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Diritto Civile Contemporaneo Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537 www.dirittocivilecontemporaneo.com Anno II, numero II, aprile/giugno 2015 Contributi pubblici indiretti all’imprenditoria privata. Regime degli accertamenti antimafia e profili restitutori Andrea Maisano

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Diritto Civile Contemporaneo

Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537

www.dirittocivilecontemporaneo.com

Anno II, numero II, aprile/giugno 2015

 

Contributi pubblici indiretti all’imprenditoria privata. Regime degli accertamenti antimafia e profili restitutori

Andrea Maisano  

 

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Contributi pubblici indiretti all’imprenditoria privata. Regime degli

accertamenti antimafia e profili restitutori

di Andrea Maisano

Con le sentenze TAR Sicilia 2 aprile 2015, Rel. Cappellano e 11 maggio 2015, Rel.

Valenti il giudice amministrativo interviene sul tema dell’ambito oggettivo di

applicazione della documentazione antimafia, affermando che nella vicenda della

vendita di un bene dalla P.A. ad un’impresa privata a condizioni agevolate ricorre

una fattispecie di contribuzione pubblica indiretta, come tale soggetta agli

accertamenti previsti dagli artt. 83 e 91 D.Lgs. n. 159/2011 ed esposta ai

provvedimenti caducatori consequenziali per il caso di sopravvenuta attestazione

del pericolo di condizionamento della criminalità organizzata ai danni dell’avente

causa.

Sotto il profilo civilistico le pronunce dischiudono interessanti questioni in tema

di caducazione del negozio indiretto.

I giudizi prendono le mosse da due distinti trasferimenti immobiliari perfezionati

dal Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Agrigento con

imprese private.

Gli immobili, già acquisiti al patrimonio consortile per effetto di espropriazione

per pubblica utilità, sono stati prima assegnati in regime di concessione e,

successivamente, alienati a titolo oneroso.

Le vendite accedevano alle condizioni agevolate riconosciute dalla Legge

Regionale Siciliana 4 gennaio 1984 n. 1, mediante cessione ad un prezzo inferiore

al valore venale del bene, nonché l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e dal

costo di costruzione.

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A fronte dei superiori benefici incombeva sugli aventi causa l’obbligo di insediare

stabilimenti produttivi sui fondi ceduti e rispettarne il vincolo di destinazione

industriale.

Dopo la stipula degli atti di vendita la Prefettura competente per territorio ha

emesso nei confronti di entrambi gli acquirenti documentazione antimafia sotto

forma, in un caso, di informazione interdittiva e, nell’altro, di informazione c.d.

atipica ex artt. 10 co. 9 D.P.R. n. 252/1998 e 1 septies D.L. n. 629/1982 (sul tema

delle informative atipiche e sulla questione della loro perdurante cittadinanza

nell’ordinamento vigente si rimanda a G. CAPOCCIA - A. GALANTI - F.

LUCARELLI - M. E. MALAGNINO - M. A. RIZZI - L. VENDITTO, Il Codice

Antimafia, Commento al d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, a cura di Malagnino, Torino,

2011, pag. 263), in conseguenza delle quali l’Amministrazione alienante ha

disposto la revoca delle assegnazioni e lo scioglimento dei contratti di alienazione.

Contro le note prefettizie e i provvedimenti caducatori consequenziali gli aventi

causa hanno proposto ricorso all’Autorità Giudiziaria Amministrativa, entrambi

contestando, tra l’altro, l’inapplicabilità dell’istituto dell’informazione antimafia a

schemi di tipo traslativo.

In ambedue i casi, tuttavia, la doglianza è stata rigettata dal T.A.R., il quale ha

affermato che: - “L’erogazione, anche in forma indiretta, di agevolazioni da parte

di un soggetto pubblico giustifica l’applicazione della normativa antimafia”; “[…]

lungi dal venire in rilievo una mera vendita – qual è quella disciplinata dal codice

civile - si ha una fattispecie complessa, caratterizzata dalla immanenza, anche dopo

la stipula del contratto, di un rilevante e prevalente interesse pubblico”; “Il

provvedimento di revoca dell’assegnazione del lotto di terreno deriva

dall’acquisizione di un’informativa interdittiva, costituente, ex lege, un impedimento

alla stipulazione del contratto e, nella successiva fase di esecuzione, un motivo

sufficiente per l’eliminazione dell’accordo contrattuale, con conseguente natura di

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atto dovuto e vincolato della disposta revoca” (T.A.R. Sicilia, sez. I, 2 aprile 2015

n. 849). E che: “La circostanza che la normativa regionale di settore […] prevede

solo taluni casi di “revoca” […] non esclude la sussistenza del generale potere-

dovere, in capo alle pubbliche amministrazioni, di revoca dei rapporti già

instaurati con i privati, in applicazione della disciplina generale sulle informazioni

antimafia, posta a presidio del prevalente interesse pubblico alla prevenzione delle

infiltrazioni mafiose in tutti i settori in cui vi è (tra l’altro) l’utilizzazione di denaro

pubblico” (T.A.R. Sicilia, sez. I, 11 maggio 2015 n. 1108).

Rinviando ad altra sede l’analisi dei profili più strettamente pubblicistici investiti

dalle sentenze in commento, occorre osservare già in questo contesto come gli

orientamenti della giurisprudenza amministrativa circa i presupposti per

l’applicazione delle informative antimafia non siano univoci.

Un primo indirizzo, argomentando dal carattere eccezionale della disciplina sulle

cautele antimafia, esclude, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in

generale, che di tale normativa possa essere data un’interpretazione analogica

rimessa a scelte ulteriormente discrezionali della P.A. (cfr. T.A.R. Calabria, Reggio

Calabria, 31/01/2007 n. 69).

Altra giurisprudenza (al cui interno non mancano, peraltro, posizioni intermedie)

riconosce, invece, all’Amministrazione la facoltà di stimolare l’adozione

d’informative antimafia anche al di fuori dei casi tassativamente previsti e per

fattispecie del tutto innominate.

Dietro questo orientamento risiede la preoccupazione che, rimettendo

l’individuazione dei presupposti per l’espletamento delle verifiche antimafia a

criteri formalistici, il sistema risulti esposto a rischi di elusione; osservandosi in

proposito che: “Sarebbe […] da dubitare della legittimità costituzionale di una lettura della

normativa […] che postuli il divieto, e quindi l’assoluta impossibilità di accertare l’immunità da

tentativi di infiltrazione mafiosa rispetto a soggetti ai quali l’amministrazione devolve

significative risorse […]. In caso contrario, lo strumento negoziale prescelto potrebbe veicolare

una agevole e grave elusione degli obiettivi perseguiti della normativa antimafia” (T.A.R.

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Campania, Napoli, 29/05/2013 n. 2810 con riferimento ad un rapporto di

locazione immobiliare).

Un’eco dell’indirizzo da ultimo citato si coglie in entrambe le sentenze in

commento allorché riconoscono alle pubbliche amministrazioni un “generale potere-

dovere […] di revoca dei rapporti già instaurati con i privati, in applicazione della disciplina

generale sulle informazioni antimafia”. Laddove proprio l’attributo di “generalità” che il

TAR Palermo annette al potere caducatorio della P.A. per ragioni d’infiltrazione

mafiosa sembra alludere ad un superamento delle ipotesi positivamente tipizzate.

Sennonché in entrambi i giudizi la legittimità dei provvedimenti impugnati non è

stata desunta dall’incerta categoria delle informative facoltative, ma

dall’inquadramento dei casi decisi nelle fattispecie tipiche di legge.

In particolare, ambedue le pronunce hanno individuato un punto di ancoraggio

nelle prescrizioni degli artt. 4 co. 1 lett. b) D.Lgs. n. 490/1994 e 10 co. 1 lett. b)

D.P.R. 252/1998 (fattispecie oggi descritta dall’art. 67 co. 1 lett. b e g D.Lgs.

159/2011) circa l’obbligo di accertamenti antimafia “per la concessione di contributi,

finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di

attività imprenditoriali” e per le “concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per

l’esercizio di attività imprenditoriali”. Riferimento, quest’ultimo, che non appare

pertinente ai casi in oggetto, dal momento che i Consorzi per le Aree di Sviluppo

Industriale sono (recte: erano) enti pubblici non territoriali, sicché il regime

giuridico del loro patrimonio è quello stabilito dell’art. 830 co. 1 Cod. Civ.

Il richiamo alla categoria dei contributi e delle altre erogazioni presuppone, per

converso, che si risolvano positivamente due questioni preliminari:

1) se un negozio bilaterale di scambio possa costituire il mezzo di erogazione di

un contributo;

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2) se il regime degli accertamenti antimafia sia suscettibile di applicazione anche

alle erogazioni indirette.

La prima questione rimanda ai concetti di gratuità, onerosità e corrispettività.

Sul punto ci si limita qui a richiamare quella dottrina ne predica la riferibilità

anziché all’atto, alla qualità dell’acquisto (cfr. G. BISCONTINI, “Onerosità,

corrispettività e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista”, Napoli, 1984,

pag. 30). Talché la natura dell’attribuzione patrimoniale prescinde dalle

caratteristiche morfologiche o strutturali dell’atto, legandosi in via esclusiva

all’assetto economico realizzato (Cfr. nuovamente G. BISCONTINI, “Onerosità,

corrispettività e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista”, cit., pag. 34

nonché M. SANDULLI, “Gratuità dell’attribuzione e revocatoria fallimentare”, Napoli,

1976, pag. 38 e ss.).

Ciò posto, nei casi decisi dal TAR Palermo, il fine d’incentivazione

dell’imprenditoria, perseguito dalla legislazione regionale di riferimento, si è

concretizzato mediante il trasferimento degli immobili a condizioni agevolate con

l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e dal costo di costruzione.

Tali agevolazioni hanno conferito alle vendite cui inerivano la natura sostanziale di

contributi, coniugando all’astratta funzione tipica dello schema contrattuale

selezionato (lo scambio di cosa contro prezzo) un ulteriore e differente scopo

pratico (la sovvenzione pubblica indirettamente erogata attraverso l’agevolazione

sul prezzo e le esenzioni contributive), che ne costituiva l’interesse mediato.

Del resto, proprio in tema di aiuti selettivi alle imprese, la giurisprudenza, specie

comunitaria, è costante nel qualificare l’attribuzione di apporti patrimoniali a

condizioni fuori mercato come tipica modalità di intervento pubblico a beneficio

dell’imprenditoria privata (si veda, in questo senso, Corte Giust. UE sez. I

03/04/2014, C-559/12 P, secondo cui: “La nozione di aiuto comprende non soltanto

prestazioni positive, ma anche interventi che, sotto forme diverse, alleviano gli oneri che

normalmente gravano sul bilancio di un'impresa e che, di conseguenza, senza essere sovvenzioni

nel senso stretto del termine, sono della stessa natura e hanno identici effetti. Sono ugualmente

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considerati aiuti tutti gli interventi statali che, sotto qualsiasi forma, sono atti a favorire

direttamente o indirettamente determinate imprese, o che devono ritenersi un vantaggio economico

che l'impresa beneficiaria non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato”. In senso

analogo: Corte Giust. UE sez. III 28/07/2011, C-403/10 P; Corte Giust. UE, sez.

II 15/12/2005 C- 66/02; Corte Giust. UE 21/03/1991, C-303/88). Ciò in quanto

il vantaggio acquisito non scaturisce dalle normali dinamiche concorrenziali, ma

rinviene la propria causa eccezionale proprio nell’intervento pubblico,

corredandosi di un valore artificiale (v. G. BIAGIONI e S. GOBBATO “L’oggetto

della notifica: la nozione di aiuto di Stato tra obiettività e discrezionalità”, in “Aiuti pubblici

alle imprese e competenze regionali. Controllo comunitario e prassi interne” a cura di L.

Daniele, S. Amadeo, C. Schepisi, Milano, 2003, pag. 12 e ss. Analogamente: G.

TESAUO, “Diritto dell’Unione Europea”, Padova, 2012, VII ed., pag. 779 e ss.).

Similmente, un’agevolazione fiscale o contributiva diviene veicolo di

contribuzione pubblica allorché la quantificazione in misura ridotta dell’imposta o

contributo non sia ascrivibile agli ordinari criteri di ripartizione della spesa

(commisurati cioè all’entità della base imponibile o alla capacità contributiva) ma

discenda, sotto il profilo funzionale, da un’esigenza di tutela e valorizzazione di

interessi extratributari costituzionalmente garantiti e sia vincolata, sotto il profilo

strutturale, a precisi limiti di efficacia temporale o territoriale (cfr. in questo senso

G. PETRELLI, “Agevolazioni per l’acquisto di immobili a fini di utilizzo edificatorio”, in

Studi e Materiali, a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, 2002, 1, pag. 285 e

ss. che, anche sulla scorta di altri riferimenti dottrinari, definisce tali fattispecie

come “casi di “utilizzo extrafiscale dell’imposta”, o di “spesa pubblica implicita” o

“mediante imposta”, o ancora di “finanziamenti indiretti, virtuali e impliciti”).

I trasferimenti immobiliari oggetto dei contenziosi decisi dal TAR Palermo si

conformavano alle superiori caratteristiche, in forza delle misure di agevolazione

ed esenzione illustrate, preordinate all’indicata finalità di promuovere lo sviluppo

delle attività produttive in aree economicamente depresse.

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Se, dunque, anche schemi negoziali di scambio -quando siano attributivi di un

vantaggio economico a condizioni fuori mercato- possono concretare una forma

di sovvenzione pubblica all’imprenditoria privata resta ancora da accertare se le

erogazioni indirette possano essere inquadrate, al pari di quelle dirette, entro lo

spettro applicativo degli artt. 10 co. 1 lett. b), in specie applicato dal TAR Palermo

ratione temporis, e 67 co. 1 lett. g) D.Lgs. 159/2011.

Al quesito il TAR Palermo ha risposto in senso affermativo, orientandosi per

l’equipollenza delle due fattispecie.

La tesi è da condividere.

Premesso che non necessariamente un’elencazione tassativa ha valore definitorio

(cfr. G. TARELLO, “L’interpretazione della legge”, in Tratt. Dir. civ. e comm., già

diretto da Cicu - Messineo, continuato da Mengoni, I, t. 2, Milano, 1980, pag.

204), emerge come, nella loro formulazione letterale, i citati artt. 10 co. 1 lett. b) e

67 co. 1 lett. g) D.Lgs. 159/2011 adoperino tout court la locuzione “contributi”,

senza distinguere in base alla modalità di esplicazione dell’aiuto. Onde è lo stesso

dato positivo a mostrarsi indifferente rispetto al mezzo strumentale con cui è

erogata la sovvenzione.

Sempre sul piano letterale, un’ulteriore indicazione si ricava dalla formula di

chiusura “altre erogazioni dello stesso tipo”. La dizione, connotata di intenzionale

genericità, ha all’evidenza una portata onnicomprensiva in quanto mira a costituire

una categoria residuale nella quale includere ogni forma di aiuto economico

pubblico non riconducibile alle altre.

Del resto, una chiara allusione a forme di contribuzione indiretta è espressa nel

riferimento ai “mutui agevolati” rispetto ai quali l’agevolazione può consistere anche

nell’erogazione di finanziamenti con interessi a tasso inferiore di quello di

mercato, con un risparmio per il soggetto finanziato pari al differenziale tra i due

tassi e conseguente identificazione proprio in tali economie dell’oggetto della

sovvenzione e del correlato accertamento antimafia (in argomento si veda

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Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico - Comitato di Gestione per le

Agevolazioni alle Imprese n. 3/2013).

Gli argomenti di ordine letterale sono corroborati da valutazioni improntate al

canone di ragionevolezza/uguaglianza: anche rispetto ai contributi indiretti si

riscontrano la medesima finalità agevolativa e uguali esigenze di tutela dei principi

di legalità amministrativa, corretta allocazione delle risorse pubbliche e lealtà della

concorrenza, ravvisabili per i contributi diretti. Esigenze che resterebbero

inevitabilmente frustrate ove l’ambito di applicazione delle cautele antimafia fosse

ridotto solo a questi ultimi.

Né d’altro canto l’impostazione in esame contravviene al divieto di analogia

sancito dall’art. 14 delle preleggi per le norme a carattere eccezionale. Se, infatti, i

termini dell’elencazione (benché tassativa) omettono di fornire una definizione

della fattispecie, la relativa individuazione deve per forza passare attraverso il

rimando ad altri enunciati e definizioni (cfr. nuovamente G. TARELLO,

“L’interpretazione della legge”, in Tratt. Dir. civ. e comm., già diretto da Cicu - Messineo,

continuato da Mengoni, I, t. 2, Milano, 1980, pagg. 203-205), eventualmente

attingibili anche da realtà extragiuridiche.

L’inquadramento della vendita a condizioni agevolate nella categoria delle

erogazioni pubbliche (indirette) alle imprese consente di determinare la portata

caducatoria su di essa spiegata da eventuali note prefettizie attestanti la sussistenza

di cause ostative o il rischio di infiltrazione mafiosa.

Segnatamente, la qualificazione di tali atti alla stregua di contributi ne comporta

l’assoggettamento agli artt. 88 co. 4 bis e 92 co. 3 D.Lgs. 159/2011 ai sensi dei

quali, decorso il termine per il rilascio, rispettivamente, della comunicazione e

dell’informazione antimafia, “i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre

erogazioni […] sono corrisposti sotto condizione risolutiva”. Uguale prescrizione era

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dettata dall’art. 11 D.P.R. 252/1998 applicato, ratione temporis,

dall’Amministrazione Consortile.

La sopravvenienza, dopo il perfezionamento dell’atto, di documentazione di

tenore interdittivo, si configura, pertanto, come un evento condizionale ex lege il

cui avveramento incide, in via retroattiva, sull’efficacia dell’atto stesso (per la

retroattività della condicio iuris cfr. in giurisprudenza: Cass. Civ., Sez. I, 12/07/2007

n. 15614; Cass. Civ., Sez. III, 24/04/2001 n. 6032; Cass. civ., Sez. III, 08/07/1991

n. 7529; Cass. Civ. 2994/1959; in dottrina: C. M. BIANCA, “Diritto Civile 3. Il

Contratto”, Milano, 1998, rist. con aggiornamenti pag. 534; G. MIRABELLI, “Dei

Contratti in generale”, in Commentario del Codice Civile, Torino, 1980, pag. 193 e ss.; E.

GIACOBBE, “La Condizione”, in Diritto civile e commerciale, a cura di Lipari-

Rescigno, III, Il contratto in generale, Milano, 2009, pag. 480; R. SACCO - G. DE

NOVA, “Il Contratto” in Trattato di Diritto Civile, III ed., Torino, 2004, tomo II,

pag. 139. Contra: M.C. DIENER, “Il Contratto in generale”, Milano, 2002, pag. 411).

Nondimeno proprio perché, in specie, l’erogazione è prestata per il tramite e nel

contesto di un contratto di vendita risulta più problematica la ricostruzione

dell’oggetto e delle modalità esplicative del fenomeno risolutorio.

Segnatamente, la compresenza nella stessa operazione delle concorrenti funzioni

di scambio a titolo oneroso e di contribuzione pone l’interrogativo se

l’avveramento della condizione incida solo sulle agevolazioni concesse o

sull’intero rapporto negoziale.

A sostegno della prima tesi concorrono apparenti ragioni sia di carattere letterale

sia di ordine strutturale.

Sotto il primo profilo si rammenta che, ai sensi dei citati artt. 88 co. 4 bis e 92 co.

3 D.Lgs. 159/2011, “i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni […]

sono corrisposti sotto condizione risolutiva”.

Pertanto poiché la lettera della legge annette l’effetto risolutorio ai “contributi”, se

ne potrebbe dedurre che la condicio iuris investa solo gli atti esplicativi della

sovvenzione pubblica (nella specie: l’agevolazione sul prezzo di vendita e

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l’abbattimento dagli oneri di urbanizzazione) con esclusione di ogni altro atto o

rapporto (nella specie: il contratto bilaterale di scambio ad effetti traslativi).

Quanto all’altro profilo rilevano, invece, le acquisizioni dottrinarie sul negozio

indiretto.

E’ noto che, secondo autorevole dottrina, il perseguimento di uno scopo pratico

diverso da quello connaturato al tipo prescelto si realizza attraverso la

combinazione di due negozi: l’uno dei quali (negozio preparatorio, integrativo) ha

la funzione di vincolare le parti al raggiungimento dell’ulteriore risultato da esse

voluto (A. TORRENTE, “La Donazione” in Tratt. Dir. Civ. comm., già diretto da

Cicu - Messineo - Mengoni continuato da Schlesinger, II ed. a cura di U. Carnevali

- A. Mora, Milano, 2006, pag. 28 che aderisce e rimanda a S. PUGLIATTI,

“Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia”, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., n. 2,

1950, pag. 299 e ss.).

La ricostruzione dell’operazione come somma di due rapporti (vendita +

agevolazione), potrebbe indurre, perciò, a ritenere che le vicende che investono

uno di essi (la risoluzione della misura agevolativa) non si comunichino

necessariamente all’altro (il trasferimento della proprietà), giacché dotato di

individualità propria.

Nondimeno, a favore della seconda soluzione interpretativa milita la

considerazione che la documentazione antimafia interdittiva incide sulla capacità

del privato ad essere destinatario di provvedimenti autorizzatori o concessori o ad

essere contraente con le amministrazioni o enti pubblici.

Pertanto, poiché tale effetto opera allo stesso modo, sia che intervenga a monte o

a valle della conclusione del contratto (cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez. I,

04/05/2007, n. 4730), il travolgimento dell’intero assetto negoziale si spiega in

quanto l’informazione antimafia, sebbene sopravvenuta allo scambio, certifica che

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lo stesso è stato perfezionato con una parte sprovvista di capacità a contrarre con

la P.A.

L’argomento appare recepito anche da una delle sentenze massimate nella parte in

cui afferma che: “Il provvedimento di revoca dell’assegnazione del lotto di terreno deriva

dall’acquisizione di un’informativa interdittiva, costituente, ex lege, un impedimento alla

stipulazione del contratto e, nella successiva fase di esecuzione, un motivo sufficiente per

l’eliminazione dell’accordo contrattuale, con conseguente natura di atto dovuto e vincolato della

disposta revoca” (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 02/04/2015 n. 849).

D’altro canto, sul piano strutturale, la riferita ricostruzione del negozio indiretto in

termini di collegamento negoziale non è incontrastata.

Altra dottrina descrive il negozio indiretto come negozio con clausole speciali, il

cui innesto non altera l’unità dell’atto di volontà che non è compromessa dalla

pluralità di clausole e patti ancorché molteplici ed eterogenei (A. AURICCHIO,

voce “Negozio indiretto”, in Noviss. Dig. It., Torino, 1965, vol. XI, pag. 221.

Analogamente: D. RUBINO, “Il negozio giuridico indiretto”, Milano, 1937, pag. 62.).

Vi è anche chi, sottolineando il rilievo che tale finalità ulteriore o diversa assume

sul piano causale, qualifica quello indiretto come un contratto atipico (cfr. B.

BIONDI, “Le Donazioni”, in Tratt. Dir. Civ. It., a cura di Vassalli, Torino, 1961,

pag. 938). Ciò in ragione della obliquità (e, dunque, atipicità) del percorso tracciato

dalle parti per raggiungere il risultato voluto.

L’adesione a queste alternative ricostruzioni del negozio indiretto implica, per

quanto interessa, che il profilo di sovvenzionamento e quello di scambio, non

hanno individualità propria ma si coniugano in unico sinolo. Con la conseguenza

che eventuali vicende estintive (come l’avveramento della condizione risolutiva ex

artt. artt. 88 co. 4 bis e 92 co. 3 D.Lgs. 159/2011) non possono che investire

unitariamente l’intera operazione: e dunque, non solo la stretta misura agevolativa,

ma anche il trasferimento della proprietà.

Peraltro anche l’adesione alla tesi del collegamento negoziale conduce al

medesimo risultato.

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Al fine di determinare la portata e l’intensità del vincolo di collegamento occorre

avere riguardo al concreto assetto d’interessi voluto dalle parti (cfr. M. C.

DIENER, “Il contratto in generale”, Milano, 2002, pag. 88). Onde è dall’analisi di tale

assetto che si può determinare se i negozi perfezionati si collochino su piani

funzionali non coincidenti, secondo un rapporto di

accessorietà/complementarietà, ovvero se concorrano sullo stesso piano

all’attuazione di un disegno comune, alla stregua di un modello di

interdipendenza.

I trasferimenti immobiliari alla base dei contenziosi decisi da TAR Palermo

sembrano inquadrarsi in questo secondo schema.

Si ricorda che oggetto della cessione erano gli appezzamenti di terreno sui quali le

imprese acquirenti avrebbero stabilito le proprie sedi produttive.

La sovvenzione pubblica indirettamente erogata incideva, inoltre, sul prezzo di

cessione dell’immobile, che a sua volta concorreva ad integrare l’oggetto del

contratto di vendita. L’attribuzione patrimoniale prestata dalla P.A. era, perciò, al

contempo finanziaria e produttiva, sua finalità ultima essendo, come sopra

osservato, il radicamento delle imprese in una determinata area territoriale e lo

sviluppo delle locali attività produttive.

Pertanto, anche a voler ritenere il contributo come strutturalmente autonomo

rispetto al trasferimento della proprietà dei lotti, nondimeno l’indicato rapporto di

interdipendenza funzionale implica comunque l’estensione di ogni vicenda

dell’uno all’altro secondo la formula di reciprocità “simul stabunt simul cadent”.

Questione non specificamente affrontata dal TAR Palermo, e tuttavia dischiusa

dalle sentenze in commento, è quella della restituzione dei lotti di terreno ceduti e

del regime giuridico degli opifici su di essi edificati dalle imprese acquirenti nel

tempo corrente tra la vendita e la successiva risoluzione.

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Anche tale profilo problematico trova risposta nella qualificazione dell’effetto

caducatorio in termini di condizione risolutiva.

Stante, infatti, la retroattività della condizione, la proprietà degli immobili deve

ritenersi come ritornata nel patrimonio dell’Amministrazione a far data dalla

stipula dei relativi atti di cessione e l’intervento edilizio come eseguito in radicale

assenza di un preesistente rapporto giuridico con il dominus soli da cui possa

dedursi la liceità delle addizioni; talché la P.A. ne ha acquistato la proprietà ipso

iure per effetto della costruzione stessa. In questo senso depone l’insegnamento

della giurisprudenza di legittimità per cui: “nel caso di risoluzione del contratto attributivo

di un diritto reale implicante la facoltà di sfruttamento edilizio del suolo, il conseguente venir

meno della coincidenza tra costruttore e titolare dello "ius aedificandi", costituendo un effetto

estraneo alla logica commutativa, non disciplinabile in base ai principi che presiedono le

obbligazioni, è regolato dallo statuto della proprietà, mediante l'alternativa tra accessione, con

pagamento dei materiali, e “ius tollendi”” (Cass. Civ., Sez. II, 19/01/2012, n. 740 sia

pure in tema di diritto di superficie).

Il regime giuridico delle opere medio tempore costruite è, pertanto, quello

disciplinato dall’art. 936 Cod. Civ. Con la precisazione, però, che essendo state le

stesse edificate nella consapevolezza dell’Amministrazione dante causa, dovrà

trovare applicazione quanto prescritto dal comma 3 della norma, secondo cui: “Il

proprietario non può obbligare il terzo a togliere le […] costruzioni od opere quando sono state

fatte a sua scienza e senza opposizione”; talché l’unica possibilità residua è quella

dell’accessione dell’opera con indennizzo dell’autore dell’intervento edificatorio in

misura corrispondente al valore dei materiali e al prezzo della mano d’opera o, in

alternativa, all’aumento di valore recato al fondo.

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Questa Nota può essere così citata:

                       Diritto  Civile  Contemporaneo                            Anno  II,  numero  II,  aprile/giugno  2015              Rivista  trimestrale  online  ad  accesso  gratuito                                                                            ISSN  2384-­‐8537          

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A. MAISANO, Contributi pubblici indiretti all’imprenditoria privata. Regime degli

accertamenti antimafia e profili restitutori, in Dir. c iv . cont . , 11 giugno 2015