Dire l'Esperienza Estetica [AAVV]

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  • Aesthetica Preprint

    Dire lesperienza esteticaa cura di Rita Messori

    Centro Internazionale Studi di Estetica

  • Il Centro Internazionale Studi di Estetica un Istituto di Alta Cultura costituito nel 1980 da un gruppo di studiosi di Estetica. Con d.p.r. del 7-1-1990 stato riconosciuto Ente Morale. Attivo nei campi della ricerca scien-tifica e della promozione culturale, organizza Convegni, Seminari, Giornate di Studio, Incontri, Tavole rotonde, Conferenze; cura la collana editoriale Aesthetica e pubblica il periodico Aesthetica Preprint con i suoi Supplementa. Ha sede presso l'Univer-sit degli Studi di Palermo ed presieduto fin dalla sua fondazione da Luigi Russo.

    Aesthetica Preprint

    il periodico del Centro Internazionale Studi di Estetica. Affianca la collana Aesthetica (edita da Aesthetica Edizioni, commercializzata in libreria) e presenta pre-pubblicazioni, inediti in lingua italiana, saggi, bibliografie e, pi in generale, documenti di lavoro. Viene inviato agli studiosi impegnati nelle problematiche estetiche, ai repertori biblio-grafici, alle maggiori biblioteche e istituzioni di cultura umanistica italiane e straniere.

  • 80Agosto 2007

    Centro Internazionale Studi di Estetica

    Aesthetica Preprint

  • Il presente volume viene pubblicato col contributo del Dipartimento di Filosofia dellUniversit degli Studi di Parma.

  • Dire lesperienza esteticaa cura di Rita Messori

  • Indice

    Presentazionedi Rita Messori 7

    Il rapporto fra poetica e retoricadi Emilio Mattioli 11

    Dire lesperienza: alle origini della letteraturadi Giovanni Lombardo 17

    Rappresentazione pittorica e rappresentazione poeticain Tommaso dAquinodi Fabrizio Amerini 27

    De la posie comme rponse la nuitLunion du dire et du voirdi Baldine Saint Girons 39

    Ricostruire lesperienza stessa della genialitIl problema del genio in Joseph Louis Segonddi Fabio Rossi 51

    Descrivere larte, descrivere il mondo: Diderot promeneurdi Rita Messori 63

    Stile e stilidi Elio Franzini 75

    sthetische Arbeit: lestetica atmosferica di Gernot Bhmee lattualit della retoricadi Salvatore Tedesco 83

  • Presentazionedi Rita Messori

    Da pi di un decennio a questa parte, si assistito a una vera e propria svolta in ambito estetico: la messa in discussione della identi-ficazione estetica-filosofia dellarte e la riproposizione dellesperienza estetica quale questione centrale della disciplina. La ricerca, sia teorica sia storiografica, si dunque maggiormente concentrata sul significato e sul ruolo che la sensibilit e laffettivit, nelle loro varie e mutevoli declinazioni, assumono in unottica generale di ricerca e formazione del senso.

    Questa svolta, in concomitanza con alcuni fattori che hanno avuto in ambito estetico una significativa ripercussione perdita di spinta propulsiva dellermeneutica, ma anche della cosiddetta rivalutazione della retorica, argomentativa o figurale ha visto un affievolirsi dellinteresse nei confronti di questioni legate al linguaggio, che, come noto, ha costituito uno dei nodi problematici su cui la filosofia del Novecento si dibattuta.

    A tal punto pare necessario un ripensamento del significato del lin-guaggio in ambito estetico a partire dal rapporto che si viene a instaura-re tra linguaggio ed esperienza estetica: come dire lesperienza estetica? In che modo rendere testimonianza del reale esperito? In definitiva: quale relazione tra sentimento del mondo e articolazione del senso?

    nel tentativo di dare una risposta a tali interrogativi che si svolto a Parma nel novembre del 2006 il convegno Dire lesperienza. Nuove prospettive tra estetica e retorica di cui il presente volumetto raccoglie gli atti. Mi auguro che il vivace confronto iniziato durante lo svolgimento dei lavori possa proficuamente proseguire.

    A unire i vari contributi la consapevolezza che sia da un punto di vista teorico, sia da un punto di vista storiografico, determinante appare lapporto della tradizione retorico-poetica, e non soltanto per-ch costituisce un percorso genetico della nascita dellestetica: per se-coli ha presentato modalit di espressione la cui pregnanza richiede una adeguata riflessione in grado di esplicitarne il significato filosofico. Come ribadisce Emilio Matttioli, ripensare lunit di sentire e parlare possibile solo a partire da una ritrovata coappartenenza di poetica e

  • retorica. Studi recenti sulla retorica dellantica Grecia mostrano il ruo-lo fondamentale giocato dal genere epidittico derivato dalla tradizione poetica; se la poesia diviene un atto pubblico attento al sentire comune, il discorso retorico esprime i sentimenti e le passioni del soggetto par-lante. Nella stessa direzione si muove quella teoria del linguaggio che, rifacendosi alla poetica di Meschonnic, vede nel duplice ripiegamento autistico di retorica e poetica un segnale evidente della separazione tra linguaggio e vita.

    Inserendosi in un dibattito storiografico attualissimo, lintervento di Giovanni Lombardo mostra come nellepos arcaico le tecniche lingui-stiche della narrazione, ovvero le forme verbali che il logos assume per dire lesperienza, esprimano fondamentalmente due modalit diverse di rapportarsi al reale. O, mediante luso dellimperfetto, noi ci muo-viamo verso i fatti, consapevoli del continuum temporale a cui essi ap-partengono, o, mediante luso dellaoristo, i fatti si avvicinano a noi in una indefinita momentaneit. Si tratta di due modi della visualizzazione del linguaggio poetico che vanno a costituire due schemi interpretativi dellesperienza dellarte, sia a livello produttivo sia a livello fruitivo.

    Se vi una storia del dire lesperienza certamente il Medioevo ne rappresenta un momento ancora poco preso in esame dagli estetologi. Mentre ad esempio alcuni tratti dellestetica tommasiana concernenti la poetica e la retorica sono stati studiati, altri rimangono in ombra. Secondo Fabrizio Amerini molto lavoro rimane da fare sulle teorie della rappresentazione applicate al campo pittorico e poetico, e sulle teorie dei colori rispetto alla percettibilit sensoriale e alla conseguente relazione del colore col sentimento del bello. Ci potrebbe gettare una nuova luce sul rapporto tra poesia e pittura.

    Ed sulla poesia come risposta allesperienza della vita nella sua fuggevolezza che si concentra il saggio di Baldine Saint-Girons. Resi-stendo al rischio di sacralizzare la lettera e di far dimenticare il reale, la poesia moderna afferma il qui e ora del miracolo evanescente della presenza. Ancora una volta la tradizione retorica, con Longino, ci offre un paradigma interpretativo: le immagini evocate divengono apparizio-ni. Le phantasiai poetiche rappresentano le cose nel momento del loro nascere, del loro emergere dal buio della notte che diviene qui figura dellaltro. La poesia continua sperimentazione, modo di pensare in atto, le cui tecniche precise rendono conto del continuo movimento tra ci che si rivela e ci che si nasconde; quanto a noi si nega rimane sempre al di l di ogni nostra esperienza e di ogni nostro dire, pur costituendone la condizione di possibilit.

    La produzione artistica, nel suo essere creazione spirituale e inventio di nuove modalit espressive, frutto di una personalit geniale. Sulla teoria del genio di Joseph Louis Segond, pensatore della prima met del Novecento, quasi sconosciuto in Italia e forse presto dimenticato in Francia, si concentra il contributo di Fabio Rossi. Poich fondamen-

  • talmente naturale e corporea, quella del genio potenza di sentire al di l di ogni riduzione intelletualistica o mistico-sentimentale. Potenza che, attualizzandosi, si concreta in una tecnica, e nelloperare si rende immanente.

    E di genio della critica si deve senza alcun dubbio parlare a proposi-to di Diderot salonnier che nella Promenade Vernet conduce il rapporto tra parola e immagine sino allapice della sperimentazione. Facendo riferimento ai visual studies, in cui il tema dellekphrasis gioca un ruo-lo di primo piano, nel mio intervento ho tentato di mostrare come il racconto-descrizione dellattraversamento fittizio dei paesaggi di Vernet conduca a una messa in questione dellequivalenza evidentia-enargeia. Dire lesperienza del manifestarsi delle cose come se qui e ora venis-sero alla presenza significa coglierle nel passaggio dalla potenza allatto. La subiectio sub oculis dunque a un tempo visualizzazione (enargeia) e attualizzazione (energeia).

    Utilizzando un termine goetheano, Husserl chiama stile la capa-cit di cogliere quel flusso oscillante dellapparire che il mondo della vita; capacit che si traduce in rappresentazioni dotate di senso e tendenti allunit. Come dimostra Elio Franzini, in quanto fenomeno originario lo stile diviene la matrice di un senso espressivo, il nucleo di possibilit che d luogo alla variet degli stili. In tal modo la pluralit delle forme non mera frammentazione ma morfogenesi che, come voleva Goethe, ha nel simbolo, cio nel legame tra le parti, nella ricerca della trama del mondo che tiene provvisoriamente insieme le cose che via via ci si presentano, il proprio fondamento di unit.

    Il sentore della presenza diviene levento percettivo fondamentale su cui si costruisce la nuova estetica (Aisthetic), in quanto teoria genera-le della percezione, di Gernot Bhme. Come mette in evidenza il saggio di Salvatore Tedesco, esplicito il richiamo alloperazione baumgarte-niana e non soltanto riguardo ai contenuti. Se linteresse conoscitivo si orienta sulla manifestativit occorre concentrarsi su fenomeni intermedi, come latmosfera, che si situano al di qua della separazione di polo sog-gettivo e polo oggettivo. soltanto a partire dai problemi estetici che diviene possibile una terminologia adeguata e un impianto concettuale. In tal senso la retorica pu fornire un modello di argomentazione della teoria estetica nella misura in cui avviene larticolazione del nesso delle percezioni sensibili.

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    Il rapporto fra poetica e retoricadi Emilio Mattioli

    Il rapporto fra poetica e retorica ha subito negli ultimi tempi un riassetto e una modificazione. Impossibile tracciarne il quadro com-pleto, mi limiter ad alcuni momenti problematici e, particolarmente, a due periodi: lantichit e la contemporaneit. In realt il problema storiografico si intreccia a quello teorico. In primo luogo va notato che la separazione fra poetica e retorica ha effetti rovinosi, proprio nel rapporto fra le due discipline che se ne scoprono le radici profonde e le ragioni. noto come la rinascita novecentesca della retorica, che pure un fenomeno estremamente importante, sia avvenuta in maniera autonoma ed anzi il rapporto fra le due discipline sia stato considerato unindebita confusione. Nella cultura italiana si sentito presto il bi-sogno di ripensare il rapporto e di ricostituirlo, probabilmente anche perch la scuola neofenomenologica italiana aveva creato con il suo lavoro sulle poetiche il terreno adatto anche ad un approccio vitale alla retorica. Aveva scritto Luciano Anceschi, il maggior studioso di poetica del secolo scorso, nel 1957: Quanto alla Retorica, poi, sem-bra davvero che non giovi indugiare nella nozione che ne ebbero e contro la quale polemicamente si posero, condannandola, i romantici e i realisti del secolo xix; fu questa una interpretazione ovviamente unilaterale per motivi strumentali; invece, c da pensare che la Retori-ca sia una disposizione storicamente variabile che, volta a volta, vuole rilevare e significare in leggi, in norme, in avvertimenti le ragioni del rinnovamento letterario e artistico dei diversi tempi, movimenti 1. E non evidentemente un caso che Renato Barilli, scolaro di Anceschi, abbia pubblicato un libro davvero originale come Poetica e Retorica 2, in cui lunit fra poetica e retorica era vista come unit fra sentire e pensare, come antidoto alla divisione delle due culture. Ma direi che su questa strada si sono fatti degli ulteriori passi avanti. Per questi recenti svolgimenti prender come testo di riferimento Jeffrey Walker, Rhetoric and Poetics in Antiquity 3.

    Walker smantella lopinione vastamente diffusa, cui gi accenna-vamo, secondo la quale poetica e retorica sono due discipline incom-patibili e sostanzialmente differenti che lantichit ha indebitamente confuse e cerca di dimostrare che sbagliata lidea secondo la quale

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    la retorica sorta come unarte di pratica oratoria civile nelle corti di giustizia e nelle assemblee dellantica Grecia, mentre la retorica epidit-tica, poetica o letteraria, sarebbe unarte, puramente formale di secon-daria importanza. Altrettanto sbagliata, secondo Walker, lidea secondo la quale il passaggio dalloratoria civile a quella epidittica segna una decadenza. La separazione fra la retorica intesa come dottrina delle figure e la retorica dellargomentazione e della persuasione si ritrova, con conseguenze negative, nella teoria letteraria moderna. La revisio-ne che Walker fa della storia della retorica nellantichit comporta unidea della retorica intesa come unarte di argomentazione/persua-sione epidittica che deriva originariamente dalla tradizione poetica e che si estende ai discorsi pratici della vita pubblica e privata. Walker riconnette questa impostazione alla riabilitazione dei sofisti compiuta negli anni novanta (in Italia il grande lavoro di Untersteiner sui sofisti cominciato molto prima) e alla revisione della nozione convenziona-le del discorso epidittico inteso come mero ornamento e limitato alla elencazione rituale delle credenze e dei valori tradizionali.

    Inoltre questo discorso si fonda su di un esame dellantica poesia, principalmente la lirica greca arcaica, intesa e praticata come unargo-mentazione epidittica che si rivolge ad un uditorio. Walker costruisce quella che pu essere chiamata una storia sofistica della retorica che include poesia e poetica come parti centrali del dominio retorico. Se-condo lo studioso la poetica grammaticalizzata della tarda antichit e del medioevo ha reso pi difficile cogliere lidea di retorica poetica che la lirica arcaica incorpora.

    lecito chiedersi quale fondamento filologico abbia questa impo-stazione cos profondamente innovativa del rapporto fra poetica e re-torica e della storia della retorica stessa: largomentazione ricchissima e non riassumibile, evidentemente, ma il presupposto primo e fondante sta nellabbandono dellidea anacronistica che la poesia antica e la lirica in particolare sia espressione di sentimenti soggettivi ed escluda la dimensione argomentativa. Particolarmente significativa in questo senso lelaborazione del concetto di entimema lirico, inteso come lar-gomentare specifico della poesia. Da sottolineare ancora che il legame fra poesia e quindi poetica e retorica esiste gi prima che la retorica assuma la sua denominazione tecnica 4, a partire da Esiodo che nella Teogonia (vv. 81-104), ne d, secondo Walker, la prima indicazione, parlando delleloquenza del re e di quella dellaedo 5. Il termine rhe-torik, per altro non risulta univoco, come denominazione equivoca o sineddoche per larte del logos in senso ampio o generale comprende implicitamente nel suo dominio tutte le forme del logos, incluso il logos poetico e il pensiero interno come anche tutte le variet di prosa. Cos leloquenza persuasiva della poesia contemporaneamente un sottoinsieme dellarte generale della retorica e il suo antenato. Inol-tre in quanto quella epidittica la forma primaria e centrale della

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    poesia, e in quanto la poesia a sua volta la forma originaria e finale della forma epidittica (o come tale viene intesa), la poesia anche la forma originaria e finale della retorica 6.

    Walker sottolinea come le implicazioni di questa situazione si espli-citino nella tarda antichit e si capisce anche cos come Elio Aristide possa affermare che la miglior poesia sia quella che si avvicina di pi alla retorica 7.

    Walker non cita il poderoso lavoro di Laurent Pernot, La rhtori-que de lloge dans le monde grco-romain 8, ma necessario tenerne conto, perch d due apporti fondamentali che per altro si legano alle posizioni di Walker, non le contraddicono: interpreta in modo radical-mente innovativo il genere epidittico, mostra il legame profondo fra poesia e oratoria e quindi fra poetica e retorica. Far due citazioni da questo testo che non si pu in alcun modo ignorare, se si vuol parlare del genere epidittico con consapevolezza:

    Lanalyse traditionelle de lloquence pidictique ne doit donc pas tre totalement rejete, puisquelle fait apparatre deux aspects im-portants, la dimension esthtique et la dimension rituelle. Mais cette analyse reste insuffisante, parce quelle ne tient pas compte du con-tenu des discours. Il est vident que lart de lenkmion ne peut tre apprhend indpendamment de tout message, et quun discours ne se rduit pas laccomplissement dun crmonial. Contrairement la musique, le discours pidictique fait appel au sens. Contrairement au rite, il nest pas entirement codifi et dtermin lavance. Con-trairement lnonc performatif, il ne se rduit pas une formule strotype; lorateur ne se contente pas de dire Je te loue, mais il ajoute parce que, et dans les considrants de lloge, sengouffrent la signification et la persuasion. Il faut donc rompre avec la tradition du ddain. Pour comprendre lloquence pidictique antique, il faut refuser lexplication paresseuse de lart pour lart et identifier les buts et le effets des discours, plus clairement que les anciens nont su le faire 9. Lanalisi dei valori veicolati dal discorso epidittico ne mostra la ricchezza di contenuti e Pernot pu ben a ragione affermare che la fonction pidictique est un phnomne anthropologique qui se re-trouve avec dimportantes variations, naturellement dans beaucoup de socits humaines 10.

    Laltra citazione essenziale per il mio discorso questa: Il est im-Il est im-possible dtudier la rhtorique pidictique sans relever, chaque ta-pe, des rapprochements avec la tradition potique, en particulier avec la tradition de la posie encomiastique. Lhistoire du genre montre que les orateurs ont progressivement pris en charge des formes hrites des potes. La tekhne trahit limportance des prcdents potiques dans le domaine de la typologie, avec la clbration plurielle et lex-pression des sentiments et des passions, et dans le domaine du style, avec lesthtique de la douceur, lasianisme, les tropes et les figures, les

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    rythmes. Ce nest pas tout, la tradition potique faisant encore sentir son poids dans la terminologie de lloge, dans certains topoi, dans les procds de composition, parfois dans les conditions de prononciation et dans les titres. En ce qui concerne lexigence morale, Pindare dj revendique la vrit de ses loges. La mission de porte-parole a t assume par des potes; enfin, on vient de relever le thme, potique par excellence de linspiration religieuse. Le bilan de ces rapproche-ment [...] savre donc extrmement riche. Il tablit, au-del de toute contestation, lexistence dune continuit entre la tradition potique et lloquence pidictique 11.

    Si pu a questo punto ritornare a Walker e precisamente alla inter-pretazione che egli d della I Olimpica di Pindaro. Bloom, che ritiene che la I Olimpica celebri il poeta e Pegaso e non Ierone e Ferenico, decontestualizza lode e ignora che cosa sia la poesia epidittica, dan-done una lettura romantica falsificante. Lepinicio non prescinde da vincitore e pubblico, poggia sui valori della societ cui appartiene; solo in questa prospettiva la poesia diventa comprensibile. Ecco un esempio fra molti altri: nel rapporto fra poetica e retorica che si possono cogliere i valori della letteratura antica.

    Ma sembra che ormai questa svolta sia in atto; Eugenio Amato lo testiomonia efficacemente in un resoconto 12 di un volume di Enrico Rebuffat dedicato alle Tecniche di composizione poetica negli Halieutica di Oppiano 13; il punto di partenza di Eugenio Amato proprio il supe-ramento della separazione che compie Walker fra retorica e poesia.

    Se, dunque, per lantichit la revisione storiografica ormai operan-te e i due frutti pi vistosi sono il riallineamento di poetica e retorica e la valorizzazione del genere epidittico, resta da esaminare come si ponga il rapporto fra poetica e retorica nel dibattito attuale.

    Far riferimento, per questo aspetto, ad Arnaud Bernadet, La rhto-rique en procs. Un point de vue critique: la potique de Henri Meschon-nic. Approches et perspectives 14; scrive lautore: La poetica una delle maggiori proeccupazioni della retorica oggi 15. Occorre chiedersi come mai. La rinascita della retorica che un fenomeno vistoso del secolo appena trascorso, avvenuta, per lo pi, senza rapportarsi alla poetica e questo ha comportato delle conseguenze gravi, la pi vistosa delle quali stata lesasperazione formalistica evidente nellidea che la retorica fosse soltanto la dottrina delle figure da riprendere dalla tradizione o da riscri-vere in termini semiotici come, per esempio, ha fatto il gruppo nella Retorica generale. Le figure della comunicazione 16. Certamente c stato anche un ricupero diverso che ha privilegiato largomentazione, quello di Perelman, che ha dato luogo ad una nuova retorica fondata, come noto, su basi logiche. Ma, mentre da una parte la crisi del formalismo ha inevitabilmente travolto la retorica delle figure, dallaltra la nuova retorica, la retorica dellargomentazione, non poteva prestarsi ad un rap-porto esauriente con la poetica. Vale la pena allora osservare, seguendo

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    Bernadet, come uno studioso della poetica del rango di Meschonnic sia giunto a porsi il problema della retorica. Meschonnic, per cui la poetica lo studio del valore di unopera, ritrova la retorica, liberando la poetica dallascendenza strutturalista. Secondo Bernadet il rinnovamento della retorica non deve aver luogo senza tener conto delle obiezioni critiche che la poetica le muove. Un primo punto il rifiuto della teoria dello scarto, la separazione fra lingua poetica e lingua quotidiana un non senso che comporta la separazione del linguaggio dalla vita. Ma non per questa via che si afferma la specificit di un testo.

    Il taglio fra retorica e poetica non pu che favorire un duplice ripiegamento autistico che ha per conseguenza il pi spesso una for-malizzazione tecnica e descrittiva delloggetto letterario senza teoria del soggetto, della societ, senza etica. [...] lannessione della poetica da parte della linguistica che ne fa una retorica neo-classica delle figure. Ricollegando la retorica alla poetica, questa identificazione non pi possibile al contrario, e permette di delimitare il campo specifico di applicazione delle due discipline 17. Poich la retorica una delle strategie del segno, uno degli effetti del paradigma linguistico 18, un pensiero del discontinuo, c la possibilit effettivamente di includere la retorica nella poetica, di includere il discontinuo nel continuo, senza annullare la specificit di questa disciplina. Se questa trasformazione del retorico in poetico si manifesta principalmente nella scrittura let-teraria, essa ugualmente presente nel discorso scientifico 19.

    Questo si spiega non dimenticando che una dimostrazione anche la scrittura di una dimostrazione; che la scienza anche una retorica, perch essa non mira solo a dimostrare e a provare, ma a persuadere della prova e della dimostrazione 20. E cos la specificit poetica e re-torica del discorso vero la leva attraverso la quale possibile e anche legittimo mettere in discussione la validit delle verit prodotte dalle scienze 21. diventando poetici che la figura, lanalogia, il ragiona-mento diventano pensiero. Si manifesta cos una forte correlazione tra il valore di un pensiero e il valore del discorso di questo pensiero, cio un discorso e un pensiero portati al valore 22.

    Di straordinaria importanza il discorso relativo al rapporto fra poesia e figure. La modernit della figura la scomparsa della figura. Integrata al sistema della poesia, essa non appartiene pi allo stile ma diventa un linguaggio soggettivo in quanto esso la storicit delle trasformazioni del vedere, del pensare, del sentire, del comprende-re 23, tutte categorie di coscienza trasformate in categorie etiche. La defigurazione della forma retorica non unantiretorica ma consacra il transfert dal retorico al poetico di cui lantiretorica non costituisce che un caso particolare. La figura di una poesia poetica soltanto se mette in risalto lattivit soggettiva di questa poesia. [...] Il valore sistematico di una figura dipende dal suo carattere unico, essa non ha valore questo valore qui che in questa poesia qui 24.

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    In conclusione a me preme sottolineare che soltanto in una rinno-vata prospettiva del rapporto fra poetica e retorica, sia a livello sto-riografico che teorico, questi studi possono ritrovare un senso e uno slancio.

    1 L. Anceschi, Barocco e Novecento, Milano, Rusconi, 1960, p. 231; gi in Aut Aut, n. 30 (1957).

    2 R. Barilli, Poetica e Retorica, Milano, Mursia; 1969, n, ed. 1984.3 J. Walker, Rhetoric and Poetics in Antiquity, New Jork,Oxford University Press,

    2000.4 La rhtorique avant la rhtorique per usare lespressione di Laurent Pernot sul

    quale ci soffermeremo fra poco.5 Gi prima di Walker, Friedrich Solmsen aveva segnalato che Esiodo considera la

    retorica come sorella della poesia e che questa concezione non era rimasta senza eco, ma Walker non cita il contributo di Solmsen The Gift of Speech in Homer and Hesiod, in Kleine Schriften, Hildesheim, 1968, pp. 1-15, ben presente invece a Giovanni Lombardo in Il genio del cantore Poetica e Retorica nella supplica di Femio (Hom.,Od., XXII 344-353), Helikon, xxxv-xxxviii, 1995-98, pp. 3-54, in cui lautore dimostra che Femio d un bellesempio dellarcaica sorellanza fra poetica e retorica: Femio il professionista della poetica si rivolge a Odisseo, il professionista della retorica.

    6 J. Walker,cit., p. 41, trad. nostra.7 Contra Platonem, 427-428.8 L. Pernot, t. i, Histoire et technique, t. ii Les valeurs, Paris, Institut dtudes

    augustiniennes, 1993.9 L. Pernot, cit., pp. 660-61.10 Ivi, p. 796.11 Ivi, pp. 635-36.12 http//www.plekos.uni-muenchen.de./2003/rrebuffat.html.13 E. Rebuffat, Tecniche di composizione poetica negli Halieutica di Oppiano, Firenze,

    Olschki, 2001.14 www.hatt. nom. fr/rhetorique/art 12c.htm.15 A. Bernadet, cit., p. 42.16 Gruppo , Retorica generale. Le figure della comunicazione, Milano, Bompiani,

    1976.17 A. Bernadet, cit. p. 22.18 H. Meschonnic, Politique du rythme Politique du sujet, Lagrasse, Verdier, 1995,

    p. 384.19 A. Bernadet, cit., p. 27.20 Ibid., rimaneggiato.21 Ivi, p. 29.Ivi, p. 29., p. 29.22 Ivi, p. 30.Ivi, p. 30., p. 30.23 H. Meschonnic, cit., p. 551.24 A. Bernadet, cit., pp. 35-36.

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    Dire lesperienza: alle origini della letteraturadi Giovanni Lombardo

    In questo mio intervento, vorrei affrontare il tema del nostro incon-tro, Dire lesperienza, dal punto di vista dei pi remoti iniz della letteratura: quelli che ci vengono attestati dallepos omerico. Infatti le prime testimonianze relative a unesperienza estetica (intendendo qui per esperienza estetica lesecuzione di un testo poetico e la sua simultanea ricezione da parte di un pubblico) ci vengono proprio dalla prassi dei pi antichi cantastorie: gli aedi omerici. Nellepos arcaico, dire lesperienza significa anzitutto raccontare una storia. Lespres-sione raccontare una storia pu essere riferita alla realt o allinven-zione. Raccontano storie coloro che espongono eventi realmente acca-duti, ma raccontano storie anche coloro che espongono eventi possibili o addirittura fantastici. Vedremo appunto che lalternativa tra verit e finzione (destinata a diventare un motivo ricorrente nella plurisecolare vicenda dellestetica letteraria) gi chiara a Omero, quando al canto veritiero dei cantori contrappone il canto menzognero delle Sirene. Ma il bisogno di oggettivit precede linclinazione fantastica e investe il senso primevo dellattitudine a raccontare una storia. Che significa, infatti, originariamente, raccontare una storia? La risposta al nostro quesito ancora custodita dalletimo dei termini che, in italiano, de-finiscono questa attivit. Lespressione raccontare una storia consta di una parola discesa dal latino (raccontare) e di una parola discesa dal greco (storia). Cominciamo a interrogare la parola di derivazione latina. Il verbo raccontare un composto del verbo contare e indica propriamente, attraverso il prefisso iterativo ri-, il ripetersi di un proce-dimento di calcolo applicato agli eventi, in modo che la loro verbaliz-zazione proceda secondo un certo ordine. Questa esigenza di ordine si deve al verbo latino da cui litaliano contare deriva: il verbo computare, composto tardo del verbo putare, che significa propriamente pulire, con riferimento alla mondatura degli alberi, e quindi sfrondare o, per lappunto, potare. Laccezione materiale del mettere ordine nel fogliame di una pianta o di un albero genera laccezione traslata del mettere ordine nei pensieri e nelle parole ovvero il significato di cal-colare, fare il conto o, pi in generale, giudicare. Spiega Varrone nel de lingua latina (6.63):

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    putare valet purum facere [...] ideo putator, quod arbores puras facit. Ideo ratio putari dicitur, in qua summa fit pura: sic is sermo in quo pure disponuntur verba, ne sit confusus atque ut diluceat, dicitur disputare.

    putare significa rendere pulito [...] perci si dice potatore: perch rende puliti gli alberi. Perci si dice anche che risulta potato [pulito] quel calcolo in cui si ottiene una conclusione netta. Cos quel discorso in cui le parole vengono disposte in maniera pulita, in modo che riesca non gi confuso ma chiaro, si dice disputare.

    (Lascio tra parentesi agli esperti di informatica il piacere di constatare come lurgenza ordinatrice del verbo putare e dei suoi com-posti sia ancora evidente nel pi famoso fra i discendenti moderni del verbo computare: il termine computer).

    La stessa alternanza fra un senso materiale e un senso intellettua-le, propria del verbo latino putare, si ritrova nel verbo greco legein, da cui deriva il termine logos, uno dei vocaboli greci per indicare il racconto. Il verbo legein discende da una radice ie. leg- indicante latto del raccogliere e attiva anche nel latino legere. E appunto il verbo legein significa anzitutto raccogliere, sia nel senso di unificare cose inizialmente disperse, sia nel senso di individuare, in un insieme disparato, gli oggetti appartenenti a una determinata classe, separan-doli dagli oggetti appartenenti a una classe diversa. Nei due casi, evidente un bisogno di ordine che genera, per traslato, il significato, poi pi diffuso, di dire, parlare ovvero un significato in cui gli oggetti non sono pi raccolti e ordinati materialmente, ma sono uni-ficati attraverso un enunciato verbale, nella rappresentazione di colui che parla. Questo enunciato pu avere anche la forma di un discorso interno e cio di un logos nel senso di un pensiero. (La radice leg- si ritrova, come ho accennato, anche nel verbo latino legere col significa-to iniziale di raccogliere, scegliere, e con il significato traslato di leggere, disceso probabilmente dalla locuzione legere oculis, racco-gliere, trascegliere con gli occhi [le lettere dellalfabeto]). Il racconto si configura dunque originariamente nella forma di un calcolo, di unoperazione intesa a mettere ordine. Ed certo significativo che, in Omero, la comunicazione linguistica, considerata dal punto di vista del chiedere e del dare informazioni, sia espressa da un composto del verbo legein: il verbo katalegein, che vale propriamente enumerare (donde il termine katalogos che appunto una enumerazione): ka-talegein un oggetto, una situazione, un evento significa per lappunto fornirne un rendiconto verbale affidabile e dettagliato.

    Veniamo ora al secondo termine della nostra formula raccontare una storia: il termine storia. Questo termine risale, attraverso il latino historia, al greco histore, in cui si riconosce la radice ie. *wid-, indican-te latto del vedere e riscontrabile, per es., nei termini greci oda, io so, iden, vedere, ida, forma visibile, edos, specie visibile, ei-dolon, immagine, e nel latino video. Rientrando nel campo semantico

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    del verbo oda, io so in quanto ho visto, la historie, propriamente linchiesta, lindagine compiuta attraverso losservazione diretta delle fonti. Nel v sec. a. C., accingendosi a raccontare le guerre della Grecia contro la Persia, Erodoto (ca. 484-425 a.C.) il grande loggraphos, cio il grande scrittore di racconti, che viene spesso salutato come il padre della storiografia e talvolta anche come il padre delletnogra-fia dichiara di concepire il suo lavoro come una histories apdexis, ovvero come lesposizione di ci che egli ha visto, come il racconto di unindagine condotta con la curiosit del viaggiatore infaticabile che, nello spirito della scienza ionica, ricerca le cause degli eventi serven-dosi, per quanto possibile, di una verifica personale delle fonti.

    La nostra rapida analisi etimologica ci dimostra dunque che, in prin-cipio, raccontare una storia non significa altro che dire lesperienza ovvero imporre un ordine verbale a una serie di cose e di eventi che il narratore ha visto con i propr occhi. Questa dimensione autoptica del racconto si ritrova appunto nella poetica degli antichi aedi, co come ci permettono di ricostruirla i dati estraibili dai poemi di Omero. Nel-lOdissea ci viene presentata lesibizione di due cantori: Femio, che canta davanti ai proci, i pretendenti di Penelope, a Itaca; e Demodoco, che canta davanti ai Feaci, alla corte del re Alcinoo. Assistito dalla Musa (simbolo della memoria sociale e garanzia, insieme, della discendenza sovrannaturale e dellattendibilit del canto), il cantore celebra le imprese degli uomini e degli di in modo da perpetuarne il klos, cio la fama, la gloria (anzitutto nel significato del sentore: il termine klos ri-manda al verbo klyein, ascoltare). Queste imprese possono riferirsi ai miti tradizionali: per esempio, gli Amori di Ares e Afrodite (oggetto del secondo dei tre canti di Demodoco); o possono prendere la forma di una aoid neotte, cio di un canto novissimo, suggerito dalle vicende della storia contemporanea: per esempio, i fatti della guerra troiana (Troik) o i ritorni (nstoi) degli eroi greci da Ilio. Temi di grande attualit, che avvincono straordinariamente lattenzione degli astanti inducendoli in uno stato di trpsis (cio di diletto) e di thlxis (cio di fascinazione).

    Non sempre per lascolto aedico genera la spensieratezza dellin-trattenimento aproblematico e fascinatorio. Se i proci godono quando Femio rievoca il luttuoso rimpatrio degli eroi, Penelope straziata da quel canto (che le ricorda lincerto destino del consorte ancora lontano) e invita perci laedo a intonare unaltra storia. Se i Feaci si compiac-ciono quando Demodoco ricorda i fatti di Troia, Ulisse prorompe in singhiozzi alludire quelle storie che lo coinvolgono in prima persona. Ignorando che il naufrago ospitato alla corte di Alcinoo il famoso re di Itaca, Demodoco rievoca un episodio della guerra troiana che vede Achille a diverbio con lo stesso Ulisse. Ma Ulisse, bench turbato da questo racconto, loda laedo e lo invita a cantare un altro episodio troiano di cui egli stesso stato protagonista: lo stratagemma del cavallo ligneo. Leggiamo i versi di Omero (Od. 8.487-98):

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    Demodoco, al di sopra di tutti i mortali io ti lodo:ti ha addestrato la Musa, figlia di Zeus, oppure Apollo,perch davvero secondo un bellordine tu canti il destino degli Achei:quanto fecero, quanto subirono, quanto gli Achei soffrirono.Come se tu stesso fossi stato presente o lo avessi sentito da altri che furono l. Ma suvvia, cambia argomento e canta lallestimento [il kosmos] del cavallodi legno, che Epeo fabbric con Atena:linganno che un giorno Ulisse condusse sullacropoli,avendolo riempito dei guerrieri che distrussero Ilio.E se anche queste cose come si deve racconterai,io certamente dir a tutti gli uominiche un dio propizio ti ha concesso il canto divino.

    A giudizio di Ulisse, il canto di Demodoco bello, dilettevole e affascinante perch risponde a un criterio di appropriatezza insieme formale e morale: esso infatti costruito nel rispetto di un ksmos e di una mora, cio secondo un bellordine compositivo e secondo una pertinente destinazione contenutistica e pragmatica. Ulisse si compiace che lordine verbale del racconto aderisca allordine reale degli eventi ed elogia laedo per la maestria con cui riferisce certi fatti come se egli stesso ne fosse stato testimone oculare o come se ne avesse avuto notizia da un testimone oculare. La prospettiva del come se rinvia alle tecniche della mimesis e presuppone che la realt e la narrazione non siano perfettamente isomorfe e sovrapponibili: anche ai livelli pi elementari, rappresentare la realt con un racconto equivale gi a interpretarla, a filtrarla attraverso un meccanismo selettivo che sappia estrarne gli elementi significativi per ricomporli in un nuovo ordine mimetico. Perci il come se implica anche che la realt possa essere rappresentata o per quello che essa oppure per quello che essa potrebbe essere. Implica cio la differenza tra il vero e il verosimile e dunque la possibilit dellillusionismo poetico. Esaminiamo brevemente i due aspetti di questa differenza.

    Nel caso di una poetica del vero, dire lesperienza ovverosia rac-contare una storia risponde a quel bisogno di verifica diretta che ab-biamo pocanzi estratto dalla nostra analisi etimologica. Tra il pubblico di Demodoco, nessuno quanto lideatore dellastuzia del cavallo sar in grado di verificare se sia stato fornito un racconto fedele. Questa precisione autoptica peraltro il segno di una specialissima assistenza sovrannaturale: le Muse o addirittura Apollo sono garanti dellattendi-bilit di un aedo che sappia intonare una aoid neotte, un canto dat-tualit, perch i soggetti tratti dalla storia contemporanea richiedono un impegno poetico molto strenuo. Tant vero che lIliade e lOdissea, esemp supremi di canti ispirati dallattualit, si aprono invocando il soccorso della Musa nellardua esposizione di alcune importanti vi-

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    cende della storia nazionale (non diversa la funzione della preghiera alle Muse nelliliadico proemio del Catalogo delle navi). Ispirato da unenergia divina, il cantore rafforza i poteri immaginifici della sua arte e coinvolge immediatamente luditorio negli eventi evocati dal canto, mettendoli sotto gli occhi mentali dei suoi ascoltatori attraverso quei procedimenti stilistici che poi i trattati di retorica registreranno fra le tecniche di visualizzazione proprie dellenrgeia, cio dellevidenza realistica ovvero della subiectio sub oculos. Tecniche che implicano, per cos dire, la capacit di far vedere con le orecchie: perch, proprio mentre colgono con lorecchio la magica affinit tra il corso delle pa-role e il corso delle cose, gli ascoltatori provano le medesime emozioni che proverebbero se gli avvenimenti raccontati si svolgessero realmente davanti ai loro occhi.

    Sennonch, mettere un evento sotto gli occhi dellascoltatore significa trasportare lascoltatore nel passato in cui quel certo evento accaduto oppure trasportare levento nel presente in cui esso viene evocato per lascoltatore. A detta di Ulisse, il cantore bravo perch racconta i fatti di Troia come se egli stesso ne fosse stato testimone diretto (cio come se egli stesso si fosse avvicinato a quei fatti) o come se li aves-se appresi da qualcuno che ne sia stato testimone diretto (cio come se i fatti si fossero avvicinati al cantore). Nel primo caso, gli occhi del-lascoltatore vanno verso levento, nel secondo caso levento viene sotto gli occhi dellascoltatore. Alcuni stud recenti hanno tentato di spiegare come queste due possibilit di visualizzazione mentale dipendano dal-laspetto dei tempi verbali pi frequenti nella narrazione limperfetto e laoristo e hanno ricollegato luso dellimperfetto alloggettivit del racconto storiografico, luso dellaoristo alla soggettivit del racconto poetico (cfr. E. J. Bakker, Pointing to the Past. From Formula to Perform-From Formula to Perform-ance in Homeric Poetics, Cambridge, Ma., 2005). Considerati in rapportoConsiderati in rapporto alla categoria morfologica dellaspetto (cio in rapporto alla categoria afferente alledos di unazione ovvero al modo in cui essa viene per lap-punto vista attraverso il linguaggio), limperfetto e laoristo definiscono la durata o la momentaneit di un certo fatto. Laspetto durativo del-limperfetto implica che lazione sia vista come se si stesse svolgendo in un passato pi esteso del testo che la descrive e che pu ritagliarne solo la fase registrata da un testimone: qui la visione dei fatti d luogo al loro racconto. Laspetto momentaneo dellaoristo implica invece che lazione sia vista come se accadesse in una dimensione assoluta, in un tempo indefinito (o per lappunto aristos, indeterminato), che pu anche essere il tempo passato, ma senza alcuna precisazione rela-tiva alla durata e allorigine (recente o remota) dellazione stessa: qui il racconto dei fatti d luogo alla loro visione e lazione tende ogni volta a riattualizzarsi e a coestendersi nel testo che la descrive. Cos, quando prevale limperfetto, il presente si immerge nel passato; quando invece prevale laoristo, il passato riemerge al presente.

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    Che, anche a prescindere dalluso di questi due tempi verbali, la subiectio sub oculos possa realizzarsi secondo questa doppia modalit indubbio; ma lipotesi che su questa base il linguaggio dello storico venga poi a distinguersi dal linguaggio del poeta non sempre trova sicu-re conferme nella precettistica antica in tema di visualizzazione mentale. Vero che, per esempio, Aristotele, attribuendo alla poesia, protesa alluniversale, un valore pi filosofico della storia, legata al particolare, sembra riproporre la differenza tra la dimensione assoluta del discorso poetico e la dimensione relativa del discorso storico; ma anche vero che i precetti aristotelici sullatto del pro ommton tithesthai, cio del mettere sotto gli occhi, riconoscono alla poesia entrambe le possi-bilit di visualizzazione. Nella Poetica, Aristotele vuole che il dram-maturgo, accingendosi a comporre il suo testo, provi a prefigurarsene gli effetti scenici ed emotivi (Aristot. Poet. 17.1-2, 1455a 22-33). Una mimesis che intenda infatti catturare gli spettatori alla vicenda messa in scena esige che il poeta sappia dosare la carica immaginifica delle sue parole, saggiando anzitutto su s stesso la tecnica dellenrgeia. Conferendo allo stile una grande forza icastica, questa tecnica permette di dire lesperienza in modo che lascoltatore colga con locchio della mente quanto viene descritto. Prima che il linguaggio poetico, latto del pro ommton tithesthai definisce per, pi in generale, il processo psicologico definito per solito phantasa. Correlato al verbo phainesthai, apparire, il termine phantasa indica limmaginazione: non gi, ov-viamente, nel significato moderno dellintuito creativo del genio, ma nel significato antico di una facolt rappresentativa dipendente dalle sensa-zioni. Pi precisamente, la phantasa una sorta di movimento attivato nellanima dalla percezione (aisthesis) in modo da generarvi un flusso di phantsmata, di apparizioni ovverosia una serie di precise ancorch immateriali immagini delle cose percepite (aisthmata). Queste im-magini permettono alla mente di pensare e non v mbito conoscitivo che possa farne a meno. Il movimento della phantasa spiega Aristote-le pu essere volontario o involontario (Aristot. de an. 327b 17-20; de insomn. 460b 9-19). Facciamo un uso attivo e deliberato della phantasa quando, per es., richiamiamo alla memoria unimmagine passata; ne facciamo invece un uso passivo e non calcolato quando per esempio nei sogni o nei delir della febbre la nostra mente abitata da visioni che possono facilmente ingannarci. Nel primo caso, noi andiamo verso unimmagine passata (secondo lo schema che, per comodit, possiamo chiamare imperfettivo, anche se in Aristotele non c alcun riferimento alluso dei tempi verbali); nel secondo caso, unimmagine, per cos dire, si attualizza, venendo verso di noi (secondo lo schema che possiamo chiamare aoristico).

    Per prelibare mentalmente gli effetti duna scena in corso di com-posizione, anche il poeta deve ricorrere alla sua facolt immaginati-va: e pu farlo volutamente, attivando gli strumenti del suo ingegno,

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    oppure spontaneamente, secondando le spinte della sua ispirazione. Lalternativa tra un uso cosciente e governabile e un uso spontaneo e irriflesso della phantasa viene infatti illustrata mediante i due pi tradizionali modelli del poeta in quanto personalit creativa: il mo-dello del poeta euphys cio del poeta che trae le sue doti dal talento naturale, e il modello del poeta maniks, cio del poeta che deve il suo canto a una sorta di divina follia (di mana). Il poeta di talento detto euplastos, duttile, perch sa piegare le sue facolt alle esigenze della composizione; il poeta ispirato detto ekstatiks, fuori di s, perch secondo la vecchia equazione tra la poesia e lenthousiasms compone come posseduto da un dio. La differenza tra questi due tipi creativi emerge quando i poeti devono, appunto con il soccorso della phantasa, sperimentare su s stessi le emozioni che la loro parola, con-fortata dal gesto scenico, accender negli spettatori: se il sobrio poeta euphys ricorre alla facolt immaginativa per fingersi (come capita nei processi della memoria) un certo stato emotivo, lebro poeta maniks abita gi in uno stato emotivo tale da nutrire (come avviene nei sogni o nelle allucinazioni) la facolt immaginativa. Ritorna anche qui la doppia modalit di visualizzazione che gi conosciamo: o la mente delleuphys va verso limmagine (secondo lo schema imperfettivo) oppure limma-gine viene verso la mente del maniks (secondo lo schema aoristico). In entrambi i casi, abbiamo per da fare con lattivit poetica, non gi con lattivit storiografica. E in entrambi i casi (ma soprattutto nel caso del poeta maniks) la phantasa collegata al pathos, allemozione. Questo collegamento proposto da Aristotele anche nella Retorica, dove anzi i processi di visualizzazione sembrano piuttosto privilegiare la modalit aoristica. Occupandosi delle strategie discorsive adatte ad accendere le passioni delluditorio, Aristotele tratta della paura (phobos) e della piet (eleos), cio dei pathe propr dellesperienza tragica (Rhet. 2.5.1, 1382a 21-22, 2.8.3, 1385b 13-16). Chi voglia muovere gli ascol-tatori alla paura o alla piet deve attivarne la phantasa, in modo che essi possano fingersi una sventura (kakn) imminente e, sentendosene atterriti o commossi, possano poi vivere lesperienza della catarsi. Gli oratori capaci di una recitazione tale da accompagnare, con unacconcia gestualit, le nervature emotive del linguaggio, fanno apparire (phaine-sthai) vicino il male, dice Aristotele, mettendolo sotto gli occhi (pro ommton poiontes) dellascoltatore: un pathos che si mostri davanti agli occhi (en ophthalmos phainmenon) infatti condiviso pi pronta-mente (Rhet. 2.8.14-15, 1386a 33-34, 1386b 8). E qui appunto sembra prevalere la modalit di visualizzazione aoristica: limmagine si appros-sima agli occhi della mente e provoca una forte risposta emotiva.

    Un altro antico trattatista che contempla la doppia modalit della visualizzazione mentale nellmbito della poesia Longino. Nel cap. 15 del Per hypsous, egli si occupa della phantasa (detta anche eido-lopoia, fabbricazione di immagini) e la definisce un pensiero che,

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    comunque si presenti alla mente, genera un discorso (phantasa pn to hoposon ennema gennetikn logou paristmenon). Ma distingue lenrgeia, levidenza realistica, tipica della fantasia oratoria, pi le-gata alloggettivit e alla verisimiglianza, dallekplexis, lurto emotivo, proprio della fantasia poetica, pi libera e pi proclive al meraviglioso. Questa distinzione sembrerebbe riproporci la differenza tra la visua-lizzazione durativa o storiografica (nella quale la nostra vista mentale si avvicina ai fatti) e la visualizzazione momentanea o appunto poetica (nella quale i fatti si avvicinino alla nostra vista mentale). Sennonch Longino adduce come esempio di fantasia poetica un passo dellOre-ste di Euripide (vv. 255-57) in cui il protagonista, ossesso dalle Furie anguicrinite, invoca la madre perch lo liberi dalla morsa delle sue persecutrici:

    Madre, timploro, non aizzare contro di mequelle giovani con gli occhi di sangue, serpentiformi:sono loro, sono loro: e mi saltano intorno.

    Qui spiega Longino il poeta stesso ha visto le Erinni e ha qua-si costretto anche i suoi ascoltatori a guardare ci che la sua fantasia gli ha raffigurato. Nel comporre la scena, Euripide visualizza dun-que mentalmente langoscia di Oreste, trasferendosi nellantico mito e identificandosi con il suo personaggio. Ma quando Longino afferma che cos anche gli ascoltatori di Euripide sono portati a guardare (a thesasthai) ci che il poeta ha immaginato, pensa alla lettura del testo, piuttosto che alla sua messa in scena: chiaro infatti che in teatro questa situazione viene fruita anzitutto come spettacolo per locchio della vista. Quando Euripide e, con lui, i suoi lettori simmedesimano nello stato danimo del personaggio, si verifica una subiectio sub oculos di tipo imperfettivo, che disloca lascoltatore dal piano del suo qui e ora al piano del l e allora, proprio dellevento visualizzato; quan-do invece gli spettatori, a teatro, fruiscono del testo attraverso la sua concreta rappresentazione, si verifica una subiectio sub oculos di tipo aoristico, che disloca levento visualizzato dal suo l e allora al qui e ora della messa in scena.

    Torniamo a Omero e agli elogi di Ulisse a Demodoco. Esponendo i fatti come se vi avesse preso parte, il cantore si dimostra abile a governare quelle tecniche della verosimiglianza che potrebbero ingan-nare gli ascoltatori impossibilitati a controllare leffettiva attendibilit di un racconto. Siamo cos giunti al secondo aspetto dellalternativa tra verit e finzione entro cui, come abbiamo preavvisato, si dibattono le antiche tecniche per dire lesperienza. A questo punto, infatti, la nostra formula raccontare una storia si allontana dal significato etimologico che la vincolava al rendiconto autoptico delle cose e si avvicina a uno dei significati che, ancora oggi, il linguaggio comune le affida allorch

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    dice raccontare storie per intendere raccontare favole o addirittura raccontare fandonie (per cui, quando abbiamo limpressione che il nostro interlocutore voglia raggirarci, lo invitiamo a non raccontarci storie). Avendo partecipato allimpresa troiana, Ulisse pu attestare che Demodoco un cantore fededegno. Ma ove ai fruitori non sia dato di controllarne la corrispondenza al vero, un prodotto mimeti-co trae efficacia fascinatoria da quella che, in termini aristotelici, si definisce la sua apergasa, cio la sua lavorazione in quanto kosmos capace di rispecchiare, con i fatti reali, anche i fatti possibili: e dunque in quanto kosmos capace di mentire. Tale sar, secondo Parmenide, il kosmos epon apatels, lingannevole universo verbale della doxa, dellopinione, che, allestendo una seduzione illusionistica pronta a distrarre i mortali dalla via verso la altheia, verso la verit, impone al filosofo di riconsiderare con un pi vigile rigore teoretico la tensione tra un impiego attendibile e un impiego malfido del linguaggio, cos che i suoi uditori non si lascino irretire dalle finzioni di chi tramuta la realt nelle sue immagini fallaci.

    Lestremizzazione leggendaria degli effetti illusor del canto d luogo ai miti della seduzione musicale: per esempio, il mito di Orfeo, il canto-re che con la sua voce piega le fiere, le selve e le rocce. O il mito delle Sirene che, nellOdissea, attirano i naviganti con una melodia irresistibi-le e fatale. Esse tentano anche Ulisse, promettendogli il piacere assoluto e, insieme, il sapere assoluto. Lintegrazione di piacere e di sapere il postulato fondamentale della poetica autoptica: la poesia non pu ga-rantire alcun godimento vero se non si prefigge di raccontare fatti veri. Ma le Sirene smentiscono questo postulato nellatto stesso in cui sem-brano confermarlo: giacch alla dolcezza delle loro voci non saccoppia lautenticit delle loro affermazioni. Ai naviganti esse offrono scienza e ritorno in patria: di fatto come diceva Marziale (3.64) esse non dnno che un crudele gaudium e una blanda mors, una gioia crudele e una morte carezzevole. La sola verit del loro canto ammaliante sta appunto nel piacere dellascolto, nella lusinga fisica di un orecchio tutto atteso a una melodia bellissima e inesorabile.

    Lintuizione omerica dellautonomia formale della poesia e dei suoi poteri illusionistici anticipa una problematica che verr poi sviluppata nella retorica dei Sofisti e soprattutto di Gorgia. E appunto in mbito retorico la nozione di kosmos si affermer con il significato decisa-mente estetico di ornatus, abbellimento stilistico. Ma con i Sofisti ci troviamo ormai in una fase avanzata della storia letteraria. Una fase in cui la problematica relativa ai modi di dire lesperienza porta a maturazione quellalternativa tra una poetica della pura invenzione e una poetica del racconto attendibile che, come ho cercato di suggerire, trova le sue radici, gi alle origini della letteratura, nellarte omerica di raccontare una storia.

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    Rappresentazione pittorica e rappresentazione poeticain Tommaso dAquinodi Fabrizio Amerini

    Parlare di estetica medievale non facile oltre che storiogra-ficamente discutibile 1. Come stato sottolineato da pi studiosi, il principale motivo di difficolt e di perplessit storiografica risiede nel fatto che durante il Medioevo i canali di accesso e di trattazione delle questioni che oggi noi consideriamo di pertinenza dellestetica sono stati molteplici e hanno preso forme differenti a seconda del tempo e del luogo in cui vengono studiati. In generale, le riflessioni di estetica che possono essere rintracciate in epoca medievale devono essere ri-cavate da contesti spuri. Nel Medioevo problemi di estetica non sono stati esplicitamente riconosciuti e tematizzati, non essendoci stata una disciplina di studio autonoma qualificabile come estetica n qualcosa di pur lontanamente assimilabile allestetica come dal Settecento ad oggi viene intesa. Per di pi, raramente sincontrano in epoca medievale osservazioni su che cosa sia una teoria artistica o su quali condizioni debba soddisfare una teoria per essere considerata una teoria estetica. Le riflessioni sono tutte, per cos dire, pre-teoriche e riguardano in-tuizioni differenti su che cosa sia il bello e su quali rapporti debbano intercorrere tra la bellezza e la sua rappresentazione artistica. In epoca medievale, cio, ci simbatte di frequente in forme di estetica descrit-tiva, saltuariamente in esempi di estetica normativa, piuttosto sporadi-camente in considerazioni meta-estetiche. Neppure unattenzione pri-vilegiata viene rivolta allestetica come ricerca sulle condizioni del pia-cere o della contemplazione estetica, nonostante che la sensibilit nei confronti del bello e il tema del diletto giochino un ruolo importante nelle meditazioni estetiche dei maestri medievali 2. Lattenzione sembra essere tutta rivolta al rapporto che si pu instaurare tra esperienza, artista e opera darte. Quale esperienza, tuttavia, unopera darte deve intercettare ed esprimere, per un filosofo medievale? evidente che a seconda che si scelga di privilegiare il rapporto tra lopera darte e il soggetto o tra lopera darte e loggetto, scaturiscono due immagini dellestetica molto differenti. Seppur in modo non troppo esplicito, i maestri medievali hanno esplorato entrambe queste connessioni. In ci che segue mi limiter a mettere in risalto alcuni punti di queste esplorazioni che considero rilevanti per una ricostruzione filosofica del-

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    lestetica nel Medioevo, concentrando lattenzione soprattutto sul basso Medioevo e, pi in particolare, su Tommaso dAquino 3.

    In generale, stato notato che i filosofi medievali sviluppano ri-flessioni di estetica prevalentemente allinterno di una pi generale riflessione sulla bellezza e sul bello (pulchrum). Tale inclusione spiega le difficolt che lestetica ha incontrato nel corso del tempo per gua-dagnare la propria autonomia rispetto ad altre discipline. Il legame tra estetica e teoria del bello fa emergere infatti i debiti che la cosiddetta estetica medievale ha avuto nei confronti di altri campi del sapere, come letica (per i rapporti tra bello e bene), la teologia (per i rapporti tra bello creaturale e bellezza divina), la metafisica (per la connessione tra bello, essere e vero), lottica (per i rapporti tra bello, colore e fe-nomeno della luce), le scienze del quadrivio in genere (per i rapporti tra bellezza e proporzionalit numerica e geometrica).

    Il concetto di bello viene connesso dai filosofi medievali, in modo piuttosto condiviso, a quello di ordine (ordo) e questultimo la chiave che consente loro di proporre una fondazione teologica e scritturale, quindi oggettiva, del bello, dal momento che lordine uno degli at-tributi che Dio ha impresso al mondo allatto della creazione. Come spiega esemplarmente Bonaventura nel suo Itinerarium mentis in Deum (1259), riassumendo una lunga tradizione interpretativa, specialmente di ascendenza agostiniana, Dio ha creato il mondo in peso, numero e misura (Sapienza, 11, 20). Il peso indica lubicazione delle cose nel mondo, il numero il principio della loro distinzione sostanziale e quan-titativa, la misura il fattore della loro delimitazione formale e qualitati-va. Numero e misura sono la radice dellintelligibilit del reale, che si delinea come il risultato della piena corrispondenza tra la misura e il misurato, tra il modello e la copia. Queste due relazioni esemplari non sono troppo diverse tra loro: le cose sono misurate nellessere da Dio, ma sono state anche create ad immagine e somiglianza del loro Creatore, ed un tratto essenziale delle creature quello di essere in un rapporto proporzionato di somiglianza (similitudo) con Dio e, di riflesso, con le altre creature. Dal numero e dalla misura delle cose scaturisce quindi lordine, che altro non esprime che un rapporto di proporzione, per cui, come aveva precisato gi Agostino nel De musica e nel De civitate Dei, la bellezza non altro che uguaglianza numeri-camente proporzionata [...] una certa disposizione delle parti, accom-pagnata dalla soavit del colore 4. Questa idea agostiniana di bellezza, che si arricchir nel corso del tempo di sollecitazioni provenienti da altre tradizioni filosofiche, aristoteliche e soprattutto neo-platoniche (e.g. Pseudo-Dionigi), godr di larga fortuna in epoca medioevale e sar ripresa, tra gli altri, anche da Tommaso dAquino, il quale ricorda come, basilarmente, la bellezza richieda due cose, lo splendore [del colore] e la proporzione delle parti 5.

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    Queste concise definizioni, proposte da Agostino e riprese tra gli altri da Bonaventura e da Tommaso, rivelano alcune cose. In prima istanza, da queste definizioni emerge come il concetto cardine di una teoria del bello resti quello classico di proporzione (proportio) delle parti in un tutto, che a sua volta dipendente dal concetto di accor-do tra il tutto e il suo esemplare ideale. Tommaso sintetizza questo concetto attraverso la nozione tecnica di consonantia, che impiegata originariamente in ambito musicale a indicare la melodia e armonia dei suoni, viene generalizzata a regola universale per definire larmonica proporzione delle parti in un tutto, che ci che spiega qualunque stato soggettivo, sensoriale o emozionale, che scaturisce dalla relazione tra il soggetto e loggetto 6. In seconda istanza, il successivo riferimen-to al colore e allo splendore (splendor) o chiarezza (claritas) 7 allarga lorizzonte dindagine sul bello, permettendo una caratterizzazione del bello non solo in termini intrinsecamente o estrinsecamente oggettivi, ma anche per cos dire soggettivi, grazie alla connessione del bello a una teoria generale della percezione sensibile. Infatti, il colore con-siderato una propriet reale delle cose, ma il colore in quanto visibile richiede, nei termini del processo percettivo che Aristotele illustra nel De anima, la presenza di un soggetto percettore e di un fattore atti-vante questo processo. Il soggetto identificato con il singolo indivi-duo, mentre il fattore di attivazione identificato con la luce, la quale permette la trasformazione dei visibili in potenza in visibili in atto e quindi in visti in atto. Rispetto al processo percettivo di ricezione di una forma sensibile, la bellezza viene a esprimere, cos, sia larrangia-mento armonico delle parti di una cosa colorata (in questo senso un colore bello un colore che conveniente alla vista per vedere e tale un colore che a sua volta possiede una gradazione cromatica armoniosa) 8, sia la corrispondenza che si ha tra la forma del ricevente e la forma del ricevuto. La riproduzione a livello percettivo della forma e del colore di una cosa sono a fondamento dellesperienza del bello, il cui indicatore dato dal sentimento di piacere che la cosa colorata suscita nellanima.

    stato fatto notare come linsistenza agostiniana sulle cose come immagini di Dio, effetti-segni che rinviano alla loro causa-esemplare, sia alla base di gran parte del simbolismo e dellallegorismo medievale. Non occorre soffermarsi troppo qui sulla connessione tra bello e ordi-ne, e tra bello, luce e colore, essendo queste connessioni un common-place del pensiero estetico medievale che stato comunque esaminato dalla storiografia del secolo scorso. In questa sede mi limiter a richia-mare due aspetti di queste connessioni che considero particolarmente significativi e su cui, ritengo, ci sia ancora del lavoro da fare.

    Il primo aspetto da rimarcare che il processo di ricezione della forma di un oggetto da parte di un soggetto conoscente garantisce una saldatura tra le due connessioni di unopera darte allesperienza che

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    abbiamo distinto allinizio. Per quanto ci possano essere eventi o pro-duzioni artistiche la cui funzione esclusivamente quella di esprimere stati emozionali di un soggetto, o anche di suscitare stati emozionali simili in un altro soggetto (si pensi alle rappresentazioni teatrali o alla poesia, di cui parleremo pi avanti), in genere unopera darte deve essere valutata rispetto alla sua capacit di rappresentare o imitare un certo oggetto, e nel caso specifico di rappresentazioni pittoriche, di rappresentare la proporzione armonica delle parti e del colore che un oggetto possiede, riproducendo cos una certa forma che loggetto ha impresso nel soggetto conoscente. Da questo punto di vista, de-gno di nota che molte riflessioni sulla rappresentativit dei dipinti si trovino allinterno dei dibattiti epistemologici sulla natura e funzione delle rappresentazioni mentali. Siccome molti filosofi medievali, tra cui Tommaso dAquino, ritengono, sulla scia di Boezio, che una rappre-sentazione mentale naturale rappresenti le cose non come sono in s stesse, al di fuori della mente, ma cos come sono state ricevute dalla mente, ne consegue che anche la bellezza di unopera darte viene a risiedere nella capacit che lopera darte possiede di mimare la debita proporzione delle parti e del colore di una cosa rispetto al modo in cui tale proporzione stata ricevuta dalla mente. In questo senso, il processo rappresentativo richiede non solo una somiglianza qualitativa tra ci che rappresenta e ci che rappresentato, ma anche una loro adeguazione proporzionale, che il frutto di un intervento di ricosti-tuzione dei dati percettivi operato dalla mente.

    Il secondo aspetto che ritengo utile sottolineare si collega in qualche misura al primo. Soprattutto nel corso del xiii secolo, la fondazione teoretica del bello e la determinazione del suo valore cognitivo emergo-no nel contesto di quella che i medievali presentano come unindagine sui cosiddetti trascendenti, ovvero su alcune nozioni transcategoriali, come ens, unum, bonum, verum, aliquid, res, cui qualcuno aggiunger per lappunto pulchrum 9. Tommaso dAquino, ad esempio, che propo-ne una spiegazione tutto sommato chiara e condivisa della natura dei trascendenti, osserva che i concetti di bello e di bene (ma il discorso vale anche per il rapporto tra il bello e gli altri trascendenti), sono realmente identici se considerati rispetto a un dato oggetto di cui si predicano, perch si fondano su una stessa cosa, cio sulla forma di questo oggetto. Differiscono tuttavia concettualmente. Mentre il bene riguarda la facolt appetitiva delluomo e si pone come la causa finale rispetto allagire pratico, il bello riguarda la facolt conoscitiva e si pone come la causa formale rispetto alla percezione delloggetto. Belle, infatti, sono dette quelle cose che piacciono una volta viste (pulchra dicuntur qu visa placent) e la vista una facolt conoscitiva; ma sic-come la conoscenza avviene per assimilazione delloggetto conosciuto al soggetto conoscente, e lassimilazione dipende dalla forma, allora il bello riguarda propriamente la forma delloggetto 10. Stando a queste

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    osservazioni di Tommaso, mentre uno stato emozionale di tipo etico si perfeziona completamente nel raggiungimento di ci che bene per la facolt appetitiva, uno stato emozionale di tipo estetico si realizza pienamente nellacquisizione cognitiva (apprehensio, cognitio) di una forma e quindi nel piacere di questa acquisizione, e questa compete solamente a quelle che sono le pi nobili facolt conoscitive sensoriali, ossia la vista e ludito 11.

    Laccentuazione del valore cognitivo del bello e della sua connes-sione al processo percettivo costituisce il filo rosso della riflessione estetica di Tommaso e di gran parte dei filosofi del basso Medioevo, nelle varie forme in cui essa si articola. evidente che assumendo que-sto punto di vista compito dellestetica viene a essere, per Tommaso, quello di fissare le condizioni alle quali lesperienza del bello possa essere data e, quindi, riprodotta. Unopera darte non sembra avere altro compito che quello di rappresentare un oggetto o un evento bello, ossia di re-presentare la sua forma alla mente del soggetto conoscente. Allinterno di questo processo ricettivo e riproduttivo, Tommaso as-sume che non solo unopera darte possa essere detta bella, ma anche un evento o un oggetto, nonostante che bello si dica di un oggetto, di un evento o delle loro rappresentazioni in modo diverso. Mentre un oggetto o un evento bello, infatti, se in virt di una distribuzione armonica delle parti e dei colori induce un sentimento di piacere in chi lo percepisce, una rappresentazione bella se in grado di ri-suscitare un sentimento di piacere rispetto al modo in cui essa rappresenta la forma di quel determinato oggetto o evento. Non possibile scorge-re ancora in Tommaso una distinzione precisa tra bello e sublime, il cui termine per altro impiegato da Tommaso, seppur confinato a indicare leccellenza di uno stato o di una funzione. Stando ai testi di Tommaso, il sublime non sembra esprimere nientaltro che una forma intensa di bellezza o una bellezza cui corrisponde un piacere intenso. Esso scaturisce dal sentimento di admiratio o contemplazione com-piaciuta e timorosa che si prova di fronte a oggetti o eventi maestosi, rari o insoliti, che eccedono cio le nostre facolt conoscitive e di cui si ignora la causa 12.

    Riassumendo. In termini oggettivi, il criterio intrinseco di definizio-ne del bello continua ad essere dato, per Tommaso, dalla debita pro-porzione delle parti e del colore di una cosa, mentre il criterio estrin-seco dato dalla corrispondenza tra la cosa e il suo esemplare divino. Estrinsecamente una cosa bella se partecipa della bellezza ideale e una cosa ne pu partecipare a vari gradi, a seconda del modo in cui lidea di bellezza in Dio che altro non che Dio stesso considerato in quanto bello partecipabile dalle creature 13. In termini sogget-tivi, invece il criterio definitorio del bello risiede nella capacit di una cosa, una volta vista, di suscitare un sentimento di piacere. Unopera darte al contrario bella se rappresenta il bello, che considerato da

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    Tommaso, sulla scorta dello Pseudo-Dionigi, un fine universalmente e naturalmente ricercato dalluomo 14.

    Una rappresentazione pittorica, dunque, ha come fine la raffigura-zione del bello e non pu tendere che a questo fine. Ciononostante Tommaso precisa che, sebbene unopera darte sia detta bella se rap-presenta il bello, tuttavia, in quanto rappresentazione, essa deve essere detta bella se rappresenta una cosa in modo perfetto, anche se la cosa in s non-bella. Come nel caso delle cose, anche nel caso delle rappre-sentazioni la perfezione o bellezza deve essere valutata, da un punto di vista formale, esclusivamente in termini della capacit di rassomigliare in modo vero una certa cosa. Ne risulta che il processo rappresentativo pittorico del bello, anche terminologicamente, descritto da Tommaso come in tutto e per tutto simile al processo rappresentativo di una cosa da parte di una rappresentazione mentale naturale 15. Questo col-legamento non deve stupire, se si pensa che nel De anima Aristotele aveva caratterizzato lintelletto come una tabula su cui possono esse-re impresse pictur differenti. In definitiva, come le rappresentazioni mentali, anche la rappresentazione pittorica ha lo scopo di ripresentare una forma, riproducendo cos il processo sensoriale che ha suscitato un certo piacere 16.

    Se sul versante delle rappresentazioni pittoriche un certo approfon-dimento storiografico stato portato avanti, decisamente pi scoperto appare il versante della poetica, intesa non tanto come teoria della com-posizione letteraria, ma come disciplina che studia lutilizzo di rappre-sentazioni di tipo segnatamente linguistico, vocale o scritto, o teatrale. Unattenzione maggiore, invece, stata rivolta alla retorica 17.

    Mi sembra che i motivi principali che hanno determinato nel Me-dioevo una svalutazione della poetica filosofica siano stati due. Il pri-mo storico e riguarda la sistemazione della poetica allinterno della classificazione delle scienze e il suo inserimento tardo nel curriculum di studio universitario. Il secondo invece teorico e riguarda il fatto che la poetica tende a prescindere da un criterio stretto di rappre-sentazione mimetica, concernendo principalmente il rapporto tra una rappresentazione e il suo fruitore rispetto a un determinato effetto che si vuol indurre nel fruitore.

    Non indugio troppo sul primo motivo, essendo noto che la sistema-zione operata dai commentatori neo-platonici tardo-antichi, soprattutto alessandrini, delle opere aristoteliche aveva comportato linclusione del-la Retorica e della Poetica tra le opere dellOrganon. Come tale questa sistemazione era giunta al mondo arabo e di qui, tramite le varie tratta-zioni de divisione scientiarum, era giunta al mondo latino occidentale 18. Questo fatto aveva avuto ripercussioni sul dibattito circa la natura e la scientificit della retorica e della poetica, cos come sullinsegna-mento, poich la Retorica e la Poetica erano considerati comunemente

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    i libri conclusivi dellOrganon e venivano perci letti solo dopo aver commentato gli altri libri; di fatto, la loro lectura era facoltativa. In particolare, la poetica filosofica ebbe uno sviluppo piuttosto limitato, non essendoci una tradizione poetica consolidata (a differenza della re-torica) alternativa a quella aristotelica con cui i medievali erano venuti in contatto prima dellarrivo della Poetica aristotelica. Questa, com noto, venne tradotta dal greco da Guglielmo di Moerbeke solo molto tardi (1 marzo 1278), mentre fino a quella data lunica via di accesso alla poetica aristotelica era costituita dalla traduzione dallarabo del Commento Medio alla Poetica di Averro, che molti, tra cui Tomma-so, erroneamente citano come traduzione dellopera aristotelica. Tale traduzione fu portata a termine da Ermanno il Tedesco a Toledo, il 17 marzo 1256, dopo che, nel 1250, in seguito alla traduzione dallarabo della Retorica, Ermanno aveva rinunciato a tradurre direttamente la Poetica a causa della sua oscurit e del disaccordo tra metrica araba e metrica greca 19. Nonostante che il Commento averroista abbia avuto una certa diffusione (siamo a conoscenza di almeno 23 manoscritti che lo conservano), la Poetica fu un testo poco commentato. A tuttoggi sono sopravvissute in un manoscritto parigino solo alcune glosse e una breve esposizione letterale, databili al 1307, del maestro Bartolomeo da Bruges 20.

    Di maggiore interesse filosofico il secondo motivo. Linclusione della poetica e della retorica, tanto quella argomentativa quanto quella epidittica, nella logica secondo laccezione larga di logica che i me-dievali avevano ereditato dai commentatori neoplatonici tardo-antichi ne ha determinato inevitabilmente lo statuto. Nella distinzione delle opere dellOrganon che Tommaso propone nel prologo del suo Com-mento agli Analitici Secondi 21, ad esempio, la retorica e la poetica sono accomunate dal fatto di far uso di procedimenti discorsivi, rientrando cos, a giusto titolo, nella filosofia razionale 22. Tommaso giustifica que-sta conclusione osservando che ogni arte riguarda atti della ragione, essendo unarte nientaltro che un certo ordinamento della ragione, nel modo in cui attraverso determinati mezzi gli atti umani giungano a un debito fine 23, e la retorica e la poetica riguardano specifici atti razionali. In particolare, entrambe le discipline vengono incluse in ci che, sulla base della tradizione, Tommaso chiama lars inventiva, in quanto contrapposta allars iudicativa. Seguendo larticolazione propo-sta da Tommaso, emerge con chiarezza la subordinazione della poetica e della retorica alla logica, ma anche, di riflesso, la rivalutazione che Tommaso compie di queste discipline. Modificando la divisione tradi-zionale, seguita ad esempio da Avicenna e Alfarabi, che collocava la re-torica e la poetica a completamento dellOrganon, Tommaso preferisce seguire Simplicio, Gundissalino e Averro, collocando di conseguenza la retorica e la poetica tra la topica e la sofistica. Cos facendo, Tom-maso riconosce al ragionamento retorico e poetico un grado, seppur

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    minimo, di razionalit e certezza conoscitiva. I procedimenti poetici e retorici risultano, cos, discorsivi sebbene non assertivi (a differenza di quelli sillogistici) e incapaci di suscitare una credenza od opinione stabile nelluditore (a differenza di quelli topici), ma non per questo puramente sofistici 24.

    Accomunate per il comune procedere razionale e la comunque mar-ginale scientificit, le due discipline sono distinte da Tommaso per il grado di certezza i cui ragionamenti possono determinare. Tommaso collega la retorica, in ossequio alla tradizione, al parlare correttamente al fine della persuasione (la retorica non quindi una disciplina prima-riamente morale n giurisprudenziale) 25 e stabilisce che essa perviene a suscitare non pi che una debole adesione, una sorta di diffidenza (suspicio), nelluditore, per quanto questi sia portato a inclinare pi verso una che non verso laltra parte di unalternativa contraddittoria 26. La poetica, invece, pu suscitare nelluditore solo una certa valutazione soggettiva (stimatio) rispetto a una delle due parti della contraddizio-ne, in virt della sua rappresentazione, cos come se si rappresenta un cibo sotto forma di cosa riprovevole questa rappresentazione suscita un senso di riprovazione nelluomo 27. A differenza di una rappresenta-zione pittorica standard, quella poetica prescinde da un criterio stretto di somiglianza. I poeti mirano alla rappresentazione in quanto tale, rappresentano per il gusto di rappresentare, essendo il diletto della rappresentazione determinato dalla pratica di fare inferenze (collatio-nes) dalla rappresentazione al rappresentato e viceversa radicato nella natura umana 28, e nel contempo svolgono, come i retori, una funzione educativa ed etico-politica nella misura in cui inducono i fruitori delle loro rappresentazioni a seguire la virt e ci che decoroso e ad ab-bandonare il vizio e ci che turpe 29. Come aveva notato Averro, il linguaggio poetico non assertivo ma immaginativo e rappresentativo 30, quindi chi si trova di fronte a un enunciato poetico si limita a reagire con una sorta di semplice valutazione soggettiva rispetto allalternativa posta dalla contraddizione 31.

    Le precisazioni che Tommaso avanza sulla poetica devono essere lette alla luce della sua esigenza di differenziare poesia e Sacra Scrit-tura. Tommaso sapeva, infatti, che le due discipline potevano apparire simili non solo perch entrambe fanno uso di metafore e figure 32, ma anche perch entrambe si occupano di oggetti in qualche misura trascendenti lesperienza. In base a questa somiglianza, qualcuno po-teva essere portato ad attribuire al linguaggio poetico quel sovrasenso spirituale (allegorico, morale, anagogico) tradizionalmente attribuito al linguaggio scritturale 33.

    Il modo in cui Tommaso differenzia le due discipline getta luce sul-lo statuto che Tommaso accorda alla poesia. Secondo Tommaso, luso di metafore il tratto distintivo del linguaggio poetico 34. Tuttavia non vi niente di illecito o irragionevole nel fatto che anche il linguaggio

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    scritturale faccia uso di similitudini e parabole 35. Entrambi i linguaggi, infatti, si riferiscono a enti, eventi o stati emozionali che eccedono la ragione e che non risultano perci significabili in quanto tali. Da que-sto punto di vista, pu essere concesso che poesia e Sacra Scrittura sia-no accomunate dallimpiego di un linguaggio segnatamente simbolico (modus symbolicus) 36. Ma da ci nessuno tenuto a inferire che possa essere accordato al linguaggio poetico anche un senso spirituale oltre quello letterale. La ragione di questa limitazione che nessuna rappre-sentazione poetica, cos come nessuna rappresentazione scritturale, ha in quanto tale la possibilit di andare oltre il significato letterale delle parole che essa impiega, dal momento che, primo, le rappresentazio-ni linguistiche si servono di segni e che, secondo, i segni sono stati scelti convenzionalmente e imposti per significare nientaltro che ci che significano. Ne consegue che in una rappresentazione poetica e scritturale significato letterale e significato metaforico si subordinano e, parzialmente, si sovrappongono. Le metafore si configurano come similitudini che partendo da cose visibili conducono a cose invisibili, secondo una certa corrispondenza di alcune, selezionate propriet che i due estremi della similitudine sono ritenuti condividere 37. Quanto al senso letterale delle parole, perci, Sacra Scrittura e poesia non pos-sono diversificarsi. La Sacra Scrittura, tuttavia, si riferisce a cose che a loro volta significano, mentre ci non pu accadere per la poesia. E con senso spirituale si intende precisamente questo: la propriet del-le cose, come rispecchiate nelle parole, di significare altre cose 38. In conclusione, linguaggio e stile possono talvolta coincidere, ma poesia e Sacra Scrittura si distinguono con il variare dellintenzione con cui le parole sono impiegate. Per lo pi, la poesia tende a riprodurre, tramite le sue rappresentazioni linguistiche, cose meravigliose o rare, incitando gli uomini alle virt (sia intellettuali sia pratiche), la Sacra Scrittura ovviamente fa uso di rappresentazioni per un fine escatolo-gico e soteriologico 39.

    Alcuni dei tratti dellestetica tommasiana che abbiamo brevemente richiamato sopra sono stati studiati, altri invece rimangono nellombra. Mi sembra che ci sia ancora molto lavoro da fare sul versante della ricostruzione delle teorie medievali della rappresentazione applicate al campo pittorico e poetico, cos come mancano adeguati approfondi-menti sulle teorie medievali dei colori rispetto alla percettibilit sen-soriale del colore e alla conseguente relazione del colore con il senti-mento del bello 40. Credo che una via da seguire, e privilegiare, nella ricostruzione delle riflessioni estetiche medievali possa essere quella di reimpostare lindagine storica sulla bellezza come ricerca filosofica sui rapporti tra una rappresentazione, sia essa pittorica o poetica, il sog-getto che la ha intenzionalmente espressa e loggetto cui la rappresen-tazione si riferisce. In questottica, risulta interessante e filosoficamente

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    fruttuoso precisare i valori e gli stati cognitivi che un filosofo medievale disposto ad attribuire e associare alle rappresentazioni artistiche in genere. Tommaso, ad esempio, riconosce al linguaggio pittorico e poe-tico una comune radice rappresentazionale e una comune capacit di indurre nello spettatore-ascoltatore un sentimento di piacere o diletto, attribuendo alla rappresentazione pittorica o poetica in particolare una rappresentativit naturale che ne determina interamente, rispetto a un dato codice linguistico, il contenuto e valore semantico. Ogni rappre-sentazione, infatti, vista essenzialmente come un segno complesso, composto di altri segni, capace di riferirsi di per s a qualcosaltro, indipendentemente dallintenzione dellartista 41. Rispetto tuttavia al produttore o al fruitore dellopera, la rappresentazione artistica si pro-fila come un meccanismo tecnicamente elaborato di rappresentazione della forma di un oggetto, di un evento o, in generale, di una qualsivo-glia esperienza, rappresentazione che necessita per essere decodificata di una chiave interpretativa pi o meno immediata. Ci che distingue la rappresentazione per parole, in genere, da quella per immagini proprio limmediatezza della decifrazione 42. Da un punto di vista co-gnitivo, la rappresentazione poetica, essenzialmente metaforica, intro-duce un fattore addizionale rispetto a quella pittorica, perch le rap-presentazioni poetiche in quanto poetiche non si limitano a significare le cose (spesso inesistenti) che sono ricavabili dal significato proprio dei termini, quanto piuttosto altre cose con le quali le cose significate dai termini stanno in un selezionato rapporto di similitudine 43. Poter provvedere un trattamento unificato del linguaggio poetico e pittorico in termini rappresentazionali potrebbe gettare nuova luce sul modo in cui i maestri medievali hanno affrontato, nel caso, laffascinante pro-blema dellintertraducibilit tra pittura e poesia.

    1 Per unintroduzione allestetica medievale, si vedano M. T. Fumagalli Beonio Broc-chieri, Lestetica medievale, Bologna, Il Mulino, 2002 e, soprattutto, U. Eco, Arte e bellez-za nellestetica medievale, Milano, Bompiani, 1987, cui rimando per ulteriori riferimenti bibliografici. Quanto alle risorse in rete, si pu consultare la voce Estetica Medievale, curata da G. C. Garfagnini, sul sito http://www.italicon.it, sezione Filosofia.

    2 Su questo aspetto si pu vedere M. Bettetini, Il lecito piacere della finzione artistica, in M. Bettetini - F. D. Paparella (a cura di),D. Paparella (a cura di), La felicit nel Medioevo, Louvain-La-Neuve, Fdration Internationale des Instituts dtudes Mdivales, 2005, pp. 53-67.

    3 Per una presentazione dinsieme dellestetica di Tommaso dAquino, si vedano M. de Wulf, tudes historiques sur lesthtique de St. Thomas dAquin, Louvain, Institut Suprieur de Philosophie, 1896; F. J. Kovach, Die sthetik des Thomas von Aquin, Berlin, De Gruyter, 1961; U. Eco, Il problema estetico in Tommaso dAquino, Milano, Bompiani, 1970.

    4 Cf. Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum, i, 11, e II, 5. Per i passi di Agosti-no, cf. De musica, vi, 13, 38, e De civitate Dei, xxii, 19, 2. Cf. anche Epistul, 3, 4, e Super Genesim ad litteram, iv, 3.

    5 Cf. Scriptum super Sententias, i, d. 3, q. 2, a. 3, expositio textus: Pulchritudo

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    consistit in duobus, scilicet in splendore, et partium proportione; d. 31, q. 2, a. 1: Ad rationem autem pulchritudinis duo concurrunt, secundum Dionysium, scilicet conso-nantia et claritas His duobus addit tertium Philosophus ubi dicit, quod pulchritudo non est nisi in magno corpore. Cf. anche Summa Theologi Ia, q. 39, a. 8; iiaiiae, q. 145, a. 2; Super De divinis nominibus, c. 4, lec. 5; Sentencia libri Ethicorum, i, lec. 13; Super Psalmos, 44, 2.

    6 Sulla nozione di consonantia, si vedano Sentencia libri De anima, i, lec. 9; ii, lec. 18-19; Sentencia libri De sensu et sensato, i, lec. 17; Expositio libri Posteriorum, i, lec. 15; Super De div. nom., c. 4, lec. 5.

    7 I due termini sono pressoch sinonimi in Tommaso (cf. e.g. Super Sent., iv, d. 44, q. 2, a. 4, qc. 2). Sul significato del termine splendor cf. Super Sent., ii, d. 13, q. 1, a. 3.

    8 Cf. Quaestiones de veritate, q. 25, a. 1; Sent. De an., ii, lec. 22.9 Sulle nozioni trascendenti in epoca medievale, si veda J. Aertsen, Medieval Phi-

    losophy and the Transcendentals: the Case of Thomas Aquinas, Leiden-New York-Kln, Brill, 1996.

    10 Cf. e.g. Sum. Theol., ia, q. 5, a. 4, ad 1.11 Cf. Sum. Theol.Theol., ia-iiae, q. 27, a. 1, ad 3.12 Cf. Super Sent., iii, d. 26, q. 1, a. 3; iv, d. 48, q. 1, a. 4, qc. 3, ad 2; Qu. de ver.,

    q. 26, a. 4, ad 7; Postilla super Psalmos, 8, 1; Sum. Theol., iaiiae, q. 32, a. 5; q. 41, a. 4 e ad 4; iiia, q. 15, a. 8; Sent. De sensu et sens.De sensu et sens., ii, lec. 3.

    13 Cf. Super De div. nom., c. 5, lec. 4.14 Ibidem.15 Si confrontino, ad esempio, Sum. Theol.Theol., ia, q. 39, a. 8, e De 108 articulis, q. 1.16 Sul valore rappresentativo delle immagini, si vedano Super Sent., i, d. 28, q. 2,

    a. 1 ss.; Qu. de ver., qq. 2, a. 3; 4, a. 4, ad 2; 8, a. 5; 22, a. 14; 23, a. 7, ad 11; Sum. Theol., ia, q. 93.

    17 Per unintroduzione generale alla retorica e alla poetica nel Medioevo, si vedano C. Marmo, Retorica e poetica, in L. Bianchi (a cura di), La filosofia nelle Universit. Secoli xiii-xiv, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp. 141-62, e G. Dahan-I. Rosier-CatachRosier-Catach (ds.), La Rhtorique dAristote: traditions et commentaires de lAntiquit au xviie sicle, Vrin, Paris 1998, ai quali rinvio per ulteriori riferimenti bibliografici.

    18 Non tutte le divisioni delle scienze includevano per la poetica tra le discipline logiche. Per una panoramica, si veda G. Dahan,Per una panoramica, si veda G. Dahan, Les classifications du savoir aux xiie et xiiie sicles, in Lenseignement philosophique 40/4 (1990), pp. 5-27.

    19 Cf. De arte poetica, in Aristoteles Latinus, t. xxxiii, ed. L. Minio-Paluello, Leiden, Brill, 1968, p. 41. Su retorica e poetica nella filosofia araba, si veda D. L. Black,Su retorica e poetica nella filosofia araba, si veda D. L. Black, Logic and Aristotles Rhetoric and Poetics in Medieval Arabic Philosophy, Leiden, Brill,1990.

    20 Entrambe sono state pubblicate in G. Dahan, Notes et textes sur la potique au Moyen ge, in Archives dHistoire Doctrinale et Litteraire du Moyen-Age 47 (1980), pp. 172-93.

    21 Cf. Expositio libri Posteriorum, i, 1 (proemium), in Opera Omnia, t. i* 2, ed. R.-A. Gauthier, Roma-Paris, Commissio Leonina-Vrin, 1989, pp. 3-7, ll. 1-123.

    22 Ivi, pp. 6-7, ll. 118-120. Si veda lapparato delle fontiSi veda lapparato delle fonti ad lineas.23 Ivi, p. 3, ll. 9-12 e 24-31.Ivi, p. 3, ll. 9-12 e 24-31., p. 3, ll. 9-12 e 24-31.24 Ivi, p. 3, ll. 9-12. Cf. ancheCf. anche Sent. Ethic., ix, lec. 7.25 Sebbene il diritto, letica e la politica siano i suoi ambiti di applicazione pi

    naturali (cf. Sent. Ethic.Ethic., i, lec. 3). Cf. Super Sent., iii, d. 33, q. 3, a. 1, qc. 4; Sum. Theol., iiaiiae, q. 48.

    26 Cf. Exp. Post., I, 1 (proemium), pp. 6-7, ll. 107-111.27 Ivi, p. 7, ll. 111-118.28 Cf. Sum. Theol., iaiiae, q. 32 a. 8; iiaiiae, q. 94, a. 4; Super Corinthios, c. 11, lec. 1;

    Averro, In Poetriam, in Aristoteles Latinus, t. xxxiii, pp. 44-45.29 Cf. Exp. Post., i, 1 (proemium), p. 7, ll. 116-118; Super Timotheum, c. 4, lec. 2;

    Expositio libri Peryermenias, i, lec. 7; Averro, In Poetriam, pp. 43-44.

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    30 Cf. In Poetriam, p. 42. Si noti che la versione latina di Ermanno il Tedesco aveva reso il termine arabo equivalente al greco mimesis con repraesentatio piuttosto che con imitatio.

    31 Sul rapporto tra aestimatio e suspicio. Cf. e.g.Cf. e.g. Qu. de ver., q. 26, a. 8, ad 3.32 Cf. Sum. Theol.Theol., Ia, q. 1, a. 9, arg. 1