura del rapporto», «circostanze del caso», et sùnilia,

Tutti i ruoli fin qui considerati sono in qualche modo riferibili a norme giu­ridiche e tendono a riportare il discorso sull'equità all'interno del discorso giuri­dico e quindi all'interno di un sistema di significati, di direttive, di limiti, di co­dici,

In altri termini, il giudice di fronte ad una disposizione che lo abiliti a fare ricorso all' equità non può assumere valutazioni discrezionali o arbitrarie, ma si deve allineare a quei significati, a quelle direttive, a quei limiti, a quei codici cbe la prassi, la dottrina, la giurisprudenza abbiano consolidato e armonizzato, Si deve basare per la sua valutazione e il suo giudizio su parametri oggettivi, tra­dotti - per i rapporti economici - nelle prassi del mercato, Ma vi è un ruolo ul­teriore di cui occorre tener conto: il ruolo dell'equità come sistema di regole che non si sovrappongono necessariamente, né si contrappongono necessariamente, ma si affiancano (ora anche sovrapponendosi, ora contrapponendosi) al sistema delle regole giuridiche, Così intesa, l'equità è esterna al diritto, e può anche pre­scinderne, Vi è un cenno a questo modo di concepire l'equità nel codice di pro­cedura civile, quando le parti si possono affidare al giudice perché risolva il loro conflitto in equità e non in diritto; vi è una prassi nei giudizi arbitrali, fondati su clausole o su compromessi che dànno adito ad un giudizio di equità, in cui agli arbitri si chiede di giudicare non in diritto, ma in equità,

(b) L'equità e la competenza dei giudici di pace

Sulla nozione di equità si è riaperta la discussione (dopo che a fasi alterne si era data rilevanza o meno a questo sistema di giudizio) ('6) al momento della in­troduzione della legge istitutiva dei giudici di pace, nel 1984 , con la modifica del 20 c, dell'art, 113 del c,p,c, Ci si chiedeva cioè se il giudice di pace dovesse tener conto, oltre che dei principi costituzionali e del diritto comunitario, anche dei principi ordinatori della materia fissati dalla legge, e quindi «adattare» il diritto scritto alla fattispecie esaminata, temperandone l'asprezza con l' «equità» (in que­sto senso Cass, n, 6794 del 1991) oppure se il sistema del giudizio di equità doves­se costituire un sistema alternativo al diritto scritto, salva ovviamente l'osservan­za della Costituzione e del diritto comunitario. Questo sistema si ricava da valori soffusi nell' ordinamento, nella coscienza sociale (37), nel comune sentire, anche se

(") Sul punto v, ALPA, I principi generali, Milano, 2006, (37) I giudici di pace sono giudici onorari che hanno competenza in materia ci­

vile e in materia penale. Per la materia civile banno competenza esclusiva in materia di apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai rego­lamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi; di uso dei servi­zi di condominio di case; di immissioni; di beni mobili di valore non superiore a 5,000,00 euro quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudi-

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CAPITOLO III - LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO 71

non tradotti in regole giuridiche (in questo senso Casso n. 716 del 1999; anch'io parteggiavo per questa seconda accezione di equità). A seconda dell'una o dell'al­tra scelta si ricavavano poi conseguenze in tema di ambito di competenza e di ri­corribilità in Cassazione avverso le sentenze del giudice di pace.

La questione è stata risolta a favore di una rispondenza maggiore al diritto: V. Corte Cost., sentenza n. 206 del 2004. Di recente è tornata sulla questione la Corte di Cassazione, con la sentenza dell'11.1.2005, n. 382. La questione riguar­dava l'ambito di competenza dei giudici di pace, i quali, anziché in diritto, deci­dono secondo equità, ma tenendo conto dei principi informatori della materia. Questa espressione è stata intesa nel senso più ampio del generale «principio re­golatore», quasi fosse una «cornice entro la quale può operare la discrezionalità del giudice di pace», e quindi dà maggiore spazio alla sua autonomia di quello che gli sarebbe riservato se applicasse la regola giuridica al caso di specie, tem­perandone solo l'asprezza. Insomma, la più recente giurisprudenza ha tentato una crasi tra i due modelli opposti di concezione dell' equità.

I giudici di pace decidono secondo equità; ma solo le controversie per le quali non sia prescritto di decidere secondo diritto; in caso di errore, se decido­no secondo equità una causa che doveva essere decisa secondo diritto, la sen­tenza è nulla (Cass. 22.3.2012, ord. n. 4627).

ce; di responsabilità civile per la circolazione di veicoli e di natanti purché il valore della controversia non superi i 20.000,00 euro. In queste materia il giudice di pace decide secondo diritto. Per cause civili di valore fino 1.100,00 euro, se le parti inte­ressate ne fanno richiesta, il giudice di pace decide secondo equità.

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CAPITOLO IV

LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA

SOMMARIO: 1. Gli organi dell'Unione europea e il diritto comunitario. - 2. Fonti e atti normativi dell'Unione europea e la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno degli Stati Membri. - 3. I regolamenti. - 4. Le direttive. - 5. Al­tre fonti. - 6. li diritto comunitario e l'integrazione del mercato europeo.

l. Gli organi dell'Unione europea e il diritto comunitario

L'Unione europea è attualmente composta da 28 Stati: ai 6 Stati fondatori (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo) al­tri nove, che si sono aggregati nel corso del tempo (Spagna, Portogal­lo, Regno Unito, Irlanda, Grecia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Au­stria). Altri lO si sono aggregati nel 2000: Polonia, Ungheria, Rep. Ce­ca, Estonia, Slovenia e Cipro, che avevano avviato i negoziati con la UE nel marzo del 1998 e Lituania, Lettonia, Rep. Slovacca, e Malta, che hanno concluso i negoziati successivamente. Ad essi si sono ag­giunte nel 2004 Romania e Bulgaria. Dallo luglio 2013 la Croazia è diventata il 28° Stato dell'Unione. Allo gennaio 2013 la UE contava circa 503 milioni di abitanti su una superficie di oltre 4 milioni di km quadrati.

(a) Il processo di formazione della Comunità (ora Unione) europea

L'ordinamento comunitario è il corpus di regole fondamentali e ope­rative create dagli organi delle comunità europee. Esse sono vigenti in Italia dal momento in cui le Comunità furono istituite e i trattati relativi furono sottoscritti:

(i) la Comunità europea per il Carbone e l'Acciaio, CECA, istituita a Parigi il 18.4.1951, il cui trattato è entrato in vigore il 25.7.1952;

(ii) la Comunità europea per l'energia atomica, EURATOM; (iii) la Comunità economica europea, CEE; entrambe queste Co­

munità sono state istituite a Roma il 25 .3 .1957 e i rispettivi trattati sono entrati in vigore 1'1.1.1958.

Il Trattato di Roma è stato modificato successivamente:

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74 PARTE l-INTRODUZIONE STORlA, FONTI, INTERPRETAZIONE

dall'Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo il 17,2.1986, re­so esecutivo con l. 23.12.1986 ed entrato in vigore l' 1. 71987;

- dal Trattato swl'Unione europea di Maastricht del 7.2.1992, reso esecutivo con l. 3.11.1992, n. 454 ed entrato in vigore l' 1.11.1993.

- dal Trattato di Amsterdam del 2,10.1997, reso esecutivo con l. 16.6,1998, n. 209 ed entrato in vigore 1'1.5.1999.

Le tre Comunità sono distinte, ma a seguito del trattato sulla fusione degli esecutivi dell'8.4,1965, sono rette dai medesimi organi (1).

Nel dicembre 2000 è stata approvata la Carta dei diritti fondamenta­li; il 29 ottobre 2004 è stato firmato a Roma il Trattato per la Costituzio­ne europea. Il processo di costituzionalizzazione europea è in corso, Per il momento la Carta dei diritti fondamentali è separata rispetto ai tratta­ti, ma è ed essi equiparata,

Il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il lO febbraio 2003, si è occupato fondamentalmente delle riforme istitu­zionali necessarie per garantire il buon funzionamento delle istituzioni una volta effettuato l'allargamento a 25 Stati membri nel 2004 e a 27 nel 2007. Il trattato di Nizza, il precedente trattato sull'Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea sono stati unificati in una versione consolidata.

Il Trattato di Lisbona è stato firmato il 13 dicembre 2007. È stato ratificato dai 27 Stati membri ed è entrato in vigore il l dicembre 2009, I suoi obiettivi principali consistono nel rendere l'UE più democratica al fine di soddisfare le aspettative dei cittadini europei in termini di alti li­velli di affidabilità, apertura, trasparenza e partecipazione, nonché al fi­ne di rendere l'UE più efficiente e in grado di far fronte alle sfide globali odierne quali il cambiamento climatico, la sicurezza e lo sviluppo soste­nibile.

(b) Organi della Comunità europea

L'Unione europea è retta da organi, che sono disciplinati dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, rinominato con questa formula rispetto al­la precedente (che si riferiva alla Comunità europea) dal Trattato di Lisbona en­!l'ato in vigore il 1.12.2009:

a) il Parlamento europeo (art. 223 ss.) che esercita la funzione legislativa; b) il Consiglio (art. 237 ss.); è l'organo che opera per il coordinamento del­

le politiche economiche degli Stati membri; ha poteri di decisione; attribuisce alla Commissione le competenze per l'esecuzione delle disposizioni da esso in­trodotte;

(1) GAIA, Introduzione al diritto comunitario, Roma-Bari, 1996; ADAM, ne Il di­ritto privato dell'Unione europea, a cura di TIZZANO, Torino, val. I, 2006, p. 3 SS.;

TESAURO, Diritto dell'Unione Europea, Padova, 2012; LIPARI (a cura di), Diritto pri­vato europeo, Padova, 2005.

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CAPITOLO IV - LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA 75

cl la Commissione (art. 244 ss.); è l'organo che vigila sull'attuazione dei trattati comunitari, esegue la deliberazione del Consiglio; ha inoltre potere nor­mativo diretto per l'unione doganale e l'attuazione delle politiche comunitarie; ha inoltre potere di raccomandazione, di gestione dei fondi, di negoziazione per la conclusione di accordi con uno o più Stati extracomunitari;

d) la Corte di Giustizia (art. 251 ss.); è l'organo che ha il compito di assi­curare l'osservanza dei trattati; essa decide le cause sottoposte applicando il diritto comunitario e i principi generali comuni agli Stati membri; si occupa delle procedure di infrazione, sulla base di pareri formulati dalla Commissio­ne, nel caso di violazione del trattato CEE da parte dei singoli Stati membri; ha giurisdizione di legittimità (cioè di conformità alla disciplina del Trattato) sugli atti del Consiglio e della Commissione, quando ne è investita da parte di uno Stato membro, da una istituzione comunitaria, da un semplice privato; decide i ricorsi «in carenza», presentati dagli Stati membri o dalle istituzioni comunitarie quando la Commissione e il Consiglio abbiano omesso di pro­nunciarsi: in tal caso la Corte può imporre a questi organi di agire; decide al­tresì le questioni di responsabilità extracontrattuale per i danni provocati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni; risolve que­stioni pregiudiziali concernenti l'interpretazione del trattato, la validità e l'in­terpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni comunitarie, l'interpretazione degli Statuti degli organismi creati dalle Comunità; risolve altresì le controver­sie con il proprio personale.

Accanto alla Corte opera il Tribunale di primo grado, che ha competenza in materia di rapporti tra le Comunità e i loro «agenti»; di ricorsi per violazione delle regole di concorrenza previsti dai privati, di ricorsi in materia di concen­trazione tra imprese. Oltre ad altri organi (Comitato economico e sociale, Banca europea per gli investimenti, Corte dei Conti, Comitato delle Regioni) si deve mettere in evidenza il Parlamento europeo, che ha poteri di controllo nei con­fronti della Commissione e del Consiglio, potere di partecipazione all' attività normativa della Comunità europea e poteri in materia di bilancio.

2. Fonti e atti normativi dell'Unione europea e la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno degli Stati Membri

L'art. 288 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (FUE) dispone che per l'adempimento dei loro compiti il Consiglio, la Commissione e (a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Maastricht) anche il Parlamento stabiliscono regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni o pareri. Queste sono dunque le fonti del diritto comunitario. È in corso una duplice revisione delle fonti: la semplificazione di un corpus normativo divenuto elefantia­co; la sostituzione delle direttive con leggi di tenore generale.

Da quando la Comunità ha preso il nome di Unione europea filolo­gicamente è più esatto parlare di «diritto dell'Unione europea»; ma poi­ché fino a poco tempo fa si parlava di «diritto comunitario» le due ter­minologie sono considerate fungibili.

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Rapporto tra diritto comunitario e diritto dei Paesi membri

76 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

Per le materie di competenza della Comunità europea, il diritto co­munitario prevale sul diritto interno, La Corte di Giustizia ha fissato questo principio in molte decisioni.

Tra le più rilevanti si segnalano: Causa 26/62 - Van Gend & Laas - Raccolta 1963, pago 1 (natura giuridi­

ca del diritto comunitario, diritti e obblighi dei singoli); Causa 6/64 - Costai ENEL - Raccolta 1964, pago 1251 (natura giuridica del diritto comunitario, applicabilità diretta, preminenza del diritto comunitario); Causa 14/68 - Walt Wilhelm e a, - Raccolta 1969, pag, 1 (natura giuridica del diritto comunitario, preminenza del diritto comunitario); Causa 106/77 - Simmenthal - Raccolta 1978, pago 629 (diritto comunitario, applicabilità diretta, preminenza); Causa 826/79 - Mireco - Raccolta 1980, pago 2559 (preminenza del diritto comuni· tario); Causa C-213/89 - Factortame - Raccolta 1990, pago 1-2466 (applicabi­lità diretta e preminenza del diritto comunitario); Cause riunite C-6 - Franco­vich - e 9/90 - Bonifaci - Raccolta 1991, pago 1-5403 (efficacia del diritto co· munitario, responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto comuni­tario, in questo caso: mancato recepimento di una direttiva); Cause riunite C-D e 113/91 - Debus - Raccolta 1992, pag, 1-3636 (conflitto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale, applicabilità diretta e preminenza del diritto comunitario); Causa C-393/92 - Gemeente Almelo - Raccolta 1994, pago 1-1477 (preminenza e applicazione uniforme del diritto comunitario); Cause riunite C-46/93 - Brasserie du pécheur - e C-48/93 - Factortame - Raccolta 1996, pago 1-1029 (effetto diretto del diritto comunitario, responsabilità gene­rale di uno Stato membro per la violazione del diritto comunitario); Cause riunite C-1O/97 - C-22/97 - 1N.CO.GE '90 S.r.l. - Raccolta 1998, pago 1-6307 (preminenza del diritto comunitario); Causa C-212/97 - Centros Ltd. - Rac· colta 1999, pago 1-1459 (misure nazionali intese a prevenire un uso abusivo del diritto comunitario).

Vi sono poi altri organi che nel nostro contesto non richiedono una appro­fondita trattazione, come la Banca Centrale Europea e la Corte dei Conti.

La diatriba sulla prevalenza dell'ordinamento comunitario sull'ordinamento interno si era aperta non solo presso di noi, ma anche nei paesi della Comunità, in particolare in Germania, ave una Corte Costituzionale particolarmente rigo· rosa nell' applicazione della Costituzione di Bonn e nel!' affermazione dei valori di cui essa è espressione, era riluttante ad accettare questo principio. Anche la nostra Corte Cost. aveva tenuto inizialmente questa posizione (nel caso Costa C.

Enel, n. 14 del 1964), ma poi ha mutato orientamento. La Corte di Giustizia delle Comunità europee tuttavia non ha mai avuto

dubbi sulla prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno: V. i casi Inter­nationale Handeslgesellschaft, C-ll/70; Dow Chemical Iberia, C-97-99/87 e il ca· so Simmenthal C-106/77. Nel caso C-258/98 Carra la Corte ha precisato che il giudice nazionale incaricato di applicare nell'ambito della propria competenza le disposizioni del diritto comunitario ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi dispo­sizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza dover·

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CAPITOLO IV - LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA 77

ne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsia­si altro procedimento costituzionale (2)-

Di qui la responsabilità di quanti sono tenuti ad applicare le norme comu­nitarie in caso di omissione: ad es" la pubblica Amministrazione è tenuta a di­sapplicare la norma del diritto interno in contrasto con il diritto comunitario e se non lo fa, non potendo addurre la propria ignoranza incolpevole della legge, risponde del danno (Cass. 29_12.2011, n. 29736, in un caso in cui l'Agenzia del territorio non aveva fornito le informazioni contenute in pubblici registri dete­nuti in regime di monopolio legale e quindi commesso un abuso che aveva dan­neggiato una società commerciale).

Alla concezione dualistica, che distingue il diritto comunitario (come diritto Concezione dualista

sovranazionale) e il diritto interno (come diritto nazionale) si contrappone la concezione unitaria (a mio parere più corretta) che considera l'ordinamento na- Concez;one un;!a';a

zionale come composto dal diritto comunitario, per i settori di competenza del-l'Unione, e dal diritto interno per gli atri settori.

3. I regolamenti

Il regolamento (art. 288 ss.) ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri; ciò significa che questo atto ha validità automatica negli Stati membri, non ha perciò bisogno di alcuna procedura interna per potersi considerare (immediatamente) vincolante; il giudice nazionale deve quindi applicare direttamente il regolamento comunitario; ciò sia che es­so contrasti con la disciplina ordinaria interna, che resta abrogata se an­teriore e disapplicata se posteriore, sia che esso contrasti con la Costitu­zione (ciò perché la stessa Costituzione riconosce indubbiamente la limi­tazione di sovranità dello Stato italiano nelle materie attribuite dai trat­tati alle Comunità ovvero perché lo Stato italiano non può porsi in con­trasto con i valori riconosciuti dalle nazioni civili).

4. Le direttive

La direttiva ha efficacia vincolante solo per il risultato da raggiunge­re, restando il testo come un modello cui si deve uniformare lo Stato membro; occorre pertanto un atto di trasposizione (o di recepimento) della direttiva nel diritto interno; tale atto può essere costituito da una legge, da un regolamento o da un semplice atto amministrativo.

(2) Questo processo interpretativo è stato molto più complicato di come lo si è descritto: v. nell'ampia letteratura G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2003, p. 184 ss.; TIZZANO, Il diritto privato dell'Unione europea, Torino, 2000; Trattato di diritto privato europeo, a cura di N. LIPARI, Padova, 2003.

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78 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

(a) L'adempimento delle direttive. La c.d. «legge comunitaria»

Al fine di agevolare l'attuazione delle direttive che erano per molto tempo rimaste inattuate, il Parlamento italiano ha approvato una proce­dura che consente di accelerare l'adeguamento dell'ordinamento interno al diritto comunitario: la 1. n. 86 del 1989 dispone che di anno in anno il Parlamento adotti un provvedimento (di legge comunitaria) con cui si affida al Governo il compito di predisporre testi normativi attuativi delle direttive richiamate; talvolta nel medesimo provvedimento si disciplina già la materia oggetto di singole direttive, dandovi attuazione, oppure si fissano criteri orientativi del Governo,

Con la legge comunitaria del21.12.1999, n. 526 (Disposizioni per l'adempi­mento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 1999) si è ulteriormente semplificato il procedimento di adeguamento del nostro ordinamento alle disposizioni comunitarie, perché il Parlamento (art. 1) ha delegato il Governo ad emanare con decreti legislativi le disposizioni più opportune nelle materie allegate, corrispondenti alle direttive elencate in calce al provvedimento; ha fissato (art. 2) i criteri e i principi direttivi per l'esercizio della delega legislativa; per un altro elenco di direttive il Governo (art. 3) è stato autorizzato ad avvalersi di regolamenti. Con il medesimo provve­dimento si sono introdotte norme sul domicilio professionale (art. 16) e si sono attuate direttamente alcune direttive, tra le quali la direttiva 98/5/CE in materia di esercizio della professione di avvocato (art. 19). Si sono inoltre apportate due modifiche al codice civile: l'una (art. 25) riguarda gli artt. 1469 bis e ss. concer­nenti le clausole abusive nei contratti dei consumatori; l'altra riguarda modifica­zioni dell' art. 1746 sulla responsabilità degli agenti commerciali.

Con la legge comunitaria per il 2003 (1. 3.2.2003, n. 14) il Governo è stato delegato dal Parlamento a predisporre «codici di settore» e di aggiornare la di­sciplina vigente alla luce della disciplina comunitaria.

Ogni anno il Parlamento approva la legge comunitaria che attua le direvvie approvate dagli organi comunitari.

Con 1. 24.12.2012, n. 234 (legge di delegazione europea e legge europea) il Parlamento italiano ha approvato «norme generali sulla partecipazione dell'Ita­lia alla formazione e all' attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea». Con questa legge il Governo è autorizzato ad attuare 35 direttive eu­ropee, a conuninare sanzioni per la violazione di «precetti europei» non trasfusi in leggi nazionali», tratta temi specifici, come l'inquinamento e i bilanci nazio­nali, e altre disposizioni di minore rilevanza; con la legge si possono concludere una ventina di procedimenti di infrazione per l'inadempimento alla attuazione di direttive da parte dello Stato italiano.

(b) L'inadempimento dello Stato al recepimento delle direttive

La Corte di Giustizia, nel registrare i molteplici e diffusi inadempi­menti degli Stati membri nell' attuazione delle direttive, ha elaborato, a

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CAPITOLO IV - LE FONTI DEL DIRlTTO DELL'UNIONE EUROPEA 79

partire dagli anni '80, un indirizzo interpretativo in base al quale le di­rettive possono considerarsi immediatamente applicabili; ciò sia da par­te degli organi amministrativi, sia da parte dei giudici ordinari. L'appli­cabilità diretta è però subordinata ad alcune condizioni, correlate alla natura giuridica, al contenuto organico e al tenore delle regole contenu­te nella direttiva; in ogni caso essa opera solo nei c.d. rapporti verticali, che riguardano i singoli cittadini e lo Stato membro; non invece nei rap­porti orizzontali, che operano tra singoli cittadini ('),

Con sentenza del 14.7.1994 (C-91/92, Faccini Dori) la Corte di Giustizia Casi notevoli

CEE ha enunciato due principi di notevole importanza, peraltro confermando un indirizzo consolidato. Il caso, di modesta entità economica, in verità, ma non per questo trascurabile (un grande giurista del secolo scorso, Rudolf von Jhering, amava ripetere che molti grandi principi giuridici si sono affermati ri-solvendo casi piccoli come capocchie di spillo) riguardava la possibilità di re-cesso dal contratto concernente un corso d'inglese per corrispondenza. La sot­toscrizione del modulo contrattuale era stata sollecitata all'interessata da un di-pendente dell'impresa mentre ella usciva dalla stazione centrale di Milano: il classico «effetto sorpresa», che si produce quando l'acquisto di un prodotto o di un servizio non avviene ad iniziativa del consumatore, bensì per effetto delle tecniche di commercializzazione dell'impresa, che sono sempre più sofisticate e accattivanti. Qualche giorno dopo l'acquisto, la consumatrice se ne era penti-ta e aveva ritualmente comunicato all'impresa la sua volontà di recedere dal contratto, rifiutandosi quindi di versare le rate del prezzo, come richiesto dal contratto; nel frattempo, l'impresa aveva ceduto il credito ad una società di factoring, e questa, ricevuta la comunicazione con cui la debitrice manifestava l'intenzione di non voler pagare, aveva adito il giudice per soddisfare il pro-prio credito. Nel corso del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, l'ac-quirente aveva richiamato l'applicazione della direttiva comunitaria del 20.12.1985, 85/577/CE per la tutela dei consumatori in caso di contratti nego-ziati fuori dei locali commerciali. Aveva cioè sostenuto che nulla era dovuto al-la società, in quanto ella aveva comunicato il recesso dal contratto entro il las-so di tempo consentito dalla direttiva per il «pentimento». Si deve segnalare che, al momento dell' opposizione, non era ancora vigente la disciplina di at-tuazione della direttiva, introdotta dal legislatore italiano proprio qualche gior-no dopo, anche se con un ritardo di ben sette anni dalla introduzione della di-rettiva, e di quattro dal termine fissato dalla direttiva agli Stati membri per il recepimento (d.lgs. 15.1.1992, n. 50). Sicché il giudice competente, su richiesta dell' opponente, aveva proposto domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia, riguardante due aspetti della questione: se la direttiva in materia fosse sufficientemente precisa e dettagliata e, in caso positivo, se dovesse appli-carsi solo nei rapporti tra i singoli e lo Stato italiano ovvero potesse applicarsi anche nei rapporti dei singoli tra loro. In altri termini, il giudice conciliatore,

(') Da ultimo vedi il caso Francovich, 19.11.1991, in Foro it., 1992, IV, 145 con note di BARONE e PARDOLESI, PONZANELLI; 3.3.1994, in Dir. Com. se. int., 1994,47, con nota di CAPELLI.

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Direttive dettagliate e precise

Applicazione verticale/orizzontale

80 PARTE I - INTRODUZIONE STORIA, FONTI, INTERPRETAZIONE

consapevole del fatto che, al momento, lo Stato italiano era in mora, non aven­do ancora attuato la direttiva, si chiedeva se poteva applicare le regole della di­rettiva direttamente al caso che stava amministrando; se la risposta fosse stata positiva, avrebbe applicato la disposizione della direttiva che consente al con­sumatore di recedere dal contratto entro un breve termine (sette giorni) dal momento della sottoscrizione, senza incorrere in penalità; l'acquirente avrebbe cosÌ potuto sciogliersi da ogni vincolo, e nulla avrebbe più potuto pretendere la società creditrice.

La Corte ha confermato che la direttiva sui contratti negoziati fuori dai loca­li commerciali è sufficientemente dettagliata e precisa, e quindi è direttamente ap­plicabile, quando gli Stati membri siano morosi e non abbiano adeguato l'ordina­mento interno alla direttiva. Tuttavia, ha anche precisato che l'applicazione della direttiva è solo verticale (si applica cioè ai rapporti tra singolo e Stato) e non oriz­zontale (cioè ai rapporti tra singoli). Perciò, ove il giudice non avesse potuto adat­tare l'ordinamento interno alla direttiva dando una interpretazione della legge na­zionale adeguata ad essa, l'unico rimedio che rimaneva alla acquirente era quello di promuovere un'azione di risarcimento del danno nei confronti dello Stato ita­liano, ma non, per contro, quello di sospendere i pagamenti.

Lo Stato italiano, al momento, era inadempiente: ha provveduto, come detto, con il d.lgs. n. 50 del 1992, che, all'art. 4 dispone che «per i contratti e le propo­ste contrattuali soggetti alle disposizioni del presente decreto è attribuito al con­sumatore un diritto di recesso». L'unico rimedio rimasto all'acquirente è dunque la richiesta di risarcimento del danno, offrendo la prova del nesso causale tra l'ina­dempimento dello Stato italiano e la diminuzione patrimoniale conseguita al pa­gamento integrale del corso per corrispondenza e alle altre spese incontrate.

Attesa la giurisprudenza pregressa della Corte, richiamata anche in motiva­zione, il procedimento logico della sentenza appare ineccepibile.

In un caso analogo, il giudice conciliatore (questa volta di Roma), con sen­tenza del 24.6.1991 (4) ha ritenuto la direttiva applicabile anche nei rapporti tra i singoli. Ma la decisione, pur apprezzabile dal punto di vista della tutela del consumatore, al quale non si offriva fino a qualche tempo fa in questa materia una adeguata protezione nell'ordinamento italiano, in contrasto con quanto già da decenni avviene negli altri Paesi membri, e in contrasto con i principi comu­nitari, non è corretta, perché non conforme all'orientamento della Corte di Giu­stizia.

Il mancato recepimento delle direttive comunitarie oltre il termine previsto apre la via al contenzioso, per inadempimento, con lo Stato. Il privato può chiedere allo Stato il risarcimento del danno subìto per il mancato recepimento della direttiva,

Anche la Corte Costituzionale italiana ha ammesso l'applicabilità di­retta delle direttive comunitarie purché siano soddisfatti alcuni requisiti, e cioè che la direttiva sia incondizionata e sufficientemente precisa, che la fattispecie astratta e il contenuto del precetto siano completi, che sia

(4) In Nuova giuro civ. comm., 1992, I, 602 con nota di STOPPA.

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CAPITOLO IV " LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA 81

scaduto il termine per 1'attuazione e lo Stato italiano non vi abbia prov­veduto (5).

(c) Le direttive dettagliate e precise che istituiscono diritti in capo ai priva­ti

Per contro, è insorto contrasto tra gli orientamenti delle sezioni del­la Corte di Cassazione in ordine agli effetti delle direttive non attuate. Secondo 1'orientamento condiviso anche dalla Corte Costituzionale, di cui si è detto, la II sez. della Corte di Cassazione (6) ha ribadito che le direttive sono prive di efficacia nei rapporti tra privati (c.d. efficacia orizzontale), ma hanno efficacia nei confronti dello Stato inadempiente, che cioè non abbia recepito la direttiva. Invece la sez. lavoro, con sen­tenza del 3.2,1995, n. 1271 ha applicato il principio in base al quale il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell' ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso di conflitto con un regolamento comunitario, sia nel caso di conflitto con una diret­tiva.

Lo Stato membro inadempiente non è solo assoggettato alle sanzioni del diritto comunitario, ma anche all'obbligo di risarcire il danno ai cit­tadini i cui diritti o interessi sono lesi dall'inadempimento C).

5. Altre fonti

(a) Decisiom; pareri; raccomandazioni

Quanto agli altri atti occorre precisare che la decisione è obbligato­ria e riguarda un unico soggetto; i pareri e le raccomandazioni non sono vincolanti.

(b) Principi generali

Oltre agli atti aventi valenza normativa, occorre tener conto dei principi del diritto comunitario. Tali principi riguardano i diritti fonda-

(') Caso Granital, 8.6.1984, n. 170, in Foro it., 1984, I, 2062, con nota di TIZ­

ZANO; 18.4.1991, n. 168, ivi, 1992, l,660, con nota di DANIELE.

(6) Con sento del 27.2.1995, n. 2275. (') Le decisioni più rilevanti decise dalla Corte di Giustizia riguardano: il caso

Francovich (19.11.1991, C-6/90 e C-9/90, in Racc., 1991, I, 5357) il caso Brasserie du Pescheur e Factartame (5.3.1996, C-46/93 e C-48/93, in Racc, 1996, 1029); il caso Kanle (1.6.1999, C-302/97) in Giur. it", 2000, p. 901 SS. e il caso Haim (4.7.2000, C-424/97, in Carr. giur", 2000, n. 8)"

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Problemi dell'uniformazione normativa

82 PARTE I, INTRODUZIONE STORlA, FONTI, INTERPRETAZIONE

mentali dell'uomo (stÙ punto v, cap, X), il diritto di proprietà, i diritti della difesa, la libertà economica, espressa dalla libertà di concorrenza, di circolazione delle merci e dei capitali, di stabilimento, di prestazione di servizi, di libera circolazione dei lavoratori (artt, 81 ss" 39 ss" 49 ss" 56 ss" 61 ss" 9 e 67, 52, 59,48 del Trattato CE); la libertà di associazio­ne, il segreto professionale, ecc, (8), Con riguardo ai rapporti tra ordina­mento comunitario e ordinamento nazionale occorre annoverare il prin­cipio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità,

(c) Giurisprudenza

Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia è una fonte rilevan­te, come si vedrà nel corso della trattazione (9).

6. Il diritto comunitario e l'integrazione del mercato europeo

Come tutti i complessi normativi, sotto la spinta dell'autopoiesi, anche l'or­dinamento ha creato problemi di coordinamento, di semplificazione, di conteni­mento, La relazione della Commissione intitolata «Legiferare meglio» [COM(2007)286 def], raffigurata la situazione, indica le misure che si debbono adottare, anche al Ene di applicare in modo più intenso il principio di sussidia­rietà e il principio di proporzionalità, il primo più diffusamente osservato, il se­condo qualche volta violato,

Con riguardo al diritto privato, non solo ragion di politica comunitaria ma anche ragioni di chiarezza del dettato normativo hanno spinto gli organi comu­nitari a trasformare le convenzioni in regolamenti - ne sono esempio eclatante i regolamenti sulla legge applicabile in materia di obbligazioni contrattuali (n. 593/2008 del 17,6.2008, in vigore dal 17.12.2009) (Roma 1) e di obbligazioni ex­tracontrattuali (n, 864/2007 dell'11.7.2007, in vigore dall' 11. 1.2009) (Roma II) - e a perseguire con le direttive il livello di armonizzazione massima. Regola­menti e direttive che limitano quanto più possibile le opzioni dei legislatori na­zionali sono il modo più semplice per circoscrivere il pluralismo interpretativo,

(') TORIELLO, I principi generali del diritto comunitario, Milano, 2000, In que­sto senso v. A. TRABUCCHI, I principi generali del diritto nell'esperienza comunitaria, ne I principi generali del diritto, Roma, 1999, pp. 187 SS.; SIMON, Y a-t-il des princi­pes généraux du droil communautaire?, in Droits, 1991, pp. 73 ss. Ad es" v. LORENz,

Generai Principles of Law: Their Elaboration in the Court of fustice of the European Communities, in 13 Am. J. Comp. Law, 1964, pp. l SS.; USHER, Principles derived from Private Law and the European Court of fustzCe, l European Review of Private Law, 1993, pp, 109 ss,; VAN GERVEN, The Case-Law of the European Court offustice and National Courts as a Contribution to the Europeanisation ofPrivate Law, in 3 Eu­ropean Rev. of Private Law, 1995, pp, 367 SS,

(') ALPA, CAPILLl, PUTTI, Casi scelti in tema di responsabilità civile, Padova, 2003.

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CAPITOLO IV - LE FONTI DEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA 83

il pluralismo normativo di settore, il pluralismo dei sistemi: dal punto di vista della certezza del diritto (comunitario) e della uniformità del trattamento delle categorie all'interno delle quali si possono ascrivere i titolari dei diritti tutelati certamente di stratta di misure ragionevoli rivolte ad agevolare l'integrazione europea. Ma non sempre è possibile oppure consigliabile una uniformazione normativa tout eourt. Un conto è la semplificazione legislativa, altro conto la semplificazione amministrativa, come risulta dal programma d'azione per la ri­duzione degli oneri amministrativi dell'Unione elaborato dalla Commissione eu­ropea [COM(2007)23 def.J, un conto sono le misure che riguardano le PMI -assunte con lo Small Business Act del 25.6.2008 - altro conto sono le misure ri­guardanti le professioni, altra cosa ancora il contemperamento degli interessi economici con gli interessi sociali e con i diritti fondamentali e i diritti configu­rati dagli status di cittadino, lavoratore, consumatore, etc.

La fondazione dell'Unione europea, a cui ha partecipato il nostro Paese, è stata prodigiosa sotto diversi profili, ed anche per l'evoluzione del nostro ordi­namento e il suo adeguamento alle nuove esigenze economiche e sociali: si deve a questo processo la creazione del diritto dei conswnatori, del diritto dell' am­biente, e di molteplici innovazioni in ambito commerciale, societario, bancario e finanziario, associativo, e di lavoro.

Il ricorso alle direttive ha dato luogo a diversi problemi come risulta dagli studi di ambito generale (v. ad es. la 1"Ìcerca pubblicata nel mese di gennaio 2007 dalla DG Affari economici e finanziari, con il titolo Steps towards a deeper economie integration: the interna l market in the 21st century, e il Rapporto Inter­nal Market. Seoreboard, n. 18, del mese di dicembre 2008) e dagli studi di setto­re (v. ad es., la ricerca predisposta a cura dell'IMCO-Internal Market and Con­sumer Protection, dal titolo TralZSposition, implementation and enforcement of eonsumer law, del mese di febbraio 2009 sui diritti dei consumatori). Dai primi emerge che le omissioni, i ritardi, gli errori dei legislatori nazionali nella attua­zione delle direttive sono ancora all' ordine del giorno, costituiscono un ostacolo alla integrazione del mercato europeo e richiedono un intervento attivo degli or­gani comunitari, anche se la situazione è notevolmente migliorata negli anni più recenti. Il deficit nell'attuazione era stato fissato all'1,5%: dei 27 Paesi membri solo 5 appaiono in una posizione di criticità (tra questi si registrano la Polonia e il Lussemburgo), mentre già 17 si sono avvicinati all'l %. Ma anche qui non si possono fare generalizzazioni: se si guarda alle tabelle e alle situazioni più preoccupanti, il nostro Paese è deficitario nel settore della disciplina dei servizi finanziari, la Repubblica Ceca lo è nel settore dei servizi sociali, la Grecia lo è nel settore dell'energia e dei trasporti, insieme con il Portogallo e l'Austria. La soluzione della legge comunitaria annuale, che ha trovato entusiasti imitatori in altri Paesi, ha ridotto il numero delle direttive non attuate, ma non ha risolto l'altro problema consistente nella loro esatta trasposizione: sempre l'Italia è al penultimo posto (l'ultimo è occupato dalla Polonia) nella graduatoria dei Paesi membri per il numero dei casi di inesatta o incompleta attuazione.

Adempimenti degli obblighi comunitari da parte degli Stati membri