diritto industriale riassunto
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DIRITTO INDUSTRIALE
INTRODUZIONE
Il diritto industriale è quella branca del diritto che si occupa dei rapporti giuridici inerenti all’attività
industriale. L’esatta definizione dell’oggetto di tale settore del diritto è tuttora piuttosto dibattuta in
dottrina anche in considerazione dei rapporti con il diritto commerciale. Per quanto riguarda le font
del diritto industriale, oltre alle norme del codice civile e alle convenzioni internazionali, le più impor
tanti leggi interne sono le seguenti:
• R.D. 1127/39 sulle invenzioni 1;
• R.D. 1141/40 sui modelli di utilità e modelli e disegni ornamentali ;
• L. 633/41 e L. comunitaria 52/96 sui diritti d’autore e diritti connessi ;
• R.D. 929/42 e L. 1178/59 sui marchi ;
• L. 287/90 sulla concorrenza;
• D.Lgs. 198/96 sui c.d. accordi Trip’s.
L’AZIENDA
Ai sensi dell’art. 2555 c.c., l’azienda è “ il complesso dei beni organizzati dall’impren-ditore per l’eser
cizio dell’impresa”. L’imprenditore non deve essere necessariamente proprietario dei beni aziendali
è infatti sufficiente che egli disponga di un diritto reale o personale che gli permetta di utilizzarli. Da
questa considerazione si evince che la titolarità dell’azienda non deve essere intesa nel senso di una
proprietà sul complesso bensì nel senso di una titolarità di diritti .
Gli elementi costitutivi e il concetto di “avviamento”
Per quanto attiene agli elementi costitutivi dell’azienda la dottrina è divisa:
• per alcuni possono ritenersi tali solo le cose in senso proprio di cui l’impren-ditore si avvale
per l’esercizio dell’impresa;
• per altri sono riconducibili ad essi tutti i rapporti contrattuali stipulati per l’esercizio dell’im
presa e pure i crediti verso i clienti e i debiti verso i fornitori .Il fatto che l’azienda sia caratterizzata da un complesso di beni organizzati in funzione di uno scopo
produttivo ci induce a considerare che tali beni – così intesi – abbiano un valore maggiore rispetto
agli stessi individualmente considerati. Tale maggior valore che i beni aziendali acquistano a causa
1 Poi modificato con DPR 849/68 sulla licenza obbligatoria, con DPR 540/72 sulla semplificazione dei procedimenti amministrativi in materia di brevetti e con DPR 338/79 di adeguamento alle convenzioni internazionali.
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della “organizzazione”, prende il nome di avviamento dell’azienda2. Il nostro ordinamento giuridico
appresta all’avviamento una tutela:
• diretta: si pensi, ad esempio, alla tutela riconosciuta dagli artt. 34 e 35 della L. 392/78 a favo
re dell’imprenditore locatario nei confronti del locatore dell’immobile destinato all’impresa;
• indiretta: si pensi alla repressione della concorrenza sleale, alla tutela dei segni distintivi ecc.
Trasferimento dell’azienda e successione nell’impresa
Il trasferimento dell’azienda da un imprenditore ad un altro è un fenomeno assai frequente. Questo
può attuarsi mediante un atto inter vivos - come la vendita, la concessione in usufrutto o l’affitto 3
oppure mortis causa.
La disciplina che regola la circolazione dell’azienda – talvolta mediante norme inderogabili – ha il fine
di mantenere la potenzialità produttiva di essa e di assicurare la tutela dei creditori e dei contraent
dell’alienante, in ordine ai rapporti contratti nell’esercizio o per l’esercizio dell’azienda. D’altro canto
l’imprenditore è libero di cedere singoli beni aziendali e in tal caso – come è logico – non si appliche
rà la disciplina specifica.
Per le ipotesi di trasferimento mortis causa il codice non prevede disposizioni particolari, dovendos
applicare le regole generali sulle successioni. In generale, se l’erede continua l’esercizio dell’impresa
tutti i precedenti rapporti passano in capo ad esso; se al contrario non vuole continuare l’esercizio
dell’impresa e la aliena a terzi, si applicano le norme relative ai trasferimenti per atto inter vivos.
succedere di più coeredi ad un unico imprenditore defunto dà luogo ad una comunione incidentale
di azienda per successione ereditaria (con il possibile costituirsi di una società).
Negozi di trasferimento e divieto di concorrenza
L’azienda non ha peculiari modalità di trasferimento ma circola nelle forme proprie dei beni che la
compongono: cedere o affittare l’azienda, cioè, equivale a cedere o locare una serie di beni 4. Nell’at
2 Diversa dall’avviamento è la clientela: essa può essere definita come l’insieme dei destinatari dei beni o serviz prodotti dall’imprenditore oppure – sotto un’ottica più economica – come flusso costante della domanda dei beni o servizi che fanno capo all’azienda. La clientela è dunque un rapporto di fatto tra consumatori ed impresa e non devconfondersi con l’avviamento.3 Queste sono le ipotesi espressamente previste dal codice. Tuttavia l’azienda può essere ceduta anche per donazione, permuta e conferimento in società.4 Per le sole imprese soggette a registrazione è poi prevista la necessità della forma scritta ai fini della prova (aprobationem).
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to di cessione non è necessario indicare tutti i beni dell’azienda che si trasferiscono, mentre occorre
necessariamente indicare i beni che non vengono trasferiti5.
Nell’ipotesi di alienazione di una azienda commerciale, l’alienante deve astenersi – per un periodo d
5 anni dal trasferimento – dall’iniziare una nuova impresa che sia idonea a sviare la clientela dall’a
zienda ceduta. L’obbligo in oggetto è soltanto un effetto naturale del negozio di trasferimento: le
parti possono escluderlo, limitarlo o anche stabilire un divieto più ampio 6. La durata del divieto non
potrà comunque eccedere i cinque anni ed a tale periodo di tempo si riduce la eventuale maggiore
durata pattuita.
Successione nei contratti dell’azienda ceduta
In seguito al trasferimento dell’azienda, se non è pattuito diversamente, l’acqui-rente subentra ne
contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale (art. 2558
c.c.)7
. La successione si verifica – a differenza del principio generale sancito dall’art. 1406 c.c., indipendentemente dal consenso del contraente ceduto: questi ha solo la facoltà, in presenza di una giu
sta causa, di recedere dal contratto – con effetto ex nunc – entro tre mesi dalla notizia del trasferi
mento (art. 2558 II° c.c.).
Successione nei rapporti di lavoro
In caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente ed il lavoratore
conserva tutti i diritti che ne derivano. Alienante e acquirente sono obbligati in solido per tutti i crediti inerenti a rapporto di lavoro vantati dal lavoratore al tempo del trasferimento. Il trasferimento d
azienda non costituisce di per se motivo di licenziamento, ma resta ferma la facoltà dell’alienante d
esercitare il diritto di recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti.
Crediti e debiti dell’azienda ceduta
Gli artt. 2559 e 2560 c.c. regolano la successione nei crediti e nei debiti dell’azienda ceduta, cioè in
quelle posizioni giuridiche costituite dal solo lato attivo o passivo di un rapporto obbligatorio e non
facenti parte di un rapporto sinallagmatico in atto comprendente anche la controprestazione. Regola
5 Si ricordi che la ditta non può essere trasferita separatamente all’azienda e che essa non passa all’acquirentesenza il consenso dell’alienante.6 Purché – in quest’ultimo caso – non ne resti impedita ogni attività professionale per l’alienante.7 I contratti in cui succede il cessionario sono quelli stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa (es. contratti dlocazione dell’immobile in cui opera l’azienda, contratti di somministrazione ecc.). Sono invece esclusi quellche abbiano carattere personale, cioè quei contratti che, pur se stipulati per l’azienda, si fondano sostanziamente ed esclusivamente sulla fiducia fra le parti.
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generale è quella che i crediti ed i debiti relativi all’azienda ceduta passano, in linea di principio, al
l’acquirente.
Per quanto riguarda i rapporti tra alienante e acquirente dell’azienda, mentre da un lato la dottrina
ritiene necessaria una pattuizione espressa, la giurisprudenza è orientata nel senso della successione
automatica.
Usufrutto e affitto dell’azienda
L’azienda può essere costituita in usufrutto o concessa in affitto. L’usufruttuario e l’affittuario hanno
l’obbligo:
• di esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue;
• di gestirla senza modificarne la destinazione;
• di ricostituire le normali dotazioni di scorte e sostituire gli impianti deteriorati dall’uso.
Il divieto di concorrenza nei confronti del concedente o del nudo proprietario è limitato alla durata
dell’affitto o dell’usufrutto.
L’ILLECITO CONCORRENZIALE
LA DISCIPLINA CONCORRENZIALE
Fino all’entrata in vigore del codice civile del 1942, l’unica norma in materia era costituita dall’art
10bis introdotto con una revisione del 1925 alla Convenzione Internazionale per la tutela della pro
duzione industriale stipulata a Parigi nel 1883. Con l’introduzione del codice del 42 sono invece glartt. 2598 e ss. ad occuparsi della materia.
La disciplina della concorrenza sleale si applica solo quando ricorrano i presupposti soggettivi che ri
guardano il rapporto in cui devono trovarsi il soggetto attivo e quello passivo e la qualità professio
nale di entrambi i soggetti. Quanto al rapporto fra i due soggetti, questo deve essere di concorrenza
(anche potenziale); la qualità professionale è quella di imprenditore8.
Inoltre, l’imprenditore è responsabile anche degli atti posti in essere dai suoi collaboratori autonom
ed ausiliari, nonché, ovviamente, dai dipendenti nell’esercizio delle loro mansioni9.
ILLECITO E DANNO CONCORRENZIALE
Gli atti di concorrenza sleale previsti dall’art. 2598 si distinguono in tre categorie:
8 Sono ricompresi nella disciplina anche la P.A., le attività non professionali ma occasionali e gli esercizi di impresa senza licenza.9 Si ritiene tuttavia che – eccetto il caso del dipendente – il terzo sia responsabile in solido con l’imprenditore.
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• atti di confusione, di cui al n. 1 della norma;
• atti di appropriazione di pregi e di denigrazione, di cui al n. 2;
• altri atti contrari alla correttezza professionale , di cui al n. 3, caratterizzati oltre che dalla
contrarietà ai principi della correttezza professionale10, dall’idone-ità a danneggiare l’altru
azienda11.
Secondo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, per integrare gli estremi dell’illecito
concorrenziale, non è necessario che il danno si sia effettivamente realizzato, ma è sufficiente che
esso sia potenziale.
LE SINGOLE FATTISPECIE DI CONCORRENZA SLEALE
Gli atti di confusione
Le fattispecie in esame sono disciplinate dal n. 1 dell’art. 2598 ed hanno in comune l’idoneità a produrre confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente, ossia l’idoneità a convincere i consu
matori che un prodotto o un’attività provengono da un certo imprenditore mentre in realtà sono da
ricondurre ad un imprenditore diverso. Tale confondibilità è intesa come la riproduzione – più o
meno puntuale – di uno o più element i 12 atti ad individuare un prodotto o una attività.
Non esistendo, per i segni distintivi in esame, un sistema di registrazione e – quindi – una presunzio
ne di validità del segno, l’onere di provare la presenza in esso dei requisiti di tutelabilità graverà, se
condo i principi generali, su colui che ne invoca la tutela. La sola dimostrazione della preesistenza dsegni confondibili graverà sulla parte che nega la tutelabilità. Infine la presenza della capacità distin
tiva non è oggetto di prova ma piuttosto di una valutazione del giudice sulla base del notorio, venen
do qui in rilievo fatti appartenenti alla comune esperienza.
Analizzando più da vicino l’art. 2598, troviamo al n. 1 la fattispecie di chi “ usa nomi o segni distintiv
idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri ”. Ci s
chiede se tale norma riguardi – oltre ai segni atipici cui specificatamente si rivolge – anche quelli tipi
ci, cioè già tutelati altrove dalla legge come la ditta, l’insegna e il marchio registrato. È la stessa nor
ma a rispondere positivamente (“ ferme le disposizioni (…)”) ma resta il problema della cumulabilit
10 Secondo la dottrina più recente, per giudizio di correttezza professionale dobbiamo intendere un giudizio dnatura morale ma non professionale, bensì di morale pubblica corrente quale è espressa dalla collettività dei consociati di cui il giudice è interprete.11 L’idoneità dannosa deve essere qualificata, deve cioè essere maggiore a quella normale di un atto dello stesstipo non scorretto.12 Segni denominativi, emblematici, figurativi. Inoltre il segno distintivo imitato deve essere dotato di capacitdistintiva (originalità), di novità e deve essere concretamente utilizzato nel mercato.
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delle due tutele: la giurisprudenza opta per la soluzione negativa, mentre la dottrina le ritiene appli
cabili entrambe13. Quanto ai segni atipici della ditta irregolare e del marchio di fatto, la norma del
l’art. 2598 n. 1 ne costituisce la forma esclusiva di tutela.
L’art. 2598 n. 1 contempla, come seconda delle tre fattispecie, la c.d. imitazione servile. Tale norm
ha subito nel tempo progressive limitazioni applicative:
• un primo limite riguarda le parti del prodotto la cui imitazione può definirsi illecita: tale imita
zione deve infatti riguardare le parti appariscenti, esterne, del prodotto;
• un secondo limite deriva dall’esigenza di coordinare il divieto di imitazione con la disciplina
brevettuale14: per risolvere la questione si è giunti ad una interpretazione restrittiva dell’art
2598 n. 1 sostenendo che le forme suscettibili di costituire oggetto di brevettazione come
modello ornamentale o come modello di utilità sono liberamente imitabili ove non siano bre
vettate o non lo siano più per la scadenza del relativo brevetto.
Quanto alle forme utili o funzionali si sostiene che queste – quando sarebbero potute essere brevet
tate come modelli di utilità ma non lo siano state – non siano tutelabili contro l’imitazione servile e
siano quindi liberamente imitabili. Per quanto riguarda invece le forme ornamentali , si sostiene che
soltanto le forme dotate di un ornamento speciale e cioè superiore ad un certo livello estetico siano
brevettabili come modello ornamentale, mentre le forme (distintive) che presentino un ornamento
non speciale non lo siano e possano, perciò, ricevere la tutela contro l’imi-tazione servile.
Infine, la terza fattispecie dell’art. 2598 n. 1 – reprimendo gli altri mezzi con cui si compiano atti con
fusori – rappresenta una norma di chiusura con la quale il legislatore intende escludere la liceità d
qualsiasi atto confusorio15.
Denigrazione e appropriazione di pregi
Il n. 2 dell’art. 2598 disciplina due diverse ipotesi di concorrenza sleale:
13 In particolare, per quanto riguarda il marchio registrato, non si potrà agire in concorrenza sleale quando imarchio non sia stato usato o quando il suo uso sia territorialmente limitato in modo da non creare una sovrap
posizione.14 I brevetti che qui interessa considerare sono quelli per modello ornamentale e quelli per modello di utilità inquanto riguardano essenzialmente la forma del prodotto e cioè proprio l’oggetto della tutela contro l’imitazione servile. Naturalmente il divieto di imitazione decade allo scadere della validità del brevetto (15 anni per imodello ornamentale e 10 anni per il modello di utilità). Questa considerazione però crea un conflitto applicativo con la norma dell’art. 2598 n. 1 in quanto quest’ultima prevede una tutela potenzialmente perpetua contrl’imitazione servile.15 Poiché però – per compiersi – gli atti confusori richiedono l’uso di segni distintivi confondibili, l’applicaziondella norma in esame risulta estremamente rara e concerne di solito ipotesi di appropriazione di segni distintivinusuali, quali ad esempio l’uso di furgoni dello stesso colori del concorrente, l’uso di fotografie di prodotti altrui nel proprio materiale pubblicitario o la copiatura di cataloghi.
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• la denigrazione, che consiste nella diffusione di notizie ed apprezzamenti sui prodotti e sul
l’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito e a procurare, così, un danno
concorrenziale16;
• l’appropriazione di pregi, dove per pregi si intendono non delle entità materiali appartenent
all’impresa aggredita, ma delle qualità dell’impresa stessa o dei suoi prodotti; più precisa
mente costituisce pregio qualsiasi caratteristica dell’impresa o dei suoi prodotti considerata
tale dal mercato17 .
I casi più frequenti di denigrazione si legano al fenomeno della pubblicità comparativa intesa com
quella pubblicità basata sul raffronto fra il prodotto di un soggetto e quello di un suo concorrente. La
L. 25/99 (legge comunitaria per il 1998) delega il Governo ad emanare – entro un anno dalla sua ap
provazione – un decreto legislativo che regolamenti nel nostro paese la pubblicità comparativa. Pri
ma della riforma la comparazione pubblicitaria era inclusa, pur senza alcun riferimento esplicito, nel
le ipotesi di denigrazione del prodotto altrui. La direttiva 97/55, invertendo l’orientamento interno
include la pubblicità comparativa fra i sistemi di comunicazione commerciale ammessi nell’ambito
dell’Unione Europea (naturalmente a precise condizioni).
Anche per la concorrenza sleale, configurata come aspetto dell’illecito aquiliano, si parla di legittima
difesa e cioè si sostiene che l’illiceità del comportamento vietato può essere esclusa se esso sia stato
posto in essere per reagire al comportamento illecito del concorrente18.
Quanto alla legittimazione ad agire per concorrenza sleale, questa riguarda il solo imprenditore che
risulti obiettivamente identificabile come soggetto passivo della denigrazione. Nel caso in cui que
st’ultima riguardi un intero genere di prodotti facenti capo a più imprenditori, la legittimazione sarà
estesa a tutti gli imprenditori della categoria, nonché alle associazioni di categoria, ai sensi dell’art
2601.
Nell’ambito invece dell’appropriazione di pregi , si parla di agganciamento alla notorietà altrui, quan
do chi si propone al pubblico lo fa equiparandosi in modo esplicito ad un concorrente noto o ai suo
prodotti, approfittando, così, del frutto dell’altrui lavoro o investimento.
16 Tale diffusione di notizie non deve essere necessariamente indirizzata ad una pluralità di soggetti ma anchad una cerchia ristretta o ad un singolo soggetto. Fa eccezione l’ipotesi in cui la comunicazione sia fatta non suiniziativa del concorrente ma ad esempio su richiesta del cliente; oppure che la comunicazione sia fatto al soloconcorrente interessato.17 Per esempio nel caso di chi si dichiari – falsamente – concessionario di una celebre marca.18 L’agire in legittima difesa è subordinato a due condizioni: le notizie diffuse devono essere vere; la difesa devessere proporzionata all’esigenza di dare notizia dell’aggressione subita ai soggetti interessati (in genere allaclientela). La difesa deve essere obiettiva, non tendenziosa e moderata.
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Atti contrari alla correttezza professionale
Il n. 3 dell’art. 2598 – in considerazione della rarità di fattispecie inedite da classificare – funge da
“contenitore” di fattispecie tipizzate, già individuate prima dell’entrata in vigore del codice, che ven
gono ricondotte alla norma in esame per trovare una loro collocazione.
Fra le fattispecie di concorrenza sleale qui riconducibili, il mendacio concorrenziale (messaggi ingan
nevoli) è senza dubbio una delle più importanti. Oltre all’ipotesi della pubblicità menzognera, l’illicei
tà si estende a qualsiasi comunicazione rivolta ai potenziali consumatori o fruitori di determinati pro
dotti o servizi, che non corrisponda a verità e che sia idonea ad ingannare i suoi destinatari provo
cando, così, un danno concorrenziale.
Altra fattispecie rilevante è quella che riguarda le manovre sui prezzi. In generale non si potrebbe
negare la liceità dei ribassi di prezzo senza negare il concetto stesso di libera concorrenza. Tuttavia
certe vendite sottocosto possono essere considerate illecite quando vengano poste in essere con fin
monopolistici e con continuità temporale.
La violazione di certe norme di diritto pubblico attinenti al mondo dell’impresa possono integrare
varie fattispecie di concorrenza sleale. Ad esempio la violazione di norme che impongono limiti all’e
sercizio dell’attività, di norme che impongono costi (se si collegano ad un atto di concorrenza), d
norme che impongono oneri o addirittura di quelle norme legate alla corruzione e reati analoghi.
Lo storno dei dipendenti, consistente nel sottrarre i dipendenti ad un concorrente istigandoli a di
mettersi per poi assumerli, è considerato illecito se attuato con l’intento di disgregare o disorganizza
re l’azienda del concorrente, se attuato, cioè con animus nocendi . A questa ipotesi è anche spesso le
gata quella relativa alla sottrazione di segreti aziendali.
Altre fattispecie riguardano infine la concorrenza dell’ex dipendente, la concorrenza parassitaria
l’induzione all’inadempimento, il boicottaggio19 e la concorrenza via internet.
19 Per boicottaggio si intende il comportamento di chi, attraverso il rifiuto proprio o di altri soggetti di stipulare ed intrattenere rapporti con un determinato terzo, impedisca a quest’ultimo di accedere o di permanere sul mercato . Si distingue fra:
• boicottaggio primario, quando uno o più soggetti decidono di non contrattare con il terzo: con l’entratin vigore della legge antitrust italiana, tale comportamento è illecito se lo è sotto il profilo antitrust;
• boicottaggio secondario, quando uno o più soggetti (promotori), esercitando pressioni economiche o daltro tipo, obbligano altri soggetti (esecutori) a non intrattenere rapporti con un concorrente dei prim(boicottato).
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Tutela cautelare e sanzioni
La lunga durata del giudizio di concorrenza sleale e la gravità dei danni, che nel frattempo l’imprendi
tore può subire, legittimano il ricorso alle misure cautelari di cui all’art. 700 c.p.c.. In forza di tale nor
ma, il richiedente può ottenere:
• l’inibitoria provvisoria del comportamento scorretto altrui;
• il sequestro dei beni prodotti o commercializzati in modo illecito.
Per ottenere la tutela cautelare occorre fornire una prova sommaria della bontà della pretesa e de
pericolo che deriverebbe dalla non concessione della misura. Con la sentenza che accerta il compi
mento di uno o più atti di concorrenza sleale, il giudice può applicare, su richiesta di parte, le sanzio
ni previste dagli artt. 2599 e 2600 che sono:
• l’inibitoria, che consiste nel divieto di continuare l’attività o di ripetere l’atto dichiarato illeci
to;
• l’emanazione di opportuni provvedimenti per la rimozione degli effetti dell’illecito , come, a
esempio, l’ordine di ritiro dal commercio dei beni realizzati con l’attività illecita;
• la pubblicazione della sentenza;
• il risarcimento del danno, sempre che ricorrano il dolo o la colpa del convenuto e la prova de
danno effettivamente sofferto.
LE INVENZIONI INDUSTRIALI
LE INVENZIONI INDUSTRIALI E IL BREVETTO
Le creazioni intellettuali e le opere dell’ingegno
Le creazioni intellettuali sono idee creative nel campo della cultura e della tecnica, tutelate nel no
stro ordinamento come espressione originale della personalità umana. Non essendo cose corporali
sono definite dalla dottrina come beni immateriali . Le creazioni intellettuali si distinguono in du
grandi categorie:
• opere dell’ingegno: sono quelle idee di carattere creativo che appartengono al campo delle
scienze, della letteratura, della musica, delle arti figurative, dell’architettura, del teatro e de
cinema (art. 2575). Il diritto d’autore (sia morale che patrimoniale) nasce per il fatto stesso
della creazione dell’opera, a prescindere dal suo valore intrinseco, dalla sua utilità pratica e
dalla sua novità, purché ne sia originale la forma rappresentativa;
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• invenzioni industriali: definibili come soluzioni concrete, nel campo della produzione econo
mica, di un problema tecnico, per effetto di una creazione della mente umana, eccedente le
normali conoscenze, in applicazione della tecnica contemporanea20.
Sull’invenzione industriale, intesa quale bene immateriale, sono riconosciuti al suo autore:
• diritti morali: il c.d. diritto di paternità che consiste nel diritto ad essere riconosciuto autore
dell’invenzione per il solo fatto di averla creata. E’ un diritto imprescrittibile, irrinunciabile, in
trasmissibile;
• diritti patrimoniali: consistenti nel diritto al brevetto – ovvero il diritto di pretendere dall’au
torità il rilascio del brevetto qualora ne ricorrano i presupposti – e il diritto di brevetto – ossi
il diritto esclusivo all’utilizzazione economica dell’oggetto brevettato nei limiti e alle condizio
ni stabiliti dalla legge.
IL BREVETTO
Il brevetto può essere definito come l’attestato amministrativo con il quale si attribuisce all’invento
re il diritto esclusivo di godere, per un tempo determinato, dei risultati di una nuova invenzione . In a
ternativa si può definire il brevetto come una sorta di contratto fra l’inventore e la collettività: l’in
ventore fornisce un insegnamento che la collettività non possiede ed in cambio riceve l’attribuzione
di un diritto esclusivo di uso, limitato nel tempo. Oggetto del brevetto sono soltanto le invenzion
tecnologiche; restano scoperte – perciò – le innovazioni di tipo commerciale.
Il sistema brevettuale italiano è regolato dal codice civile agli artt. 2584-2594 e dalla legge speciale
R.D. 1127/39 e successive modifiche21.
Quanto alla natura giuridica del brevetto la dottrina non è unanime:
• alcuni ravvisano in esso un diritto di proprietà su un bene immateriale;
• per altri configurerebbe un obbligo di non fare, posto a carico di terzi e, più precisamente
come un divieto di concorrenza ai danni dell’inventore.
Al sistema brevettuale si riconosce la funzione fondamentale di incentivo al progresso tecnico e alla
diffusione delle innovazioni tecnologiche. A ben vedere, infatti, alla base del brevetto c’è una logica
di rivelazione, di trasparenza della struttura dell’invenzione: la descrizione dettagliata dell’invenzio
20 Al concetto di invenzione industriale, la legge riconduce anche i c.d. modelli di utilità e modelli e disegni ornamentali.21 Una riforma sostanziale di tale legge è stata effettuata con D.P.R. 338/79 di adeguamento alle importanti convenzioni internazionali degli anni ’70. Recentemente è intervenuto il D.Lgs. 198/96 per adeguare la normativitaliana agli accordi internazionali di Marrakech (denominati Trip’s).
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ne, allegata alla domanda di rilascio del brevetto, consente, alla scadenza del termine fissato dalla
legge, la sua acquisizione stabile al patrimonio collettivo.
LE INVENZIONI BREVETTABILI E I LORO REQUISITI
La definizione tradizionale di invenzione brevettabile è quella di soluzione originale di un problema
tecnico: l’invenzione si colloca quindi nel mondo della tecnica, visto in contrapposizione a quello della scienza22.
I requisiti di brevettabilità dell’invenzione sono tradizionalmente quattro:
• l’industrialità, cioè l’attitudine dell’invenzione ad avere un’applicazione industriale;
• la novità (o novità estrinseca), che ricorre quando l’invenzione non è compresa nello stato
della tecnica;
• l’originalità (o novità intrinseca), che ha la funzione di selezionale, tra tutto ciò che è nuovo
ciò che si differenzia in maniera qualificata dallo stato della tecnica;
• la liceità, non potendo essere brevettata l’invenzione contraria all’ordine pubblico e al buon
costume.
Quanto alle varie tipologie di invenzioni possiamo distinguere fra:
• invenzioni di prodotto e invenzioni di procedimento;
• invenzioni derivate da altre precedenti invenzioni:
o invenzioni di perfezionamento;
o invenzioni di combinazione;
o invenzioni di traslazione23.
Il procedimento di brevettazione
Il diritto esclusivo di utilizzare l’invenzione nasce con il rilascio del brevetto che è l’ atto di accerta
mento costitutivo della P.A. con cui si conclude una procedura che si articola in varie fasi:
1. il deposito della domanda di brevetto presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi o presso l’UPI
CA;
2. l’esame della domanda24;
22 Non sono infatti brevettabili, ad esempio, le scoperte, le teorie scientifiche, i metodi matematici, i metodi peattività intellettuali.23 Le invenzioni di traslazione sono quelle che si applicano ad un settore diverso rispetto ad invenzioni note inaltro settore, traendone un risultato nuovo ed originale.24 Tuttavia l’autorità deve soltanto accertare la regolarità formale della domanda, la ricorrenza del requisito dela industrialità e della liceità. Il controllo degli altri requisiti è dunque devoluto, come fatto puramente eventuale e successivo al rilascio del brevetto, alla cognizione del giudice ordinario.
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3. la decisione da parte dell’autorità.
Il giudizio di nullità
La concessione del brevetto non pregiudica l’esercizio delle azioni giudiziarie circa la validità del bre
vetto; essa serve solo a spostare l’onere della prova della mancanza dei requisiti per la brevettabilità
dell’invenzione a carico di chi intende impugnarne la validità25
. Ai sensi dell’art. 59 della legge subrevetto, quest’ultimo è nullo:
• se l’invenzione manca del carattere della novità o industrialità;
• se la descrizione allegata alla domanda non comprende tutte le indicazioni necessarie a per
sona esperta per mettere in pratica l’invenzione;
• se l’oggetto del brevetto si estende oltre il contenuto della domanda;
• se il titolare del brevetto non aveva diritto di ottenerlo e l’inventore non abbia fatto valere
suoi diritti.
La sentenza che accerta la nullità del brevetto è oggetto di pubblicità ed ha efficacia retroattiva ferm
restando gli atti già compiuti di esecuzione di sentenze di contraffazione passate in giudicato e i con
tratti già eseguiti aventi ad oggetto l’inven-zione (salvo eventuale rimborso stabilito dal giudice).
LA TITOLARITÀ DEI DIRITTI NASCENTI DALL’INVENZIONE
Il diritto di rilascio del brevetto spetta a chiunque abbia posto in essere l’attività inventiva che ha
dato luogo alla nuova invenzione. Le eventuali controversie circa la titolarità del diritto sono di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria.
In particolare, nel caso in cui con sentenza passata in giudicato, si accerti che il diritto al brevetto
spetti ad una persona diversa da chi abbia depositato la domanda, l’art. 27bis L.brev. prevede due
ipotesi:
• quella in cui la procedura di brevettazione si sia già conclusa con il rilascio del brevetto a favo
re del non avente diritto. In tal caso il vero titolare potrà:
o far valere la nullità del brevetto rilasciato al non avente diritto;
o rivendicare il brevetto;
25 La possibilità di transigere sulla questione di nullità o di rimettere la cognizione ad un giudice arbitrale è oggetto di dibattito: per alcuni ciò non sarebbe ammissibile in quanto l’oggetto è di diritto pubblico; per la dottrna prevalente e per la giurisprudenza tale possibilità è invece ammissibile e trova giustificazione nel fatto dellconoscibilità della questione di nullità da parte del giudice anche per via incidentale.
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• quella in cui la procedura di brevettazione sia ancora pendente. Il vero titolare ha tre mesi d
tempo per:
o assumere a proprio nome la procedura di brevetto;
o ottenere il rigetto della domanda di brevetto;
o depositare a proprio nome una nuova domanda di brevetto, il cui contenuto non ec
ceda quello della prima domanda, con decorrenza dalla data di deposito della doman
da iniziale, che cessa così di avere effetto.
L’invenzione di gruppo
Si parla di invenzione di gruppo quando l’invenzione è realizzata da più autori che lavorano insieme
sulla base di un progetto unitario. La disciplina di tale ipotesi segue, salvo patto contrario, quella del
la comunione.
Nel caso in esame, la legittimazione alla domanda di brevetto spetta alla decisione della maggioranza
così come la successiva gestione.
L’invenzione del prestatore di lavoro
Il linea generale, la disciplina che riguarda tale ipotesi (artt. 2590 c.c. e 23 L.brev.) stabilisce che men
tre il diritto morale alla paternità dell’opera resta all’inventore, il diritto patrimoniale al rilascio de
brevetto e alla sua utilizzazione spetta al datore di lavoro. La logica sottesa a tale disciplina, infatti, è
che l’invenzione spetti non a chi l’ha realizzata ma a colui che ha promosso, organizzato e finanziatol’attività della ricerca. Tuttavia possono presentarsi tre diverse fattispecie con altrettante diverse so
luzioni (artt. 23 e 24 L.brev.):
• invenzione di servizio, quando l’attività inventiva è l’oggetto della prestazione lavorativa per
la quale è prevista una precisa remunerazione : in tal caso il diritto al rilascio del brevetto
spetta originariamente ed automaticamente al datore di lavoro;
• invenzione d’azienda, quando è realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro dove tuttavia
non è prevista un compenso per l’attività inventiva né quest’ultima rientra nell’oggetto della
prestazione lavorativa: il brevetto spetta sempre al datore di lavoro ma l’inventore ha diritto
ad un equo premio;
• invenzione occasionale, quando l’invenzione, pur rientrando nel campo dell’attività dell’a
zienda, non ha alcun nesso oggettivo con le mansioni del dipendente : in questo caso il diritto
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al brevetto spetta al dipendente ma il datore di lavoro ha un diritto di prelazione per l’acqui
sto del brevetto.
I contratti di ricerca
I contratti di ricerca sono contratti mediante i quali un soggetto (committente) affida, dietro com
penso, lo svolgimento dell’attività inventiva a lavoratori autonomi o a gruppi organizzati di ricercatori26. Si distinguono:
• contratti di ricerca a committente privato: in tali contratti il diritto al rilascio del brevetto è
in linea di massima, attribuito al committente;
• contratti di ricerca a committente pubblico: anche in tale ipotesi il diritto al brevetto spetta
al committente. Tuttavia è da notare che quando il soggetto pubblico opera come puro finan
ziatore le invenzioni risultano spesso sotto-utilizzate.
IL CONTENUTO DEL BREVETTO ED I SUOI LIMITI
Il diritto di esclusiva sull’invenzione attributo dal brevetto ha una durata limitata a venti anni (salvi
termini diversi previsti dalle normative brevettali speciali) a decorrere dalla data di deposito della do
manda di brevetto. Quanto al limite spaziale ha efficacia solo nell’ambito dello Stato che lo ha rila
sciato.
L’art. 4 L.brev. prevede che l’inventore possa utilizzare l’invenzione, e quindi lanciare il prodotto su
mercato, già a partire dalla data di deposito della domanda di brevetto27
.L’esclusività attribuita dal brevetto al suo titolare, così come risulta dall’art. 1bis della L.brev. concer
ne:
• la realizzazione del prodotto o del procedimento;
• la sua utilizzazione;
• la sua commerciabilità28;
• il divieto di importare lo stesso prodotto o il prodotto frutto del procedimento brevettato.
L’ambito dell’esclusiva, così definito, incontra tuttavia qualche limitazione. In particolare sono leciti:
26 Sebbene il legislatore abbia iniziato a dettare per essi alcune norme, sono tuttora contratti atipici.27 Questo non è possibile per i brevetti farmaceutici. La legge infatti richiede un periodo di accertamenti e sperimentazioni del farmaco prima della messa in commercio. Per evitare che la durata della protezione brevettualrisulti in tal modo erosa, la L. 349/91 ha previsto un certificato complementare che prolunga la protezione brevettuale oltre la sua scadenza naturale per una durata pari al periodo intercorso fra la data di deposito della domanda e la data del decreto di autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco.28 L’esclusiva del commercio trova un limite nel principio dell’esaurimento, in base al quale il diritto del titolarsi esaurisce una volta che il prodotto sia stato posto in vendita.
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• gli atti compiuti in ambito privato e a fini non commerciali;
• gli atti compiuti in via sperimentale;
• la preparazione estemporanea e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica;
La contraffazione del brevetto
Salve le ipotesi sopra analizzate, ogni uso dell’invenzione altrui, non autorizzato dal titolare del brevetto, costituisce contraffazione. Si distinguono vari casi di contraffazione:
• contraffazione integrale, quando l’invenzione altrui è interamente imitata;
• contraffazione non integrale, quando l’imitazione non è integrale ma tocca comunque l’am
bito coperto dalla privativa altrui29;
• contraffazione per equivalenti, quando pur non essendo identici neanche gli elementi essen
ziali delle due realizzazioni, tuttavia l’idea inventiva, che è alla base dell’invenzione brevetta
ta, è presente anche nella realizzazione altrui;
• contraffazione evolutiva, quando la soluzione adottata dal terzo, pur presentando la stessa
idea inventiva di una precedente soluzione brevettata, la modifichi, migliorandola, adattan
dola, perfezionandola;
• contraffazione indiretta, che si sostanzia principalmente in due ipotesi:
o produzioni e messa in vendita di parti staccate o di pezzi di ricambio;
o invenzioni di nuovo uso di un prodotto nuovo.
Quanto all’estensione del brevetto, occorre distinguere tra il brevetto di prodotto – che ha estensio
ne limitata all’uso descritto e rivendicato e agli usi ad esso equivalenti30 - e il brevetto di procedimen
to – che conferisce al titolare una posizione di esclusività in ordine a quel determinato metodo o pro
cesso oggetto di brevetto.
IL GIUDIZIO DI CONTRAFFAZIONE
Il titolare del brevetto31 è legittimato ad agire in giudizio contro il terzo che – senza autorizzazione –
fa uso dell’invenzione brevettata, mediante l’azione di contraffazione. Il giudizio di contraffazione è
affidato all’autorità giudiziaria ordinaria e si svolge davanti al giudice territorialmente competente a
29 L’estensione del brevetto è determinata dalle rivendicazioni, ma le rivendicazioni sono, a loro volta, interpretate alla luce dell’intero fascicolo brevettuale.30 Non risulta infatti accettabile – per varie incompatibilità – la teoria dell’estensione assoluta.31 Sono legittimati all’azione anche il licenziatario e l’usufruttuario.
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sensi degli artt. 75 e 76 L.brev.32. L’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare del brevet
to.
Per evitare che la possibile lunghezza del giudizio di contraffazione torni a danno del titolare del bre
vetto, gli artt. 81, 82 e 83 L.brev. prevedono a favore di questi – prima ancora dell’instaurazione de
giudizio – alcune misure cautelari33:
• la descrizione, che ha la funzione di precostituire la prova della contraffazione;
• il sequestro, che ha la funzione di evitare la circolazione del prodotto contraffatto, affidando
ne la custodia ad un soggetto che non può disporne senza ordine del giudice;
• l’inibitoria, che è l’ordine con cui il giudice proibisce al contraffattore la prosecuzione o la ri
presa dell’attività di fabbricazione, di commercializzazione e di uso dei prodotti coperti da
brevetto altrui.
Descrizione e sequestro perdono efficacia qualora non siano seguiti dall’instaura-zione del giudizio d
merito entro trenta giorni. Quanto all’inibitoria, può essere concessa sia ante causam, con domand
da proporre al giudice competente a conoscere la causa nel merito, sia in corso di causa, con compe
tenza del giudice istruttore.
Con la sentenza che accerta la contraffazione, il giudice può disporre – a carico del soccombente – le
seguenti sanzioni:
• l’inibitoria, consiste nell’ordine al contraffattore di cessare e non riprendere l’attività illecita;
• la rimozione, distruzione o assegnazione in proprietà dei prodotti brevettati o dei mezzi usa
ti per la contraffazione34;
• il risarcimento del danno35;
• la pubblicazione della sentenza;
• la condanna in futuro, che consiste nella liquidazione di una somma che il contraffattore do
vrà versare nell’ipotesi di mancata cessazione o successiva ripresa dell’attività illecita.
32 L’art. 76, in particolare, prevede la c.d. moltiplicazione dei fori alternativi: consente all’attore di scegliere iforo del luogo in cui sono stati compiuti i fatti lesivi della sua privativa.33 Tali misure sono oggi fruibili anche da parte del titolare della domanda di brevetto grazie al D.P.R. 338/79.34 Anche tali sanzioni prescindono dall’esistenza del dolo o della colpa del contraffattore.35 Per ottenere la condanna del soccombente al risarcimento del danno è necessaria la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c.: la colpa dell’autore dell’illecito e il danno. Per quanto riguarda la colpa, la giurisprudenza ritiene che la pubblicità legale del sistema brevettuale crei una presunzione di colpa in capo al contraffattore. Per quanto riguarda il danno, in linea di principio il danno risarcibile coincide con il mancato utile nettoche il titolare del brevetto ha subito per la contraffazione.
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LA TRASFERIBILITÀ E L’ESTINZIONE DEL BREVETTO
Come abbiamo già avuto modo di vedere, i diritti patrimoniali nascenti dalle invenzioni industrial
sono trasferibili. In particolare, per quanto concerne i diritti di brevetto, gli atti traslativi inter vivo
sono riconducibili ai modelli della:
• cessione, quando il titolare del brevetto si spoglia della titolarità dell’attes-tato a favore di un
altro soggetto mediante un qualsiasi contratto capace di produrre effetti traslativi (vendita
permuta, donazione ecc.);
• licenza, che è il contratto con il quale il titolare del brevetto ( licenziante), pur conservando
tale titolarità, concede ad un terzo ( licenziatario), dietro corrispettivo, il diritto di utilizzare
l’invenzione brevettata;
La licenza è – in assenza di prescrizioni legislative – un contratto atipico il cui contenuto è quindi ri
messo all’autonomia delle parti36. A carico del licenziatario, il contratto prevede l’obbligo di pagare i
corrispettivo che può essere fissato in una somma a forfait oppure in pagamenti periodici (royalties)
La durata della licenza è fissata dalle parti e coincide solitamente con la durata del brevetto. Infine
poiché i contratti di licenza possono costituire intese restrittive della libertà di concorrenza, devono
essere valutati alla luce della normativa antitrust37.
La licenza obbligatoria e altri casi di circolazione coattiva
La legge contempla le ipotesi di licenza obbligatoria38 nei casi di:
• mancanza o insufficiente attuazione dell’invenzione: l’art. 54 L.brev. legittima il rilascio dell
licenza obbligatoria qualora, per cause dipendenti dalla volontà del titolare del brevetto, l’at
tuazione dell’invenzione, per oltre un triennio, manchi o risulti insufficiente ai bisogni de
paese39;
36 Una delle clausole più rilevanti in esso contenute, è la clausola di esclusiva con la quale il licenziante si privdel potere di attuare egli stesso l’invenzione e di concedere altre licenze a terzi.37 Una nota a parte merita la c.d. licenza di pieno diritto. L’art. 50 L.brev. concede infatti al richiedente o al tito
lare del brevetto la possibilità di offrire al pubblico – con dichiarazione resa nella stessa domanda oppure concomunicazione successiva all’ufficio dei brevetti – una licenza per l’uso non esclusivo dell’invenzione. Tale offerta, che si perfeziona con la notifica al titolare dell’accettazione di eventuali interessati, comporta la riduzionalla metà delle tasse annuali di brevetto.38 Con la licenza obbligatoria l’ordinamento impone al titolare del brevetto il rilascio della licenza a terzi. Laprocedura amministrativa di rilascio si svolge quasi interamente presso l’Ufficio Italiano Brevetti e si concludcon un decreto del Ministero dell’industria, il commercio e l’artigianato. La licenza obbligatoria può essere concessa soltanto dietro corresponsione da parte del licenziatario, a favore del titolare del brevetto, di equo compenso. Ha una durata massima pari alla durata del brevetto e è sempre non esclusiva e a titolo oneroso.39 E’ considerata attuazione dell’invenzione anche l’introduzione o la vendita di oggetti prodotti in paesi membri della C.E. o della O.M.C.
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• invenzioni dipendenti: il diritto ad ottenere la licenza obbligatoria sussiste, però, solo quando
la seconda invenzione costituisce, rispetto alla precedente, un importante progresso tecnico
di rilevanza economica.
La legge prevede inoltre una generale possibilità di espropriazione del brevetto nell’interesse della
difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità.
L’estinzione del diritto di brevetto
I diritti patrimoniali nascenti dall’invenzione si estinguono:
• con la scadenza del termine stabilito dalla legge per le singole categorie di invenzioni;
• con la dichiarazione di nullità del brevetto;
• con la rinuncia del titolare;
• con il verificarsi di determinate cause di decadenza:
o la mancata o insufficiente attuazione dell’invenzione protratta per un biennio oltre la
concessione della licenza obbligatoria;
o il mancato pagamento della tassa annuale di brevetto;
o lo scavalcamento per priorità previsto dalla Convenzione di Unione di Parigi40.
I BREVETTI SPECIALI
Il nostro ordinamento prevede alcuni brevetti speciali la cui disciplina si discosta in modo più o meno
evidente a secondo della natura dell’oggetto della tutela.
Il brevetto chimico
Le invenzioni farmaceutiche sono brevettabili come qualsiasi altra invenzione sulla base della norma
tiva comune. Un primo problema attiene alla validità della domanda di brevetto per formule genera
(con cui il richiedente vorrebbe precostituirsi una riserva su tutti i composti riconducibili alla formul
generale) e ai suoi rapporti con le invenzioni di selezione (cioè di quelle invenzioni che hanno per og
getto un composto nuovo seppur riconducibile ad una molecola nota). La soluzione del problemasembra essere l’individuazione dell’attività inventiva di selezione nell’ambito della formula generale:
• in caso di invenzione, l’autore della selezione ha diritto ad un brevetto nuovo ed autonomo
dal precedente;
40 Secondo tale regola, il brevetto perde i suoi effetti a seguito del deposito in Italia di una domanda di brevettoper la stessa invenzione, da parte di chi ha depositato, nell’anno precedente, una domanda di brevetto (per lastessa invenzione) in un altro Stato aderente alla Convenzione di Unione.
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• in caso contrario, il composto sarà ricompreso nell’ambito di estensione del brevetto per la
formula generale.
Per quanto attiene ai requisiti di brevettabilità del farmaco, occorre rilevare che quello dell’originali
tà non va riferito alla struttura del composto ma alla funzione di esso che l’invenzione ha individuato
In altre parole, ciò che deve apparire come non evidente al tecnico medio del settore è la funzion
del prodotto e non la sua struttura.
Infine è da notare come – a differenza della meccanica – la traslazione sia un fenomeno piuttosto co
mune nella chimica. Quindi, la presunzione di equivalenza del nuovo uso del prodotto agli usi già not
dello stesso ritenuta dalla giurisprudenza nell’ambito della meccanica, in chimica non ha ragion d’es
sere: sarà perciò il titolare del primo brevetto sul prodotto a dover dimostrare l’assenza di originalità
del brevetto sul nuovo uso.
Il brevetto nel campo delle biotecnologie
Nonostante sia palese che il settore delle biotecnologie richieda una autonoma disciplina brevettua
le, il nostro ordinamento – ad eccezione delle nuove varietà vegetali – è privo di norme ad hoc: ci
comporta, quanto meno, l’esigenza di alcuni ritocchi alla disciplina comune. In particolare, l’impossi
bilità tecnica di pervenire ad una descrizione dell’invenzione avente ad oggetto nuove entità micro
biologiche ha portato alla creazione di sistemi di culture del microrganismo presso centri di raccolta
specializzata, attribuendo al deposito un effetto equivalente alla descrizione.
Il brevetto per le nuove varietà vegetali
A seguito dell’adesione dell’Italia alla Convenzione di Parigi del 1961, è stato emanato il D.P.R
974/75 contenente norme per la protezione delle nuove varietà vegetali. Tale normativa prevede
una protezione limitata unicamente ai nuovi prodotti e non anche ai procedimenti per la loro produ
zione (che perciò restano affidati alla disciplina generale). Per essere brevettabile, la nuova varietà
vegetale deve presentare i seguenti requisiti:
• la novità;• l’originalità, che ricorre quando la nuova varietà si distingue per uno o più caratteri impor
tanti da ogni altra varietà nota;
• l’omogeneità e la stabilità che richiedono, rispettivamente, che i caratteri essenziali della
nuova varietà siano sufficientemente simili in un unico ciclo produttivo e rimangano tali ne
secoli successivi.
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La durata del brevetto su una nuova varietà vegetale è di quindici anni ma si estende a trenta ne
caso di piante a fusto legnoso.
La registrazione delle topografie di semiconduttori
In ottemperanza alla direttiva C.E.E. 54/87, l’Italia ha varato la L. 70/89 la quale dispone una discipli
na di protezione per le topografie di semiconduttori. Sebbene la legge parli di registrazione, si trattdi una disciplina brevettuale.
Il diritto di esclusiva comprende il diritto di riproduzione ed il diritto di sfruttamento dell’opera. Esso
ha durata decennale ed il suo riconoscimento sembra subordinato all’esame preventivo del trovato
Quanto ai requisiti per la brevettabilità, non è distruttiva della novità la predivulgazione avvenuta ne
due anni precedenti il deposito della domanda.
L’INVENZIONE NON BREVETTATA E LA SUA TUTELA
Nell’ordinamento italiano, l’invenzione non brevettata è protetta mediante le regole di tutela del se
greto industriale. Il segreto delinea una protezione di mero fatto e di tipo obbligatorio. Precisamen
te, la protezione dell’invenzione non brevettata si sostanzia nella previsione di un obbligo legale d
segretezza a carico dei collaboratori dell’inventore41, e nel riconoscimento della validità dei contratt
di know-how42, accompagnati dall’obbligo di segretezza posto a carico dell’acquirente.
Il diritto di preuso
L’art. 6 L.brev. crea – a favore di chi abbia utilizzato un’invenzione non brevettata nel corso dell’anno
anteriore al deposito di un’altrui domanda di brevetto – il diritto di prosecuzione di tale utilizzazione
(diritto di preuso). Deve comunque trattarsi di effettiva attuazione e tale diritto di preuso non è co
munque opponibile a terzi. Il preutente, infatti, non vanta un diritto di esclusiva nei confronti de
successivo registrante, né può agire con l’azione di contraffazione, ma è semplicemente immune dal
l’azione di contraffazione del titolare del brevetto.
41 Tale obbligo deriva dal generale obbligo di fedeltà posto dall’art. 2105 c.c. a carico dei collaboratori subordinati. La regola è comunque applicabile, per analogia, anche ai collaboratori autonomi. La sanzione è di tipo risarcitorio.42 Tale contratto, atipico, è definito dalla dottrina come il contratto con cui un imprenditore (concedente), dietrcompenso, mette in condizione un altro imprenditore (concessionario) di conoscere ed utilizzare, nel processoproduttivo o distributivo, le proprie tecniche o i propri ritrovati non brevettati (o non brevettabili) ma copertda segreto.
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LA TUTELA INTERNAZIONALE DEL BREVETTO
Le normative brevettuali nazionali sono tutte incentrate sul principio della territorialità. Di conse
guenza, l’inventore che voglia sfruttare l’invenzione un mercato plurinazionale dovrà chiedere ed ot
tenere il brevetto in più Stati (brevetti paralleli ) e ciascun brevetto sarà soggetto alla sua disciplina
nazionale. Tale situazione crea consistenti costi e problemi di gestione per risolvere i quali si sono
succedute nel tempo varie convenzioni internazionali.
La convenzione di unione di Parigi
Alla convenzione di unione di Parigi, firmata il 20 marzo 1883 aderiscono 107 Stati tra cui l’Italia. I
testo della convenzione fissa una serie di principi per agevolare i depositi plurimi di domande di bre
vetto:
• il principio del trattamento nazionale, secondo il quale ogni Stato accorda ai cittadini deg
altri stati convenzionati la stessa tutela che garantisce per i propri;
• il principio dell’assimilazione, che assimila ai cittadini dei paesi convenzionati anche quell
che non lo sono ma che siano domiciliati o siano titolari di un’azienda in uno degli stati unio
nisti;
• il principio della proprietà unionista, per il quale un cittadino può presentare più domande in
più Stati per la stessa invenzione entro un anno e goderne gli effetti dalla data della prima do
manda.
La convenzione di Monaco sul brevetto europeo
Alla convenzione sul brevetto europeo, sottoscritta a Monaco nel 1973, aderiscono 18 Stati tra cui l’I
talia. Obiettivo ed effetto della convenzione è quello di risolvere il problema dei depositi plurimi me
diante l’adozione di un’unica procedura di rilascio del brevetto: infatti, dalla presentazione di un’uni
ca domanda presso l’Ufficio Nazionale Brevetti, che provvederà a trasmetterla all’Ufficio Europeo de
Brevetti, ovvero direttamente presso quest’ultimo ufficio, nelle sedi di L’Aja o di Monaco, può scatu
rire la concessione di un attestato corrispondente a tanti brevetti nazionali per quanti sono gli Stat
contraenti designati nella domanda. Una volta ottenuto il brevetto europeo residua in capo al richie
dente l’onere della traduzione nella lingua madre di ogni Paese in cui si è chiesto l’efficacia del bre
vetto.
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Trattato di cooperazione in materia di brevetti
Il trattato di cooperazione in materia di brevetti, stipulato a Washington nel 1970, impegna 89 Stat
fra cui l’Italia. Si pone come obiettivo principale quello di agevolare sia i c.d. depositi plurimi, sia l’e
same preventivo dei vari Uffici nazionali. In forza di questo accordo, infatti, è facoltà del cittadino
presentare un’unica domanda internazionale che avrà l’effetto di tante domande nazionali per quan
ti sono gli Stati designati nella domanda stessa.
IL BREVETTO NEL DIRITTO COMUNITARIO
Il principio di territorialità, proprio di ogni sistema brevettuale nazionale, si pone in contrasto con
l'ordinamento comunitario, contrario ad ogni frontiera che ostacoli la libera circolazione di beni e
servizi. I redattori del trattato di Roma hanno affidato la soluzione di tale conflitto all'articolo 30. In
un primo tempo, l'articolo 30 è stato interpretato affermando l'esistenza di una sorta di intangibilità
da parte dell'ordinamento comunitario, dei diritti nazionali di proprietà industriale. Successivamente
però, è emersa la linea opposta. Si è affermato, infatti, che la comunità, pur dovendo rispettare
contenuti dei diritti nazionali, deve, però, controllarne le modalità di esercizio. In questa prospettiva
vengono in rilievo il principio di esaurimento comunitario del diritto di brevetto, il problema delle li
cenze di brevetto e di know-how, e la convenzione di Lussemburgo sul brevetto comunitario.
Il principio di esaurimento comunitario del diritto di brevetti
Secondo tale principio, il titolare del brevetto non può avvalersi del suo diritto esclusivo per opporsalla circolazione interna comunitaria del prodotto brevettato qualora questo sia stato messo in com
mercio, in altro stato membro dell’U.E., dallo stesso titolare o, con il suo consenso, da soggetti a lu
legati da rapporti giuridici o economici.
Le licenze di brevetto in diritto comunitario
La Commissione e la Corte di Giustizia della Comunità Europea hanno avuto più volte l’occasione d
sindacare la liceità delle clausole restrittive della concorrenza spesso contenute nei contratti di licen
za. Con il regolamento 2349/84, sono consentite, fra le altre:
• la clausola di esclusiva;
• il divieto di sub-licenza;
• l'obbligo di rispettare norme di qualità minima;
• l’obbligo di comunicare a licenziati le esperienze acquisite;
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Tra le clausole vietate vanno segnalate:
• la clausola di non contestazione della validità del brevetto;
• la clausola che fissa la durata del contratto per un periodo superiore alla durata del brevetto;
• la clausola di non concorrenza;
• la clausola che impone limiti quantitativi alla produzione;
I contratti di Know-how in diritto comunitario
Anche i contratti di know-how possono dar vita ad intese restrittive della concorrenza o a veri e pro
pri abusi monopolistici. È stato quindi approvato recentemente il regolamento numero 556/89 relati
vo all'applicazione dell'articolo 81 del trattato CEE a categorie di accordo di licenza di know-how
Tale regolamento contempla una lista di clausole consentite ed una lista di clausole vietate.
Sono consentite, tra le altre:
• la clausola di segretezza;
• il divieto di sub licenza;
• il divieto di uso del know-how dopo la scadenza dell'accordo.
Sono invece vietati:
• la clausola di non contestazione della segretezza del know-how;
• la clausola di non concorrenza;
• la clausola di fissazione di prezzi e sconti.
La convenzione di Lussemburgo sul brevetto comunitario
La convenzione sul brevetto comunitario è stata sottoscritta a Lussemburgo nel 1975 e ratificata in
Italia con la legge 302/93. Si tratta di un accordo, riservato ai paesi membri dell'U.E., diretto ad intro
durre un unitario ed autonomo brevetto, valido per l'intero territorio comunitario. Esso fa leva sull'e
sistenza della procedura unificata di rilascio, già creata dalla convenzione sul brevetto europeo, con
la differenza che al termine dell'esame - e quindi all'atto che concedere il brevetto - questo, invece d
essere frazionato in fasce di brevetti nazionali, rimane unico e valido per tutti i paesi dell'unione. La
conseguenza principale è costituita dal fatto che il brevetto comunitario è sottratto così alla giurisdi
zione nazionale. Il testo originale della convenzione sul brevetto comunitario prevede, infatti, un
competenza esclusiva del giudice comunitario alla dichiarazione della nullità del brevetto disponen
do la creazione, a tal fine, di appositi organi giurisdizionali presso gli stati aderenti. Ai tribunali nazio
nali rimane la competenza a decidere il giudizio di contraffazione che, tuttavia, va sospeso se pende
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la procedura di ampliamento del brevetto presso il giudice comunitario competente. Ciò spiega la ri
luttanza dei paesi contraenti a dare il via a questo strumento di politica Industriale.
LA CIRCOLAZIONE INTERNAZIONALE DELLE TECNOLOGIE
La circolazione delle tecnologie sostituisce in molti casi la circolazione dei prodotti. Può accadere, in
fatti, che barriere doganali o costi di produzione rendano antieconomica l’importazione di un certoprodotto in un certo mercato. In tal caso, il mercato può essere penetrato dall'interno, creando in
esso una società che proceda alla realizzazione in loco del prodotto, utilizzando le necessarie tecnolo
gie che saranno fornite, dietro corrispettivo, dalla società madre . Particolari problemi si pongono pe
gli scambi internazionali di tecnologie per paesi di diverso regime politico o di diverso livello indu
striale:
• nei rapporti internazionali, esistono complesse normative di controllo, sia a livello nazionale
sia a livello sovranazionale, riguardanti l'esportazione di tecnologie considerate di interesse
strategico;
• i Paesi in via di sviluppo da tempo lamentano gli effetti negativi dei contratti di trasferimento
delle tecnologie conclusi con i paesi industrializzati. Tali contratti, infatti, prevedendo spesso
cessioni di tecnologie obsolete, corrispettivi squilibrati, clausole restrittive della facoltà de
l'acquirente, non solo non favoriscono lo sviluppo dello stato importatore ma finiscono addi
rittura per avere un effetto frenante.
I BREVETTI PER I MODELLI
Accanto ai brevetti per invenzione, il nostro ordinamento prevede i brevetti per modelli industriali
espressione quest’ultima che comprende due diversi gruppi di creazioni:
• i modelli di utilità che proteggono una innovazione tecnologica, e vengono perciò accostati a
brevetti per invenzione;
• i modelli e disegni ornamentali che proteggono, invece, un’innovazione puramente estetica
avvicinandosi, così, al diritto d’autore.
Il modello di utilità
Il modello di utilità è la forma nuova di un prodotto industriale, idonea a conferire al prodotto stesso
una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego . Non è facile distinguere nettamen
te il modello di utilità dall’invenzione: dottrina e giurisprudenza oscillano tra un criterio quantitativo
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che vede il modello come una invenzione minore, e un criterio qualitativo, per il quale nel modello
manca la soluzione nuova di un problema tecnico, agendo qui l’innovazione solo su aspetti marginal
ed esecutivi di ciò che è già noto43.
Complessi sono i rapporti tra modello di utilità, marchio di forma e divieto di imitazione servile. I
problema che si pone è se le forme utili possano anche essere registrate come marchio o protette
ex. art. 2598, n. 1 c.c.: se ciò fosse possibile, le forme utili riceverebbero una tutela potenzialmente
perpetua ed il limite temporale del brevetto per modello risulterebbe così vanificato. E’ quindi prefe
ribile ritenere che le forme utili non possano accedere al brevetto per marchio o alla tutela ex art
2598 n. 1 neanche se dotate di valore distintivo, qualora esprimano un nuovo concetto innovativo e
siano, perciò, brevettabili come modello.
Il modello ornamentale
Il modello ornamentale è il trovato che conferisce ad un oggetto noto uno speciale ornamento, sia
per la forma, sia per una particolare combinazione di linee e di colori . Il brevetto per modello orna
mentale ha efficacia per quindici anni.
Il modello ornamentale va distinto dall’opera d’arte applicata all’industria. Rilevano, a tal proposito
il criterio della scindibilità tra valore artistico e carattere industriale44 e il criterio della sufficienza
del valore artistico della forma.
IL MARCHIO
I SEGNI DISTINTIVI ED IL MARCHIO
L’impresa deve poter essere facilmente individuata e localizzata. Tale obiettivo riguarda tre divers
aspetti:
• l’individuazione della impresa come tale;
• i prodotti della stessa;
• i locali nei quali si esplica l’attività produttiva.
Sussiste, pertanto, un sistema di segni distintivi quali la ditta, il marchio, l’insegna che la legge tutela
riconoscendo all’imprenditore l’esclusività dell’uso45.
43 L’art. 4 della L.mod. consente, peraltro, il c.d. deposito di domande alternative: chi deposita una domanda dbrevetto per invenzione può depositare anche una domanda di brevetto per modelli di utilità che varrà solo necaso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte.44 Si ha scindibilità quando l’opera può essere apprezzata esteticamente indipendentemente dall’utilità del prodotto.45 Si tratta però di una esclusività in senso merceologico, limitata cioè a quei prodotti o servizi in ordine ai qualil titolare del segno opera: solo in tale ambito, infatti, può crearsi rischio di confusione.
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Il marchio e i suoi requisiti
Il più importante segno distintivo è senza dubbio il marchio inteso come il segno che si appone su
prodotto e ne costituisce la marca. Le funzioni da esso svolte sono essenzialmente tre:
• la funzione distintiva;
• la funzione di indicazione di provenienza;
• la funzione attrattiva.
Come segno distintivo, il marchio deve consistere in un’entità esterna al prodotto o al suo involucro
che si aggiunge al prodotto per indicare la provenienza, ma da esso separabile senza snaturarlo.
marchi, che in quanto strumenti di comunicazione devono essere rappresentabili graficamente46
possono essere:
• denominativi, se costituiti solo da parole;
• figurativi o emblematici, se costituiti solo da figure;
• misti.
Il marchio di forma
Il marchio può essere costituito anche dalla forma del prodotto o dalla confezione dello stesso ad
esclusione delle forme:
• necessarie, quelle cioè imposte dalla natura stessa del prodotto: sono liberamente utilizzabil
• funzionali, necessarie per ottenere un risultato tecnico: sono tutelabili mediante il brevetto
per invenzioni.
• ornamentali, che danno un valore sostanziali al prodotto: sono tutelabili mediante il brevetto
per modelli.
La registrazione delle forme funzionali e ornamentali come marchio permetterebbe di godere di un
diritto di esclusiva praticamente perpetuo (in considerazione della sua rinnovabilità). Pertanto, pe
assicurare uno spazio reale ai marchi di forma, è necessario restringere l’ambito di operatività delle
forme suscettibili di brevettazione come modello.
I REQUISITI DI VALIDITÀ DEL MARCHIO
Per poter costituire oggetto di tutela, il marchio deve presentare determinati requisiti di validità. In
particolare:
46 Il limite della rappresentabilità grafica va però interpretato in modo elastico potendo costituire marchio anche le combinazioni o tonalità cromatiche, i suoni, le forme del prodotto o della sua confezione.
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• la capacità distintiva, che consiste nell’idoneità a identificare i prodotti contrassegnati tra
tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul mercato47;
• la novità, che ricorre quando il marchio non risultava già noto al mercato48;
• la liceità, cioè il non essere contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, come
il non essere già utilizzato o protetto da organismi sovranazionali o nazionali;
• la verità, che definibile in negativo, consiste nel non dover essere idoneo ad ingannare il pub
blico sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti.
L’assenza del requisito della novità del marchio è suscettibile di una sanatoria definita convalida de
marchio prevista dall’art. 48 L.ma. Tale norma prevede l’incontestabilità del marchio da parte del ti
tolare del diritto anteriore ove questi, per cinque anni consecutivi, abbia tollerato, essendone a co
noscenza, l’uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile. La convalida è comunque preclu
sa ove si provi che il marchio posteriore sia stato domandato in malafede 49. Resta da aggiungere che
la convalida non consente al titolare del marchio convalidato di opporsi all’uso del marchio anterio
re50.
47 Non possono fungere da marchio:
• le denominazioni generiche;
• le indicazioni descrittive.Tuttavia è frequente che l’imprenditore, per far presa sul pubblico, adotti come marchio una parola che, pu
non rientrando nelle categorie vietate, abbiano però la capacità di richiamare in qualche modo il prodotto stesso o le sue capacità. La giurisprudenza, con notevole indulgenza, ha ammesso la validità di questo tipo di marchio (c.d. marchio espressivo), purché, però, l’elemento descrittivo in esso contenuto sia accompagnato da elementi di differenziazione costituiti da aggiunte di suffissi o prefissi, distorsioni della parola, particolari combnazioni.Dal punto di vista della tutela, il marchio espressivo è un marchio debole, in quanto lievi varianti saranno sufficienti a escluderne la confondibilità.48 L’art. 16 della legge sul marchio accenna a tale requisito allorché dice che “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i nuovi segni…” ma è il successivo art. 17 che chiarisce in negativo cosdebba intendersi per nuovo. In particolare non sono nuovi:
• i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio;
• i segni identici o simili a quelli già usati da altri in Italia come marchio per prodotti o servizi identici
affini, qualora sussista un rischio di confusione per il pubblico che può anche consistere in un rischio dassociazione tra i due segni;
• i segni identici o simili ad un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale e insegnaadottato da altri nell’ambito di attività imprenditoriali identiche o affini;
• i segni identici o simili ad un marchio già da altri registrato in Italia;
• i segni identici o simili ad un marchio che goda di rinomanza, anche se registrati per prodotti o serviznon affini, qualora ritraggano dalla notorietà del marchio anteriore un indebito vantaggio o arrechinoallo stesso un pregiudizio.
49 Non è invece di ostacolo la malafede sopravvenuta.50 E’ questo un caso ulteriore in cui l’ordinamento consente l’uso contemporaneo di marchi confondibili da parte di imprenditori diversi.
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ACQUISTO DEL DIRITTO
In seguito alle modifiche apportate all’art. 22 L.ma. dal L.Lgs 480/92, qualunque soggetto, anche non
imprenditore, può ottenere una registrazione per marchio d’impresa. Naturalmente, tale libertà in
contra alcuni limiti. In particolare, per quanto concerne l’uso come marchio:
• del ritratto altrui, subordinato al consenso del ritrattato e, dopo la sua morte, al consenso
dei congiunti fino al quarto grado;
• del nome altrui, consentito purché l’uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro
dell’interessato51;
• di segni notori, registrabili solo dall’avente diritto o dietro il consenso di questi52;
• di segni il cui uso violerebbe l’altrui diritto di esclusiva , quali ad esempio il diritto d’autore o
di proprietà industriale.
Nel caso in cui la registrazione sia richiesta ed eventualmente ottenuta da un soggetto non avente di
ritto in base alla normativa appena esaminata, l’art. 25 L.ma. detta un’articolata disciplina a seconda
che il richiedente non legittimato abbia già ottenuto la registrazione oppure sia in attesa perché la
domanda risulti ancora pendente. Nel primo caso (registrazione effettuata), l’avente diritto può:
• ottenere, con sentenza ad efficacia retroattiva, il trasferimento a proprio nome della registra
zione;
• far valere la nullità della registrazione.
Nel secondo caso (registrazione non ancora effettuata) può invece:
• assumere a proprio nome la domanda di registrazione depositata dal non avente diritto;
• ottenere il rigetto della domanda stessa;
• depositare una nuova domanda con effetti risalenti alla data della domanda del non avente
diritto.
Il procedimento di registrazione
Il procedimento di registrazione, volto all’ottenimento dell’attestato di registrazione emesso dall’Uf
ficio Italiano Brevetti e Marchi, si articola nelle seguenti fasi:
51 Inoltre l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi può, anche in questo caso, subordinare la registrazione al consensdell’interessato.52 In questo caso il legislatore tiene conto del valore di suggestione, traducibile in capacità di vendita, che ritienquindi degno di tutela.
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• deposito della domanda, che deve avere ad oggetto un solo marchio (di cui un esemplare
deve esserne allegato) e menzionare i prodotti o servizi che il marchio è destinato a contrad
distinguere;
• esame della domanda da parte dell’Ufficio, limitata alla forma e al requisito della validità. I
controllo della novità è solo eventuale ed affidato alla cognizione del giudice ordinario;
• fase della decisione, che può sfociare in un accoglimento o in un rigetto ricorribile entro 30
giorni alla Commissione dei Ricorsi;
Gli effetti della decisione consistono nel diritto di esclusiva sul marchio per un periodo di dieci ann
rinnovabili alla scadenza anche più volte. Quanto infine all’ambito territoriale, la registrazione s
estende a tutto il territorio nazionale.
LA TUTELA DEL DIRITTO
Il diritto d’uso esclusivo del marchio si sostanzia nella possibilità, riconosciuta al titolare, di vietare a
terzi, salvo il proprio consenso, determinati comportamenti. Il diritto di esclusiva ha natura reale, sic
ché la sua violazione va ravvisata in ogni abusiva riproduzione, indipendentemente da qualsiasi con
notazione soggettiva di buona o mala fede e, quindi, dalla presenza della colpa o del dolo nella parte
che abbia dato luogo all’abuso.
Il rischio di confusione con l’associazione richiede, oltre alla confondibilità tra i segni, anche l’identità
o l’affinità tra i prodotti o i servizi contrassegnati53. Pur in presenza di segni identici, infatti, tale ri
schio non può verificarsi quando i prodotti ai quali sono applicati sono merceologicamente lontanis
simi gli uni dagli altri. È questo il principio della relatività o specialità della tutela del marchio54.
L’identità o somiglianza tra segni
Quando due marchi non sono identici ma soltanto simili, occorre valutare se tra essi vi sia confondi
bilità sulla base di varie considerazioni:
• occorre anzitutto considerare il tipo di consumatore destinatario;
53 Sono considerati affini quei prodotti che possono ragionevolmente far pensare al consumatore di provenirdalla medesima impresa. Quindi la tutela non è limitata alle ipotesi di confondibilità tra prodotti ma è estesanche al caso in cui, pur essendo i prodotti contrassegnati distinguibili tra loro sotto il profilo merceologico, lsituazione concreta è tale da indurre il pubblico a ritenerli provenienti da un’unica fonte.54 Tale principio non si applica ai marchi che godono di rinomanza. I titolari di tali marchi possono vietare aterzi di usare un marchio identico o simile al proprio, anche per prodotti o servizi non affini, quando l’uso desegno senza giustificato motivo consenta di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o rechi pregiudizio agli stessi.
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• si deve poi considerare il fatto che il confronto è spesso fra un marchio e il ricordo dell’altro
marchio non essendo necessariamente entrambi disponibili “uno accanto all’altro” al mo
mento dell’acquisto;
• terzo momento dell’indagine, poi, è il confronto tra i due marchi nel loro aspetto grafico, fo
netico, ideologico.
Il confronto dei due marchi, secondo la giurisprudenza, deve avvenire non in via analitica, ma sinteti
ca ed unitaria. Di diverso avviso è la dottrina, secondo la quale non si può prescindere da una attenta
analisi preventiva in cui il giudice esamina ogni elemento dei due marchi55.
Il contenuto del diritto di esclusiva
Il diritto di esclusiva derivante dalla registrazione del marchio, riguarda:
• l’immissione dei prodotti recanti il marchio;
• l’offerta in commercio o la detenzione a fini commerciali dei prodotti contraddistinti dal se
gno;
• l’importazione o l’esportazione dei prodotti stessi;
• l’utilizzazione del segno nella pubblicità.
Da ciò si deduce che il legislatore vieta soltanto l’uso del marchio altrui in funzione distintiva. Fra gl
usi atipici più frequenti abbiamo quello della funzione descrittiva così denominando le ipotesi previ
ste dall’art. 1bis della L.ma.56.
L’azione di contraffazione
Legittimato attivo nell’azione di contraffazione è, ovviamente, colui che vede leso da terzi il proprio
diritto di esclusiva all’utilizzo di un marchio57.
55 L’ambito di tutela di un marchio contro la confondibilità può essere ampliato mediante i c.d. marchi protetti
vi che sono marchi simili a quello principale registratati proprio al fine di “proteggersi” nei confronti di marchche si presume potrebbero essere introdotti senza formalmente andare incontro ai divieti sopra visti.Inoltre un marchio può essere depositato, pagando correlativamnte più tasse, non solo per il prodotto serviziin relazione al quale si intende effettivamente usarlo, ma anche per prodotti o servizi diversi. In analogia a
marchi protettivi, si parla, a tal proposito, di liste di difesa o di protezione, in quanto si viene così ad ampliarla sfera di protezione del marchio stesso.56 In particolare è lecito che un terzo, nelle proprie attività economiche, usi, anche a rischio di ingenerare confusione:
• il proprio nome e indirizzo;
• le indicazioni descrittive concernenti il prodotto;
• il marchio d’impresa altrui, se ciò è reso necessario per indicare la destinazione di un proprio prodotto servizio.
57 L’azione di contraffazione può essere promossa anche in pendenza della sola domanda di registrazione. Tuttavia la registrazione deve intervenire prima della sentenza perché la domanda di contraffazione possa veniraccolta.
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L’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare del marchio con le agevolazioni dell’art. 58
bis della L.ma..
L’azione di contraffazione può essere preceduta dalle misure cautelari tipiche:
• della descrizione, che ha la funzione di precostituire la prova della contraffazione;
• del sequestro, che ha la funzione di impedire la circolazione dei prodotti che costituiscono
violazione del diritto del marchio;
• dell’inibitoria, con la quale si intima al contraffattore la continuazione delle attività illecite.
Con la sentenza che accerta la contraffazione, il giudice può disporre a carico del soccombente le
sanzioni dell’inibitoria, del risarcimento del danno, della distruzione dei segni e della pubblicazion
della sentenza.
LA CIRCOLAZIONE DEL MARCHIO
La cessione del marchio
Si ha cessione del marchio quando il titolare del marchio si spoglia definitivamente di tale titolarità a
favore di un altro soggetto. Mutando radicalmente la vecchia normativa, il D.Lgs. 480/92 ha afferma
to il principio della libera cedibilità del marchio – non più connessa quindi ad altri elementi azienda
– e riconosciuto la legittimità della cessione parziale – ovvero la cessione del marchio solo per una
parte dei prodotti per i quali è registrato58.
La licenza di marchio
Il marchio, oltre che ceduto, può essere concesso in licenza. Il contratto di licenza è quello mediante
il quale il titolare del marchio (licenziante), pur conservando tale titolarità, ne attribuisce l’uso e il go
dimento a terzi (licenziatari)59.
Il divieto di inganno al pubblico
Dalla cessione o dalla licenza di marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o
servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico. La continuità qualitativa imposta da tale
58 La cessione parziale del marchio è ammissibile anche quando sussista una affinità tra i prodotti per i quali idiritto al marchio rimanga al cedente e quelli per i quali passi al cessionario.59 La licenza può essere:
• con o senza esclusiva (nel secondo caso abbiamo l’ipotesi in cui due o più soggetti mettono sul mercatprodotti con lo stesso marchio; i prodotti devono pertanto essere uguali);
• totale o parziale (relativa cioè a tutti o solo ad una parte dei prodotti per i quali il marchio è stato regstrato);
• riferita all’intero territorio dello Stato o soltanto a parte di esso.
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norma non esige necessariamente che il prodotto fornito dal licenziatario o dal cessionario sia della
stessa identica qualità di quello già contrassegnato, con il medesimo marchio, dal loro dante causa
L’obiettivo del legislatore è di evitare l’inganno del pubblico: ciò che la norma vieta, dunque, sono
solo quei deterioramenti rilevanti del prodotto di cui il pubblico non venga avvertito.
I contratti di merchandising
Sono denominati contratti di merchandising quei contratti con i quali il titolare di un marchio notorio
concede a terzi la facoltà di usare il marchio per prodotti notevolmente diversi dai propri.
La trascrizione
L’art. 49 L.ma. sottopone le vicende attinenti al marchio registrato ad un regime di trascrizione simile
a quello che la legge prevede per i beni mobili registrati. La trascrizione, che si effettua presso l’Uffi
cio Italiano Brevetti e Marchi, condiziona non la validità dell’atto ma la sua opponibilità a terzi; costi
tuisce, inoltre, un criterio di preferenza tra due aventi causa del medesimo dante causa.
L’ESTINZIONE DEL MARCHIO
L’estinzione del marchio si realizza con:
• la scadenza del termina decennale di efficacia della registrazione;
• la rinuncia del titolare;
• la dichiarazione di nullità del marchio60;
• il verificarsi di determinate cause di decadenza.
La nullità del marchio
Il marchio registrato può essere dichiarato nullo dal giudice ordinario qualora manchi dei suoi pre
supposti e dei requisiti di validità. In particolare il marchio è nullo qualora:
• non corrisponda al tipo di segno indicato dall’art. 16 L.ma. (denominativo, figurativo, misto);
• non sia nuovo ai sensi dell’art. 17 L.ma.;
• sia in contrasto con l’art. 18 L.ma. (contrarietà all’ordine pubblico, denominazione generica);
• sia stato domandato in malafede;
• sia in contrasto con l’art. 21 L.ma. (ritratti di persona, nomi di persona, segni notori);
• sia stato registrato a nome di chi non ne aveva diritto.
60 In realtà, più che l’estinzione del diritto, la dichiarazione di nullità è l’accertamento del suo non essere masorto.
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Va ricordato, infine, che la riforma del 1992 ha espressamente previsto, all’art. 47ter, la nullità par
ziale del marchio, che ricorre quando il motivo di nullità colpisce solo una parte dei prodotti o serviz
per i quali il marchio è stato registrato.
La decadenza del marchio
La decadenza è la cessazione anticipata del diritto di marchio rispetto al termine di scadenza previstodalla legge. Ne sono ipotesi:
• la decadenza per non uso: il marchio decade ove non venga utilizzato61 entro cinque anni da
la registrazione ovvero se l’uso ne venga sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni
senza una giustificazione legittima;
• la volgarizzazione, prevista quando il marchio sia divenuto nel commercio – per fatto dell’at
tività o inattività del titolare – denominazione generica del prodotto o del servizio;
• la decadenza per recettività, qualora il marchio diventi idoneo a indurre in inganno il pubbli
co, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o sevizi, a causa del modo
o del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o serviz
per i quali è registrato;
• sopravvenuto contrasto con la legge, l’ordine pubblico o il buon costume.
Le azioni di nullità e di decadenza
Legittimato attivo a tali azioni è chiunque vi abbia interesse62
, legittimato passivo è il titolare del marchio, litisconsorti necessari sono coloro che hanno diritto al marchio così come risulta dall’attestato
di registrazione. Autorità competente è il giudice ordinario; la competenza per territorio è funzionale
e inderogabile. L’onere della prova incombe su chi impugna la validità del marchio registrato63.
Le sentenze che pronunciano la nullità o la decadenza di un marchio, una volta passate in giudicato,
hanno efficacia erga omnes e sono retroattive, le prime alla data della registrazione, le seconde alla
data del fatto che ha provocato la decadenza.
61 L’utilizzo deve essere effettivo e non sporadico al solo fine di impedire la decadenza.62 L’art. 59 L.ma. legittima anche il P.M.63 La prova del non uso può essere data con ogni mezzo ed anche con presunzioni semplici. La ratio di tale temperamento va ravvisata nell’impossibilità per il terzo di dare piena prova del fatto che il marchio da lui impugnato non sia mai stato usato in nessun tempo e in nessun luogo, e per contro nella facilità per il titolare di daprova dell’avvenuto uso.
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L’invalidità del marchio, di regola, si traduce nell’impossibilità per il titolare di pretenderne l’uso
esclusivo. Quando però la causa di nullità comporti l’illiceità dell’uso del marchio, l’art. 10 L.ma. vieta
a chiunque di farne uso.
I MARCHI COLLETTIVI
I marchi collettivi sono destinati ad essere utilizzati da una pluralità di imprenditori diversi dal titolare e non da quest’ultimo, il quale si limita a concedere in uso il marchio in questione a produttori che
si impegnino all’osservanza di determinati regolamenti. Tali regolamenti riguardano particolar
aspetti della produzione come l’impiego di certi materiali o la provenienza geografica del prodotto
Devono essere allegati alla domanda di registrazione del marchio collettivo. I titolari dei marchi col
lettivi devono anche, pena la decadenza stessa del marchio, monitorare l’attività dei produttori pe
verificarne il rispetto dei regolamenti.
I marchi collettivi non devono essere confusi con le Denominazioni di Origine Controllata che sonoutilizzate per contraddistinguere prodotti le cui caratteristiche qualitative sono legate ad una deter
minata zona geografica per l’influsso di fattori ambientali o per la presenza di particolari tecniche
produttive.
La denominazione di origine e l’indicazione geografica
Il regolamento CEE n. 2081/92 ha introdotto altre due forme di tutela, valevoli in ambito comunita
rio, riguardanti, in particolare, la commercializzazione dei prodotti agricoli ed alimentari:• la denominazione di origine protetta consiste nel nome di una regione che serve a designare
un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione le cui qualità siano legate a fattor
ambientali e produttivi esclusivi di tale stessa regione;
• l’indicazione geografica consiste nel nome di una regione che serve a designare un prodotto
agricolo o alimentare originario di tale regione di cui una determinata qualità possa essere at
tribuita all’origine geografica delimitata.
LA DISCIPLINA INTERNAZIONALE
COMUNITARIA DEL MARCHIO
Così come abbiamo visto per i brevetti, anche per i marchi vige il principio di territorialità. Di conse
guenza, chi voglia operare con lo stesso marchio in un mercato internazionale dovrà chiedere ed ot
tenere la registrazione del marchio in più Stati e ciascun marchio sarà soggetto alla sua disciplina na
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zionale. Tale situazione crea consistenti costi e problemi di gestione per risolvere i quali sono stat
raggiunti due importanti accordi internazionali:
• la Convenzione di Unione di Parigi: particolarmente rilevante è la norma che prevede la pos
sibilità di registrare entro sei mesi lo stesso marchio in più Paesi cosicché le registrazioni suc
cessive alla prima retroagiscano a quest’ultima;
• l’Arrangement di Madrid: prevede una disciplina agevolata per la registrazione unificata de
marchio in più Paesi aderenti all’accordo.
Il marchio e la normativa comunitaria
Le regole dei marchi nazionali sono potenzialmente in contrasto con il Trattato CEE e il mercato co
mune. Per superare tale situazione, nel corso degli anni, è venuto formandosi un vero e proprio dirit
to comunitario dei marchi d’impresa. Particolarmente rilevanti, in tali ambito sono:
• il principio di esaurimento comunitario del diritto di marchio , secondo il quale il titolare d
un marchio in un paese della comunità non ha il diritto di opporsi all’importazione di un pro
dotto contrassegnato con lo stesso marchio, qualora esso provenga da un’altra nazione della
Comunità nella quale sia stato messo in commercio dallo stesso titolare o con il suo consen
so64;
• il marchio comunitario, entrato in funzione nel 1996 in seguito al regolamento 40/94, basato
sui principi di:
o unitarietà, in base al quale il marchio comunitario attribuisce al titolare un’esclusiva l
cui efficacia è unica per l’intero territorio della Comunità;
o autonomia, con il quale si indica che il marchio comunitario viene disciplinato esclusi
vamente dal Regolamento, mentre le norme nazionali in materia di marchi si applica
no solo in quanto richiamate espressamente dallo stesso regolamento65;
La registrazione del marchio comunitario si effettua presso l’Ufficio per l’Armonizzazione de
Mercato Interno. La tutela è assoluta quando ci si trovi davanti a segni identici a quelli per cu
64 Tale regola è stata estesa anche al caso in cui i diversi diritti nazionali sullo stesso marchio appartengano, nediversi Stati membri, a titolari diversi, purché abbiano un’origine comune (es. titolare originario che abbia ceduto parte del diritto sul marchio). Recentemente la Corte di Giustizia è tuttavia pervenuta ad una conclusiondiversa stabilendo che anche in tali casi il titolare di un marchio può opporsi all’importazione dei prodotti legittimamente marcati in altro Paese comunitario, quando il marchio impresso è confondibile con il proprio.65 La disciplina del marchio comunitario corrisponde in gran parte a quella del nostro sistema marchi. Una differenza si ha riguardo ai requisiti del marchio che nella normativa comunitaria sono considerati “impedimentialla registrazione e possono essere assoluti o relativi. I primi (che corrispondono a quelli del nostro art. 1L.ma.) possono essere fatti valere da chiunque; i secondi (corrispondenti a quelli del nostro art. 17 L.ma.) possono essere fatti valere solo dai titolari dei segni anteriori.
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il marchio è stato registrato; è invece subordinata alla sussistenza di un rischio di confusione
nel caso di segni identici o simili per prodotti uguali o analoghi oppure anche diversi se in con
siderazione della notorietà acquisita dal marchio anteriore.
IL MARCHIO DI FATTO
A norma dell’art. 2571 c.c., chi abbia fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarlo, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è av
valso.
Si distinguono due ipotesi a seconda che il preuso importi:
• una notorietà generalizzata del marchio: in tal caso il preutente potrà ottenere che sia di
chiarato nullo, per difetto del requisito della novità, un marchio confondibile successivamen
te registrato66;
• una notorietà soltanto locale (o addirittura nessuna notorietà): in tal caso il preutente non
potrà impedire che un concorrente registri validamente lo stesso marchio e potrà solo conti
nuare ad usare il proprio soltanto nei limiti in cui se ne è avvalso anteriormente;
Quanto agli aspetti processuali, il titolare di un marchio di fatto non è assistito dalla presunzione d
validità prevista dall’art. 58 L.ma. per il marchio registrato; al contrario dovrà provare i fatti costitut
vi del proprio diritto.
GLI ALTRI SEGNI DISTINTIVI
La ditta
La ditta è il segno che contraddistingue l’impresa nel suo complesso ed è necessario nel senso che, in
mancanza di diversa scelta, esso coincide con il nome civile dell’imprenditore. Le funzioni della ditta
sono l’identificazione del titolare e l’individuazione dell’impresa. Oggi, tuttavia, la ditta tende
confondersi con il marchio specialmente per le imprese di medie e grandi dimensioni.
La ditta può essere liberamente formata dall’imprenditore purché rispetti:
• il principio della verità, secondo il quale la ditta deve contenere almeno il cognome o la sigla
dell’imprenditore (salva l’ipotesi della ditta derivata);
• il principio della novità, secondo il quale la ditta non deve essere uguale ad altra già usata da
imprenditore concorrente;
66 La relativa azione dovrà essere esercitata entro cinque anni per evitare la convalida del marchio successivamente registrato.
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• i principi di liceità e della capacità distintiva seppure siano previsti dalla legge solo per i mar
chi.
Il titolare della ditta ha il diritto all’uso esclusivo del segno e acquista tale diritto in virtù dell’uso stes
so. Tuttavia, perché si abbia contraffazione di ditta non basta l’identità o la confondibilità tra i segni
occorre anche che i due imprenditori siano in rapporto di concorrenza fra di loro per l’oggetto del
l’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata.
L’art. 2564 prevede a carico di chi violi l’altrui diritto alla ditta, un obbligo di integrazione o modifica
zione della propria ditta “con indicazioni idonee a differenziarla dalla ditta del concorrente”.
Infine, l’art. 2565 consente il trasferimento della ditta purché avvenga congiuntamente a quello del
l’azienda. Tale norma è comunque da considerarsi implicitamente abrogata in seguito all’introduzio
ne della regola di libera cedibilità del marchio.
Ragione e denominazione sociale
Ragione sociale e denominazione sociale sono per le società ciò che il nome civile è per la persona fi
sica. Il codice civile chiama ragione sociale il nome delle società di persone; chiama invece denomina
zione sociale il nome delle società di capitali. Queste, per poter essere regolarmente formate devo
no:
• rispettare, nel contenuto, i vincoli posti dal legislatore per ciascun tipo di società;
• contenere indicazioni non contrarie alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume, né in
gannevoli;
• presentare il requisito della novità.
Il nome della società è oggetto di iscrizione nel registro delle imprese. Si ritiene, tuttavia, che il diritto
venga acquisito con l’uso e che la registrazione valga solo a rendere il diritto opponibile ai terzi, risol
vendo così il conflitto tra più società che abbiano lo stesso nome.
L’insegna
L’insegna è un segno distintivo facoltativo. Secondo alcuni contraddistingue i locali in cui si svolge
l’attività d’impresa; secondo altri contraddistingue l’intero complesso aziendale. L’unico requisito
espressamente richiesto è quello della novità; la dottrina ritiene comunque che non si possa prescin
dere anche dagli altri requisiti della liceità, verità e capacità distintiva. Anche per l’insegna vale ogg
la nuova regola di libera cedibilità.
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I segni distintivi atipici
Nell’esperienza giurisprudenziale, si individuano come segni atipici:
• l’emblema, che indica un segno puramente figurativo, usato in funzione di ditta;
• lo slogan;
• le particolari divise indossate dal personale di certe imprese.
IL DIRITTO ANTITRUST
LA LEGISLAZIONE ANTITRUST
Il diritto antitrust ha il preciso obiettivo di correggere eventuali squilibri del mercato che tende sem
pre ad allontanarsi dal modello ideale di concorrenza perfetta. Per fare ciò occorre sorvegliare co
stantemente sia il mercato – in modo da poter intervenire prontamente sulle evoluzioni delle strut
ture e dei comportamenti – sia l’andamento della normativa antitrust degli altri paesi.
Le norme antitrust sono solitamente divise in due categorie:
• per se rules: per le quali l’illiceità di un comportamento è determinato dalla sua conformità o
meno a quello astratto determinato dalla norma;
• rules of reason: per le quali è l’organo di controllo che stabilisce se un comportamento – pu
conforme alla fattispecie astratta – è o meno contrario agli interessi che la normativa vuole
tutelare.
La normativa antitrust trova un grave limite nella difficoltà dell’imporre una sanzione realmente effi
cace ad un comportamento ritenuto illecito. E’ quindi preferibile tentare di prevenire i comporta
menti illeciti piuttosto che reprimerli.
L’ANTITRUST NELLA COMUNITÀ EUROPEA
L'articolo 3 lettera g) del trattato istitutivo della comunità europea indica tra i fini della comunità la
creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune. Na
sce così l'esigenza di eliminare qualsiasi impedimento e ostacolo alla concorrenza. I principi fonda
mentali della disciplina della concorrenza, posti dal trattato di Roma, possono così sintetizzarsi:
• divieto di intese pregiudiziali al commercio tra gli stati membri e restrittive della concorrenza
all'interno del mercato comune;
• divieto, alle imprese che hanno una posizione dominante nel mercato comune, di farne un
esercizio abusivo;
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• disciplina delle relazioni finanziarie tra i poteri pubblici e le imprese pubbliche, nonché delle
imprese alle quali gli Stati affidano la gestione di servizi nell'interesse generale;
• regolamentazione degli interventi degli Stati membri nell'economia, per impedire che gli aiut
economici alle imprese generino limitazioni e modifiche al libero esplicarsi della concorrenza.
L'articolo 81, in particolare, dichiara che: "sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gl
accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che
possono pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impe
dire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune". La stessa nor
ma, con elencazione non tassativa, specifica che sono vietate le intese consistenti nel:
• fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizion
di transazioni;
• limitare o controllare la produzione, di sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
• ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
• applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazion
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
• subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di pre
stazioni supplementari che, per la loro natura secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun
nesso con l'oggetto dei contratti stessi.
Il sistema previsto obbliga le imprese a dichiarare preventivamente gli accordi che possono rientrare
nel campo delle regole di concorrenza per ottenere il placet degli organi comunitari. In questo setto
re è la Commissione che prende le decisioni sulla base del regolamento n. 17 emanato dal Consiglio
nel 1962.
Essa in particolare può:
• vietare l'intesa, che in questo caso è nulla;
• concedere un esenzione dal divieto a favore delle intese che contribuiscono a migliorare la
produzione o la distribuzione ovvero a promuovere il progresso tecnico o economico;• constatare che non vi sia motivo di intervenire.
Le intese non dichiarate possono essere oggetto di inchiesta da parte della commissione che, allor
ché constati una violazione delle regole di concorrenza, può con apposita decisione infliggere am
menda e penalità di mora.
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L'articolo 82 del trattato CE dispone che: “è incompatibile con il mercato comune e vietato, nella mi
sura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra gli stati membri, lo sfruttamento abusivo da
parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanzia
le di questo”. Tale norma non vieta la posizione dominante in sé, ma l'abuso di essa da parte di una o
più imprese67.
A differenza di quanto previsto per le intese dall’art. 81 (ex 85), in caso di abuso di posizione domi
nante non sussiste alcuna possibilità di esenzione dal rispetto della disposizione dell’art. 82. Quanto
alle norme di applicazione vale, anche per l’art. 82 il regolamento n. 17, con la precisazione che, trat
tandosi in tale ipotesi di vietare dei comportamenti e non degli accordi formali, non è prevista la san
zione giuridica della nullità. Sono invece applicabili, da parte della Commissione, le sanzioni pecunia
rie per le violazioni e le penalità di mora per i ritardi. Con il passare degli anni sono stati emanati nu
merosi regolamenti che hanno introdotto discipline dettagliate di varie ipotesi di intese. In genere
essi distinguono due liste di clausole contrattuali:
• la c.d. lista bianca elenca clausole considerate non restrittive della concorrenza e la cui pre
senza non ostacola l’esenzione dal divieto;
• la c.d. lista nera elenca le clausole restrittive considerate non esentabili e che quindi fanno
qualificare un’intesa come illecita.
Nel trattato CE mancano, invece, esplicite previsioni normative volte a disciplinare le concentrazion
fra imprese, ma la Corte di Giustizia ha riconosciuto che le concentrazioni cui partecipano imprese
aventi una posizione dominante possono, in taluni casi, essere considerate sfruttamento abusivo d
una posizione dominante e quindi essere vietate68. Si ha dunque concentrazione quando due o più
imprese si fondono o quando una o più persone, già controllanti almeno un’impresa, acquisiscono di
rettamente o indirettamente il controllo dell’insieme o di parti di imprese, sia acquistando partecipa
67 Il 2° comma dell’art. 82 individua quattro fattispecie tipiche di abuso di posizione dominante, che consistono
• nell’imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni di transazione non eque;
•nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
• nell’ applicare ai rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio;
• nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazionsupplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.
68 Questa interpretazione giurisprudenziale ha improntato la formazione del Regolamento sul controllo dellconcentrazione, entrato in vigore il 10 ottobre 1990 dopo una discussione durata 17 anni. Il Regolamento si reso necessario perché la soppressione delle frontiere interne porterà a numerose ristrutturazioni, soprattuttper concentrazioni, delle imprese nella Comunità. Questo processo non deve però pregiudicare la concorrenze la CE ha deciso di dotarsi di una disciplina più precisa e più moderna di quella prevista dal Trattato.
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zioni nel capitale sociale sia con qualsiasi altro mezzo . Tutte le operazioni di concentrazione devono
essere notificate alla Commissione, la quale dovrà dichiarare (con una decisione) l’accertata compati
bilità delle stesse con il mercato comune, ovvero ordinare — in ipotesi di incompatibilità — la sepa
razione delle imprese o degli elementi patrimoniali acquistati o incorporati, la cessazione del control
lo comune, nonché ogni altra misura idonea a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. L’ in
compatibilità, in particolare, riguarda quelle operazioni che creano o rafforzano una posizione domi
nante, si da ostacolare in modo significativo il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza effetti
va nel mercato comune o in una parte sostanziale di questo 69. A norma dell’art. 86 (ex 90) CE, le re
gole di concorrenza comunitarie devono trovare applicazione anche nei confronti delle imprese pub
bliche e delle imprese alle quali gli Stati membri «riconoscono diritti speciali o esclusivi».
L’esistenza di una posizione dominante può essere accertata solo dopo aver individuato i confini geo
grafici ed economici del mercato su cui tale impresa domina.
In primo luogo il mercato deve essere delimitato in senso geografico: esso non è altro che la zona
piccola o grande che sia, interna al mercato comune, in cui opera, insieme ad altri operatori, l’impre
sa dominante. È ovvio che un’impresa è sicuramente in posizione dominante quando incide in tutto i
mercato CE; quando invece si parla di «parte sostanziale» del mercato non si guarda all’ ampiezza
territoriale dell’area in cui si svolge l’attività esaminata quanto piuttosto al volume di tale attività
Così anche il territorio di un solo Stato membro della CE e anche solo una sua parte possono essere
«parti sostanziali del mercato comune».
Per quanto riguarda invece il mercato dei prodotti, il problema è molto più complesso in quanto con
siste nel dover stabilire quali prodotti fanno parte del mercato: si può dire che l’estensione del mer
cato rilevante corrisponde a quella mappa di commercializzazione dei prodotti che in base alle loro
specifiche caratteristiche (aspetto, prezzo, qualità, adattabilità ed utilizzazione), unitamente alle scel
te ed ai gusti dei consumatori, consentano un sufficiente livello di sostituibilità fra di loro in una de
terminata area geografica.
La Commissione, cioè l’esecutivo del sistema CE, si occupa dell’applicazione delle regole di concor
renza. Le decisioni della Commissione possono essere impugnate davanti ai Tribunale di primo grado
69 La procedura prevista dal suddetto regolamento è stata innovata dall’accordo raggiunto il 24 aprile 1997 daConsiglio dei ministri dell’Industria dell’Unione Europea. La nuova soluzione ha ampliato la competenza dellCommissione, finora limitata ai casi più rilevanti, abbassando la soglia del fatturato necessario per l’esame delle operazioni di fusione e concentrazione da parte del Commissario europeo. Sono inoltre stati aboliti la notificed il relativo esame da parte di ogni singola autorità nazionale previsti dal vecchio regime: in questo modo laprocedura risulterà semplificata e saranno ridotti quelle impasse burocratiche che impedivano spesso l’esamdi importanti operazioni di rilevanza comunitaria.
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delle Comunità Europee (in passato le decisioni della Commissione si impugnavano davanti alla Corte
di Giustizia delle Comunità Europee, che decideva in unico grado). Il procedimento davanti alla Com
missione può essere diviso in due parti: una fase informale ed una vera e propria procedura. Quest
prevede una necessaria fase scritta ed un’eventuale fase orale. In caso di intese e comportamenti il
leciti, a carico dei loro autori è previsto un generale obbligo di rimozione degli effetti, nonché il paga
mento di ammende.
L’ANTITRUST IN ITALIA
Il nostro Paese si è dotato di una normativa antitrust con notevole ritardo rispetto agli altri Stati della
Comunità Europea. La legislazione nazionale si era infatti limitata a fornire una minuziosa disciplina
del contratto di consorzio, senza affrontare il problema di sancire la liceità dei multiformi accordi che
perseguono in fine diretto o indiretto della restrizione della concorrenza. Con la L. 287/90 tale situa
zione è mutata e – largamente ispirata alla normativa comunitaria – è stata introdotta anche nel nostro paese un’ampia disciplina antitrust affiancata dall’istituzione dell’Autorità garante della concor
renza e del mercato.
Ai sensi dell’art. 1 della L. 287/90, le disposizioni introdotte dalla stessa si applicano soltanto alle in
tese, agli abusi di posizione dominante ed alle concentrazioni di imprese “che non ricadano nell’am
bito di applicazione degli artt. 65 e 66 del trattato CECA e degli artt. 86 e 86 del Trattato CEE, nonché
dei regolamenti dei della CEE e di atti comunitari con efficacia normativa equiparata”.
L’applicabilità sussiste quindi allorché non ci sia pregiudizio per gli Stati comunitari: in quest’ultimo
caso troverà infatti applicazione il diritto comunitario.
Da un punto di vista soggettivo, la normativa antitrust si applica:
• alle imprese, intese qui in senso assai più ampio rispetto all’art. 2082 c.c.;
• alle imprese pubbliche e a partecipazione statale70.
Sono invece escluse le imprese che, per disposizione di legge, esercitano la gestione di servizi di inte
resse economico generale e le imprese che operano in regime di monopolio sul mercato. Regimi spe
ciali sono previsti infine per le imprese operanti nei settori della radiodiffusione e dell’editoria, le
aziende ed istituti di credito e le imprese assicurative.
70 Deve considerarsi pubblica ogni impresa sottoposta direttamente o indirettamente all’influenza preponderante dello Stato, di uno dei suoi organismi, o di un’altra entità di diritto pubblico, quale che sia la forma giuridica di detta impresa.
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Il divieto delle intese
L’art. 2 della L. 287/90 vieta, a pena di nullità, gli accordi e le pratiche concordate tra imprese nonché
le deliberazioni di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi simili che abbiano il fine di:
• impedire, in maniera consistente, la concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una
sua parte rilevante, nel senso di vietare del tutto l’esercizio di una determinata attività o proi
bire la vendita di un determinato prodotto;
• restringerla, nel senso di sottoporre l’esercizio a determinate condizioni;
• falsarla, ad esempio con atti di concorrenza sleale.
Oltre a tale clausola generale, vi sono cinque categorie di intese tipizzate che ricalcano quelle previ
ste dall’art. 81 del Trattato CE (v. pag. 32).
L’abuso di posizione dominante
Si ha posizione dominante quando una o più imprese possono influire in misura sostanziale sulle de
cisioni di altri agenti economici mediante una strategia indipendente, sottraendosi così ad una con
correnza effettiva.
La nostra legge antitrust vieta – in stretta analogia all’art. 82 del Trattato CE – l’abuso di posizione
dominante (v. nota n. 67).
La concentrazione di imprese
Secondo la nostra legge antitrust, l’operazione di concentrazione si realizza:
• quando due o più imprese procedono a fusione;
• quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno una impresa ovvero una o più
imprese acquisiscono, direttamente o indirettamente, il controllo dell’insieme o di parti d
una o più imprese;
• quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla co
stituzione di un’impresa comune.
In ogni caso per aversi concentrazione deve prodursi una modificazione della struttura interna delle
imprese interessate. Le operazioni di concentrazione appena specificate non sono vietate in assolu
to, ma solo se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato
nazionale, in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza.
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Autorità garante della concorrenza e del mercato
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con sede in Roma, è un organo collegiale costi
tuito dal Presidente e da quattro membri, nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presi
denti delle due Camere del Parlamento. Il presidente deve essere scelto tra persone di notoria indi
pendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo. L’Autorità ha
il compito di vigilare sul rispetto della normativa antitrust, con ampi poteri di istruttoria e decisional
per il mantenimento ed il ripristino di condizioni di concorrenza effettiva.
Attivazione dell'Autorità nel settore della concorrenza
I modi per attivare l’Autorità possono essere diversi. Ad esempio un intervento può cominciare il suo
corso quando un soggetto denuncia un comportamento che ritiene vietato dalla normativa a tutela
della concorrenza. Il denunciante può essere un'impresa che pensi di venire danneggiata dal com
portamento contestato, oppure una pubblica amministrazione; anche un singolo cittadino può ricor
rere direttamente all'Autorità, presentando per iscritto una denuncia (non però anonima): riceverà
comunque una risposta. L'Autorità può in ogni caso avviare un'indagine, indipendentemente dall'esi
stenza o meno di una denuncia, se sospetta che un certo comportamento sia lesivo della concorren
za. In taluni casi ciò è avvenuto sulla base di notizie pubblicate da organi di stampa. Nel caso delle
concentrazioni, è la stessa impresa che vuole realizzare l'operazione a presentare una comunicazione
preventiva all'Autorità. In caso di omissione sono previste sanzioni amministrative. Spetta in seguito
all'Autorità stessa stabilire se è opportuno, nel caso specifico, avviare un'indagine più approfonditaPer la notifica delle concentrazioni, da un lato, e per la comunicazione volontaria delle intese e la ri
chiesta di autorizzazione in deroga, dall'altro, sono stati predisposti appositi formulari, che contengo
no le informazioni ritenute necessarie per una valutazione del caso da parte dell'Autorità71.
Le istruttorie su intese, abusi e concentrazioni
Ogni volta che l'Autorità riceve una denuncia o raccoglie informazioni riguardo a possibili pregiudiz
alla concorrenza, il caso viene assegnato alla Direzione competente per materia. La Direzione svolge
un'indagine preliminare e propone all'Autorità di aprire o meno un'istruttoria. Nel caso che l'Autorità
decida di avviare l'istruttoria, vengono avvertiti i soggetti direttamente interessati. Le parti hanno i
diritto di essere sentite e di prendere visione dei documenti non riservati che riguardano l'istruttoria
Alla fine dell'indagine esse devono essere convocate per l'audizione conclusiva, cioè un confronto
con la Direzione che ha curato l'istruttoria, nel quale vengono discusse le risultanze dell'indagine
71 Entrambi i formulari possono essere richiesti alla Direzione Documentazione e Sistema Informativo o trasferiti dal sito Internet dell'Autorità.
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stessa di fronte all'Autorità. Le parti ricevono prima della audizione conclusiva la cosiddetta comuni
cazione delle risultanze istruttorie, che indica i comportamenti ritenuti in violazione della normativa
della concorrenza; le parti possono presentare memorie scritte durante tutto il corso dell'indagine
ed anche, per un breve lasso di tempo, successivamente all'audizione finale. Nel corso dell'istruttoria
vengono raccolte le informazioni necessarie per una valutazione adeguata del caso. Ciò può avvenire
con il concorso delle parti stesse e anche ricorrendo a esperti del settore nominati dall'Autorità o ri
chiedendo informazioni a pubbliche amministrazioni. In alcuni casi può essere ritenuto opportuno ef
fettuare delle ispezioni presso le imprese indagate per prendere visione diretta e ritirare una copia
dei documenti aziendali, avvalendosi della collaborazione della Guardia di Finanza che, a seguito del
l'approvazione della legge comunitaria per il 1994, può utilizzare i poteri previsti dalle norme tributa
rie. Sulle informazioni così raccolte vige il vincolo del segreto d'ufficio. L'obbligo di riservatezza ri
guarda del resto tutte le attività di indagine e istruttorie. Nel caso delle concentrazioni il termine, fis
sato per legge, per decidere se aprire un'istruttoria è di 30 giorni e quello per concluderla è di 45
giorni. Per le intese e per gli abusi di posizione dominante l'Autorità decide i termini di volta in volta
di regola dall'avvio dell'istruttoria viene fissato un termine di 180 giorni per la conclusione della stes
sa72. In materia di pubblicità ingannevole, il termine di conclusione di un procedimento è fissato in 75
giorni dalla data di ricevimento della richiesta73.
La decisione dell'Autorità e le sanzioni che può imporre
Per ogni caso o segnalazione, il Presidente nomina un relatore tra i componenti dell'Autorità. Sulla
base degli elementi raccolti dalle Direzioni che svolgono l'attività istruttoria e sentite le parti nell'au
dizione conclusiva, l'organo collegiale dell'Autorità prende la decisione finale in una successiva e se
parata riunione, introdotta dal relatore. Tale decisione può essere adottata anche a maggioranza.
Nel caso di abusi e intese restrittive della concorrenza può essere inflitta una sanzione pecuniaria
che, a seconda della gravità della violazione, varia in base al fatturato delle imprese coinvolte. Se in
seguito all'accertamento di un comportamento in violazione della legge questo non venisse interrot
to nonostante la decisione in tal senso dell'Autorità, possono essere comminate delle ulteriori sanzioni pecuniarie e in casi di ripetuto rifiuto può essere disposta la sospensione dell'attività dell'impre
sa fino a 30 giorni. Altre sanzioni di carattere pecuniario sono previste quando le informazioni richie
ste non risultano corrispondenti a verità oppure quando sono negate. Sono altresì previste sanzion
72 In materia di concorrenza, le procedure istruttorie sono regolate dal decreto del Presidente della Repubblicdel 30 aprile 1998, n. 217, in attuazione dell'articolo 10, comma 5 della legge n. 287 del 1990.73 In materia di pubblicità ingannevole, le procedure istruttorie sono fissate nel regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica del 10 ottobre 1996, n. 627.
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pecuniarie per quelle imprese che omettono di comunicare preventivamente la concentrazione e pe
quelle che, nonostante il divieto di concentrazione, effettuano comunque l'operazione. Nel caso d
concentrazioni già avvenute che l'Autorità, in seguito a un'istruttoria, ha ritenuto restrittive della
concorrenza, può essere deciso il ripristino delle condizioni iniziali. Nella legislazione italiana non
sono previste sanzioni di natura penale per violazioni della normativa sulla concorrenza.
Differenze nei casi di pubblicità ingannevole
In questi casi l'Autorità non può intervenire d'ufficio. Occorre una denuncia di parte per avviare un'i
struttoria per pubblicità ingannevole. L'iniziativa può partire da concorrenti, da consumatori, dalle
loro associazioni ed organizzazioni, dal Ministero dell'Industria e da ogni altra pubblica amministra
zione. La segnalazione deve contenere tutte le informazioni previste dall'art. 2 del regolamento ema
nato con d.P.R. n. 627/90 (vedi anche schema tipo di segnalazione di un messaggio pubblicitario). Se
le decisioni finali non vengono rispettate, le sanzioni possono essere sia di natura amministrativa che
penale. Se viene accertata l'ingannevolezza del messaggio, l'operatore deve interromperne la diffu
sione ed in taluni casi deve rendere pubblica, a sue spese, la decisione dell'Autorità a mezzo stampa
oppure attraverso la radio o la televisione.
Pubblicità delle decisioni dell’Autorità
Esistono diversi momenti in cui l'attività dell'Autorità è resa pubblica. Innanzitutto viene pubblicato
un Bollettino settimanale che riporta le decisioni adottate riguardanti intese, abusi di posizione do
minante, concentrazioni, indagini conoscitive su settori, segnalazioni e decisioni in materia di pubblicità ingannevole. Entro il 30 aprile di ogni anno, inoltre, l'Autorità presenta al Presidente del Consi
glio dei Ministri (che la trasmette al Parlamento) la Relazione annuale sull'attività svolta nell'anno
precedente. Generalmente intorno alla metà di maggio ha luogo la presentazione al pubblico della
Relazione. In questa occasione il Presidente illustra gli orientamenti seguiti dall'Autorità nelle proprie
decisioni. L'Autorità è presente con un suo sito nella rete Internet. Nelle pagine web predisposte su
un server WWW (indirizzo:http://www.agcm.it), è disponibile il testo integrale di tutte le decision
adottate dall'Autorità fin dalla sua istituzione, opportunamente classificate (per fattispecie giuridica
data, mercato rilevante, ecc.). Inoltre, il sito è stato dotato di un motore di ricerca, che consente l'in
terrogazione a testo libero di tutti i documenti ivi contenuti. Gli archivi vengono aggiornati settima
nalmente, contestualmente alla pubblicazione delle decisioni sul Bollettino dell'Autorità e all'aggior
namento della base informativa interna dell'Autorità (limitatamente alla sua parte pubblica); lo stes
so Bollettino è reso disponibile nel sito. Attualmente è possibile rivolgersi all'Autorità per acquisire
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documenti relativi all'attività conclusa (provvedimenti, rapporti, relazioni annuali, ecc.) nonché infor
mazioni di interesse generale (normativa rilevante, comunicati stampa, ecc.). Non possono invece es
sere oggetto di divulgazione notizie sui procedimenti in corso, nonché quanto altro coperto dal se
greto d'ufficio a norma dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 217/98.
Ricorso contro una decisione dell'Autorità
È possibile ricorrere presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sia per le decisioni che ri
guardano l'applicazione della normativa a tutela della concorrenza sia per le decisioni in materia d
pubblicità ingannevole. Per entrambe, il giudizio di secondo grado può essere proposto al Consiglio
di Stato.
Rapporti con altri organismi di controllo nazionali
A livello nazionale sono tre le istituzioni che esercitano forme di vigilanza e controllo con le qual
l'Autorità ha regolari rapporti di collaborazione: la Banca d'Italia, l'Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e d'Interesse Collettivo (ISVAP) e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. La
Banca d'Italia è investita dalla legge istitutiva dell'Autorità del compito di applicare la normativa a tu
tela della concorrenza in materia di intese, abusi e concentrazioni riguardanti le banche. Essa ha l'ob
bligo di richiedere il parere dell'Autorità sui casi esaminati, parere che comunque non è vincolante
per la sua decisione finale. Per i casi di pubblicità ingannevole l'Autorità, nel caso di pubblicità diffusa
a mezzo stampa o radiotelevisione, deve richiedere un parere (non vincolante) all'Autorità per le ga
ranzie nelle comunicazioni. L'applicazione della legge sulla concorrenza nel settore assicurativo è riservata all'Autorità, che deve richiedere il parere, sia pure non vincolante, dell'ISVAP.
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SOMMARIO
DIRITTO INDUSTRIALE .........................................................................................
INTRODUZIONE ..................................................................................................
L’AZIENDA.................................................................................................................Gli elementi costitutivi e il concetto di “avviamento” .......................................
Trasferimento dell’azienda e successione nell’impresa ....................................
Negozi di trasferimento e divieto di concorrenza ..............................................
Successione nei contratti dell’azienda ceduta ...................................................
Successione nei rapporti di lavoro ....................................................................
Crediti e debiti dell’azienda ceduta ...................................................................
Usufrutto e affitto dell’azienda .........................................................................
L’ILLECITO CONCORRENZIALE .............................................................................
LA DISCIPLINA CONCORRENZIALE...........................................................................................ILLECITO E DANNO CONCORRENZIALE....................................................................................LE SINGOLE FATTISPECIE DI CONCORRENZA SLEALE.....................................................................
Gli atti di confusione ..........................................................................................Denigrazione e appropriazione di pregi ............................................................
Atti contrari alla correttezza professionale ......................................................
Tutela cautelare e sanzioni ................................................................................
LE INVENZIONI INDUSTRIALI ...............................................................................
LE INVENZIONI INDUSTRIALI E IL BREVETTO.............................................................................Le creazioni intellettuali e le opere dell’ingegno ...............................................
IL BREVETTO..............................................................................................................LE INVENZIONI BREVETTABILI E I LORO REQUISITI.........................................................................
Il procedimento di brevettazione .......................................................................
Il giudizio di nullità ............................................................................................
LA TITOLARITÀ DEI DIRITTI NASCENTI DALL’INVENZIONE..................................................................L’invenzione di gruppo ......................................................................................
L’invenzione del prestatore di lavoro ................................................................
I contratti di ricerca ...........................................................................................
IL CONTENUTO DEL BREVETTO ED I SUOI LIMITI........................................................................La contraffazione del brevetto ..........................................................................
IL GIUDIZIO DI CONTRAFFAZIONE...........................................................................................LA TRASFERIBILITÀ E L’ESTINZIONE DEL BREVETTO........................................................................
La licenza obbligatoria e altri casi di circolazione coattiva ...............................
L’estinzione del diritto di brevetto .....................................................................I BREVETTI SPECIALI.......................................................................................................
Il brevetto chimico .............................................................................................
Il brevetto nel campo delle biotecnologie .........................................................
Il brevetto per le nuove varietà vegetali ...........................................................
La registrazione delle topografie di semiconduttori .........................................
L’INVENZIONE NON BREVETTATA E LA SUA TUTELA.......................................................................Il diritto di preuso ..............................................................................................
LA TUTELA INTERNAZIONALE DEL BREVETTO............................................................................
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La convenzione di unione di Parigi ....................................................................
La convenzione di Monaco sul brevetto europeo ..............................................
Trattato di cooperazione in materia di brevetti ................................................
IL BREVETTO NEL DIRITTO COMUNITARIO..................................................................................Il principio di esaurimento comunitario del diritto di brevetti ..........................
Le licenze di brevetto in diritto comunitario ......................................................
I contratti di Know-how in diritto comunitario .................................................
La convenzione di Lussemburgo sul brevetto comunitario ...............................LA CIRCOLAZIONE INTERNAZIONALE DELLE TECNOLOGIE..................................................................I BREVETTI PER I MODELLI................................................................................................
Il modello di utilità ............................................................................................
Il modello ornamentale .....................................................................................
IL MARCHIO .......................................................................................................
I SEGNI DISTINTIVI ED IL MARCHIO.........................................................................................Il marchio e i suoi requisiti ................................................................................
Il marchio di forma ............................................................................................
I REQUISITI DI VALIDITÀ DEL MARCHIO..................................................................................
ACQUISTO DEL DIRITTO..................................................................................................Il procedimento di registrazione ........................................................................
LA TUTELA DEL DIRITTO..................................................................................................L’identità o somiglianza tra segni ......................................................................
Il contenuto del diritto di esclusiva ....................................................................
L’azione di contraffazione .................................................................................
LA CIRCOLAZIONE DEL MARCHIO.........................................................................................La cessione del marchio ....................................................................................
La licenza di marchio .........................................................................................
Il divieto di inganno al pubblico ........................................................................
I contratti di merchandising ...............................................................................La trascrizione ...................................................................................................
L’ESTINZIONE DEL MARCHIO.............................................................................................La nullità del marchio ........................................................................................
La decadenza del marchio .................................................................................
Le azioni di nullità e di decadenza ....................................................................
I MARCHI COLLETTIVI.....................................................................................................La denominazione di origine e l’indicazione geografica ...................................
LA DISCIPLINA INTE
COMUNITARIA DEL MARCHIO.............................................................................................
Il marchio e la normativa comunitaria ..............................................................IL MARCHIO DI FATTO....................................................................................................GLI ALTRI SEGNI DISTINTIVI..............................................................................................
La ditta ..............................................................................................................
Ragione e denominazione sociale .....................................................................
L’insegna ...........................................................................................................
I segni distintivi atipici .......................................................................................
IL DIRITTO ANTITRUST ........................................................................................
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LA LEGISLAZIONE ANTITRUST.............................................................................................L’ANTITRUST NELLA COMUNITÀ EUROPEA.............................................................................L’ANTITRUST IN ITALIA...................................................................................................
Il divieto delle intese .........................................................................................
L’abuso di posizione dominante ........................................................................
La concentrazione di imprese ............................................................................
Autorità garante della concorrenza e del mercato ...........................................