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1 Diritto del Lavoro Le fonti L’insieme delle norme giuridiche che regolano il lavoro subordinato, costituisce il Diritto del Lavoro. Al suo interno si distinguono settori più specifici come il diritto sindacale, la legislazione sociale, ecc. Le fonti di tale diritto sono: La Costituzione; Il codice civile (libro V e le leggi speciali); I contratti collettivi; Gli usi e le consuetudini. Queste fonti dette “interne” si distinguono da quelle “esterne”, che sono: Le fonti comunitarie (trattato istitutivo della CEE; trattato di Maastricht; regolamento e direttive comunitarie); I trattati di lavoro internazionali (tra cui le convenzioni dell’OIL; l’atto Unico Europeo, ecc.). Nella trattazione delle fonti di diritto del lavoro, l’unica particolarità degna di nota è offerta dall’art. 2078 c.c. – efficacia degli usi - “in mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo, si applicano gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sui contratti individuali di lavoro”. Di conseguenza, l’efficacia degli usi resta “dispositiva” e, quindi, derogabile in ogni caso dall’autonomia privata (individuale o collettiva). Ed è proprio il comma primo dell’art. 2078 c.c. a contrastare con l’art. 8 disp. prel. c.c. “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti, gli usi hanno efficacia, solo in quanto sono da essi richiamati”. La Legislazione del Lavoro nei confronti della contrattazione collettiva, può svolgere la funzione: o ausiliaria (si pensi, ad es., a quelle norme dello Statuto dei lavoratori che tutelano le libertà sindacali che, fino alla sua entrata in vigore, erano riconosciute solo a settori sindacali più forti); o di sostegno o promozionale (si pensi, ad es., alla legge n. 146 rimessa in misura paritaria alla contrattazione collettiva). Nell’evoluzione storica del diritto del lavoro, si possono distinguere tra fasi: 1. Fase della legislazione sociale in cui le leggi in materia di lavoro hanno carattere “eccezionale”, rispetto al diritto privato comune; 2. Fase dell’incorporazione del diritto del lavoro nel sistema del diritto privato; 3. Fase della costituzionalizzazione del diritto del lavoro. Per legislazione sociale s’intende l’insieme delle norme e degli istituti giuridici diretti alla protezione di coloro che si trovano in particolari condizioni di bisogno (lavoratori, cittadini nobili al lavoro e sprovvisti di mezzi necessari alla sopravvivenza). Prima del codice vigente, da un lato si collocava il diritto civile del 1865, e dell’altro vi erano delle norme “eccezionali”, rispetto a questo, che tutelavano i lavoratori; esse formavano proprio la legislazione sociale, nata in seguito alla rivoluzione industriale. Allora comunque, non era prevista, però, una specifica disciplina né per il contratto di lavoro, né per il lavoro industriale (subordinato solo all’autonomia privata); faceva eccezione solo la “locazione di opere e servizi” che era a tempo determinato, per evitare la costituzione di rapporti

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Diritto del Lavoro

Le fontiL’insieme delle norme giuridiche che regolano il lavoro subordinato, costituisce ilDiritto del Lavoro. Al suo interno si distinguono settori più specifici come il dirittosindacale, la legislazione sociale, ecc. Le fonti di tale diritto sono:

La Costituzione; Il codice civile (libro V e le leggi speciali); I contratti collettivi; Gli usi e le consuetudini.

Queste fonti dette “interne” si distinguono da quelle “esterne”, che sono: Le fonti comunitarie (trattato istitutivo della CEE; trattato di Maastricht;

regolamento e direttive comunitarie); I trattati di lavoro internazionali (tra cui le convenzioni dell’OIL; l’atto

Unico Europeo, ecc.).Nella trattazione delle fonti di diritto del lavoro, l’unica particolarità degna di nota èofferta dall’art. 2078 c.c. – efficacia degli usi - “in mancanza di disposizioni dilegge e di contratto collettivo, si applicano gli usi. Tuttavia gli usi più favorevoli aiprestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi nonprevalgono sui contratti individuali di lavoro”. Di conseguenza, l’efficacia degli usiresta “dispositiva” e, quindi, derogabile in ogni caso dall’autonomia privata(individuale o collettiva). Ed è proprio il comma primo dell’art. 2078 c.c. acontrastare con l’art. 8 disp. prel. c.c. “nelle materie regolate dalle leggi e dairegolamenti, gli usi hanno efficacia, solo in quanto sono da essi richiamati”. LaLegislazione del Lavoro nei confronti della contrattazione collettiva, può svolgerela funzione: o ausiliaria (si pensi, ad es., a quelle norme dello Statuto dei lavoratoriche tutelano le libertà sindacali che, fino alla sua entrata in vigore, erano riconosciutesolo a settori sindacali più forti); o di sostegno o promozionale (si pensi, ad es., allalegge n. 146 rimessa in misura paritaria alla contrattazione collettiva).Nell’evoluzione storica del diritto del lavoro, si possono distinguere tra fasi:

1. Fase della legislazione sociale in cui le leggi in materia di lavoro hannocarattere “eccezionale”, rispetto al diritto privato comune;

2. Fase dell’incorporazione del diritto del lavoro nel sistema del diritto privato;3. Fase della costituzionalizzazione del diritto del lavoro.

Per legislazione sociale s’intende l’insieme delle norme e degli istituti giuridicidiretti alla protezione di coloro che si trovano in particolari condizioni di bisogno(lavoratori, cittadini nobili al lavoro e sprovvisti di mezzi necessari allasopravvivenza). Prima del codice vigente, da un lato si collocava il diritto civiledel 1865, e dell’altro vi erano delle norme “eccezionali”, rispetto a questo, chetutelavano i lavoratori; esse formavano proprio la legislazione sociale, nata inseguito alla rivoluzione industriale. Allora comunque, non era prevista, però, unaspecifica disciplina né per il contratto di lavoro, né per il lavoro industriale(subordinato solo all’autonomia privata); faceva eccezione solo la “locazione diopere e servizi” che era a tempo determinato, per evitare la costituzione di rapporti

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simili alla servitù della gleba, o peggio, della schiavitù. A partire dal XIX secololo Stato decise d’intervenire, dettando una serie di disposizioni di legge, dettate inderoga ai principi del codice civile, al fine di proteggere il lavoro i cosiddetticollegi dei probiviri istituiti con decreto reale e composti da un presidente (sceltotra i magistrati) e, in numero pari, da rappresentanti degli industriali e degli operai.In ogni collegio erano, poi, costituiti un ufficio di conciliazione ed una giuria,con funzione giurisdizionale, di decisione nella controversia di lavoro tra operaied industriali, qualora non si giungesse ad un accordo tra le parti in sede diconciliazione; si decideva in base al criterio della ragionevolezza.

Nella fase dell’incorporazione dei principi e della disciplina del lavoro nel dirittoprivato, si ottenne un’unificazione tra diritto civile, del lavoro e commerciale, chenonostante, tutto, però, rimasero della disciplina dotate di una propria autonomiadidattica e scientifica. Questa fase vide l’introduzione della cosiddetta“corporazione che stabiliva le norme relative alla disciplina della produzione,sotto il controllo del Ministero delle corporazioni, mentre le eventualicontroversie erano decise dalla Magistratura del lavoro. In tale sistema isindacati erano trasformati in organi burocratici privi di rappresentatività e spintaconflittuale.

Nella Costituzione il rapporto di lavoro è inteso come un “rapporto diproduzione” fonte di vantaggio, per il datore di lavoro, e di svantaggio per illavoratore, tutelato e disciplinato dallo Stato e dall’autonomia privata (cioè daisingoli organizzati in sindacati). Anche la Corte costituzionale ha avuto un ruolofondamentale nel processo di adeguamento del codice civile e delle leggi speciali,al dettato della Costituzione, mediante la pronuncia di sentenze: interpretative dirigetto o di accoglimento con le quali dichiarava la legittimità o l’illegittimità diuna o più interpretazioni possibili di una disposizione legislativa sottoposta al suogiudizio; sostitutive che eliminano una parte del teso, sostituendola con unenunciato normativo, conforme alla Costituzione; additive che integravano nonsolo la disposizione, ma anche la norma di legge, al fine di porre rimedio adun’omissione del legislatore, senza, però, variare il testo.

A partire dal 1975 si afferma la fase del lavoro della crisi, caratterizzata dainterventi legislativi più o meno originali, tendenti a raggiungere particolari obiettiviquali: la stabilità dell’occupazione e continuità del reddito dei lavoratori;l’introduzione delle forme d’impiego flessibile della forza-lavoro; la riduzione deltasso d’inflazione, ecc. Gli anni ’80 sono caratterizzati dalla legislazionecontrattata, cioè la produzione legislativa era originata dalla partecipazione delleparti sociali. Negli anni ’90, invece, vi furono gli accordi triangolari (Protocollo del23-07-93; Patto per il lavoro del 24-9-96 e Patto Sociale per lo sviluppo el’occupazione del 22-12-98), che portarono all’unificazione normativa dei dipendentipubblici e privati, al fine di accrescere l’efficienza dell’organizzazioneamministrativa. Le fonti possono essere “di produzione” (cioè modi di formazionedelle norme, tutti quei fatti ed atti idonei a creare, modificare ed estinguere le normegiuridiche) e “di cognizione” (cioè mezzi per conoscere le norme giuridiche giàesistenti; ad es. la raccolta Ufficiale degli Atti della Repubblica italiana, ecc.). Lefonti Atto sono le norme scritte, o i testi normativi, in cui si manifesta la volontà dello

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Stato; le fonti Fatto, invece, sono tutti quei comportamenti che scaturiscono dallavolontà collettiva. La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato, che rappresenta il punto di

riferimento di tutto il sistema normativo. È entrata in vigore il 1-1-’48; è Votata(approvata da un’assemblea costituente, eletta dal popolo) e Rigida (permodificarla sono necessarie delle leggi di revisione costituzionale, formate con unprocedimento complesso. È costituita da 139 artt. più 18 disposizioni transitorie efinali e si divide in tre parti: i principi fondamentali; i diritti e i doveri deicittadini; l’ordinamento della Repubblica. Gli artt. più rilevanti in materia dilavoro sono: l’art. 1 (in cui è riconosciuto un nesso tra democrazia e lavoro);l’art. 3 (in cui è proclamata l’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini);l’art. 4 (per cui la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro epromuove le condizioni per rendere effettivo tale diritto); l’art. 36 (che riconosceil diritto alla retribuzione e al riposo dei lavoratori); l’art. 37 (che riconosce laparità di retribuzione per i minori e le donne, rispetto a quello dell’uomo); l’art.38 (che riconosce il diritto all’assistenza sociale e alla previdenza per i lavoratori);gli artt. 39-40 (che riconoscono i diritti sindacali: associazione e sciopero); l’art.46 (che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare all’impresa).

Il codice civile attuale fu approvato con decreto regio il 16-3-’42; è formato di2969 artt. ed è diviso in 6 LIBRI: I° delle persone; II° delle successioni; III°dellaproprietà; IV° delle obbligazioni; V° del lavoro; VI° della tutela dei diritti. I primiquattro titoli del LIBRO I° sono intitolati:

Della disciplina delle attività professionale; Del lavoro nell’impresa; Del lavoro autonomo; Del lavoro subordinato i particolari rapporti.

Gli usi e le consuetudini sono fonti-fatto, cioè l’espressione di un certocomportamento da parte di una collettività, tenuto per un periodo prolungato, conla convinzione di seguire un obbligo giuridico. Sono fonti subordinate sia alleleggi, sia ai regolamenti e, nei confronti della legge, la consuetudine può essere:CONTRA (contraria alla legge); SECUNDUM (integra il contenuto della legge);PRAETER (disciplina una materia non regolata dalla legge). L’uso consta di unelemento “soggettivo”, cioè la convinzione della giuridica necessità delcomportamento; un elemento “oggettivo”, cioè il ripetersi di un comportamentocostante ed uniforme per un dato periodo di tempo. È prevista la redazione scrittadelle norme consuetudinarie (in Italia, ad es. la raccolta degli Usi), affidata alleCamere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura, che sottopongonoquesta a revisione periodica, per inserirvi usi nuovi, o eliminarne quelli non piùvigenti.

Il diritto comunitario è l’insieme delle norme giuridiche che disciplinano lerelazioni tra i cittadini e gli Stati dell’U.E. La sua caratteristica consiste nel fattoche non solo regola i rapporti interni all’U.E. , ma che è attuato nel sistemagiuridico di ciascuno Stato membro. Sono praticamente emanate, oltre che dagliorgani abilitati dalla CEE, anche da quelli della CEEA (comunità europeadell’energia atomica) e dalla CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio).

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I regolamenti hanno portata generale, cioè producono i loro effetti nei confrontidi un numero indeterminato di destinatari (Stati membri, persone fisiche egiuridiche operanti negli Stati stessi), e le loro prescrizioni sono astratte; concarattere obbligatorio, in tutti i suoi elementi ed, infine, hanno direttaapplicabilità in ciascuno Stato membro; producono automaticamente i loro effettinegli Stati al pari delle leggi nazionali e sono idonei a conferire diritti ed imporreobblighi ai singoli Stati, ai loro organi ed ai privati. Di solito, entrano in vigore 20giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della CE. Esseprevalgono sulla legge nazionale e, in caso di contrasto con una legge nazionale e,in caso di contrasto con una legge interna, questa dev’esser disapplicata dalgiudice, senza difendere la dichiarazione d’incostituzionalità.

Le direttive contengono delle norme di scopo perché riguardano il risultato daraggiungere, lasciando lo Stato libero di attuarla con mezzi ritenuti più idonei arealizzarle. Hanno portata particolare e non sono immediatamente vincolanti,quindi, non direttamente applicabili all’interno degli Stati membri, ma hannoun’efficacia mediata da provvedimenti di attuazione che gli stati ritengono piùopportuni adottare. Di solito, contengono un “termine” entro il quale lo Statomembro ha l’obbligo di conformarsi. Nel caso di contrasto tra una norma internaed una direttiva, la Corte costituzionale ha previsto che il giudice possa sollevarela questione di legittimità di essa.

La CEE è nata con il trattato di Roma (1957) le cui principali disposizioni socialiriguardano la libera circolazione dei lavoratori e la parità di retribuzione fra ilavoratori. Le disposizioni furono modificate con l’Atto unico europeo (1986) cheproponeva il cosiddetto “dialogo sociale” che potesse sfociare in relazioniconvenzionali per favorire l’abolizione delle barriere socio-economiche; la libertà didecidere, da parte dei cittadini, dove vivere, lavorare, trasferire i propri capitali, ecc.Con il Trattato di Maastricht (1992) fu istituita l’U.E. con l’obiettivo di attuare unprocesso di unificazione economica monetaria degli Stati membri. Gli Statis’impegnano ad avviare un’azione comune per il perseguimento di obiettivi socialiquali: la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e dilavoro, il dialogo sociale. A tali obiettivi comunitari non aderì, inizialmente, il RegnoUnito, che, però, cambiò idea nel 1997, in seguito al Trattato di Amsterdam.

Il lavoro subordinatoIl LIBRO V disciplina non solo il lavoro nell’impresa, ma anche quello che si svolgeal di fuori di essa. La locazione di opere e servizi, disciplinata dal codice civile del1865, (comprendente tanto il lavoro subordinato, quanto quello autonomo) era intesacome “contratto per cui una delle parti si obbliga a fare per l’altra una cosa,mediante la pattuita mercede”. Le principali specie di locazioni di opere erano: 1)quella per cui le persone obbligano la propria opera all’altrui servizio; 2) quella percui le persone s’incaricano del trasporto di persone o cose; 3) quella degliimprenditori di opere ad appalto o cottimo. La locatio operarum (= attività dilavoro) è il lavoro subordinato, caratterizzato dalla temporaneità o duratadell’utilizzazione delle opere, da parte del datore di lavoro, che si vede assegnare dallavoratore la propria attività lavorativa, intesa come somma di energie erogate (si

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pensi, ad es., ad un sarta che si obbliga a lavorare per una sartoria, dalla quale vieneretribuita, in base al tempo in cui resta a disposizione di questa e non in base agli abiticonfezionati per questa). La locatio operis (=risultato del lavoratore) è il lavoroautonomo, caratterizzato da un dare aliquid faciendum (qualcosa da fare) allavoratore che si obbliga al compimento dell’opera pattuita: può trattarsi sia di unacosa materiale, sia di un servizio (come la custodia o il trasporto). Viene consideratoil risultato della prestazione di lavoro (si pensi, ad es., ad un sarto che si obbliga alavorare per un cliente che gli commissiona uno o più abiti per i quali verràretribuito). I rischi inerenti alla realizzazione della prestazione lavorativa sono:

il rischio dell’utilità del lavoro, che incide sul risultato prodottodall’erogazione delle energie lavorative, ed è dipendente dalla difficoltàtecnico-economica del risultato medesimo. Nella locatio operis è integralmentea carico del lavoratore autonomo che si obbliga a prestare l’opera finita,indipendentemente dal costo sostenuto per realizzarla;

il rischio dell’impossibilità (o mancanza) di lavoro sopravvenuta per effettodel caso fortuito o forza maggiore, che si oppongano nell’esecuzione dellaprestazione. Tale rischio può ravvisarsi in tutte le ipotesi d’impedimento dellavoratore a prestare il proprio lavoro, sia per “cause soggettive” (gravidanza,malattia, infortunio, ecc.) sia per “cause oggettive” (mancanza di materie primeo la pioggia che impedisce l’esecuzione di lavori agricoli o edili, ecc.). Laprestazione e la retribuzione si estinguono, quindi, è un rischio a carico sia dellavoratore sia del datore di lavoro.

E’ stata progressivamente la giurisprudenza ad introdurre e ad utilizzare il concetto disubordinazione intesa come “sottoposizione del debitore-locatore delle opere, alladirezione o al controllo del creditore-conduttore”. Quindi, un comportamento dovutodal lavoratore, al datore di lavoro, per ottenere in cambio da quest’ultimo, unaretribuzione per tutto il tempo per cui rimane a sua disposizione. L’art. 2094, anzichéfornire la definizione del contratto di lavoro, prevede, invece, quella del prestatoredi lavoro subordinato, per cui: “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga,mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro(intellettuale o manuale) alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Datale disposizione deriva la concezione della subordinazione come “tecnico-funzionale”, cioè dipendenza del lavoratore, alla direzione del datore, nell’esecuzionedella sua prestazione. Secondo un diverso indirizzo dottrinale, essa si configura,invece, come “presupposto economico-sociale” del contratto di lavoro,caratterizzato dalla condizione di debolezza ed inferiorità economica del lavoratore,nei confronti del debitore) che è necessitato dalle esigenze di vita ad affaire la propriaforza-lavoro. Si tratta, quindi, di una posizione di soggezione economica estranea alrisultato, all’organizzazione e ai mezzi di produzione dell’imprenditore. Tale dottrinanon può essere, però, accolta perché situazioni d’inferiorità socio-economicapotrebbe presentarsi anche in altri ambiti (come quello agricolo) e nonnecessariamente in quello del lavoro subordinato. Nel codice civile, il legislatore erainteso precisare il concetto della subordinazione, collegandola al momento prevalentedella collaborazione che s’identifica proprio come “risultato tecnico-funzionale”della prestazione di lavoro, resa dal lavoratore, in cambio della retribuzione.

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Letteralmente, sta a significare “lavorare insieme” mentre, in senso ampio, illegislatore sembra che abbia fatto riferimento alla collaborazione, per definire lasituazione soggettiva del prestatore di lavoro, nella sua qualità di “collaboratoredell’impresa”. La collaborazione è, però, caratterizzata dalla continuità dellaprestazione di lavoro, da parte del lavoratore, nei confronti del datore. Nel lavorosubordinato essa deve intendersi non in “senso materiale” cioè disponibilità al lavoronel tempo e nello spazio; ma in “senso ideale” cioè dipendenza o disponibilitàfunzionale del prestatore all’impresa altrui. Da ciò deriva il fatto che il lavoratore èvincolato, al suo datore, anche durante le pause interruttive di lavoro (pur nonessendo tenuto ad esso) e che la responsabilità per i danni causati a terzi dallavoratore, nell’esecuzione della prestazione, ricade sul datore. La giurisprudenza haindividuato dei requisiti del lavoro subordinato per distinguerlo da quello autonomo:continuità (stabilità nel tempo della disponibilità funzionale del lavoratoreall’impresa); collaborazione (inserzione del lavoratore nell’organizzazioneproduttiva dell’impresa); subordinazione ed incidenza del rischio dell’attivitàlavorativa sul datore di lavoro. Il modello proposto dalla giurisprudenza, in realtà,non può considerarsi valido del tutto, perché, ad es., l’inserzione del prestatore dilavoro nell’organizzazione aziendale, può aversi sotto forma di collaborazionecoordinata e continuativa anche nel lavoro autonomo. L’art. 2222 è dedicato alcontratto d’opera e definisce il lavoratore autonomo come “quella persona che siobbliga a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoroprevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti delcommittente”. Vi è, quindi, un elemento d’atipicità che l’autonomia delle parti puòintrodurre nei contratti di lavoro autonomo e, in particolare, nel contratto d’opera.Alla categoria dei contratti di lavoro autonomo, sono riconducibili: l’appalto, ilcontratto con cui l’appaltatore assume, con organizzazione dei mezzi necessari e congestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio per ilcommittente, verso un corrispettivo in denaro; il trasporto, il contratto con cui ilvettore si obbliga, verso un corrispettivo, a trasferire persone o cose da un luogo adun altro; il deposito generico, il contratto con cui il depositante si avvale dellacooperazione del depositario per custodire cose mobili (momentaneamente nonutilizzate) in luogo sicuro (di cui il depositante non abbia disponibilità); il mandato(con o senza rappresentanza) con cui il mandatario si obbliga a compiere uno o piùatti giuridici per conto del mandante. Vi è un forte interesse, da parte del lavoratore, avedere riconosciuto il proprio vincolo di subordinazione dal datore, sul pianogiudiziario, per una serie di effetti:

indiretti cioè, che incidono sulle conseguenze della costituzione del rapportodi lavoro, dalla cui esistenza derivano una serie di situazioni soggettive esternedi rilevanza previdenziale. Fra questi il cosiddetto Rapporto di previdenzasociale, che intercorre tra: lavoratore, datore ed ente previdenziale;

diretti cioè, che incidono sul regolamento contrattuale, in particolar modo,sulla retribuzione (per es. il diritto alle ferie o al TFR, ecc.).

Autonomia privata e rapporto di lavoro

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L’esecuzione del contratto e la concreta attuazione delle obbligazioni che nescaturiscono non sono, di regola, demandate all’autonomia negoziale degli stessi,poiché la legge si preoccupa di imporre direttamente o indirettamente tutta una seriedi precise limitazioni. La legge e, per essa la contrattazione collettiva, intervengonoper stabilire il contenuto di non poche disposizioni o clausole negoziali, relativa alrapporto tra datore e prestatore di lavoro: ad es. la determinazione della durata (orariodi lavoro) o del tipo della prestazione (qualifica e mansioni) o della retribuzione (chedeve rispettare i cosiddetti “minimi” di trattamento economico del lavoratore).Questo ha portato a parlare di acontrattualità del rapporto di lavoro, visto che,partendo dall’art. 1321 c.c. “il contratto è l’accordo fra due o più parti per costituireun rapporto giuridico patrimoniale”, manca quasi del tutto l’accordo delle parti, nelladefinizione degli effetti e degli elementi costitutivi del contratto. In realtà, ladisciplina regolatrice del rapporto di lavoro è una disciplina inderogabile che, però,non era natura imperativa (=di ordine pubblico) potendo essere, in ogni momentoderogata dall’autonomia privata, anche se soltanto con disposizioni di favore per illavoratore. Ci si trova, quindi, in presenza non di una soppressione dell’autonomiacontrattuale, bensì della sua “compressione”. Oggetto di contrasti in materia è statol’art. 2126 c.c. il quale dispone che: “la nullità o l’annullamento del contratto dilavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvoche la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Se il lavoro è statoprestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha inogni caso diritto alla retribuzione”. La norma sancisce, quindi, l’irretroattività dellevicende tendenti all’eliminazione del negozio invalido. L’art. nel momento in cuiriconosce determinati effetti al contratto nullo o annullabile, implicitamente riconoscela rilevanza del contratto come fonte produttiva degli effetti stessi. Il rapporto resta,perciò, di natura contrattuale anche se dal contratto, sicuramente discendono effettiche non sono voluti dalle parti, ma sono imposti alle stesse dall’intervento della leggee dei contratti collettivi. Il principio dell’inderogabilità del regolamento contrattualeimposto dalla legge e dai contratti collettivi, si combina con il principio dellaprevalenza del trattamento più favorevole al lavoratore ( cosiddetto principio delfavor). A tal principio, però, è stata riportata un’eccezione, rappresentatadall’introduzione della flessibilità del lavoro, che non garantisce la stabilità del postodi lavoro. Si ricordi, poi, la cosiddetta convenzione di Roma (1980), la quale haprevisto che, in caso di mancanza di scelta delle parti, il contratto di lavoro è regolatodalla legge del Paese in cui il lavoratore compie attualmente il suo lavoro (anche seinviato temporaneamente in un altro Paese); dalla legge del Paese in cui si trova lasede che ha proceduto all’assunzione del lavoratore, quando questi non compiaabitualmente il suo lavoro in uno stesso paese. Le parti, comunque, sono libere didecidere diversamente, purché la legge regolatrice del contratto, non privi illavoratore della protezione, assicuratagli dalle norme imperative della legge;solitamente il contratto è:

inefficace quando, anche se valido, non realizza gli effetti voluti dalle parti, perla mancanza di un elemento perfezionatore;

invalido quando è privo di un elemento essenziale o è affetto da vizi: le caused’invalidità sono la nullità o l’annullabilità;

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nullo quando è privo di un elemento essenziale o è illecito (contrario a normeimperative, all’rodine pubblico o al buon costume); la nullità può essere, poi,totale o parziale, se riferito a tutto o solo una parte del contratto;

annullabile quando è posto in essere da un incapace d’agire (interdetto ominorenne) o è affetto da vizi del volere che impediscono il regolaresvolgimento del processo valutativo e decisionale.

Il contratto di lavoro è consensuale, ad effetti obbligatori e a prestazioni corrispettive,il cui contenuto deve uniformarsi alle norme di legge ed ai contratti collettivi. Glielementi essenziali sono: l’accordo, cioè il reciproco consenso delle parti in ordineal programma contrattuale. Le due volontà (proposta ed accettazione) si fondano inun’unica comune volontà. Poiché il contratto di lavoro è concluso nel momento in cuiil lavoratore aderisce alla proposta del datore di lavoro, si è affermato che il contrattoindividuale di lavoro possa essere ricondotto allo schema del contratto di adesione,dal quale si differenzia per il fatto che le condizioni generali sono disposte nonunilateralmente, bensì in modo bilaterale. Il consenso dev’essere dato da un soggettodotato di capacità giuridica e capacità d’agire. Esiste, poi, la cosiddetta “capacitàgiuridica speciale”, intesa come l’idoneità del soggetto ad essere titolare di unaparticolare situazione soggettiva; in tal caso, l’idoneità a prestare lavoro, che dipendedall’attitudine fisiologica o capacità naturale della persona all’esecuzione dellaprestazione. Perciò che concerne la figura del datore di lavoro, non sono previstirequisiti soggettivi speciali, applicandosi le stesse norme dettate per la capacitàgiuridica e d’agire della generalità dei soggetti. La figura dell’imprenditore èparticolare per due aspetti: la spersonalizzazione dell’imprenditore agli effetti dellaformazione e conclusione del contratto e della formazione e conclusione delcontratto; cioè, nel caso di morte o d’incapacità dell’imprenditore, il contrattostipulato , prima di ciò, non perde efficacia; la successione nel caso di trasferimentod’azienda, per cui il rapporto di lavoro continua con l’acquirente ed il lavoratoreconserva, comunque, i propri diritti nei confronti di essa. L’oggetto del contratto dilavoro sono le due obbligazioni: lo svolgimento di un’attività lavorativa (facere) e laretribuzione. La forma è il modo in cui la proposta e l’accettazione vengonomanifestate; è un elemento essenziale quando risulta che è prescritta dalla legge, apena di nullità. A tal proposito, si ricordi che un decreto legislativo del 95 haintrodotto l’obbligo di formazione circa le principali condizioni applicabili alcontratto, le generalità dei contraenti, il luogo di lavoro, le mansioni assegnate allavoratore, ecc. Tali informazioni devono essere riportate, entro 30 giornidall’assunzione, da parte del datore, in forma scritta. In caso di mancato, ritardato,inesatto o incompleto assolvimento dell’obbligo di comunicazione, il lavoratore puòchiedere alla direzione provinciale del lavoro d’intimare al datore di lavoro, di fornireentro 15 giorni, le informazioni previste. Qualora il datore rifiuta, va incontro asanzioni amministrative. Le informazioni, oltre che nella lettera d’assunzione,possono essere riportate anche in un altro momento da consegnare sempre allavoratore. La causa è la funzione economico-sociale a cui il contratto adempie; nelcontratto di lavoro è lo scambio tra collaborazione del prestatore e la retribuzione daparte del datore di lavoro. Gli elementi accidentali costituiscono un arricchimentodell’autonomia negoziale, rivolti a modificare e limitare il contenuto dei contratti: la

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condizione è la clausola, introdotta nel contratto, per farne dipendere l’efficacia o larisoluzione da un avvenimento futuro ed incerto. La condizione è “risolutiva” sedall’evento dipende la cessazione degli effetti del contratto; è “sospensiva” sedall’evento dipende l’efficacia del contratto; il termine, invece, è la clausolaintrodotta nel contratto per farne dipendere l’efficacia o la risoluzione da un momentodel tempo futuro e certo; il termine può essere “iniziale” (se segna l’inizio deglieffetti contrattuali ) oppure “finale” (se segna la fine degli effetti contrattuali). Unaltro elemento accidentale è il patto di prova a cui è dedicato l’art. 2096 per cui:l’assunzione del prestatore di lavoro, per un periodo di prova, deve risultare da unatto scritto. Durante tale periodo, le parti possono recedere dal contratto, senzaobbligo di preavviso o d’indennità. Se, però, la prova è stabilita per un tempominimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza deltermine. Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva ed il servizioprestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro. L’oggetto della prova è,quindi, l’esperimento, importante, per il datore, per verificare le capacità di lavoro delprestatore; e, per il lavoratore, per verificare la convenienza del posto di lavoro. Diregola, la durata del periodo di prova è fissata dai contratti collettivi, ma il rapporto,comunque non può andare oltre i sei mesi. La posizione del lavoratore in prova èequiparata tendenzialmente a quella dell’assunzione definitiva (per es. spetta il TFR,le ferie retribuite, ecc.). I vizi della volontà sono delle circostanze perturbatrici chehanno indotto un soggetto a concludere un contratto che altrimenti non avrebbeconcluso, o che avrebbe concluso a condizioni diverse. I vizi del volere sono:l’errore è la falsa conoscenza di qualcosa; la violenza morale è la minaccia di unmale ingiusto e notevole, da fare impressione su di una persona sensata; il dolo è unraggiro o inganno messo in opera da una parte nei confronti dell’altra. Diversa daivizi della volontà è la simulazione cioè “l’accordo con il quale le parti giungono diporre in essere un contratto che in beffeggi non vogliono affatto (simulazioneassoluta) o che avrebbero stipulato in altra forma (simulazione relativa). Il contrattoposto in essere è detto simulato, quello effettivamente voluto, è detto dissimulato.Non essendo voluto dalle parti, il primo non produce effetti tra le parti, ma produrrà isuoi effetti, invece, il secondo (contratto d’opera o altro contratto di lavoro autonomo,che emerge dalla realtà negoziale). Esso, però, deve presentare tutti i requisiti diforma e sostanza, altrimenti, nel caso in cui esso funge da strumento per larealizzazione di un contratto illecito, è nullo.

La prestazione di lavoro

Norma fondamentale relativa alla prestazione di lavoro, è quella contenuta nell’art.2104 c.c. per cui: “il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dallanatura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quella superioredella produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione eper la disciplina del lavoro, impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo,dai quali gerarchicamente dipende”. L’art. fissa due requisiti caratteristici dellaprestazione, e quindi, della subordinazione: la diligenza e l’obbedienza, mediante iquali è possibile stabilire se il lavoratore è adempiente o meno al lavoro. Il criterio

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della diligenza sembra ricollegarsi all’art. 1176 c.c. per cui: “nell’adempiereall’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia”. Ladiligenza può differenziarsi a seconda della “natura della prestazione”, cioè del tipodi mansioni svolte dal lavoratore, di conseguenza, la diligenza per le mansioniimpiegatizie sarà diversa da quella richiesta per le mansioni operaie, dirigente, ecc.Altri due criteri per la valutazione del comportamento dovuto dal prestatore sono:“l’interesse superiore della produzione nazionale”, che riflette l’ideologiacorporativa dello statalismo economico, per cui tutte le attività economiche eprofessionali devono tendere ad un fine comune come, appunto, l’interesse dellanazione; “l’interesse dell’impresa”, inteso sia in senso “oggettivo” (cioè interessedell’impresa in sé come istituzione), sia in senso “soggettivo” (cioè interessedell’imprenditore). Nonostante parte della dottrina si sia orientata nel sensooggettivo, in realtà, dev’essere inteso in senso soggettivo. Anche il requisitodell’obbedienza non è unico, ma può variare e si manifesta nell’osservanza delledisposizioni impartite per l’esecuzione e la disciplina del lavoro in cui si estrinseca ilpotere del datore di lavoro. Esso è:

potere direttivo: consiste nella capacità d’impartire ordini per l’esecuzione dellavoro. Si tratta di un potere essenzialmente organizzativo, necessario perché laprestazione del lavoratore raggiunga gli esiti prestabiliti. I comandidell’imprenditore possono essere relativi o all’organizzazione del lavoro, o alladisciplina del lavoro, cioè alla regolamentazione della convivenza tra i diversilavoratori che collaborano all’impresa;

potere disciplinare: consiste nella possibilità di applicare sanzioni disciplinariai lavoratori che violano uno dei loro obblighi di comportamento: al lavoro,alla fedeltà o all’obbedienza.

A norma dell’art. 2106 c.c. “le sanzioni disciplinari vengono applicatedall’imprenditore “in proporzione” alla gravità dell’infrazione commessa e inconformità dei contratti collettivi”, esse vanno dal rimprovero verbale (o scritto) allamulta ed alla sospensione dal lavoro (con corrispondente retribuzione) fino allicenziamento, che è la maggiore delle sanzioni disciplinari. Dall’art. 2105 c.c.scaturisce, poi, l’obbligo di fedeltà, che si sostanzia nel divieto di svolgere attività inconcorrenza con quella dell’impresa e divulgare o utilizzare, a vantaggio proprio oaltrui notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, inmodo da poter arrecare ad essa pregiudizio. Non costituisce, invece, concorrenzal’attività inventiva del lavoratore che se:

è oggetto del contratto di lavoro, i diritti dell’invenzione, eventualmente fattadal lavoratore, appartengono al datore di lavoro;

non è oggetto del contratto di lavoro, ma l’invenzione è fatta in esecuzione diessa, i diritti spettano al datore, mentre un “equo premio” spetta al lavoratore;

è fatta indipendentemente dal rapporto di lavoro i diritti spettano al lavoratore,ma il datore ha il diritto di prelazione per l’uso della stessa.

Il legislatore ha, comunque, previsto la possibilità di stipulare un patto di nonconcorrenza, anche per il periodo successivo alla cessazione del rapporto (3 anni, ingenerale; 5 anni per i dirigenti). In ogni caso è prevista la forma scritta, in cui rientrail divieto di divulgare i cosiddetti segreti aziendali. Le mansioni (art. 2103 c.c.)

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costituiscono l’insieme dei compiti e delle operazioni, che il lavoratoreindividualmente può essere chiamato a svolgere e che possono essere pretesi daldatore di lavoro. Esse s’identificano con la “posizione del lavoratore” nellaorganizzazione del lavoro e con l’”oggetto della prestazione” di lavoro, di una delledue obbligazioni. In base alle effettive mansioni possono essere di carattere tecnico-intellettuale o manuale. In base alle effettive mansioni svolte dai lavoratori, vengonostabilite le qualifiche, da parte dei contratti collettivi. Poiché esistono diversemansioni, ognuna di esse richiede diversi livelli di abilità, esperienza, conoscenzatecnica e pratica, insomma, diversi livelli di capacità lavorativa. Di qui, l’esigenza didifferenziare il trattamento salariale e normativo per ciascun lavoratore. Il terminecategoria (o qualifica) ha due significati contrastanti, ma complementari: categorielegali e categorie contrattuali. Le categorie contrattuali caratterizzarono, in passato,l’ambito industriale e vennero così definite per distinguerle da quelle legali. Lacontrattazione collettiva riservava per ognuna di esse trattamenti diversi: gliimpiegati si distinguevano in quelli di: I°, II°, III°, IV° categoria, con riferimento allacomplessità e responsabilità delle mansioni; gli operai si distinguevano in:specializzati, qualificati, comuni e manuali; gli intermedi (o equiparati) erano figureintermedie tra operai e impiegati, con particolare responsabilità di guida e controllo(per es. il capo-squadra); i funzionari erano presenti nel settore del credito eassicurazioni, intermedi tra gli impiegati di più alta qualifica e i dirigenti (per es. ifunzionari di banca). Le categorie legali sono individuate dall’art. 2095 c.c. per cui:“i prestatori di lavoro subordinato si distinguono in: dirigenti, quadri, operai edimpiegati. A determinare i requisiti d’appartenenza, per ciascuna categoria sono: icontratti collettivi e le leggi speciali”. La distinzione tra impiegati ed operai si basavasu quella tra lavoro prevalentemente intellettuale per i primi e, lavoroprevalentemente manuale per i secondi. Poiché non di rado impiegati potevanosvolgere lavoro più manuale che intellettuale e, viceversa per gli operai, si è passatiad un altro criterio di distinzione per cui: l’operaio collabora “nell’”impresa, perchésvolge l’attività produttiva; l’impiegato collabora “all’”impresa, perché contribuisceall’organizzazione dell’attività produttiva. Successivamente, invece, gli operai eranogli ignoranti, mentre gli impiegati erano quelli che conoscevano i segni della scritturae sapevano leggere, scrivere e far di conto. Negli anni ’70, però, tutto ciò cambiò conl’introduzione del c. “inquadramento unico”, per cui vi è un’unica classificazione,generalmente in sette o otto categorie, corrispondenti ad altrettanti livelli di attivitàprestata e di retribuzione corrispondenti. Nella nuova scala di categorie contrattuali,quindi, operai ed impiegati possono trovarsi allo stesso livello; si è così permesso unrapporto d’equivalenza non solo retributivo, ma anche di dignità professionale. Idirigenti fanno parte di una categoria di formazione relativamente recente. In unprimo momento vennero considerati “impiegati superiori”, ma con l’introduzionedell’ordinamento corporativo, divennero figure autonome. La contrattazionecollettiva li qualifica come: “I lavoratori che ricoprono nell’azienda un ruolocaratterizzato da un elevato grado di personalità, autonomia e potere decisionale edesplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazionedegli obiettivi dell’impresa”. Essi hanno, dunque, un’organizzazione sindacale, unacontrattazione collettiva ed un trattamento previdenziale, diverso da quello degli altri

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lavoratori (:direttori tecnici o amministrativi; i capi-ufficio; ecc.). I quadri sonoprestatori di lavoro subordinato che, pur non essendo dirigenti, svolgono funzioni digrande importanza, ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli scopi dell’impresa.E’ stata la Legge n. 190/85 a riconoscere i quadri come figure autonome e a rinviarealla contrattazione collettiva, i requisiti che li caratterizzano. La legge li ha definiticome “lavoratori che svolgono funzioni, in modo continuativo, di rilevanteimportanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa”. Nelcontratto di lavoro, il contenuto delle obbligazioni (la prestazione di lavoro, inparticolare), a differenza di altri contratti, presenta un andamento dinamico, che puòrendere la prestazione differente, rispetto a come stabiliti inizialmente. Questo perdue ragioni:

mutamenti indotti dall’innovazione tecnologica o di tipo organizzativo; per volontà del datore di lavoro, che organizza la produzione (in altri contratti,

invece, solo per mutuo consenso).il potere di modificare unilateralmente la prestazione di lavoro è detto “ius variandi”,sancito dall’art. 2103 c.c. del 1942, modificato in seguito all’emanazione delloStatuto dei lavoratori (art. 13). L’art. 2103 c.c. dispone che: “il prestatore di lavorodev’essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondentialla categoria superiore che abbia successivamente acquisito o a mansioniequivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione diretribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori, il prestatore ha dirittoal trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa divienedefinitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratoreassente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratticollettivi e, comunque, non superiore a tre mesi”. Dalla norma emerge, quindi, lacosiddetta mobilità orizzontale cioè la possibilità, del datore di lavoro, di assegnareal lavoratore delle mansioni “equivalenti” alle ultime effettivamente svolte. Sultermine “equivalente” sono state introdotte diverse opinioni; in particolare, quelladella Corte di Cassazione, per la quale, sono da ritenere tali le mansioni il cuiespletamento consente l’utilizzazione del patrimonio professionale, cioè le nozioni edesperienze, acquisite nella fase precedente del rapporto; è, invece, da escluderel’opinione per cui l’equivalenza sia relativa al semplice livello retributivo, sostenutada parte della giurisprudenza. Dalla norma emerge anche la cosiddetta mobilitàverso l’alto cioè, la possibilità, del debitore di lavoro, di assegnare al lavoratore dellemansioni superiori alle ultime effettivamente svolte. In tal caso, però, il prestatore hadiritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e, in più, che l’assegnazionedivenga definitiva, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e, comunque, nonsuperiore ai tre mesi. Tale assegnazione rimane provvisoria, invece se dovuta ad unasostituzione di un altro dipendente assente, ma con diritto alla conservazione delposto; tali ragioni giustificative sono la malattia o l’infortunio; la gravidanza; ilservizio militare, ecc. L’ultimo comma dell’art. stabilisce che: “ogni patto contrario ènullo”. È solitamente esclusa, invece, la cosiddetta mobilità verso il basso, salvodelle tassative ipotesi previste dalla legge: lavoratrici madri che, durante la gestazionee fino a sette mesi dopo il parto, devono essere adibite a mansioni non pregiudizievolialla salute di questa o del bambino, per sopravvenuta inabilità allo svolgimento delle

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mansioni; o per un accordo sindacale che la richiede per il riassorbimento totale oparziale dei lavoratori, ecc. Nel caso di illegittima adibizione a mansioni inferiori, lagiurisprudenza riconosce al lavoratore il diritto al risarcimento del dannopatrimoniale (per es. mancato sviluppo della carriera); sia non patrimoniale (per ilpregiudizio arrecato alla capacità professionale). L’art. 2103 c.c. disciplina anche iltrasferimento del lavoratore per cui: “il lavoratore non può essere trasferito daun’unità produttiva ad un’altra, se non per comprovate ragioni tecniche,organizzative e produttive”. L’onere di provare tali ragioni ricade sull’imprenditore,che dovrà comunicarla al lavoratore; qualora il trasferimento sia disposto, in assenzadi presupposti legali, dev’essere considerato illegittimo, ed il lavoratore puòdomandare in giudizio l’accertamento della nullità e rifiutarsi di eseguire ilprovvedimento del datore di lavoro. È, comunque, vietato il trasferimento dettato permotivi di discriminazione (sindacale, politica, religiosa, ecc.) o non consensuale, nelcaso di lavoratore che assista con continuità un familiare disabile convivente. Diversadalla mobilità verso l’alto, è il diritto alla promozione (automatica), previstadall’art, 13 SDL, per il quale il prestatore di lavoro, dopo un certo periodo dipermanenza nelle mansioni del livello più basso, automaticamente acquisisce laqualifica corrispondente al livello superiore. Le condizioni di lavoro non dipendonosolo dalla natura e dal tipo di attività svolta, ma anche dall’ambiente di lavoro:inteso come l’insieme dei fattori naturali ed artificiali, in cui svolge la sua attivitàlavorativa, tali fattori sono: i ritmi ed i tempo di lavoro; i locali dell’impresa; imacchinari adibiti alla produzione; le materie di lavorazione, ecc. Nell’ambiente dilavoro si pone, però, il problema della tutela della persona fisica e della personalitàmorale del prestatore tra i diversi articoli, che tutelano la persona e al sua salute esicurezza: l’art. 32 per cui “La repubblica tutela la salute come fondamentale dirittodell’individuo (che ha risvolti anche verso la collettività) e prevede la garanzia dicure gratuite agli indigenti, ecc.” l’art. 41 per cui “l’iniziativa economica privatadeve svolgersi non in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno allasicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Oltre questi articoli della Costituzione, siricordi, poi, l’art. 2087 c.c. il quale dispone che: “l’imprenditore è tenuto adadottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che sono necessarie a tutelarel’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Al datore è,dunque, posto un obbligo di protezione della persona del lavoratore: consistente sianel rispetto dei limiti delle condizioni lavorative, imposti da leggi e regolamenti (per lprevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro) sia nell’introduzione di misureidonee a prevenire situazioni di pericolo nell’ambiente di lavoro stesso. Tale art. ha,comunque, avuto scarso rilievo, perché solitamente invocato in funzione risarcitoriadi eventi dannosi già verificatisi. L’art. 9 SDL dispone, invece, che: “I lavoratori,mediante loro rappresentanza hanno il diritto di controllare l’applicazione dellenorme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e dipromuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee atutelare la loro salute e integrità fisica”. La norma, se da un lato, riconosce la difesadel singolo lavoratore, dall’altro, però, specifica che l’esercizio dev’essere collettivo,cioè per mezzo di rappresentanze sindacali. Vi è un diritto al controllo sullecondizioni di lavoro esistenti ed un diritto alla promozione di nuove misure protettive

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idonee a modificare e comunque migliorare, le condizioni dell’ambiente lavorativo.A tal fine molti contratti collettivi aziendali hanno previsto sistemi di accertamentodelle condizioni ambientali, da effettuarsi per mezzo di esperti, e a carico delleimprese. Il D. lgs n. 626/’94, fu emanato in virtù della delega conferita da una leggecomunitaria per l’attuazione della direttiva-quadro del giugno ’89, in tema disicurezza del lavoro. Esso è applicato per tutti i settori produttivi (pubblici e privati),benché per alcuni settori sono previsti dei limiti, dovuti alle particolari esigenzeconnesse al servizio prestato (forze armate, servizio di protezione civile, ecc.). ildecreto, modificato con il D. lgs n. 242/’96, ha stabilito una serie di obblighi,penalmente sanzionati, a carico del datore di lavoro. Egli è tenuto a:

valutare i rischi, per la sicurezza e per la salute dei lavoratori nella scelta delleattrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici usati;

individuare ed attuare tutte le misure di prevenzione, ritenute più idoneealla rimozione dei rischi accertati;

redigere un piano di sicurezza, contenente la relazione sulla valutazione deirischi, le misure di prevenzione individuate, nonché il programma degliinterventi e i tempi per il loro adempimento, al fine di garantire ilmiglioramento progressivo dei livelli di sicurezza;

designare un responsabile del servizio di prevenzione e protezione; assicurarsi che il lavoratore ricava un’adeguata formazione in materia di

sicurezza e di salute, con particolare riferimento al rischio specifico derivantedalle mansioni espletate.

La nuova disciplina ha, però, sancito degli obblighi anche a carico dei lavoratori chesono anch’essi tenuti a prendersi cura della propria sicurezza e salute e a collaborarecon il datore nell’adempimento di tutto quanto sia necessario per tutelare la salute e lasicurezza dei lavoratori. L’orario di lavoro stabilisce sia la quantità di lavoro,richiesta ed utilizzata dal datore di lavoro, sia la massima esigibilità della prestazione(che dev’essere continuativa). “Continuità”, intesa non come esecuzione ininterrottadel lavoro (senso materiale), ma come permanenza del vincolo obbligatorio deldebitore delle opere, quantitativamente determinate per mezzo dell’orario di lavoro(senso ideale). Si comprende, allora, perché la durata massima della prestazione siafissata dalla legge e, come solo entro determinati limiti, dall’autonomia privata.L’art. 2107 c.c. : “la durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro, nonpuò superare i limiti stabiliti dalle leggi speciali”. La disciplina prevista attualmente èdi 8 ore giornaliere e 40 settimanali (a differenza delle 48 del passato). Diconseguenza, la disciplina prevista per il lavoro straordinario è applicata sin dalla 41°ora e non più dalla 49°. L’art. 2108 c.c. è dedicato al lavoro straordinario enotturno per cui: “in caso di prolungamento dell’orario normale, il prestatore dilavoro, deve essere compensato per le ore straordinarie, con l’aumento diretribuzione. Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, dev’essereparimenti retribuito con una maggiorazione, rispetto al lavoro diurno. I limiti, entro iquali sono consentiti il lavoro notturno e straordinario, la durata e la misura dellamaggiorazione sono stabiliti dalla legge”.Il lavoro straordinario è ammesso, soltanto previo accordo delle parti, garantendo allavoratore una maggiorazione della retribuzione oraria, non inferiore al 10% e non

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superando le 12 ore settimanali. A partire dal 1995, al fine di rendereeconomicamente meno appetibile, per le imprese, il ricorso al lavoro straordinario, illegislatore ha previsto che l’esecuzione di ore di lavoro eccedenti le 45 settimanali,per le imprese con più di 15 dipendenti, comporta anche il versamento all’INPS i uncontributo, pari al 5% delle retribuzioni corrisposte per le predette ore. Nelle impreseindustriali, comunque, il lavoro straordinario è consentito nei casi di forza maggiore oquando la cessazione del lavoro a orario normale costituisca pericolo per le persone oper la produzione, ipotesi in cui il datore di lavoro è obbligato a darnecomunicazione, entro 24 ore dall’inizio, alle R.S.A.. Altri casi, in cui esso è possibilesono: esigenze tecnico-produttive o impossibilità di fronteggiare determinatesituazioni mediante l’assunzione di altri lavoratori; ricorrenza di fiere, mostre e altremanifestazioni collegate all’attività produttiva dell’impresa.Per lavoro notturno deve intendersi “l’attività svolta nel corso di un periodo dialmeno 7 ore consecutive, comprendenti l’intervallo fra le 24 e le 5 del mattino. UnD. lgs. ’99, valutando i rischi per la salute psico-fisica dei lavoratori addetti al lavoronotturno, ha previsto che essi siano sottoposti, a spese del datore di lavoro, e tramiteun medico competente, ad accertamenti preventivi, diretti a constatare l’assenza dicontroindicazioni, o incompatibilità tra la salute del lavoratore ed il lavoro notturno.Nel caso d’incompatibilità, infatti, il lavoratore sarà impiegato per lavori diurni. Ildatore di lavoro deve fornire alla direzione provinciale del lavoro, per iscritto, e conperiodicità annuale, le informazioni circa il lavoro notturno, da indirizzare, poi, alleR.S.A.. Le pause, richiamate dall’art. 2107 c.c. , durante le quali l’esecuzione dellaprestazione lavorativa è vietata (per tutelare la reintegrazione della personalità moralee non solo la persona fisica del lavoratore), sono affiancate da festivitàinfrasettimanali o dalle ferie. A tal proposito, l’art. 2109 c.c. dispone che: “Ilprestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola, incoincidenza con la domenica. Ha anche diritto, dopo un anno d’ininterrotto servizio,ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo chestabilisce l’imprenditore. La durata di tale periodo è stabilito dalla legge, dagli usi osecondo equità. L’imprenditore deve preventivamente comunicare al pretore dilavoro, il periodo stabilito per il godimento delle ferie”. La durata delle ferie è,comunque, fissata dai contratti collettivi, in misura proporzionata all’anzianità diservizio del dipendente e differenziata per ciascuna categoria di prestatori di lavoro.Alle ferie e al riposo settimanale fa riferimento anche l’ultimo comma dell’art. 36 C.per cui: “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, enon può rinunziarvi”. Particolare importanza è, poi, attribuita alla direttiva n. 93/104applicabile a tutti i settori di attività pubbliche e private. Essa, non fissando un limiteall’orario giornaliero di lavoro, stabilisce che dev’essere garantito, nel corso di ogni24 ore, un periodo di riposo di almeno 11 ore consecutive e, in ogni caso, le oresettimanali non possono superare le 24 ore. Per un periodo di 7 giorni, dev’essereassicurato un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore. I lavoratori, in più,hanno diritto ad un periodo di ferie retribuite ogni anno, non sostituibile con uncompenso economico, e non inferiore alle 4 settimane. Una legge comunitaria del2000 ha delegato il Governo italiano a dare completa attuazione a tale direttiva.

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La retribuzioneLa retribuzione è il corrispettivo, dovuto dal datore, al lavoratore, in cambio dellaprestazione lavorativa. Si tratta di un’obbligazione pecuniaria, disciplinata dall’art.2099 c.c. per cui: “La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita atempo o a cottimo, e dev’essere corrisposto nella misura determinata dai contratticollettivi, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro vieneeseguito. In mancanza di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dalgiudice. Il prestatore di lavoro può essere retribuito anche (in tutto o in parte ) conpartecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”.La retribuzione viene corrisposta nella sede di lavoro dell’imprenditore, che poi èquella del lavoratore, visto che, di solito, la sede dell’impresa coincide con il luogo dilavoro del prestatore. Una legge speciale ha introdotto, poi, anche l’obbligo deldatore di lavoro, di corrispondere la retribuzione, accompagnata, però, da unprospetto-paga, delle diverse voci che la compongono. La misura della retribuzionenon è demandata all’esclusiva competenza dell’autonomia collettiva; infatti, l’art. 36C. riconosce al lavoratore il diritto soggettivo alla retribuzione minima sufficiente,precisamente: “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantitàe qualità del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famigliaun’esistenza libera e dignitosa”. Si tratta di una norma-principio in cui si fariferimento a due requisiti fondamentali, cui il giudice deve conformarsi. In virtù delrequisito della proporzionalità, la retribuzione dev’essere determinata sia dalladurata e dall’intensità del lavoro, ma anche dal tipo di mansioni eseguite. Il requisitodella sufficienza è più importante: la misura minima della retribuzione deve andareoltre il minimo vitale o di sussistenza, in modo da garantire un livello di vitasufficiente a realizzare un’esistenza libera e dignitosa, non solo per il lavoratore comesingolo, ma anche per la sua famiglia. La retribuzione minima sufficiente, quindi, èun limite all’autonomia contrattuale delle parti, nella determinazione del contenutodel contratto di lavoro. La giurisprudenza, ed anche la maggior parte della dottrina,ha proposto l’introduzione, in materia, della possibilità, per il giudice, di discostarsidai minimi salariali (stabiliti dalla contrattazione collettiva) riconoscendo allavoratore una retribuzione anche inferiore rispetto ad essi, purché fornisca adeguatamotivazione della differente misura della retribuzione, sufficiente e proporzionata, dacui indicata. La Corte di Cassazione, però, ha considerato tale proposta, impossibileda attuare. La retribuzione a tempo (o ad economia) è commisurata sulla base deltempo della prestazione lavorativa: ore di lavoro, giornate e mesi. Questa retribuzionepuò essere “oraria” (salario), calcolata in base alle ore lavorate nel mese; “mensile”(stipendio), calcolata sulla base dei mesi lavorati. La retribuzione a cottimo èrelativa al risultato finale del lavoro e in essa si calcolano tutte le maggiorazioni perlavoro: straordinario, notturno e festivo. Essa svolge la funzione di “incentivo” delrendimento sul lavoro; ma quando il rendimento è vincolato dai ritmi imposti dallamacchina, il cottimo svolge una funzione di “controllo” del rendimento stesso,obbligando il lavoratore al mantenimento di un livello costante medio di attivitàlavorativa. La contrattazione collettiva e, quindi, il sindacato, intervengono solo pernegoziare le tariffe di cottimo, cioè il compenso unitario del risultato del lavoro enon la sottostante organizzazione di lavoro. Esse, a norma dell’art. 2101 c.c. devono

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essere comunicate, in tutti i loro elementi costitutivi, ai lavoratori, da partedell’imprenditore e applicate da questo. Il cottimo è obbligatorio, secondo .’art.2100 c.c., quando il lavoratore è vincolato all’osservanza di un determinato ritmoproduttivo o quando la valutazione della sua prestazione è fatta in base al risultatodella prestazione lavorativa. Il legislatore, pur non limitando il potere unilaterale diorganizzazione del lavoro, impone all’imprenditore di aumentare la retribuzione,quando vengono aumentati i ritmi di lavoro. Esiste, poi, il cosiddetto cottimocollettivo in cui la retribuzione del singolo lavoratore, viene collegata al risultato dellavoro, e perciò, al rendimento dell’intero gruppo (cottimo collettivo subordinato olavoro a squadra); in tal caso, la retribuzione ha solo una funzione d’incentivo delrendimento della collettività dei cottimisti.Viene fatta una distinzione tra:

retribuzione normale minima: è quella stabilita dai contratti collettivi perl’orario di lavoro, tenendo conto della diversità di categoria, qualifica edanzianità del lavoratore;

retribuzione totale (o globale): è quella formata dalla retribuzione normaleminima più eventuali integrazioni o maggiorazioni, che sono, poi, elementiaccessori della retribuzione (13° o 14°; indennità per lavori di soggetti gravosio penosi; premi di operosità o assiduità nel lavoro).

Gli artt. 2110 – 2111 c.c. prevedono i casi di sospensione del rapporto di lavoro perimpossibilità temporanea del lavoratore ad eseguire la propria prestazione:

aspettativa per funzioni pubbliche: il legislatore ha previsto che, i cittadinichiamati a ricoprire cariche pubbliche elettive, hanno diritto a disporre deltempo necessario per espletare il proprio mandato. Essi, cioè, hanno diritto adaspettative e permessi, senza però, corresponsione della retribuzione (vi è laconservazione del posto). Questo è il caso dei membri del Parlamento (europeoo nazionale), dei consigli regionali o locali;

servizio militare: disciplinato dall’art. 2111 c.c. e dalle leggi speciali, chedistinguono due casi diversi: per la “chiamata alle armi” è prevista lasospensione del rapporto con conservazione del posto e anzianità maturata, masenza diritto alla retribuzione; per il “richiamo alle armi” invece è prevista lasospensione del rapporto, con diritto alla conservazione del posto e dellaretribuzione per tutto il periodo. Il lavoratore ah, però, l’onere di ripresentarsial lavoro, entro il termine stabilito, e non può essere licenziato, se non pergiusta causa;

stato di tossicodipendenza: il lavoratore che intende accedere ai programmiterapeutici o di riabilitazione, presso i servizi sanitari dall’ASL o altre strutture,ha il diritto ad un periodo (non retribuito e senza decorrenza dell’anzianità) diconservazione del posto di lavoro (o aspettativa) per la durata del trattamento e,comunque, non superiore a tre anni;

malattia: nel nostro sistema normativo è obbligatoria l’assicurazione contro lamalattia, la cui contribuzione è posta a carico del datore di lavoro ma, inseguito alla riforma del servizio sanitario nazionale ad esso è attribuital’assistenza medica, mentre l’indennità è corrisposta dall’INPS, dopo averaccertato la reale infermità del lavoratore. Mentre gli operai sono esclusi dalla

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copertura dell’indennità, per i primi tre giorni di malattia; gli impiegati, invece,vengono retribuiti fin dal primo giorno;

infortunio sul lavoro: la stessa cosa è prevista nel caso di infortunio sullavoro, anche se l’assicurazione obbligatoria, contro gli infortuni e le malattieprofessionali, copre solo i lavoratori addetti ad attività individuate dalla legge;

gravidanza: una particolare disciplina è prevista nel caso di maternità (opaternità); la lavoratrice madre (o lavoratore padre) ha diritto ad un’indennitàgiornaliera di maternità pari all’80% della retribuzione per il periodo diastensione obbligatoria del lavoro (due mesi prima la data presunta del parto etre mesi dopo il parto) e pari al 30% della retribuzione per il periodo diastensione facoltativa dal lavoro (sei mesi, anche non continuativi, entro ilprimo anno di vita del bambino). Queste indennità vengono anticipate daldatore di lavoro e rimborsate dall’INPS. Devono, poi, essere concessi“permessi” per l’allattamento, per il primo anno di vita del bambino (due oregiornaliere, retribuite dall’INPS). La lavoratrice ha diritto alla conservazionedel posto per tutto il periodo d’astensione obbligatoria e fino al compimento diun anno di età del bambino. È prevista l’aspettativa del lavoro, da parte deigenitori, per la cura di figli con malattie o handicap grave.

In tutti questi casi, dunque, è prevista la conservazione del posto e della retribuzionee la sospensione del rapporto; con il conseguente divieto di licenziamento, per ilperiodo stabilito dalle medesime fonti. Tali periodi sono detti “periodi diirrecedibilità”, infatti, il licenziamento intimato durate tale periodo è ritenuto, nonnullo, ma temporaneamente inefficace. Il comma III dell’art. 2110 c.c. aggiunge,poi, che: “il periodo di assenza dal lavoro, anche oltre il periodo obbligatori diconservazione del posto per una delle cause suddette, dev’essere computatonell’anzianità di servizio del prestatore”. L’indennità corrisposta al lavoratore èobbligatoria da parte del datore, tranne se la legge o i contratti collettivi stabilisconoforme equivalenti di previdenza o assistenza. L’obbligazione retributiva, essendo dinatura pecuniaria, è sempre possibile. L’attività del datore di lavoro viene in rilievoanche sotto il profilo della cooperazione creditoria, potendo dar luogo alla figuradella mora del creditore di lavoro, disciplinato dall’art. 1217 c.c., per cui: “se laprestazione consiste in un fare, il creditore è costituito in mora mediantel’intimazione di ricevere al prestazione o di compiere gli atti che sono, da parte sua,necessari per renderla possibile”. La mora credendi può dipendere, quindi, da unamancata cooperazione del creditore all’adempimento e al concretizzarsinell’ineffettuazione degli atti necessari, affinché il debitore possa realizzare laprestazione dovuta. Nel rapporto di lavoro tale attività di cooperazione consiste nellapredisposizione del cosiddetto substrato reale della prestazione lavorativa, cioè imezzi necessari alla sua esecuzione (locali, macchinari, strumenti di lavoro, materieprime, ecc.). La mancanza di tale substrato, da parte del debitore, identificandosi conil rifiuto di ricevere la prestazione, e di corrispondere la retribuzione, si configura perciò in un’ipotesi di mora credendi. Per verificarsi la mora credendi è necessario che lamancata cooperazione sia ingiustificata, cioè senza motivo legittimo. Ciò avvienetutte le volte che il datore di lavoro non usi l’ordinaria diligenza nel porre in esserel’attività necessaria all’esecuzione del lavoro e, in tal caso, in più, non è liberato

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dall’obbligo corrispettivo della retribuzione. Se, viceversa, il rifiuto ha un motivolegittimo, la mora creditoria è esclusa; la prestazione è diventata impossibile e,quindi, il lavoratore perde anche il diritto alla retribuzione. Gli effetti sono, quindi: 1)l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause di forza maggiore; 2) ilrisarcimento dei danni derivanti dal ritardo nell’adempimento, nonché le spese che neconseguono. Diversa dalla mora credendi è l’ipotesi in cui il datore di lavoro tenga ilprestatore a disposizione, senza utilizzarne l’attività, corrispondendo però,regolarmente la retribuzione. Poiché il lavoratore ha l’obbligo, e non il diritto, dieseguire la prestazione, la sua inattività è da considerarsi, comunque, una forma diadempimento “anomala”. Nel caso dell’interruzione del lavoro o della sospensionedell’attività aziendale, dipendenti da fatti direttamente o indirettamente riconducibiliall’organizzazione produttiva dell’impresa, tali da determinare l’oggettivaimpossibilità temporanea della prestazione lavorativa (es. mancanza di energia omaterial, guato delle macchine, ecc.), di solito, è prevista la sospensione del rapporto,senza diritto alla retribuzione. I contratti collettivi, però, possono prevedere altresoluzioni, a seconda dei casi; per es. nel caso di soste (sospensioni di breve durata) ildatore è obbligato a pagare solo entro un certo limite, di solito due ore, e poi èautorizzato a mettere in libertà i lavoratori senza obbligo di retribuzione.L’obbligazione retributiva qualifica il contratto di lavoro come contrattosinallagmatico, cioè a prestazioni corrispettive, perché tra le due obbligazioni(prestazione e retribuzione) vi è un nesso o sinallagma d’interdipendenza, in virtùdella quale la retribuzione dovrà essere adeguata alla prestazione e viceversa.Ciascuno dei contraenti potrà sospendere la propria obbligazione, se teme che l’altraparte, a sua volta, non possa adempiere la sua obbligazione. Effetto di ciò è laliberazione di entrambe le parti delle proprie obbligazioni, con l’obbligo di retribuirequanto eventualmente ricevuto a titolo di corrispettivo. La retribuzione può essere:

differita, se successiva al tempo dell’adempimento dell’obbligazionelavorativa;

indipendentemente dall’esecuzione della prestazione, nel caso delle ferie.

Il lavoro delle donne e dei minori

Fin dagli inizi della legislazione sociale, l’intervento protettivo nei confronti disoggetti deboli (donne e minori) è stato rivolto ad escluderne o limitarnel’occupazione per mezzo di numerosi divieti, relativi all’esecuzione della prestazione.L’art. 37 C. prevede che: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità dilavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavorodevono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare eassicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. L’art. da unlato ha riaffermato gli obiettivi protettivi tradizionali della tutela differenziata dellavoro femminile e minorile e, dall’altro lato, ha introdotto il principio della tutelaparitaria, cioè mirata a garantire ai minori e alle donne la parità di trattamento,rispetto ai lavoratori adulti. La tutela paritaria della donna è stata rafforzata dallalegge n. 907/’77, grazie alla spinta dei movimenti femministi. La legge sulla parità ditrattamento tra uomini e donne, in materia di lavoro, vieta ogni discriminazione per

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quanto riguardo l’accesso al lavoro e l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni edella progressione in carriera; ribadisce la parità salariale, a parità di lavoro; stabilisceche, ai fini della carriera o dell’attività di servizio, le assenze obbligatorie permaternità siano considerate come attività lavorativa; sancisce il divieto di lavoronotturno, salvo eccezioni previste dai contratti collettivi; prevede la facoltà di prestarel’attività lavorativa fino all’età consentita agli uomini (65 anni). Per quanto riguardala tutela differenziata della donna, è prevista una speciale normativa per lelavoratrici madri, nella legge n. 1204/’71, rivolta ad assicurare loro tutela fisica edeconomica. Oltre al trattamento retributivo speciale, sono riconosciuti diritti a: nonoccuparsi di lavori pericolosi, pesanti o insalubri; a permessi per l’allattamento e ildiritto a non essere licenziate per il periodo di astensione obbligatoria, periodi dicongedo per motivi di famiglia o figlio portatore di handicap, ecc.La tutela del lavoro minorile ha lo scopo di “limitare l’età” minima di ammissione allavoro e di “proibire l’occupazione dei giovani” di età inferiore ai 18 anni, incondizioni d’impiego particolarmente gravose o inadatte per faticosità, pericolosità oinsalubrità. L’importanza della tutela del lavoro minorile fu esaltata da una direttivan. 94/’33 che impone il divieto di lavorare ai minori di 15 anni (con eccezioni peralcune attività). Tale direttiva, in Italia, è stata attuata nel ’99 e prevede la distinzionetra i bambini e gli adolescenti, che possono accedere al lavoro col consenso deigenitori. Per i bambini l’orario di lavoro previsto è di 7 ore giornaliere e 35settimanali mentre per gli adolescenti è di 8 giornaliere e 40 settimanali. Hannodiritto a riposi: giornalieri, settimanali e annuali (ferie) e l’inosservanza di tali limiticomporta la nullità del contratto.

L’estinzione del rapporto di lavoro

Il rapporto di lavoro a tempo determinato si estingue con la scadenza del termine ocon il compimento del lavoro prestabilito; il rapporto di lavoro sia a tempodeterminato, sia a tempo indeterminato, può cessare:

per il venir meno di uno dei due contraenti: morte del prestatore di lavoro ocessazione totale dell’impresa. Nel caso di morte dell’imprenditore, ditrasferimento dell’azienda, di fallimento, l’azienda continua rispettivamentecon il nuovo titolare, gli eredi o il curatore del fallimento;

per mutuo consenso: quando, cioè, entrambi i contraenti concordano nel porrefine alla loro collaborazione e, quindi, a far cessare il rapporto. Questo èpossibile perché come possono decidere di obbligarsi, così, le parti possonoinsieme volersi sciogliere reciprocamente dalle relative obbligazioni;

per recesso unilaterale delle parti: il recesso del lavoratore prende il nome didimissioni, quello del datore di lavoro, invece, licenziamento. Il recesso è l’attocon cui una parte contraente dichiara di volersi ritirare dal rapportocontrattuale. Esso non travolge gli effetti contrattuali per le prestazioni giàeseguite o, in caso di esecuzione, perché fa cessare solo gli effetti futuri delcontratto (carattere irretroattivo).

Le dimissioni sono libere e non vi sono particolari obblighi a carico del lavoratore, senon quello di dare preavviso al datore di lavoro, affinché possa sostituirlo

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tempestivamente; tale obbligo, però, non sussiste in presenza di una giusta causa direcesso. A tal proposito, l’art. 2118 c.c. prevede che: “ciascuno dei contraenti puòrecedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso neltermine e nei modi stabiliti dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità. Inmancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte ad un’indennitàequivalente all’importo della retribuzione, che sarebbe spettata per il periodo dipreavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro, nel caso di cessazionedel rapporto per morte del prestatore di lavoro”. Quest’ultima indennità è dovuta alfatto che, sia in caso di dimissioni, sia in caso di licenziamento, l’interruzione delrapporto di lavoro può causare danni più o meno gravi alla controparte. Una difficilequestione che ha visto discordanti dottrina e giurisprudenza è quella relativa allanatura reale o obbligatoria del preavviso. Questa, cioè, può essere consideratotermine legale sospensivo dell’efficacia nel negozio di recesso o, viceversa, ilrecesso, se senza preavviso, può essere ritenuto immediatamente efficace,configurandosi con il pagamento della conseguente indennità.La disciplina generale del licenziamento, nei rapporti di lavoro a tempoindeterminato è contenuta in una serie di fonti legislative, succedutesi nel temo. Laprima di esse è la legge n. 604/’66, per i licenziamenti nell’industria, invece, fuintrodotta una disciplina, derivante dagli accordi interconfederali del ’47 del ’50 e,infine, del ’65 (che introdusse la tutela obbligatoria). Dopo tali accordi, è intervenutol’art. 18 SDL (che introdusse la tutela reale). Con la legge n. 108/’90 venneridefinito il campo di applicazione della tutela reale ed obbligatoria. Il datore dilavoro può recedere dal contratto solo: per giusta causa, per giustificato motivo o conrecesso ad nutum.

Il licenziamento per giusta causa (o in tronco): è regolato dall’art. 2119 c.c.per cui: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto, prima dellascadenza del termine (se il contratto è a tempo determinato) o senza preavviso(se il contratto è a tempo indeterminato) qualora si verifichi una causa chenon consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contrattoè a tempo determinato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa,compete un’indennità. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contrattoil fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativadell’azienda”. Si pensi, ad esempio, ai furti, percosse verso il datore di lavoroo ai compagni di lavoro, abbandono ingiustificato del posto di lavoro,ecc. Ilsignificato del termine “giusta causa” è stato oggetto di diverse interpretazionidi dottrina e giurisprudenza. Secondo l’opinione prevalente era “una qualsiasicausa che non consentiva la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto”.Dopo l’introduzione della legge n. 604 però, si afferma una nuovainterpretazione giurisprudenziale che collega il concetto di giusta causa aquello di giustificato motivo soggettivo, come “notevole inadempimento” dalquale si differenzia solo per la particolare gravità che non consente laprosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto;

Il licenziamento per giustificato motivo: fu introdotto dalla legge n. 604 eprevedeva la distinzione tra motivo soggettivo ed oggettivo. Il giustificatomotivo soggettivo si ha quando si verifica un notevole inadempimento del

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lavoratore, non così grave, però, da non consentire la prosecuzione del rapportodi lavoro per il periodo di preavviso. Il giustificato motivo oggettivo è previstodall’art. 3 della legge n. 604 il quale “esso si deduce da ragioni inerentiall’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolarefunzionamento di esso”. Anche sulla nozione di “giustificato motivo” sonostate avanzate più ipotesi, però, quella dominante ritiene che “possa essereravvisato solo quando non si presenti, al datore di lavoro, alcuna prospettiva direcupero del lavoratore, a mansioni “diverse”, cioè equivalenti o inferiori aquelle abitualmente svolte”. La prova di tale impossibilità grava sul datore dilavoro;

Nel recesso ad nutum: il datore è del tutto libero di allontanare il lavoratore,purché rispetti l’onere del preavviso (il tempo varia in base all’anzianità dilavoro e alla posizione assunta nell’organizzazione produttiva). Il preavvisonon è necessario allorché il licenziamento sia assistito da giusta causa e ilmancato rispetto, comunque, non tocca efficacia del recesso: infatti, la parterecedente può sostituire il preavviso con l’indennità equivalente all’importodella retribuzione che sarebbe spettato per il relativo periodo. Tale recessoopera per: lavoratori domestici, gli sportivi professionisti, i lavoratori inprova, i pensionati (cioè coloro che, oltre ad avere l’anzianità contributivaminima prevista dalla legge, abbiano compiuto 65 anni), i dirigenti, neiconfronti dei quali dà l’obbligo di comunicare in forma scritta, nonché latutela contro il licenziamento discriminatorio.

Si ricordino, poi, le ipotesi di limitazione temporale del licenziamento cioè periodidi conservazione del posto di lavoro, nonostante l’impossibilità temporanea dellaprestazione. Dopo i periodi previsti dalla legge o dai contratti di lavoro, i lavoratoripotranno essere licenziati, solo per giusta causa: lavoratrici madri, infortunio omalattia, chiamata o richiamo alle armi e di chi gode di speciali congedi per motivi dicura familiare o di formazione. L’eventuale licenziamento, privo di giusta causa,avvenuto in tali periodi, purché formalmente e sostanzialmente validi, è “efficace”,ma solo alla scadenza dei termini stabiliti. Solo nel caso di: lavoratrici madri (olavoratori padri), chi gode di motivi di cura familiare o di formazione, o illicenziamento per fini discriminatori o per causa di matrimonio, il licenziamento è“nullo”. Per cause di matrimonio, nel caso in cui il tratto di lavoro presenti lecosiddette “clausole di nubilato” che prevedono la risoluzione del rapporto di lavorodelle lavoratrici, in conseguenza del loro matrimonio. Il matrimonio sarà nullo dalgiorno della pubblicazione ad un anno dopo la collaborazione del matrimonio. Sarà,invece, “inefficiente” quel licenziamento eseguito contro l’osservanza degliadempimenti formali, previsti dalla legge n. 604. Esso infatti, va comunicato allavoratore in forma scritta ove essa non sia stata effettuata, il lavoratore puòrichiederli, entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento e, in tal caso,l’imprenditore deve farne conoscere i motivi, entro 7 giorni dalla richiesta. La leggeha, in più, stabilito che la “prova” della sussistenza della giusta causa o delgiustificato motivo del licenziamento, incombe su entrambe le parti: il datore dovràprovare i fatti che giustificano l’esercizio del proprio potere vincolato di recesso; illavoratore licenziato, invece, sarà tenuto a provare i fatti costituitivi del proprio

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diritto alla stabilità, e dunque, alla tutela reale o obbligatoria. Il licenziamento puòessere impugnato anche a mezzo di una semplice comunicazione scritta, fattapervenire al datore di lavoro entro un termine di 60 giorni dalla comunicazione dellicenziamento. I rimedi contro il negozio di licenziamento illegittimo, operano inragione delle diverse dimensioni aziendali, per cui è possibile applicare la tutela oreale o obbligatoria.La tutela reale, in base all’art. 18 SDL, consiste nell’obbligo del datore e nelcorrelativo diritto del prestatore alla reintegrazione nel posto di lavoro, nel caso dilicenziamento illegittimo. Si applica nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori enon imprenditori, che occupano più di 15 dipendenti nell’unità produttiva, nella qualeè occupato il lavoratore licenziato o nell’ambito dello stesso Comune e, in ogni caso,ai datori di lavoro che abbiano globalmente alle loro dipendenze più di 60 lavoratori.Nel computo dei dipendenti dovrà tenersi conto dei giovani assunti con contratto diformazione e lavoratori a tempo parziale; non vengono, invece, computati il coniugeed i parenti entro il 2° grado del datore di lavoro e i lavoratori con contratto diapprendistato. Oltre alla reintegrazione, il datore di lavoro, è condannato anche alreinserimento del danno subito dal lavoratore, a causa del licenziamento. Il datoredovrà “invitare” il lavoratore a riprendere servizio (per evitare la mora credendi),mentre il lavoratore dovrà, a sua volta, ottemperare, entro 30 giorni, decorsi i quali, ilrapporto s’intenderà risolto per dimissioni. L’indennità ha una natura plurifunzionale,non solo risarcitoria del danno subito dal lavoratore, ma anche punitivadell’inadempimento dell’obbligazione reintegrativa. In aggiunta all’indennità, in ognicaso la legge impone anche il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali,relativi al periodo intercorrente tra licenziamento e reintegrazione. Per tutto il periododi estromissione dal posto di lavoro, il lavoratore reintegrato può risolvere il rapportoe pretendere dal datore in alternativa alla reintegrazione effettiva, il versamento diun’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione.La tutela obbligatoria consiste nella facoltà del datore di lavoro, di sceglierel’alternativa tra riassunzione e il pagamento di un penale: ciò è previsto nel caso diillegittimità del licenziamento, derivante dalla sua mancata giustificazione. Il datoreè, comunque, obbligato a giustificare il licenziamento e, in mancanza di ciò, è tenutoa riassumere il prestatore di lavoro, entro 3 giorni o, in alternativa, a risarcireun’indennità penale di natura risarcitoria (del danno conseguente al licenziamentoillegittimo) e sanzionatorio (dell’inadempimento alla riassunzione). Per definirel’indennità, occorrerà tener conto del numero dei dipendenti e delle condizioni ecomportamento delle parti. Il licenziamento, privo di giusta causa o giustificatomotivo, cioè illegittimo, in tale ambito non è annullabile: l’effetto di estinguere ilrapporto di lavoro è comunque realizzato, salvo che, con un nuovo atto negoziale, ildatore di lavoro “riassuma” il lavoratore. Con la legge n. 108/’90 è stato introdotto,poi, nell’ambito della tutela obbligatoria, un tentativo obbligatorio di conciliazione,come condizione di procedibilità della domanda giudiziale di accertamentodell’illegittimità del licenziamento. Le organizzazioni di tendenza sono quelle cheperseguono fini ideologici, rispetto alle quali si è sostenuta l’insindacabilità dellicenziamento del dipendente quando esso sia originato da motivi riguardanti gli

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scopi dell’organizzazione e l’attività del lavoratore sia direttamente collegata al loroperseguimento.

Garanzie dei diritti dei lavoratori

In generale, per garanzia deve intendersi il rafforzamento della tutela di un bene ointeresse giuridicamente protetto e, quindi, di un diritto soggettivo. L’ordinamento, atal proposito, circonda i diritti del lavoratore di una serie garanzie di diversa natura.Un primo gruppo è ravvisabile nelle normali garanzie del credito, quando sianoattribuite al prestatore di lavoro nella sua qualità di titolare, appunto, di diritti dicredito. Viene, dunque, attribuita al lavoratore una posizione di preferenza (cioè unacausa legittima di prelazione) nel soddisfacimento sui beni del datore di lavoro. Èriconosciuto un privilegio generale sui mobili del debitore per “le retribuzionidovute sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennitàdovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito dellavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datoredi lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per ilrisarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo oannullabile”. Le norme sui privilegi trovano, comunque, applicazione nell’ipotesi delfallimento o delle altre procedure concorsuali. Per tali ipotesi, infatti, in seguito aduna direttiva dell’80, gli Stati membri sono stati obbligati a dotarsi di un sistemaassicurativo, in grado di sollevare i lavoratori dai rischi connessi all’insolvenza deldatore di lavoro; è stato, infatti istituito un fondo di garanzia per il T.F.R. avente loscopo di sostituirsi al datore di lavoro, non soltanto nel caso d’insolvenza, ma anchenel caso di una semplice inadempienza di quest’ultimo, nel pagamento del t.f.r.Un’ulteriore forma di garanzia dei crediti e, in generale, dei diritti del lavoratore, èdisposta dall’art. 2112 c.c., che disciplina gli effetti del trasferimento dell’aziendasui rapporti di lavoro. Esso è stato oggetto di una specifica disciplina comunitariavolta a tutelare i diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’impresa, distabilimenti o di parti d’imprese e stabilimenti. Il consiglio dell’U.E. è intervenuto trevolte in materia con delle direttive risalenti al 1977, 1980 e 2001. la disciplinaprevista si articola, però, in due parti fondamentali:

1. la I° dedicata alla tutela dei diritti dei lavoratori, impone agli Stati membri, digarantire, attraverso norme di diritto interno, che le posizioni soggettive,relative ai rapporti di lavoro, intercorrenti con il cedente, si trasferiscono alcessionario e il trasferimento in sé non sia considerato valido motivo dilicenziamento;

2. la II°, invece, impone agli Stati di adottare misure legislative, idonee aconsentire, in occasione di trasferimento, lo svolgimento di una procedurad’9nformazione e consultazione sindacale.

Un altro e particolarmente importante aspetto del sistema delle garanzie dei diritti dellavoratore subordinato è quello della facoltà di disposizione dei diritti attribuitigli.La compressione, o addirittura, la soppressione, può esser resa necessariadall’esigenza di tutelare o un interesse pubblico oppure un interesse privato deltitolare stesso. A tal riguardo, si ricorda l’art. 2113 c.c. che è stato, però modificato

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nel 1973. La nuova legge, infatti, ha esteso il campo d’applicazione della norma aiprestatori di lavoro autonomo, la cui opera prevalentemente personale abbia caratterecontinuativo e coordinato all’impresa del datore di lavoro; ha prolungato il termine da3 a 6 mesi del regime dell’impugnazione della rinunzia o transazione; ha previsto,infine, la trasformazione dell’atto d’impugnazione da giudiziale a stragiudiziale.L’art. 2113 c.c. dispone che: “non sono valide le rinunzie e le transazioni aventi adoggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili dellalegge e dei contratti o accordi collettivi, concernenti i rapporti di lavoro subordinato,oppure autonomo ed associato. L’impugnazione dev’essere proposta, a pena didecadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data dellarinunzia o della transazione, se queste sono intervenute, dopo la cessazionemedesima. Le rinunzie e le transazioni possono essere impugnate con qualsiasi attoscritto, anche stragiudiziale del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà”. Larinunzia è l’atto (negozio giuridico recettizio) tendente alla dismissione di un dirittosoggettivo da parte del titolare. La transazione è il contratto mediante il quale leparti, facendosi reciproche concessioni, rimuovono una lite esistente o prevengonouna lite eventuale. Anziché affidare al giudice dello Stato o ad un arbitro, le parti,rinunziando ciascuno a parte dell’originaria pretesa, compongono la lite mediante unatto che è, per l’appunto, espressione dell’autonomia privata. A delicati problemi dàluogo, poi, la cosiddetta rinunzia tacita, cioè derivante da una manifestazioneindiretta della volontà negoziale, una tale situazione sembra esclusa per i negozisuccessivi alla cessazione del rapporto di lavoro, rispetto alle quali l’art. 2113 c.c., fadecorrere il termine di decadenza dalla data del negozio. L’atto stragiudizialed’impugnazione deve essere in forma scritta, pena d’inefficacia con la funzione di“comunicare al datore di lavoro la volontà del lavoratore di privare il negozio dirinunzia o transazione della sua efficacia”: si tratta, dunque, di una dichiarazioneunilaterale di volontà recettizio. L’invalidità deve, comunque essere sempredichiarata dal giudice. L’oggetto dell’impugnazione e della successiva azione diannullamento, è la “restituzione”, o quanto meno, la “riparazione” di diritti lesi, inconseguenza del negozio invalido. L’atto stragiudiziale tempestivamente proposto, daun lato impedisce la decadenza dell’azione e, dall’altro, apre un periodo, durante ilquale l’efficacia del negozio di rinunzia o transazione è provvisoria. L’invaliditàdisposta dall’art. 2113 c.c. è pur sempre da riportare al “principio dell’inderogabilità”del regolamento contrattuale collettivo, infatti, per mezzo dell’effettodell’annullabilità, all’autonomia negoziale del prestatore di lavoro viene imposto unlimite rappresentato dal minimo inderogabile di trattamento economico e normativo.Di conseguenza, si ha una limitazione non totale ma soltanto parziale della facoltà didisposizione dei diritti soggettivi attribuiti alla titolarità del lavoratore. In tal senso lanorma dell’art. 2113 c.c. funge da garanzia di livelli minimi imposti, a pena di nullità,dalle norme imperative. Il comma 4° dello stesso art., però, dispone che: “sonovalide, e perciò non impugnabili, le rinunzie e le transazioni intervenute in sede diconciliazione delle controversie individuali. In tale sede (che può essere siagiudiziale, sia amministrativa o sindacale) la disposizione dei diritti avviene conl’assistenza dell’organo conciliatore”. La “Ratio” della limitazione disposta dall’art.2113 c.c. è comunque, da ravvisare nella situazione di inferiorità del prestatore, nella

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sua qualità di contraente debole. Al sindacato non si può riconoscere un poterecollettivo di disposizione dei diritti del singolo lavoratore. Per tanto le cosiddettetransazioni collettive, concluse dal sindacato nell’interesse di più lavoratori, ma inassenza di uno specifico mandato conferito da questi ultimi, necessitano dell’adesioneindividuale nella forma della ratifica o in forma equivalente. Esistono, poi, lecosiddette quietanze a saldo (o liberatorie), cioè delle dichiarazioni rilasciate dallavoratore di aver ricevuto alcunché, con l’ulteriore dichiarazione di rinuncia ad ognieventuale futura pretesa. Esse sono, però, poco rilevanti perché non possono fornirela prova documentale di un’eventuale rinunzia o transazione e si è, quindi, esclusal’applicabilità dell’art. 2113 c.c., a simili atti, qualificati come semplici“dichiarazioni” sottratte all’essere della tempestiva impugnazione. Secondo ladisciplina codicistica, i diritti del prestatore di lavoro sono, di regola, sottratti allaprescrizione ordinaria decennale e sottoposti, nella loro tipica qualità di crediti dinatura retributiva, sia periodica che differita, alla prescrizione quinquennale dispostadall’art. 2948 c.c. concernente, in genere, “tutto ciò che deve essere pagatoperiodicamente ad anno o in termini più brevi, nonché, specificamente, le indennitàspettanti per la cessazione del rapporto di lavoro”. L’operatività della prescrizioneordinaria deve considerarsi situazione eccezionale, verificabile nei casi in cui dalrapporto derivino al prestatore di lavoro diritti diversi da quello alla retribuzione(risarcimento del danno contrattuale); analogamente, in materia di risarcimento deldanno per il mancato versamento dei contributi assicurativi il termine di prescrizioneè quello decennale, con decorrenza dal verificarsi dell’evento dannoso. Allaprescrizione estintiva dei diritti, si aggiunge, poi, lo speciale regime dellaprescrizione presuntiva, la quale fa salva la prova contraria, limitata alla confessionegiudiziale o al giuramento decisorio, forniti dalla controparte, del pagamento deldebito. Tale prescrizione è di un anno per il diritto dei prestatori di lavoro alleretribuzioni corrisposte a periodi non superiori ad un mese e di tre anni per quellecorrisposte a periodi di oltre un mese. Il “regime” della prescrizione è inderogabile edirrinunciabile e il suo “effetto” può essere considerato sostanzialmente “equivalente”all’effetto dismissivo, proprio della rinunzia e della transazione a vantaggio deldatore di lavoro. La prescrizione è, dunque, un modo generale di estinzione deidiritti per mancato esercizio da parte del titolare, durante il periodo di tempoindicato dalla legge. La sua decorrenza indica il momento, a partire del quale ilmancato esercizio del diritto acquista rilevanza: da quel momento inizia a computarsiil periodo di tempo, determinato dalla legge e alla fine del quale si avrà l’estinzionedel diritto. C’è differenza tra sospensione ed interruzione della prescrizione: nel I°caso, il mancato esercizio del diritto perde temporaneamente rilievo e, dopo lacessazione temporanea, la prescrizione riprenderà dal punto in cui si era fermato; nelII° caso inizia un nuovo periodo di prescrizione ed il tempo decorso primadell’interruzione perde rilevanza definitivamente. La decadenza è l’istituto in virtùdel quale, come prevede l’art. 2964 c.c., l’esercizio di un diritto viene sottoposto adun termine perentorio. Diversamente dalla prescrizione, essa produce la preclusionedell’esercizio del potere da parte del suo titolare, e non la perdita del diritto. Ladecadenza può essere legale o contrattuale, a seconda che il relativo termine siafissato dalla legge o da contratto dell’autonomia privata. Quindi:

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prescrizione: perdita o acquisto di un diritto per decorso del termine; decadenza: perdita di un diritto perché non esercitato entro un dato

termine.Ance la decadenza e la prescrizione possono essere considerate come un’indirettaabdicazione delle posizioni soggettive di vantaggio garantite dalla legge e daicontratti collettivi al prestatore di lavoro. La giurisprudenza della CorteCostituzionale si è assunta il compito di rendere esplicito il principio delladisponibilità limitata dei diritti del lavoratore anche in tema di prescrizione edecadenza, che il codice civile aveva lasciato operare secondo il regime normale neiconfronti dei diritti del lavoratore. A tal proposito, si ricordi la storica sentenza n.63/’66 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcuniarticoli del codice civile “limitatamente alla parte in cui consentono che laprescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro”. LaCorte ha argomentato il timore, di perdere il posto, del lavoratore, sostenendo chedurante il rapporto di lavoro egli si trova in una situazione di soggezione, almenopsicologica, da impedirgli l’esercizio pieno dei suoi diritti; il lavoratore potrà semprereclamare il soddisfacimento dei propri diritti, rivendicandone l’attuazione anchedopo molti anni. Le garanzie di tipo strumentale, cioè relative all’attuazione deidiritti del prestatore di lavoro, prevedono che la composizione delle controversieindividuali di lavoro, possa essere in forma tanto giudiziale quanto stragiudiziale. Laconciliazione giudiziale può avvenire in ogni momento del processo su iniziativa delgiudice, il quale è tenuto a tentarla sin dai primi momenti del giudizio; qualora vengaraggiunta, ha efficacia di titolo esecutivo. La conciliazione stragiudiziale è quellatentata in sede amministrativa o sindacale. L’arbitrato è un istituto per mezzo delquale le parti pervengono alla controversia attraverso il deferimento, ad un 3°, delpotere di decisione. Esso può essere, però, rituale se si svolge come un vero e propriogiudizio, secondo delle norme stabilite dalle stesse parti nel compromesso; o irritalequando le parti rimettono all’arbitro la composizione della controversia in vianegoziale e non giurisdizionale.

Rapporti speciali di lavoro

La previsione dei rapporti speciali di lavoro trae la sua giustificazione dall’esigenzadi differenziare la disciplina del rapporto in relazione alle caratteristiche specifichedell’attività lavorative. Tra i rapporti speciali, vi è quello del personale addetto allanavigazione marittima e della gente dell’aria, che trova la sua disciplina nel codicedella navigazione. Le imprese che esercitano l’attività di navigazione marittima edaerea sono sottoposte ad una speciale disciplina. L’assunzione deve avveniremediante stipulazione formale (atto pubblico, davanti all’autorità marittima per ilcontratto di arruolamento; forma scritta per il personale di volo) ed è subordinataall’iscrizione in appositi albi o registri, dai quali risulta la certificazione dell’idoneitàal servizio o abilitazione professionale. In entrambi i casi, poi, è prevista lasottoposizione al potere gerarchico e disciplinare del comandante e prima ancora,dell’autorità pubblica, la quale può ordinare, in certi casi, lo sbarco dell’arruolato. Per

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quanto riguarda il trattamento economico: il lavoratore nautico ha diritto allaretribuzione in ogni caso di sospensione del servizio per malattia o lesione; almantenimento a bordo della nave con la prosecuzione della stessa retribuzione, finoall’integrale soddisfazione, nel caso di retribuzione maturate insoddisfatte.Rapporti speciali di lavoro caratterizzati dalla tipicità della posizione del datoree/o del prestatore di lavoroNel lavoro a domicilio si riscontra il cosiddetto “decentramento” dell’attivitàimprenditoriale, cioè una parte della forza-lavoro, utilizzata dall’impresa. Laprestazione di lavoro è eseguita all’esterno dell’impresa, nel domicilio o in altrolocale predisposto dal lavoratore. La giurisprudenza è solita distinguere tra lavoro adomicilio cosiddetto autonomo e lavoro a domicilio cosiddetto subordinato. Nellavoro a domicilio autonomo, l’attività è svolta dal prestatore secondo modalità dipiena autonomia e senza vincolo di subordinazione e senza alcuna relazione conun’attività imprenditoriale esterna; viceversa, nel lavoro a domicilio subordinatol’attività del prestatore presenta un collegamento tecnico ed economico, stabile con ilciclo produttivo dell’impresa committente. Il fenomeno è guardato con sfavore dallegislatore, in quanto il ricorso al rapporto è ritenuto pregiudizievole agli interessi dellavoratore: sia per quanto riguarda il trattamento minimo stabilito dalle leggi, sia perle condizioni stesse, in cui viene eseguito il lavoro. La disciplina del lavoro adomicilio, è contenuto nella Legge n. 877/ ’73. La legge concerne il lavorosubordinato a domicilio, mentre il lavoro autonomo a domicilio resta fuori dalladisciplina. L’art. 1 comma I° della Legge definisce “lavoratore a domicilio: chiunque,con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbiadisponibilità, anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi ea carico, ma con esecuzione di manodopera salariata e di apprendisti, lavororetribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessoriee attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite diterzi”. Il comma II° dello stesso articolo 1 afferma che: “La subordinazione ricorrequando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore,circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgerenell’esecuzione parziale, nel completamento o nell’intera lavorazione di prodottidell’attività dell’imprenditore committente”. In ogni caso il datore di lavorodev’essere un imprenditore: diversamente non può esservi lavoro a domicilio malavoro autonomo. Per quanto riguarda la prestazione, si esclude l’ammissibilitàdell’esecuzione di lavoro a domicilio per attività che comportino l’impiego disostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o l’incolumità del lavoratore edei suoi familiari; è, inoltre vietato affidare lavoro a domicilio per la durata di unanno a tutte quelle aziende che abbiano disposto dei licenziamenti o delle sospensionidal lavoro. Non essendo possibile la determinazione dell’orario di lavoro, risultaimpraticabile il sistema di retribuzione a tempo, ma a cottimo pieno, che fariferimento alla quantità prodotta. Il lavoratore a domicilio è obbligato ad astenersi daattività concorrenziali in danno all’imprenditore. Per il collocamento è previstal’istituzione di appositi registri dei lavoratori a domicilio e dei datori di lavoro cheintendono commettere lavoro a domicilio.

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Il rapporto di lavoro domestico è caratterizzato da una prestazione eseguitanell’abitazione del datore di lavoro, o, meglio, in convivenza familiare con lo stesso.Il codice civile disciplina questo rapporto con una serie di norme (artt. 2240…2246)che, peraltro, sono state in gran parte derogate dalla Legge 2 aprile 1958 n. 339. Inparticolare la Legge ha svolto per lungo tempo una funzione parzialmente sostitutivadella contrattazione collettiva che, in tale settore è recente (anni ’70); si tratta di duediscipline, quindi, che si integrano a vicenda. Poiché esso consiste nell’attivitàlavorativa, a vantaggio dell’organizzazione familiare, il datore di lavoro ha, quindi,l’obbligo di corrispondere oltre la retribuzione in danaro, anche vitto, alloggio e, inpiù, le cure e l’assistenza medica, in caso di malattia del lavoratore. Esso ha diritto alriposo settimanale; a delle limitazioni dell’orario di lavoro e di chiedere al datore dirispettare gli obblighi di tutela della salute e sicurezza del lavoratore.Il lavoro sportivo è quello che intercorre tra società sportive e gli sportiviprofessionisti. Tale lavoro è disciplinato dalla Legge n. 91/’81 che definisce “sportiviprofessionisti”: gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnici corporativi ed i preparatoridegli atleti; che esercitano l’attività sportiva con continuità, nell’ambito dellediscipline regolamentate dal CONI, con l’osservanza delle direttive stabilite dalCONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”. Illavoro sportivo è subordinato se la prestazione e continuativa nel tempo; èautonomo se l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione, se l’atletanon è contrattualmente vincolato nella frequenza a sedute di preparazione oallenamento, se la prestazione (pur essendo continuativa) non superi le 8 oresettimanali o i 5 giorni mensili o i 30 annuali. Il contratto deve essere stipulato informa scritta, a pena di nullità e può contenere clausole che stabiliscono l’obbligodello sportivo a rispettare istruzioni tecniche o che rimandano le controversie trasportivo e società ad un collegio arbitrale; non può contenere, invece, clausolelimitative della libertà professionale dello sportivo. La durata è determinata, ma nonpuò superare i cinque anni, se non per il rinnovo del contratto di stessa durata odiversa. Il contratto di apprendistato (o tirocinio) ha origini antiche, cioè risale allecorporazioni medioevali in cui c’era l’apprendista, colui che aspira mediante iltirocinio, a diventare socio o ad occupare la stessa posizione del maestro. Mentre inpassato, dunque, l’apprendistato aveva la funzione di preparare l’ingresso delle nuoveleve in un’organizzazione professionale, nella realtà odierna, invece, ha la funzione diimpiegare i giovani che acquistano, come qualifica preliminare, quella di apprendistie, dopo un certo periodo di tempo, una qualifica contrattuale definitiva, godendo (leimprese) di un alleggerimento del costo del lavoro (minore retribuzione e ridotticontributi previdenziali). Esso è disciplinato sia dal codice civile che dalla Legge n.25/’55, da cui si ricava che l’apprendistato è un rapporto speciale di lavoro, nelquale l’imprenditore è obbligato ad impartire al giovane apprendista l’insegnamentonecessario affinché questi possa conseguire le capacità tecniche per diventarelavoratore, qualificato, utilizzandone l’attività lavorativa nella sua impresa. Ilgiovane, assunto con contratto di apprendistato, deve avere un’età compresa tra i 16 e24 anni, fino a 29 (per le qualifiche di alto contenuto professionale). La durata di talerapporto non può superare quella fissata dai contratti collettivi e, comunque, i 4 anni.Gli aspiranti apprendisti devono iscriversi in appositi elenchi presso i centri per

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l’impiego, autorizzati per l’assunzione dalla direzione provinciale del lavoro, dopouna visita sanitaria. Gli obblighi del datore sono: la retribuzione, la concessione dipermessi per frequentare i corsi d’insegnamento complementari e sostenere i relativiesami, di non impiegare il lavoratore a mansioni che siano superiori alle sue forzefisiche o che siano retribuite a cottimo (o comunque ad incentivo). Il lavoro non puòsuperare le 8 ore giornaliere o le 44 settimanali e non può essere notturno. Gliobblighi dell’apprendista sono di: prestare la propria opera con diligenza, seguire ledisposizioni impartite dall’imprenditore, frequentare sempre i corsi d’insegnamentocomplementari le cui ore sono comunque retribuite. Al termine del periodo ditirocinio è prevista una prova d’idoneità all’esercizio del mestiere, consistente in unesame, davanti una commissione provinciale per ottenere l’attestato del tirociniocompiuto. La disciplina è stata riformata nel ’97 con la legge n. 196, conl’introduzione di una serie di incentivi, per favorirne un uso corretto da parte delleimprese, e di una figura in particolare, quella del tutore, cioè un lavoratore espertoche supporti l’attività formativa dell’apprendista.L’attuale contratto di formazione lavoro (c.f.L) è il risultato di un’evoluzionelegislativa succedutasi negli ultimi 20 anni, dalla fine degli anni ’70 ai tempi piùrecenti, che lo hanno definito come “contratto di lavoro a finalità formative,utilizzato soprattutto per il reclutamento dei giovani lavoratori”. La disciplinavigente è quella della Legge n. 726/’84 anche se riformata nel ’94: con tale contrattopossono assumersi lavoratori di età compresa tra i 16 e i 32 anni e possono stipularsicontratti di formazione e lavoro, appartenenti a due tipologie: da un lato il contratto diformazione lavoro “per l’acquisizione di professionalità intermedie o elevate”, nelquale è prevalente una funzione formativa e, dall’altro, il contratto di formazionelavoro “per agevolare l’inserimento professionale del giovane”, nel quale èprevalente una funzione promozionale dell’occupazione giovanile nell’impresa,purché si tratti di giovani in possesso di specifico titolo di studio richiesto. La duratamassima dei due tipi di contratto non può essere superiore ai 24 mesi nel I° caso ed i12 mesi nel II° caso. Presupposto per la stipulazione del contratto di formazionelavoro è la predisposizione, da parte dell’impresa ai cosiddetti “progetti formativi”approvati dal Ministero del lavoro, nei quali devono essere rispettati i principi di nondiscriminazione tra donne e uomini. Esso dev’essere stipulato in forma scritta, inmancanza della quale, il lavoratore s’intenderà assunto con contratto a tempoindeterminato. Vengono effettuati controlli da parte della direzione provinciale e incaso di mancato adempimento dei propri obblighi, il datore perderà i benefici previstidalla legge (agevolazioni fiscali , minori oneri contributivi). In caso di trasformazionedel rapporto di formazione e lavoro in rapporto a tempo indeterminato, il periodo diformazione sarà computato ai fini dell’anzianità di servizio. Anche per il contratto diformazione lavoro è ammesso il patto di prova.

Mercato del lavoroLa disciplina del “mercato del lavoro” lo scopo di proteggere i lavoratori dal rischiodella disoccupazione rimuovendo, o comunque, attenuando i fattori che ostacolano leassunzioni al lavoro e la mobilità da un impiego ad un altro. Di regola, il datore dilavoro non è libero di scegliere il lavoratore da assumere perché deve, invece,

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avvalersi dell’intermediazione di appositi uffici del Ministero del Lavoro, situati inogni comune: gli Uffici di collocamento. Ad essi è affidato il compito di raccogliere,in apposite liste, i nominativi dei soggetti, in cerca di occupazione ordinabili in basealle diverse: categorie, qualifiche professionali e condizioni di bisogno. Dopo lacaduta dell’ordinamento corporativo, si affermò il principio del monopolio stataledella collocazione dei lavoratori e quello della cosiddetta richiesta numerica daparte delle imprese. Esse indicavano il numero dei lavoratori da assumere e delle lorocategorie e qualifiche professionali agli uffici di collocamento. Nel ’91, a causa dellenuove esigenze socio-economiche, si affermò, invece, l’assunzione per richiestanominativa, che prevedeva l’indicazione nominativa del lavoratore da assumere.Tale richiesta era, però, subordinata all’obbligo dei datori di lavoro con più di 10dipendenti, di riservare il 12% dei posti liberi, ai lavoratori delle fasce deboli osvantaggiate. In caso di mancato rispetto di tale riserva, l’assunzione nominativa eravietata, e si procedeva con l’assunzione numerica. Nel 1996 venne, poi, introdottal’assunzione diretta senza, cioè, il ricorso al collocamento; il datore di lavoro deve,però, comunicare immediatamente l’assunzione all’ufficio di collocamentocompetente. Con il D. lgs. n. 469 del 1997: il Governo ha conferito alle regioni e aglienti locali le funzioni ed i compiti di coordinamento del mercato del lavoro; gli ufficiperiferici del Ministero del Lavoro sono stati sostituiti dai cosiddetti centri d’impiego;sono state istituite le commissioni (regionali e provinciali) per le politiche del lavorocon competenze in materia di mercato del lavoro. Attualmente vige la regoladell’assunzione diretta di tutti i lavoratori, con il solo vincolo, per i datori di lavoro,di inviare al centro per l’impiego competente, i dati relativi al trattamento economicoe normativo del lavoratore. Una simile dichiarazione dev’essere consegnata anche aquest’ultimo per evitare sanzioni amministrative. La legge tuttora prevede l’iscrizionedei lavoratori nelle liste di collocamento, presso il centro per l’impiego del comunedi residenza, e la distinzione degli iscritti in tre classi d’iscrizione: la 1° per ilavoratori disoccupati; la 2° per i lavoratori occupati in cerca di un diverso impiego;la 3° per i titolari di trattamenti pensionistici di anzianità o vecchiaia che aspirino adun’occupazione. Recentemente, anche per il settore agricolo vale la normadell’assunzione diretta. Una specifica disciplina è stata, poi, introdotta perl’occupazione dei lavoratori extra comunitari e i disabili. Per quanto riguarda iprimi possono soggiornare in Italia per un anno ai fini dell’inserimento nel mercatodel lavoro, purché dotati di una prestazione di garanzia da parte di un cittadinoitaliano (o straniero regolarmente soggiornante in Italia) ha dimostri di poterassicurare allo straniero alloggio, copertura dei costi per il sostentamento edassistenza sanitaria. Per quanto riguarda i secondi, questi possono essere assunti indeterminate percentuali stabilite da una Legge del ’99 e, cioè, il 7%. Hanno diritto altrattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi; e aadempiere a mansioni compatibili con le loro minorazioni. Possono essere licenziatisolo per giusta causa o giustificato motivo o per riduzione di personale, comunicandodell’avvenuta risoluzione del rapporto agli uffici competenti. I datori di lavoro chenon sono in grado di occupare l’intera percentuale di disabili cui sarebbero tenuti,possono richiedere un parziale esonero, pagando, però, un contributo esonerativi, perogni disabile non assunto, al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili.

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La disciplina della domanda di lavoro flessibileLa cosiddetta domanda flessibile di lavoro è da ricollegarsi all’intervento dellegislatore, diretto a tutelare l’interesse del lavoratore alla continuità e alla stabilitàdell’occupazione, dettando una disciplina volta a restringere l’autonomia negozialedelle arti nella formazione ed esecuzione del contratto (la cosiddetta legislazioneantifraudolenta). Nel contratto di lavoro determinato l’esigenza dell’utilizzazioneflessibile del lavoro viene soddisfatta mediante l’apposizione di un termine finale alladurata del contratto, che viene fissata dai due contraenti. Sia l’art. 2097 c.c. che laLegge n. 230/’62, che aveva abrogato questo, prevedevano l’obbligo delle parti diapporre il termine, di durata del rapporto di lavoro, in un atto scritto, per evitare, incaso contrario, di rendere inefficace il termine e rendere il contratto a tempoindeterminato. La Legge prevedeva delle ipotesi in cui era possibile tale contratto:

quando il termine è richiesto dalla speciale natura del lavoro (lavorostagionale);

nel caso di sostituzione di lavoratori assenti, con diritto alla conservazione delposto;

nel caso di aziende di trasporto aereo o aereoportuali; quando il termine è previsto da specifici contratti di lavoro, stipulati con i

sindacati nazionali, ecc..Al di fuori di tali ipotesi, il contratto si trasforma in rapporto a tempo indeterminato ela risoluzione alla scadenza del termine illegittimo sarà invalido e, come tale,sottoposto alla disciplina generale del licenziamento (preavviso e sussistenza digiusta causa o giustificato motivo). Nel 2001 con il D. lgs. n. 368 si affermò ilprincipio per cui “l’apposizione del termine è consentito a fronte di ragioni dicarattere tecnico-produttivo, organizzativo e sostitutivo”. Le nuove ragionigiustificatrici di tale lavoro sono, dunque, più numerose e individuate concretamentedalle parti, anche se scelte dai datori. Sul datore incombe l’onere della prova di talecausa o ragione giustificatrice, mentre il giudice deve controllare l’esistenza dellastessa. Il termine e le specifiche ragioni giustificatrici dell’applicazione di talecontratto devono risultare da atto scritto per evitare, altrimenti, l’inefficacia deltermine e la trasformazione in tempo indeterminato del contratto. Le ipotesi escluse,perché sottoposte a propria disciplina sono:

contratto per prestazioni lavorative temporanee; contratto di formazione lavoro o di apprendistato o per lavoro relativo al

turismo; contratti relativi al lavoro di trasporto aereo o aereoportuale, ecc.; unità produttive sottoposte a procedure di licenziamento collettivo.

È possibile una proroga del termine, per una sola volta, di durata di tre anni quandorichiesta per “ragioni oggettive o comunque relative alla stessa attività lavorativa”.Tali ragioni devono essere provate dal datore altrimenti, in caso di proroga è, però, lacontinuazione del rapporto oltre il termine prorogato e non più di una durata di 30giorni. Per disincentivare la continuazione del rapporto, è prevista una maggiorazionedella retribuzione, del 20% (per i primi 10 giorni) e del 40% (per i rimanenti fino a

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30). Il D. lgs. n. 368 ha enunciato anche la regola dell’uniformità di trattamentoeconomico e normativo, precisando che ai lavoratori assunti a tempo determinatosono dovute: “le ferie, la 13°, il T.F.R., e ogni altro trattamento in atto nell’impresa,in proporzione al lavoro prestato e la natura del contratto”. In caso di mancatorispetto di tali trattamenti, al datore di lavoro, saranno applicate delle sanzioniamministrative pecuniarie. Sono i contratti collettivi nazionali a stabilire le modalitàcirca il ricorso ai contratti a termine nelle aziende e dei posti vacanti disponibilinell’impresa. Il fenomeno dell’intermediazione ed interposizione nel rapporto dilavoro è caratterizzato dalla presenza di un soggetto 3° intermediario tra i prestatori dilavoro e le imprese utilizzatrici. L’obiettivo è quello di utilizzare la manodoperaassunta formalmente da terzi, comprimendo il costo del lavoro, ed evitando diassumere, in via diretta, il personale occorrente per lavoro marginali occasionali otemporanei. La materia dell’intermediazione ed interposizione nel rapporto di lavoroè, ancora oggi, disciplinata dalla Legge n. 1369/’60 che ne vieta ogni forma,definendola come “l’affidamento (da parte del datore di lavoro) ad intermediari dilavori da eseguirsi a cottimo, da prestatori di opere assunti e retribuiti da taliintermediari”. La sanzione prevista, in caso di mancato rispetto del divieto, a caricodell’imprenditore, quanto dall’intermediario, è penale. La Legge distingue gli appaltiesterni da quelli interni, e prevede in entrambi i casi che i lavoratori dipendentidall’appaltatore possono proporre azione diretta contro il committente per conseguirequanto è loro dovuto fino all’estinzione del debito che il committente ha versol’appaltatore nel tempo in cui propongono la domanda. Nel caso di comando odistacco il dipendente viene comandato dal datore di lavoro a prestare servizio pressoun 3°, che diviene così il destinatario della prestazione di lavoro e può essere, quindi,legittimata ad esercitare taluni poteri disciplinari e di controllo sul dipendente,nonché ad adempiere taluni obblighi nei suoi confronti, per es. la retribuzione. Siparla, a riguardo, di “prestito” del dipendente che però, è temporaneo, altrimentisarebbe una cessione definitiva del contratto di lavoro. Nel caso di prestazione dilavoro nelle società collegate (cioè le società nelle quali un’altra società esercitaun’influenza notevole), con l’introduzione di una direttiva comunitaria, si è stabilitoche nel caso in cui ciò avvenga, a livello comunitario, il lavoratore “distaccato” in unaltro Stato membro dell’U.E. deve godere dello stesso trattamento previsto dal suoStato di provenienza. La Legge n. 196/’97 ha introdotto il cosiddetto lavorointerinale (o lavoro in affitto o fornitura di lavoro temporaneo), consistente nellarelazione trilaterale in base alla quale un’agenzia intermediatrice (o impresafornitrice) invia temporaneamente un lavoratore da essa stessa assunto, presso un 3°(utilizzatore) per effettuare una prestazione di lavoro a disposizione di quest’ultimo.Con esso si ha la messa a disposizione di uno o più lavoratori assunti dall’impresafornitrice affinché svolgano la prestazione nell’interesse di un altro datore di lavoro esotto la direzione di quest’ultimo. Esso è diverso sia dall’appalto che dallamediazione, rivolta ad agevolare l’incontro tra l’offerta e la domanda di lavoro,mediante l’intervento di un 3°. L’attività di fornitura è consentita solo a soggettiabilitati, mediante un’autorizzazione rilasciata dal Ministero del Lavoro, previoaccertamento della sussistenza di requisiti. Essa è sottoposta, però, a controlliamministrativi, affinché si svolga nel rispetto della disciplina legale. Nessuna

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condizione, invece, è prevista per i soggetti utilizzatori. Per quanto riguarda i limiti,si ricordi che, tale lavoro è consentito solo “per il soddisfacimento di esigenzetemporanee” del soggetto utilizzatore, cioè è previsto in due ipotesi:

temporanea utilizzazione di qualifiche non previste dai normali assettiproduttivi aziendali;

sostituzione di lavoratori assenti.Le ipotesi escluse a tale lavoro sono:

sostituzione dei lavoratori in sciopero; unità produttive in cui si stia procedendo a licenziamenti collettivi; lavoratori pericolosi o che richiedono una speciale sorveglianza medica; settori agricoli o edili.

La relazione trilaterale è articolata su due rapporti contrattuali: “contratto di fornitura di lavoro temporaneo” tra l’impresa fornitrice e il 3°

(impresa utilizzatrice); “contratto a prestazioni di lavoro determinato”, anche se i lavoratori

possono essere assunti a tempo determinato o indeterminato dall’impresafornitrice, mediante il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, edinvitati, per la durata della prestazione, presso l’impresa utilizzatrice.

Entrambi i contratti richiedono la forma scritta; il 1°, deve essere inviato in copiaall’autorità amministrativa, entro 10 giorni dalla stipulazione. Il contratto devecontenere: l’autorizzazione dell’impresa fornitrice, il numero dei lavoratori richiesti,le mansioni alle quali saranno adibiti, il luogo, l’orario ed il trattamento economico enormativo che sarà loro riconosciuto, la data d’inizio e il termine del contratto perprestazioni di lavoro temporaneo. Il 2° deve contenere: i motivi di ricorso allafornitura, l’indicazione dell’impresa utilizzatrice e dell’impresa fornitrice, lemansioni alle quali il lavoratore sarà adibito, l’eventuale periodo di prova, l’orario e iltrattamento, la data d’inizio ed il termine dell’attività presso l’impresa utilizzatrice.Sono le due imprese a decidere se l’assunzione del lavoratore debba avvenire percontratto a tempo determinato o indeterminato. Egli, comunque, è tenuto a: svolgerela propria attività durante il periodo di assegnazione presso l’impresa utilizzatrice,nell’interesse e sotto la direzione ed il controllo di quest’ultima, seguire le istruzioniimpartite dall’impresa utilizzatrice. La retribuzione resta a carico dell’impresafornitrice secondo le modalità del contratto e solo in caso di inadempienzadell’impresa utilizzatrice. Nel caso in cui il lavoratore interinale sia stato assunto atempo indeterminato può restare, negli intervalli tra una missione e l’altra, adisposizione dell’impresa fornitrice, disponendo per tali periodi, dell’indennità didisponibilità, stabilito dai contratti collettivi, comunque, diverso dalla retribuzione. Illavoratore ha diritto a tutti i servizi sociali ed assistenziali di cui godono i dipendentidell’impresa utilizzatrice, mentre la facoltà di licenziare è attribuita all’impresafornitrice. Per quanto riguarda le sanzioni sono penali e civili per entrambe leimprese, in caso di esercizio delle proprie attività senza autorizzazione. In caso dicontinuazione, oltre il termine stabilito, è corrisposta una maggiorazione del 10% perciascun giorno in più, che non può andare oltre il 10%, altrimenti il lavoratore saràconsiderato, a tutti gli effetti, dipendente a tempo indeterminato dell’utilizzatore. Ilpart-time (o lavoro a tempo parziale) è quello effettuato regolarmente durante una

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parte del giorno o della settimana in misura inferiore alla durata normale del lavoro.La nuova disciplina del 2000 ha modificato quella dell’84 ed ha stabilito che ilcontratto: deve basarsi sul principio di non discriminazione nel trattamento tra ilavoratori a tempo pieno e a part-time, può essere modificato da a tempo pieno atempo parziale (purché risulti da un atto scritto), sia in forma scritta e il cuicontenuto sia portato a conoscenza, dal datore, mediante copia, dalla Direzioneprovinciale del lavoro, possa contenere una “clausola elastica” per modificare lemansioni (e quindi la retribuzione) originariamente stabilite, contenga il “diritto diripensamento” a ciò, purché comprovato da ragioni scritte e può essere anchestraordinario e notturno. Il part-time può essere orizzontale (in cui la riduzionedell’orario è prevista in relazione all’orario normale giornaliero), verticale (in cuil’attività lavorativa giornaliera è svolta a tempo pieno ma solo per periodipredeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno) e misto (il quale sisvolge secondo una combinazione di quello orizzontale e verticale).

Le eccedenze di personale e la tutela dell’occupazione

Nell’ambito della tutela dell’occupazione, un rilievo notevole assume il fenomenodell’eccedenza e della riduzione di personale nelle imprese. Nel caso di eccedenzedi personale viene in rilievo proprio la “contraddizione”, esistente nella società tra ladisoccupazione e l’esigenza di garantire non solo la conservazione, ma anche ilmiglioramento dei livelli di reddito e di occupazione dei lavoratori che si offrono sulmercato. Proprio perché la disciplina delle eccedenze di manodopera è, dunque, unamateria cruciale (nella quale si confrontano gli interessi confliggenti all’occupazione,da un lato, ed all’esercizio dell’attività economica dall’altro) ci sono stati diversiinterventi legislativi, che hanno cercato di regolarla, adeguandola ai cambiamentiprogressivi dell’ambito socio-economico. La disciplina delle eccedenze si è evolutain 3 fasi, che vanno dall’immediato dopoguerra, fino ai giorni nostri:

La prima fase: inizia con la soppressione del blocco dei licenziamenti el’istituzione (1945) della “gestione ordinaria” della Cassa integrazioneguadagni (CIG) e colloca la previsione dei licenziamenti collettivi, per lariduzione di personale, nell’ambito esclusivamente contrattuale delladisciplina interconfederale, accanto a quella dei licenziamenti individuali.

Nella seconda fase: successiva alla Legge n. 604/’66, sui licenziamentiindividuali, si pone innanzitutto il problema della delimitazione dell’ambito diapplicazione della disciplina contrattuale di licenziamenti collettivi, la qualestabiliva essenzialmente oneri di tipo procedurale, rispetto a quello delladisciplina legale limitativa dei licenziamenti individuali. Nel contempo, aseguito dell’introduzione nel 1968 della “gestione straordinaria” della CIG, sisviluppa, a partire della prima metà degli anni ’70, una generalizzazionedell’uso della CIG come strumento d’intervento di lunga durata a sostegno delreddito dei lavoratori, in quanto tale alternativa ai licenziamenti.

La terza fase: è quella aperta dalla Legge n. 223/’91, nella quale si assiste aduna risistemazione della normativa sull’intervento straordinario della CIG, il

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quale viene ricondotto alla funzione di strumento di sostegno dei processi diristrutturazione industriale, laddove la disciplina sull’intervento ordinario dellaCIG viene conservata sostanzialmente immutata, e dunque, con le sueoriginarie funzioni. Inoltre si procede ad una “legislazione” della materia deilicenziamenti collettivi, i quali ritornano ad essere lo strumento, configuratocome normale dalla legge, da utilizzare nelle ipotesi di eccedenze definitive dipersonale.

Sospensione del rapporto di lavoroCi sono dei casi imputabili al lavoratore o al datore di lavoro in cui il rapporto dilavoro viene temporaneamente sospeso. La sospensione “per fatto del lavoratore” siverifica, cioè, nel caso di malattia, infortunio sul lavoro, sciopero, gravidanza,servizio militare, l’adempimento di funzioni pubbliche elettive, ecc. Durante paleperiodo il lavoratore ha diritto al mantenimento del posto di lavoro e, a volte, dellaretribuzione. La sospensione “per fatto del datore di lavoro” si verificaprincipalmente per fatti dipendenti dalle vicende dell’attività produttiva. La“sospensione dell’attività produttiva” avviene quando l’attività produttiva vienesospesa per caso fortuito o forza maggiore, non riconducibile all’imprenditore(interruzione dell’energia elettrica, mancanza di materie prime, ecc.). In tal caso, icontratti collettivi stabiliscono l’obbligo di pagamento della retribuzione deidipendenti per le sospensioni di breve durata (non oltre 60 minuti) che rientrano nelrischio imprenditoriale. Per le interruzioni più lunghe subentra al CIG; essainterviene per assicurare la continuità del salario quando per situazioni non imputabiliall’imprenditore e ai lavoratori (mancanza di energia, calamità naturali,ristrutturazioni e riconvenzioni aziendali) si verificano sospensioni temporanee dilavoro o orari di lavoro ridotti. Svolge una funzione di “ammortizzatore sociale” cioèattenua per i lavoratori, le conseguenze negative derivanti da una congiunturasfavorevole. La legge interviene con la CIG, per impedire che il datore di lavoropossa liberarsi dei lavoratori, tramite licenziamento. L’intervento della CIG puòessere ordinario o straordinario. L’intervento ordinario della CIG, la cui disciplinaè attualmente contenuta soprattutto nella Legge n. 164/’75 ha la funzione di sostegnodel reddito dei lavoratori, a fronte di situazioni di mera contrazione dell’attivitàproduttiva nell’ambito del settore industriale: si tratta delle sospensioni dal lavoro edelle riduzioni dell’orario di lavoro dovute ad eventi transitori non imputabili né aldatore di lavoro, né ai lavoratori, ovvero determinate da situazioni temporanee dimercato. Originariamente previsto solo per gli operai, l’intervento ordinario è statosuccessivamente esteso anche agli impiegati ed ai quadri intermedi. L’ammontare deltrattamento corrisposto ai lavoratori è pari all’80% della retribuzione che sarebbe lorospettata per le ore non lavorate. La legge impone una procedura di informazione econsultazione sindacale con le rappresentanze sindacali aziendali, da svolgersi dinorma in via preventiva, rispetto alla riduzione o sospensione dell’orario. Successivaa questa, vi è la fase del procedimento amministrativo di concessionedell’integrazione salariale, che si sviluppa presso la sede provinciale dell’INPS. Ladurata massima dell’integrazione ordinaria è di tre mesi continuativi. Tuttavia, incasi eccezionali, tale periodo può essere prorogato trimestralmente fino ad un

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massimo complessivo di un anno. Anche l’intervento straordinario della CIG èstato istituito per le imprese del settore industriale. Mentre l’intervento ordinario èfinalizzato alla conservazione dell’occupazione e del reddito in presenza di situazionitemporanee, l’intervento straordinario è destinato a fronteggiare situazioni didurevole eccedenza di personale. Le “cause integrabili” in presenza delle quali puòessere autorizzata la concessione dell’integrazione straordinaria sono costituite dalleipotesi di: ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale e della crisiaziendale che presenti particolare rilevanza sociale in relazione alla situazioneoccupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore. L’interventostraordinario è previsto, poi, nei casi d’impresa assoggettata ad una proceduraconcorsuale e di conclusione di un contratto di solidarietà interna. L’interventostraordinario della CIG può essere concesso solo alle imprese che, nel semestreantecedente la data di presentazione della richiesta, abbiano occupato più di 15dipendenti. Entro questo ambito, l’integrazione salariale straordinaria spetta ad operaied impiegati, nonché ai quadri intermenti, sospesi dal lavoro, che abbianoun’anzianità di servizio presso l’azienda di almeno 90 giorni. La misuradell’integrazione è pari all’80% della retribuzione, che sarebbe spettata per le ore dilavoro non prestate. Nel caso della CIG straordinaria, dev’essere seguita unaprocedura che prevede, che l’impresa presenti la richiesta di ammissioneall’intervento in cui si attesi l’avvenuta consultazione sindacale, corredata dalprogramma di risanamento che essa intende attuare. La richiesta d’intervento dellaCIGS va presentata alla direzione provinciale del lavoro, la quale provvederà atrasmetterla con le proprie valutazioni al Ministero del Lavoro e della previdenzasociale per l’approvazione da parte del Ministero del Lavoro, che provvederà aconcedere, con proprio decreto, l’intervento straordinario della CIG. Nella CIGS iltrattamento d’integrazione salariale non può essere superiore a due anni, anche se èprevista la possibilità di due proroghe dell’intervento della CIGS, ciascuna dalperiodo di 12 mesi, qualora il programma stesso presenti una particolare complessità.Il trattamento straordinario della CIG è stato, però, progressivamente esteso ailavoratori dipendenti da imprese operanti in altri settori produttivi: dipendenti daimprese di servizi di mensa e ristorazione, dei servizi di pulizia, imprese commercialie artigiane (con più di 200 addetti). Con la Legge n. 223/’91 sono state introdottealtre forme di ammortizzatori sociali:

I contratto di solidarietà interna: sono stipulati dal datore di lavoro e daisindacati per contenere il sacrificio dei lavoratori derivante dalla riduzionedell’orario di lavoro, e sono applicati un po’ in tutti i settori produttivi. LaLegge prevede che, qualora l’imprenditore abbia stipulato con i sindacatiaderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative un contrattocollettivo aziendale che stabilisca una riduzione dell’orario di lavorogiornaliero, settimanale o mensile, al fine di evitare la riduzione del personale,tale contratto costituisce il presupposto per la concessione, da parte delMinistero del Lavoro, di un trattamento d’integrazione salariale posto a caricodella contabilità dei trattamenti straordinari della CIG. L’integrazione, il cuiammontare è pari al 60% della retribuzione perduta per effetto della riduzione

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dell’orario di lavoro, può essere corrisposta per un periodo non superiore a 24mesi, prorogabili per ulteriori 24.

I contratti di solidarietà esterna (o espansiva): che non sono stipulati per farfronte al rischio di licenziamento, ma per promuovere l’occupazione,incentivando la creazione di posti di lavoro a fronte dei processi di innovazionetecnologica e di razionalizzazione, che investono il sistema produttivo nel suocomplesso. Si tratta sempre di contratti stipulati tra datori di lavoro e sindacatiaderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, che prevedono daun lato la riduzione stabile dell’orario di lavoro (con corrispondente riduzionedella retribuzione) e dall’altro, l’assunzione di lavoratori a tempoindeterminato, preferibilmente se giovani.

Al fine di incentivare la conclusione di questo tipo di contratti aziendali, la leggeprevede, in favore del datore di lavoro, per ogni mensilità di retribuzione di ciascunlavoratore neo-assunto, un contributo calcolato sulla retribuzione, fissata dai contratticollettivi. Agevolazioni maggiori sono stabilite qualora dette assunzioni riguardinogiovani d’età compresa tra i 15 e i 29 anni. Per i lavoratori anziani dipendenti dalleimprese che abbiano stipulato questo tipo di contratto di solidarietà, la Leggeinterviene a favorire la trasformazione del loro rapporto di lavoro, in rapporto a temoparziale. Questa volta, i destinatari della normativa promozionale sono, non leaziende, ma i lavoratori anziani spinti, attraverso una totale garanzia del loro reddito,ad accettare una riduzione dell’orario di lavoro per favorire nuove assunzioni. LaLegge n. 223 ha introdotto anche il cosiddetto contratto di solidarietà difensivo edespansivo stipulato tra un’impresa beneficiaria da più di 24 mesi dell’interventostraordinario della CIG ed i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormenterappresentative, al fine di evitare o contenere una riduzione del personale o favorirenuove assunzioni. Consente, cioè, ai lavoratori di età inferiore di non più di 60 mesi oquella prevista per la pensione di vecchiaia, e che possono far valere 15 anni dicontribuzione, di chiedere la trasformazione del loro contratto di lavoro da tempopieno in part-time, con orario di lavoro non inferiore a 18 ore settimanali, con ildiritto di godere contemporaneamente del trattamento pensionistico.

Il contratto di reinserimento: è quello che riguarda i lavoratori disoccupati daalmeno 12 mesi o che percepiscano dal medesimo termine un trattamentod’integrazione salariale straordinario. La Legge per incentivare l’assunzione diquesti lavoratori, prevede delle agevolazioni in favore dei datori di lavoro cheli assumono.

I licenziamenti collettiviI licenziamenti collettivi sono attuati per la riduzione del personale o anche per latrasformazione dell’attività produttiva. A differenza di quella del 1950 e del 1965, ladisciplina del 1966 aveva escluso la materia dei licenziamenti collettivi (per riduzionedel personale) dalla disciplina limitativa di quelli individuali. Di conseguenza,all’accresciuta tutela del singolo nella conservazione del posto di lavoro, non eracorrisposto un parallelo accrescimento della tutela dell’interesse collettivo allaconservazione dei livelli occupazionali. Per lungo tempo, l’assenza di una specificadisciplina legislativa in materia di licenziamenti collettivi ha così attribuito alla

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giurisprudenza il compito di precisare da un lato la nozione stessa del licenziamentoe dall’altro le forme di tutela eventualmente riconoscibili al singolo lavoratore sullabase degli accordi interconfederali e dei contratti collettivi, ove esistenti. Solo nel1991 il vuoto legislativo è stato colmato con l’emanazione, mediante la Legge n. 223,di una disciplina sui licenziamenti collettivi, che ha inteso dare attuazione ad unadirettiva europea n. 129/’75, la quale dettava una specifica regolamentazione deicontratti collettivi. Tale Direttiva, anche se più volte modificata negli anni seguenti,affermava che s’intende per licenziamento collettivo “ogni licenziamento intimatoper motivi non inerenti la persona del lavoratore”. L’imprenditore doveva comunicarein tempo ogni progetto di licenziamento collettivo alla pubblica autorità competenteed ai rappresentanti dei lavoratori, i quali potevano presentare osservazioniall’autorità competente. I licenziamenti non erano efficaci per un periodo dinemmeno 30 giorni dalla comunicazione del progetto, periodo in cui l’autoritàpubblica competente doveva cercare soluzioni ai problemi posti dai licenziamentistessi. La Legge n. 223 ha delineato due differenti procedure relative al trattamentodelle eccedenze di personale nelle imprese, distinguendo nettamente l’ipotesi in cuiesse si manifestano nel corso di un processo di trasformazione o di crisi aziendale peril quale sia stato concesso l’intervento straordinario della CIGS dalle altre in cuil’imprenditore adotti la decisione di procedere alla riduzione di personale senza taleintervento. Nel primo caso, l’espressione legislativa è quella di procedura di mobilitàdei lavoratori; nel secondo caso, invece, è quella di licenziamento collettivo perriduzione del personale. L’istituto della mobilità disciplina la possibilità di risolvereil rapporto di lavoro dei dipendenti che sono eccedenti, rispetto alle esigenzedell’impresa per l’ipotesi in cui, per via dell’eccedenza definitiva di personalemanifestata durante l’attuazione di un programma di risanamento dell’impresa e pervia della quale l’impresa sia ammessa al trattamento d’integrazione straordinaria,l’imprenditore ritenga di non poter garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi oil ricorso a misure alternative (contratti di solidarietà o forme di utilizzazioneflessibile del tempo di lavoro, come comando o distacco), egli può attivare laprocedura di mobilità. Nel caso, invece, l’azienda non sia stata ammessa alla CIGS, ildatore per il problema dell’eccedenza di personale, potrà ricorrere al licenziamentocollettivo per riduzione del personale. L’obbligo dell’impresa è di informazioneimmediata dei sindacati e la pubblica autorità al fine di procedure ad unaconsultazione sindacale conciliativa. Quindi bisogna comunicare la situazione didifficoltà, prima alle r.s.a. ed i rispettivi sindacati di categoria. Se entro un certoperiodo di tempo non sia stato raggiunto alcun accordo, per risolvere la situazione, ilDirettore dell’ufficio provinciale del Lavoro tenterà una mediazione tra le parti.Esaurita la procedura, l’imprenditore potrà procedere al collocamento in mobilità e,quindi, alla risoluzione del rapporto con i lavoratori eccedenti. La legge, perl’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, ha dettato i criteri per la loroscelta da tener presente, se manca un accordo sindacale, alla questione: tali criterisono dati dai carichi di famiglia, dall’anzianità e dalle esigenza tecnico-produttive edorganizzative. Per il licenziamento dei lavoratori così individuati, è imposta lacomunicazione individuale in forma scritta, nonché l’obbligo di preavviso penal’inefficacia. I lavoratori collocati in mobilità, i quali possono far valere un’anzianità

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aziendale di almeno 12 mesi, hanno diritto ad un’indennità cosiddetta di mobilità, perun periodo massimo di 12 mesi (elevabile a 24 mesi per i lavoratori che hanno 40anni e a 36 mesi per coloro che hanno 50 anni). La misura è pari, per i primi 12 mesi,a quella del trattamento d’integrazione salariale goduto prima del licenziamento: neimesi successivi si riduce all’80% dello stesso trattamento. La legge s’impegna, oltreal trattamento economico previsto da garantire, altresì di promuovere il lororeinserimento nel mondo del lavoro. A tal fine i nominativi dei lavoratori collocatiin mobilità sono riportati in una lista tenuta dall’ufficio regionale del lavoro che ha ilcompito di assumere ogni iniziativa rivolta a favorire il reimpiego dei lavoratoriiscritti nella lista. Infatti, l’occupazione di questi lavoratori è fortemente incentivataattraverso la previsione di una serie di agevolazioni di vario tipo, a favore delleimprese che li assumono (ad es. il diritto ad un contributo del 50% dell’indennità dimobilità che sarebbe spettata al lavoratore). La cancellazione dalle liste per illavoratore avviene in diverse ipotesi: A) se vi è assunzione del lavoratore, cioè se vi èoccupazione per il lavoratore in mobilità; B) per decorrenza del periodo massimo digodimento dell’indennità; C) come sanzione (nel caso in cui il lavoratore rifiuti dipartecipare ai corsi di formazione o di prestare lavoro in opere o servizi di pubblicautilità). L’imprenditore che rientra nel campo d’applicazione della CIGS, pur inpresenza di una situazione di crisi che potrebbe dar luogo all’intervento straordinariodella CIG, non ha alcun obbligo di ricorrere preventivamente ad esso, potendodecidere di procedere immediatamente ad una riduzione di personale. D’altrondel’imprenditore potrebbe essere spinto ad una riduzione del personale, non solo nelcorso di una crisi, ma anche nel caso di trasformazione dell’attività produttiva; o nelcaso di un’impresa che presenta esuberi di personale non rientra nel campod’applicazione della normativa sulla CIG. La Legge 223 ha dettato una specificadisciplina in materia, la quale individua innanzitutto la nozione di licenziamentocollettivo e, quindi, stabilisce le regole procedurali. È licenziamento collettivo quellodell’impresa con più di 15 dipendenti, che intende licenziare almeno 5 lavoratori inuna o più unità produttive nell’ambito di una stessa provincia in un arco temporale di120 giorni. Al licenziamento collettivo si applicano tutte le disposizioni dettate per ilcollocamento in mobilità dei lavoratori. L’imprenditore è, quindi, tenuto al rispettodella procedura e degli adempimenti amministrativi previsti oltre che al rispetto delpreavviso, dei vincoli formali, cioè è uguale al regime del licenziamento individuale.Anche per i lavoratori destinati ad un licenziamento collettivo, vi è riconoscimentodel diritto all’indennità di mobilità ed all’iscrizione nelle liste di mobilità, alle stessecondizioni previste per il collocamento in mobilità. Dunque, il presupposto dellicenziamento collettivo per riduzione di personale è “una riduzione o trasformazionedi attività o di lavoro”. L’imprenditore non ha comunque, alcun obbligo digiustificare il licenziamento, ma solo quello di consultare i sindacati e di esperire untentativo di conciliazione. Secondo la gran parte della giurisprudenza, però, dovrebbeesserci la possibilità del controllo giudiziale sui presupposti causali, nonché sul nessodi causalità che ne deriva, in mancanza del quale ci si troverebbe, invece, in unasomma di licenziamenti individuali. Negli ultimi anni, poi, il legislatore hafrequentemente emanato provvedimenti rivolti o a prorogare la durata dell’iscrizionenelle liste, e soprattutto della corresponsione dell’indennità di mobilità [si è trattato di

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interventi destinati a lavoratori anziani, di difficile ricollocazione nel mercato dellavoro che, attraverso il prolungamento del diritto o percepire l’indennità (cosiddettamobilità lunga), sono stati accompagnati fino al compimento dell’età pensionabile] oad estendere la relativa disciplina ad ambiti esclusi dal suo ordinario campo diapplicazione. Tra questi provvedimenti va sottolineato, in particolare, l’importanzadella mobilità lunga che ha svolto la funzione di surrogato dei cosiddettipropensionamenti, cioè anticipazioni delle pensioni di vecchiaia, al fine di far frontead eccedenze definitive di personale, collegate a situazioni di crisi di interi settoriproduttivi. Si basavano su un aggravo finanziario per gli enti previdenziali. I lavorisocialmente utili (LSU) sono, cioè, attività di utilità sociale, solitamente svoltenell’ambito di progetti predisposti da soggetti privati e pubblici ed alle quali sonodestinati i lavoratori percettori di trattamenti previdenziali ed assistenziali a caricodello Stato. Dal 1977, possono esserne coinvolti, però, anche i disoccupati che nonpercepiscono trattamenti previdenziali. È un rapporto di lavoro che non rientra nénello schema legale dell’art. 2094 c.c. né in quello dei rapporti speciali. Per cui nonpuò applicarsi neanche la normativa costituzionale, relativa al diritto di retribuzioneproporzionata e sufficiente. A partire dal 2000, la nuova disciplina ha portato allaprogressiva scomparsa di tali lavori.