Diritti Delle Donne e Diritti Umani PDF

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Alessandra Facchi Diritti delle donne e diritti umani: un percorso tra eguaglianza e autonomia personale Premessa Per quasi due secoli l’eguaglianza nei diritti, in altri termini l’accesso delle donne ai diritti fondamentali in condizioni di parità con gli uomini, è stata il principale obiettivo della teoria e dei movimenti femministi. Negli ultimi decenni del Novecento invece gran parte della teoria femminista ha elaborato profonde critiche ai diritti sia per i loro presupposti teorici sia, e di conseguenza, per la loro inadeguatezza a tradurre gli interessi, i valori, la cultura delle donne. Nel femminismo internazionale si è svolto ed è ancora in corso un intenso dibattito sull’opportunità e sulle potenzialità dei diritti umani come strumenti per migliorare la condizione delle donne nel mondo. L’attenzione è tuttavia rivolta ancor più che all’applicazione dei diritti umani alle donne, alla costruzione e alla tutela di diritti umani delle donne. “Women’s rights are human rights” (La Dichiarazione di Pechino adottata in conclusione della IV Conferenza mondiale di delle Nazioni Unite sulle donne si impegna, tra l’altro a “Ensure the full implementation of the human rights of women and of the girl child as an inalienable, integral and indivisible part of all human rights and fundamental freedoms”), quest’affermazione, diffusasi a partire dalla Dichiarazione di Pechino, all’apparenza ovvia, è invece l’approdo di un lungo percorso segnato dalla diversità dei diritti delle donne rispetto ai diritti dell’uomo. Una diversità, e dunque una specificità, che caratterizza le origini dei diritti delle donne, i loro sviluppi storici, le loro attuali configurazioni e tutele: “Human rights have not been women’s rights, not in theory or in reality, not legally or socially, not domestically or internationally.” (. MacKinnon, Rape, Genocide and Women’s Human Rights, in Harvard Women’s Law Journal) Al di là delle molteplici configurazioni e delle tutele concrete che i diritti delle donne possono assumere nelle diverse parti del mondo, nella riflessione teorica si pone il problema di quanto e come i fondamenti teorici dei diritti dell’uomo siano rilevanti per i diritti delle donne. Nelle pagine che seguono propongo una ricostruzione sintetica delle relazioni tra donne e diritti tracciando un percorso che ruota attorno a due nozioni centrali nella fondazione antropologica e filosofica dei diritti dell’uomo: l’idea di autonomia individuale e il principio di eguaglianza. Queste due nozioni hanno assunto un ruolo fondamentale anche negli sviluppi del rapporto tra donne e diritti, rivelando a più riprese, pur in differenti formulazioni, la loro intima connessione.

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Diritti dell'uomo riassunto Facchi

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Alessandra Facchi

Diritti delle donne e diritti umani: un percorso tra eguaglianza e

autonomia personale

Premessa

Per quasi due secoli l’eguaglianza nei diritti, in altri termini l’accesso delle donne ai diritti

fondamentali in condizioni di parità con gli uomini, è stata il principale obiettivo della teoria e dei

movimenti femministi.

Negli ultimi decenni del Novecento invece gran parte della teoria femminista ha elaborato

profonde critiche ai diritti sia per i loro presupposti teorici sia, e di conseguenza, per la loro

inadeguatezza a tradurre gli interessi, i valori, la cultura delle donne.

Nel femminismo internazionale si è svolto ed è ancora in corso un intenso dibattito

sull’opportunità e sulle potenzialità dei diritti umani come strumenti per migliorare la condizione

delle donne nel mondo.

L’attenzione è tuttavia rivolta ancor più che all’applicazione dei diritti umani alle donne,

alla costruzione e alla tutela di diritti umani delle donne.

“Women’s rights are human rights” (La Dichiarazione di Pechino adottata in conclusione della IV Conferenza mondiale

di delle Nazioni Unite sulle donne si impegna, tra l’altro a “Ensure the full implementation of the human rights of women and of the girl child as an

inalienable, integral and indivisible part of all human rights and fundamental freedoms”), quest’affermazione, diffusasi a partire

dalla Dichiarazione di Pechino, all’apparenza ovvia, è invece l’approdo di un lungo percorso

segnato dalla diversità dei diritti delle donne rispetto ai diritti dell’uomo.

Una diversità, e dunque una specificità, che caratterizza le origini dei diritti delle donne, i

loro sviluppi storici, le loro attuali configurazioni e tutele: “Human rights have not been women’s

rights, not in theory or in reality, not legally or socially, not domestically or internationally.” (.

MacKinnon, Rape, Genocide and Women’s Human Rights, in Harvard Women’s Law Journal)

Al di là delle molteplici configurazioni e delle tutele concrete che i diritti delle donne

possono assumere nelle diverse parti del mondo, nella riflessione teorica si pone il problema di

quanto e come i fondamenti teorici dei diritti dell’uomo siano rilevanti per i diritti delle donne.

Nelle pagine che seguono propongo una ricostruzione sintetica delle relazioni tra donne e

diritti tracciando un percorso che ruota attorno a due nozioni centrali nella fondazione antropologica

e filosofica dei diritti dell’uomo: l’idea di autonomia individuale e il principio di eguaglianza.

Queste due nozioni hanno assunto un ruolo fondamentale anche negli sviluppi del rapporto

tra donne e diritti, rivelando a più riprese, pur in differenti formulazioni, la loro intima connessione.

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1. L’esclusione

La storia dei diritti delle donne è molto più breve di quella dei diritti dell’uomo, soprattutto è

da molto meno tempo, circa un secolo, che le donne hanno cominciato a potersi occupare dei loro

diritti.

Per tutto il lungo periodo della teorizzazione e della positivizzazione dei diritti dell’uomo e

del cittadino, l’accesso delle donne ai diritti è fortemente limitato, quando non del tutto precluso.

Il titolare di diritti è in primo luogo un soggetto razionale: la fondazione universalistica dei

diritti si incentra sulla ragione come elemento comune a tutti gli uomini.

La formazione dell’idea di diritti soggettivi avviene nell’ambito del giusnaturalismo

moderno e della sua ricerca di fondamento non più nella rivelazione, ma nella ragione umana.

Dalla ragione discendono i diritti che l’uomo ha per natura e nella ragione risiede la sua

capacità di esercitarli.

La ragione va di pari passo con l’autonomia individuale: sia la tradizione giuridica del diritto

soggettivo sia quella filosofica dei diritti naturali dell’uomo si fondano sulla concezione moderna

della persona come individuo con un valore etico autonomo che si pone come interlocutore del

potere politico.

Il contratto sociale è la manifestazione per eccellenza dell'autonomia individuale, esso

presuppone un individuo libero, razionale e responsabile, capace di giudicare il bene e il male per sé

e capace di vincolarsi, di assumere un impegno e mantenerlo.

L’idea di autonomia si ripropone poi nel Settecento come astrazione della persona da vincoli

comunitari e collettivistici.

Il nuovo ordine sociale – che sarà sancito simbolicamente dalla Dichiarazione del 1789- è

fondato sull'individuo autonomo, lavoratore e proprietario, sulle sue capacità di affermazione

economica e sociale.

Il titolare di diritti viene a coincidere con “il soggetto fisico, un soggetto psicologicamente

liberato che non ha più bisogno di rannicchiarsi all’interno di protettivi assetti comunitari”.

Il titolare di diritti è dunque un soggetto autonomo: individuo solo “ripiegato su se stesso”,

come dirà Marx.

Ed è un soggetto proprietario. Vita, libertà e proprietà non sono soltanto la triade originaria

dei diritti naturali dell’uomo, ma si fondano su una comune visione del rapporto del soggetto con i

propri beni, di cui è signore e dunque di cui può liberamente disporre.

Già nel XVI secolo la nozione di proprietà, dominium, esprime in vari autori il rapporto di

disposizione esclusiva che ha la persona dei propri beni.9

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Nella teoria politica inglese del Seicento si consolida la teorizzazione dell'individuo

proprietario della propria persona, libertà, capacità e beni, attraverso le quali realizzerà la propria

vita.

Un soggetto che nelle Dichiarazioni di fine Settecento sarà posto di fronte ad una legge

eguale per tutti, espressione della sparizione dell’ordine corporativo, comunitario e gerarchico

medievale e dell’affermazione dell’individuo proprietario di sé e delle proprie fortune.

Nell’Ottocento l’insieme dei caratteri assunti come tipici del soggetto titolare di diritti civili,

diritti di libertà e proprietà, si va via via identificando, anche nel diritto positivo, con la nozione di

autonomia individuale, che assume nuove valenze.

Minori, incapaci di intendere e volere sono esclusi dalla gestione dei propri diritti, ma il

soggetto autonomo può disporre dei propri beni, del proprio corpo, delle proprie libertà.

Soggetto autonomo e soggetto proprietario si sovrappongono: avevano diritti di partecipare

alla determinazione della Legge solo i proprietari, in quanto uomini liberi e generalmente dotati di

un certo grado di istruzione.

Autonomia, ragione, proprietà, responsabilità sono dunque i caratteri tipici del soggetto

titolare di diritti civili e politici. Questo soggetto è maschio.

La donna non è razionale: è noto come alle donne sia stata per secoli negata la “ragione”,

proprio quel carattere comune a tutti gli uomini da cui si fanno discendere i diritti.

La donna è essere istintivo, affettivo, irrazionale; apprezzata e temuta proprio per questi suoi

caratteri di differenza rispetto all’uomo.

L'essere dotato di ragione è per eccellenza l'individuo di sesso maschile, mentre si assume

che nelle donne prevalga l'emotività, il sentimento, caratteri inadatti alle decisioni economiche e

politiche, all’assunzione di responsabilità pubbliche, ai rapporti contrattuali, alle professioni

giuridiche.

L'esclusione delle donne dalla sfera pubblica è stata a lungo giustificata in base alla loro

"naturale" diversità, che ne determinava la propensione per determinate attività e l'inattitudine verso

altre.

La donna non è autonoma, dipende da altri soggetti: mariti, padri, fratelli, figli.

Una dipendenza che è innanzitutto morale e culturale. Le donne non possono decidere

perché non giudicano “con la propria testa” e comunque è meglio non lo facciano: alle donne è

preclusa l’istruzione o meglio è riservata un’istruzione adeguata ai loro futuri compiti di moglie,

madre, padrona di casa.

La dipendenza della donna è anche materiale e economica: è l’uomo che entra nel mercato

del lavoro e guadagna.

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Alla donna è riservato il lavoro domestico, la cura dei familiari e della casa, l’educazione dei

figli, l’assistenza degli anziani, i rapporti sociali: tutte attività non remunerate, non considerate

propriamente “lavoro” e il cui riconoscimento di valore è lasciato alla discrezionalità degli uomini

che la circondano.

La differenza di ruoli assegna agli uomini la sfera pubblica e alle donne la sfera privata.

Mentre le Dichiarazioni settecentesche parlano di uomini e cittadini lasciando indeterminata

la possibilità di includervi le donne e le cittadine, nel secolo successivo l’attuazione dei diritti

attraverso norme giuridiche comprende disposizioni esplicite di esclusione delle donne.

Se ad un livello astratto si poteva mantenere un’apparente neutralità e universalità dei diritti,

nel momento in cui da diritti dell'uomo diventano diritti del cittadino, da diritti naturali diventano

diritti positivi diventa anche necessario formalizzare quali possono essere le categorie titolari.

Nel XIX secolo si inizia a delineare una nozione di cittadinanza come frontiera di

esclusione: solo le persone che hanno determinati requisiti sono titolari di un complesso di diritti, e

corrispondenti doveri, nei confronti dello Stato sovrano.

Nella categoria dei diritti civili si consolida la sovrapposizione tra libertà e proprietà e la

confusione tra diritti fondamentali e patrimoniali.

Una sovrapposizione ripetutamente confermata nella teoria politica liberale anche

attraverso la teorizzazione di una sfera di sovranità/libertà individuale, basta ricordare John Stuart

Mill: “su stesso, sul suo corpo e sulla sua mente l’individuo è sovrano”.

I diritti diventano dunque i custodi dello spazio di autodeterminazione e sovranità

dell’individuo adulto e capace, di quello spazio in cui ciascuno sa e può decidere il proprio bene.

Soggetto autonomo e soggetto proprietario si sovrappongono ma le donne non possono

esserlo, sia perchè prive di razionalità, sia perchè economicamente dipendenti dagli uomini.

Una dipendenza a cui non possono sottrarsi dal momento che è loro preclusa l’istruzione e

l’accesso ai lavori remunerati.

Nel Codice civile italiano del 1865 le mogli non hanno libertà di movimento, poiché devono

accompagnare il marito dove egli decide di risiedere (art. 131), hanno minori poteri riguardo ai figli: la

potestà è "patria". Anche i loro diritti di proprietà sono fortemente limitati, in quanto non possono "donare,

La famiglia, soggetto collettivo, viene costruito come un’entità autonoma, un soggetto

individualizzato a cui si attribuiscono interessi e diritti propri.

Così in nome della famiglia per lungo tempo ( e spesso tutt’oggi ) si è legittimata la

discriminazione e la compressione dei diritti delle donne, in quanto mogli, in quanto madri.

Per almeno due secoli movimenti e teorie femministe sono essenzialmente rivolti a

conquistare i diritti di cittadinanza, a rimuovere quelle norme che escludono le donne, ad essere

trattate come gli uomini.

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La “prima ondata” del femminismo è dunque strettamente legata al raggiungimento

dell’eguaglianza di fronte alla legge, cioè di quell’eguaglianza espressa già nella Dichiarazione dei

diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, secondo la quale le differenze, come appartenenze

collettive, non esistono per il diritto che deve disporre gli stessi trattamenti per tutti i cittadini.

Per conquistare l’eguaglianza giuridica le donne reclamano di essere considerate eguali per

natura, nel senso di pari valore e capacità,19 di accedere ad uno status di razionalità e responsabilità,

indipendenza.

In altri termini per essere trattate da eguali devono assumere i tratti ideal-tipici

dell’individuo titolare di diritti civili.

Già nella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, del 1791, Olympe de

Gouges rivendica la donna come persona responsabile e eguale all'uomo con parità di diritti, ma

anche di doveri: l'identico contributo alle spese pubbliche, l'identica soggezione ai rigori della legge

penale.

L’obiettivo fondamentale della prima fase del femminismo è stato la costituzione delle

donne come soggetti autonomi, responsabili, proprietarie di sé, a piena capacità decisionale sul

proprio corpo, sulla propria vita, sui propri beni e la loro sottrazione a soggetti familiari e

istituzionali che volevano dire quale fosse il loro interesse: padri, mariti, legislatori, preti, ecc.

2. L’accesso ai diritti di cittadinanza

Mentre il titolare dei diritti di prima generazione è per eccellenza l’individuo isolato e

autonomo, i diritti economico sociali nascono e si affermano come diritti della persona con bisogni

da soddisfare, considerata per la sua appartenenza ad un gruppo sociale.

Diritti della persona socialmente situata, membro delle “formazione sociali ove si svolge la

sua personalità” ( art. 2 Cost. it.).

I diritti di seconda generazione vengono organicamente inseriti nelle Costituzioni nazionali e

negli Atti internazionali che seguono la seconda guerra mondiale.

Le loro prime manifestazioni si rintracciano però in una serie di misure adottate da governi

europei nell’Ottocento volte a sostenere le componenti più povere ( e numerose) delle popolazioni

nazionali, a tutelare i lavoratori salariati e le loro famiglie nelle situazioni di malattia e invalidità, ad

assicurare garanzie minime per i lavoratori nei confronti dei datori di lavoro.

Le donne, insieme ai bambini, ai malati, agli anziani sono tra le prime beneficiarie di queste

misure proprio in quanto soggetti non autonomi, deboli, non “cittadine” a pieno titolo.

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La connessione tra autonomia e diritti si manifesta dunque in senso contrario rispetto ai

diritti civili: le donne vi accedono dal momento in cui il “titolare” diventa “destinatario”, da

soggetto autonomo diventa soggetto bisognoso.

La conquista da parte delle donne di uno status di autonomia e eguaglianza nei diritti dovrà

aspettare, nei paesi occidentali, la prima metà o - in vari casi- la seconda metà del Novecento, e

avverrà in concomitanza con il processo di internazionalizzazione.

Si sovrappongono così due percorsi di universalizzazione: titolari di diritti umani diventano,

sulla carta, tutte le persone nel mondo.

Carte costituzionali, Dichiarazioni e Convenzioni internazionali proclamano la piena

titolarità di diritti fondamentali per uomini e donne e con modalità via via più precise prevedono

clausole antidiscriminatorie, cioè il divieto per soggetti pubblici e privati di porre in essere

discriminazioni fondate su caratteri come la razza, la lingua, il sesso, le opinioni politiche, ecc.

Le donne dunque possono eleggere rappresentanti e essere elette e godono, almeno sulla

carta, di tutti i diritti civili e politici, a parità di condizioni con gli uomini.

La soddisfazione dura poco: il raggiungimento dell'eguaglianza giuridica è infatti poco dopo

seguito dalla constatazione della sua insufficienza, delle difficoltà di accesso effettivo ai diritti e

della radicate e diffuse discriminazioni di fatto rispetto agli uomini.

Le donne subiscono maggiori violenze in casa e fuori, sono curate meno, hanno un tasso

d'istruzione inferiore, maggiori difficoltà di accesso ai lavori più qualificati e alle cariche pubbliche,

spesso a parità di lavoro hanno una retribuzione inferiore e spesso hanno un doppio lavoro, in casa

e fuori. Inizia ad apparire come le riforme fondate sull’eguaglianza nei diritti, soprattutto nel campo

del diritto di famiglia e del lavoro, potessero produrre, proprio perchè basate su una concezione di

identità di trattamento, anche effetti negativi, in quanto non tenevano conto delle effettive

condizioni di vita delle donne, delle risorse economiche di cui disponevano, dei condizionamenti

culturali di cui risentivano, dei rapporti di potere e della divisione del lavoro all’interno della

famiglia.

Dalla fine degli anni sessanta si dispiega l’incruenta rivoluzione delle donne che si

accompagna alla cosiddetta “seconda ondata” del femminismo.

Nei movimenti femminili si affaccia una nuova percezione: l’eguaglianza giuridica non

basta, la discriminazione e l’oppressione sono radicate nella società.

Appare evidente la necessità di andare oltre l’eguaglianza formale sia con un impegno attivo

contro le discriminazioni, sia con un ripensamento del diritto e delle istituzioni a partire dal punto di

vista delle donne.

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Le nuove prospettive legate all’affermazione dello Stato sociale che dominano in termini

generali il dibattito pubblico si rispecchiano nei movimenti e nel pensiero femminile.

La visione “sostanziale” dell’eguaglianza si declina con riferimento alla differenza

femminile e alle diseguaglianze e discriminazioni che ne derivano, legittimando l’intervento dello

Stato per riequilibrare i rapporti, ridistribuire le risorse, attenuare gli svantaggi.

Nell’ambito dei diritti positivi si inaugura una stagione di riforme dirette a introdurre in tutti

i campi la parità dichiarata nelle Costituzioni.

I movimenti femminili si mobilitano per grandi battaglie come quella sul divorzio o

sull’aborto, sulla parità in famiglia e sulle pari opportunità sul lavoro.

Negli anni ottanta si diffondono nei paesi europei anche varie forme di sostegno alla

presenza femminile in ambito pubblico, soprattutto per favorirne la partecipazione politica: azioni

positive e quote, misure molto discusse anche all’interno del pensiero femminile.

Per le donne la rivendicazione dell’autodeterminazione sul proprio corpo e sul proprio

destino si dispiega in relazione alla sessualità e alla maternità, fondandosi sulle possibilità aperte

dalle nuove tecniche che ne permettono un esercizio consapevole: contraccezione e interruzione di

gravidanza.

La nozione di “genere” riferita alla costruzione culturale del femminile e del maschile si

affianca a quello di “sesso”, ricondotta alla dimensione biologica della differenza.

Su questa base si avviano i Gender Studies.

Come per l’eguaglianza anche per l’autonomia si oltrepassa la dichiarazione formale: non è

sufficiente essere dichiarate autonome per esserlo.

In generale la concezione di autonomia personale inizia ad essere messa in relazione con

l’ambiente di appartenenza.

Nel femminismo degli ultimi decenni del Novecento, nella teoria come nei movimenti

sociali, emerge una particolare attenzione alla specificità delle singole situazioni, ai vincoli concreti,

alle differenze tra donne.

Ci si confronta con la realtà di soggetto situato non solo dal punto di vista del genere: il

punto di vista della donna bianca, di classe media, eterosessuale, laica o di religione cristiana viene

radicalmente messo in discussione dal femminismo nero e dal femminismo lesbico.

L’esistenza di differenze interne al movimento delle donne, di persone con storie, valori e

esigenze diversi non riconducibili a modelli univoci ha posto di fronte alla necessità di non creare

un soggetto-donna falsamente universale e neutrale, riproducendo così la distorsione rimproverata

alla cultura maschile.

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Evitare un’attitudine assimilatoria vuol dire dunque non ignorare le differenze di classe, di

cultura, di razza, di religione tra le donne e non assumere un unico “punto di vista delle donne”.

3. Dai diritti umani ai diritti delle donne

3.1. L’allontanamento dal diritto e la decostruzione dei diritti

La fase più recente nel rapporto tra donne e diritti è anche quella più complessa, diversificata

e problematica.

Essa riflette una svolta nel pensiero femminile che recepisce le istanze del femminismo della

differenza e degli studi di genere, cioè di un insieme di teorie e movimenti che approfondiscono e

rivendicano il valore della specificità femminile, rifiutando l’assimilazione ai modelli maschili.

Il diritto fino alla seconda metà del Novecento era considerato un territorio maschile, la

prima ondata del femminismo l’aveva espropriato guadagnando l’accesso alle professioni giuridiche

e ottenendo riforme negli ordinamenti giuridici nazionali.

Molte esponenti della teoria femminista della seconda ondata hanno invece riproposto

l’estraneità femminile all’ambito giuridico, sottolineandone alcuni caratteri fondamentali legati ad

una visione maschile dei rapporti sociali e ad una gestione maschile del potere.

Così mentre il femminismo dell’eguaglianza si era sviluppato attraverso movimenti sociali,

caratterizzandosi per le conquiste politiche e giuridiche, quello che potremmo chiamare

femminismo della differenza si è caratterizzato per un diffuso ritiro dalla scena pubblica e dal

confronto politico, e da un parallelo sviluppo della riflessione teorica, concentrata sulla costruzione

di una cultura femminile.

A partire dagli anni ottanta la mobilitazione collettiva delle donne si riduce notevolmente

mentre si incrementa la diversificazione interna al pensiero femminista, al punto che diventa molto

difficile parlare di femminismo tout court e ci si interroga sulla stessa definizione di

“femminismo”.

Nella teoria femminista anglosassone prendono forma tre principali approcci: quello liberale

che si richiama ai concetti della tradizione politico-giuridica liberale e enfatizza la scelta

individuale, quello culturale che si rivolge all’approfondimento dell’essere donna e si sviluppa

intorno alle attività di cura, quello radicale che si concentra sui processi di controllo e oppressione e

sugli strumenti per eliminarli.

La critica alla pretesa universalità dei diritti viene declinata non più soltanto dal punto di

vista delle differenze culturali ma anche da quello della differenza di genere.

Nella letteratura femminista si rielabora una critica fondamentale ai diritti, cioè quella di

essere stati presentati come espressione di un soggetto universale, l’Uomo, senza razza, né sesso,

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ceto sociale, essendo in realtà espressione di un individuo preciso: uomo, bianco, di classe media,

proprietario.

I diritti non sarebbero dunque né universali né neutrali, ma diritti di soggetti particolari,

dunque non soltanto inadeguati a tradurre i valori, gli interessi, gli stili di vita di persone diverse ma

anche potenzialmente dannosi.

La costruzione teorica dei diritti viene considerata come esito politico di una logica sessuata,

rispondente ad un punto di vista maschile e fondata sull’esclusione e sulla soggezione delle donne.

Le idee di eguaglianza giuridica e di autonomia individuale vengono, in questa fase,

radicalmente messe in discussione.

L’eguaglianza che si traduce in identità di trattamento è inadeguata perché - ignorando le

differenze esistenti - si traduce in discriminazioni di fatto.

Una norma/normalità costruita su determinati modelli necessariamente sarà penalizzante per

persone ad essi estranee: le donne hanno maggiori difficoltà rispetto agli uomini a partecipare e

vincere in un gioco di cui non hanno contribuito a fissare le regole.

Ma ha anche effetti assimilatori: diritti e politiche fondate sull’identità di trattamento

spingono le persone ad adottare valori, comportamenti, pratiche istituzionalizzate, stili di vita

caratteristici del gruppo dominante.

Nell’ambito della teoria giuridica femminista anglosassone si consolida la divisione tra chi

sostiene l’ Equal Treatment e chi sostiene lo Special Treatment.

Da un lato coloro che, mantenendosi nella tradizione liberale, credono che anche alle donne

vada estesa fino in fondo la logica dei diritti, il corrispondente modello di responsabilità

individuale, e in generale sostengono che le donne debbano essere trattate nello stesso modo degli

uomini.

D’altro lato coloro che sottolineano l’inadeguatezza strutturale proprio di quella logica, ne

rigettano l’estensione alle donne e sostengono la necessità di trattamenti diversi, speciali.

Un buon esempio delle due posizioni è la divergenza tra Carmel Shalev e Carol Pateman sul

problema degli effetti giuridici dell’accordo di surrogazione di maternità.

Shalev, liberale, sostiene che dall’autonomia della donna consegue responsabilità e inderogabilità

verso gli impegni assunti, Pateman, radicale, rifiuta l’applicazione del modello contrattualista.

Per Shalev ogni riconoscimento di specialità a questa situazione e dunque di deroga alla

responsabilità contrattuale della madre gestante riporterebbe la donna ad uno status di debolezza e

dipendenza.

Per Pateman la particolarità della situazione non permette di assimilare la madre gestante ad

un soggetto astratto, né il suo impegno ad un qualunque impegno di natura patrimoniale.

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La valorizzazione dell’autonomia del soggetto, dunque in questo caso della donna che si

assume la gravidanza, richiede di ricondurvi anche la possibilità di cambiare idea nel corso della

gravidanza, decidendo di essere madre non solo naturale ma anche sociale.

Equal treatment e Special treatment si traducono dunque non soltanto in differenti

concezioni del rapporto tra eguaglianza e diritto, ma anche in differenti concezioni dell’autonomia

personale: gran parte del dibattito giuridico e politico femminista degli ultimi decenni del

Novecento ruota intorno a queste due nozioni.

In questa prospettiva la teoria femminista recepisce e rielabora una critica classica al

paradigma dei diritti, cioè quella di essere fondati su una visione atomistica della società, su una

concezione contrattuale dei rapporti sociali e su un’antropologia individualista, tre modelli che non

corrispondono, almeno non esclusivamente, alla realtà.

In primo luogo si fa valere lo scarto tra soggetto costruito e soggetto reale: l’essere umano

(maschio e femmina) non è, o almeno non sempre, in una condizione di razionalità, autonomia,

consapevolezza ma all’opposto in una situazione di dipendenza, incertezza, bisogno.

Inoltre l’autonomia per le donne è considerata come una condizione non soltanto limitata da

fattori contingenti, ma costitutivamente irraggiungibile proprio perché costruita attraverso strumenti

concettuali e dispositivi giuridici che si fondano sulla sua negazione per le donne.

All’etica dei diritti, fondata sull’autonomia dei soggetti, si affianca e si contrappone un’etica

della cura, fondata sulla loro interdipendenza.

L’idea di un’etica della cura ha, com’è noto, la sua origine negli studi della psicologa Carol Gilligan

(Nel volume In a Different Voice del 1982 Gilligan ricostruisce, sulla base di interviste a uomini e donne di varie età, la concezione della moralità e

le esperienze personali di conflitti e di scelte etiche. La particolare configurazione della morale femminile costituisce per Gilligan un’attitudine da

difendere e sviluppare in una prospettiva etica che si realizzi ad integrazione o sostituzione di quella maschile.), ed ha poi avuto ampi

sviluppi e rielaborazioni.

Secondo Gilligan si possono individuare due percorsi di ragionamento morale che emergono

con evidenza nei casi di conflitto: un’etica della cura o della responsabilità, distinguibile da un’etica

della giustizia o dei diritti.

L’etica dei diritti si fonda sul concetto di eguaglianza e sull’applicazione di principi “giusti”,

mentre l’etica della responsabilità poggia sul riconoscimento della diversità dei bisogni delle

persone.

Per l’etica della cura il fondamento della responsabilità e delle pretese morali risiede nella

sofferenza soggettiva, mentre per l’etica dei diritti risiede nella violazione di una norma: mentre

l’etica della cura guarda al futuro, alla salvaguardia delle relazioni e pone l’attenzione ai bisogni dei

soggetti coinvolti, l’etica dei diritti guarda al passato, all’applicazione di principi e norme a

prescindere dalle conseguenze sulle persone coinvolte.

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Inizialmente l’etica della cura è stata vista come una componente tipica della morale

femminile e quella della giustizia della morale maschile, visione che è stata poi superata dalla

constatazione che in entrambi i sessi sono presenti entrambe le attitudini.

Il fatto che i diritti si fondano su un presupposto non sempre riscontrabile nella realtà,

l’autonomia e la razionalità dei titolari non significa – o almeno non per tutte – che i diritti debbano

essere rigettati, ma solo che devono essere usati con cautela.

Elisabeth Wolgast esprime con grande chiarezza questa posizione. Essa considera la volontà

e la rivendicazione, sulla scorta di Joel Feinberg, elementi essenziali dei diritti: "Il diritto mette il

detentore in una posizione assertiva…i diritti pongono gli aventi diritto al posto di guida".

Proprio perché autonomia, razionalità, rivendicazione sono caratteri fondativi dei diritti vi

sono alcune situazioni in cui i diritti sono “sbagliati".

Soggetti “non autonomi” che spesso non hanno la capacità concreta, almeno in quella

specifica situazione, di dare un contenuto ai propri diritti e di farli valere.

Il caso più evidente è quello del malato nei confronti del medico o del personale sanitario

verso i quali si trova in un rapporto di dipendenza materiale e psicologica, e spesso anche di

incapacità cognitiva di comprendere le informazioni che lo riguardano.

In questo caso il titolare non soltanto non è in grado di esercitare i suoi diritti, ma, secondo

Wolgast, il fatto di avergli riconosciuto dei diritti permette di non attuare altre forme di tutela più

adeguate ai suoi bisogni.

In certe situazioni attribuire un diritto diventa un modo per evitare di attribuire

responsabilità a coloro che sono in posizione di forza e controllo.

In conclusione dunque i diritti vanno bene per alcuni rapporti, non per tutti: in situazioni

estranee all'antropologia e alla visione dei rapporti umani in base al quale è stato formulato lo

strumento dei diritti non funziona e anzi può essere dannoso.

3.2. La costruzione di diritti sessuati e le sfide del femminismo fuori dall’Occidente

A partire dagli anni Novanta mentre continuano a svilupparsi i Gender studies, diminuisce

la diffidenza verso il diritto e i diritti.

La teoria femminista torna a rivolgersi a questioni che riguardano la vita, le discriminazioni

e le forme di oppressione femminile confrontandosi nel dibattito pubblico e cercando nuove

formulazione di norme e principi che traducano il punto di vista delle donne.

Nei paesi anglosassoni e scandinavi si consolidano approcci come la Women’s law e la

Feminist Jurisprudence il cui presupposto è che il diritto non è costitutivamente maschile, dunque

sessista, ma lo è solo in quanto è stato formulato dagli uomini.

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Catharine Mac Kinnon, giurista statunitense importante esponente del femminismo radicale,

è una delle principali rappresentanti di quella parte della teoria giuridica femminista che adotta e

riformula principi e diritti della tradizione liberale per utilizzarli in battaglie politiche volte ad

eliminare comportamenti oppressivi e discriminatori per le donne.

MacKinnon considera la sessualità come l’ambito privilegiato di oppressione maschile che

accomuna, pur in forme diverse, tutte le donne nel mondo.

Il problema per il diritto non è dunque se debba trattare le donne in modo identico o

differente rispetto agli uomini, ma piuttosto quello di evitare che costituisca uno strumento di

subordinazione e oppressione.

L’attenzione della riflessione femminista deve spostarsi dalla differenza all’oppressione e

non può abbandonare il dibattito pubblico, l’arena politica, l’elaborazione giuridica.

L’impegno e gli scritti di MacKinnon per la legge contro le molestie sessuali sul luogo di

lavoro, per il divieto della pornografia che propone immagini di assoggettamento femminile e di

violenza sulle donne, per la qualificazione internazionale dello stupro etnico come genocidio, le sue

battaglie intellettuali per una ridefinizione del principio di eguaglianza che permetta di intervenire

su pratiche dannose per le donne, sono ormai ampiamente noti.

Anche l’etica della cura si dispiega sul piano delle politiche pubbliche: da descrizione di un

complesso di attività e di una corrispondente attitudine morale individuale viene trasposta sul piano

normativo, proponendosi come il contenuto di riforme politiche e giuridiche.

In questa direzione si inserisce l’elaborazione della filosofa nordamericana Joan Tronto che

si propone come uno strumento per affrontare i bisogni umani in una società in cui la dipendenza è

assunta come normalità, non è vista come uno stigma negativo, ma come un carattere necessario e

universale delle relazioni umane.

Tronto parte dall’analisi dell’importanza che in tutte le società assumono le attività di cura e

al contempo della sua ineguale distribuzione e della sua svalutazione economica e culturale nelle

nostre società, per arrivare ad una proposta politica mirante in primo luogo a rendere visibile e

conferire valore pubblico alle attività di cura e a chi le presta, in secondo luogo a ridistribuirne il

carico su varie componenti della società, uomini e donne.

Le persone non sono autonome e autosufficienti: la cura è di per sé un’attività che non si

svolge tra soggetti eguali e autonomi, ma implica situazioni di dipendenza e bisogno.

La cura comporta un’attitudine paternalista/maternalista: “il pericolo che chi riceve delle

cure perda la sua autonomia e il suo senso di indipendenza è sempre implicito nel processo di cura”.

Tuttavia ciò non significa per Tronto rinunciare all’autonomia della persona che rimane

l’elemento centrale nella interpretazione e nella scelta dei bisogni da soddisfare.

Page 13: Diritti Delle Donne e Diritti Umani PDF

Mentre nel femminismo teorico occidentale, in particolare in quello anglosassone, riemerge

in varie forme l’interesse per la politica, il diritto e i diritti, in ambito internazionale, a partire dalla

Cedaw, si diffonde il dibattito sui diritti delle donne.

Un dibattito che non si confina nell’ambito delle istituzioni sovranazionali e delle ONG, ma

viene alimentato da rivendicazioni da parte di gruppi e movimenti femminili, dalla costruzione di

reti di donne, da una letteratura multidisciplinare che rivisita i diritti a partire da storie, culture e

religioni differenti.

Anche nella discussione interculturale svoltasi durante la conferenza di Pechino

l’individuazione dei diritti delle donne come diritti umani universali ha dovuto superare diversi

contrasti: ripetutamente, soprattutto con riferimento a pratiche tradizionali radicate, è emersa la

distanza tra la visione dei diritti delle donne consolidata nella tradizione occidentale e

l’interpretazione locale, comunitaria e religiosa, di quei diritti.

E’ comunque indiscusso che l’affermazione dei diritti delle donne si debba tradurre in primo

luogo nella denuncia e nella ricerca di tutele reali contro quelle pratiche che cominciano con la

soppressione delle bambine prima della nascita o subito dopo, proseguono con lo sfruttamento, la

segregazione imposta, gli stupri e gli abusi sessuali, la disposizione forzata del loro corpo e della

loro vita e comprendono tutte le varie forme ancora molto diffuse nel mondo di oppressione,

violenza, discriminazione esercitate in casa, sul lavoro, nelle strade, in guerra e in pace, da amici e

da nemici, solo sulle persone di genere femminile.

Come è ormai ampiamente constatato in tutto il mondo, comprese le nazioni occidentali, la

maggior parte delle violenze e discriminazioni contro le donne si verificano in ambito familiare e

comunitario.

La preoccupazione di tutelare le donne nei confronti dei gruppi di appartenenza si è

presentata come un’esigenza fondamentale in una prospettiva liberale non solo in contesti

tradizionali e patriarcali ma anche nelle società multiculturali occidentali.

L’accusa lanciata dalla filosofa politica Susan Moller Okin secondo la quale l’estremo

“rispetto per le differenze” mostrato dal femminismo ha prodotto “molti danni alle donne nel

mondo” ha rotto un’alleanza tra femminismo e multiculturalismo che si era consolidata in nome

delle politiche della differenza e della critica alla neutralità dello Stato.

Se è vero che l’appartenenza al gruppo, alla famiglia, alla comunità sono sempre stati e sono

spesso tuttora fonte di violenza, oppressione, discriminazione per le donne, è anche vero che

l’appartenenza comprende una dimensione di adesione soggettiva e che spesso le due dimensioni

sono inestricabili.

Page 14: Diritti Delle Donne e Diritti Umani PDF

Le costruzioni identitarie, soprattutto le identità/ appartenenze incompatibili sono spesso

qualcosa di costruito dall’esterno, etichette che non corrispondono alla percezione dei membri dei

gruppi, ma solo a minoranze enfatizzate strumentalmente.

La pluriappartenenza delle persone e la formazione di identità “meticce”, alimentate dai

fenomeni di globalizzazione, migrazione e transmigrazione, sono da tempo sottolineate dalla

letteratura sociologica.

Se, come è ormai opinione diffusa, affinchè i diritti delle donne diventino effettivamente

diritti umani: “The real questions are: Who defines legitimate human rights issues and who decides

where the state should enter and for what purposes? “, anche la conciliazione tra appartenenza di

genere e appartenenza religiosa e culturale non può che essere affidata all’ interpretazione che le

donne interessate forniscono dei loro diritti e degli strumenti per difenderli.

Importanti contributi vengono dal pensiero femminile musulmano che si oppone alle

discriminazioni e alle violenze sulle donne legittimate da alcune versioni dell’Islam, costruendo una

formulazione dei diritti delle donne che stia all’interno della religione, spesso attraverso una

rilettura dei testi sacri.

Un rilievo crescente sta assumendo anche il femminismo indigeno in America latina che ha

iniziato a creare reti trasnazionali di donne per riflettere e combattere contro forme di

discriminazione, violenza, oppressione che le toccano in quanto donne e in quanto indigene.

L’obiettivo è quello di difendere sviluppare i loro diritti all’interno delle loro comunità,

tradizioni, movimenti, dunque prendendo alcuni elementi del femminismo occidentale e

rigettandone altri.

4. Frontiere attuali: soggetto situato e eguaglianza inclusiva

I diritti per essere effettivi, oltre che dichiarati e garantiti attraverso norme giuridiche devono

essere giustiziabili.

Realmente giustiziabili significa non solo avere canali istituzionali, ma anche le possibilità

concrete che sono materiali, culturali e morali, significa averne consapevolezza, significa “credere

di avere dei diritti”, sapere di poterli rivendicare, sapere che corrispondono a degli obblighi, propri

e altrui (La rivendicazione è un elemento essenziale dei diritti. Joel Feinberg coglie appieno quest’aspetto quando scrive “"it is claiming that

gives rights their special moral significance… Having rights enables us to "stand up like men", to look others in the eye and to feel in some

fundamental way the equal of anyone", Feinberg J., The Nature and Value of Rights, in Rights, Justice and the Bounds of Liberty, Princeton U.P,

Princeton)

I diritti prima di essere norme giuridiche sono elementi culturali costituiti da insiemi di

credenze, valori, comportamenti, pratiche.

Page 15: Diritti Delle Donne e Diritti Umani PDF

Si può dire modelli di comportamento che corrispondono ad aspettative legittimate

socialmente e moralmente.

Se mancano del tutto questi modelli, se non c’è di una cultura dei diritti, è difficile che le

norme che dispongono e garantiscono diritti possano essere effettive.

La forza dei diritti dipende non solo dal fatto che sono previsti in documenti internazionali,

ma anche dall’esistenza di una cultura dei diritti.

A me pare difficile che i diritti umani possano attestarsi nel mondo negando i loro

presupposti teorici e antropologici, appare difficile che una cultura, ancor prima che una prassi dei

diritti, possa diffondersi senza fondarsi su una qualche idea di eguaglianza giuridica e di autonomia

del soggetto.

Ciò riguarda in particolare i diritti delle donne: la possibilità di delega dell’esercizio dei

propri diritti e di trattamento diseguale non possono che nuocere a soggetti con minor potere, quali

sono ancora le donne.

Se eguaglianza giuridica e autonomia personale sono due principi ineludibili in una

prospettiva di affermazione di diritti delle donne, la riflessione critica a cui sono state sottoposte

queste due nozioni da parte della teoria femminista, e non solo femminista, degli ultimi decenni ha

portato a delinearle in forme nuove.

Della tradizione femminista fa parte integrante, come si è detto, la critica all’idea del titolare

di diritti come soggetto autonomo, isolato, guidato essenzialmente da una razionalità economica a

cui si contrappone invece un soggetto con bisogni, dipendente, inserito in contesti relazionali,

determinato anche dalle emozioni.

L’apertura verso le differenze, la differenza di genere e le differenze tra donne poi, ha poi

indirizzato verso una nozione concreta di soggetto, radicata nelle specificità individuali: “Women in

feminist theory are concrete; they are not abstract. …Feminism does not “assume” but rather builds,

its “women” from women who socially exist.”

La critica alla soggettività astratta e la contestualizzazione del soggetto non hanno tuttavia

condotto alla svalutazione dell’ autonomia e della responsabilità della persona, ma ad una

riformulazione di queste nozioni nel senso di una maggiore attenzione ai vincoli concreti, agli

interessi in gioco e alla loro rappresentazione da parte dei soggetti coinvolti.

Quando si tratta di diritti fondamentali come quelli sul proprio corpo, sulla propria vita, sulla

propria salute la scelta della persona rimane il riferimento fondamentale, a cui, sia in una

prospettiva liberale come in una prospettiva femminista, non è possibile individuare una supplenza

valida (L’accento posto sull’autonomia e sulla volontà del titolare rimanda ad una concezione del diritto come scelta-volontà ( will-choice

theories) classicamente contrapposta a quella del diritto come interesse (interest theories). A me pare che i diritti delle donne per potersi realizzare

debbano essere orientati più verso le prime che verso le seconde,).

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L’ autonomia del titolare di diritti non va dunque intesa come un fattore decontestualizzato:

la lettura femminista ha rivolto l’attenzione ai processi che costruiscono l’autonomia e ai fattori che

la ostacolano, proponendone nozioni complesse, attente alle influenze delle relazioni sociali e

culturali .

Dal punto di vista politico-giuridico questa riconsiderazione dell’idea di autonomia

personale comporta la predisposizione di procedure di verifica della volontà dei soggetti implicati,

di sostegno alla sua formazione e all’elaborazione di una scelta consapevole, di una scelta il più

possibile libera da costrizioni esterne e indesiderate, materiali e morali.

Si traduce quindi in maggiori garanzie di diritti di autodeterminazione, di libertà personale,

di disposizione del proprio corpo, del proprio presente e futuro.

Garanzie che non possono derivare solo da divieti e minacce di punizioni, dunque da un uso

del diritto repressivo ma devono tradursi anche in sostegni e possibilità, dunque da un uso

promozionale del diritto, che comprenda l’accesso effettivo ai principali diritti economico-sociali.

Per tutelare i diritti di questo soggetto non è sufficiente neppure una visione di eguaglianza

sostanziale che si limiti a porre rimedio alle differenze, intese come fattori negativi produttori di

diseguaglianze.

La riflessione femminista si è infatti rivolta alla ricerca di una nuova nozione di eguaglianza

fondata sulle differenze tra le persone, che ne prenda in carico le appartenenze, almeno quelle

essenziali per il loro benessere come le appartenenze di genere, cultura, religione.

Un’eguaglianza che non si traduce in trattamenti speciali che possono richiedere deroghe

all’eguaglianza formale, attribuendo vantaggi agli svantaggiati, ma in trattamenti differenziati che si

fondano su una visione pluralista della società, dove non esiste un modello dominante di valori e

pratiche considerato come normale, rispetto al quale gli altri sono speciali.

Una versione dell’eguaglianza che in ultima analisi appare come il vero contenuto di

un’effettiva eguaglianza di fronte alla legge.

In concreto ciò può significare, ad esempio, che diritti sociali come l’assistenza sanitaria,

l’organizzazione del lavoro e l’istruzione non siano più pensati e attuati come neutrali rispetto al

genere, alla religione, alla cultura dei soggetti; può tradursi nella sanzione di un comportamento

percepito come lesivo da un punto di vista particolare ( come nel caso delle molestie sessuali sul

luogo di lavoro o dei discorsi razzisti) ma può anche significare che lo stesso comportamento possa

avere un diverso trattamento giuridico in relazione a caratteristiche di gruppo - assunte come

rilevanti - di chi lo compie. (dei diritti economici e sociali è quello in cui sono più richieste forme di attuazione differenziate

in ragione dei destinatari, che si confrontino con differenti visioni del corpo, della famiglia, del lavoro e del ruolo della donna nella società, dei

rapporti tra individuo e gruppo, della religione ecc. Per essere effettivi, per essere “eguali”, questi diritti, basti pensare al diritto alla salute o

all’istruzione, non possono ignorare le differenze di genere e cultura, religione.)

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Nei percorsi dei diritti delle donne si possono dunque evidenziare tre fondamentali

prospettive in cui considerare il rapporto tra eguaglianza normativa e appartenenze rilevanti.

La prima è quella classica dell’eguaglianza formale, che si traduce in identità di trattamento

e implica l’indifferenza del diritto verso le differenze.

La seconda, che è quella comunemente detta dell’eguaglianza sostanziale, considera le

differenze, economiche, sociali, naturali, dal punto di vista delle diseguaglianze che esse producono

e dunque come svantaggi che vanno cancellati o almeno attenuati.

Una terza visione -che si può chiamare eguaglianza ‘inclusiva’ - implica che le differenze di

gruppo non siano più ignorate come nell’eguaglianza formale né considerate per le loro

conseguenze negative come nell’eguaglianza sostanziale, ma siano considerate come caratteri

positivi o comunque giuridicamente rilevanti.

Queste tre concezioni del rapporto tra eguaglianza normativa e differenze fattuali, le norme e

le politiche che ne derivano, non vanno considerate alternative, ma piuttosto complementari: tutte e

tre devono confluire nella costruzione e nell’applicazione di diritti fondamentali e nella

realizzazione di un giusto trattamento del caso individuale.

Una concezione ampia dell’eguaglianza delle opportunità le comprende tutte e tre. La loro

integrazione, in luogo della loro contrapposizione, costituisce un obiettivo centrale nella

formulazione e nella garanzia di diritti umani a partire dal punto di vista delle donne.