Digital Renzakt Agenda

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Renzaurazione Giuseppe Mele 2014 Giuseppe Mele Dai Longobardi ai Bandalarghi Digital Renzakt Agenda Manuale per buddies, bandìti, bandisti e bànditi sul perché e come l’Italia resti , a prescindere, digitalmente divisa Roma 2014

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Dai longobardi ai largabandi Quattro anni di dibattiti politici ed eventi pratici nel mondo digitale: TLC, ICT, TV, stampa, social e tablet

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Giuseppe Mele 2014

Giuseppe Mele

Dai Longobardi ai Bandalarghi

Digital Renzakt Agenda

Manuale per buddies, bandìti, bandisti e bànditi

sul perché e come l’Italia resti , a prescindere,

digitalmente divisa

Roma 2014

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Digitale ................................................................................................................................3 2014 Sindacato del terziario, sindacato digitale .....................................................................3 2014 Bradbury......................................................................................................................6 2014 Infoproviding unge le ruote di Internet .......................................................................12 2014 Privet, ecco il tuo antivirus. Te lo regala Putin. ...........................................................16 2014 Cultura e Digitale .......................................................................................................28 2014 Prato Il miglior comune digitale è di destra.................................................................29 2014 Agenda Digitale tre domande .....................................................................................32 2014 Fiera Smau, Satira (per) Marino automatizzata usabile ...............................................36 2014 I sindacati su Internet, Telecom e Agenda...................................................................39 2014 Consultazioni on line, interattive come il marmo ........................................................43 2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker? .....................................48 2013 Siae al voto ................................................................................................................50 2013 La coalizione europea recluta farfalle .........................................................................56 2013 Travetelecom e pagliuzza cinese.................................................................................60 2013 Alleanza digitale ........................................................................................................64 2013 Lavoratori digitali ......................................................................................................68 2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker? .....................................71 2013 Unico EuroTlc e Napodigitali .................................................................................73 2013 C’è Silvio e Silvio ......................................................................................................79 2013 Tutti gli uomini del telelavoro ....................................................................................83 2013 Tlc sotto custodia partitica..........................................................................................87 2013 Digital Compakt.........................................................................................................92 Antefatti della cronaca dell'assemblea Telecom 1 ................................................................97 2013 Assemblea Telecom 2 ..............................................................................................102 2013 Twittercronaca dell’Assemblea ................................................................................106 2012 Parisi ci riprova ........................................................................................................111 2012 E-alamein.................................................................................................................114 SMAU e FORUMPA........................................................................................................118 13 gennaioI 2010 I blogger, più vecchi che mai.................................................................124 2 febbraio 2010 Gentiloni dà ragione a Cicchitto: il si al broadband è un no a Telefonica ..124 2010 6 agosto Questa volta meglio Telecom che Fiat, anche per PIRANI, segrettario UIL.128 Parisi, il pacificatore tlc ....................................................................................................131 2012 Web o Press .............................................................................................................135 2012 IT, cause & casualità Il blog di Antonio Romano......................................................138 1 ottobre 2007 Intervista a Antonio Romano /ICT European Forum ..................................141 ICT, L’Europa e la necessità di un regolatorio unico .........................................................145 2012 Scorpora et impera ...................................................................................................147

Stampa ........................................................................................................................150 2014 Ordine dei Giornalisti, irriformabile ma deformabile ................................................150 2014 Forbice ex cattedra scorrettamente loquente .............................................................155 2013 Mi manda Ciccone ...................................................................................................158 2013 Il voto vecchio dei giornalisti ...................................................................................164 2012 Resamanifesta ..........................................................................................................168 2011 Gadmentana .............................................................................................................172

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Digitale

2014 Sindacato del terziario, sindacato digitale

Il professor Paolo Feltrin dell’università di Trieste (ma come tende a

esplicitare, veneto) da anni si occupa del settore economico terziario. Ha

studiato la realtà specifica trevigiana, quella del nordest e poi nazionale,

coinvolgendo la ricerca triestina che tra Consorzio, In Nova, e

NovaImprese, accanto allo sviluppo di Finest è esempio mirabile di lavoro

comune tra lavoro e analisi. Alla convention UilTucs, al teatro Brancaccio

di Roma, sulla sua piattaforma analitica si è sviluppata la vision

collaborativa ed avanzata del sindacato Uil del commercio e servizi.

Potrebbe meravigliare perché Feltrin, in modo tranchant, non esita con

identica voce, davanti all’accademia, ai datori ed al sindacato a presentare

una realtà secca. A partire dall’importanza, che in ogni discorso, oggi

hanno i dati (senza cadere nella polemica tra fautori du open data e big

data) che sono, come sempre, a rischio di deformazione a vantaggio di

analisi e interpretazioni premasticate ed indirizzate ideologicamente. Dati

che pretendono una retorica concisa, stretta, quasi slogan elementare.

Tutt’oggi per qualcuno sembra non passato il tempo dell’abilità dialettica

nel secolo scorso quando l’oratore capace parlava mezzora senza un punto.

I dati giudicano e mostrano dove le tendenze portano nel bene e nel male. I

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dati dicono che il terziario pesa il 70-80% economico a seconda dei paesi e

delle regioni europee. Il suo ruolo centrale nella vita economica e sociale

cresce di pari passo con il mercato unico globalizzato. Dato fondamentale

italiano, ed ancora più tedesco, è l’evoluzione del terziario in connessione

al manifatturiero. Se nell’impostazione anglosassone, dominante sui

mercati il terziario sostituisce la produzione metalmeccanica ed elettronica

che semplicemente si sposta in altre zone, tipicamente asiatiche, in una

sorta di gigantesca delocalizzazione, in quella italiana terziario e

produzione industriale si intrecciano e per certe parti si fondono, così che lo

sviluppo del primo traina anche il secondo. L’Europa che punta

all’obiettivo manifatturiero del 20% del Pil per il 2020, lo dovrebbe trovare

seguendo l’esempio italiano premiando il restante 80 del terziario. La voce

del lavoro non può privilegiare la discussione dettata dai ritmi della

fabbrica produttiva, ma deve, per contarsi e contare, privilegiare l’intera

filiera di cui il terziario assume il ruolo più importante, quello di

interlocutore finale, sia del cliente che del mercato internazionale. Il

terziario pretende una nuova contrattazione, non interna agli storici soggetti

di lavoro e capitale, ma tra il loro insieme ell’esterno, definibile come

consumatore globale, in senso lato. L’incapacità italiana di arrivare a

questo risultato è il dato terribile del posizionamento del Belpaese, leader

induscusso mondiale per cultura umana e materiale, al solo quinto posto tra

le località percettive di turismo. Turismo, che come noto, viene conteggiato

come export e che resta per il terziario al 15%, rispetto ad un peso globale

di Pil del 72%. Contrattare e bene con il consumatore; rappresentare

l’insieme della filiera produttiva e di servizi, senza cadere nelle

disquisizioni (distretto industriale o rete d’imprese? Grandi o piccolo-

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medio imprese?) e trovare l’unione in un terziario, tanto grande, quanto

diviso nelle attività. Non è terziario solo il commercio o l’insieme del

business turistico, lo è anche la Pubblica Amministrazione; lo è la banca, lo

sono i servizi tradizionali e innovativi alle imprese ed alle persone, lo è la

comunicazione. La difficoltà dell’uso di parole diverse, mantenute in vita a

scopo divisivo, mantiene in piedi muri tra cose identiche. Un tempo il

terziario avanzato comprendeva le imprese di servizio ad elevato fattore

tecnologico e ricerca, quelle dell'elaborazione dati (informatica ) e della

loro trasmissione ( telematica ). Lo si intendeva come il quarto settore,

caratterizzato dall’ avanzato know-how tecnoscientifico, separandolo dagli

stessi servizi del terziario, oltre che da industria ed agricoltura. Le cose

sono cambiate. Il terziario avanzato oggi è l’economia digitale che a grandi

passi, sta inglobando in sé, larga parte dei servizi pubblici e privati.

tradizionali e innovativi alle imprese ed alle persone Pur restando limitata

l’area produttiva dei sistemi digitali ( 2 milioni di lavoratori in Europa),

gran parte degli addetti ai servizi ( il 70% degli occupati italiani e l’80%

degli occupati al nord), oggi, all’interno di quei sistemi, elaborano e

trasmettono dati. Si lamenta giustamente la debolezza politica del lavoro

del terziario che non riesce a far sentire la propria voce, tra frammentazione

pulviscolare delle imprese e diversità delle tipologie di lavoro La realtà

presentata dalla ricerca, evidenzia l’integrazione servizi- industria, che è

naturale innovazione e facilita l’ingresso delle professionalità; la domanda

di internazionalizzazione come sviluppo della distribuzione organizzata e

non della burocrazia, la politica del turismo e del patrimonio culturale

come una cosa sola, la domanda di formazione continua come

ristrutturazione universitaria a favore del lavoro, nuovi welfare e

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occupabilità a misura degli equilibri demografici della società più anziana.

distinguendo tra i naturali poteri centrali e territoriali, che non può ignorare.

C’è un richiamo alla capacità privata delle parti sociali di regolare e

regolarsi, dal credito alla concorrenza, dalla produttività al costo del lavoro

ed al modello a due livelli contrattuale, che si traduce in censura le cattive

scelte della politica ed arriva proprio quando la politica sembra voler

passare, di nuovo, sopra sindati e datori. Feltrin e Uiltucs ci dicono che

l’industria tende a far parte del terziario. Il passo successivo è vedere

l’identità tra terziario e digitale, dai sistemi di vendita e pagamento globali,

alla logistica, vigilanza e scurezza del lavoro nelle smart cities, alla fusione

di servizi virtuali e materiali del turismo, alla convergenza strumenti e

contenuti editoriali e artigianali, alla ricerca di snellezza nell’offerta di

servizi per le necessità personali, oggi sottoposte al pesante slalom tra

burocrazia e lavoro dequalificato. E’ il comune piano digitale che può

mettere a fattore comune questo peso reale, sottovalutato nella retorica dei

dati usati dalla politica e dagli attori più forti. Di tutti i sindacati, la Uil è

quello che meno ha inseguito soluzioni e conflitti facili attenendosi al

contesto reale, non a quello immaginato, presunto, condannato o sperato.

L’importanza della rappresentanza del terziario presentata dalla UilTcs ne è

un esempio. Solo, però, l’intero campo delle filiere servizi può rivendicare

un ruolo nell’unico mercato digitale, che è al tempo stesso avversario,

cliente e contraentee. Il richiamo nelle tesi confederali ad un’agenda

digitale Uil chiama il sindacato al suo ruolo nel mondo del terziario e

terziario avanzato, oggi entrambi digitali.

2014 Bradbury

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Le cronache marziane trattano di un via vai tra la Terra e Marte, dei

tentativi dei terrestri di giungere nel pianeta rosso e di quelli, avvolgenti e

depistanti, dei marziani per respingerli. I marziani fermano anche con gli

stratagemmi più strani, quali pistole che sparano api, manicomi e parenti

serpenti, le prime tre spedizioni terrestri. Alla quarta soccombono ed al

contatto con gli umani muoiono tutti di morbillo. Le ondate, come di

locuste, dei coloni si seguono una all’altra, di donne, preti peregrini, vecchi

turisti, fino alla partenza di tutti i negri dalla Terra ed all’arrivo dei censori

legislatori che erano stati causa delle partenze, finchè gli invasori si fanno

90mila e cambiano i nomi di tutte le cose. La presenza marziana sussiste

però, nella rivolta del singolo terrestre a loro difesa, nella vita passata su un

altro piano-spazio temporale, nel canto trasparente e inafferabile, nella

danza di sfere, nel volteggiare delle scaglie nere dei corpi bruciati marziani.

Scoppia la guerra sulla Terra. L’evento, inspiegabilmente invece di

trattenerli, riporta i coloni terrestri indietro, finchè a rimanere restano in

pochi: un truce e materialista venditore di hotdog cui viene lasciata

l’eredità dell’inutile latifondo marziano, famiglie di robot, una coppia che

non si sopporta e case in costante manutenzione domotica grazie a

ingranaggi metà automatici metà animali. Alla fine le cronache, nel loro

gioco girevole, riportano le cose al punto di partenza. Nell’immanente

selfdestruction della Terra, un’ultima famiglia si rifugia su Marte dove

scopre, a sé ed agli altri, la propria reale identità marziana, di pelle d’ambra

e di occhi dorati, fari luccicanti che riescono a vedere l’agitarsi scomparso

delle antiche acque nei letti di fiumi e mari disseccati. E’ una favola

fortemente impregnata dei miti degli anni in cui venne scritta. La Guerra,

nello sforzo ciclopico dei contendenti, mentre le vite comuni venivano

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straziate a milioni, aveva fatto raggiungere livelli sconosciuti alla scienza

ed alle conseguenti applicazioni tecnologiche. Il mondo, che sei anni prima,

si gingillava ancora con parate di cavalleria e feluche, era pronto per robot,

automazioni, messaggi via radio, decrittazioni enigmistiche, missili, funghi

atomici, veicoli giganteschi, aerei e spaziali. I popoli, trasformati

nell’incrocio tra derive ipernazionaliste e incontro forzato bellico, non

erano più i soliti baroni e contadini dei secoli passati, ma figure simboliche

letterarioideologiche: i comunisti russi rossi, gli ebrei ricchi e scheletriti;

tedeschi ed altri eredi del sacro romano impero germanico avevano perso il

loro nome in favore di quello omnicomprensivo di fascisti. Gli stessi

americani, tra cui l’autore, si vedevano diversi e irroconoscibili tra loro: i

contadini del mid West, la New York etnica e intellettuale, le razze non

mescolabili bianca e nera. Poi l’effetto magico dello scentismo e del

sociologismo spinto all’eccesso piano piano sfumò fino all’apogeo ed alla

fine della guerra fredda, tra navi missilistiche e giganteschi ponti aerei.

L’autore, l’americano Ray Bradbuy negli ultimi anni criticò l’approccio

attuale alla tecnologia, in particolare il fanatismo giovanile per i marchi più

trendy sia di tablet che di social network. Ora che tutti gli umani potrebbero

essere marziani, sembrava dire, appaiono come cortigiani ammirati di

oggetti di cui non comprendono l’afflatto tecnomagico, ma solo il richiamo

da belletto di moda. Oggi le cronache marziane assumono un altro senso.

Sono il futuro incombente, di cui non si conosce il momento ma di cui è

noto già lo schema. Non è più valida la minaccia bellica, che quando uscì il

racconto, specchiava la forza degli Usa, allora unica potenza atomica. La

distruzione della Terra, dei suoi schemi politici, sociali ed economici, sta

ineluttabilmente nella compenetrazione di Marte che ormai le è già entrato

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dentro. Il potere tecnologico, nitido nella sua linearità formale, svuota ogni

altro potere e detta anche le modalità della comunicazione degli istinti.

Fino all’ultimo i terrestri, immutabili a se stessi, non compredono,

reagiscono, minacciano e piangono. Nella progessiva disuguaglianza e

immortalità promesse dalla tecnologia, un giorno si accorgeranno di non

essere più se stessi, forse marziani, forse robot, forse l’uno e l’altro.

Bradbury è scomparso nel 2012 nella stima e apprezzamento della migliore

cerchia intellettuale. 7 romanzi, 600 novelle, 8 milioni di copie pubblicate,

tradotte in 36 lingue, frutto di un’istruzione fondata sulla frequentazione di

biblioteche non tolgono l’impressione di una sorta di furba pigrizia

dell’autore. I suoi scritti erano brevi, poi ricomposti nell’unità romanzesca

in un collagene connettivo che lasciava i simgoli oggetti letterari fruibili

anche isoltamente. Cambiò il modo di pensare della gente non solo per i

contenuti ma anche per questa scrittura a oggetti, quasi come un software,

webclip series, o script pubblicitari il che ne fa il primo autore digitale. Non

ha avuto però grandi onori, folle alle esequie, ore di dibattiti in Tv, premi

d’eccellenza. Al contrario ad esempio delle Doris Lessing, cantrice scettica

dell’esperienza femminile, premio Nobel per la letteratura nel 2007 o della

canadese Alice Munro, Nobel 2013, non ne ha mai vinto uno. Con la

Munro ha potuto convididere solo le onorificenze del regno dell’isola

letteraria di Redonda che ha fatto lei duchessa dell'Ontario nel 2005 e lui

duca di Diente nel 2006. Le onorificenze del cofondatore della fantascienza

fanno sorridere: il premio World Fantasy Life, il Grand Master Award,

l’Horror Writers Association Life ed il Grandmaster dell’Horror. Almeno i

francesi l’hanno fatto nel 2007 Commendatore. E quelli del Pulitzer, non

potendolo premiare come giornalista, lo omaggiarono come innarrivabile

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scrittore di fantasy. Difficile che a Bradbury sia veramente importato.

Leggerissimo e concretissimo, lo scrittore dell’Illinois aveva un timbro di

soave superficialità volteriana che intrigava, disturbava, attirava e faceva

pensare senza clamori, senza urli, senza comizi, senza ulcere ma con

sottilità come avrebbero detto King ed i nipoti di Tolkien. E a proposito,

nel ’61 il comitato svedese Nobel ritenne Tolkien " di seconda categoria";

poi con i premi a Fo, Arafat e Obama decise del tutto di trasformarsi in

istituzione satirica. Ray ne avrebbe riso soavemente a lungo. Il suo viso era

l’altra faccia dell’espressione nevrotica di Allen, la sua ironia soffice

quanto psichiatrica era quella del secondo. Messe radici in California,

Bradbury, senza isterie, visse nel mercato della domanda e dell’offerta e da

lavoratore, si comportò anche editorialmente, divenendo cinesceneggiatore

proprio come si sarebbe proposto come menestrello alla corte di re Artù.

L’uomo della fuga verso Marte aveva grande attenzione per la terra dove

poggiava saldamente i piedi, per il pubblico i cui gusti vellicava, senza farsi

trascinare dalla sua dittatura; mentre considerava filosofia e politica come

una trombonata di mode, che come le gonne un anno vanno corte, un anno

vanno lunghe, così senza una ragione. Al contrario di altri autori dello

stesso filone, mantenne un serafico distacco dall’elettricità nervosa dei suoi

messaggi. Potè a lungo troneggiare sulla fama giunta presto, grazie alle

Martian Chronicles del 1950, all’Illustrated Man del ’51, a “Fahrenheit 451

( da cui il film di Truffaut del ’66) e The Golden Apples of the Sun del ’53.

Poiché non fu uno scrittore maledetto dalla vita breve, come il suo erede

Philip Dick, sparito a 54 anni, non ebbe la fama popolare che si sarebbe

meritato. Dalla tecnologia, d’altronde, ci si attende la medesima

trasmissione del melodramma della nevrosi rosa dalla sua stessa immagine;

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si pretende che vi compaiano stupefacenti chimici giusto per il senso della

contemporaneità. Per guardare gli schermi tridimensionali, invece, bisogna

togliersi i G-glasses ed inforcare gli occhi marziani del 92enne Ray, un

autore digitale, che poteva prescindere dal supporto infomatico.

Tè Tè

Olimpia humanum est, Telco diabolicum

Telecom, si ha controllo di fatto anche se un soggetto (Telefonica) pur disponendo meno del 30% dei voti, controlli ripetutamente l'assemblea di una società quotata (Telecom Italia). Telco (Telefonica) dovrebbe consolidare i conti di Telecom? Ne verrebbe fuori un debito stratosferico, 100 miliardi, somma di due aziende indebitate-. Tutti vogliono lo scorporo della rete, ma non Telefonica. L'Europa lo vuole L'Agcom lo vuole di autorità Telecom lo vuole con l'entrata di nuovi soci privati stranieri. CDP di Bassanini\Gamberale lo vuole Il governo lo vuole, una parte è contraria all’entrata CDP Stride l’assenza di collegamento tra crisi Telecom e lo stop effettivo di Agenda digitale e; il calo dei fatturati dei contenuti (digitali e non) di stampa, Tv, show, IT, pubblicità, l’impasse europea di fronte agli aggressivi competitor Usa.

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2014 Infoproviding unge le ruote di Internet

Le ruote dell’economia Internet devono essere oliate per correre più

velocemente. In altre parole l’economia digitale incontra troppe resistenze,

freni e ritardi per esplodere del tutto, resistenze che si trovano nelle

infrastrutture nell’industria, nelle persone e nell’informazione. Si tratta del

titolo e dell’idea portante del rapporto Boston Consulting Group del

gennaio scorso. Nata 50 anni fa BCG è uno dei colossi dell’infoproviding

mondiale (fatturato €2,7 miliardi, seguita da Idg a 2,5 e da McKinsey e

Bain & Company. Una digressione necessaria sull’infoproviding,

letteralmente fornitura di informazioni. In Europa, a parte l’UK, solo la

Commissione sostiene il business delle indagini, consultazioni, statistiche e

sondaggi applicati all’economia. L’Europa conosce la propaganda e non

riesce a dare peso politico alla pubblicità, equiparata ntellettualmente

all’enigmistica. L’infoproviding –si è sviluppato all’incrocio degli studi

statistici informatici con quelli finanziario-borsistici. Si è sviluppato nella

consulenza d’impresa soprattutto lato investimenti ed acquisti ma da anni è

divenuto la fonte primaria di ogni analisi economica e sociale e quindi

politologica. Gli studi delle Università e delle organizzazioni istituzionali

nazionali e internazionali sono un costo. L’infoproviding è invece un

profitto che non appare tale. Commissionato da enti pubblici e privati, si

propone come un punto di vista terzo, con un apprezzabile gusto di

sensibilità democratica, attenta alle opinioni di tutti, esperti e non, capace

di recepire punti di vista anche alternativi e libertari. Espressione naturale

del pensiero delle università Usa e delle grandi scelte occidentali,

l’apparente neutrale infoproviding ha sostenuto il liberoscambismo e la

politica Corretta; al tempo stesso imponendo i suoi modelli, schemi e dati.

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Il dibattito nazionale, spesso, senza neanche accorgersene, si basa e fa

riferimento ai dati ed agli slogan ripresi, paro paro, dall’infoproviding.

Ovviamente c’è chi contesta, a livello accademico e professionale, questo o

quel dato: basti pensare al flop subito dal rapporto sulla pirateria del

software, rivelatosi un boomerang per la committenza dell’industria IT. La

singola contestazione non fa però presa sull’incessante marea di rapporti e

dati, tutta proiettata nella stessa direzione, che si fonda sulla credibilità

offertale dalle agenzie di rating. L’infoproviding fornisce il quadro delle

valutazioni che le rating agencies poi convertiranno in giudizi di valore, sui

quali i grandi fondi obbligazionari adegueranno i propri investimenti, con

conseguenze immediate per mercati, i profitti, i salari di ogni paese. Nel

contesto globale della digitalizzazione e soprattutto dei flussi finanziari

digitalizzati, l’infoproviding ha dunque un ruolo principe, di deus ex

machina. I paesi europei, tra cui l’Italia, si affannano attorno alle loro

regole interne di rapporto tra debito, produzione, investimenti esterni, ma

guardano troppo in basso. Alzassero lo sguardo, vedrebbero che il flusso

degli Ide, del debito, della produzione sono fortemente influenzati dagli

indicatori, dalle agenzie e soprattutto dall’infoproviding, Cercherebbero

allora di costruirsene uno proprio. Dovrebbe avere, però, un valore, uno

sguardo , una prospettiva globale; e l’Europa non ce l’ha. Ogni paese

costruisce un proprio infoproviding che guardando al proprio ombellico,

diventa per forza di cose, parte della grande narrazione globale. Non a caso

da anni la politica sociologica ha adottato questo termine, accostandolo al

primigenio “percezione”. Senza punti fermi, convinzioni chiare, la

politologia fa riferimento alle percezioni della gente e narra di una sua

interpretazione degli eventi. L’infoproving non è narrazione, non è

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percezione; è statistica, dati, numeri nei quali vengono tradotti anche i gusti

e le opinioni dei manager, dei responsabili, degli attori sociali. E’

l’approccio serio e reale contro il quale la fantasia romanzata della politica

appare l’opera di un dilettante. Non è un caso se all’inizio del 2014, il BCG

avverte necessità di chiedere una spinta sull’economia Internet,

letteralmente una oliata delle sue ruote. L’avvertimento è ancora più solido

se si guarda al committente, l’Icaan, Internet Corporation for assigned

Name and Numbers. L’Icaan, con il nuovo protocollo di comunicazione

Ip6, ha aumentato esponenzialmente la possibile presenza di utenti, enti,

imprese ma soprattutto servizi automatizzati sul web, creando anche 700

nuovi suffissi di dominio di primo livello (es..shop, .photo, .auto), destinati

a crescere ulteriormente; è sempre di più il governo della Rete mondiale in

mano Usa, dopo il fallimento dell’Itu, agenzia Onu telecomunicazioni di

riprendere un ruolo istituzionale. L’avvertimento Bgc c’è stato anche al

forum economico di Davos: nei primi 20 paesi l’economia digitale varrà

€3200 miliardi (1300 nel 2010), di cui 730 in e-commerce per il 45% della

popolazione mondiale, con un miliardo di nuovi utenti. Allo stesso palco

l’Ilo, altra agenzia Onu parlava della crescita della dissocupazione

mondiale e metteva in dubbio la panacea della formazione digitale (“Global

employment, risk of jobless recovery”). L’avvertimento arriva mentre

l’Europa, appreso di essere spiata oltreoceano, pensa ad una rete sicura, a

frenare sulla rete unica, sulla sua neutralità, cioè sull’attuale assenza

“doganale” virtuale di controlli sui contenuti. Arriva mentre si discute

l’accordo di libero scambio Usa-Ue (TTIP), cioè del 50% del Pil mondiale,

del quasi 60% dell’economia digitale e del 30% degli scambi mondiali.

Anche qui gli “studi indipendenti” del londinese Centre for Economic

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Policy Research (Cepr) tanto per cambiare, promettono nuova crescita

(€540 a famiglia l’anno) nuovi prodotti e servizi, prezzi bassi, introiti

fiscali, nuovo lavoro per €90 miliardi agli americani, 120 agli europei e 100

al resto del mondo, oltre a migliori salute, sicurezza, ambiente e diritti dei

lavoratori. Dietro al network del CEPR (750 ricercatori di 237 università)

ci sono sponsor tutte le banche mondiali pubbliche e private, dalla Bce in

giù, a parte, per pruderie, la Fed. L’Europa si è accorta che avere un lavoro

non esime dalla povertà, e non solo in Italia, Portogallo, Spagna, ma anche

in Danimarca (rapporto su I rischi della povertà lavorativa). Lo richiama

Cacace dall’Isril denunciando una verità, non smentibile

dall’infoproviding: “Nei paesi industriali la crescita è strutturalmente bassa,

inferiore al 2% e l’elettronica distrugge più posti di lavoro di quanti ne

crea”. Si potrebbe emendare sostituemdo il più vasto digitale

all’elettronica, riprendendo le parole dell’Economist “Le innovazioni

tecnologiche non favoriscono più l’occupazione”. Non per questo il trend

digitale può fermarsi. L’infoproviding non ha torto evidenziandone i

miglioramenti nell’organizzazione economica e sociale. Pecca solo per

l’omessa verità. Il digitale ha bisogno di meno lavoratori rispetto ai clienti

necessari e quindi implica la necessità di nuove politiche del lavoro e degli

esteri perché come è evidente, indebolisce i relativi poteri nazionali. A

proposito il digitale si identifica nella politica industriale Usa, he spesso fa

bene agli altri ma non sempre. L’avvertimento Bcg è quindi americano ed

invita l’Europa a seguirla. E’ lo stesso tema dei colloqui TTIP, partiti nel

2013, destinati a durare tutto il 2014, dove l’Europa fin dal IV° round di

marzo, si farà assistere da 14 esperti volontari di cui 2 inglesi, 2 francesi, 2

tedeschi, 2 danesi, 2 belga, un olandese, un boemo, un finlandese ed una

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spagnola. Neanche un italiano. 2 i rappresentanti sindacali ( inglese e

tedesco), 4 i datoriali (spagnola, tedesco, ceco e finlandese). La

maggioranza degli altri, ma soprattutto delle altre è in mano a associazioni

improbabili, fumose, non rappresentative, i cui portavoce rendono benbe

l’idea dei freak al potere del beat fattosi byte. Sono gli entusiasti

dell’infoproviding i cui estensori oltreoceano, a loro differenza, sono duri

lavoratori dell’edutainment (formazione per via pubblicitaria). I sindacati

europeo e americano (Ces e Afl) sono contrari all’accordo Usa-Ue, ma non

hanno ben argomentato la posizione. I sindacati dovrebbero prendere

cognizione delle cose, senza farsi innoluddisti; dovrebbero conquistarsi un

proprio infoproviding, magari a spese di quello istituzionale (pagato con le

tasse) e dovrebbero denunciare il middleware delle organizzazioni non

rappresentative, animate da belle cause e rappresentante da belle persone,

che stanno sostituendo loro ed i partiti negli spazi democratici. Magari

accellelare i tempi lenti della loro riflessione che rischia di essere bruciata

non solo dalla potenza ma soprattutto dai tempi velocissimi degli attori del

digitale.

2014 Privet, ecco il tuo antivirus. Te lo regala Putin.

Parte sbagliata, parte giusta (You were wrong, you were right) rigt to be

wrong

Secondo Washington, il presidente russo Putin è dalla parte sbagliata della

storia. La privacy informatica di Obama, invece sostiene che Putin è dalla

parte giusta, dato che computer e cellulari di Mr.President, sono protetti

dall’antivirus di Evgenij Kasperskij, amico ed ex collega Kgb del

presidente russo. Anche l’Interpol e la Ferrari si sono affidati alle cure di

Evgenij, già premiato nel 2010 come miglior amministratore delegato al

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Giuseppe Mele 2014

mondo ed eroe tecnologico nel 2012; in breve Mr Bezapasnosti, (alla

lettera senza pericolo), tradotto in sicurezza, quella presente nella B di Kgb

o dell’agenzia erede Fsb. Le due teste dell’aquila russa guardano a tutte le

sicurezze, quella materiale e militare delle occupazioni di Georgia o

Crimea, ed a quella virtuale e cibernetica. Appunto, la parte sbagliata e

quella giusta della storia, il passato ed il futuro, mondi paralleli e

intersecanti, dove i russi navigano a meraviglia tra internet e cyberware,

antichi muri e nuovi firewall.

Russi ultimi del web. Sembra ieri quando l’informatica russa era

considerata il punto debole del sistema sovietico, troppo sbilanciato

sull’hardware. A quell’epoca, 1987, Evgenij si

laureava alla Facoltà di Matematica della Scuola

Superiore del KGB (dal 1992 Institute of

Cryptography, Telecommunications and

Computer Science, Accademia dell'FSB).

Cominciava un decennio duramente segnato

dall’opinione pubblica mondiale, quando ogni

cosa russa non poteva che essere ridicola o

criminale e inutilmente l’accademico nostalgico

Alferov ricordava di essere anche lui un padre di

Internet. Il punto più basso fu toccato quando

Telecom Italia, allora Stet, già presente

stabilmente sul mercato, si comprò addirittura la rete telefonica del paese

(Sviazinvest, da cui dipendeva Rostelecom). Per metterci una pezza la

nuova nomenklatura parlò di traduzione erronea del contratto. L’evil

empire, l’impero del male era divenuta una evil gang.

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Giuseppe Mele 2014

Evil gang Se gang doveva essere, che gang sia. Si è diffusa nel tempo la

leggenda degli hacker russi, forti di una altissima tradizione in logica,

scacchi, fisica, matematica e di grandi competenze tecniche diffuse.

Capacità corrobate da un altissimo patriottismo mischiato

contradditoriamente a cinismo, mercenarismo e gusto per abbattere le

regole del politicamente corretto, cioè dell’ideologia Internet, vale a dire

dell’ideologia americana. La leggenda si nutre del sospetto dell’alleanza, se

non del controllo da parte delle autorità russe sugli hacker, in quella sorta

di naturale dirigismo organico senza distinzioni tra privato e pubblico, tra

legge e azione tanto diffuso nelle nuove grandi economie. Chi ha ucciso

Eston Rabbit? Se l’Estonia del 2007, uno dei Paesi più informatizzati del

mondo, al top del summit Nato, veniva messo in ginocchio per giorni dal

blocco dei siti web di governo, banche e media, chi poteva essere stato se

non gli hacker russi? Chi aveva accecato le comunicazioni del ministero

degi esteri della Gruzia, per 3 giorni, mentre le truppe russe si schieravano

ai confini dell'Ossezia? Chi nel 2008 aveva mandato in tilt il sistema di

sicurezza del Pentagono? A marzo di quest’anno si è chiuso dopo 3 anni,

nel Wisconsin, Usa, il processo al re dello spam, Oleg Nikolayenko che dal

sobborgo moscovita di Vidnoye era riuscito a infettare mezzo milione di

computer trasformandoli in zombie, riceventi e mittenti ca. 10 miliardi di e-

mail spazzatura al giorno. A processo sono finiti anche 6 estoni russi,

accusati dall’Fbi di $ 14 milioni di cybertruffe.Leggende La leggenda a 20

anni dalla caduta del comunismo ha raggiunto il suo risultato: la Russia ha

scalato tutta la classifica del software fino alla serie A. I suoi 160 milioni di

utenti di socialnetwork non nascondono che l’economia digitale di Mosca

vale solo l’1% del mercato globale, doppiata anche dall’Italia; e che i

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Giuseppe Mele 2014

cybercriminali in patria e russofoni, dal’estero, realizzano 4 volte ($4,5

miliardi) il fatturato legale. L’infoproviding russo Group Ib attestò nello

studio "Mercato russo dei crimini digitali" che il paese ne fosse la prima

vittima (36% di quota

mondiale). Dati non

inventati come quelli

sui livelli di

corruzione italiana,

ma risultati da

processi e rapporti di

polizia. Putin non si preoccupa troppo. L’economia russa è la meno digitale

tra i big. C’è chi parla di Russia, paradiso del web, con computer diffusi,

wi-fi gratuiti in ogni dove, boom di connessioni, social network, Città tutte

cablate in fibra, chi dallo Stato, chi dal Comune, chi dalle Ferrovie.

Nell’Urss costavano meno i libri del cibo. In Putinlandia costa meno il web

del formaggio. Russia 1% del digitale mondiale, 36% dell’hackeraggio

Comunque l’economia digitale EuroUsa detiene metà del mercato, con

Cina e India arriva al 75%. La criminalità digitale anglofona (40%)

corrisponde al suo mercato; ugualmente quella cinese al 18%. Quella

russofona, forte del 30% ha un eccesso, per così dire di competenze e per

forza di cose, è a disposiziome di tutti, pronta ad offrire quello che i

brezneviani chiamavano “aiuto fraterno. Quella dell’hacker russo

imbattibile è puro mito. Difficile però che s ritrovi coinvolto negli scontri

tra partiti\aziende, avvenuti per la gestione della sicurezza di palazzo Chigi,

passata dagli specialisti di Selex-Finmeccanica a Telecom Italia, non per

questione di competenza. Con il retropensierio che l’operatività richiesta

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Giuseppe Mele 2014

non sia di difesa dall’esterno ma di controllo interno. A trasformare la

leggenda russa in realtà, ci hanno pensato Barack. Pentagono, Casa Bianca,

Cia e Fbi, affidando a 100 hacker giovani russi, asiatici, donne, il controllo

elettronico d’accesso alla rete idel governo e dell'amministrazione sotto il

controllo del Dipartimento alla Difesa. Non tanto convinti dai miti, ma dal

mercato. Russia sul mercato del web In Italia si oscilla tra l’idea che il

web sia solo America o solo Grillo e Teatro Valle Occupato. Il web ed il

digitale sono l’ideologia americana, ma da un certo tempo non sono più

solo economia americana. C’è stato un tempo, pochi anni, in cui un cattivo

monopolista univa tutti gli oppositori, fautori dell’Internet libero. Giovani

programmatori e bocconiani dell’antitrust europeo odiavano Microsoft, il

suo monopolio sulle finestre sul mondo Internet e dei server aziendali. Era

un continuo urlo contro l’evidente conflitto d’interessi e la minaccia alla

libertà di navigazione.

Allora la sicurezza dei

personal computer e delle

banche dati era in mano a

pochi marchi californiani,

Mcafee 1,6 mld e

Symantech (programma Norton), colossi da $1,6 e 6,19 di miliardi. Oggi,

Microsoft è molto rientrata nelle retrovie, Mcafee è stata comprata da Intel,

quella dei chip dentro la macchina. Symantech è stata acquistata da

Verisign, quella della firma digitale. E la sicurezza del mio, tuo, suo,

computer o cellulare è finita in mano ad un russo, gioviale, sorridente,

appena appena tarchiato, paradossalmente appassionato nei suoi viaggi,

dell’angolo della terra più disgraziato del territorio terreste simbolo delle

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Giuseppe Mele 2014

disgrazie, la Kamchatka, penisola nordica della Siberia. Proprio quella del

Risiko. Il software che venne dal freddo Il signor Evgenij Valentinovic

Kasperskij infatti è un siberiano, originario della sua capitale scientifica

Novosibirsk. La sua azienda, tutta familiare, divisa con la prima delle tre

mogli ha fatto tutta la gavetta imponendosi sul mercato rionale, poi su

quello regionale e nazionale, su quello non occidentale per poi approdare

anche agli Usa e di rimbalzo in Europa. L'antivirus russo di Kaspersky ha

già invaso il 40% del mercato europeo, il 27% dell’estEuropa, Medio

Oriente e Africa, l 21% delle due Americhe ed un pezzetto di Cina (300

milioni di utenti ). In Italia, alle prime comparsate, si facevano grasse

risate. Come no, l’antivirus degli hacker cantinari. Poi, vedendolo scalare il

mercato Usa, hanno cambiato idea. I figli degli uomini Telecom che

dovevano comprarsi la telefonia russa, sono oggi, per contrappasso uomini

Kaspersky in Italia. Uno dei migliori risultati raggiunti in Occidente

assieme a quella Vimpelcom, operatore mobile, che si è comprata Wind,

l’ex mobile Enel. Se Vimpelcom nacque

in Usa, (in casa si chiama Sovintel) anche

Kaspersky Lab nacque fuori, in Uk. Tra

2009 e 2010 ha distribuito 20 milioni di

euro di dividendi (57% detenuto da

Kasperskij, 20% l’ex moglie)«Il nostro è

un lavoro senza fine. Non puoi distrarti un

solo secondo se vuoi conquistare il

mondo. Kaspersky primo, o quasi Sia

chiaro, Kaspersky vende per $628 milioni (3,3% del mercato complessivo)

ed è al livello di . Websense, Sophos, CA ed Eset. Anche se proprietà Intel,

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Giuseppe Mele 2014

una McAfee fa $1,68 miliardi (+ 37%). Symantec, 3,75 miliardi (+2,6%),

Trend Micro, forte in Giappone, 1,17 miliardi (-2,7%). Quello che conta,

però, è che il mercato della sicurezza informatica cresce ed è ai

$20miliardi. Cresce negli Usa all’8 ed in Eurasia al 22%.%. Poi,

Symantech faceva 6 miliardi ora sta alla metà. Ha perso 7 punti di mercato,

McAfee 3. Sono tutte aziende nate negli ’80. Evgeni ha cominciato nel ’97

ed i suoi 3 punti li ha guadagnati. I sospetti sono venuti meno. Se il

prodotto è buono, si compra, anche se marcato Kgb school.E’ in ascesa. Per

questo lo chiamiano dovunque come un guru, secondo il principio Gartner

che dove i malware si sono sviluppati maggiorment, là cresce il mercato

dei prodotti di sicurezza. Tanto più che il biondo Valentinovic, con i suoi

800 milioni di patrimonio, non è un vero miliardario russo. Solo un tecno

filosofo, che difende la libertà del web, anche dall’America stessa. Cosa è

la sicurezza informatica Kaspersky è venuto anche a Roma, ospite di

Assintel e Confcommercio per una lectio magistralis affollatissima.

Moltissimi sono venuti con idee molto diverse su cosa sia questa benedetta

sicurezza. E se ne sono andati con la stessa confusione. Per esempio le

intercettazioni telefoniche fisse o mobili, che costituiscono un lauto

mercato di decine di milioni l’anno; il relativo circo con le trascrizioni che

finiscono in diretta via radio o su carta hanno poco a che vedere con la

sicurezza. I dati relativi erano protetti ma i custodi preposti, istituzioni e

media, hanno deciso di comportarsi come i loro avversari storici illegali. Se

ruba il padrone di casa ad un familiare, il ladro non c’entra. Le

intercettazioni no, lo spionaggio neanche Poi c’è l’intercettazione

globale, lo spionaggio a vasto raggio. Lo può fare solo chi ha la massa

critica sufficiente di reti, macchine e apparati per registrare miliardi di

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Giuseppe Mele 2014

miliardi di dati. Gli Usa, benitenso, la Nato, altri paesi a livello regionale.

E’ spionaggio governativo, che secondo Kaspersky, non cambia i

comportamenti dei consumatori nei confronti di Internet: “Quanti di voi

non usano Google o la mail perché l’Nsa ci guarda?“, ha chiesto

provocatoriamente “Non hanno avuto nessun impatto, la gente continua ad

usare questi servizi”. Solo conseguenze repressive evidenti, dovute allo

spionaggio, implicano cambiamenti di comportamento e nel Nord del

mondo sono in gran parte desuete. Ecco, perché Wikileaks o le rivelazioni

di Edward Snowden non hanno cambiato un granchè. Si è detto che

Snowden, l’hacker, è venuto in Russia, paese degli hacker. Non è vero,

l’asil gli è stato offerto per un dispetto di rivalsa. Snowden un traditore A

Kasperskji, Snowden non piace. Lo considera un traditore. Lui o Putin mai

avrebbero fatto lo stesso. Potrà meravigliare, Kasperskji è un tifoso del

mercato unito, globalizzato; e come lui Putin. La lezione ell’isolazionismo

sovietico è stata ben assimilata. Per i due, poi stare in un mercato aperto,

non significa accettare le regole del banco. Cpncordando con i privati

padroni Usa di Internet, Kasperskji ci tiene che Stati e Rete restino distinti

ed indipendenti, che Internet non assuma mai frontiere geografiche. Se lo

spionaggio diventa troppo rilevante, la rete si ferma. Senza contare che

tutte le risorse economiche andrebbero in armamenti informatici. Italia

cyberaggressor Non ci sarebbe niente di peggio di una guerra informatica.

Riporterebbe all’età prescentifiica, senza macchine, flussi, energia. Un

panorama di fame, malattia, freddo. Verrebbe colpito chi è più digitalizzato

senza capire la provenienza degli attacchi. Oggi gli attacchi terroristici

informatici colpiscono soprattutto gli Usa, poi a distanza Europa, Corea,

Russia. Gran parte degli attacchi Usa o francesi sono interni o appaiono

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Giuseppe Mele 2014

tali. L’Italia è un paese da cui figura l’avvio di molti attacchi. I

socialnetwork russi? Censurati L’Europa che impiega lo stesso numero

di spie del Mossad e spende quasi un miliardo in sicurezza comunitaria, ha

cominciato a pensare a reti sicure. Reti, dove i dati non vadano oltre un

ipotetico firewall continentale. Con il risultato che gli account Google, i cui

dati stanno in 30 mila server sparsi nel mondo, cadrebbero quasi tutti.

Sarebbe un ritorno al protezionismo intrabellico, con effetti pesanti di

ulteriori cali economici. Meglio sarebbe pensare a colossi Google europei

che per decollare necessiterebbero della massa critica non degli hacker, ma

degli utenti russi. Non è una prospettiva gradita all’economia digitale

guidata dagli Usa. Non è stato gradito ad esempio il fallimento di mercato

di Google in Putinlandia. La reazione si è fatta sentire e Vkontakte, il

facebook russo è stato interdetto agli occidentali per motivi di copyright. A

parte che funziona meglio Vkontakte di FB, anche qui la sicurezza non

c’entrava un fico secco. Invece Google non ha detto niente di Yandex e

MoiKrug, al contrario delle polemiche scoppiate in Cina.Ecco la sicurezza

Cosa sono allora gli attacchi alla sicurezza informatica? Sono le 500mila

infezioni via email di carattere bancario che cercano di farsi consegnare o

rubare dati identificativi dei conti, particolarmente intense in Brasile e

Giappone. Contando che già oggi ci sono un miliardi di aggressioni alle

applicazoni android usae sui cellulari, il passaggio massivo ai pagamenti

mobili con i cellulari moltiplicherà i due rischi oggi divisi. Il 13% degli

attacchi sono rivolti ai flussi finanziari o bancari, seguono quelli ai

software, al cloud ed ai data center delle istituzioni. Le reti di

telecomunicazione, per eccesso di difficoltà, ed i media per disinteresse,

sono i meno interessati da aggressioni (5%). Attacchi sono il

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Giuseppe Mele 2014

cybersionaggio industriale. Dopo che Maglan, Germani e esperti Selex

hanno mostrato l’attuale flotta aerea cinese, anche qui c’è da stare poco

allegri. Tutta copiata da modelli occidentali. In un modo o nell’altro le

progettazioni digitali, ad altissimo livello governativo si trafugano. E’

questione di tempo. I tentativi privati anche di grossi gruppi possono essere

rimtuzzati. Web profondo Il mercato poi indica con tanto di prezzo dove si

orienteranno gli attacchi del futuro: false identità, false identità Usa, false

identità Uk, false carte di credito, falsi dollari, falsi euro, false valute, falsi

paypal, falsi passaporti, false patenti Usa costano nell’ordine $1500,

$10mila, $4mila, $120, $600 (per 2500), 2500 ( per 6mila), la metà del

valore, $150, $5mila, $200. I prezzi variano e quelli russi sono i più

economici. Si tratta di attività spicciole e massive, disponibili da remoto

che si rivolgono ad una ampia comunità di criminali, ma anche di sbandati

e rifugiati. Una comunità che deve essere abituèe pena avere guai dal solo

contatto, esattamente come avviene nei rapporti reali con la malavita.

Attività svolte nel Web profondo, accessibile in modo crittografato o con

software ad hoc. Un web profondo, profondissimo, che Dostojevskij

avrebbe chiamato del sottosuolo. I cerchi danteschi di sicurezza

Kaspersky, parlando ai tedeschi del CeBIT o agli americani del Ces, ha

sempre avanzato un atteggiamento pragmatico. Può essere fatto ciò che è

possibile. Stuxnet (2010) e Duqu (2011) hanno dimostrato che anche

impianti industriali di dimensioni enormi sono a rischio. Ognuno è

connesso o va a diventarlo ma non è detto che ogni oggetto lo debba essere,

o non necessariamente al web globale. Poi, non si può costruire un modello

di sicurezza per il mondo dei contenuti creati dagli utenti, come siti, blog,

social. Il reato nel quale si impatta può essere perseguito, ma un sistema di

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Giuseppe Mele 2014

prevenzione è

impossibile a

meno di non

sopprimere

l’espressione. Il

web profondo lo

colpisci quando

diventa fatto

materiale. Usciti

dallo spazio per così dire incolpevole, i ricercatori fronteggiano nel limbo

un codice dannoso, capace di malfunzionamenti oppure in un cerchio

successivo nel tempo di trasformare il computer o il cellulare di ciascuno di

noi in un ubbidiente zombie, guidato da terzi. Onu della cyber sicurezza

Nei cerchi intermedi, le società private di sicurezza informatica si

concentrano sulla prevenzione della perdita di dati, su strumenti per la

sicurezza Web ed e-mail, provisioning degli utenti, Web access

management, la gestione degli eventi ). Via via si arriva al settimo cerchio,

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Giuseppe Mele 2014

al livello più istituzionale della sicurezza, necessario contro cyber-

spionaggio, cyber-sabotaggio e cyber-warfare, la militarizzazione di

Internet che potrebbe trasformare il mondo in un inferno. Kaspersky

auspica una sorta di Onu della cyber sicurezza(ICSO), che eviterebbe

guerre informatiche tra i paesi grazie ad una maggiore collaborazione ed

una regolamentazione adeguata. “Non eliminerebbe le cyber weapon, ma

migliorerebbe la situazione dei paesi più vulnerabili, che hanno un alto

tasso di utilizzo Internet”. Dopo aver enfatizzato Autonomy, cracker e

hacker ci si è resi conto che alcuni programmi malware sono stati creati da

paesi e non da organizzazioni criminali. I cerchi danteschi e di

Solgenytsin Forse perchè rivolto ad un pubblico italiano, Kasperskji ha

citato molte volte

Dante Alighieri,

paragonando i

suoi cerchi

infernali alle

odierne minacce

informatiche, a

tempo. ”Se oggi

Dante fosse vivo

sarebbe sconvolto

dal fatto che oggi

i sette cerchi non si riferiscono all’Inferno, bensì alle minacce

informatiche” Oppure ai cerchi russi del Gulag di Solgenytsin, che

materializzò l’inferno in terra. Kasperskji è troppo gioviale per rimestare

nel torbido delle tragedie nazionali. Gli unici cerchi cui pensa sono quelli

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Giuseppe Mele 2014

delle Olimpiadi della sicurezza che ha appena vinto. Proprio mentre Putin

pensa ai cerchi di Soci.

2014 Cultura e Digitale

La cultura ha da tempo confini imprecisi e labili. Se ne vuole salvare

l’indipendenza e la sincerità salvandola dall’egoismo dell’economia.

Contemporaneamente se ne rivendica una sorta di onnipresenza economica.

Si produce e si divulga cultura nei luoghi più diversi. Ovviamente, si dice-

lo si fa a scuola e nelle università, nei musei e nelle biblioteche. Poi si

aggiungono le industrie creative, e le cose si complicano. I laboratori di

design, di moda e di pubblicità si confondono con l’architettura e l’edilizia,

con l’industria tessile ed il commercio, con la ristorazione, l’agricoltura e la

grande distribuzione organizzata. L’arte si spezzetta tra l’organizzazione di

eventi, i corniciai, gli scenografi, i vetrinisti, i grandi spazi espositivi, le

migliaia di piccole gallerie e soprattutto le case d’asta., Tutti a navigare

nell’oceano, ultimamente ritiratosi parecchio, delle piccole imprese

dell’artigianato e nello spazio del turismo culturale. Ancora più complicato

e preoccupante si fa il discorso quando per cultura si intendono i media,

tradizionali e digitali. Subito viene citata “la Rai prima azienda culturale

del paese”. L’indipendenza culturale auspicata diviene un must

costituzionale perché, si sa, l’informazione è trasmissione di opinioni e

interessi, i quali creano le fazioni, cioè i partiti su cui si regge la

democrazia parlamentare. Come però garantire che l’economia rispetti

questo must? Come garantire la vilipesa filiera della carta , su cui si

stendono milioni di parole? Come garantire il rispetto delle regole di un

popolo sulle reti digitali mondiali che vorrebbero sostituirsi alla carta?.

Nelle serie analisi delle organizzazioni internazionali, come delle Camere

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Giuseppe Mele 2014

di Commercio, Confindustria e Pubblica amministrazione le categorie

statistiche volano, cambiano cifra e senso, diventano opera creativa. Tutti

vogliono valorizzare al massimo la cultura economicamente e umanamente.

Spesso mescolano le cose più diverse tra di loro. Così, come si vede dal

grafico, su modello del Comitato Commercio e Sviluppo UNCTAD

dell’Onu, si può arrivare a dare alla cultura un peso da 210 miliardi, più del

10% del prodotto nazionale. E’ improbabile però che un ristoratore possa

essere considerato un operatore culturale. Se il senso della cultura è

cambiato, allargandosi a tanti settori eterogenei, la responsabilità ( o colpa)

la si deve al digitale. Le tecnologie digitali sono lo strumento dell’intreccio

tra contenuti, commercio e utilizzo. Uniscono molte cose diverse fra loro:

l’eccellenza culturale e artistica, i comportamenti sociali, i costumi

tradizionali etnici e popolari, l’istruzione, la formazione, il lavoro ed i

mercati. La nostra cultura è un patrimonio enorme solo sulla carta,

contabilizzabile in realtà all’inezia di 10 miliardi. Senza giocare con le

statistiche, il digitale può moltiplicarne usi ed effetti, senza danneggiarla.

Non può restare prigioniera di 146 gestori analogici, come le 146

sovrintendenze. Né ostaggio delle reminiscenze, vecchie di due secoli,

barricadere comunarde dei professionisti dell’anticultura. Se il Teatro Valle

Occupato è stato premiato da un’Europa ipocrita, lo si deve ad un

quiproquo che l’ha confuso con un TVO (Technology Ventures Office).

2014 Prato Il miglior comune digitale è di destra

Nel 2013 Prato è divenuta la sede operativa delle Major Cities of Europe,

vale a dire della rete degli amministratori informatici (CIO) e IT manager

delle città europee impegnati nell’innovazione tecnologica per le pubbliche

amministrazioni locali. La Manchester toscana è arrivata a questo risultato

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Giuseppe Mele 2014

attraverso un lungo impegno, cominciato nell’adesione alla rete nel ’98,

segnato nel 2011 dalla nomina a vicepresidente dell’associazione del suo

rappresentante, Boscolo, nello stesso anno dalla partecipazione al progetto

europeo iSAC, dal’avvio del Prato Free WiFi comunale (gestito da

Telecom Italia e la pratese Estracom dal parco di Galceti e Cascine di

Tavola alla piazze del Comune, Duomo, San Domenico, Carceri, San

Marco, San Francesco e Mercatale, costo 25mila l’anno) e nel 2012

dall’organizzazione della conferenza annuale della rete delle città europee

al teatro Politeama con 250 partecipanti (Roma, Birmingham, Zurigo,

Barcellona, Brema, Vienna, Helsinki, Saarbruecken, Issy le Moulineaux,

Venezia, Imola, Tel Aviv e Boston) ed aziende espositrici (IBM,

Engineering, Dedagroup Sinergis). A Prato i servizi locali telematici, in

particolare di sanità non solo amministrativa, ma anche di telemedicina,

come il sistema di pagamenti sono divenuti una realtà avanzata di

applicazione della cittadinanza digitale. Basti pensare che, ad un qualunque

supermercato è possibile con apposita carta, conoscere quanto si deve alle

varie amministrazionei pubbliche e pagare anche una quota a scalare del

debito. Il Comune di Prato si è fatto centro dei dati e dei pagamenti non

solo per sé ma per tutta una serie di altri comuni ed enti toscani. La lotta

politica si è spostata addirittura sulla sovvrabbondanza di servizi. La

provincia, a maggioranza Pd, ha aderito, per 18mila all'anno, al Free Italia

Wifi, di Provincia di Roma, Comune di Venezia e Regione Sardegna. In

realtà gestore, database, server (forse gli stessi tecnici) della connessione

senza fili di Comune e Provincia combaciano. Ovviamente non si parlano

secondo l’usuale schema adottato dalle amministrazioni di sinistra nei

confronti di quelle di segno politico opposto. L’avvio del progetto iSAC

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Giuseppe Mele 2014

(Unique European citizens’attention service), poi, ha permesso una stretta

sinergia con il progetto Linea Amica PA, permettendo ai pratesi di usare i

Data online con maggiore facilità grazie a strumenti di ricerca web a

linguaggio naturale. Il passaggio di sede delle Major Cities of Europe dalla

tedesca Bremerhaven (Brema) a Prato, ha accellerato per parte italiana la

collaborazione tra Comune di Prato, il suo sistema informativo,

l’Ancinnovazione ed il Pin, polo universitario pratese. Il sindaco ha

commentato “ Da 3° città dell'Italia centrale e 2° della Toscana, Prato ha

avuto il coraggio di interpretare un ruolo nel campo dell'innovazione

tecnologica, intrapreso da alcuni anni, rimasto in passato a lungo sotto

traccia". L'assessore responsabile di questo successo "Un risultato

importante che rafforza il compito della città di costruire relazioni e

partnership nel campo della progettazione Europea “ A parlare sono il

sindaco Roberto Cenni e l’assessore Anna Lisa Nocentini. Il primo è il

famoso ex imprenditore Sasch che nel 2009 ha strappato il comune a 63

anni di dominio ininterrotto di Pci ed eredi. La seconda è l’ex segretaria

della Uil di Prato, invisa a sinistra come a destra, “rea- come scriveva

Calamai su Pratoreporter- di non essere esponente di alcun partito” o forse

di essere troppo vicina a Alberto Magnolfi, socialista dal ’75 al ’92, poi

dopo le tempeste giudiziarie, dal 2005 leader della minoranza locale di

Pdl\Fi, poi passato al Ncd di Alfano). Chi avrebbe detto che la giunta

“anticinese”, la seconda amministrazione italiana di destra per popolazione

(dopo Verona), si sarebbe dimostrata tanto digitale? Tanto più che non

erano mancati i tentativi nel passato. L’innovazione tecnologica era stata

per 17 anni nelle mani di Beatrice Magnolfi, assessore prima socialista poi

Ds, dall’87 al 2004. Sorta di Lanzilotta-Pollastrini pratese, la Magnolfi

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Giuseppe Mele 2014

raggiunse l’acme nel governo Prodi 2006, da sottosegretaria al digitale,

quando riuscì a regalare 30 milioni a Microsoft per l’open source. Fu anche

fino al 2009 ministro per la semplificazione Pa nel governo ombra

Veltroni. Il suo blog non dà segni di vita dal 2011. Bisogna precisare per i

non toscani che i due Magnolfi citati, anche se per decenni militarono

congiuntamente nel medesimo partito, rappresentano due anime una contro

l’altra armata, una sempre schierata a sinistra, l’altra a destra (prima

pentapartito, poi berlusconismo). Dopo la vittoria di Cenni, il personale

politico Pd, in carriera da decenni nelle file Pci, ma anche Dc, tremò per la

prossima rottamazione. Uno di loro, consigliere Dc a metà’80, poi

vicesindaco pratese Ds fino al 2004, giornalista tra un mandato e l’altro, si

sentiva ormai perso. «Il futuro? Vedremo. Non è mai, almeno per me, una

scelta individuale». Chi l’avrebbe detto che ora Giacomelli è

sottosegretario alle Telecomunicazioni, nel governo Renzi? Dovrà

accendere un cero alla Provvidenza. Oppure ringraziare l’eccellenza della

“barbara” giunta destra in carica, capitanata da un imprenditore sotto

inchiesta e privato dei suoi beni (tanto per cambiare) e sostenuta da tre liste

socialiste di destra (quelle che per tanta vulgata neppure avrebbero diritto

politico di esistere). Tanto che il Psi pratese, in controtendenza con quello

fiorentino e nazionale di Nencini, ha chiuso con la fiducia incondizionata al

Pd che “ha maltrattato Prato e la Toscana”. Anche sul digitale.

2014 Agenda Digitale tre domande

Di Wired Italia non ci si può fidare,è noto. E’ legata a Wikipedia Italia, la

cui obiettività nella narrazione storica e sociale è in linea con la solita

manipolazione intellettuale. Ogni tanto parte una campagna contro ipotetici

attacchi di regime politici alla rete. Ci trovi eretici, dissidenti, selvaggi,

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Giuseppe Mele 2014

freak invecchiati e lustrati nelle ottime carriere aziendali, in genere

provenienti dalle stesse famiglie dell’editoria classica. Un Elkan qui, un ex

Espresso , un Sole in corso. Riotta e Severgnini in età discola. Siamo nel

mondo Condè, Vanity Fair e GQ che almeno quando dicono lusso,

intendono lusso. La Novella 3000 Internet potrebbe, in versione digitale e

non, restare una patinata accattivante, trendy, responsabile discoteca da

lettura, neanche bisognosa di vendere in edicola. Invece no, vuole segnare

la politica digitale. Di solito fa come il fatto; non dà notizie ma tesi di

partito. Con il vantaggio, che trattando di innovazione digitale, in pochi se

ne accorgono ed ancor meno se ne vogliono rendere conto. Poi, a onor del

vero, ha un capitolo dedicato alle bufale. L’ultima partorita racconta della

nascita di un intergruppo di deputati trasversali filo Internet che dovrebbero

riprendere il filo dei ritardi accumulati nell’innovazione tecnologica.

L’iniziativa, viene riportato,è di Stefano Quintarelli (Scelta Civica) che

solo poche settimane volle dimostrare tutte le sue conoscenze tecniche

polemizzando pesantemente con Gambardella di Etno ma soprattutto con

Ciccarella, già patron rete inernazionale Telecom. A Quintarelli si

sarebbero aggiunti Coppola e Bonaccorsi (Pd), Tinagli (Scelta Civica),

Malan e Palmieri(FI), ma anche Boccadutri (Sel) vedrebbe di buon occhio

l’iniziativa. In poche ore, si sarebbero poi aggiunti Galli, Bossio, Gadda,

Locatelli, Digiorgi, Carrozza (Pd), Bergamini, Piccoli, Galan e Liuzzi (FI),

Lucidi, Crimi, e Airola (M5S), Vargiu (SC), Alfreider (Misto) fino al peso

da novanta di Rughetti (Pd), appena nominato sottosegretario alla

semplificazione PA. La notizia è stata subito ripresa dalle altre testate web

e no. Ora si noti che già nel 2010 esisteva un Intergruppo parlamentare 2.0,

capitanato da Vita (Pd) assieme ai colleghi Adamo, Amati Carra Concia De

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

Biasi Di Giovan Paolo Gozi Graziano Lumia Ferranti Pinotti (Pd)

Barbareschi Murgia Cassinelli Bergamini Lorenzin (Pdl) con alcuni nomi

sopra riportati come ed altri per un numero complessivo di ben 36.

Addirittura l’iniziativa a supporto della cultura digitale e del programma

Horizon lanciata dall’Istituto Sturzo aveva creato nel novembre 2013 un

intergruppo da 60 deputati Gli intergruppi non sono dunque una novità.

Quello di Quintarelli sarebbe motivato dagli scandalosi ritardi ormai

accumulati dall’Agenda Digitale. Il dossier del Mintrasporti del 4 marzo

riporta che solo 4 provvedimenti su 47 erano stati adottati a maggio 2013;

ora su 55 ne sono stati adottati 17 mentre 21 risultano ormai scaduti. Niente

di nuovo sotto il sole: la media sarebbe comunque migliorata dall’8% al

30%. Già all’alba della sua nascita l’Agenzia digitale sembrava operare in

ritardo; né si ricorda un tempo in cui si sia detto che l’innovazione italiana

andava a passo di carica. Tanto movimento ha ben altre giustificazioni. Con

le nomine di sottosegretario di Righetti, Giacomelli e Lotti alle Tlc,

Semplificazione ed Editoria, si sono frustrate le ambizioni di Quintarelli e

Coppola, se non anche quelle del collaboratore di Romani(FI), Sambuco,

capo dell’ex dipartmento Tlc del Mise, che chiedeva a gran voce un

ministero per il digitale. Purtroppo si sono anche di nuovo divise le

competenze e non a caso. Monti creò l’Agenzia come un’arma che avrebbe

dovuto strappare soldi e competenze all’anarchia che regna nel settore dove

tutti gestiscono un pezzetto a tenuta stagna, Letta che voleva mediare

l’indebolì creando un artificioso conflitto tra due manager Ict privati, già

poco abituati a confrontarsi con la gestione del personale pubblico. A Renzi

non sembrava interessare nessuna delle due opzioni; né sembra

intenzionato a riparare i guasti che nel settore negli anni hanno fatto i suoi,

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

sia come postDc che come postPci. Cercherà di puntare a qualche specifica

soluzione informatica utile e facile per i cittadini. E che, se sarà utile e

facile, sarà un danno per qualche settore professionale, sottraendo danari ad

un commercialista qua ad un Caf là. Quello che spaventa di più il

sottobosco associativo, partecipazionista e categoriale, di casa e dintorni

Pd, è di non riuscire ad agguantare nessuno dei finanziamenti ventilati

attorno all’Agenzia. Così il primo incontro, raccontato da Wired, di questo

nuovo sottogruppo, si sarebbe tenuto proprio il giorno prima della

manifestazione fiume organizzata da Di Corinto (Sel) in occasione della

ennesima celebrazione

delle gestae democatiche

degli hacker. Durante il

simposio, la lamentela

stata corale, tornando sui

soliti digital divide,

mancate neutralità e

privacy, attentati alla

democrazia, competenze

e legiferazione digitale

di massa. I 23 vorrebbero rendere il loro gruppo una nuova Commissione

parlamentare. Sicuramente sarebbe ora che il tema delle telecomunicazioni

venisse scorporato dalla Commissione trasporti, reti e infrastrutture per

confluire nella comunicazione materiale e immateriale. Questo è il 1° punto

di un messaggio aperto a Bergamini, Malan e Palmieri. Il 2° chiede loro di

non aderire ai club filodigitale. Fresca è la memoria del fango sulle

iniziative di Stanca, sul Cad di Brunetta, sul digitale Tv, sui tentativi di

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

convergenza Tv-Internet di Tronchetti, sulla sana gestione Rai di Cattaneo;

sui Pascale e Scaglia, processati a quando era in forse il controllo

sull’informatica, Telecom e dintorni. Ora Pd e famigli sono nei guai: hanno

diviso Internet (perchè doveva essere di sinitra) dalla Tv ( che è di destra

perché ce l’ha Berlusca); confuso comunicazione digitale e comizi

analogici che hanno inaridito la Tv pubblica; battuto sull’Ict per donne,

detenuti ed immigrati mentre chiudono l’eccellenza della Micron, le ultime

tv della Mivar, i call center di Teleperfomance. Ora che hanno scoperto

L’Internet, inglese, impresa di 20 anni fa, non vi ci mischiate. Anche

perché quello stesso slogan è ormai desueto. E 3° punto, non andate

sempre, di rimessa, ed in ordine sparso, senza una proposta vostra e

complessiva, in sintonia con il trend mondiale e con le necessità di lavoro e

produzione.

2014 Fiera Smau, Satira (per) Marino automatizzata usabile

Si è conclusa la V° edizione di Smau Roma e non si parla dell’affluenza

per non ingrigire gli animi. L’anno scorso stava a 5mila visitatori, meno del

10% dell’edizione principale milanese. Nel frattempo i call center come

Almaviva e Teleperfomance se ne sono andati, il distretto dell’Ict e

dell’audiovisivo romano agonizza, per non parlare di quello di Rieti. Per il

resto imperversano i Celli e gli Abete, le cui fortune personali sono andate

di pari passo in crescendo sul tramonto di pezzi di telefonia e di Cinecittà.

Il giorno d’apertura dello Smau combaciava con quello di una

manifestazione di lavoratori davanti al Mibac. Nelle stanze ministeriali si

mormorava: questi ingrati, dopo che abbiamo dato 11 milioni a La grande

bellezza. Lo Smau, già Salone del mobile aziendale e dell’office

automation, negli ultimi anni si è concentrato sulle attività delle piccole e

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Giuseppe Mele 2014

medie imprese, poiché i colossi del settore, tra processi e debiti, barcollano,

La versione capitolina, dai tempi di Smau Mediterraneo del 2000, ormai si

avvia a fondersi con Forum Pa (ex Fiera della casa) che può contare,

misteriosa passerella di carriere interne alla dirigenza pubblica, sulla

sponsorizzazione di tutti i Barca e le Barca del mondo e sui crediti

formativi distribuiti a piene mani. Lo Smau a Roma ci deve arrivare,

almeno per non perdere contatto con tutto il Sud e oltre. Il meccanismo dei

Venture Capital, investimenti privati sulle nuove società tecnologiche

startup dalla Treviso di H Farm di Donadon infatti finisce appunto a Roma

al LuissenLabs, al secondo piano della Stazione Termini, dove primeggiano

le assemblee di migliaia e migliaia di giovani programmatori gestite dalle

ragazze di CodeMotion. Nemmeno De Laurentis mette un euro su una start

up partenopea. Forse un giorno lo farà Maradona. Il Capo di gabinetto del

Miur ha parlato di storie fantastiche, ma non alludeva alle Codes, quanto

all’Agenzia Digitale che è già in fase di scomparsa. Lo Smau romano, per

dovere istitiuzionale si è concentrato sul cliente sicuro, la Pa.

L’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano ha fatturato il

pesante lavoro di trovare buoni progetti di eGovernment. Non c’è difficoltà

riusarli. Tutti i comuni replicano le stesse cose da anni, poi se le scambiano

tra grandi sorrisi, L’Anci è la giusta cornice per questa danza battezzata da

un uomo innovativo come Fassino che ultimamente ha deciso di lasciar

perdere Ancitel e affidare tutto alla toscana Ancinnovazione che è avanti

anni luce almeno rispetto al resto del centrosud. Via ai premi per Roma

Capitale, Asl Viterbo, Enea Smart Village, Ater, Regione Umbria, tra le più

matte risate. Il Comune di Roma, che sotto Marino non vede funzionare

nemmeno i tabelloni elettronici? Il comune di Roma sempre impegnato a

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

scannerizzare milioni di documenti ? Il comune di Roma che sotto

Alemanno si fregiava di Capitale digitale per la promessa di finanziamento

privato mai avvenuto per la banda larga? Il comune di Roma che da 20 anni

ha una fondazione digitale, dal costo di 2 milioni, di cui non sa cosa

farsene, se non alimentare a vita gli accucciati ultimi mohicani rutelliani ?

Uno dei software salva continuanente i file su tanti server distribuiti sul

pianeta; alla faccia dell fiducia per il lavoro dei consulenti che piano piano

stanno riducendo il numero dei data center capitolini come nazionali.

Quando avranno finito, la tecnologia sarà cambiata. Premiato anche il

Ministero degli esteri forse per l’ampia messaggistca elettronica di

consolazione delle mogli dei marò. Sembra che la Farnesina si stia facendo

un sistema di messaggistica proprio tra centro e sedi estere. Se si rivolgesse

direttamente all’Nsa Usa, risparmierebbe. con tutte le sedi estere. Non ci si

crede. Qualunque cosa sia il digitale di domani, a Roma ha solo nemici.

Nemici i burocrati che vedono la minaccia di open data e social network.

Nemici i lavoratori cui si chiede il doppio dell’impegno senza sold e sotto

una videosorveglianza sempre più stringente che è poi il dato tecnologico

pregnante delle Smart city. Ancora peggiore l’inimicizia della casta

datoriale e professionale degli informatici che disprezzano le società

giovanili dele apps su telefonini. La casta informatica, sempre la stessa da

30 anni vuole grandi soldi per grandi progetti presso la Pa. Ambedue le

parti sanno che si tratta di soluzioni destinate a non entrare in funzione o a

farlo per una quota mimima. Intanto però si lavora. Così il sistema pubblico

di connettività prosegue la sua vita, anche se ha funzioni paragonabili ad un

qualunque sistema di sharing docs e voip, offerti gratis sulla rete.

D’altronde se la Pa avesse veramente creato un solido Voip, gli operatori

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

telefonici avrebbero potuto chiudere. I romani passano quando va tutto

bene almeno 4 ore in auto, Se i 60 mila dipendenti pubblici e dintorni,

passassero al lavoro mobile, solo con la liberazione degl immnobili e delle

spese generali, Marino non dovrebbe chiudere nemmeno una Zetema, Lo

Smau queste cose le lascia alle assemblee di programmatori, i nativi digitali

che come scrivono gli accademici non capiscono niente di filosofia digitale.

2014 I sindacati su Internet, Telecom e Agenda

Il 26 marzo i sindacati hanno preso carta e penna; anzi vista l’occasione,

schermo e tastiera. Hanno scritto su digitale e nuove tecnologie al giovane

premier, fiduciosi di suscitare l’interesse di Renzi, che non solo comunica a

base di hashtag\twitter ma che è anche il primo premier ad aver portato un

tablet in Parlamento. Un anno fa, a giugno 2013 i segretari confederali di

settore avevano chiesto un incontro ufficiale al governo sull’Agenda

Digitale senza ricevere risposta. Adesso sono stati i segretari confederali a

scrivere assieme ai segretari delle categorie della comunicazione (SLC,

Fistel e Uilcom). La lettera è arrivata mentre si erano appena posate le

acque dopo un mese di grande nervosismo, in cui esperti, guru e politici,

delle varie tendenze, impegnati sul tema digitale, s’erano esibiti in una

poco ammirabile baruffa di sottogoverno. Mentre veniva formandosi il

nuovo esecutivo, gli stessi che lo volevano giovane e snello, reclamavano a

gran voce il ritorno del ministero ad hoc come ai tempi degli Stanca e degli

Osnaghi. Poi visto che non arrivava, le attenzioni si sono spostate su

eventuali incarichi di sottosegretariato. Appelli, polemiche tecniciste messe

in piazza, interpellanze sullo stato dei fondi strutturali destinati al digitale

sono stati fatti roteare come le ali di pavone durante le danze rituali. Gran

parte del trambusto proveniva, tranne poche eccezioni, proprio dal partito

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

di maggioranza, cui certo non mancavano le informazioni più aggiornate.

Ad esporre dubbi e lai pubblici erano suoi ben informati esponenti che

sicuramente su ogni timore, preoccupazione e stima avevano già in mano

non solo i termini della questione, ma anche le risposte già approntate dagli

uffici burocratici preposti. Alla fine il governo ha spacchettato le

competenze relative tra i tre sottosegretari Lotti, Giacomelli, Rughetti ad

editoria, comunicazioni e semplificazione Pa. Non ha toccato la distinzione

tra infrastrutture materiali e immateriali, mantenendole ancora unite nelle

relative commissioni, senza unire cultura, comunicazione e tlc. Ha trovato

già defunta la direzione Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo

Economico, annacquata per opera del precedente ministro Zanonato, tra

altre 15 direzioni, in quelle generale di comunicazione elettronica,

territoriale e nell’ Istituto superiore Tlc. Soprattutto non si è espresso né

sull’operato della squadra di Mister Digital Caio, né sulle intese, linee

guida e protocolli dell’Agenzia digitale affidata dopo un lungo iter

burocratico a Ragosa. Esasperati da tale silenzio, alla fine esperti, guru e

politici delle varie tendenze, hanno superato le naturali divergenze per

annunciare un comitato intergruppo, su cui è calato rapidamente il sipario

dato che il soggetto, non proprio nuovo, è il terzo di comitati simili sorti

negli ultimi 4 anni. Il prossimo passo toccherà al Comitato per la

comunicazione in tema di rinnovamento dell’immagine della Camera, che

l’11 aprile lancerà a Montecitorio, un possibile Code for Italy.

Paradossalmente il silenzio governativo sul digitale, l’assenza di nuove

nomine e l’annuncio di nuove iniziative fanno ben sperare. Palazzo Chigi

sembra rendersi conto che l’idea montiana di un’Agenzia capace di

strappare guida e poteri a potenti Ministeri, ad ancora più potenti territori e

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Giuseppe Mele 2014

ad inaccessibili Authority, fosse un sogno ad occhi aperti, ancora più

difficile delle stesse modifiche costituzionali. L’Agenzia, per poter

sopravvivere, ha rinunciato ad un ruolo attivo sulle questioni della rete

nazionale ed europea. I sindacati, con grande concretezza, al contrario

hanno chiesto al governo, un intervento complessivo sull’“Internet

Veloce”, cioè su un complesso di questioni (banda larga, digitalizzazione

della PA, e-commerce, distribuzione digitale per le PMI) che per loro

natura non possono essere affrontate separatamente. Hanno evidenziato che

lo sviluppo del digitale è per forza di cose sviluppo dei settori che ne

tengono i piedi i capisaldi; che è sviluppo dell’operatività del lavoro di quei

settori. Hanno chiaramente definito “colpa grave” non rimediare all’errore

principale del passato, quello di avere indebitato oltremisura l’operatore

principale Telecom, cui si deve porre rimedio con la “ricapitalizzazione

attraverso le garanzie di Cassa Depositi e Prestiti. Ipotesi che annullerebbe

entrambi le ipotesi di scorporo della rete Telecom, come di fusione di

quest’ultima con l’operatore spagnolo Telefonica. Sono apparsi banali nel

ricordare l’ovvio, vale a dire che solo risorse significative, e private,

possono sviluppare la larghissima banda, raccogliendo le risorse promesse

dai mercati finanziari ed avviare lo Stato digitale, dotando il pubblico

impiego degli opportuni strumenti di produttività e di incentivazione

economica. Non solo. I sindacati, infrangendo quello che è un tabù di

sinistra, tutto politico, hanno richiamato l’importanza dei contenuti nella

convergente evoluzione del settore televisivo (che) passerà attraverso la

banda larga e tramite l’altissima definizione della Tv “4K”. Con grande

onestà, Fugetta membro del team Caio, oggi ammette di avere sbagliato

con tanti altri esperti, nel 2006, pronunciandosi contro l’ipotesi di un nuovo

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

ministero Stanca“ perché “tutti devono fare innovazione”. Fu lo stesso

errore di considerare digitale ed informatica e telecomunicazioni, delle

commodity, replicabili da ciascuno secondo i propri gusti. Oggi scrive

Fuggetta, “...per l’innovazione gli ultimi 10 anni sono stati un disastro.

Incompetenti che hanno impazzato per ogni dove. Amministrazioni che

hanno proceduto in ordine sparso senza guida né regia. Chiacchiere a vuoto

su buzzword affascinanti quanto marginali come open source, open data,

startup”. Vengono mescolati digitale e questioni fuori tema, quali l’etica,

l’informazione, la formazione, gli standard delle competenze, il rapporto

tra PA e social network. Gli operatori privati hanno fatto da supplenti in

mancanza o in presenza di troppi decisori. Se Telecom continua la parabola

calante, è difficile raggiungere i 100 M per il 50% della popolazione entro

il 2020 e “l’Italia, avvertono i sindacati, rischia di non cogliere nessuno

degli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea.” Ci sono alcuni punti fermi,

inimmaginabili solo pochi anni fa. A scuola, Inglese, Impresa, Informatica

è ormai un must. Internet e Tv devono convergere. La riforma del titolo V è

considerato un grande errore, anche dal punto di vista della

digitalizzazione. Ugualmente le modalità della privatizzazione e lo

svilimento dell’Ict. Il grande spezzatino, pubblico-privato, centrale-

regionale, ha tolto risorse, voglia e energia ai lavoratori pubblici e privati,

prigionieri delle consulenze quanto lo sono i Ministeri delle società private

che hanno in pancia. Le norme su CAD, SPC, accessibilità, open source

sono punti fermi da aggiornare ai tempi. Difficile che un premier, tanti

meno un mnistro, possa districare un tale nodo gordiano, costruito per di

più negli anni dai suoi. Il rischio è che coltiverebbe difetti, tic e stane

mescolanze. Si può solo cominciare rimettendo in piedi, con le necessarie

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

risorse, la rete tlc ed i servizi convergenti, con l’idea che trascinino lo

sviluppo degli altri attori e dei contenuti industriali, pubblici, commerciali,

comunicativi, finanziari lasciandosi alle spalle le tante intermediazioni

inutili e controproducenti, pubbliche, private e partitiche.

2014 Consultazioni on line, interattive come il marmo

Le consultazioni pubbliche, nella loro universalità, trasparenza ed

interattività, sono un must dei nostri giorni. Stato, amministrazione e

politica le usano per stare al passo dell’era Internet. Nel tratteggiare le

linee guida per la PA sulle consultazioni pubbliche, il Formez ne ricorda le

caratteristiche: “uno strumento di miglioramento della qualità della

regolazione mediante cui i soggetti interessati opportunamente sollecitati

da un’Autorità pubblica hanno l’opportunità di intervenire nel processo di

elaborazione delle decisioni prima che queste siano formalmente assunte”.

Dal Trattato di Amsterdam (1997), che impose le consultazioni alla

Commissione UE prima di passare ad atti legislativi, al libro bianco sulla

governance (2001), alle raccomandazioni dell’OCSE del 1997, del 2005 e

del 2012, sono stati i trattati internazionali a sostenere i principi di open

government che vorrebbero la norma fondata su consultazione,

comunicazione, cooperazione e coordinamento tra i soggetti interessati. Il

governo di Internet è il massimo esempio dell’open government: poco

influenzato da partiti, elezioni, governi se non indirettamente tramite le

università e gestito nei fatti direttamente dalle multinazionali. Dopo lungo

invaghimento delle prospettive dell’apertura e della partecipazione non ai

dibattiti ma alla costruzione delle norme, molti progressisti che solo pochi

anni fa chiedevano il Nobel per la pace per Internet, ora sembrano

ricredersi e citano il Foa nel 1993: “La democrazia rappresentativa (ha i

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Giuseppe Mele 2014

proprii) limiti: i poteri invisibili, le oligarchie, gli interessi organizzati dei

corpi intermedi, il difetto di partecipazione, la disuguaglianza sociale che

distrugge l’uguaglianza dei diritti. Limiti pesanti che però possono essere

corretti dentro lo schema della democrazia.” Interessi organizzati dei corpi

intermedi più o meno invisibili, oligarchie, la buona volontà di investire

che anche non volendo detta l’aumento della disuguaglianza, cui non è

negata una partecipazione che comunque non pesa. Ecco gli stakeholders, i

cosidetti soggetti interessati. In effetti nell’era Internet il loro peso non

deriva dal numero delle persone coinvolte ma dalla quota economica

investita, che è poi fonte del fare e quindi di consenso, soprattutto da

quando la libertà economica impone a governi e politica di astenersi

dall’intervento economico diretto, causa di tanti debiti. Molti progressisti

dunque hanno compreso che consultazioni on line e open government

spingono da un lato per la democrazia diretta dall’altro per il

riconoscimento delle attività di lobbying; in ogni caso per la

disintermediazione dalle opinioni loro e della partitica. Così all’improvviso

Internet non piace più. In “Critica della democrazia digitale”, Chiusi cita i

limiti dimostrati nel mondo dai vari esperimenti di e-democracy. C’è come

la disillusione sulle aspettative della partecipazione e dell’alfabetizzazione

digitale che avrebbero dovuto fare gli estoni meno nazionalisti, gli svizzeri

filoimmigrati, i tedeschi meno egoisti, gli americani meno astensionisti.

Invece con più crowdsourcing, deliberazione online, partecipazione

elettronica e voto digitale le ultime elezioni amministrative Usa si sono

caratterizzate per astensionismo, la Svizzera ha chiuso le frontiere ed a

Berlino vola il partito Pirata. Inutile dire quanto sia grande il rammarico

per l’ascesa italiana del movimento 5 stelle, un non partito fondato su un

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

blog estremamente popolare e su incontri fissati sui meetup. La delusione

dei frequentatori delle kermesse blu di Repubblica di Perugia, di Wired,

dell’Espresso, del Corrierone, del Fatto, si confonde con quella di molti

progressisti, nuovi ed antichi, da sempre convinti che basti proporre le loro

ricette al popolo perché questo vi aderisca. Una delusione che nel tempo si

è trasformata nella cinica accademia che considera inevitabile ingannare

gli elettori, anche quando siano alfabeti e digitali. Anche in Europa

l’apertura con il tempo si è svuotata. I cittadini europei del nord vorrebbero

consultazioni più vincolanti anche al prezzo di dare maggior peso alle

lobby. L’uso massivo dell’istituto da parte delle autorità europee è rimasto;

a dicembre 2013 erano pianificate 60 consultazioni ed attualmente ce ne

sono 19 on line aperte o appena concluse (sull’Ecolabel, giutizia,

efficienza energetica, cloud, rete energetica. valute estere, politica,

esenzioni e aiuti della pesca, mercato interno, tessera professionale EPC,

trasporti ecologici, estrazione mineraria marina, tutela dei minori, tasse

transfrontalierie, imposte di successione, sanità mobile, investimenti nel

partenariato Usa-Ue, traffico aereo). La Commissione però da tempo

legifera alla luce dei rapporti preparati da una manciata di centri di ricerca

di infoproviding senza il minimo ascolto per i sempre meno numerosi

partecipanti alle queries. Le tre consultazioni on line italiane confermano la

tendenza. La 1° sulle riforme costituzionali è del tutto superata dagli

eventi; la 2° immagina che sia il parere dei cittadini e non la volontà di

imprese e banche straniere a decidere sugli Ide. Forse si tratta di abituare

gli italiani ad accettare nuove ristrettezze indotte dalle condizioni poste

dagli investitori internazionali; la 3° dal 15 aprile, a cura dell’Agenzia

Digitale, riguarda le competenze digitali la cui partecipazione coincide dal

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Giuseppe Mele 2014

22 aprile, con uno specifico contest di sfida tra le pratiche migliori, e poi

con il Forum PA 2014 per presentare le relative linee guida. L’ormai

chiusa, e datata al 12 novembre u.s., consultazione sulle riforme

costituzionali presentata dall’ex ministro Quagliariello è stata “la più

partecipata in Italia e in Europa”, grazie a 600 proposte, 45mila commenti,

200mila questionari. Parola di Palazzo Chigi. L’affermazione induce a

pensare che non sia questo il modo di ascoltare la pubblica opinione. Se il

massimo dell’ascolto possibile si ferma alle decine di migliaia di

commentatori, goccia nel mare delle decine di milioni di elettori ed

internauti, allora i più le ignorano. D’altro lato la cosa è corrisposta da

istituzioni e politica. Queste infatti hanno tranquillamente ignorato la più

ampia partecipazione on line mai ottenuta imboccando con il cosiddetto

patto del Nazareno, un’altra e diversa strada per le riforme in corso. Il

disinteresse è sottolineato poi dall’invito, assolutamente svuotato di senso

pratico, a proseguire la discussione pubblica in partnership con Italia

Camp. Una discussione solo apparentemente istituzionale, in realtà gestita

da un’ associazione ( ma anche fondazione ed impresa), i cui fondatori

sono l’INPS, Poste Italiane, RCS, Ferrovie, Sisal, Unipol e Wind; dai

privati totali (tra cui una società russa), ai semiprivati ed agli enti

previdenziali. Consultazioni pubbliche e gli anarchici Camp si tramutano

qui nello scambio fine a se stesso tra pubblicità istituzionale e commesse

pubbliche probono. Anche l’altro sondaggio (meglio chiamarlo così) in

corso, Destinazione Italia sull’attrazione degli investimenti esteri,

reindirizza ad una fondazione, l’Ahref, nata Kessler nel 2010 per volontà

della Provincia autonoma di Trento, presente anche tramite la spa

Informatica Trentina. Difficilmente l’idea si sarebbe concretizzata nella

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

nordica provincia senza i buoni auspici dell’ex capo Telecom, il

conterraneo Bernabè; non si tratta però di un’idea monoimpresa; infatti il

presidente è De Biase, voce della divulgazione Ict del Sole24ore, organo

confindustriale. La consultazione sull’ampio tema della cittadinanza

digitale, aperta dall’Agid di Monti e Letta, si avvia dunque a chiudersi

mestamente, rimpicciolita alle competenze con la riproposizione,

preanunciata ab initio, dell’impostazione europea già da un biennio

affidata e prodotta dalla società tedesca di infoproviding Empirica

(Kommunikations und Technologieforschung mbH) di Bonn, scelta dalla

commissaria Kroes. L’Assinform di Confindustria che ne è stata

divulgatrice ai tavoli di Agid, ha promosso il 15 aprile un accordo quadro

tra datori (Confindustria, Confcommercio, aziende regionali, artigiani e

Pmi) e Agid che è muta richiesta alla politica di un futuro economico per

un programma di alfabetizzazione. Da partecipa.gov.it per obbligo rituale

anche la nuova presidenza del consiglio italiana non smette di chiedere a

tutti un’opinione. Ai progressisti, delusi dal conservatorismo anche degli

utenti digitali. All’Agid delusa dalla mancanza di un proprio ruolo. Ai

datori, in attesa di un corrispettivo dopo tanto lavoro a centrocampo per le

istituzioni italiane ed europee. Alle burocrazie di formatori, che

ripropopongono il vizio del circolo virtuoso di domanda di servizi,

partecipazione, offerta pubblica e privata, sviluppo di professionalità

innovative, il tutto da tradursi in tavoli di studio, rapporti ed eventi. Un

circolo che produce tanto fumo inquinante senza arrosto da una vita. I

cittadini assistono alla replica del piglio moderno che giustificò nei ’90

l’introduzione stile Usa di Autorità e Agenzie, enti tra il ministero ed il

parastato, che dovevano, in discontinuità con il passato, separare la politica

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

dalle regolamentazioni, competenze e tecnicalità. Poi, questi doppioni

ministeriali si sono dimostrati utili solo a pagare di meno i loro dipendenti

trasferiti d’autorità. La diffusione massiva degli strumenti digitali avrebbe

dovuto far crescere esponenzialmente il coinvolgimento dei cittadini. La

consultazione pubblica per forza di cose avrebbe dovuto estendere lo

spazio della democrazia diretta accanto alla delega della rappresentanza

politica. I tanti, frammentati, localistici tentativi di democrazia digitale

cozzano con la necessità di vaste partecipazioni su big data. D’altro lato

l’assenza di un riconoscimento almeno parziale di cogenza alle loro

indicazioni, ha reso questi sondaggi a giochi senza peso buoni per la

sopravvivenza di un po’ di fauna parapolitica. Un altro autogol europeo

che è anche riuscito a ridurre la credibilità della rappresentanza

tradizionale, costretta a scimiottare, senza crederci, parole e modi dei nativi

digitali.

2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker?

E’ dispiaciuto a tutti che per gravi motivi personali Decina abbia dovuto

abbandonare il suo posto all’Agcom. Se ne sono lamentati gli altri

commissari, Martusciello e Preto, in quota Pdl), Posteraro (in quota Udc), il

presidente Cardani.( in quota Monti ), il viceministro Catricalà, i principali

giornali. Onestamente augurando ogni bene al trentennale guru TLC , la

notizia sembra avere anche risvolti positivi. Decina ha sempre evidenziato

gli aspetti degenerativi dello sviluppo TLC, lo scarso spessore dei contenuti

web e dei social network, la colonizzazione culturale che ne sarebbe

derivata. Ultimamente ha previsto pericoli occupazionali a 5 cifre per il

mondo digitale italiano. Quando però si è trattato di consigliare la politica

che tanto si è adoperata per questi magri risultati, in un modo o nell’altro, il

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

professore si è trovato dalla parte dei distruttori. Forse è stato male

interpretato, o non capito, ma non si ricordano sue prese di distanza chiare

e forti quanto quelle prese sul pubblico TLC, considerato un insieme di

scimmie stupide, degne eredi del povero pubblico televisivo

nazionalpopolare. Ecco perché ora, alle sue dimissioni, si potrebbe

auspicare una svolta, soprattutto quando si tratta per l’Agcom di decidere

su cose importanti quali il diritto d'autore online ed i contenuti dello spazio

pubblico telematico . Senza Décina solo Preto si sta occupando di

Infrastrutture e Reti, prima regno incontrastato del professore ( agli altri

due vanno Servizi e Prodotti). Secondo un rigido manuale Cencelli, Decina

era all’Agcom, in quota componente dalemiana Pd, cui ora toccherà

nominare un sostituto, anche se sarà l’assemblea di Montecitorio a

nominare il nuovo commissario, senza limiti temporali. Papabili al

momento, senza al momento notizie renziane, sono, per la sinistra Pd\Sel,

Vita e Zaccaria, epigoni del MimandaRai3, di Articolo21, dei contratti in

Rai al ribasso voluti solo per questioni politiche, per non firmare con l’ex

direttore Lei. Sono gli uomini della par condicio e dell’odio per i mass

media che non siano sotto controllo ideologico. La Uil ne sa bene qualcosa,

dal trattamento subito in Rai, alla Fiat ed all’Ilva. Poi, in un secondo piano,

più sornioni ci sono il giornalista Rognoni, ex parlamentare PD, ex CdA

Rai, ora Presidente di un improbabile Forum Riforma TV e Sassano,

anch’egli da tempo docente universitario TLC di lungo corso, esperto

sopratutto di spettro e frequenze. Si tratterebbe, malgrado la sbandierata

indipendenza, di una nomina Telecom Italia dove Sassano ricopre il ruolo

di presidente della vigilanza su Open Access. In alternativa Bersani

vorrebbe un dirigente statale in aspettativa, il responsabile Pd dei diritti dei

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

consumatori Lirosi, una specie di Barca minor. Sembra che il destino

dell’Italia digitale e dei suoi lavoratori debba essere sempre nelle mani di

avvocati, dirigenti statali, professori e di ex. Ex Cda di qua, ex deputati di

là. Non potrebbe essere la volta di una persona della produzione digitale e

del lavoro digitale? Gambardella dell’Etno che tanto si è fatto sentire in

Europa ha la sua occasione. Non potrebbe venire una proposta dal Cnel, da

Confindustria Digitale, dai sindacati? I grillini vogliono un nome indicato

dalla rete. Viene da pensare per esempio che provengono dal settore TLC

sia Zucco il leader del Tea Party che il sindaco di Verona Tosi. Non

sarebbe meglio un nome proveniente dai luoghi di lavoro? Che magari

capisca meno tante frigide teorie che in nome della corda neutralità

impongono l’impiccagione ai settori digitali nazionali ma affronti le cose

con praticità? L’ultimo atto Agcom con Decina ha diminuito i costi

dell’accesso della rete con effetti disastrosi per Telecom senza un effettivo

vantaggio occupazionale per i concorrenti, senza effettivi positivi sugli

investimenti e sul divide che ormai divide non Nord e Sud ma l’Italia dal

NordEuropa e l’Europa agli Usa. I centinaia di milioni persi di ricavi hanno

anticipato la pronosticata perdita di posti di lavoro. Se l’Agcom deve

regolare il mercato, e non deprimerlo, cambi passo e candidature. I

sindacati devono affrontare il problema delle Authority, così affrontando

nell’insieme la questione finora non vista dei networkers.

2013 Siae al voto

Il 1 marzo, subito dopo le elezioni politiche, si voterà di nuovo ancora

prima delle regionali. Si voterà il consiglio di sorveglianza della Siae,

società autori ed editori per i cui 85mila elettori (83mila autori e 3mila

editori) si battono ben 24 liste. Anche lo Stato siede nell'assemblea dei soci

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Giuseppe Mele 2014

con lo 0,47%, grazie al servizio pubblico RadioTv. L’attuale consiglio è

composto quasi solo da editori e autori del settore Musica con un solo

autore per conto delle altre categorie che hanno lamentato una situazione

discriminatoria. Le associazioni cineTV (100autori), dei dialoghisti

(Aidac), dei cineautori (Anac), dei registi di fiction TV (Art), dei film

d'animazione (Asifa), dei documentaristi (Doc.it), e dei cinescrittori (Sact)

hanno portato le loro doleances in Commissione VII della Camera aprendo

di fatto le ostilità. A parte il contrasto con i musicisti, il tema di fondo è

l’equo compenso, nuova tipologia di incasso Siae oltre il diritto d’autore. Il

famoso contributo di fotocopia digitale, imposto su CD-R, DVD-R, Hard

disk, pen drive e schede di memoria è stabilito dalla direttiva 2001/29 ma

inesistente in Uk e Irlanda. In Canada si paga al Copyright Board, negli

Usa alla RIAA, in Belgio all'Auvibel, in Svezia al Copyswede; è presente

in Germania, Olanda ma non in Francia dove rientra nel diritto d'autore.

Vale cifre diverse, per un DVD ca. €60cent. Riparazione preventiva e

presuntiva, è un prelievo molto discusso ma che le associazioni cineTv

difendono a spada tratta come unico strumento di rivalsa di fronte alla

massa di film trasmessi dalla Tv che depauperano ogni altra via

distributiva. Nato nelo ’99 in Italia un DM 2009 ha determinato l’equo

compenso a forfait. Di fronte alla richiesta di pagamento degli autori a

tariffa, Sky ha smesso di corrisponderlo. dal ‘10, chiedendone

incostituzionalità e citando la Siae. Prossima udenzia il 24 aprile. Per la

trattativa ‘09-‘11 con la Rai, dopo tanti incontri inutili, è stato attuato

l’articolo sull’arbitrato, previsto dalla norma che nel ’41 definì la Siae. L’

l’arbitro Siae Lacchini e Perrone si vedono da maggio ’12 e forse

chiuderanno a marzo. La Rai offre ca. €400mia annui, cioè €0,13\minuto

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Giuseppe Mele 2014

mentre gli autori chiedono cento volte tanto, € 10. Gli autori giustificano la

differenza impressionante, citando la tariffa Uk di €260\minuto, la francese

di€ 306 euro e l’italina di 212.. Accusano la Siae di distribuire

all'audiovisivo 40 milioni ( in Francia la Sacd ne raccoglie per gli autori

cineTv, 180); rinfacciano alle piattaforme digitali uno share dei filmati del

5,3% rispetto allo 0,48% del 2009; alla Rai di aver ridotto da 800 a 500h i

contenuti realizzati, con investimenti in audiovisivo ridotti a €120 milioni

in 3 anni. Sulla liberalizzazione deregolata digitale, l'indisponibilità dei

broadcaster, la crisi Rai si è poi posto il rifiuto in prima istanza della Siae

di affrontare il problema. Così le tariffe sono ferme dal 2004. Il tema è a

largo raggio. Cineanimatori e documentaristi denunciano il contratto SIAE-

TV che tutela solo i colleghi contrattualizzati, mentre le TV impongono la

dicitura di semplice filmato per non pagare. Il sottosegretario all'Editoria

Peluffo ha convocato per il 4 marzo la Commissione e.c. per i giornalisti,

ex lg. 233/12, per stabilire i diritti dei free lance di giornali ed agenzie; ed

escludere le testate che si comportano male dai contributi pubblici. Preso

l’avvio, la Siae ha avviato un arbitrato anche vs. i servizi innovativi e le

telco di Confindustria. Come le seconde accusano Google e gli OTT di

sfruttamento, così fa la Siae verso di loro. Tutte le istanze alla fine

dipendono dalla situazione diversa degliautori cineTv cui manca il diritto

esclusivo che invece hanno i musicisti. Qui si torna al conflitto interno. Il

settore Musica costituisce il 70% degli incassi Siae. Canzonette, ed anche

molto serie. Nel ‘92, «una sentenza del Consiglio di Stato cancellò la

distinzione fra soci e associati, (determinando) l'ingovernabilità, figlia delle

precedenti norme che hanno lasciato la Siae alla mercé di professionisti

dell'associazionismo”, denunciano gli editori musicali del Fem. La Lg. 2\08

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Giuseppe Mele 2014

ha infine riordinato l’Istituto fino ai commissari che hanno redatto uno

statuto nuovo. 17mila autori non incassano vuoi perché non pubblicano,

vuoi perché non vendono. Neanche mille autori superano i €20mila l’anno

e solo 1500 i €10mila. Se veramente la Siae deve essere governata da

organi sociali di autori ed editori, questi dovrebbero essere tali, non solo

appassionati di show e lettere. I cineautori contrattaccano: secondo i

100autori, “nel mondo della musica, in 70mila non portano fatturato ma

hanno il medesimo diritto di rappresentanza di chi lo fa. I cineproduttori

che non fatturano hanno un un peso negli organi largamente sproporzionato

al loro contributo”. Le elezioni chiudono il commissariamento biennale di

Gian Luigi Rondi, dopo quello di Mauro Masi (1999-2003). Il rosso di 18,6

milioni del ‘10, è passato all’attivo di 1 milione, ma c’è l’evasione del

diritto d’autore per 30 milioni (corollario dei 500 persi dal canne Rai) e

immobili da vendere. Ceduti gli immobili ad un Fondo Immobiliare,

incluso il più pregiato sul Canal Grande, cancellati fondo di solidarietà ed

assegno di professionalità, ridotti a 40 i dirigenti su 1200 dipendenti ,

stabililizzati 44 precari, molti temono una Siae delle major,

L’appuntamento ora è il 1° marzo, Palazzo dei Congressi, viale Pittura 5.

Verranno eletti 32 consiglieri, metà autori, metà editori, con presenza

obbligatoria di associati e di tutti i settori previsti con un premio di 2

consiglieri in più per i settori in attivo per un max teorico di 42 membri.

Rondi rigido regolerà il tempo degli interventi, poi potrà votare solo chi

sarà arrivato entro le 11. Soprattutto secondo il nuovo statuto si voterà per

capita e per fatturato. L’autore che abbia percepito 20mila, voterà per

20.001 punti, esemplifica l’ Uncla(Unione Compositori Librettisti Autori).

Ci sono 2 liste dei cineautori per una dei cineproduttori. 3 liste degli autori

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Giuseppe Mele 2014

teatrali (Dor- Drammatica Operette e Riviste) e due degli autori lirici

rispetto alle due e una dei rispettivi impresari. 6 liste per musicisti e

cantanti e 3 per gli editori. Due liste di scrittori e disegnatori (Olaf- Opere

letterarie e Arti figurative) per una dei loro editori. Sfilano i figli di

Modugno, Rossellini, Izzo. Il Purgatori di 100autori oltre a scrivere è

apparso in Boris ed in Fascisti su Marte come camerata Fecchia. C’è il

Presidente Anica Tozzi, la Bibi film di Barbagallo vicina al Sacher di

Moretti, la Medolago Albani Presidente IsICult che fa ricerche educative

per la Rai. C’è l’ideatore del Festival Inventa un Film a Latina. C’è l’Unsa

della Uil, l’unica che somma scrittori ed artisti anche se questi ultimi per il

diritto d’autore devono rivolgersi all’Imaie e non alla Siae. Le elezioni

Siae saranno 10 distinte, una per autori ed una per editori delle rispettive 5

sezioni. Il ventaglio di opere dell’ingegno divise tra Musica, Lirica,

Cinema, Opere letterarie e Arti figurative (Olaf), Drammatica Operette e

Riviste (Dor), emana un qual certo odore d’Ottocento. Non a caso a

fondare a Milano la Siae nel 1882, furono Verga, Carducci, Verdi, e Boito.

Operette, lirica, le riviste delle donnine di Macario, le arti figurative liberty

sono sempre lì. Chissà dove si collocano item più recenti come istallazioni,

multimediale, perfomance, videoart, contaminazioni di transarte, tutte le

correnti del rock e postrock. Fra l’altro il Pubblico Registro del software

istituito dal Dl.518/92 e da una direttiva europea del ’91, tutela anche il

software, per il quale però non è stato considerato utile creare un settore.

Resta una precisa distinzione tra autore ed editore che esclude l’interprete.

Anche qui, sembra ignorato il personaggio nuovo della contemporaneità

che produce anche se recita o scrive; il giornalista che intervista e riprende

o il pittore che scolpisce se stesso disegnante, modello di convergenza

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Giuseppe Mele 2014

professionale parallelo alle tante convergenze tecnologiche. E’ un voto

singolare, in primis di stampo parasindacale, con la partecipazione in

sordina dei sindacati ed in secondo luogo, bilaterale, per organi finali dove

siederanno capitale e lavoro insieme. Una copartecipazione resa possibile

dalla magia della particolarità della specificità del lavoro intellettuale; e

soprattutto dal quiproquo istituzionale che ha posto quella che è

un’associazione tra individui e categorie in un ruolo da agente fiscale. A

lungo il bollino Siae ed i suoi agenti sono stati l’incubo di ogni momento,

più o meno privato, più o meno collettivo, di ogni manifestazione culturale

o festaiola. Insieme onlus ante litteam, istituto parapubblico e monopolista,

funzionava per forza d’inerzia, incassando senza fatica sulla diffusione

musicale delle radio e discoteche, senza migliorie nei servizi. Non è più

così. La Siae non ha più il monopolio, anzi si dibatte tra l’avanzare degli

striscianti copyright e creative commons. Le sue stesse ragion d’essere,

vecchie e nuove, cioè la protezione economica del diritto d’autore e

dell’equo consumo sono sottoposti a pesanti interrogativi dalle

trasformazioni del modo di produrre e di consumare. Solo i costi da

parapubblico solo quelli di sempre. Mentre si urla che la cultura è di tutti

anche di chi non ci mette un soldo, il rischio è che cadano le major, grandi

in Italia, piccole nel mondo. In Germania la norma equipara violazione del

diritto d'autore al furto, con 5 cinque anni di reclusione. In Francia la

violazione del diritto d’autore su Internet costa una multa di €30; 3 anni di

carcere per chi crea reti di condivisione P2p ma soprattutto l’esilio da

Internet, il giudizio della Haute Autorité pour la Diffusion des Oeuvres et la

Protection des Droits sur Internet (HadopiI). In Italia la normaticva è

confusa: nel 2008 vennero esentati filmati e immagini sul web da ogni

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Giuseppe Mele 2014

costo; tanti sono però i controllori che l’immancabile Giulietti, tanto per

cambiare, invoca in schiera: Siae, Agcom ed Antitrust. Più che la cura,

forse sono il problema.

2013 La coalizione europea recluta farfalle

Ne Il lavoro in Europa, edito a giugno 2012 dall’Etui, l’Istituto sindacale

europeo, viene ricordata la teoria SBTC, skill based technical change. La

teoria maliziosamente spiega la crescita delle disuguaglianze imputandola

al cambiamento tecnologico, cioè l’economia web 2.0, l’industria 4.0 e la

turbofinanza on line. Viene criticata l’idea che efficienza e efficacia con

l’apertura globale della domanda e dell’offerta, tutte cose esponenzialmente

aumentate dall’Ict e da Internet, abbiano innalzato produttività e quindi

salari e profitti ed abbassato prezzi e secche improduttive. Non perché

questi effetti non ci siano stati, anzi; ma perché in primis, hanno

avvantaggiato i territori nel mondo più predisposti politicamente a

coglierne i vantaggi. Quei paesi, cioè, che, democrazia o no, hanno sistemi

decisionali rapidi e coesione tra i diversi attori sociali. Un profilo che si

chiama dirigismo economico e che incredibilmente accomuna Obama,

Putin e l’appena eletto Presidente della Cina, Xi Jinping, segretario

generale del Partito Comunista Cinese e membro dei Taizi, i figli dei

"principi rossi", i protagonisti della Lunga Marcia del ’49. Usa, Russia e

Cina, con metodi diversi, intrecciano in un tutto unico nepotismo e

selezione, nomine politiche e manageriali, indirizzo politico ed economico;

elementi che in genere vengono presentati contrapposti con la Rete da una

parte e la Casta dall’altro. Invece gli Usa corrono di nuovo al 2% di

crescita, reinserendosi nel gruppo in ascesa di Mosca, Pechino ed i Brics,

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Giuseppe Mele 2014

sotto la bandiera della Casta 2.0. In secondo luogo viene più che criticato,

evidenziato il fatto che il cambiamento tecnologico premia il migliore, sul

piano competitivo, portando a grandi trust monopolistici, che vincono sulla

base dei prezzi più bassi, profitti ed investimenti più alti. Con buona pace

di tutta la nenia degli antitrust e posizioni dominanti, in tutti i settori si

assiste alla concentrazione dell’offerta economica in pochi gruppi, con una

miriade di imprese clientes, cui si rivolgono gruppi social di miliardi di

consumatori. In terzo luogo la turbofinanza usa le manignifiche possibilità

in tempo reale di allocazione ottimale dei soldi; crea banche e fondi sempre

più grandi; rende i valutatori di borsa dei decisori dei destini non solo delle

aziende quotate, ma di interi paesi e consegna ancora più potere ai grandi

istituti finanziari internazionali, quali Fmi e World Bank che a loro favore

possono sempre citare la crescita globale del mondo che è passata dal 4% al

2% ma che è sempre di segno positivo, anche in presenza della perdita in 6

anni di quasi 50 milioni posti di lavoro, denunciata dall’Oil,

l’Organizzazione internazionale del lavoro. Questo quadro tanto positivo

determina l’aumento di disuguaglianze tra settori economici diversi e le

loro persone, ed all’interno dei diversi gruppi sociali. Senza entrare nel

merito, la finanza cresce esponenzialmente a svantaggio di produzione e

burocrazia. Burocrazia e politica possono farsi finanziare solo dalla

produzione che ne viene ancor più stressata ed indebolita rispetto alle

imprese finanziarie. Gli effetti più interessanti si evidenziano nel mondo

del lavoro. Il quadro teorico disegna la realtà seguente. Le tecnologie

digitali incrementano la produttività dei lavoratori altamente qualificati ma

diminuiscono quella dei meno qualificati; riducono la domanda di lavoro

per mansioni di routine, distruggendo i relativi mestieri. Le fascie più

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Giuseppe Mele 2014

elevate di reddito tra i lavoratori ne risultano sempre più avvantaggiate,

anche perché la capacità autodidattica promossa da Internet rende

pleonastica la scala gerarchica e la carriera. Si riduce il numero di dirigenti

manager che si trovano a coordinare una rete di salariati sostanzialmente

pari grado mentre la stessa rete di salariati, grazie alla progressiva

automazione, diminuisce di numero. La realtà ha fortemente corretto la

teoria SBTC che, inizialmente con tratto non solo vagamente marxista,

prevedeva l’aumento della disuguaglianza in tutta la distribuzione dei

salari. Successivamente la SBTC ha voluto spiegare l’ascesa degli

specialisti, dei più skillati, quelli che un tempo venivano identificati negli

intermedi dell’aristocrazia operaia. (Quelli che nell’esperienza storica

italiana creavano le corporazioni o gilde, antenati del sindacato,

condannando i lavoratori senza competenze ad essere ciompi, senza paria e

senza organizzazione). In effetti è dato comune ed attuale la maggiore

crescita della disuguaglianza negativa per le fasce mediobasse impiegatizie;

come in generale è sempre vero che tra i migliori occupati c’è un più alto

numero di istruiti. Negli Usa i salari più bassi sono stati protetti da fattori

istituzionali statali, quali salario minimo e sindacalizzazione, evitando

ulteriore disuguaglianza. Fattori ancora più storici e ben presenti in Europa.

La SBTC ha spiegato bene la crescita dei salari più ricchi in tutti i settori,

avutasi fino al 2003 negli Usa, ma non il fatto che in Europa, con accesso

alle stesse tecnologie e fasce di salariati\stipendiati altrettanto alte per

reddito, non si assistesse allo stesso fenomeno. Successivamente in Usa

mentre Internet ed economia connessa facevano un grande balzo, i redditi

si sono alzati per le alte qualifiche, ma non per gli occupati della

rivoluzione informatica, come i programmatori. La retribuzione offerta ai

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Giuseppe Mele 2014

giovani laureati high-tech (come gli ingegneri) si è ridotta rispetto ai

laureati più umanistici. Gli aumenti salariali riservati ai dipendenti più

istruiti sono stati solo del 2%, troppo piccoli in un quadro prima di

stagnazione, poi di forte calo del livello medio d’istruzione. I lavoratori

digitali più preparati sono quindi risultati penalizzati rispetto ad altri pari

grado. Motivo del degrado, l’eccessiva offerta di lavoro tecnologica Ict che

ha triplicato i posti di lavoro, ma ridotto le retribuzioni. Questa fase in

Europa non è omogenea. Per esempio nella Finlandia, tecnologicamente

avanzata, dove Internet è diritto universale, malgrado la crisi di Nokia, non

ci sono stati aumenti della disuguaglianza. In Germania i redditi dei

salariati\stipendiati più ricchi sono cresciuti fino al 50% rispetto al livello

medio mentre il 15% più basso dei salariati è peggiorato ulteriormente. Per

alcuni ciò è avvenuto per la diminuizione di adesioni al sindacato ed alla

crescita del numero di contratti individuali. La Germania resta però un

paese sindacalizzato al 35% e la contrattazione ha avuto effetto solo sul

28% dei salari più poveri per i livelli più bassi e solo per l’11% su quelli

più ricchi. A sviluppo costante dell’innovazione tecnologica, c’è stata

l’accellerazione già vista negli Usa. L’Unione Europea si preoccupa oggi

sensibimentre della mancanza di quadri qualificat, tanto da aver lanciato la

Grande Coalizione, un programma di incentivazione al reclutamento di

450mila informatici l’anno. L’aumento della disuguaglianza è oggi dovuta

soprattutto alla vastità dell’offerta di lavoro qualificato. Il trend mondiale,

influenzato dagli Usa, sostiene più i quadri del lavoro connesso all’Ict che

quello delle tecnologie core; proprio perché la rivoluzione informatica ha

già in pancia le innovazioni ed ora vive la fase dell’applicazione pratica e

diffusa negli altri settori economici, nelle abitudini quotidiane e nella vita

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Giuseppe Mele 2014

urbana. L’Europa è poco dirigista, ostacola i suoi monopoli, non si difende

da quelli stranieri, non controlla la turbofinanza, consuma più che produrre

tecnologia. La sua domanda di lavoro qualificato tecnologico nasce solo in

parte in casa. Per far crescere l’offerta, l’Europa dovrebbe non

sensibilizzare i cittadini, ma offrire stipendi più alti; e può farlo solo in

parte perché non ha le grandi multinazionali blu stream, over the top. Il

lavoro tecnologico europeo è destinato, continuando così, non a crescere

ma a ridursi, nella decrescita delle grandi imprese e nella sopravivvenza

come lavoro autonomo e piccola impresa. Ci vuole sì una Grande

Coalizione, non di reclutamento ma di produzione tecnologica, il che è tutta

un’altra storia. La SBTC sembra condannare le disuguaglianze, indotte

dalle tecnologie. In realtà ricorda anche il più alto livello di ricchezza

globale reso possibile dalle tecnologie. Qui sta il punto: più che ad alzare il

livello di una fascia salariale rispetto all’altra, bisogna guardare

all’innalzamento generale, a più grandi opportunità di produzione e

vendita, a partire dai tanti settori abbandobati, dall’hardware alla Gdo

internazionale.

2013 Travetelecom e pagliuzza cinese

TelecomItalia è in crisi. Certo, lo si dice da sempre. L’8 maggio però

Bernabè e co., Zingales incluso, dovranno affrontare i peggiori risultati

economici da sempre. Certo, la crisi ci mette del suo ma la sussidiaria del

Brasile, che salvava la situazione, dopo che è stato esautorato l’indagato ex

Ad Luciani, è andata in bambola. Telecom ha appena avviato un

programma di chiusura sedi, di riduzione stipendi per solidarietà ma non

basta: le ultime idee lanciate sul mercato non hanno avuto successo, i

servizi non sono più migliori di quelli dei competitor, i prezzi sono restati i

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Giuseppe Mele 2014

più alti. La lunga politica antemontista di riduzione dei costi, di

abbassamento delle condizioni dei lavoratori, soprattutto dei livelli più

bassi, di vendita degli asset del Gruppo, di aiuto dall’erario statatale non è

servita. Il debito sta sempre lì a 28 miliardi ma per le Borse mondiali,

inclusi gli investimenti necessari, è anche più alto, giungendo a 40. Il

magnate di Hong Kong Li Ka-Shing che controlla H3G e quindi il quarto

operatore mobile 3Italia ha prospettato la fusione con Telecom per dare vita

ad una società da 18 miliardi. Ammesso che la società di Bernabè sia

valorizzata per 15 miliardi, bisognerebbe sottrarre il valore della rete fissa,

da scorporare per evitare che diventi cinese. La backbone nazionale, un

tempo valutata a 15 miliardi, potrebbe essere scambiata per 8-10. I cinesi

porterebbero in dote soldi ed azienda per 3,3 miliardi, un importo globale

tale da ripagare le azioni dei controllanti soci Telco all’ultima svalutazione

fatta a loro stessi, 1,2 per azione. Il doppio del valore di mercato che

comporterebbe comunque 2,2 miliardi di perdita rispetto all’esborso fatto

nel 2009 dai soci Telco. Questi ultimi, soprattutto la spagnola Telefonica

non ce la fanno più e quindi non vedono l’ora. L’operazione è però

soggetta a numerose variabili, a partire dallo scorporo che farebbe di Open

Access una nuova società con ca. 20mila dipendenti. Una Telecom, senza

rete, senza Telco con H3G, sarebbe la vecchia Tim, senza lo smalto dei

tempi migliori, con gli occhiuti partner Ericsson sulla rete. Varrebbe meno

di 10 miliardi, le resterebbero 18 miliardi di debito ed un surplus di 30mila

(+ i 5mila 3 Italia) dipendenti. A guidarla ci sarebbe il management

Hutchinson Samoa, finora proprietari di un’azienda da 1,5 miliardi, con

tanto di rete esternalizzata Ericsson. Sicuramente per rientrare, i nuovi

proprietari punterebbero a mettere la rete mobile Tim a fattor comune con

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Giuseppe Mele 2014

gli svedesi per poi cederla loro del tutto. Per par suo, il nuovo governo

Letta, Bassanini e Gamberale dovrebbero spendere 2 miliardi, caricarsene

10 di debito per acquisire il 30% di una newco sussidaria pubblica e la rete

fissa da 8-10 miliardi. L’operazione ha alcune caratteristiche evidenti.

Omaggia la neutralità della rete poichè tutte le telco sarebbero estranee alla

backbone nazionale. Peccato che in Francia, Germania, Norvegia, Olanda

non sia così e l’incumbent nazionale resti in un modo o nell’altro statale. In

secondo luogo, la newco Open Access-Cassa Deposito e Prestiti darebbe

tranquillità, come è stato per Sogei e Consip, ai suoi dipendenti, tornati

pubblici. Nella nuova Telecom-Tim verrebbero invece ridotti drasticamente

nel tempo i 35mila posti di lavoro ad un terzo. Le convergenze telefoniche,

informatiche, televisive e satellitari d’impronta nazionale morirebbero per

sempre, assieme al minimo di autorevolezza del comparto Ict italiano in

Europa. Sicuramente il nuovo managememt Hutchison Whampoa ridarebbe

smalto e fatturati alla vecchia Tim, al prezzo però della sistematica vendita

delle società rimaste, di licenziamenti, di scorpori di ramo d’impresa, a

partire del caring, dell’informatica della Tit e del call center Telecontact e

di esternalizzazioni tecnologiche strutturali. Amara i meno, l’operazione

comunque appare inevitabile dati i numeri negativi Telecom. Costituisce un

altro tassello dell’incapacità del vertice italiano di gestire uno dei mercati

Ict più ricchi del mondo, su cui si sono ben sistemati finora inglesi e russi e

sui i cinesi si apprestano a consolidarsi al massimo livello. In un mondo

normale, la prima cosa sarebbe esautorare il management che ha portato

Telecom fin qui. Yahoo, Nokia, Apple, Compaq, Microsoft, Rim nin

genere non hanno dubbi. Davanti ai cattivi risultati cambiano Ad e

management tra gli applausi dei sindacati. Solo in Italia si fischiano i

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Giuseppe Mele 2014

manager che fanno risultati e si applaudono quelli che amano il green ma

sotterranno le aziende. L’abitudine italica si è incrostata nell’idea che se le

cose vanno male, interverrà lo Stato a salvare tutto. I tempi sono cambiati

ma le croste hanno chiuso i cervelli. Verso il vertice che l’8 maggio

Telecom vorrebbe dire sì alla fusione con 3Italia, non ci sono proteste. Né

Grillo, né Di Pietro comiziano e pre i piccoli azionisti di Asati per una volta

sono contenti per i guadagni che faranno. Pochi, maledetti e subito.

Nessuno ha dire qualcosa verso un vertice di vecchi e di giovanotti che

devono loro acquiescenza; un gruppo di manager che fuori dallo stretto

circolo dell’incumbent, non è considerato; un vertice vecchio, messo lì

dalla politica di sinistra; che non ha mai nemmeno difeso l’onorabilità

aziendale, anzi che ha subito offerto teste sacrificali alle scorribande togate

che dalla privatizzazone in poi, hanno portato tutti i settori aziendali alla

sbarra. Si pensi che nel rapporto sui paradisi fiscali del giornalismo

investigativo europeo, esaltato dall’Unione, il caso Italia è rappresentato da

un collaboratore di Tavaroli che si faceva pagare in un conto cifrato

all’estero. Per anni assemblee, blogger e lavoratori davanti alle machinette

del caffè, hanno indicato come problemi Telecom, gli sprechi, le feste (stile

Casaleggio), le auto Bmw, gli alti stipendi dei manager, le segretarie

amanti, i business personali perseguiti fra le pieghe delle attività

istituzionali. Come se nelle blue chip di tutto il mondo e di tutti i settori

non ci fossero sprechi, feste, grosse cilindrate, superstipendi, amanti, conti

all’estero e difese ostinate dell’onorabilità, Nel business mondiale normale

queste brutte cose ci sono tutte. Basta che si mantengano ad un livello

minimo rispetto a profitti e investimenti alti, molto alti. Intanto l’Italia che

conta chiede un ministro o un sottosegretario per l’innovazione, magari per

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

dare un ruolo a Bernabè. Anche per Telecom dimostra che ha perso di vista

le proporzioni bibliche tra trave e pagliuzza.

2013 Alleanza digitale

Anche l’ampia filiera digitale in tempo d’elezioni si fa sentire. Un centinaio

di AD, più o meno importanti ed esperti il 22 gennaio u.s. alla Sala del

Garante della Privacy, presso il Capranichetta, ha, con Alleanza per

Internet, fatto le sue 3 proposte: un Ministro per il digitale, Wifi nei negozi,

stazioni ed aeroporti; e sviluppo di mobile-payment e coupon elettronici

nelle transazioni commerciali. Idee inviate ai leader politici (Berlusconi,

Monti, Bersani, Giannino, Grillo, Ingroia), scelti forse in base allo studio

della londinese MCC Worldwide Digital ed al suo punteggio sulla

rilevanza che il digitale ha nei programmi dei partiti (Pdl 18p., Pd 16p.,

Monti e Grullo 13p., Fare 12p., Ingroia p.5, Sel e Lega 3p.). Sotto la faccia

pulita dell’ex garante Privacy Pizzetti, l’Alleanza ha riunito manager

(Telecom, AT&T, Microsoft, NTT, Expo2015), docenti di 4 università,

consulenti, extra (Assodigitale e PR) e confindustriali (Anitec, Assintel) un

po’ di sociale (Censis, Consumatori), di istituzionale (Privacy, AgCom,

Cassa Depositi Prestiti), di stampa (Key4biz) ed il colore del khomemeista

comitato Rai del controllo sul corpo delle donne. Per i tanti soggetti

ufficiali ed ufficiosi del vasto Internet, proclami e manifesti non sono una

novità. Università e Smau, infoprovider e ForumPa, industriali, guru e

consulenti da 20 anni emettono magne charte destinate a rivoluzionare la

vita con le ultime innovazioni del momento. Gli appelli del passato, più che

analizzare i nodi tecnologici hanno accompagnato accademicamente

l’offerta innovativa del mercato globale. Anche la filiera digitale fa parte

del puzzle finanziario-industriale e della sua famiglia. Zingales (docente

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

Usa liberista di Fare di Giannino) siede nel Cda TelecomItalia; Casaleggio

(cofondatore con Grillo del M5S) è cresciuto tra Olivetti, Telecom,

Logicasiel, Netikos, Webbeg, sedendo nello stesso Cda di Michele

Colaninno, fratello del responsabile Sviluppo Industriale Pd. Le tecnologie

uniscono le inconciliabilità dei grillini, giannini e postPci. Più nota per un

serial in cui recitava lo scomparso Taricone, la famiglia Gambardella è

protagonista anche nel business con Raffaele, capo Simest, ai tempi di

Telekom Serbia; Giovanni, decano di Ansaldo ed Ilva ed infine, il giovane

Luigi, lobbista Telecom a Bruxelles, presente in ogni board Europa

Confindustria, capo delle 41 telco europee di ETNO. Luigi c’è anche in

Alleanza per conto dell’ass. Puntoit, ma qui nessuno lo conosce come uomo

Confindustria. E’ fatto così il management Internet: un po’ dummy, un po’

ingenuo e svagato smanettone, isolato nel caos sociale, immerso nei

virtuali schermi puliti, sempre pronto ad indignarsi contro le scelte da lui

stesso prese. Potrebbe usare le aule magne universitarie, gli spazi

confindustriali, ma è più romantico e modernista assumere lo stile

assembleare da Barcamp, come se si fosse anora giovani, poveri e

barbudos. Il 47% degli italiani è in rete. Grande numero se si pensa

all’elevato tasso di anzianità. Gli internauti però non fanno partito né

impalpabile società civile. Non sono rappresentati dai burocrati Cnr della

sezione italiana dell’Internet Society (Isoc), nè dall’Internet forum (Igf), o

dagli Internet provider (Aiip), né dagli informatici titolati, né dalle 5

associazioni confindustriali e confcommerciali, nè dalle inhouse regionali

(Assinter) né da altre associazioni informali. La Sala del Garante non è la

Sala della Pallacorda anche perché mancano gli estrosi Stati generali

dell’Innovazione della Marzano. Ci si perde nelle sigle, tra cui solo Asstel

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

fa qualcosa di sostanziale. Sono sparite Authority, DigitPa e Agenzia

Innovazione. Agenda Digitale con in testa un ex Telecom dovrà affidarsi ai

fiscali contabili Sogei-Consip che ci hanno dato la leadership UE per l’e-

government identificando l’Internet pubblico in un esattore. Siamo all’alba

quando non c’era neanche l’informatica pubblica di Italsiel poi Finsiel;

come Olivetti non fosse mai nata. I partiti non pensano agli internauti.

Progetti come l’e-mail certificata -non obbligatori- procedono in ordine

sparso nei territori. Nessun partito ha una strategia digitale, inclusi i grillini

erroneamente pseudo partito web. Ogni volta si ricomincia da zero. Il

Ministro per l’Innovazione c’era, fino al ’06 era Stanca, di destra. Poi tutto

finì nel calderone Sviluppo Economico con Bersani che abrogando i costi

delle ricariche, aumentò la perdita di posti di lavoro Prima c’era stato

l’Osnaghi, di sinistra, capo e-government, Entrambi cercarono di

riunificare le reti dedicate PA e le connessioni a camera stagna; sforzi poi

sfociati nel codice dell’amministrazione digitale, i cui pregi oggi ancora

non si apprezzano. Sulla connessione Wifi gratis all’aria aperta, corre il

derby di generosità tra Roma Capitale di Alemanno e Provincia di

Zingaretti, che era in vantaggio grazie al suo network wifi di province.

Negli ultimi giorni il Campidoglio ha però offerto a tutti i romani 4 ore

gratis di navigazione. Non si vede che l’Italia prima in Europa per

broadband mobile e per smartphone in circolazione. L’intervento di ogni

ente pesa sulle tasse per qualche milione; che diventerebbero 100 in caso di

modello nazionale. Come per il wifi, il commercio può essere distributore

del pagamento col cellulare che aumenterebbe il numero, oggi basso, di 15

milioni di e-acquirenti; a patto di non tassare di più (meglio di meno), di

escludere costi accessori (come le carte di credito) e di non controllare i

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Giuseppe Mele 2014

comportamenti a fini redditometro. Le norme aggressive che producono il

nanismo massivo d’impresa italiana bloccano l’uso legale del digitale a

favore della pirateria su software, film e musica. Sono spariti i miliardi per

la banda larga chiesti dal rapporto Caio. Non sono più indispensabili,

dicono Governo e Cnel per il quale vanno ridimensionati broadband e tlc

mobili. L’Ict non dà tregua. Nuove tecnologie irrompono mentre non si

dispiegano tutte le potenzialità delle esistenti. Gli industriali guardano al

possibile scorporo della rete Telecom; alla nuova guerra fredda per i

national Internet segment, all’uso massivo di banda (100milai

petabytes\mese, milione di miliardi, 10 volte più che nel 2010). Le telco

europee vogliono la rete tlc continentale. Senza fondi pubblici vorrebbero

farla pagare ai monopolisti mondiali Usa (dai capitali asiatici) di social

network, apparati, webmail e streaming. Ecco Etno, cioè il giovane

Gambardella che forse oggi aspira al Ministero. Gli industriali gemmano

infinite associazioni di questo o quel patron pubblico\privato, reiterando la

sottopolitica dei trombati, inutile costo della politica corporativa di

un’innovazione passiva; succubi del dominio Usa, omaggiano la

propaganda dei futuri posti di lavoro creati dalla rete come nel convegno di

Montezemolo e Google. Gli spazi civili e parapolitici sono loro contesi dai

burocrati (e parte del sindacato) che esasperano strumentalmente digital

divide, inclusione, apporto democratico dei blog, frammentazione

decisionale. Insieme nascondono le grandi delocalizzazioni ed automazioni

in corso, la sconfitta concorrenziale di un’Italia ed un’Europa che

consumano ma non producono. Il grande deficit democratico del settore

desertifica lavoro, competenze ed opportunità, abbattendosi sul milione di

lavoratori, divisi tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, a sua volta

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Giuseppe Mele 2014

frammentato tra PA, meccanico, commercio e comunicazione. La voce dei

lavoratori digitali, diffidenti delle forme tradizionali sindacali ma anche dei

reciproci rapporti è oggi usurpata a vario titolo da 3 Stati: Politica,

Industria, Bureau, cui la produzione digitale, questione centrale di

sopravvivenza, non interessa. Al destino del lavoro e produzione digitali,

possono pensarci solo i lavoratori da soli, riconquistando i luoghi della

partecipazione civile e sindacale. Agli altri come si vede, non interessa.

2013 Lavoratori digitali

Chiamata a gran voce, “l’eccezione culturale europea” ha per il momento

sottratto i “contenuti” al rinnovato accordo di libero scambio

euroamericano. Alti lai si sono alzati da parte di nomi prestigiosi della

cultura per il controllo allogeno dei networks che mette a repentaglio la

sostenibilità del sistema media e cultura. Si tratta delle medesime

preoccupazioni che sia in Telco per l’Italia sia nel Forum Asstel sono state

evidenziate a fronte del rapporto squilibrato tra gli operatori sopra la rete e

gli operatori della rete, cioè tra OTT e Telco. Uno squilibrio molto sentito

in Europa che è in difficoltà nei confronti sia dei Brics che delle altre aree

avanzate; eppure uno squilibrio strutturale che in tutto il mondo

contrappone l’economia materiale all’economia della rete. Le

preoccupazioni comuni dei detentori dei contenuti e delle reti di trasporto

dati nazionali sono relative alle caratteristiche sovranazionali e

ultrasettoriali dell’offerta dell’economia della rete. La filiera delle Tlc

incorpora le società delle infrastrutture apparati e servizi di rete (hardware

per le reti), terminali, software, gestione reti Tlc e call center. Il confine di

detta filiera non è dettato dalle attività o dal business ma dai confini del

contratto Tlc, nato attorno alle Telco. L’hardware per le reti è connesso,

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

senza soluzione di continuità, con altri settori, quali le reti di trasmissione

Tv e l’hardware e l’elettronica dei settori Ict metalmeccanici che contano

250mila addetti su un totale di 1,5 milioni di lavoratori. Tra questi gli

addetti software del metalmeccanico omogenei all’omonimo settore delle

Tlc. L’area delle vendite e dei call center, alla fine della filiera, prosegue

senza soluzione di continuità con il settore Ict del commercio. Tutta la

filiera è preceduta dai lavori di posacavi stradali e antecedente il settore dei

contenuti (media, pubblicità, design, e-government). Gli OTT sono società

di software ed in parte di hardware ma non sono considerate parte della

filiera Tlc poiché il loro business è incentrato nel settore dei contenuti. Nel

suo sviluppo l’economia della rete ha modificato il confine tra industria e

servizi, a favore di questi ultimi. Quando si dice che nel mondo il 75%

dell’economia è digitale, si ammette che la filiera della comunicazione va

ben oltre quella Tlc. A dirlo sono i ricavi la cui origine non è più

chiaramente divisibile come in passato. Nel mondo il cinema fattura 65

miliardi, di cui solo 30 dalle sale; il resto proviene da Tv e pubblicità. I

fatturati dei media in gran parte coincidono con quelli pubblicitari globali,

del valore di 500 miliardi. Dentro questa cifra ci stanno, in gran parte anche

i 5 miliardi del download musicale o i mille miliardi dell’e-commerce , che

solo nel ’99 valeva solo $ 110 miliardi. Quanta parte dei 1100 miliardi

dell’IT si confonde con la pubblicità, con l’e-commerce, con lo stesso

hardware, con la gestione Telco? I 30 miliardi di transazioni finanziarie

individuali mondiali sono IT, commercio o finanza? D’altra parte i fatturati

non sono realizzati dai settori economici ma da società che si muovono

senza rispettare i confini statistici. Nell’era Internet convivono le domande

ed offerte del web 1.0 della semplice ricerca, del web 2.0 delle applicazioni

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

in rete sostitutive di quelle di casa, del web 3.0 di tridimensionalità e di

contenuti interattivi degli utenti. Da un lato, le imprese, cioè la produzione,

in genere sono dovunque molto prudenti in questo cammino. In Germania,

che su questo fronte è il paese più avanzato in Europa, il 75% delle persone

fisiche fa uso della rete per ogni bisogno e svago, ma solo il 22% delle

imprese si integra nella rete. All’altro capo l’Internet finanziario corre oltre

la velocità della luce attraverso l’integrazione degli scambi tra le 40mila

multinazionali (su 37 milioni di società) ed i Fondi, fino ai $600mila

miliardi, 8 volte di più del Pil mondiale. L’economia digitale privilegia il

consumatore, i monopoli, la convergenza di hardware, software, trasporto

dati, tutti strumenti che abbassano prezzi e salari per unità di prodotto e che

unificano l’offerta in un mix di apporto tecnologico, di trasporto dati e di

contenuto. Nell’unificazione della filiera delle comunicazioni, guadagna

solo il driver di tutto il complesso, che è il soggetto informatico: oggi le

OTT, domani i proprietari degli store di gioco, video e servizi interattivi.

Paradossalmente crescono traffico dati e la fruizione di apparati di

comunicazione, di libri, media, video e pubblicità, ma per molti soggetti

della filiera calano i ricavi, soprattutto per le Telco sulle cui reti si muove

tutto. Peggio va per i lavoratori cui l’economia digitale chiede di

trasformarsi di volta in volta in venditori, impiegati pubblici,

metalmeccanici, commessi, informatici, operai, professionisti dei media;

cui chiede competenze tecniche tanto più specialistiche quanto volativi.

L’economia digitale chiede al 5% dei lavoratori di sostenere la

trasformazione del 75% della società, senza neanche rimpinguarne il

numero. La crescita dei posti di lavoro per cloud e smart cities non

recupera l‘occupazione persa in editoria, media, Tlc, elettronica, metalIct,

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

dall’Uk, alla Cina ed Usa. Corollario dell’efficienza digitale è infatti la sua

capacità di sostituire lavoro, non manuale ma skillato, con macchine e

processi IT. Non sono per ora spariti i mercati delle relazioni pubbliche e

personali, delle vendite all’asta, dei giornali, dei media e delle Telco le

quali ultime valgono da sole $1600 miliardi in una filiera totale da 3300, il

4% del Pil mondiale. La tendenza c’è se non si riporta al centro il

produttore (lavoratore e non) e non si cambia modalità di pagamento. Un

ticket flat omnicomprensivo di filiera all’ingresso nella rete per esempio.

Altrimenti i 20 milioni di lavoratori dell’intero digitale, meno dell’1% di

tutto il lavoro mondiale (a fronte del 4% dei ricavi) sono destinati a ridursi

sensibilmente.Con implicazioni addirittura sulla reale indipendenza degli

Stati nazionali

2013 Agcom, via il guru. Perchè non sostituirlo con un networker?

E’ dispiaciuto a tutti che per gravi motivi personali Decina abbia dovuto

abbandonare il suo posto all’Agcom. Se ne sono lamentati gli altri

commissari, Martusciello e Preto, in quota Pdl), Posteraro (in quota Udc), il

presidente Cardani.( in quota Monti ), il viceministro Catricalà, i principali

giornali. Onestamente augurando ogni bene al trentennale guru TLC , la

notizia sembra avere anche risvolti positivi. Decina ha sempre evidenziato

gli aspetti degenerativi dello sviluppo TLC, lo scarso spessore dei contenuti

web e dei social network, la colonizzazione culturale che ne sarebbe

derivata. Ultimamente ha previsto pericoli occupazionali a 5 cifre per il

mondo digitale italiano. Quando però si è trattato di consigliare la politica

che tanto si è adoperata per questi magri risultati, in un modo o nell’altro, il

professore si è trovato dalla parte dei distruttori. Forse è stato male

interpretato, o non capito, ma non si ricordano sue prese di distanza chiare

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

e forti quanto quelle prese sul pubblico TLC, considerato un insieme di

scimmie stupide, degne eredi del povero pubblico televisivo

nazionalpopolare. Ecco perché ora, alle sue dimissioni, si potrebbe

auspicare una svolta, soprattutto quando si tratta per l’Agcom di decidere

su cose importanti quali il diritto d'autore online ed i contenuti dello spazio

pubblico telematico . Senza Décina solo Preto si sta occupando di

Infrastrutture e Reti, prima regno incontrastato del professore ( agli altri

due vanno Servizi e Prodotti). Secondo un rigido manuale Cencelli, Decina

era all’Agcom, in quota componente dalemiana Pd, cui ora toccherà

nominare un sostituto, anche se sarà l’assemblea di Montecitorio a

nominare il nuovo commissario, senza limiti temporali. Papabili al

momento, senza al momento notizie renziane, sono, per la sinistra Pd\Sel,

Vita e Zaccaria, epigoni del MimandaRai3, di Articolo21, dei contratti in

Rai al ribasso voluti solo per questioni politiche, per non firmare con l’ex

direttore Lei. Sono gli uomini della par condicio e dell’odio per i mass

media che non siano sotto controllo ideologico. La Uil ne sa bene qualcosa,

dal trattamento subito in Rai, alla Fiat ed all’Ilva. Poi, in un secondo piano,

più sornioni ci sono il giornalista Rognoni, ex parlamentare PD, ex CdA

Rai, ora Presidente di un improbabile Forum Riforma TV e Sassano,

anch’egli da tempo docente universitario TLC di lungo corso, esperto

sopratutto di spettro e frequenze. Si tratterebbe, malgrado la sbandierata

indipendenza, di una nomina Telecom Italia dove Sassano ricopre il ruolo

di presidente della vigilanza su Open Access. In alternativa Bersani

vorrebbe un dirigente statale in aspettativa, il responsabile Pd dei diritti dei

consumatori Lirosi, una specie di Barca minor. Sembra che il destino

dell’Italia digitale e dei suoi lavoratori debba essere sempre nelle mani di

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Giuseppe Mele 2014

avvocati, dirigenti statali, professori e di ex. Ex Cda di qua, ex deputati di

là. Non potrebbe essere la volta di una persona della produzione digitale e

del lavoro digitale? Gambardella dell’Etno che tanto si è fatto sentire in

Europa ha la sua occasione. Non potrebbe venire una proposta dal Cnel, da

Confindustria Digitale, dai sindacati? I grillini vogliono un nome indicato

dalla rete. Viene da pensare per esempio che provengono dal settore TLC

sia Zucco il leader del Tea Party che il sindaco di Verona Tosi. Non

sarebbe meglio un nome proveniente dai luoghi di lavoro? Che magari

capisca meno tante frigide teorie che in nome della corda neutralità

impongono l’impiccagione ai settori digitali nazionali ma affronti le cose

con praticità? L’ultimo atto Agcom con Decina ha diminuito i costi

dell’accesso della rete con effetti disastrosi per Telecom senza un effettivo

vantaggio occupazionale per i concorrenti, senza effettivi positivi sugli

investimenti e sul divide che ormai divide non Nord e Sud ma l’Italia dal

NordEuropa e l’Europa agli Usa. I centinaia di milioni persi di ricavi hanno

anticipato la pronosticata perdita di posti di lavoro. Se l’Agcom deve

regolare il mercato, e non deprimerlo, cambi passo e candidature. I

sindacati devono affrontare il problema delle Authority, così affrontando

nell’insieme la questione finora non vista dei networkers.

2013 Unico EuroTlc e Napodigitali

C’è una strada nella Capitale, dove al turista come al cittadino, sembra

viaggiare nello spazio per trovarsi improvvisamente un centinaio di km più

a sud, in piena Napoli. Le espressioni, i gesti, gli abiti, le voci, i volti, i

movimenti delle persone che entrano negli uffici presenti su un lato della

via, fanno pensare di essere davanti a Palazzo San Giacomo, in piazza

Municipio, sede del Comune Partenopeo. L’altro lato della via, per odori,

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

colori e

forme

conferma

questa

impressione

. Ci sono

bar, ricchi

di leccornie

tipiche quali

babà,

pastiere e

sfogliatelle;

accanto,

sempre

nella stessa

atmosfera e

secondo i

suoi lati

migliori e

peggiori,

seguono

negozi, il

pulmino navetta, l’edicola ed i cassonetti. Questo pezzo di napolitanità si

trova in viale Marx, quartiere Talenti e non è un paradosso che il teutonico

filosofo dell’egualitarismo presti il suo nome a questo pezzo di

Sonnenland. Da Bordiga, Croce fino a Napolitano è l’ex capitale del regno

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Giuseppe Mele 2014

delle due Sicilie che, capta, ha conquistato e dominato l’incrocio tra

accademia e pubblica amministrazione nel dopoguerra. Sotto tali segni si

colloca qui da 20 anni la sede del Formez PA fatta propria da 3 lustri dal

suo inamovibile presidente, il romano Carlo Flamment, €232mila l’anno,

esempio di quei miracolosi grandi commis d’etat, capaci di collaborare

simpaticamente con Rutelli, Veltroni, Berlusconi, Brunetta, ecc. senza

perdere smalto, incarichi e presenze in svariati Cda. Il Formez è uno strano

oggetto, non privato, non pubblico, non locale, non centrale; è

un’associazione di associazioni di enti locali posta sotto il ministero senza

portafoglio della semplificazione. Sotto l’egida della Cassa del

Mezzogiorno e dell’Iri, sotto lo sguardo benevolo di Beneduce, Menichella

ed il fondatore cislino Pastore l’ente ha passato 40 anni di vita, prima, dalla

sede degli ex stabilimenti Olivetti di Napoli, a sostenere

l’industrializzazione del Sud, e poi la formazione meridionale; finchè nei

primi anni rossi ’90, con l’uomo della Cgil Stefano Patriarca arrivò nella

marxiana Roma come agenzia tecnica della Funzione Pubblica. Da tre

anni, un decreto legge ed un ordine del giorno dell’assemblea dei soci

hanno trovato nuovi compiti al Formez PA, tutti tesi a riformare e innovare

la PA. Per ribadire i quali, a fianco dei premises Formez, quasi in

contemporanea, vi sono state trasferite le pattuglie informatiche, sempre

più smilze e spettinate dell’ex Aipa, ex Cnipa, che durante il trasloco si

trovarono con il nuovo nome di Digit Pa. Questi ultimi arrivavano a capo

chino dai palazzoni di proprietà monancese della ben più elegante via

Isonzo, già sede della grande informatica pubblica (Italsiel e Finsiel), oggi

dati in affitto a super istituzioni quali Consob e Agcom che possono

permettersi di pagare €1,5 milioni l’anno. Nondimeno l’aria spensierata

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

della via partenopea ha presto migliorato l’atmosfera. I 150 informatici si

sono presto mescolati ai 415 formezziani, partenopei trasferiti, parte

pendolari, parte romani partenopizzati; hanno solidarizzato con loro quando

la creatura Formez Italia, nata per gestire concorsoni come quello del

Comune di piazza Municipio, è stata montianamente abrogata. Ugualmente

in cambio i formezziani hanno sostenuto l’animo abbattuto degli ex Digit

Pa, quando sono divenuti, assieme alla brunettiana Agenzia per

l'innovazione ed al Dipartimento PCM della Digitalizzazione, Agenda

Digitale- Agid e poi sono stati sdoppiati in Agid 1 e Agid 2, una comandata

dal montiano Ragosa e l’altra, di maggior livello, capitanata dal lettiano

Caio, con il problema di essere uno salernitano e l’altro napoletano, come

dire livornesi e pisani del Sud. Ridendo e scherzando sono passati un paio

di annetti tra i problemi innovativi di fare nuovi capi e nuove assunzioni

(28 bloccate dalla Corte dei Conti) risolti con una diarchia di consolare

memoria che dovrà dividersi il budget da 1 miliardo, in gran parte

impegnato per spese di personale e funzionamento. Ragosa firma ancora

come commissario e Caio parla sempre sulla base del famoso twitter

d’incarico. Come il resto delle riforme montiane, anche Agid è parte di

quei quasi 500 decreti attuativi che l’attuale governo deve far approvare a

colpi di fiducia e emergenza per snaltire il pregresso. Una delle priorità di

Caio ad esempio, la fatturazione elettronica, è legge da tempo, addirittura

da un lustro, ma se non viene regolamentata non si realizza. Inutile

ricordare che ogni regolamentazione viene rimandata perché porta con sé

necessità di risorse pubbliche e di nuovi oneri materiali e immateriali per le

imprese ed i cittadini. Malgrado il coinvolgimento di superimprenditori,

tutti intendono l’Agid come solo un pezzo dell’ammnistrazione pubblica.

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

Così Pa ed Università la intendono come cosa propria mentre il mondo

del’impresa la vede come l’occasione di vendere qualcosa alla Pa. A questa

ammuina dal basso e dall’alto (bottom e top) corrisponde un uguale e

contrario caos europeo. Dopo lungo battagliare la commissaria Kroes, sulle

orme della predecessora Reading, ha imposto il suo pacchetto Tlc con

l’obiettivo del mercato unico digitale senza barriere, reti e ricavi nazionali,

a partire dalle chiamate internazionali da fisso. Per costruire l’eurorete

(fissa, mobile, satellitare) si può fare come per le grandi backbones

translantiche di Internet, che hanno proprietà azionaria frammentata ed

investimenti corrispondenti alla fee d’incasso (basta l’accordo tra le 5

euroTelco che hanno l’80% del mercato). Oppure si deve passare alla

guerra selvaggia degli operatori sui mercati altrui.. “Le fusioni” delle 160

telco fisse e mobili europee “non sono un fine in se stesse”, dice la Kroes.

Infatti il commissario alla concorrenza Almunia non le permetterebbe. La

scelta fatta della guerra delle comunicazioni e dei contenuti è invece un

assurdo. Una Telco tedesca o Uk che si impossessasse della maggioranza

delle reti europee; praticherebbe un’invasione ostile. In questo secondo

caso rientra il piano delle chiamate gratuite imposte, della neutralità della

rete, dello stop ai cosidetti contratti-capestro, dei piani tariffari a copertura

di 350 milioni di europei o di 10 stati. La democristiana olandese, venuta a

Roma a scaldarsi al facile applauso della piazza nostrana, ha invocato

guerra alle burocrazie, dopo aver creato regolatori grandi e piccini e

richiamato mille regole di privacy, difesa minori e sicurezza. In settimana

la maggioranza dei governi al consiglio europeo sul digitale si prepara a

contestare completamente la Kroes, sulla linea delle dichiarazioni della

confindustria digitale europea, l’Etno, che per bocca dell’italiano

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

Gambardella ha chiesto marcia indietro, a parte le semplificazioni di

licenza, di spettro e prezziario per l’accesso alle vecchie reti. Il mercato

auspicabile unico Tlc da €110 miliardi l’anno si fa solo con fusioni e per

grossi fondi europei a sostegno della fibra ottica. Solo un paese si prepara a

sostenere l’olandese. Ovviamente l’Italia che oltralpe è sempre

supinamente governativa. Poiché una delle grandi Telco è ancora in Italia,

l’interesse nazionale vorrebbe il sostegno ad una politica di fusioni. Invece

si sosterrà il contrario. In Europa si cade nella contraddizione di prendere

ad esempio il mercato Usa per poi fare al contrario. In Italia si cade nella

contraddizione di sostenere in Europa che l’agenda digitale sia soprattutto

telecomunicazioni, impresa privata e Internet per poi a Roma farla

concidere con la Pa. Inoltre si sostiene a Bruxelles una piattaforma

antindustriale delle tlc, che poi si dovrà scontare in perdite economiche ed

in ammortizzatori sociali. Viene alla mente lo scontro vissuto quasi 20 anni

tra Rey, allora capo dell’Aipa, erede dell’Ict unitaria e pubblica, ed il

presidente dell’associazione imprese IT private, Anasin, Tripi che poi

avrebbe comprato l’informatica pubblica per ridurla Almaviva. Rey diceva

che per informatizzare la Pa non ci volevano soldi. Solo la Pa centrale

spendeva allora in informatica €1,84 miliardi l'anno. Ne bastava il 10% in

un piano centrale che adottasse dovunque gli stessi strumenti e db. Tripi

gridò all’orrore: “si rischia la gestione centralizzata di un nuova colossale

rete tlc, sacrificando potenzialita' e futuro delle imprese specializzate''.Si è

seguito il parere di Tripi: è stata creata l’Italia dei comuni It, delle decine di

migliaia dei piccoli centri di potere Ict, delle migliaia di stakeholder con

arte senza parte che piano piano si sono ridotti a vendere prodotti e servizi

asioamerucani, finchè arrivò Siniscalco, che trovando l’It italiana

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

moribonda, sancì che era inutile spenderci ancora tempo e soldi. Vediamo

di non seguire la stessa strada per Tlc e digitale. Agid sta abbandonando

anche gli azzurri suoli per andarsene all’Eur. Si spera che in epoca di

Marino e di ipotetiche destrutturazioni dei fori e luoghi imperiali non sia un

segno di disgrazia. Mai quanto il plauso e l’augurio rivolto a Roma dalla

Kroes a BerLetta. L’ultima volta che si era scorticata dagli elogi, l’aveva

fatto per Monti. Si consiglia al premier, come a tutti noi di andare nella

strada partenopea, parte napoletana per una buona somministrata di

reciproche pacche sulle spalle ed altrettanti segni propiziatori efficaci

quanto non descrivibili

2013 C’è Silvio e Silvio

I processi a carico dei due (Berlusconi e Scaglia) sono stati oggetto di un

indovinato calembour da parte del Renzi, candidato capo Pd, nella sua

amata Leopolda. Il qui pro quo da commedia dell’arte permette al sindaco

di Firenze, pur restando saldamente antiberluscones, di attaccare la

magistratura, la sua abitudine alla carcerazione preventiva ed alla guerra

agli imprenditori. Nei fatti il Renzi sottoscrive l’impianto accusatorio

messo in piedi da tempo da Mellini, Cicchitto e Ferrara. Un accusa

condivisa sottovoce dai grand commis ex Pci cui piaceva Mani Pulite

distruttrice degli avversari politici, ma che ormai tollerano a fatica la pura

antipolitica ed antimpresa dei procuratori. Fermarli ancora non si può, visto

che sono l’arma vincente per liberarsi dalla minaccia ancora latente del

leader del centrodx. Renzi promette, tra le righe, che dopo l’eliminazione di

Berlusconi si potrà ridurre a più miti consigli la magistratura; tanto più che

se ci sono Pm da sprofondare come quelli dell’anno di arresti subiti dal

fondatore Fastweb, ci sono anche giudici assolutori come Mezzofiore, da

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

esaltare come fa Vincino, nel suo istant ebook di vignette “Il caso Scaglia”.

Il secondo Silvio, all’indomani dell’assoluzione per la “Frode Carosello”

sulle truffe Iva telefoniche è divenuto assieme il casus belli ed anche,

improvvisamente, un santo. Già precedentemente un lungo corteo destro e

sinistro si era pronunciato a suo favore: da Riotta a Turani, da Tortorella a

Tramontano, da Luciano, Ostellino, Mingardi, Giannino a Feltri,

Debenedetti, Celli, da Caldarola, Annunziata a Battista e Belpietro.

Vincino, il disegnatore passato dalla satira sinistra de Il Male a feroci

attacchi destri per Il Foglio, è stato parte integrante dello staff del blog

“silvioscaglia,it” con il ruolo di “disegnatore a difesa”. Il fumettista

palermitano nelle sue vignette maltratta l’accusa del pm Capaldo e soci, “il

cui attacco all’innovazione italiana è fallito”; mettendo, udienza dopo

udienza, a nudo ferite putrescenti del processo e non solo. Quando parte,

nel 2010 Frode Carosello ha un grande impatto internazionale, poiché

coinvolge la telefonia mondiale, tanto che sotto il nome di Phuncards-

Broker spazia tramite cooperazione di Polizie tra Usa, Francia, Svizzera,

Lussemburgo, Uk, Romania, Dubai, Singapore e Hong Kong. coinvolgendo

pure Finmeccanica nell’intreccio di plusfatturazioni con le plusIva

telefoniche. Ed è dall’estero che giungono però i primi scricchiolii del

teorema. Le accuse all’ex manager Omnitel, Ebiscom, Metroweb e

Fastweb, 13° italiano più ricco con un miliardo tondo tondo, non

convincono. Pesano dalle colonne del Financial Times le parole di Betts

“..dopo 3 anni passati a setacciare i suoi conti, non c’è una prova solida”.

Certo, c’è grande tifo presso il giustizialismo di sinistra e dell’antipoltica

verso un quadretto che è il trionfo delle loro aspettative. Dal loro punto di

vista, la riunione dell’imprenditore truffatore, del mafioso ndranghetista,

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Giuseppe Mele 2014

del broker internazionale, dell’ex fascista golpista e del corrotto politico

costituisce un tutto unico, mille volte rappresentato, raccontato, evocato,

motivato per dare una spiegazione, altrimenti non accettabile, alla potenza

del voto moderato. il cattivo nemico da mettere alla gogna, da cui far

scendere tutti i mali. L’assoluzione, invece, rompe del tutto le dighe,

chiarendo l’assurdità di un’accusa per la quale un iperricco mette a

repentaglio tutto per pochi spiccioli; un’accusa peraltro che è un doppione

di quella fatta agli ex Ad Sip e Italcable nel ’94-’96. Si prospetta così un

secondo caso Gamberale, incarcerato da amministratore Tim e che segnò il

più grande indennizzo mai pagato dallo Stato. Sul martirio da carcerazione

preventiva si butta Renzi. I manager in coro scrivono “E’ demenziale che

un gruppo di Pm possa decidere della vita e della morte di un gruppo

industriale.” La debacle mediatica (che non significa processuale, poiché

siamo solo al primo livello di giudizio) diventa manifesta con l’autocritica

incredibile del Fatto, giornale del giustizialismo estremo, che si chiede

“come è potuto accadere?” e parla degli imputati come “di imprigionati

nella medesima odissea giudiziaria, tenuti per più di un anno tra patrie

galere e arresti domiciliari e poi assolti «per non aver commesso il fatto”.

Incondizionato, il rovesciamento del giudizio su quello che era definito

“l’inventore del più grande sistema di truffa mai escogitato in Italia” si fa

accusa per le mogli dei manager lasciate, nel sequestro dei conti, senza

soldi per il pane, per gli arresti domiciliari senza balcone o finestre aperte

in un fiume in piena, mai scorso per altri assolti o carcerati senza giudizio,

senza che si aprino veramente crepe in tante cattive coscenze. Per queste

ultime è duro scusarsi per i milioni di allusioni alla truffa telefonica, fatte

contro l’economia italiana, contro l’azienda della fibra, passata sotto

Page 82: Digital Renzakt Agenda

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Giuseppe Mele 2014

minaccia di commissariamento tutta sotto Swisscom, e di passaggio contro

il Pdl. Probabilmente se ne faranno altre, parlando di Scaglia come di

un’eccezione. Fatto è che il manager torinese, non per politica ma per

consequenzialità industriale, lavora con Caio (quello di Agenda Digitale)

ma lascia Omnitel quando arriva De Benedetti per fondare Fastweb. La sua

rete fissa basata su protocolli Internet, è una sfida alternativa alla rete

Telecom. Metroweb, l’idea di portare massivamente la fibra ottica nelle

case, a cominciare dalle nuove città-quartieri nasce sotto la benedizione

dell’allora sindaco ambrosiano Albertini, sta in quei profili imprenditoriali

e politici lombardi che da decenni spaccano in due il fronte industriale e

partitico. Il torinese Scaglia è un prodotto manageriale neolombardo; che lo

voglia o no, iscritto dagli antiberlucones, a partecipe dell’altro campo. Si ha

un bel dire che la Lombardia è tutta ndrangheta, oppure, come ha fatto la

Commissione UE, a farla sprofondare al 128° posto nella classifica delle

regioni europee più competitive. L’attivo lombardo da solo sceso sotto i 70

miliardi, vale più di quelli della Svezia, dell’Austria o del Belgio. Dal

commercio, trasporti e turismo a finanza e servizi alle imprese è dietro solo

all'Ile-de-France o a Londra mentre le supera, prima indiscussa

nell’industria. Regge il confronto con macroregioni come la Renania

Settentrionale-Vestfalia, la Baviera, la grande Londra, il Baden-

Wurttemberg, Resta inspiegabile allora perché Bruxelles voglia deprezzare

nelle sue statistiche questi dati proprio come rimane un mistero l’attacco

giudiziario alla nuova telefonia nata a Milano, dove Tronchetti portò

l’headquarter della stessa Telecom, dopo la storica Torino e poi Roma.

Obtorto collo, non si può non vedere la difesa strenua, fatta da soggetti

diversi fra loro, degli assetti economici tradizionali; i quali però hanno il

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Giuseppe Mele 2014

grave difetto di funzionare solo nella massima protezione. Da Firenze, dove

parlava Renzi, tutto è massimamente protetto, dai teatri salvati ex lege dalla

sua cattiva ammnistrazione, dalle coop monopoliste fino al business

tutistico, al quale si devono sacrificare le vite quotidiane degli abitanti.

Difendendo Scaglia e facendone un eroe, il possibile futuro segretario Pd

rende omaggio al modello ed al territorio economico che funziona e che ha

funzionato sotto un quadro politico antitetico al Pd. Ecco perché, il

calembour alla fine risuona amaro, Silvio con Silvio. Non c’è uno senza

l’altro.

2013 Tutti gli uomini del telelavoro

Il nuovo CCNL del settore telecomunicazioni, ipotizzato fra le parti il 1°

febbraio scorso (ora all’esame delle assemblee di 130mila lavoratori di 45

imprese), dopo una trattativa di 13 mesi ha introdotto una nuova modifica

al capitolo Telelavoro (art. 22). Invariati i primi 15 commi, nell’ipotesi

CCNL Tlc ‘13 viene introdotto un importante istituto bilaterale,

l’Osservatorio Nazionale sul Telelavoro. L’istituto viene buon ultimo

nell’ambito dei momenti di lavoro congiunto tra i rappresentanti datoriali e

dei lavoratori concordati in dieci anni di contratti Tlc, seguendo l’

Osservatorio Nazionale bilaterale paritetico sulla videosorveglianza;,

composto da sei rappresentanti sindacali e 6 imprenditoriali; il Forum

nazionale Ict/Tlc, l’Agenzia Bilaterale per la Formazione ed il Fondo di

previdenza integrativa Telemaco. Gli istituti bilaterali per la loro natura di

accordi sul campo tra le parti sociali, anche quando creati, possono avere

diverse velocità di funzionamento effettivo; corrispondono all’idea di

gestione congiunta delle attività industriali tra capitale e lavoro, che se da

un lato è l’opposto dell’ideologia del perenne conflitto distruggente tra le

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Giuseppe Mele 2014

parti, dall’altro lato, non è considerato obiettivo ultimo anche per una gran

parte del sindacato disposto alla collaborazione ed all’intesa di

compromesso tra gli interessi determinat dalla contrattazione. Sulla

previdenza il lavoro bilaterale è molto sviluppato, anche se fatica a

conquistare le adesioni delle ultime leve dei lavoratori. Sulla formazione,

l’istituto di settore, istituito ancora nel contratto 2008, stenta a decollare

anche per la fattiva attività, ad un livello più generale, di Fondoimpresa,

istituto bilaterale dell’intero mondo industriale. Attivo è stato il lavoro

bilaterale sul delicato tema della videosorveglianza che deve oggi

conciliare privacy, Statuto dei Lavoratori ed il presupposto stesso dello

sviluppo tecnologico delle smart cities, cioè la messa a Big data open di

ogni cosa e persona rientrante nei luoghi sensibili urbani. Risultato è stato il

Documento delle Parti sulle buone prassi in materia di controllo a distanza,

emesso dall’Osservatorio il 17 giugno 2011. Ora alla prova dei fatti sta il

nuovo Osservatorio. Nazionale sul Telelavoro. I suoi dodici membri, metà

sindacali, metà datoriali analizeranno, proporranno, si confronteranno con

esperti ed altri soggetti della filiera, se il loro “centro di competenze”

produrrà sviluppo. In quel caso si arriverà anche alla divulgazione dei

risultati dell’Osservatorio ed ad atti politici congiunti, l’ipotizzato “avviso

comune” rivolto alle istituzioni pubbliche. In caso contrario, l’istituto

resterà, come già avvenuto altre volte un’occasione perduta. Sui luoghi di

lavoro, non si è all’Università; non basta decantare le tematiche relative

all’utilizzo delle più moderne tecnologie ICT(Information &

Communication Technology). Le attività devono tradursi in fatturati e posti

di lavoro. L’Agenda e l’Agenzia Digitale approvate l’anno scorso, per

esempio hanno dato particolare attenzione al telelavoro, sia per il

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Giuseppe Mele 2014

coinvolgimento dei disabili, sia per obbligare la P.A. centrale e locale a

redigere sul proprio web un “piano per l’utilizzo del telelavoro“ed a

specificare i motivi dell’eventuale impossibilità dell’applicazione del

telelavoro. L’Ass. Stati Generali dell’Innovazione, un gruppo di docenti ed

appassionati, senza alcuna particolare rappresentanza, si è data il merito

delle modifiche all’uopo dell’art 4, L. 4/04. Gli SGI sicuramente hanno la

capacità, come tante altre associazioni di essere vicine ai decisori di turno.

Il risultato è una norma manifesto che costringerà le PA ad acrobazie

letterarie senza toccare l’organizzazione che allo stato attuale senza precisi

poteri cogenti istituzionali, non è obbligata ad alcunchè, malgrado le

osservazioni cui si ridurrà l’Agenzia di Ragone. Inutile citare l’americano

Telework Enhancement Act del 2010, che ha rafforzato un processo nel

quale il 5.24% dei 103mila lavoratori delle 78 Agenzie Federali sono

telelavoratori. In Italia siamo allo 0,002% e per cambiare ci vogliono un

accordo quadro Aran ( che fa monitoraggio sul telelavoro dal 2000)-

Pubblico Impiego ed il ritorno ad un centralismo organizzativo sugli altri

enti. Sarebbe preferibile cominciare a costruire una nuova PA digitle da

zero. Meglio va il settore privato dove i 95 CCNL che prevedono telelavoro

lo attuano per 55mila lavoratori, 7% della base firmataria. Media finale, il

5% di telelavoro dell’Osservatorio Smart Working Politecnico Milano. Il

confronto tra gli accordi sul telelavoro del dicembre ‘11 conclusi per il

settore Personale TelecomItalia e per Fastweb, evidenzia nel primo caso, il

riconoscimento del lavoro mobile accanto al tradizionale lavoro da casa

con il computer. L’accordo Fastweb ribadisce un Contratto individuale di

Telelavoro a Domicilio,con tutte le garanzie di revoca, di vita sindacale,

pari opportunità, specifiche dell’adeguamento dello spazio domiciliare

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Giuseppe Mele 2014

dedicato con le allegate regole di sicurezza e potere ispettivo bilaterale. In

quello Telecom c’è questa soluzione; ed in più c’è un’altra possibilità:

quella di gestire il lavoro in autonomia e mobilità con un giorno

settimanale di presenza aziendale. La complicata attrezzatura del passato

dedicata al telelavoro domiciliare, si semplifica nel portatile, già utilizzato

abitualmente. Le modalità di entrata\ uscita dall’orario si trasforma in

Sms\IM\email come le altre comunicazioni con la scala gerarchica, i

colleghi ed i clienti. I dati aziendali, tutti, sono sul cloud; gli strumenti di

analisi, di workflow e di programma, anch’essi sono in remoto ed i dati

utili individualmente sono sul palmare\notebook. Gli ambienti di lavoro,

casalinghi come di imprese terze sono dotati di connessione wireless.

Modalità elastiche e informali, da caratteristica dirigenziale si fanno pratica

diffusa, con + produttività, + tempo dedicato al lavoro, malgrado il

continuo venir meno dello straordinario (nell’ultimo contratto vi rinunciano

anche alcuni profili part time). Il lavoro mobile cresce con la maggiore

autonomia decisionale, imposta dal mondo Internet\Intranet e dalle attività

collaborative su rete, che hanno preteso nel settore Tlc ( ma non nei call

center) maggiore autonomia a tutti i livelli, minore necessità della lunga

catena di comando e l’appiattimento egualitario delle funzioni nelle diverse

aree. La conclusione è facile. Il lavoro mobile è necessario non per le smart

cities o l’ambiente, ma per eliminare drasticamente la mobilità e le

migrazioni; per i risparmi (se non c’è opposizione impiegatizia). Pone

problemi esistenziali al senso delle carriere e dei livelli professionali; rende

liquida l’organizzazione del lavoro. Confonde il controllo a distanza

aziendale con quello territoriale, ponendo anche la persona dentro l’Internet

of things. Richiede nuovi diritti. la difesa più che della privacy, della

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Giuseppe Mele 2014

libertà di comportanento. Chiede un sindacato virtuale a fianco di quello

reale. Finora, all’italiana, il lavoro mobile è stato affidato ai tantissimi

passati dal lavoro dipendente a quello autonomo, senza sindacato, senza

diritti, poca privacy e diritto ad una magra evasione fiscale. Perché si

imponga in azienda, ci vuole una volontà politica sociale bilaterale se non

trilaterale, prima ancora che politica.

2013 Tlc sotto custodia partitica

Concretezza vuole che l’Agenda Digitale e lo sviluppo dell’economia

digitale, ormai di assoluta preminenza mondiale su tutti gli altri settori, non

possano trascendere dalle sorti del comparto telefonico (Tlc) e della sua

principale impresa, Telecom Italia, l’unica rimasta nazionale (e solo in

parte). Non possono perché conditio sine qua non del digitale è la velocità

di trasmissione e di accesso ai dati Tlc. Se i consumi sono per valore metà

digitali e metà materiali, sono maggioritarie le componenti digitali di

produzione, commercio e servizi. Non esiste la sbandierata arretratezza

italiana nel settore; la terza economia europea si nutre di consumi digitali.

Manca, come in tutt’Europa la produzione. Gli europei, però di fronte

all’aggressione asioUsa, hanno usato gli aiuti pubblici esattamente come

avvenuto per energia, banche, auto, ecc. In Italia, salvate Finmeccanica,

Enel, Eni, Poste, auto e le banche, si sono lasciati alla deriva, per scelte

partitiche, produzioni, come chimica, acciaio e Tlc. Malgrado ciò, proprio

la leadership d’innovazione ha retto soprattutto quando per un decennio le

sconfitte sul lato hardware e software sono stati annullati dalla vittoria del

gsm europeo sugli standard Usa. Oggi il digital divide italico non sta nella

sua economia duale, che è un dato assoluto di tutta l’economia ma è la

somma dell’assenza di intervento pubblico (con le eccezioni ottime del

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Giuseppe Mele 2014

piano digitale lombardo) con le aggressioni giuridica e partitico-finanziaria

alle Tlc. Anche qui, i guai giurisprudenziali non sono un caso isolato. Con

Telecom e le altre telco sono alla sbarra, Desio, Unicredit, Mps, Rcs, Ilva,

Sai, Intesa, Finmeccanica, ecc. ecc. : una compagnia così ampia da

suscitare dubbi sulle accuse stesse. Nelle Tlc c’è la particolarità dell’uso

interno della giustizia nella lotta interna al managenent, secondo una

pratica, si può dire, centenaria, della sinistra. Non a caso Sip è divenuta

Telecom con la messa in stato di accusa dell’ex numero uno dell’ex

azienda Iri e sulla stessa falsariga pende eterna la questione delle sim Tim

false, stranamente pubblicizzata dall’azienda medesima. Si è concluso il

processo sullo spionaggio Tovaroli, la gravità dei cui famosi dossier

potrebbere non sembrare dissimile dalle solite intercettazioni sfuggite o dai

consueti gossip Dagospia o dai libri di Travaglio, Gomez e Stella. Telecom

e la dignità dei politici e giornalisti di sinistra sono state risarcite, anche a

spese di un giornalista di Famiglia Cristiana, e di altri comprimari che

dovranno pagare milioni allo Stato, sempre che non li salvi la prescrizione.

Dopo 5 anni, per il caso Iva telefonica, riciclaggio internazionale da €2

milioni, sono stati chiesti 7 anni cad. di galera, al fondatore Fastweb

Scaglia ed all’ex Ad di Sparkle, società dell’internazionale Telecom,

Mazzitelli. Prove documentali sul primo non ce ne sono, quanto al secondo,

subito cacciato con ignominia, ha riavuto indietro nel 2012 immobili, conti

e titoli, già sequestrati, perché non legati a profitti derivanti dalle accuse.

Scaglia con tanto di vignette di Vincino si difende a spada tratta, Telecom

no. Nel frattempo Fastweb è divenuta svizzera, Sparkle è decaduta e

Telecom ci ha rimesso 500 milioni. Il nuovo capo all’internazionale

Telecom, successore di Mazzitelli, l’ex veltroniano capo Acea Andrea

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Giuseppe Mele 2014

Mangoni, si è appena dimesso da AD Tim Participacoes e da Tim Brasil,

forse per le eccessive promesse di investimenti in Brasile. La partecipata

brasiliana, l’unica che aumenti l’utile nel Gruppo Telecom, è sempre più

autoctona, con un management carioca, dopo le dimissioni imposte dalla

giustizia dell’altro chief, Luciani. Coincidenza vuole che le idee di sviluppo

dei manager considerati vicino al centrodx, li abbia portati in tribunale.

Oggi vengono scaricati anche quelli del centrosx, forse per le scelte

scellerate (ed assenza di giustizia) dell’indebitamento addossato a Telecom

da Colannino nel ’99. forse per evanescenza ed incapacità. Adesso al posto

di Mangoni, a capo della finanza Telecom c’è il montiano figlio dell’ex

ministro Cancellieri, garanzia, in un’azienda già spremuta fino all’osso, di

ancora maggiori risparmi, di aggressivi tagli di costo che non potranno che

pesare sul conto dei lavoratori e sull’impoverimento dell’indotto, del

comparto in generale e quindi di tutta l’Agenda Digitale. L’altro vulnus è

partitico-finanziario. Il 1° febbraio è stato firmato il nuovo contratto Tlc,

con un aumento base in 2 anni di 135€, ora all’approvazione dei 160mila

lavoratori del settore. Subito Moody's ha ribassato il rating Telecom a Baa3

con outlook negativo, vuoi per i risultati 2012, vuoi per il taglio del

dividendo del 54% agli azionisti, chiamati per la seconda volta a sacrifici

comuni dopo gli accordi di solidarietà. L’azionariato si divide tra le banche

italiane e la spagnola Telefonica della controllante Telco (22,4%) e

430mila azionisti, italiani per il 26,6% e stranieri per il 50,1%. Telco è

blindata fino al 2015, con possibilità però di recesso nel 2013. Per

scongiurare quest’ipotesi il titolo Telecom verrà svalutato da 1,5 a 1,2€,

riducendo le perdite a 100 milioni cad. per Mediobanca e Intesa, a 300 per

Generali e 400 per Telefonica. Il debito, il peccato originale Telecom e

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Giuseppe Mele 2014

quindi delle tlc italiane, anche dopo la cura triennale da cavallo messa in

campo da Bernabè, resta oltre i €28 miliardi che tra i 16 di investimenti

preventivati ed i 3 del nuovo prestito dei bond ibridi appena emesso,

suonano alle orecchie dei mercati come un rosso da €43 miliardi. Il debito

originario di Colannnino, con il sostegno del centrosinistra, fu di £61mila

miliardi, cioè €31,5 miliardi. Dopo 13 anni, è aumentato di 12 miliardi, al

netto della vendita di gran parte delle attività internazionali, degli immobili,

della distruzione dell’informatica e del calo dei dipendenti Telecom,

passati, come ricorda, Ugliarolo della Uilcom, in 10 anni da 120mila a

48mila. Il debito costringe Telecom a vendere di corsa La7 alla Cairo

Communication dell’omonimo presidente del Torino calcio, sua

concessionaria pubblicitaria. L’offerta di Urbano Cairo di 90 milioni (oltre

200 di debito della Tv di Mentana) è inferiore ai €300 milioni offerti dal

fondo Clessidra che puzzava troppo di berlusconismo. ma lascia a TiMedia

i remunerativi 3 multiplex sul digitale terrestre del valore di €350 milioni.

Come il debito anche su questa vendita pesa la partitica, con l’improvvisa

proposta di una cordata montista di Della Valle, già azionista Rcs -

Corrierone e dalla trasfigurazione de La7, divenuta in 2 anni una seconda

Rai3, esempio di televisione militante giustizialista di sinistra. Dopo aver

paventato l’acquisto de La7 da parte del leader Pdl, ora per Mentana anche

Cairo appare “vicinissimo a Berlusconi”. La filiera tlc parte dalla fibra

posata sotto terra, dalle backbones sui fondi oceani, dai satelliti nello spazio

e dagli hotbox urbani; si sviluppa per apparati di rete e data center, tlc

mobili, fisse, voip, hw e sw in tutte le varianti, apparecchi individuali,

contenuti digitali, dalla pubblicità all’editoria e cinema. Come si vede,

moltissime cose, che sono un’unica cosa e che muovono oggi verso

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Giuseppe Mele 2014

l’interiorizzazione negli oggetti stessi del web. Dopo la scomparsa, colposa

o meno, di Cecchi Gori, l’impossibilità di partnership con la Rai e

Murdoch, il mercato Tv, parte cruciale del digitale, si identifica in

Mediaset, gruppo europeo presente in Italia ed Spagna, mentre Google ha

già superato in pubblicità la Rai. Telecom non ha imboccato, se non in

modo raffazzonato con cubovision, la via del futuro interattivo della Tv

web-connessa. Dietro l’alibi del debito c’è stata la soggezione alla partitica,

ad un modello in cui non è Internet che si espande negli schermi televisivi,

ma la è la Tv dei parashow parapartitici che viene riproposta pari pari sul

web. L’arretratezza dei vertici manageriali e politici ripropongono lo stesso

errore fatto nel ’97 all’epoca della madre di tutte le privatizzazioni, quando

non l’informatica, oggi rappresentata da Facebook e dagli Over The Top,

venne posta alla guida delle Tlc, come avveniva nel mondo, ma avvenne il

contrario. I nemici ideologici del consumismo di Internet sono sempre al

vertice, confermati con Decina all’Agcom. Si rivede un copione già scritto:

l’informatica mondiale domina sulle tlc, ma l’IT italiano è finito. Domani

l’Internet mondiale dominerà sugli schermi televisivi anche nostrani. La Tv

e l’audiovisivo italiani finiranno come Sanremo, ridotto ad un festival Arci.

La partitica cui gli imprenditori di Alleana per Internet si rivolgono

passivamente solo per avere commesse, si muove contro l’evoluzione

tecnologica e contro il mercato senza peraltro sostenerli. Come si vede dal

dibattito attorno al La7, alla classe dirigente non interessano le eventuali

secche dell’innovazione. Il suo metro di giudizio è il manuale Cencelli

applicato alla custodia cautelare dei mercati tecnologici, da conservare per

sé e amici, anche dovessero morire di asfissia. A pagarne il fio saranno in

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Giuseppe Mele 2014

parte i consumatori, del tutto i lavoratori e le competenze indipendenti della

società.

2013 Digital Compakt

L’idea proposta da Parisi di Confindustria Digitale al suo Forum del 21

ottobre è stata quella di spingere a qualsiasi costo sull’acceleratore per

centrare gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea. Fare il digitale anche

con la forza, con un Digital Compact assimilabile al Fiscal Compact che ha

imposto all’Italia politiche di rigore con un rientro da 30 miliardi l’anno

fissato in Costituzione. L’idea porta ad un primo interrogativo: è possibile

fare politiche di sviluppo in modo coercitivo, nelle condizioni già restrittive

in cui versa la libertà dello Stato di impiegare i fondi che ha a disposizione?

La risposta di Confindustria è che un piano coercitivo di sviluppo digitale

si ripaga da sé, grazie all’aumento di Pil del 2% atteso. Quest’aumento di

Pil è stato da tempo, già dal 2009, sventolato ogni volta come la terra

promessa da parte dei fautori degli investimenti per la banda larga. In cosa

consistono i fattori che garantiscono una crescita annua da 30 miliardi,

equiparabili a quelli dovuti pr il rientro del debito pubblico? In primo luogo

l’aumento degli internauti italiani che sono il 53% della popolazione e

devono diventare il 75%, passando da 31 milioni a 45. L’aumento di 14

milioni di consumatori di web si può ottenere solo con prezzi più bassi,

con più possibilità di accesso , cioè con più investimenti e con vaste

campagne pubblicitarie e soprattutto con obblighi normativi relativi

all’identità, alla fiscalità ed alla sanità digitali. A parte la reazione negativa

a nuovi obblighi per cittadini e imprese, gli altri fattori rappresentano

immediati nuovi costi a fronte di sperati nuovi incassi. L’aumento degli

internauti garantisce più pubblicità, ma non l’aumento dell’e-commerce che

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

è la chiave di volta dell’aumento di Pil. L’aumento di internauti è collegato

alla fornitura di banda larga. Dopo i passati trionfalismi, ora

Confindustria mostra la maschera più mesta, con un magro 14% a fronte

del 54% europeo. In realtà la banda larga mobile italiana collega già il 57%

della popolazione. Il problema del digital divide, cavallo di battaglia

egualistarista, cozza col dato di fatto del dualismo produttivo italiano. Dove

l’impresa non c’è, non cè richiesta di banda larga. Né l’arrivo di banda

larga crea un omogeneo numero di nuove imprese. L’ input obbligatorio di

portare dovunque i 30M\s, alle Telco italiane, in primis, Telecom, in temi

di grave calo dei ricavi, senza aiuti nazionail o europei C’è poi l’aumento

dell’uso dei servizi di egov, che dovrebbe passate dal 19% al 44%. Nel

2011 l’Italia conquistò il podio dei servizi pubblici online (99% su 82%

media Ue ) grazie alla digitalizzazione di dichiarazione dei redditi,

sicurezza sociale, ricerca di lavoro, registro automobilistico, licenza edilizia

e di nuova impresa, certificati (albo pretorio online), iscrizione a scuole,

servizi sanitari, contributi sociali, appalti pubblici. Non è però corrisposto

un effettivo uso dei servizi, come hanno dimostrato i casi Pec e Cicklavoro.

Adesso più di un miliardo è stato impegnato per il back office dei 3000

data center (da ridurre a 300) e per gli enti locali impegnati nelle smart

cities. Grande lo sforzo per digitalizzare la scuola e l’università senza per

ora passare del tutto all’e-book. L’impegno di Caio su due punti (tra i 3

considerati prioritari) di Identità Digitale e Anagrafe Unica rimette al

centro la CAD che a suo tempo era stata criticata per eccessiva fretta e

autoritarismo. Per fine 2013 si dovrebbe realizzare solo la digitalizzazione

delle anagrafi delle Province. Finora ha funzionato solo ciò che è stato reso

obbligatorio. Il digitale è mandatorio solo per l’impresa, sia che faccia le

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

dichiarazioni dei redditi anche dei cittadini, sia nel caso del certificato di

malattia telematico, sia per le comunicazioni di bilancio, Inps, Inail. Ben

difficile resta digitalizzare per legge l’assunzione. Il 3° impegno di Caio,

quello della fatturazione elettronica, sarà il prossimo obbligo per l’impresa.

Perché i cittadini in massa usino i servizi egov, si attende la completa

digitalizzazione di sanità, catasto e anagrafe; i ritardi di alcuni territori

giocano a rimandare i tempi di tutto il meccanismo, che non è sostenuto da

gran favore tra la cittadinanza. Il massivo impiego delle forme di e-

democracy potrebbe portare più entusiastica adesione. Finora però la

trasparenza necessaria, con dati sensibili ed open data, è andata avanti a

macchie di leopardo. Inoltre la monotona applicazone della democrazia

elettronica spegnerebbe molte velletarie illusioni di comitati minoritari, che

sul vituale avrebbero lo stesso peso che hanno nella vita reale, cioè ben

poco. Anche qui un egov fattivo e di massa richiede molti costi e la

progressiva trasformazione della PA, non chè un suo dimagrimento

economico. E’ prevedibile che solo il turn over con la trasformazione

generazionale dei dipendenti porti all’obiettivo. I risparmi nel frattempo si

possono ottenere solo con più balzelli e con il blocco di molti servizi, a

causa di documentazioni insufficienti. Sicuramente l’aumento dell’uso

dell’e-gov non garantisce l’aumento dell’ecommerce in acquisto da parte

dei cittadini, oggi in Italia al 17% mentre in Europa è del 45% (obiettivo

2015, 50%). Lo potrebbe garantire una convenienza di prezzo e fiscale.

Purtroppo oggi non ci sono né l’una né l’altra, anzi. Lo sconto spesso

ottenibile in negozio sul web non c’è. Le campagne web sconto fatte per

esempio da Buffetti sono spesso disconosciute nelle sedi fisiche della

catena. Per il fisco, qualunque oggetro in rete è software, così l’ebook ha

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Giuseppe Mele 2014

l’Iva al 22% mentre un libro fisico gode del 4%. Senza parlare della

pirateria che disinvoglia da qualunque interesse di mercato. L’utente si

abitua a fruire prima dell’enorme parco di ciò che è gratis, legalmente o

illegamente e fa uso delle preferenze dentro quest’ambito che gode di

un’enorme vantaggio competitivo. Il business principale sulla rete, come

già è stato per la Tv è la pubblicità, un classico business to business cui

l’utente resta direttamente estraneo. Ci sono molti ambiti, dal commercio al

turismo, dove si intrecciano opportunità materiali e virtuali; queste

potrebbero ingigantirsi grazie al combinato disposto dei dati raccolti dalla

videosorveglianza e dell’Internet delle cose, il che è prossimo ad avvenire.

Non sarà però né la politica di sviluppo, né l’Ue, né la partitica a far

esplodere l’e-commerce, sia in offerta che in domanda, da parte di cittadini

e da parte delle Pmi, che oggi è al 4% contro il 14% europeo ed il 33%

dell’obiettivo 2015. L’uso del pagamento mobile via cellulare\smartphone

insieme alle tecnologie di prossimità e di riconoscimento digitale delle cose

porterà improvvisamente cittadini e Pmi ad aderire all’e-commerce, a

prescindere da tutte le altre condizioni. Un trend tecnologico mondiale, che

come già avvenuto in altri campi, travolgerà l’insieme politico e mercantile

europeo, rendendo obsolete molte discussioni. Fin qui, non si vede come

l’insieme di più banda larga, Internet, e-gov ed e-commerce garantirebbe

l’aumento dei famosi 30 miliardi di cui sopra. Secondo l’idea di

Confindustria, l’agenda digitale dovrebbe supportare la crescita delle

imprese, aumentare la presenza Internet, dare quindi più lavoro ai giovani;

poi dovrebbe ridurre il deficit pubblico, grazie alla maggiore efficacia ed

efficienza Pa, con minori sprechi ed un maggior ritorno dalla lotta

all’evasione fiscale. Anche Caio ha parlato di un possibile recupero fiscale

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

per 15 miliardi, grazie alla fatturazione elettronica, alla sanità digitale, al

cloud computing, all'eProcurement ed ai pagamenti elettronici. In un paese

che ha perso dal 2007 1,2 milioni di lavoratori e, nell’ultimo anno, circa

mille imprese al giorno, fa sorridere che una stretta delle spese pubbliche

(già in atto), di obbllighi per le Pmi , della ristrutturazione dei servizi possa

far fruttare più incasso fiscale. Sarà semmai minore. Alcuni sprechi, come

noto, sono dovuti alla frammentazione degli enti ed alla mancanza di costi

standard PA, questioni che dipendono non dai risparmi ma da riforme degli

enti medesimi. Infatti il primo mercato a non essere unico è proprio quello

delle Pa, tutt’oggi divise in migliaia di data center e di centri di spesa. Più

Internet può aiutare l’impresa come metterla ancora di più sotto una

maggiore concorrenza. E’ sicuramente nel giusto Confindustria quando

parla di maggiore occupazione giovanile se la si associa ad un saldo

complessivo occupazionale negativo. Infatti tra le righe del piano si

intravvede la necessità di espellere molti lavoratori non giovani dal mercato

proprio per poter accellerare l’innovazione organizztiva delle imprese e

delle Pa. Restando uguale all’attuale il sistema degli ammortizzatori sociali,

dovrebbe così aumentare ulteriormente la spesa relativa che ha raggiunto

negli ultuni due anni l’importo di un miliardo. Con coraggiosa sincerità

Parisi sul tema non si è tirato indietro, chiedendo a chiare lettere una

liberalizzazione da lacci e lacciuoli del mercato del lavoro dalla filiera

digitale. Il premier Letta ha ribadito queste parole, anche per rendersi più

accetto nel sostegno all’agenda digitale europea della commissaria Kroes.

In realtà Confindustria, adattandosi al contesto, punta almeno e soltanto

alla fornitura di servizi digitali per la Pa, essendole preclusa qualunque

altra sfida nel settore, in presenza dell’occupazione stabile da parte dei

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Giuseppe Mele 2014

grandi monopoli mondiali di quasi tutti i segmenti della filiera digitale e

della comunicazione. L’AG europea, assieme al pacchetto di norme

riformatrici delle Tlc, che Letta è corso a sostenere, in grande solitudine,

non è centrata come in Italia sulla Pa. E’ basata sul mercato privato, a

partire dal famoso mercato unico Tlc e quindi sulla forza delle Telco che

devono diventare capaci di offrire servizi ( tra cui e-gov, e-commerce,

banda larga) a tutto il continente, ed in prospettiva al mondo. Si tratta di

una prospettiva inconcepibile per il Belpaese dove le Telco devono vendere

a prezzi sempre inferiori, perdono sempre più ricavi e sono tutte straniere.

Dove l’ex incumbent è allo sbando, pronta a vendere gli ultimi stabili che

ha (data center e centrali), ed è al bivio tra andare sotto il controllo della

spagnola Telefonica, oppure tornare ad una vagheggiata e impossibile

proprietà pubblica o diventare una improbabile public company, in mano

alla ex Cirio ed a sconosciuti fondi d’investimento, ciascuno con il 5% di

proprietà, provenienti dai quattro angoli del pianeta. Solo una fusione

pesata tra le grandi Telco europee continentali ( e tra i loro debiti)

salverebbe insieme le prospettive digitali italiane e le possibilità europee di

competere com i giganti digitali del mondo, Oggettivamente a

Confindustria Digitale non si può chiedere tanto, avendoci pensato a farlo

l’Etno a livello confimdustriale europeo. Politica e sindacato, strettamente

sulla difensiva, attendono gli eventi, sperando non siano i più terribili. E

fanno finta nel frattempo di credere che l’Agenda Digitale italiana sia la

stessa di quella europea.

Antefatti della cronaca dell'assemblea Telecom 1

Antefatti della cronaca dell'assemblea milanese di Telecom Italia del 20

dicembre. Le grandi banche, il management proprietario della rete

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Giuseppe Mele 2014

telefonica italiana, espressione della leadership del Gsm e della

confindustria di settore europei, assieme a Telefonica, colosso dei due

mondi ispanici delle Tlc, tutti assieme nel 22,4% della scatola finanziaria

Telco, sono in trepidazione. Aspettano con ansia di capire quanti dei fondi

d’investimento, azionisti minori ma detentori di più dell’80% di Telecom,

di solito sparpagliati e astensionisti, saranno presenti. Più saranno (si

vocifera di affluenza record al 60%) e più il CdA rischierà la sfiducia. Uno

stato di cose ai limiti dell’incredibile, determinato dal giudizio di mercato.

Le azioni Telecom, un tempo quinta al mondo, sono ormai spazzatura o

speculative e le società consulenti Iss e Glass Lewis che solitamente

orientano il voto dei fondi, hanno pronuciato pollice verso invitando a

votare contro il CdA. Il caos dell’azienda è figlio dello stato confusionale

in cui versa il suo feudatario, l’ambito partitico di Pd e dintorni. Qui si

muovono in direzioni contrarie l’ex giornalista del Corrierone, fresco

onorevole democratico, Muchetti ed i centristi Pd, da Boccia a quelli di

Agcom, vicini al premier sia in Aspen che nel think tank Vedrò. L’ex firma

del Corrierone, assieme a Matteoli di FI, con un emendamento presentato a

più riprese, ha oganizzato la rivolta politica contro l’operazione di

Telefonica che con 700 milioni si è garantita il controllo di Telco facendo

rientrare dall’esposizione debitoria le partner banche italiane. Al grido di

Olimpia humanum (la scatola finanziaria del 2001 di Tronchetti Provera.

Benetton, Gnutti con Banca Intesa e Unicredit), Telco diabolicum, il

neonorevole chiede al Pd di cambiare pagina. Sotto gli occhi di un

silenzioso neosegretario Renzi, il premier Letta ondeggia, richiama la

golden share in una norma ad hoc, la riduce al solito specchietto per le

allodole, poi, giusto prima dell’assemblea, rigetta la mozione che avrebbe

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Giuseppe Mele 2014

costretto gli spagnoli a pagare, in un’Opa, per i 15 miliardi di effettivo

valore di Telecom. Gliel’aveva detto a Muchetti, in un colloquio riservato,

Galateri, già presidente Telecom, ora delle Generali, 2° azionista Telco, di

lasciar perdere. Avesse voluto, con uno stop alle banche, Letta avrebbe

evitato di far precipitare gli eventi. Non lo ha fatto per le banche o per

indicazioni europee che spingono, nel nuovo regolamento pacchetto del

“continente connesso”, la competizione tra le grandi Telco con l’intento di

diminuirne il numero? Inutilmente Muchetti rende pubblici gli avvertimenti

ricevuti e sostiene a spada tratta, per la prima volta anche in Tv, le tesi di

Asati, l’associazione dei piccoli azionisti Telecom, cui mai è stata data

possibilità di intervenire sulle sorti aziendali, grazie ad un ferreo controllo

esercitato, come si fa nella cucina politica di tipo proporziale, attraverso

accordi di controllo conclusi fuori mercato e fuorionda. La situazione è

precipitata anche per i pesanti interventi decisi mesi prima dall’Agcom,

authority di regolamentazione delle Tlc e non solo. Il suo commisario

Decina, guru di sinistra per le tlc, ha appena denunciato ad un convegno

Asati i rischi per l’occupazione digitale di 150mila posti di lavoro.

Telecom, in calo di ricavi, rischia di precipare con sé anche i piani di

Agenda digitale e di banda larga. Agcom risponde al bocconiano Cardani,

fedele di Monti, appena messo alla sua testa, ma non è indifferente al

potere del suo ex presidente calabrese Calabrò, che in auge dai tempi di

Moro è passato dal settennato Agcom al governo. Telecom sta cercando di

ricapitalizzare e diluire la presenza ingombrante di Telefonica e banche.

Spera nel sostegno di Agcom che invece a luglio gli abbassa del 6,47% (da

quasi €10 a 8.68) il prezzo dell’affitto della rete Telecom alle altre Telco.

Decina indica in ca. 200 milioni i mancati ricavi per Telecom e si dimette

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Giuseppe Mele 2014

da commissario. La decisione destabilizza l’azienda provocando,

agitazione, pessimismo e confusione tra i lavoratori la fuga dei possibili

nuovi partner, l’accantonamento della riorganizzazione, la messa a rischio

degli investimenti, l’ascesa di Telefonica, la fuga delle banche, le

dimissioni del presidente Bernabè, la vendita precipitosa di Telecom

Argentina, l'indebolimento del management a rischio processo e sfiducia

assembleare. Prima dell’assemblea, con grande ritardo, l’euroCommissione

pretende che l'Agcom riporti il prezzo a €9.16, accusando Agcom di

violazione dell'art. 8 della direttiva del 2002, di calcoli erronei, alla luce

della comparazione con i valori utilizzati in Spagna, Portogalo ed Eire e di

scoraggiare gli investimenti e le decisioni degli operatori. L’Agcom, però è

in un momento di deliro di onnipotenza. A dicembre non ha ancora accolto

il nuovo commissario, in quota Pd, Nicita eletto da un mese a sostituto di

Decina. Ha emesso il 12 dicembre un regolamento sul copyright in rete che

scavalca Parlamento e codici. Con il sostegno del regolatorio europeo,

Berec, va dritto allo scontro di competenza e alla vertenza giudiziaria con

la Commissione, non riconoscendone l’autorità. Il giorno prima

dell’apertura dell’assemblea Telecom, l’Autorità conferma il suo prezzo.

Gli eventuali investitori su nuove reti fanno due conti e vedono tutto lo

svantaggio di operare in Italia rispetto ad altri mercati dove i Roi

parametrati dalla Commissione sono migliori. Così Telefonica quasi finisce

per meritarsi l’aureola. Il primo ed unico sostegno offerto da Bruxelles a

Telecom appare del tutto teorico, giusto un buon argomento offerto

all’autodifesa del CdA. Se Agcom ha il consenso del premier, è meno

chiaro chi e cosa sostengano Muchetti. Il mondo managerialaccademico,

professionale e professorale, gramscianamente egemonizzato, quello da

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Giuseppe Mele 2014

almeno 5 incarichi a testa, epigone per 20 anni delle public company

innovative, ora senza reticenze, ammette gli errori di visione e gestione.

Non ha solo abbandonato l’ex presidente Bernabè due volte innalzato e due

volte cacciato, il suo giovane erede Ad Patuano ed il management

Telecom; li ha gettati alle ortiche. I loro ultimi 7 anni fatti di spending

review interna, di salasso e di affidamento alla tabula rasa delle procure,

tanto premiati e lodati un tempo, ora vengono definiti “cattiva gestione

aziendale”. Si ammette che Telecom è stata, dall’inizio della

privatizzazione, malata di politica e di Pd; vittima del muro di Milano,

secondo il quale, le Tlc devono essere un fedudo di sinistra, perché la Tv lo

è di destra e l’editoria è divisa a metà. E se Telecom è un’affaire del Pd,

deve essere di sinistra anche Internet, ridotta alla demagogia degli slogan

della democrazia dal basso, del digital divide e null’altro. Non c’è bisogno

di chiedere da quale follia di pensiero derivi poi una norma come la Web o

Google Tax. L’autoflagellazione professorale, però, non è una resa. E’ solo

una manovra di alleggerimento, dovuta all’urgenza del mea culpa

rigeneratore voluto da Renzi; all’effetto dell’assoluzione Scaglia, seguita,

nell’ombra, dal proscioglimento anche dei Mazzitelli e degli uomini della

Telecom internazionale, a lungo proscritti dai loro stessi colleghi e mai

degnati di un cenno di scusa. E’ l’ammissione delle giuste ragioni, in via di

principio di Muchetti, e con lui di Matteoli; ed è insieme, con un gigantesco

e furbesco colpo di coda del mondo gramsciamanageriale, la flautata

scoperta che purtroppo quelle ragioni non potranno avere più conseguenze

pratiche. Tra le righe, si suggerisce anche ai Muchetti, e forse ai Renzi che

il disastro della visione e delle decisioni Pd hanno portato troppo in là,

ormai; che sia meglio mollare le difese, lasciar perdere l’italianità perché in

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Giuseppe Mele 2014

fondo non vale più la pena di difendere Telecom, neanche dalla scalatina

spagnola di 700 milioni che punta a prendersi 15 miliardi di valore

aziendale. Uno sconsolato discorso, che in apertura d’assemblea, offre al

giornalista politico d’assalto la medaglia al merito per avere difeso l’onore

del Pd, per aver evidenziato che anche nelle file che hanno deciso il peggio

per le Tlc italiane, ci sia qualcuno con attenzione agli investimenti fatti con

i danari degli italiani. Dato al Giacchetti digitale il suo onore al merito ed a

Renzi ampie assicurazioni, che malgrado giudizio e intedimenti del

mercato internazionale, sono stati presi gli accorgimenti necessari per

evitare la clamorosa revoca e perdere quanto resta del controllo politico

sulla baracca, lo scontro finisce in un bicchiere d’acqua. In alto mare

restano le sorti della produzione digitale italiana, ma non si può avere tutto

del resto.

2013 Assemblea Telecom 2

Puntata precedente. Verso l’assemblea degli azionisti di Telecom Italia del

20 dicembre. Le banche nazionali, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Generali,

tanto sostenute dal governo e dalla Bce, invece di supportare l’azienda,

l’hanno scaricata, accettando per un premio esclusivo di consegnare il

controllo all’incumbent spagnolo Telefonica. Silenziosamente e

sornionamente il governo Letta ha soffocato l’indignazione del neo

onorevole democratico Muchetti e, con essa, le illusioni sindacali che a

qualcuno interessi il destino del lavoro digitale. Agcom a voce dell’incrocio

tra Pd e finanza, ha dettato una condanna per l’azienda, anche contro

l’aiuto ritardario e inatteso di Bruxelles. Poteri forti e governo sostengono

nei fatti l’acquisizione della rete telefonica da parte degli spagnoli. La

grande platea dei piccoli azionisti ha però ancora il mercato dalla sua. Il

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Giuseppe Mele 2014

mondo finanziario invita a cacciare dalla stanza dei bottoni il capitalismo di

relazione italiano, per evidente gestione fallimentare. Per le strade

camionisti, contadini, piccole imprese, allevatori, artigiani, senza uno

straccio di copertura politica, sono scesi a reclamare la possibilità di

sbarcare il lunario e di vedere pagato il proprio lavoro. Hanno richieste così

elementari e antiche che gli hanno dato un nome da movimento

medioevale, quello di forconi, in una rinnovata voglia delle jacqueries

contadine di gettare a fuoco carte burocratiche ed i loro estensori. Anche

nell’assemblea azionaria della principale impresa del settore più

innovativo, c’è una forca o tridente; è il simbolo del bluetooth, sofisticato

dialogo senza fili tra telefonini, apparati ed accessori. Anni fa, l’assemblea

Telecom era andata in diretta per ogni dove, per evidenziare, proprio su

wifi e wireless, improbabili incompetenze del management. Bisognava dare

largo spazio allo show di Grillo (nel cui orecchio sussurrava Casaleggio, ex

piccolo manager Telecom) e Di Pietro, ad usum Santoro, per divertire gli

azionisti e ridicolizzare i manager di destra, Tronchetti, Ruggiero, Buora,

Luciani. Allora una lava concentrata di terrore puro di forze, grandi e

piccolissime, dalla magistratura a Grillo e samizdat interni, si era rovesciata

sul manager Pirelli Al suo settennato si imputavano oltre gli errori propri,

anche quelli antecedenti ed i successivi. La sua eresia però è la violazione

del muro di Milano, secondo il quale, le Tlc devono essere un fedudo di

sinistra, perché la Tv lo è di destra e l’editoria è divisa a metà. Tronchetti,

però, malgrado le apparenze non è il manager di Berlusconi; da buon

interista è più organico al Moratti che alla cognata Letizia ed Arcore.

Quando cerca di fondere Tv e Tlc, cerca Murdoch e non Mediaset. Viene

demolito per le vendite degli asset patrimoniali di un’azienda indebitata

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Giuseppe Mele 2014

allo sfinimento dai precedessori, loro sì, organici al Pd. Sulle vendite

successive degli asset strategici di ricerca e di know how non una voce, se

non negli ultimi mesi (“non c’è più know how”nell’incumbent Tlc, se non

quello ipermaturo dell’infrastruttura di rete, pealtro disastrata”) ed anche

questa ipocritamente spesa solo per facilitare l’abbandono dell’azienda.

Nemmeno attorno all’assemblea del 20 dicembre c’è il muro ostile dei

grandi talk-show, nesssun richiamo al povero destino dei call center.

Sull’assemblea non c’è traccia di ironia, non una scenetta della solita satira

che si guarda bene dal toccare l’argomento. Nessunm clown stavolta, non si

ride questa volta, in un’assemblea in cui la piccola forca sul display

richiama la rivolta in corso degli azionisti Telecom, che è la stessa rabbia

dei forconi, delle proteste, degli assembramenti, dei blocchi stradali. Tutti

uniti dalla consapevolezza, più o meno chiaramente informata, dello spreco

e dell’imbroglio che insidiano il risparmio, le capacità, le tasse, le ricerche,

le scoperte, in una parola il lavoro e le aziende, minacciati dalle scorciatoie,

dalle svendite, dagli accordi sottobanco fatti dai primi della classe. I colossi

finanziari hanno cercato di premunirsi dal destino incombente di

quest’assemblea dove per la prima volta, si va alla conta senza risultati

certi, senza la retorica della nova innovazione, dell’agenda digitale, della

public company, del web che ci rende liberi. Se c’è uno che non è adatto a

fare il capopopolo, a saper incendiare gli animi, costui è proprio Fossati,

l'ex patron del doppio brodo Star, uno che riesce a farsi sentire e capire dai

più a fatica, anche nel più religioso silenzio. Gli imprenditori medi in

genere sono così; il loro campo è il fatturato, non la politica, neanche quella

alla Confindustria. Fossati di Findim, dal basso del suo 5% da secondo

azionista, con Asati (piccoli azionisti Telecom) vuole sfiduciare le grandi

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Giuseppe Mele 2014

banche ed il feudo politico, azzerando il Cda. Vuole cacciare Telefonica

dalla scatola di comando Telco. Senza retorica, parla di “valore aziendale”,

reso stantio da pubblicità e mielosa propaganda antimafia, intendendo veri

danari versati a investimento, da non sprecare, truffare o minusvalenziare.

Senza retorica, solo il fatto che sia in condizione di sfidare i giganti,

dimostra che quest’ultimi hanno piedi d’argilla. Va così in onda un

incredibile numero di conflitti di interessi, di quelli veri, però. Nessuno

nega che Telefonica e Telecom siano avversari in due mercati chiave

sudamericani, Brasile e Argentina. O meglio lo erano perché a poche

settimane dal controllo spagnolo, Telecom Argentina e Personal mobile

sono state svendute. Fossati chiede perciò che gli spagnoli non votino, tanto

più che i loro posti in Cda sono deserti per imposizione del regolatorio

brasiliano. Dovrebbe fare da presidente l’ennesimo bocconiano, Provasoli,

cooptato nel Cda apposta. Invece rinuncia. E’ già presidente Rcs, che

finisce l’anno sotto di 200 milioni ed è impegnata con tanto di referendum,

a dimissionare 60 giornalisti anziani di Repubblica. Così facente funzioni

dell’ex presidente dimissionario Bernabè, lo farà Minucci. Ex consigliere

dal ’95 al 2011 di Generali, è visto con sospetto. Generali infatti, è sul

banco degli imputati: non solo per la resa a Telefonica. ma anche per la

partita di giro argentina che ha liberato l’azienda triestina da debiti in loco.

Minucci non dovrebbe far votare la sua ex azienda, né Telco. Se non lo fa

sa che la delibera finale verrà impugnata. Nemmeno vuole agevolare un

ribaltone. Non dovrebbe far votare nemmeno il gigante dei fondi

internazionali, Blackrock, un fatturato doppio del Pil italiano. Chiamato da

Telefonica in soccorso, il fondo è stato così precipitoso da acquistare il

10% delle azioni senza nemmeno avvisare la Consob. Alla testa

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Giuseppe Mele 2014

dell’organo di vigilanza non c’è più però l’amico Spaventa che non mosse

ciglio all’illegale creazione del più grande debito mai imposto ad

un’azienda sana, nell’Opa a debito di Colannino. Ora c’è Vegas che non ha

perso tempo e mandato le carte in tribunale. Non è chiaro di quanti voti

disponga Blackrock, che, vista la mala parata, si è liberata di un po’ di peso

ed ha dichiarato che si asterrà. Anche Assogestioni si dichiara

indipendente. L’associazione però è controllata, guarda un po’, da Intesa

Sanpaolo, Unicredit e Generali. Il presidente Siniscalco è fornitore di se

stesso. La sua Morgan Stanley ha fatto laute commissioni emmettendo unl

prestito obbligazionario da 1,3 miliardi a conversione obbligatoria in azioni

a favore di Telefonica e Blackrock. Un altro aiutino appena prima

dell’assemblea, che Fossati, escluso dal giro premiale, indica come

ennesima dimostrazione dell’eterodipendenza aziendale. Fondi e banche

sono azionisti sia di Telecom che di Telefonica, due colossi dal debito

complessivo di 70 miliardi. Salotti vasocomunicanti, che al contrario della

borsa inglese, dello stato francese e della banca tedesca, a tutto pensano

fuorchè al famoso “valore”. Conflitti d’interesse mai visti, mai denunciati,

mai giudicati di bocconiani, associazioni, gestori, fornitori, iperfondi,

azioni supplettive e presidenze blindate sono scesi in campo, con evidente

spirito liberista e capitalita, per arginare le indicazioni del mercato

internazionale. A questo punto tutto dipende dalla partecipazione dei

piccoli fondi, proprietari dell’80% di Telecom. Dopodichè comincia la

telecronaca, anzi la twittercronaca dell’assemblea Telecom, fissata a

Milano per le 11 del 20 dicembre.

2013 Twittercronaca dell’Assemblea

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Giuseppe Mele 2014

Telecronaca, anzi la twittercronaca dell’assemblea Telecom, Milano ore 11

del 20 dicembre. Puntate precedenti: Le banche nazionali sostenute dal

governo e dalla Bce, hanno scaricato l’azienda rientrando di metà del

debito, consegnandone il controllo per pochi soldi all’incumbent spagnolo

Telefonica che subito ha incamerato uno dei due mercati sudamericani

dove controllante e controllata sono accaniti concorrenti. Agcom agevola, il

governo non si oppone ed un pezzo del Pd ne salva l’onore sbracciandosi in

una inutile opposizione. L’autodistruzione della prima impresa digitale

nazionale non è una novità ma l’accellerazione provoca la condanna del

mercato internazionale, tanto da dare la forza a Fossati di Findim ed agli

altri piccoli azionisti di chiedere la sfiducia degli amministratori. Per

metterci una pezza, bocconiani, associazioni, gestori, fornitori, iperfondi,

azioni supplettive e presidenze blindate si esibiscono nel campionario di

conflitti d’interesse di cui solitamente non si parla, con quello spirito

liberista e capitalita fatto per arginare le indicazioni del mercato

internazionale. Dopodichè sperano che non ci sia la vociferata

partecipazione in massa dei piccoli fondi, proprietari dell’80% di Telecom,

cui le indicazioni istituzionali internazionali dettano di mandare a casa il

CdA espresso da Telco, primo azionista con il 22%. Il gruppo di comando

ha ricorso nelle ultime ore a 1,3 miliardi di azioni in più di un convertendo

ad hoc per sventare la revoca del Cda dell’Ad Patuano. Da parte sua Fossati

nella revoca, ha proposto 5 nuovi candidati: Gamberale, Castellano capo

della Sace, l’ex manager Telecom di Genova, Lombardi di Asati,

associazione dei piccoli azionisti Telecom e la Mainini del Consiglio

Nazionale Anticontraffazione, in un CdA sempre a 15 amministratori. Non

c’è atmosfera da avanspettacolo del 2007 quando in un’altra assemblea

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Giuseppe Mele 2014

Grillo prese per i fondelli il management nemico dei Tronchetti già beffato

dallo sgambetto delle promesse e del loro ritiro da parte del governo Prodi.

Quando alle 11.12 Minucci, vicepresidente in quota Telco, apre

l'assemblea. è presente solo il 54,26% dell’azionariato. L’Ad Patuano si

sente sotto accusa da parte dell’opinione pubbica e finanziaria e comincia

la difesa:“Non siamo in crisi né di idee né di strategie. Abbiamo liquidità

per 5,3 mld; ridotto il debito di 9 mld tra 2007 e 2013 (inferiore ai 27 mld a

fine 2013). e raggiunto nel 2013 i 23,5 mld di fatturato (16,2 in Italia) con

4,3 mld di investimenti, (21 mld tra 2007 e 2013). Il giovane Ad non si

pente di nulla (avremmo dovuto vendere prima La7, sempre in rosso ed

anche l’Argentina), ostenta sicurezza (Abbiamo portato il 3G al 90% degli

italiani. Il CdA ha sempre rispettato principi e regole della corretta gestione

e la comunità finanziaria non vuole vedere che il debito è ampiamente

sostenibile, con l’obiettivo di limitarlo ai 21 mld) e si trincea dietro una

naive ignoranza degi eventi (“Non ho nessun rapporto diretto con Telco.

Difficile sapere quante azioni abbia in assemblea BlackRock. Mai ricevuto

anticipazioni del dettaglio del passaggio di quote” in Telco, società che

detiene il 22,4% di Telecom e nella quale Telefonica ha acquisito la

maggioranza per le cessioni di Intesa, Generali e Mediobanca; il

convertendo in azioni, preassembleare, a vantaggio di Telco e BlackRock e

discapito Findim "è avvenuto senza alcun extra-valore ai sottoscrittori").

Patuano vorrebbe finire in crescendo (Il downgrade dell’azienda che deve

ridursi su se stessa non è truffaldino ma motivato dal contesto competitivo

e macroeconomico negativo) vantando che grazie al suo piano le azioni

siano in crescendo. Non ha finito di parlare che cominciano le contestazioni

dal pubblico. “Le azioni risalgono in prospettiva della vendita dell’ultimo

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

gioiello, Tim do Brasil”; Che successo! Il titolo è salito da 0,47 a 0,70!;

“Dove avete creato valore per i soci?”; “Anche TIMedia è stato un

successo, che grande vendita!”; “Questa Blackrock porta male..”; “Visto

che siete inidonei a decidere, almeno abbiate la dignità di far prendere

all'assemblea certe decisioni”. Tra la marea di voci negative in

un’assemblea che non sentirà un intervento a favore del CdA, alle 13.04

prende la parola l’oppositore Fossati di Findim che chiede “a tutte le

minoranze di votare per revocare tutti indistintamente i singoli

amministratori del Cda ad esclusione di Luigi Zingales",. Le sue parole

mandano in onda gli ultimi eventi, ma anche il film di una lunga

dissipazione. Passano nelle menti di tutti i fotogrammi dei “danni

patrimoniali, dubbia trasparenza, scarsi risultati, scelte dubbie,

informazioni negate e privilegiate, amministratori Telco non indipendenti.”

Scintillano fulmini “Non polemiche, ma puntualizzazioni sugli scarsi

risultati aziendali e gravi erosioni patrimoniali”, fino al tuono: “Da quando

c'è Telco il titolo ha perso 70% del valore.” Il teorema di Fossati è il

tradimento dell’azienda, eterodiretta da Telefonica. Accusa che non ci

siano progetti, se non il prolunganento delle svendite. Viene fuori il punto

centrale, la sorte che avrà Tim do Brasil che garantiva 500 milioni di

revenues al tempi del famigerato Luciani, ridottesi nel tempo alla metà.

Patuano si è sgolato: "La controllata in Brasile è strategica" e Fossati lo

incalza: " Se davvero non c'è controllo di Telco su Telecom allora non

saremo costretti a vendere Tim Brasil, giusto? Spero che tra Natale e

l'Epifania non arrivi un'offerta che non si può rifiutare. Cosa farà

Telefonica? Esce o vende la sua controllata Vivo in Brasile?” Finchè, nel

ragionamento sembra arrendersi all’ineluttabile: “Se proprio dobbiamo

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Giuseppe Mele 2014

vendere il Brasile almeno facciamo bene i conti, vale molto di più...”.

Minucci toglie la parola a Fossati e l'assemblea insorge chiedendone

l’entrata nel CdA. Patuano è subito d’accordo, quasi a trovare la soluzione

unitaria di compromesso ( “Fossati ha un’esperienza interessante”) ma

l’oppositore si schernisce: “ Sono più efficace fuori da CdA, per

intercettare capitali (alternativi). Il presidente di Asati, Lombardi minaccia

Minucci: “Verificherà la Consob sulla sua indipendenza.” Sono passate

sette ore e mezza di tortura per il gruppo di comando che non vuole più

dibattito ma solo votare. Non a caso, c’è solo metà del capitale a votare,

pesa il 5,15% di BlackRock che non lascia l'assemblea e la revoca appare

sconfitta. Poi correranno le smentite sul ruolo determinante del colosso

Usa. Minucci si scatena, prega, urla ai piccoli azionisti, sbotta: “Chi c'è

c'è..Fateci votare, il mondo ci aspetta, l'Italia ci guarda, tutti vogliono

sapere il destino della società” Anche le scritte in sovraimpressione

sull’ultima navetta disponibile che parte in ‘30 invogliano a chiudere.

Finchè alle 18.41 si vota nel silenzio dopo 8 ore di assemblea. Voti e conti

non tornano, il televoto, come per la Florida nel 2000, Xfactor o il Festival

di Sanremo, va in tilt; qualcuno parla di riconteggio. In mezz’ora alle

19.15, i risultati: il CdA è assolto dal 42,3% dei presenti, il 7,4% si astiene.

Fossati sfiora il 23% e blocca solo le entrate in Cda dei soliti prodiani,

Tantazzi (bocconiano, Banca popolare EmiliaRomagna, Il Mulino, Univ. di

Bologna, ex consigliere del governo degli anni prodiani) e Bariatti (Univ.

di Milano. avv. in Cassazione, consulente esterno di Ue ed euroParlamento

dal 2005). Il CdA resta a 11 senza spagnoli e nuovi prodiani. Su di lui

ancora diverse spade di Damocle: l’impugnamento della delibera,

l’assemblea di rinnovo Cda con approvazione del bilancio di aprile e

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Giuseppe Mele 2014

Gamberale, un tempo alla testa di Tim, che non entrato in Cda questa volta,

assedia sempre l’azienda nelle trattative con Cassa Deposito e Prestiti per

lo scorporo di rete.

2012 Parisi ci riprova

Parisi ci riprova e da Presidente di Confindustria Digitale, lancia l’Internet

che cambia l’Italia. Un paio d’anni fa Stefano Parisi, da presidente di

Asstel, l’associazione confindustriale della telecomunicazione, aveva

provato l’accelerazione sul piano di fibra ottica e banda larga. Si era per

forza di cose appoggiato troppo al governo Berlusconi, a Romani e ai

progetti del romano Borghini, tesi a costringere Telecom Italia ad accettare

un piano di gestione collettiva, tra pubblico e tutte le telco private, di

passaggio da rame a fibra. Non è che l’appello per la banda larga d massa

fosse una grande novità. L’anno prima ancora c’era stato il piano Caio, a

sua volta successivo a tanti progetti tesi a modernizzare la rete telefonica,

assicurandone anche la neutralità, cioè il non utilizzo a proprio vantaggio

da parte di Telecom Italia, contemporaneamente proprietaria della rete e

operatrice sul mercato TLC, sulla carta uguale agli altri. Per una di quelle

strane coincidenze temporali, che nessuno mai vorrà notare, successe di

tutto, cioè la magistratura s’interessò dell’Ict. Parisi si ritrovò a dover dare

spiegazioni in diretta al conciliatore Tv Vespa e alla sua piccola giuria

popolar-giornalistica; poi a cambiare azienda, diventando Swisscom;

intanto l’inventore di Metroweb e Fastweb Silvio Scaglia inaugurava la

detenzione prima carceraria, poi domiciliare oggi sempre in corso, giunta ai

363 giorni. Al secondo tentativo, Parisi promosse la filiera digitale,

cercando il fattore comune di tutti i mondi che ormai girano strettamente

attorno alla produzione del tecnosistema Internet, dagli impianti sottoterra e

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Giuseppe Mele 2014

dalle antenne in cielo, alle infrastrutture di cabine e data center, fino a

telefonia, software, telemarketing, applicazioni con la volontà di includere

le nuove facce digitali di editoria e Tv. Qui, affrontando una delle evidenze

più sottovalutate, vale a dire quanto Internet abbia cambiato il lavoro, le

sue gerarchie, i rapporti tra persone e aziende e relative mobilità e logistica,

Parisi suo malgrado finì in rotta di collisione con quello che avrebbe

dovuto essere un alleato, quel Brunetta, autore del Codice

dell’Amministrazione Digitale, rappresentante delle necessità innovative

della Pubblica Amministrazione. Il ministro amava poco la concertazione

però; la filiera sbandò mentre aziende e associazioni iscritte cominciavano

a dubitare dell’efficacia di rapporti istituzionali in cui lo Stato, driver

fondamentale per l’Ict, tirava diritto su norme e scadenze senza consultare

professionisti e fornitori. E ora Parisi, passato al livello più alto e rarefatto

di Confindustria Digitale, dai confini infiniti ed evanescenti ci riprova,

cercando di agganciare l’Agenda Digitale del governo. In un grande

kermesse davanti ad un migliaio di Professional, non più al destrorso

Residence di Ripetta, ma al sinistrorso Auditorium, dove brilla il brand

falce&martello occasionale logo di un concerto di Shostakovich,

l’intervento fiume di Parisi propone l’aspirazione di sempre, l’Ict al potere,

un Ict che non segua le fisime della Pubblica Amministrazione ma che al

contrario la possa cambiare secondo le esigenze di codex, apps, storage,

workflow e tablet. Il tecno inglese, latinorum di categoria, scorre a go-go

sulle bocche dei De Biase, ventennale tecnogionalista del Sole, che ha

l’onestà di riconoscere in Confindustria il suo editore; e dei Befera che

mette in campo il pezzo PA che su efficacia e interoperabilità dei database,

ha fatto passi da gigante in Sogei, Agenzia delle Entrate ed Equitalia;

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Giuseppe Mele 2014

soprattutto sulle bocche delle star, il ministro Passera (con il collega

Profumo) e la commissaria per l’Agenda Digitale europea Neelie Kroes.

Non c’è voce dissonante, nell’unanimismo confermato dall’assenza di

Formigoni. Passera promuove con i complimenti Parisi; non ha nulla da

aggiungere ai cinque punti di Confindustria Digitale: più Venture capital e

più domanda pubblica e privata online, banda larga, riforma del diritto

d’autore, formazione digitale. Esce la coda di paglia, qui e là, della paura

recessiva. Lo Stato digitale, gli acquisti online familiari, il cloud, la fine del

copywrite promettono tutti risparmi, che in fondo sono minori fatturati. E

tutti a consolar che non è vero. Parisi chiede oggi l’Iva al 4% per gli e-book

come ieri chiedeva qualcosa dei quattro miliardi dell’asta frequenze; o

almeno che le Poste non facciano pagare il bollettino online il 35% in più

che allo sportello. Sa che non sarà esaudito, ma almeno prova; sempre con

lo spirito di ieri rivendica la leadership tecnologica italiana che per la

stampa, ferma all’allarme digital divide, non esiste. Passera plaude alla

positività, ai sogni che danno forza, al potere centrale che imponga

d’autorità carta d’identità elettronica, acquisti online, email certificata e

stigmatizza la disunità di camere stagne che senza collaborare, fanno le

stesse cose in migliaia di associazioni, enti centrali e locali. Ricordando

l’esperienza da AD Poste, cerca di essere le visage humaine del governo

fiscale. Sembra, però, che la soluzione sia obbligare gli anziani, quei 16

milioni di pensionati, a internettizzarsi. Il discorso batte sempre sul lato del

consumo, mai sulla produzione che nelle varianti, solide e virtuali, non ha

sostegni o strategie. Il trevigiano Donadon, un Rosso dell’ICT, racconta di

tecnoincubatori sparsi nella campagna di fronte a Venezia e al fiume Sile;

enfatizza territorio ed export ma è l’unico. Agli altri interessa come

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Giuseppe Mele 2014

comprare, a costi inferiori, o finanziare. Il lombardo Maccari annuncia la

fibra entro dicembre per gli ultimi 700 comuni mancanti. I ministri

annunciano call da due miliardi, che in realtà stanno dentro i fondi

strutturali. La Kroes, venuta a seguire da vicino l’Agenda italiana e i

“ministri che ci mettono la faccia” plaude all’uditorio, non pastasciuttaro e

paziente fino all’ora di pranzo, ma ribadisce che gli italiani adulti non sono

digitali e critica i tentennamenti sulla posa della fibra. Ammicca

continuamente con fare sbarazzino, un “lo dico solo tra di noi”, in completo

contrasto con il tailleur dai grandi baveri bordati goeringhiani; difatti non

accenna all’inchiesta in corso contro le grandi telco. Mentre ripete la

visione ottimistica che dal ’94 Bruxelles sciorina sui futuri milioni posti di

lavoro creati dal digitale e si raccomanda “Tenetevi questo governo”,

nemmeno sente la triste battuta di De Biase: “Speriamo che un giorno un

americano le scriva un messaggino tipo twitter usando una piattaforma IT

europea.” Bei sogni. Il Parisi ter ci riprova con il nuovo establishment che

sembra promettere sogni senza sorprese da incubo. Almeno finché non ci si

sveglia.

2012 E-alamein

Paradossalmente la voce grossa fatta dal Presidente a difesa dei marò

sequestrati in India, nel giorno solenne che ricorda la più importante delle

scarse vittorie militari dell’Italia moderna non poteva apparire più debole e

chioccia. Nessuno, tranne quel gianburrasca del grillo parlante, ci ha

troverà da ridere. Analogamente se la sarebbe dovuto cavare il ministro

della Difesa De Paola, allo start dei giorni ottobrini celebrativi nel 70° della

battaglia di El Alamein sul fronte africano dove morirono in 4mila

paracadutisti e 35mila caddero prigionieri. De Paola ha usato le stesse

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Giuseppe Mele 2014

parole di Napolitano ma contro di lui si sono scatenati, senza ritegno, gli

animi esasperati e divisi dell’Italia attuale. Cori, fischi e insulti di militari,

ex militari, militanti, amici e parenti dei soldati, degli uccisi e deitraditi, in

30 anni di missioni di pace e guerra, hanno zittito il ministro da destra, fin

al suo ritiro negli spogliatoi allo stadio di Pisa, stretto tra base Nato e

caserma della brigata Folgore. Quasi un arbitro in fuga davanti a spalti

inferociti. Fuori per le strade pisane sgombrate dai cassonetti, per timore

che venissero incendiati, lo attendeva, da sinistra, l’immancabile corteo

anarchico e pacifista a contestare la celebrazione di un evento militare, a

prescindere, e poi nello specifico, il ricordo di un evento militare della

guerra fascista. Il corteo è potuto arrivare trionfante all’Università pisana,

che reca allegra nei muri antistanti un allegro Berlusconi muori e dove per

contestare i festeggiamenti era stata occupata la facoltà di Scienze

Politiche. El Alamein, in effetti, è indicativa della mentalità italiana. La

battaglia decidette le sorti dell’occupazione o meno, da parte dell’Asse

italotedesca, dell’Egitto inglese e quindi del Medio Oriente, e del sogno

nazista di portare il conflitto nell’Asia sovietica e britannica. L’orgoglio,

italiano, mal e mai confessato tra le righe, sta in questa prospettiva di ruolo

proattivo e mondiale, che nei fatti all’epoca della battaglia era già molto

ridimensionato, dipendendo l’italo fronte dall’arrivo e dall’avanzata dei

panzer tedeschi nel deserto. Questo pensiero, molto nascosto negli strati

profondi del subconscio, confessa anche che molto antifascismo e tutta una

serie di accuse antiregime, dal razzismo al liberticidio, dalle mistiche alla

repressione e persecuzione dei rivali politici, si riducevano spesso ad una

sola e insindacabile condanna, identificabile nella sconfitta, con tutte le

conseguenze dei disastri dei bombardamenti, della fame, delle occupazioni

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Giuseppe Mele 2014

e della guerra civile. Per l’Italia moderata e nazionalista, El Alamein,

ultima luce di una possibile vittoria, prese nel dopoguerra un valore

positivo, di esemplare eroismo della Pavia, Folgore e delle altre divisioni

immolatesi in Africa. A pensarci bene, il peso romantico delle ipotesi di

ruolo e vittoria prevalsero anche sull’antinazismo, facendo scordare che i

germanici di El Alamein non erano meno nazisti di quelli della successiva

occupazione d’Italia. Il riferimento al valore e coraggio militari resta, come

il sacrario costruito in Egitto, un monumento sostanziale, lucente nella

memoria storica in paragone al tracollo istituzionale, sociale, psicologico e

morale che si concretizzò con la sconfitta. Malgrado i marmi ed il rispetto

dovuto, anch’essi in realtà contano poco davanti alla condanna ideologica:

gli skill militari dei serbi o dei pasradan non valgono ad affievolire la

condanna universale nei loro confronti. La questione svela molto della coda

di paglia italica nelle questioni belliche. Russi, tedeschi ed angloamericani,

come un tempo, i piemontesi, si giudicano da sé, senza esigenza di

complimenti altrui. L’insicurezza nazionale, in guerra ed in diplomazia,

fortissima anche oggi, come evidenzia la stessa vicenda dei marò,

evidenzia una distanza tra istituzioni ed una società capace di produrre una

forte industria bellica ed un imponente sforzo logistico e finanziario nelle

tante missioni ingrate fatte al servizio altrui. In genere, in un contesto come

la Pisa rossa nell’ancor più rossa Toscana, buropolitica e cortei pacifisti

viaggiano insieme, in genere sui pullman messi a disposizione dalle

prefetture per poter berciare con comodo contro l’indifferente campo Nato

di Tirrenia. In questi casi il sindaco deve momentaneamente divorziare

dagli studenti. Il ministro non a caso ha ringraziato per il sostegno il

sindaco Filippeschi che da parte sua ha voluto apprezzare il senso civile e

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Giuseppe Mele 2014

civico dei “nostri militari”, i quali insomma, non importa quanto siano

bravi a fare la guerra, sistanzialmente sono ottimi a non buttare carte in

terra. E’ una fortuna che il sacrario di El Alamein stia al di là del Mare

Nostrum; fosse stato di qua, avrebbe impegnato milioni nella ripulitura dai

continui atti vandalici. Pisa aveva 90mila abitanti nel ’61, venti anni dopo

toccava i 104mila. Altri anni; ormai è un decennio che perde abitanti. La

presenza studentesca, quasi tutta meridionale, massa di 50mila giovani, è

quasi la metà di una città vecchia che campa di pensioni, stipendi pubblici e

affitti. Porto senza mare, imperiale senza impero, borghese senza

borghesia, centro militare ma pacifista, capitale dell’informatica italiana

senza aziende Ict di peso, a Pisa non si festeggia solo El Alamein, ma

anche la sconfitta della Meloria che segnò la fine della terza repubblica

marinara e che fece sparire anche gli autoctoni, sostituiti dai fiorentini

colonizzatori. Ad inizio ottobre tutto il rassemblement delle istituzioni

locali, un grande monocolore Pd, ha festeggiato il suo Festival di Internet,

ovviamente lasciandone la gestione a Milk e Sistema, società culturali

messe in piedi a Firenze per il locale festival della creatività. I creativi

fiorentini, per omaggiare Internet, si sono inventati sul Ponte di Mezzo un

percorso pedonale di megaschermi con filmati di personahgi urlanti, una

perfomance da anni ’80, quando almeno si usavano laser ed ologrammi, un

inno all’interattività degno dei nostri giorni: auspicata e non applicata.

Hanno individuato i grandi della tecnologia: in Googleo Galilei, Steve J.

Marconi (area Maker), Mark Gutenberg (area Teller), e Obamo Lincoln

(area Citizen), dedicando loro le 4 giornate, i 104 eventi, i 200 relatori e le

12 location tra esposizione della smart card dei servizi, rigorosamente

comunale e Stati generali dell’innovazione che aspettano sempre una

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Giuseppe Mele 2014

propria pallacorda. Nei giorni della morte della carta stampata per mano

della rete e della fine dell’open source a causa della ownerhip IOS Apple, è

divertente notare come l’identificazione tra storia dell’informatica ed

informatica giochi brutti scherzi. D’altronde tutt’oggi nel giovanilistico

Internet governance forum ci sono i retecrati che frequentarono nel 1969 il

primo corso di laurea in informatica o che collegarono nel 1986 la prima

connessione nazionale ad Internet. Non vanno a vedere certamente filmacci

di serie b come “Il cacciatore di vampiri”nel quale il terribile repubblicano

Abramo Lincoln va a caccia di vampiri che non sono altro che l’esercito dei

sudisti, i nonni del partito democratico Usa. Con grande strafalcione

storico, i professori pisani, pur di tifare Obama, hanno fatto delll’alto e

ossuto presidente Usa uno di Dixieland. Evidenziando anche l’incapacità di

avvicinare le masse giovanili agli eroi patri, come fanno invece

continuamente negli Usa. Avessero voluto provarci, c’era facile facile una

applicazione da distribuire su smartphone e tablet: E-lalamein. Un

compendio di storia, geografia, ideologia, militaria e psicodramma

nazionali con tantissime valenze distributive e cognitive e con possibilità

audio infinite, dalle grida di dolore ai rombi di cannone, dagli applausi ai

pianti, dai fischi ai cori, storia di decenni ridotta a cronaca infinita, mai

chiusa nella condivisione. Più interattiva di così. Troppo per la città

simbolo dell’informatica italiana, un’informatica, che in realtà non c’è più,

fantasma, come i militi ignoti di E-lalamein.

SMAU e FORUMPA.

Le principali fiere dell’informatica e delle tecnologie includono, campioni

bel contesto privato e pubblico, Smau e FORUM PA. Il primo, Salone

Macchine e Arredamenti per l'Ufficio, tiene la sua principale edizione

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Giuseppe Mele 2014

dedicata all'Information & Communications Technology (ICT), dalla sua

nascita nel lontano 1964, a Milano in autunno con una media di 50mila

presenze. Il secondo festeggerà la 23° edizione a Roma dal 16 al 19

maggio, nell’evento clou tecnologico della Capitale, con una media di

300mila visitatori, 15mila al giorno, un pieno di visite di interessati, ma

anche praticamente comandate per consulenti e fornitori PA come

sull’onda dei crediti formativi per il personale pubblico. Il Forum, che ben

esprime le modalità di approccio di gran parte del paese alle innovazioni,

venne partorito ai primi ’90 nell’epoca della riforma Bassanini della PA, e

dell’instaurazione della cosiddetta comunicazione pubblica. Quest’ultima,

un tempo solo Rai e veline prefettizie, dovette uscire dall’aura di

riservatezza, per decenni giudicata omertà pubblica e si trasformò in uno

strano centauro, mix di pubblicità, propaganda, uffici stampa, uffici di

gabinetto riservati, management, portavoce e fiduciari della grande

burocrazia centrale e locale. Da questo milieu, molti che un tempo

trovavano posto nell’ampia pubblicista par accademica partitica e

sindacale, sono saliti ai vertici di Agenzie, Authority, Centri culturali e

Fondazioni, in quello che voleva essere un processo di innovazione

selettiva della classe dirigente e che invece si è evoluta nell’ingrassamento

del suo peso sul paese. Due le colonne del ForumPA : il primo è il portale

con gli eventi promossi o accompagnati; il secondo è l’evento di maggio.

Molti lo credono parto dell’innovazione pubblica mentre in realtà non è né

cosa pubblica, e neppure cosa privata, ma solo un marchio, cosa di

immediata comprensione se si pensa al nome originario, Romacasaufficio,

assai simile all’acronimo Smau. Lo gestisce l’Istituto Mides, che malgrado

il nome non è un istituto culturale, sotto le sapienti cure del presidente

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Giuseppe Mele 2014

Carlo Mochi Sismondi. Il portale, lungi dal vantare gli effettivi meriti

fieristici, in nome della neutralità della buona innovazione, di auto

conferite competenze pro bono di e-government e democrazia elettronica

che verrà, ha sempre attaccato unilateralmente tutte le attività nel settore

del centrodestra, da Stanca a Borghini a Brunetta, ridicolizzando con la

Lega anche le best practises lombarde Le veline hanno lasciato il mondo

pubblico per ridefinirsi in quello privato ma le tessere no, contavano ieri

come oggi. Non a caso Osnaghi, campione dei piani ICT di Prodi di 2

decadi fa viene ora riproposto da Di Pietro. Il prossimo ForumPA, senza il

fiato sul collo del concorrente convegno brunetiano della Siav Accademy,

cambia linea sul Cad, Codice dell’Amministrazione Digitale,

improvvisamente divenuto all’altezza di quella leadership italiana nei

servizi di egoverment che, certificata dal’Europa, i nostri esperti non sono

mai in passato riusciti a spiegare. Per il resto si preannuncia il peana per

Agenda Digitale, titolo dell’evento fieristico oltre che dell’iniziativa del

governo Monti. A marzo lo Smau ha fatto a sua terza puntata romana con

5.600 presenze, anche se l’AD Smau Pierantonio Macola sottolinea gli

8.500 i registrati. Lontano il successo dello Smau Mediterraneo 2000, i

16mila visitatori ed i 130 espositori di allora. Gli espositori sono stati gli

stessi 80 del 2011 con 13 regioni rappresentate, a parte la ditta danese di un

gentile manager emigrato trevigiano. Su 500mila lavoratori del settore,

Roma ne ha di più: 80mila nella Capitale e 73mila a Milano. A Roma è

presente il 24,3% delle imprese della telefonia, il 19,3% dell’IT e meno del

10% dei servizi di informazione, a Milano rispettivamente il 16,5%, il

18,2% ed il 12,7%. Il Lazio, dice Zanchi di NetConsulting, ha più banda

larga nelle imprese della media nazionale (84, 3% vs.83,1), è 1° nei

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Giuseppe Mele 2014

progetti europei di ricerca, 2° solo alla Lombardia per impiegati in ricerca.

I distretti industriali delle Marche a sorpresa risultano i più digitalizzati. Da

Roma Digitale a Roma Wireless e Roma Wifi, il coinvolgimento

competitivo di Comune, Provincia, Regione, Confindustria,

Confcommerc

io e le

innescabili

attività del

consorzio del

Distretto

Ict&audiovisi

vo e della

Fondazione

FMD del

Comune,

dell’E-lait regionale, del Cattid de La Sapienza testimoniano attenzione alle

tecnologie. Lo stand Confcommercio, in assenza del suo guru Gatti, avendo

Smau Roma scelto l’infoprovider rivale, Nextconsulting, come relatore di

maggioranza, portava in bella vista la scritta Provincia di Roma Capitale. Il

lapsus, più che alla scarsa conoscenza delle riforme costituzionali, è

l’ammissione della leggerezza pubblicitaria con cui gli stessi professionisti

prendono ormai i progetti tecnologici di ampio respiro. A Smau Roma non

c’erano gli Alemanno, Polverini, Zingaretti, non parliamo del governo. La

VI° inchiesta sull’ICT nella Capitale, lavoro Comune- La Sapienza è stato

presentato dall’assessore al commercio, molto noto ad Ostia, meno in

Internet. dell’Opificio Telecom Italia sull’Ostiense. Nebbia no comment su

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Giuseppe Mele 2014

Roma Capitale Digitale, il fiore all’occhiello 2009 di cablaggio in fibra di

tutte le case romane entro il 2013, impegno da 600 milioni di telco ed

Unindustria romana. Telecom ha cablato Prati, Belle Arti, Appio e

Pontelungo; alla collina Fleming ci hanno pensato Fastweb, Wind e

Vodafone. Poi Telecom ha troncato il budget. Difficile che Alemanno

cerchi soluzioni alternative mentre gli mancano 2 miliardi per le semplici

spese correnti. Ci penserà il nuovo presidente di FMD Gennaro

Sangiuliano? Lo Smau punta tutte le sue carte sulla tecnologia distribuita

nelle città, valvola di sfogo e profitto per le Pmi a partire dalla

videosorveglianza. Il partner dovrebbe essere l’Anci, l’associazione, iper

disomogenea, dei Comuni che in passato ha già registrato il fallimento

dell’Ancitel. L’applicazione delle tecnologie può solo volare basso e

territorialmente. Appena il quadro si fa generale pesano i costi dell’ICT

politico, che molti non conoscono e su cui gli addetti ai lavori stendono un

velo pietoso, dove sfuggono i reciproci confini delle tante sigle associative

imprenditoriali private, pubbliche, miste. Confindustria Servizi Innovativi -

Tecnologici, Confindustria Digitale, Confindustria Cultura, Anie,

Assinform, Assintel, Assinter sono come tanti partiti, con i loro consulenti,

la quadriglia di concetti e slogan, ripetuti da anni, a prescindere dagli

eventi. IBM ed Engineering ne sono uscite fuori, gli installatori di Astel

sono andati nel metalmeccanico Anstall. Sopravissuti pezzi di ItaliaLavoro,

la romaniana Infrascom aspettano ala finestra il grande piano di fibra ottica

che sulla carta l’Agcom dell’ex ufficio stampa Calabrò dovrebbe guidare.

La retorica, tra modello ForumPa e Smau , vince tra giovani e vecchi. Per

Lucarelli di Confindustria Servizi Innovativi -Tecnologici, “Non c'e più

tempo da perdere: urgono investimenti in innovazione e regole più

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Giuseppe Mele 2014

semplici”. La Confindustria Digitale di Parisi vuole realizzare l’Agenda

digitale del paese. Stesse parole al World Wide Rome all’Acquario

Romano, per gli artigiani, creativi digitali, magari anche indignati,

dell’economia della Rete, ora innamorati del nuovo guru Chris Anderson (

che non è il protagonista di Matrix ma un Deleuze con tablet). Dice

Mondello, Tecnopolo Spa, c’è il “bivio: o spazio ai giovani makers o è

tardi per l’innovazione”. Chissà se i makers sanno che Tecnopolo è

un’azienda praticamente pubblica di Camera di Commercio, Comune,

Filas, Regione. Al paludato “Oltre le nuvole. Italia protagonista web” si

confondono i minori costi della Nuvola con i vantaggi effettivi per il nostro

tecno sistema. Palludati o scapigliati tutti d’accordo nel sognare

l’impossibile finanziamento pubblico di un ICT democratico e no profit,

concetto in nuce opposto e contrario ai motivi e metodi dell’affermarsi

mondiale del VI° potere, Internet. Malgrado l’evidenza si riesce a plaudire

a Lessig del Creative Commons ed a remare al contrario. L'Ict crea il 5%

del Pil europeo (€660 miliardi) con il 2,6% dei lavoratori (4,7 milioni), ma

dal 2010 le sue revenue calano, mentre sulle telco europee, accusate di

cartello, pesa un meno 10 del valore azionario. La politica europea non se

ne accorge e blinda i prezzi della telefonia al ribasso per legge, caso unico

in tutti i mercati. Nessuno ha da ridirne. In Italia l’ICT, un milione di

lavoratori, ha dimezzato il fatturato precrisi del 4% e mentre sogna le apps

e òa Tv taggata, esternalizza molte attività di qualità. E’ il trionfo del

modello ForumPa, ricopiato dai colorati Working e Barcamp. Ha ragione

Macola. Quando il cameriere usa il tablet per farti ordinare la pizza, in

campana. E’ l’ICT piccola e possibile in azione, l’unica possibile, che costa

meno di quanto fattura.

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Renzaurazione

Giuseppe Mele 2014

13 gennaioI 2010 I blogger, più vecchi che mai

2 febbraio 2010 Gentiloni dà ragione a Cicchitto: il si al broadband è un no a Telefonica

Il “Costruiamo l’autostrada della conoscenza” del 22 gennaio scorso di

Fabrizio Cicchitto è una risposta a “L’Italia in rete” di Paolo Gentiloni del

20 maggio 2009. Ieri come oggi, allo stesso tavolo politici, col Pdl al posto

del Pd, tutti i nomi delle telecomunicazioni in una sala affollata dai

dirigenti del settore, da Fastweb a Vodafone e Telecom ( manca solo

Francesco Caio). Ieri era vigilia di elezioni europee, oggi di quelle

regionali. Ieri il problema Telecom, oggi pure; ieri come oggi la questione

barda larga, per la quale gli appelli di tanti, da

Di Cola della Uilcom a Calabrò della Agcom

sono andati inascoltati. Finite le somiglianze,

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la maggioranza mostra più concretezza. A cominciare dal vigoroso vento

positivo della celebrazione riabilitativa craxiana che spinge le vele della

fondazione di Cicchitto, Rel – Riformismo e Libertà –alla sua prima uscita

pubblica dopo la nascita, mentre Gentiloni registra il vuoto attorno dei

cattolici in fuga dal suo partito. Il 2009 è stato l'anno degli studi di Caio e

Scajola ne approfitta sia per dare al Governo “uno dei molti meriti, quello

di aver portato la Banca Larga al centro del dibattito”, sia per annotare che

preprivatizzazioni le tlc italiane erano in testa.. Nel maggio il Pd difendeva,

per principio e per ciccia, sia le scelte prodiane del management Telecom e

l’ assetto azionario sia il Piano Caio che pure faceva un quadro impietoso

delle tlc nazionali. Con la Cgil doveva contraddittoriamente difendere un

Bernabè capace di migliaia di licenziamenti e di colpevolizzare l’utenza

insensibile ai servizi avanzati, nella speranza che il denaro pubblico e la

nuova neutralità della rete all’inglese sistemassero le cose. Tanto le colpe

erano sempre della gestione Tronchetti e Ruggiero, del digitale terrestre di

Gasparri e di Mediaset.. Ora Gentiloni ammette: la spagnola Telefonica era

un terzo di Telecom, ora ne è il doppio. Le cose sono peggiorate per

l’incumbent tlc italiano, al di là delle ultime 78 sedute di borsa al ribasso,

del calo di fatturato ed utili. Un vero pugno nello stomaco sono state le

dettagliate informazioni date alla stampa sulla pratica Telecom di gonfiare i

dati di mercato delle schede telefoniche mobili, sulla responsabilità di

dirigenti citati per nome e cognome come delinquenti per quanto non ci sia

traccia di azione penale contro di loro, infatti sono apparse con grande

risalto sulla stampa. L’enorme cifra di 5 milioni di sim false, garantita da

documentazione aziendale e dalle dichiarazioni di Bernabè, può scusare dei

cattivi risultati, ridimensionare i valori delle precedenti gestioni, ma è una

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nuova mazzata tremenda, dopo la questione intercettazioni per lavoratori,

collaboratori e fornitori ed in ultima analisi, con buona pace della

concorrenza, per tutte le tlc italiane. Se l’affaire intercettazioni sostenuto

con energia da D’Avanzo su La Repubblica, rientrava nel clima

dell’aggressione contro gli accordi tlc-tv Tronchetti-Murdoch, questa

nuova delegittimazione di Telecom, puramente suicida, non trova

giustificazione apparente. Il retro pensiero di Cicchitto allinea gli ultimi

eventi: dal rafforzamento a sinistra dovuto all’entrata del neo Cfo Mangoni

all’uscita Benetton dal capitale, fino al sorprendente rifiuto opposto

all’ingresso nella sua società internazionale dei fondi della Cassa depositi e

prestiti. Dice l’ex socialista lombardiano: in 15 anni le tlc, dal monopolio a

tecnologia stabile ad una concorrenza a rapidissima innovazione, con

ampliamento dell’offerta e diminuzione dei prezzi, ora determineranno la

reale digitalizzazione della PA portando a realtà i sogni dei Piani Osnaghi e

Stanca. A questo servono larga banda e fibra ottica più che cambiare il

digital divide o alzare i fatturati di un settore che anche con la crisi non è

andato in rosso. Insieme a mezzo governo e Parisi di Fastweb recita il de

profundis per la rete in rame e per una PA impermeabile al web, che rende

Internet non indispensabile e dunque senza sviluppo. Esalta la rete di

Telecom “che è una delle più redditizie d’Europa” e che può sopportare 8

anni per il ritorno sull’investimento di 10 miliardi di euro per una rete in

fibra ottica, ricorda rifacendosi a Caio il capogruppo Pdl alla Camera,

anche perché il governo è pronto ad aiutare., D’altronde era stato proprio

Bernabè a dire che la banda larga Usa ad altissima velocità è una realtà,

grazie al regolatorio che ha permesso un adeguato ritorno degli

investimenti”. C’è però il delitto delle modalità di privatizzazione ed il

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peso dei 37 miliardi di debito. Altro che Tronchetti ed intercettazioni: il

paese deve pagare le scelte dalemiane. Cicchitto fa dunque un invito chiaro

a Bernabè: di ritrovare la crescita e seguire “la strada sulla quale tutte le

aziende di tlc si misurano”, malgrado il peso debitorio. E se non ce la fa

non si ostini a rifiutare l’ingresso di altri capitali, non dica no ad una nuova

mini Iri di settore. Il discorso di Cicchitto è tempista: l'esecutivo Telecom

ha appena preparato l’allungamento di un anno del piano industriale per il

Cda del 25 febbraio. Senza licenziamenti e vendite, con Bancaintesa

desiderosa di uscire dopo gli effetti globali delle ultime norme finanziarie

Usa, si prospetta la fusione Telefonica Telco e l’inglobamento

dell’incumbent italiano in quello spagnolo. Non c’è parità tra i due ex

monopolisti, dopo l’effetto negativo avutosi in Sudamerica e quindi

Cichitto chiosa, portando le motivazioni per cui con impressionante

compattezza Romani, Sacconi, Borghini, Scajola, ma anche Uil e Cisl

giudicavano la presenza di Telefonica elemento critico: ''Sarebbe grave

vedere il nostro paese arretrare non per motivi di nazionalismo, ma per

motivi strategici e aziendali''. E Gentiloni si allinea: è insostenibile privare

Telecom della Rete, ma non credo sia giusto rassegnarsi all'inevitabile

'male minore' costituito dalla fusione con Telefonica''. Telecom faccia

entrare Cassa Depositi e prestiti. Mentre il Fatto dipietrista denuncia

l’aggressione berlusconiana a Telecom, anche il Pd si allinea a Cichitto.

Forse è troppo tardi però per fermare la guerra di imprese che dopo

vent’anni vive ormai di vita propria. Non nuovo alle proposte di fusione,

Bernabè potrebbe vederne il secondo fallimento come fu con Deutsche

Telecom

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2010 6 agosto Questa volta meglio Telecom che Fiat, anche per PIRANI, segrettario UIL

Dopo 20 giorni e 23 ore di trattativa ininterrotta, alla fine nella notte, nella

migliore tradizione delle relazioni industriali, per la seconda volta in tre

anni, Telecom Italia è stata fatta recedere dall’intenzione di licenziare

migliaia di dipendenti. Paolo Pirani, responsabile in Uil del settore tlc, non

può fare a meno di trasmettere la sua soddisfazione, perché mentre un

fronte composito di Fiat .ed estremisti puntano allo sfascio di ogni

contrattazione collettiva, “L'accordo raggiunto con Telecom Italia''e'

positivo: sconfigge la logica dei licenziamenti e ripristina un buon sistema

di relazioni industriali tra sindacati e azienda''. Mentre Unicredit sembra

voler seguire il picconatore Marchionni, al Ministero del Lavoro, l’accordo

conferma innanzitutto il ritiro dei licenziamenti annunciati formalmente a

inizio luglio da Corso d’Italia per quasi 4mila dipendenti. Ora molte voci,

in stile dipietrista, irrideranno l’intesa come scontata ed annunciata, un

altro passo indietro del sindacato. Lobbies di azionisti e dirigenti giocano al

massacro interno dell’azienda, agganciandosi alla protesta diffusa che in

fondo considera le trasformazioni intervenute dal ’93 in poi pura illegalità.

Il contesto non era semplice ed anche i principali sindacati si erano

presentati alla trattativa in ordine sparso, quasi più conflittuali tra loro che

con l’azienda. La Cisl tutta impegnata a mostrarsi come la trade union anti

Cgil; quest’ultima, affaccendata a stampare un comunicato dietro l’altro per

attaccare il governo e la sua funzione mera notarile. In questo contesto la

Uilcom laicamente ha cercato di depoliticizzare il tavolo, di mantenervi

unita la più ampia rappresentanza dei lavoratori e di trovare forme moderne

di soluzione. Dice il segretario nazionale Bruno Di Cola: “La Uilcom ha

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fortemente spronato l’azienda ad usare la formazione come strumento

efficace e come ammortizzatore sociale per riqualificare migliaia di

lavoratori non depauperando l’immenso patrimonio professionale di cui

l‟azienda dispone”. Con lui Pirani, ha apprezzato il ruolo del Governo. Agli

uomni della Uil non basta però: il discorso si completa con gli investimenti

sulle reti di nuova generazione, asset strategico per il rilancio dell'intero

settore delle tlc in Italia. Appunto la questione è quella di invertire la

tendenza akl downsizing presa da Telecom Italia e dalla depressione

interna indotta anche dalla caccia alle streghe degli ultimi mesi ed anni.

L’accordo si basa

sul mantenimento

dell’attuale

occupazione e su

nessuna

esternalizzazione.

Garantiti i lavoratori

già posti in mobilità,

che si sono visti

slittare in avanti la

data di

pensionamento, per

i quali i periodi

eventualmente

scoperti avranno il

90% della

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retribuzione. La nuova mobilità per 3900 (e non quasi 7mila) nel biennio

2010-2012 sarà solo volontaria e riservata a coloro che raggiungeranno i

requisiti pensionistici; prorogati per due anni i contratti di solidarietà del

”1254” cui si assoceranno 450 lavoratori dell’azienda informatica, SSC; i

50 professionisti della formazione dell’ex Tils, vittime del fallimento di

Bracciali, saranno riassunti in nella società del gruppo HRS. La

formazione, assieme al telelavoro, che secondo Sacconi è il grande

strumento del futuro per accompagnare e superare le crisi occupazionali

verrà usata per garantire quei 1100 lavoratori senza protezioni sociali di cui

Telecom voleva disfarsi. Molti degli impegni su formazione, informatica e

internazionalizazione non sono nuovi, ma il 4 agosto presenta alcune

novità: la garanzia terza data dal governo e un il tavolo sindacale

finalmente unitario, in cui la la presenza formale Ugl non è stata contestata

da Cgil. La categoria tlc di quest’ultimo, la Slc partita con gli accenti Fiom

tesi a promuovere un taglio tutto politico, ha finito per seguire le proposte

iniziali della Uilcom, che ha svolo un ruolo di cucitura di tutte le posizioni

dei lavoratori, attaccato selvaggiamente fuori dal Ministero, ma considerato

utilissimo alla tratativa sindacale. Si chiude positivamente quest’ennessima

puntata delle lettere del mondo Telecom. Le lettere di licenziamento

aziendali vanno nel cestino. Con quelle anche la lettera dei 2200

informatici Telecom a Bernabè, apparsa a pagamento, pag.34 sul Corriere

della Sera di mersi fa dopo che Repubblica si era rifiutata di pubblicarla. di

ieri, a pag. 34, campeggiava un annuncio con una lettera indirizzata della

società Franco Bernabè. I dubbi "esternati” dei lavoratori allora a rischio

uscita dall’azienda, erano stati criticati anche dai grillini perchè scritta in un

oscuro linguaggio sindacalese-informatico. Il consiglio era stato di affidarsi

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ai pubblicitari; superare il pregiudizio ideologico anti comunicazione ed

impararne la logica. In realtà già nel passato le speranze legate alle lettere

pubbliche agli AD sono sempre andate vane; ed il più delle volte hanno

mostrato inquietanti strizzate d’occhio dei più estremisti proprio a quegli

uomini d’azienda considerati più di sinistra. La realtà è che la riduzione del

costo del lavoro per un’azienda come Telecom non ha un grande significato

contabile; ma le serve per afferrare il gradimento di Borsa ed azionisti e

rilanciare l’idea di una società snella. L’assemblea aziendale quest’anno ha

approvato per un pelo i risultati e soprattutto i benefits, tra richieste

risarcitorie e dubbi sul declino delle atività internazionali. In silenzio

cubovision e suo inventore si ritirano alla chetichella e torna in Cda il guru

nostrano TiM Mauro Sentinelli, l’inventore del prepagato, che forse, dopo

tanti abbandoni guiderà un management speso giovane, spaesato, confuso

tra i tanti trend. L’auspicio quando all’alba ci si alza dal tavolo è che finisca

in Telecom la fase destruens.

Parisi, il pacificatore tlc

Da quando le telecomunicazioni si sono impanate sulla banda larga, , lo

schema è questo: in primavera c’è il convegno d’area Pd che sostiene le tesi

dell’incumbent Telecom e guarda verso il deserto dei tartari in attesa di

vedere il fantasma dell’azienda nemica, Mediaset, avvicinarsi al settore.

Poi in autunno è la volta del meeting area Pdl - governo che chiede

prefigura svolte mentre si infittiscono i gossip su cui sostituirà Bernabè.

Deinde, come il deus ex machina, arriva il terremoto, giornalistico e

giudiziario che inchioda tutti ai loro posti fino all’anno nuovo.. Lo sfondo

come il cielo sereno dei desktop berlusconiani non è immobile solo in

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Italia. In Europa, bancomat da programmi quadro, con tanto di raffiche di

slogan, si è rinunciato alla guerra al mercato in nome del mercato solo per

non toccare Apple, che fa radical chic. C’è chi tira le uova ai sindacati,

mentre nè servizi Ovi né il ritorno all’utile bastano a Nokia. per non

cacciare 1.800 lavoratori. La società finlandese ha silurato l’AD Kallasvuo

sostituendolo con l’ex Microsoft Elop davanti alla minaccia Google che ha

già battuto gli smartphone Microsoft e Blackberry. Solo i terminali Android

fr

uttano a Google come tutto il fatturato Nokia. Per fare gli stessi soldi,

Vodafone venderebbe dopo la presenza in Cina, anche quelle in Egitto,

Australia, Francia, Polonia, India ed Usa. Grazie all’eliminazione di un

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paio di miliardi di fatturati roaming ed alla delocalizzazione virtuale del

cloud, ora le telco europee sono sotto scacco degli alieni Google, Apple,

Facebook. Alle nostre telco mobili europee i soldi sul traffico dati resta una

chimera annunciata da un decennio. (in media, il fatturato dati è poco sopra

il 10%). Le telecom europee, impastoiate da privacy e copyright,

arretratezza politica e veti macroindustriali, non possono nemmeno

appoggiarsi su hardware e handsets. Con accuse di corruzione in Germania,

suicidi in Francia, prezzi imposti in Finlandia, no deregulation in Europa, le

telco europee imboniscono ai giovani le favole della ricerca nel garage

sotto casa; in re

altà l’innovazione è oggi un vortice incontenibile di acquisizioni, dove

Apple, Oracle, HP, Ericsson, Google, IBM comprano ogni idea buona, con

una liquidità, negli Usa in crisi, che vale 5 finanziarie italiane. Un tempo le

europee compravano fuoricontinente, ora Telefonica non riesce in Brasile,

mentre a Wind la russonorvegese Vimpelcom sostituisce l’egiziano

Sawiris; e subito fallisce quella che era Stet Hellas. D’altronde chi si è

accorto che Hansenet, passata a Telefonica, ha licenziato metà del

personale? Il settore più innovativo e più ricco perde colpi. Nel 2006-09 ha

perso €3 mlrd, nel 2010 il -2,3%. €1,3 in meno nel quadriennio anche per

gli apparati di rete. Il miliardo degli smartphone non ha salvato dal crollo

degli altri modelli. Non c’è da meravigliarsi, se al convegno delle telco di

Asstel di Stefano Parisi, il settore era ammaccato. Assinform in crisi dopo

l’uscita di Ibm ed Engineering, in litigio sul valore del calo IT con Assintel

(-7 o - 2%?). L’Agcom umiliata dal ritiro degli operatori dal suo Comitato

Broadband, dalla diatriba con Telecom sulla data d’avvio dell’offerta dei

100M e dalle perplessità europee sui costi all’ingrosso d’accesso alla rete

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Telecom. Il governo appannato dopo il tira e molla per dare a Romani il

Minsviluppo, senza neppure soldi da giustificare la lunga guerra tra

Telecom ed il gruppo capitanato da Fastweb per la banda larga. Eppure

Parisi è riuscito a presentare Asstel come la rappresentante della filiera tlc

ad auspicare l’unione dei contratti; a concordare con Telecom, il cui AD

Bernabè ha compiuto un’inversione ideologica a U, smettendola di

contrapporre rame a fibra, dichiarandosi contro l’ambientalismo

dell’antielettrosmog, contro l’ottusa UE che non sostiene le infrastrutture di

rete e contro Google, parassita degli investimenti altrui.. Proprio l’asta per

le frequenze televisive prefigurando grandi incassi statali rimette oggi pace

fra tutti. In Germania l’asta ha fruttato 4,2 mld. Per Romani "Il problema "

sono “le risorse da investire", per Parisi il prezzo spuntato all’asta dovrebbe

restare nel settore. Solo su questa scommessa Telecom e l’alleanza

Fastweb, Wind, Tiscali si accorderanno sul futuro della rete Telecom.

Parisi esce dal meeting d’autunno come il pacificatore, lui che solo sei mesi

fa doveva subire il processo in diretta da Vespa, nell’accusa di

triangolazione truffaldina portata a Fastweb e TI Sparkle. Il processo che

conta, mediatico è finito; si aspetta solo l’abbraccio Scaglia-Valentino

Rossi. Il processo in aula rimanda di un mese. Sta nella cartella inused links

sul desktop tra le cose che da non vedere, come le intercettazioni, figlie tlc;

oppure le rendite minacciate dai server di Miami. Certo, sentir dire alla

Marcegaglia che il copyright non c’entra nulla con le tlc o che Confidustria

lancerà un’agenda digitale, come nella sua associazione non si affollasse

tutto e di più, da Assinform a Serv.Inn, da Aiip fino al vertice di Asstel,

non tranquillizza. Resta il Parisi bipartisan che fa un passo politico di

appoggio alla bilateralità con i sindacati, grazie all’introduzione

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contrattuale della costituzione del forum ad hoc, voluto fortemente dalla

Uilcom. Il risultato è che Brunetta ascoltato il segretario Slc Cgil, ne fa le

lodi assieme ai sindacati del privato. Bernabè, reduce dall’avere ottenuto

con i contratti di solidarietà, un taglio delle buste paga uguale al suo

aumento di stipendio, volta le spalle a Gentiloni e magistrati; ringrazia con

la speranza di conferma per aprile. 180mila lavoratori del settore, 350mila

del comparto sognano di invertire il destino del calo continuo. Parisi?

Profumo? Quien sabe. Presto prima che il rame non valga niente del tutto

nel paese europeo, l’Italia, che ha già - e chi l’avrebbe detto? - più fibra

ottica di tutti

2012 Web o Press

Alcune organizzazioni europee per la tutela dei diritti digitali hanno aperto

il sito RespectMyNet per invitare gli utenti a denunciare gli operatori tlc

che operino discriminazioni su contenuti o servizi web. Al di là delle

apparenze gli organizzatori non rappresentano gli utenti, non possono

mettere su giurie, né processi., limitandosi a minacciare di adire le autorità

europee in caso discriminatorio. Quelle europee, perché nella mentalità

degli organizzatori, i governi nazionali sono sicuramente collusi con le

telco, tutti impegnati a bloccare la comunicazione in rete. L’accusa, talvolta

anticipatoria della realtà, si riferisce alla volontà francese di bloccare il

P2P, alle direttive delle Agcom sul diritto d’autore ed ovviamente

all’eventuale ricaduta sul mondo blogger delle norme in discussione in

Italia sulle intercettazioni telefoniche. A guardare però il lungo elenco, già

pubblicato dai difensori dei diritti umani digitali, dei reclami, che

coinvolgono praticamente tutte le telco dal Belgio, alla Germania, al

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Canada a Francia ed Italia e molti produttori di apparati, vi si trova un

cahier de doléances degno più che di un tribunale, di un semplice help desk

aziendale. Difficoltà di accesso, reti mal funzionanti, tipologie di hardware

che non si interfacciano con servizi web, impedimenti a connettersi a reti

virtuali private nascoste in altre reti virtuali private, senza passare per

connessioni base. Le restrizioni ad Internet sono una cosa chiara, applicata

in alcuni paesi mediorientali dove per uno scritto offensivo si fanno mesi di

galera o come in Cina dove è consueto bloccare determinati IP come è

avvenuto a Google. Curiosamente però i paesi più censori possono

diventare Brasile e UK quando si consulti la particolare lista curata da

Google sulle richieste ricevute di eliminazioni di video su You Tube per

motivi di copyright. Anche Google e Facebook sono state accusate di

violazione della privacy per un uso augmented dei dati privati liberamente

immessi nei social network dagli utenti privati. Dietro tanta confusione, c’è

voglia di gridare alla censura a prescindere. Con un gesto clamoroso

Wikipedia Italia aveva già annunciato l’intenzione di chiudere se anche

blog e siti web avessero dovuto riportare considerazioni e smentite ricevute

da quei soggetti che si fossero considerati offesi. Quella di Wikipedia Italia,

firmata erroneamente a nome dei suoi utenti, che difficilmente sono stati

interpellati, era una boutade esagerata anche prima che l’intenzione di

estendere gli obblighi normali dei media cartacei al web venisse meno. Pur

solo annunciata e per di più senza motivo, moltissimi sui social network

hanno voluto dare credito alla chiusura dell’enciclopedia web libera. Che

poi libera non è, essendo ben orientata politicamente con drastiche censure

sul pensiero no correct. Più realisticamente qualche denuncia ha messo

sull’orlo di una vera chiusura il Legno Storto mentre Nonenciclopedia,

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versione satirica non politicamente orientata di Wikipedia, ha dovuto

sospendere il servizio per aver preso in giro Vasco Rossi ultimamente

molto attivo su Facebook. Infatti la satira ha i suoi limiti ben recintati.

Alcuni possono essere travolti ed offesi al di là dell’immaginabile, altri

toccati e punzecchiati, altri sono intoccabili. Ci vuole un mostro sacro come

Striscia la Notizia, forte di incassi super al botteghino e di campagne sul

campo antisprechi per osare lo sfottò nei confronti di Repubblica o delle

campagne più o meno femministe. L’associazione delle telco italiane,

Asstel, di fronte al rincorrersi di voci incontrollate ha diffuso una nota per

negare che gli operatori intercettino o mantengano copia delle telefonate o

sms intercorsi, se non nei limiti voluti dalla magistratura. La mobilitazione

per la neutralità della rete, per la sua libertà va dunque di pari passo con le

campagne volte a soccorrere la libertà di stampa in pericolo. Le une e le

altre appaiono fuorvianti e schizofreniche: Assange, Strauss-Kahn e

Berlusconi sono stati quest’anno arrestati o travolti da campagne di

denigrazione con l’accusa di reati sessuali, in una ridda di notizie partite

dalla stampa e pedissequamente seguite e stravolte in peggio dal web. Il

loro eventuale ridimensionamento non elimina i danni politici. Se ci sono

giornali perquisiti, giornalisti e direttori sospesi, sono tutti di una parte

politica precisa, quella del populismo di destra. Contro il quale

imperversano, non da oggi, le intercettazioni a fondamento di giornali e

processi. In controtendenza le autorità inglesi si sono vendicate dopo molto

tempo seguendo il noto motto spagnolo. La chiusura di "News of the

World" ed il barcollio di Murdoch per intercettazioni private seguono un

decennio di massacri sul filo del telefono per la monarchia e

l’establishment Uk, quando l’unico che si salvava, malgrado i falsi

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spionistici su Saddam, era Blair. E’ solo accattivante il titolo del festival

della diplomazia (a Firenze e Roma fino al 14 ottobre) “Dopo Wikileaks”,

perché i documenti svelati, appunti, messaggi, opinioni in libertà non

raccontano nulla di nuovo. Non a caso la biografia appena uscita a Londra

del Wikifondatore finora ha fatto flop. La stralibertà di stampa, satira e web

regna sovrana a sostegno del pensiero progressista, della grande finanza e

di grandi realtà monopolistiche mondiali. Grande in tutto il mondo il

cordoglio per la dipartita a 56 anni di Steve Jobs il creatore di Apple. La

sua filosofia però dal Mac dell’84 all’Ipad 2 è stata di software ed hardware

proprietari, brevettati, chiusi, d’eccellenza e snob, molto cari e che legano

a sé gli utenti, al punto che le ultime ricerche parlano di rapporto d’amore

tra proprietario e iphone. Jobs lascia una Apple monopolista su apparati e

applicazioni nel mondo e che solo per un pelo non è riuscita a brevettare

per sé la tecnologia touchscreen. Questo non è un problema per i netizen

della libertà sulla rete. A loro basta rilanciare quanto passa su tv e stampa,

chiedere libero accesso a prodotti in vendita e criminalizzare gli operatori

europei, sempre più deboli, magari chiedendo la nazionalizzazione “perché

la rete è di tutti”. Solo a tempo debito però, quando lo stato tormerà nelle

mani giuste.

2012 IT, cause & casualità Il blog di Antonio Romano

L’analista di mercato di Information Technology, l’infoproviding è

un’attività che sta tra la statistica, le scelte nodali strategiche delle aziende

e la previsione magica. Quello che è stato la Scienza della guerra di von

Clausewitz e di Sunzi, la Scienza della politica di Macchiavelli, Mosca e

Pareto, nell’era di Internet e dei computer è l’information providing, nel cui

nome sono divenute star Negroponte, Talbot e Lessig. Sviluppatesi accanto

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Giuseppe Mele 2014

ai colossi dell’informatica e dell’hardware USA, le grandi società di

consulenza, di analisi di mercato e di infoproviding hanno analizzato e

guidato le tendenze dell’applicazione tecnologica nella vita dell’impresa ed

in quella quotidiana dei cittadini. Assai più di molte ideologie, hanno

cambiato comportamenti, mentalità, modo di lavorare e relazioni tra

individui, inponendo un american style anche ai più formibadibili nemici

dell’America.. Hanno formato negli Usa un secondo mondo intellettuale,

fiancheggiatore dell’università, ma non accademico, che tutt’oggi nel

melting pot tipico d’oltreatlantico del profit misto al no profit , governano

Internet come cosa propria. In Europa come in Italia, escluso ovviamente

l’UK, strategia, consulenza, alta visione non sono riusciti ad uscire

dall’Accademia, che si tiene ben lontana dall’applicazione pratica del

mercato. Nomos Consulting, dove cominciò a lavorare nel 1988 Romano, è

stata acquisita da Gartner Group e la società di Cuneo si è fusa in Bain &

Company Nella città dell’informatica sognata da Fermi, nella città del

Cnuce e dello Iei, Pisa il business più importante restano i vetri della Saint

Gobain, gli affitti agli studenti, le vespe della Piaggio ed il wet blue delle

pelli conciate inquinanti a Santa Croce sull’Arno. Slogan terzomondisti

ancora risuonano nelle sale che inventarono ed usarono Internet nell’88

senza la minima idea che potesse essere cosa interessante per il pubblico.

Imperversano sempre dai lontani anni ’80 Decina, politecnico di Milano e

Saracco, del Future centre Telecom Italia. Per Decina,in particolare

considerato il più grande esperto italiano di telecomunicazioni, i social

network ed i famosi UGC, i contenuti generati dagli utenti, sono “una

foresta digitale senza fine di mediocrità creata da milioni di scimmie

esuberanti " Il mondo attuale di Internet probabilmente evidenzia una

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grande mediocrità che non si vergogna di se stessa, ma è lei in sella e

soprattutto lo è grazie all’esoansione qualitativa e quantitativa della rete. Il

mondo intellettuale italiano ed europeo ha così finora disprezzato o

ignorato le tecnologie dell’IT oppure l’esaltate quando per pura casualità

queste sono risultate in linea con ideali o battaglie considerate

politicamente corrette. Ad un livello più basso gli analisti sono

sopravvissuti come cortigiani dei professori universitari e delle sempre

nuove organizzazioni corporative che usano i loro studi come fiori

all’occhiello oppure occasioni di polemiche trasversali. Memorabili le lotte

per accaparrarsi lo studio dell’Eito o i numeri contrastanti tra i diversi pezzi

di Confindustria che si occupano di IT, o tra questi e

Confcommercio.Antonio Romano Nato nel marzo del 1967, specializzato

in marketing internazionale, dall’ottobre 1999 membro della Accademia

Teatina delle Scienze (Chieti) Antonio Romano ha il pedigree dell’analista

di mercato, attività cominciata nell’88 in Nomos (poi acquisita da Gartner

Group) e proseguita dal ‘95 come research analyst in IDC Italia, parte di

IDG , primo gruppo mondiale privato di consulenza ed editoria

specializzati sull’IT. Dal 2001 è stato in IDC Italia, VP Research Southern

Europe dell’area ricerca e consulenza, poi VP Sales Southern Europe; ed

infine General Manager Spain, poi di General Manager IDC Italy and

Iberia Region. Prima di uscire da IDC, è stato President e General Manager

IDC EMEA (Europe, Middle East, Africa). Oggi è partner del gruppo

GMT. Antonio Romano è un’analista IT cresciuto intellettualmente in un

brand e con ottica americani. Semplice, concreto, empirista, non scorda mai

come e quanto sia importante lo sviluppo di It e di Internet, né perché

queste si siano tanto imposte in una società come quella italiana che

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Giuseppe Mele 2014

sembrerebbe esserne impermeabile. Segue l’Intervista concessa sull’ICT

European Forum di Giuseppe Mele (ottobre 2007 ) Il suo blog comincia

con un’analisi dell’azione Agenda digitale avviata dal governo Monti

1 ottobre 2007 Intervista a Antonio Romano /ICT European Forum

Il giovane guru della ICT italiana Antonio Romano torna dalla Spagna,

dalla cui capitale ha diretto le attività di IDC nella penisola iberica per

quasi un lustro. A Milano ha ora la Direzione generale per il Sud-europa

del primo infoprovider ICT mondiale.

La comparazione tra Italia-Spagna?

La macro-economia dice che la Spagna, con 504 kmq contro i nostri 300 ed

una popolazione di 40 milioni contro i nostri 60, ha un PIL uguale al 60%

di quello italiano. Questo rapporto si ripete in tutti gli indicatori dal numero

di imprese fino al livello del mercato delle famiglie. La crescita economica

fa la differenza.

Gli spagnoli sono i primi della classe, noi gli ultimi, con una differenza nei

tassi di crescita che va oltre il 50% a nostro sfavore. Concretamente cosa

significa?

Le prime 100 aziende ICT sono al 45 filiali locali multinazionali e al 55

aziende locali. Anche in Italia il mix è analogo, 48/52. Le filiali spagnole

multinazionali sono presenti nei tre settori principali del mercato ICT

(quindi hardware, software, servizi) e sono la seconda o la terza filiale

europea, in un settore come l’ICT dove la Spagna è 3 a 5 volte più piccola

di Francia, UK e Germania.

In Italia si assiste ad una stasi apparente del mercato tecnologico, sostenuto

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soprattutto da servizi. Probabilmente la ICT sta in gran parte confusa nel

settore telefonico per le vicende che hanno visto la trasformazione di quelle

che erano i marchi della informatica italiana, sia pubblica che privata.

Poi molto mercato ICT in Italia oggi vive nelle progettazioni della PA

locale. Come si vede ci sono differenze sostanziali di trend. Comunque in

Spagna si ha grande considerazione verso il nostro paese, preso a modello

di riferimento dalla moda al modello legislativo.

Perchè?

L' onda spagnola dei “favolosi anni ‘90” post-Franco che corrispondono al

nostro Boom, non da segno di finire. Gli spagnoli hanno saputo veramente

usare l' Europa come un “nuevo Mundo”, un eldorado cui hanno dato poco

e preso tanto, nel rispetto delle regole, attirandosi la ostilità francese.

Qual è la situazione per l’ICT in Spagna?

L’ICT in Spagna sta a 18 miliardi di euro rispetto ai circa 30 degli italiani,

un 70%, rapporto maggiore rispetto a quello tra PIL. Qui la crescita

spagnola negli anni 2000 è stata fino a 5 volte superiore rispetto alla nostra.

La grande impresa spagnola spende in ICT un budget superiore rispetto alla

GI italiana; la PMI inferiore a quella italiana.

Le imprese informatizzate hanno un fatturato superiore a quello italiano. In

Spagna la maggiore consapevolezza del ruolo indispensabile dell’ICT per

l’innovazione ha creato un rapporto cliente-fornitore fluido. Si sa cosa si

vuole, si procede speditamente; si ascolta il cliente e si ricercano offerte

adeguate.

In Italia picchi di spesa ICT dopo l'esplosione del cambio del millennio Y2

non ci sono stati. Forse ci fu esagerazione in quegli anni. In Italia la spesa

consumer ICT complessiva ha un primato europeo. Forse si assiste a troppa

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prudenza tra gli operatori che in questo decennio hanno perso i livelli di

crescita cui erano abituati.

Non scordiamo che come trend economico gli anni novanta sono stati

favolosi anche per noi.

E il mercato Sudamericano?

Poi esiste la storia. Anche in Spagna la colonna dorsale dell’economia sono

le piccole medie imprese, ed il settore economico di maggiori dimensioni

resta quello turistico, ma esiste la grandezza della presenza spagnola nel

mondo. Decenni di isolamento non hanno privato la Spagna dell'egemonia

sull’America Latina che ha, con l’eccezione del Brasile, nella Spagna e non

gli USA, il partner di riferimento.

Quindi un esempio per noi?

Le leadership di TIM e FIAT sono state loro di esempio in mercati come

quello brasiliano, corrispondendo ad un posizionamento di immagine

migliore di quello presente in patria. Negli anni bui malgrado la presenza

radicata non abbiamo sostituito in Sud-America Madrid, vuoi per l'identità

della lingua, dato forse insormontabile.

Marchi come Repsol, Telefonica iberia Inditex / brand Zara (petrolifero,

telefonico, aereotrasporto, tessile), anche senza copertura omogenea da

grande impresa, hanno costruito aree di eccellenza a livello europeo.

Telefonica si è indebitata in questi anni, ma per comprare ed oggi è

presente in tutta Europa.

Ha investito e come le altre ha usato al meglio la disponibilità offerta dal

sostegno europeo. Tutte queste società hanno usato il mercato della

Ispanidad, il continente sudamericano, a sostegno delle performance

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economiche. Hanno avuto ed hanno una rete finanziaria ed economica che

fa da riserva.

La Spagna, un paese unito nel crescere?

La Spagna ha avuto divisioni tremende. Oggi non ha avuto paura di fare

propri i modelli di successo implementati all’estero. I governi sono stati

costantemente alla ricerca del sostegno dell'investimento tecnologico. Non

hanno fermato mai il mercato, più dinamico del nostro, non hanno

permesso una tensione competitiva accesa quanto in Italia.In Italia si oscilla

tra grandi perfomances e grandi divisioni che spesso vanificano i risultati

raggiunti e possibili. Tempo fa dicevo che il sistema paese Italia doveva

prendere spunto dalla Spagna per ridisegnare modelli e trovare stimoli per

una crescita virtuosa e governo del cambiamento.

Gottfried Wilhelm von Leibniz nel 1685 immaginò un'epoca nella quale

ogni operazione matematica potesse essere effettuata dalle macchine.

L'espressione ICT intesa come associazione di produttori di computers e

tablots Usa risale al 1959. Più recentemente lo spagnolo Manuel Castells o

Olivan, classe '42, ha inventato l'espressione “Network Society” da lui

corretta nel 2000 in “Information Society”.

Anche Toni Negri è tra i padri dell'ICT, quando parla di società capitalista

immateriale, anticipando il nome dato alla corrente era economica?

Chiunque sia stato, è sempre ancora avanti a noi. Personalmente sono

convinto che dopo i greci la filosofia abbia dato tutto quello che poteva. A

parte questo. Abbiamo i dati, che sono la materia prima della analisi. Da

questi traiamo l'informazione. Misuriamo il dato, lo classifichiamo e lo

rimisuriamo in mesi, giorni, secondi. Qualcuno arriva e sostiene che

bisogna misurarlo in nani secondi. Il dato continua ad essere quello e tranne

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il caso dei fotoni, non cambia da una settimana all'altra. Esiste un problema

di coraggio. Il dato deve essere misurato nelle quantità corrette, per una

informazione percentualmente valida. Non nei modi e nelle misure utili ad

altri scopi o tagliati per organizzazioni esistenti. Fatto questo si arriva ad

efficientare il processo, cosa che si fa maxime. Il coraggio maggiore lo si

ha quando si interpreta l'informazione facendone conoscenza. In Italia ed in

Europa, a parte il mobile, tutti si sono sempre fatti sorprendere dai

cambiamenti diciamo pure umanistici della ICT, di Internet, del peer to

peer. Si parla solo di sicurezza. La sicurezza oggi pervade giustamente le

nuove tecnologie. Cresce garantendo la diffusione e lo scambio del

networking ma non impedendolo. Altrimenti decade lo sviluppo, la crescita

ed il motivo della sicurezza. Arriva un momento in cui bisogna usare le

informazioni per fare conoscenza. Non ci sono macchine per questo. Oggi

la discontinuità corre di 3 mesi in 3 mesi. Un progetto ICT deve dare ritorni

in 3 mesi. In questo modo si ottimizza l'esistente e non si partecipa ai cambi

strategici. Dal Corporate Social Networking di Don Tapscott al Forum sul

nuovo governo di Internet del Campidoglio. Gli Internet rights sono

importanti e nessuno come il popolo della mass collaboration del web 2 li

pretende meglio. Ricordiamo che l-Icaan sta negli USA perche il 90% della

vita Internet corre lungo le backbones fino ai server di Miami. Nella ICT si

trova la versione quasi vicina al mercato teorico, quello dove il

consumatore, l'utente, l'attore possono inter-scambiarsi. Questo modello

offre in prospettiva molti e nuovi rights che nessun accordo

intergovernativo o gestione burocratica potrebbe dare.

ICT, L’Europa e la necessità di un regolatorio unico

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Il mercato europeo delle tlc è frammentato e in crisi perde colpi. Un

regolatorio unico potrebbe contribuire ad armonizzare la situazione.

Milano- Luigi Gambardella si è tolto il cappello di capo associazione di

Alleanza per Internet e ha ripreso quello, più veritiero, di presidente di

Etno, l’associazione delle aziende di telecomunicazioni europee,

incontrando in questa veste Antonio Tajani vicepresidente Commissione

Ue.Come mai questa improvvisa necessità? Gambardella l’ha buttata

sull’ottimistico: le comunicazioni digitali europee (Tlc, It, Tv, editoria)

valgono €680 miliardi e possono contribuire allo sviluppo del vecchio

Continente.Detta cosi’ fa pensare a un buon samaritano, che mentre va tutto

bene, non pensa altro che ad aiutare il resto dell’economia derelitta.

L’incontro in realtà manifesta un grido di dolore: i primi cinque mercati

telico europei fatturano oggi circa €123 miliardi di euro (meno della metà

del 2007!); i ricavi del settore sono scesi, nel 2012, dello 0,7% e nel 2013 è

previsto un calo del 3,8%. Mentre le telco americane crescono (fra il 6e il

9%) quelle europee vanno in senso inverso e perdono (tra il tre e il 5%.)

Eppure, almeno concettualmente, l’Europa ha condiviso il mito della

rivoluzione digitale ereditata dall’espansione Usa del ventennio ’80-’90.

L'America pero' ha sempre guardato al mondo digitale come un unico

grande mercato da conquistare a tutti i costi e, nonostante il periodo di crisi

finanziaria e i debiti, ha aggredito l’enorme mercato digitale mondiale con

una partnership, sia di filiera sia di capitali, con gli asiatici. Il fronte asio-

Usa presenta oggi una decina di centri monopolistici, capaci di raggiungere

qualunque utente mondiale, dotato di moneta. Invece i lavoratori europei

Tlc e IT sono in calo dal 2009 e anche i loro stipendi continuano

tendenzialmente a diminuire. I nostri due si saranno detti che senza telico

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l’Agenda 2020 resta un libro di sogni; che la riduzione dei costi delle nuove

reti è un pannicello caldo e che con i soldi di tanti bandi europei si

realizzerebbe subito la fibra ottica europea garantendo il diritto a Internet a

livello universale. Difficile che si siano chiesti quale sia il senso dei

Regolatori che garantiscono tutti (operatori, consumatori, investitori,

ricercatori), tranne i produttori. L’ultima grande Authority, l’Ag Com

(subissata dalle critiche dopo l’uscita di Calabro) è chiamata a interpretare

un nuovo scenario: occorre, per esempio, regolare le tante sigle che

avanzano proposte e Manifesti sul futuro digitale (Coalizione digitale,

Alleanza per Internet, Isoc, Internet Governance Forum, Stati generali

dell’Innovazione, Assinform, Assintel, Assinter, Confindustria Digitale,

Servizi Tecnologici.) Dovrebbe parlare, e con un ruolo preciso, solamente

chi assume le responsabilità di firma. E soprattutto c’è da considerare la

voce dei lavoratori digitali, che sono l’unico patrimonio del sogno Ict

dell’Europa di Delors. Un regolatorio unico europeo potrebbe farlo, a patto

di nascere con un consiglio di sorveglianza interno.

2012 Scorpora et impera

Telecom Italia ha resistito per anni all’idea di scorporare la sua rete

telefonica, ereditata dall’azienda pubblica, del valore di €15 miliardi. Lo ha

fatto contro Agcom ed Europa, contro l’oggettiva impossibilita’ di fare da

sola gli investimenti necessari per portarla alla velocita’ della larga banda,

contro un messo di un governo che sulla questione quasi cadde mandando a

gambe all’aria anche l’AD aziendale del tempo, contro le proposte di

partenariato giunte nel tempo da interlocutori diversi come Chirichigno,

Borghini e Bassanini, sostanzialmente identiche nella sostanza, contro la

logica tecnologica, difendendo le virtu’ del rame oltre ogni limte e contro la

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logica organizzativa, mostrando per l’inclito di avere gia’ adottato uno

scorporo interno, blindato e neutrale dal nome open access . Ed ora

contrordine compagni, lo scorporo della rete e’ all’improvviso ben visto,

considerato, spiegato in veline confidenziali passate alla stampa

confindustriale ed amica, posta all’ordine del giorno del consiglio

d’amministrazione. Come dire, cosa da fare, cosa gia’ decisa. Uno scorporo

di ramo d’impresa gigantesco, coinvolgente tra i 18mila ed i 23mila

lavoratori, con un incasso presumibile di 4 miliardi, poco piu’ dei 3,4 di

capitalizzazioni e prestiti interni ed esterni appena ricontratti. Perché

scorporare la rete tlc fissa nazionale ora che wifi e tv connected la riportano

alla ribalta? Perché discutere di fibra ottica ora che anche l’Europa sta

capendo che è di vitale importanza? Perché vendere il terzo polo televisivo

ora che cresce sul mercato dopo aver fatto segnare rosso per anni? Perché

ritrovarsi con il problema di cosa farsene dell’IT mentre tutti dicono di

avere bisogno delle competenze informatiche? Perché disfasi delle

piattaforme di social network mentre tutti gli investimenti vanno in social e

comunicazione ? E come mai costruire un recinto per il 187, tanto premiato

dopo essersi disfatti del 1254 mentre tutti richiedono customer experience

di alta qualità? Perché, perché, perché? Inutile cercare le risposte tra i

liberisti e sul mercato: le telco non rispondono a quella logica. Inutile

appellarsi al merito. L’antico guru Decina l’ha detto: tra manager, guri e

professori, abbiamo sbagliato tutto. Non per questo ce ne sia uno che se ne

vada, anzi. Nemmeno si può dare la colpa alla politica. La partitica, inclusi

i giornalisti, è fatta da vecchi, che vedono la tecnologia come un fattore

accessorio, un altro tipo di cena, comizio, manifesto, microfono.

L’occasione per raccontare quanto siano strane le americanate e le

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cineserie. E nascondere il fatto che tira più la pubblicità di Google che

quella del carrozzone Rai o del circo Ambra Iovinelli per le pubblicità

Telecom. I politici non capiscono la tecnoogia, la odiano se non quando si

tratta di fare delle nomine. Allora non ci sono risposte? Non c’è dove

cercarle? Certo che c’è. Le risposte si trovano nell’altissima e rarefatta

politica dei gruppi finanzieri ed imprenditoriali, cui rispondono o si

collegano i partiti maggiori. Il loro dibattito e lotta vive su un piano dove

lavoro e sviluppo sono variabili indipendenti. Perché non è mai importante

cosa si fa, si tiene o si scorpora, ma soltanto chi lo fa e con chi. Anche e

soprattutto in assenza di quel peso che sono i lavoratori.

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Stampa

2014 Ordine dei Giornalisti, irriformabile ma deformabile

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha partorito

l’autoriforma della Legge 69 del 1963 istitutiva dell’OdG. Ad ottobre la

popolata assemblea del Consiglio, forte dei suoi 150 membri (o meglio 144

cui si aggiungono 12 consiglieri di disciplina, cui la legge ha assegnato il

ruolo di tribunale d'appello per le violazioni deontologiche, un tempo

affidato al Consiglio) aveva demandato all'unanimità ad una commissione

il compito di redarre una proposta condivisa tra i diversi gruppi. L’idea era

di presentarla al Parlamento; a novembre era già pronta la bozza da

discutere per l’approvazione finale a gennaio. Se la tempistica è stata

rispettata, e la segreteria dell’Ordine sta preparando per la diffusione il

testo approvato, sono già partite polemiche brucianti. Infatti al momento

del voto, il 21 gennaio, oltre la proposta della commissione incaricata della

riforma, è spuntato fuori il testo alternativo del gruppo "Liberiamo

l'informazione" che pure era presente anche nell’altra commisione con 3

membri (Verna, Vitucci e Ricci). La commissione voleva mantenere la

divisione degli attuali elenchi di professionisti e pubblicisti, mentre il testo

alternativo ne chiedeva la fusione in un unico elenco, appoggiato anche da

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gruppi quali Albo Unico e Senza bavaglio. A voto segreto, è prevalsa la

divisione, appoggiata anche dalla segreteria OdG: 74 voti su 108 votanti, 3

nulle, 2 bianche vs i 49 favorevoli a LI del coordinatore Giancarlo Ghirra.

Come raccontano i consiglieri, il dibattito del parlamentino giornalistico ha

caratteristiche abbastanza frustranti. Tutto si concentra per motivi di

risparmio nel poco tempo dei giorni di convocazione e senza pause.

Ciascuno può prendere la parola su un argomento, ma, per sentire tutti, non

sono permesse discussioni tra due o pochi di più, come non ci sono

riunioni dei diversi gruppi per decidere modalità di presentazione delle idee

comuni. “Si perdono ore ed ore a parlare singolarmente senza una reale

discussione perchè non si può parlare fra di noi, non si può ribattere o

controbattere o parlare due volte. Si fanno delle semplici dichiarazioni di

pensiero che alla fine lasciano il tempo che trovano. Si può solo esprimere

il proprio pensiero. E poi tutti velocemente al voto.” In queste condizioni,

più il tempo assembleare passa, più scattano i nervi. Tra i magnfici 150 non

corre peraltro buon sangue, e non solo magari per le opinioni politiche e

professionali diverse se non opposte. C’è sempre contrapposizione tra

pubblicisti e professionisti, che qualche volta assomiglia alle polemiche tra

ragionieri e dottori commercialisti; c’è quella tra i pubblicisti pensionati

nemici delle innovazioni proposte dai colleghi giovani, contro i quali si

muovono anche i pubblicisti che accusano i modernisti:"ci volete far

perdere il lavoro". Strisciante, largheggia la reciproca disistima. “L'Ordine

professionale dei giornalisti si è di fatto consegnato, forse definitivamente,

ai 50mila e passa pubblicisti che di regola non fanno i giornalisti di

professione ma altri mestieri, coltivando nel tempo libero la passione per la

scrittura; oppure, come purtroppo sempre più spesso accade, iscritti ad altri

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ordini professionali che solo perchè sono riusciti ad avere il tesserino da

pubblicista vengono a dettare le regole in casa nostra, a chi il giornalista lo

fa di mestiere. “ Ci si guarda in cagnesco, ci si fanno i conti in tasca. Quello

è un funzionario pubblico ipergarantito che sulla scorta della lg. 150 vuole

pure i privilegi del giornalista. Quell’altro, un pensionato che lavora ancora

bene e paga pure la metà dell’iscrizione annua quando un precario o un

disoccupato deve pagarla intera. Quell’altro non scrive un pezzo da

vent’anni ma è sempre affaccendato attorno alle casse previdenziali e di

assistenza sanitaria, oppure alle corti del sindacato, dell’Ordine, della

Federazione della stampa. Si ostinano a rimarcare ogni due righe la propria

professionalità, dentologia, etica, ma i primi pronti all’autodelegittimazione

sono gli stessi giornalisti. Il secondo giorno di dibattito, mercoledì 22, dopo

tante stentoree declamazioni oratorie che spaziano dallo stile dannunziano

al postmoderno freaketton-cinico, i nervi crollano sulla proposta di

revisione della composizione del Consiglio Nazionale, presente all'articolo

5. L’hanno detto tutti che 150 eletti sono troppi, ricordando che per

esempio l’esercito dei 200mila avvocati ha un parlamentino del proprio

Albo di soli 24 consiglieri. La legge del '63 fissa il rapporto di presenza tra

professonisti e pubblicisti a 2 a 1: cento eletti tra i primi e 50 tra i secondi.

La nuova proposta, rapporto di 3 a 2 tra professionisti e pubblicisti (90 e

60), fa gridare allo scandalo. Per qualcuno i pubblicisti hanno preso il

potere. Per tanti pubblicisti, sconfitti sull’albo unico senza distinzione, è

vero il contrario, tanto che alcuni di loro di Milano, Torino e Napoli

emendano, cancellando qualunque riferimento alle proporzioni categoriali,

demandato a futuri regolamenti. Eiminare però il riferimento dal testo

rischia di autorizzare il legislatore a pensare che gli stessi giornalisti non

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intendano voler cambiare le quote attuali. Si alzano i toni, le urla, le offese,

le dissociazioni, anche nella stessa Commissione che finisce per andare

sotto sul punto 7 -voto per l'elezione degli Organi regionali e nazionali. Si

vorrebbe tutelare le liste minoritarie, limitando le preferenze esprimibili. In

48.dicono però no. Astensione dopo astensione, abbandono dopo

abbandono, tra delusi e contrariati, il testo di riforma viene via via mutilato

in un elenco di rinvii a future decisioni. Alla sera lo scrutinio segreto salva

il testo ormai senza padri dichiarati, con 59 voti favorevoli e 57 contrari sui

121 votanti e 10 astenuti. Il testo finale, approvato di un soffio, piace poco

anche al regista dell’operazione, il capo OdG Enzo Iacopino: “Volevo

essere il Presidente che portava l'Ordine ad una Riforma (ma) non è quella

che ho voluto. Il clima che si respira non mi piace”. In cauda venenum: LI

di Ghirra, dopo la sconfitta, annuncia la raccolta di firme presso Ordini

regionali e le redazioni per rovesciare l’esito del voto; ed accusa, con

Visani di Voltapagina e l’immancabile Articolo 21, l’OdG di Iacopino,

vittorioso alle elezioni interne del 2013, con ben 8 sostenitori eletti sui 8

dell’esecutivo, di essere “controllato da una maggioranza sostanziamente di

centrodestra monopolizzata dai pubblicisti”. Con buona pace della lista di

destra L’Alternativa (Non siamo un “altro” sindacato; non ci riconosciamo

nell’attuale gestione del sindacato unico e unitario dei giornalisti italiani)

che non ha eletti nel CN. Da par suo il Presidente dei giornalisti ha alluso ai

“professionisti dei multi-incarichi negli enti di categoria” parlando della

“sinistra” giornalistica, “un’”area “politica (che) ha gestito per anni gli

organismi, preoccupandosi di tutelare un’élite di garantiti”; “che ha

osteggiato la legge sull’equo compenso, (che) anche recentemente si è

tentato di vanificare”. I due campi non se la mandano a dire ed entrambi

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accusano l’altro di distruggere l’OdG. All’offensiva “di sinistra”dei

professionisti, a febbraio risponderà l’ottuagenario Falleri, leader

incontrastato del voto pubblicistico nella Capitale con gli Stati generali dei

Pubblicisti. Si dirà che gli Stati sono “per chi questo mestiere lo fa per

davvero e non certo per chi scrive un pezzo ogni tanto per un giornaletto, o

per le schiere di avvocati, commercialisti e geometri che affollano Albo e

Consiglio nazionale”?. Perché non chiamarli allora Stati dei professionisti?

Alla fine del dibattito, c’è chi fa notare che la lg. 69/63 non autorizza

l’OdG ad autoriformarsi, dato che dipende da MinGiustizia, unica

istituzione abilitata a proporne cambiamenti al Parlamento. La corsa alle

autonomie però potrebbe superare la lettera della legge, già tante volte non

tenuta troppo in conto dalla politica. Il panorama è il Corrierone che vende

la sua sede storica, il crollo della stampa, la minaccia al fondo per

l’editoria, il diritto d’autore normato dall’Agcom nella passività

parlamentare, i confini sbiaditi tra blogger e professionista come tra

copyright e creative common o tra finte Iva e free lance, il dribbling Siae

tra copia privata ed equo compenso. Giornalisti e poligrafici licenziati

insieme all’Adn Kronos, Espresso, Rcs e Messaggero, non riescono a

fidarsi gli uni degli altri; insieme, timorosi e distratti dalle vicende

dell’orda montante della marea di autori e giornalisti sfruttati da ogni forma

di media, come da quelle dei non autori che invece incassano milioni dai

diritti d’autore. I rappresentanti dei giornalisti si sbranano sull’idea che

ciascuno ha dell’Ordine; un organismo che ormai ha poteri solo sulla

formazione, ovvero sul business (da condividere con le Università) del

percorso formativo da imporre ai neogiornalisti. Da quest'anno, peraltro, è

obbligatoria la famosa formazione continua anche per pubblicisti e

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professionisti. Formati o no, non è chiaro quanto i giornalisti eletti ed

elettori siano consapevoli del percorso cui li obbliga la trasformazione

tecnologica dei media. O forse si attaccano a formazione e deontologia,

come si farebbe con il bicchiere di vino, per dimenticare. Dimenticare la

tecnologia, questo orco che distrugge le belle cose della vita d’antan:

burocrazia, politica, giornalismo.

2014 Forbice ex cattedra scorrettamente loquente

La Rai è un’azienda vecchia. Non ha un giornalista sotto i 30 anni, il 75%

ha più di 50 anni e 278 sono oltresessantenni. Le cose, nella prima azienda

della cultura e della comunicazione italiana, non sono diverse per operai e

impiegati. Ovviamente l’età avanzata ha contribuito a segnare un alto

numero di caballeros dirigenziali, ben 622 (manager e giornalisti), uno ogni

18 degli 11.378 dipendenti. Più di tutti i dirigenti di Mediaset, Sky e Ti

Media.. In una vita anche gli stipendi sono cresciuti (4 sul milione, 13

intorno al mezzo milione, 58 sui 300mila, 463 su 200mila) fino a toccare

più di 120 milioni, che, comunque vada, difficilmente i rispami gubitosi

potranno toccare. Nel quadro disegnato dal direttore Gubitosi nelle

comunicazioni ufficiali al Parlamento la promessa è stata 70 milioni di

risparmio con i pensionamenti, oltre alla minaccia di chiudere le sedi

regionali (cosa per la quale ci vuole l’abrogazione di una legge ed il

consenso delle regioni). In effetti sono usciti a metà 2013 100 giornalisti (e

330 dipendenti), poi ulteriori 40 prepensionati, al costo di 51 milioni di

incentivi. Alcuni come il caporedattore friuliano Marzini sono stati felici a

59 anni di staccare la spina. In par condicio, sono usciti sia Minoli che

Freccero, accolti a braccia aperte dal Sole e dal Fatto. Tra i Galeazzi,

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Renzaurazione

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Canciani, Scardova, altri come Borrelli e Scaccia per ripicca hanno scritto

uno un libro contro il Tg1, l’altro contro l’avventura occidentale di Libia.

Due redattori Rai hanno scoperto che si poteva resistere e manu iure

militari hanno ottenuto di lavorare anche se pensionati fino a 70 anni; così

il quirinalista del Tg3 Fraschetti resterà ancora un lustro. D’altra parte, pur

di cacciare Minzolini il Tg1 venne affidato ad un pensionato. Dalle stesse

comunicazioni gubitose, che ribadiscono il rosso da 200 milioni (salutato

come grande successo), si deduce che il risparmio allora è a rischio. Non

solo è scaricato su incentivi e pensioni pagate dall’erario ma si amplia nell

conseguente consulenza. L’indimenticato e indimenticabile Badaloni

prende la pensione dal 2011 ma fa il corrispondente Rai da Madrid. E’ in

buona compagnia in una Rai piena di pensionati, 70enni ed 80enni (da

Bevilacqua a Bisiach da Vespa a Sorgonà, da Raveggi a Ravel, da Onder a

Donat Cattin ed Angela). Anche il catanese Forbice, cresciuto alla

redazione de l’Avanti!, ideatore della trasmissione radiofonica Zapping, era

in pensione dal 2007 ma proseguiva la sua trasmissione forte di 5.000

puntate per un’audience da 700mila ascoltatori. Nel 2012 con Gubitosi se

ne è proprio dovuto andare; paradossalmente in nome del risparmio,

proprio lui che aveva lanciato la campagna sui costi della politica,

racogliendo senza neanche un’apparizione Tv, in 2 mesi, 530.000 adesioni.

Certo Forbice non era indigesto solo per quest’ultima avventura; lo era per

le campagne sulla Cina, sull'Iran, sul filonuclearismo, sulla denuncia

dell’arricchimento politico di Grillo che con i 5 stelle ha toccato il cielo da

4 milioni l’anno. Forbice è uno dei pochi giornalisti Rai che non ha mai

alimentato il mito del caso Ilaria Alpi, i cui segreti dovrebbero svelare

chissà quale mistero; uno dei pochi che non ha chinato il capo davanti al

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mito ambientale, femminile o diversamente tale. Contro di lui i grillini nel

2011 lanciarono una campagna di fango, accorpandolo alla

criminalizzazione dei berlusconiani. Il rossobruno Pardi chiese la sua testa.

32 fra direttori di testata, opinionisti e docenti universitari si sono appellati

alla Rai perché gli facessero compiere i 20 di anni di Zapping. Inutile, il

corpo Rai l’ha infine più che epurato, espulso come un corpo estraneo.

Zavoli, ex socialista di diverso stampo rispetto a quello di Forbice, si limitò

a dire che Zapping discreditava la politica. Così il nostro si è trovato

estraneo all’orientamento prevalente, quello dell’Europa bancaria, del

partito Rai3 e Repubblica che si preoccupa di selezionare accuratamente i

nuovi entranti da Perugia e seleziona le teste canute in entrata ed in

permanenza. Forbice è una voce di quel popolo progressista moderato che

escluso dai cinici del potere, si è trovato per forza di cose vicino al

centrodx, senza esserne però mai parte integrante. Infatti, alla sua

defenestrazione, l’unico a testimonargli solidarietà è stato Storace che il

giornalista nemmeno conosceva. Al posto dell’ideatore ora il direttore di

Zapping, è Loquenzi, come dire, un loquenzi per tutte e stagioni. Una

sostituzione da manuale cencelli che sostituisce un giornalista considerato

destro con un altro destro. Non basta però l’etichetta a cambiare l’acqua in

vino. Loquenzi, pannelliano direttore di Radio Radicale nei primi anni ’80,

percorse nei primi ’90 il tragitto Torre Argentina- Palazzo Grazioli ed a

destra ha galleggiato senza lasciare traccia, tra Foglio, ufficio Stampa del

Senato, Occidentale e Magna Charta. Malgrado milioni di veline ferrariane,

periane, quagliarelliane, non gli si può attribuire una posizione e non

rischia l’odio che ancora richiama a sinistra il nome di Capezzone. Sempre

giovane ma ormai 50enne, il Loquenzi è il tipico non quadro di non

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Giuseppe Mele 2014

comunicazione, prediletto da Forza Italia; abilissimo nei corridoi Rai, dove

sottrasse la conduzione di Ultime da Babele a Dell'Arti, prima di ripetersi

con Forbice. Senza infamia e senza lode è uno di quei costi della politica

pannelliana (ormai volgente al disio) che il centrodx si è caricato

inutilmente. Adesso Forbice, in collaborazione con la Uil Unsa e la

Federazione Scrittori Italiani lancia un corso di scrittura creativa ispirato ai

diritti umani e civili, titolato significativamente a“Ignazio Silone” Lo

accompagnano in questa avventura il collega Lorenzetto de Il Giornale, i

noti Veneziani e Malgieri, il socialista Covatta, Fertilio (fondatore con

Bukovskij dei Comitati per le Libertà Gulag), il poeta Maffia e il naturalista

Quilici. A maggio comiceranno i corsi da 100 ore finalizzati alla tutela dei

diritti umani e civili,così trascurati nella scuola, università, media e

letteratura. Nel grigiore delle candidature attuali, il richiamo a Silone, già

maledetto dall’intellighenzia, di Forbice evidenzia quanto la sua sarebbe

stata un’ottima candidatura alle europee. Nessuno ci ha pensato però.

Contiamo sul fatto che il giornalista nella sua iniziativa dedicherà tempo

all’anticonformismo ed al politicamente scorretto; che quando si hanno

cultura e grinta, sono quanto mai eloquenti.

2013 Mi manda Ciccone

Perugia è da un po’ di tempo una città tormentata.Stabile fortezza di

impieghi pubblici, monasteri e di affittuari di camere pergli studenti

internazionali, al capoluogo dell’Umbria non mancava nulla, né

unbell’hotel antico il Brufani, con piscina etrusca sotterranea, né

quattrofestiival, due belle vie, due gran palazzi e grifoni in pietra, non i

suoi 30consiglieri regionali per quasi 900mila abitanti, nemmeno un quadro

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Giuseppe Mele 2014

politicostabilissimo, ribadito in questi giorni dalla mostra (San) Francesco

nel cuoredella regioni e dal sito nuovissimo del “dizionario biografico

umbrodell'antifascismo e della resistenza”. La crisi internazionale èperò

arrivata anche qui, fin dal novembre 2007 nellevesti

dell'omicidio dellastudentessa inglese Kercher,per il quale caso è partito il

solito processo decennale italiano, fatto dicondanne, assoluzioni e

annullamenti a ripetizione con l’onnipresente Bongiornoche qui già aveva

concionato a lungo per la difesa di Andreotti. I grigi cielidella crisi

economica si sono fatti ancora più plumbei per gli studentistranieri e

soprattutto per le loro famiglie, preoccupate da tante dicerie disesso

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Giuseppe Mele 2014

criminalgotico. Ultimamente è andata incrisi anche un altro saldo bastione

di studi cittadino: la Scuola di Giornalismodi Perugia. Tutto parte ancora in

estate, quando la Rai di Gubitosi si accordaper 70 nuove assunzioni con

l’Usigrai. Il sindacato sinistro corporativo dei giornalisti Rai,dopo aver

bloccato ogni intesa contrattuale con l’ex Dg Lei per motivi politici,teneva

molto a questa intesa, unica rivalsa positiva delle tornate contrattualicon il

nuovo Dg e la presidente Tarantola. In prima battuta vengono assuntiinterni

precari: 40 giornalisti che, a tempo determinatoo autonomi o collaboratori,

da un lustro passavano per aiuto regista, autoretesti e programmisti. Scelta

nominativa senza richiesta né di un curriculum, né di un titolo, con lottedi

sbandamento di gruppi di tessere sindacali, intorno. Sul blocco di

provenienzadalle scuole di giornalismo, c’è un qui pro quo: per Gubitosi

c’è la “prassi aziendale” Rai, di coltivarsi i proprivirgulti alla scuola di

Perugia, donde arivò Floris e da dove effettivamente aluglio, arrivano, su

chiamata diretta allesedi regionali Rai 35 ex allievi perugini, qualcunocon

tanto di appartamento aziendale. Per gli altri la beffa asettembre di un

improbabile concorso, affidato all’agenzia Praxi, condomande quiz, vaghe

oppure sbagliate, addirittura invalidate in corso d’opera.La commissione,

presieduta da l’ineffabile Sorgi, appurato che il programmaOdeon non era

dell’86 ma del ’76, abbozza, si complimenta, poi seleziona pergli orali (a

porte chiuse) senza criteri 100 aspiranti, tra i quali anchegiornalisti

concorrenti come il capo redattore Radio Vaticana. Finisce conGrillo e il

presidente Commissione Rai Fico, che assediano a via Mazzini,Gubitosi, il

direttore HR Flussi e Di Trapani (Usigrai); con tutti al Tar edsulle pagine

Facebook di protesta, chiamate “Come loro”, alludendo ai perugini,e dopo

le censure, ridenominate “35 come loro”. All’Ordine dei giornalisti,escluso

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Giuseppe Mele 2014

dalla kermesse, Jacopino versa olio sul fuoco postando i retroscenasulle

pagine blu e scrivendo indignato a Rai, Fnsi e Usigrai a difesa dellealtre 11

scuole ( Luiss, Lumsa) che sulla carta sono uguali per il gli “indirizzi” Rai

e che se non lo fossero metterebbero in difficoltàOrdine, Università e corsi

da €20mila l’anno. Abituati alle barricate, questavolta Articolo 21, Usigrai

e Cerratodella Casagit fanno i pompieri, ribadendo che Perugia è canale

privilegiatoRai. Contro invece si schiera un loro amico storico, il blog La

valigia blu diArianna Ciccone, un nome che a Perugia conta. La ragazza

con la «valigiablu» è la napoletana bassina Ciccone, 42enne, con tanto di

sorella ed exprofessore di inglese, ora compagno, l’alto 49nne angloUsa

Christopher Potteral seguito. In 6 anni è riuscita sotto la presidente

regionale decennale (2000-10) Maria Rita Lorenzetti, edil locale Odg

Ciliani (“non è un Festival autoreferenziale”) a costruire ungigantesco

evento internazionale del giornalismo, senza direttori artistici,con decine di

migliaia di presenze, centinaia di giornalisti accreditati,eventi, dibattiti,

libri, documentari, interviste, relatori. Tutti a discerneremedia e libertà di

stampa, gratuita, innovativa, i temi del precariatogiornalistico, della nuova

etica web, della lotta tra l’odiata tv, editori eblogger. Espertissimi di una

cosa che non hanno mai fatto(“Il giornalismo restauna passione extra

lavorativa”), Arianna-Chris riescono a ottenere per la lorosrl €522.500 dalla

Regione, 62mila dal Comune, 86mila dalla Camera di Commerciosenza

contare contributi a latere, come location, affitti, auto blu e navettegratuiti

(ca. €40mila euro) e gli sponsor indirizzati dalla Presidente(Unicredit, Tim

Enel, Sky). L’edizione 2011al colmo della campagna sullarepressione

antistampa, finisce in crescendo con Mauro, Concita, Rossi e Stellauniti in

coro accanto ad una raggiante Arianna, la cui mascella alla Totògiganteggia

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Giuseppe Mele 2014

soddisfatta, nella rientranza dentaria commovente e minacciosainsieme.

Dal 2012 però i fondi calano, dai170mila, ai 120mila (con costi totalida

400mila), fino a miseri 75mila prospettati per il 2014. Il clima è

cambiato,al potere nn c’è più il bau bau repressore della libera stampa, la

crisi incombee tutti vogliono stabilità. Le 2 ultime presidentesse regionali,

Lorenzetti e Catiuscia Marini si sono fatte registrarementre si avvisavano

reciprocamente delle intercettazioni della magistatura. Laprima, da capo

Italferr (FFSS) è stata arrestata e liberata in un’indagineantiTav fiorentina

che lambisce pericolosamente i territori renziani. Laseconda, messa la

dovuta attenzione ai telefonini, è passata agli incontridiretti. In uno di

questi, con Arianna-Chris, ha garantito fondi a volontà,impegnandosi senza

l’oste, l’anziano assessore alla cultura Bracco che soldi non ne ha. Non

l’avesse mai fatto. Accantoalle polemiche sulla scuola giornalistica,

esplode la rabbia della Ciccone chenon intende ridimensionarsi ed annuncia

in una conferenza stampa- assembleastile TeatroValleoccupato ma lussuosa

-il solito Brufani- che il prossimoFestival non ci sarà, sicuramente non a

Perugia. Siamo in piccoli posti, doveci si conosce, si parla, non si litiga.

Come racconta l’assessore comunaleCernicchi, ci si mette d’accordo

davanti ad un piatto di formaggi, anche sel’interlocutore Chris, stranamente

sorseggia succo di frutta e mastica muffin.Non si ci aspetta il coro di urla

che le erinni - stile Guzzanti - sono capacidi evocare. L’idea che il Festival

non ci sia più, fa partire un roboante“vergogna” dall’Espresso per poi

venire reiterato in tutto il red network nei 5continenti, fino alla

convocazione a Roma dal premier. Addirittura.Comprendendo di avere di

fronte forze superiori alle proprie, gli enti locali, sudettato della Catiuscia

preparano la nota spese da €120.mila. Al Comunecalcolano di trovarne altri

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Giuseppe Mele 2014

30mila e di raggiungere la promessa cifra di€200mila. Nessuno ferma però

l’Ariannache ne ha in realtà chiesti 600mila. Al quartier generale del

Brufani, gremitodi giornalisti, blogger, commercianti, cittadini, qualche

sponsor, nell’assenzadei politici, ribadisce che “A sostegnodel festival sono

scesi in campo i big internazionali e i più grandigiornalisti che definiscono

il festival the best. In 7 edizionisiamo passati da 50 ospiti a 500, nonostante

il budget molto contenuto. Il Roisul territorio vale 3 volte i fondi pubblici

elargiti. Troppo tardi, proveremocon le nostre forze. I finanziamenti

saranno reperiti attraverso ilcrowdfunding (offerte libere da parte dei

cittadini)”. La minaccia è di portarela kermesse a Prato. La napoumbra

scatenata attacca sui soldi sprecati persagre da 4 soldi o per una mostra di

giovani autori a Palazzo della Penna chenon si capisce se sia costata 140 o

190mila. In una conferenza stanpa da quasi2 ore, nandata in web streaming

per trasparenza, sudatissimo il giovaneassessore comunale, ricordate le

ospitalità perugine dei cileni, quando non eranato, dimostra tutta la forza

dei novi Pd ricordando che al duo anglonapoletanoaveva affidato l’incarico

(da 5mila) della rassegna stampa ed implora che lakermesse resti a casa. Il

regionale prof.Bracco non fa una piega, tiene nelfrizer i 120mila promessi.e

controbatte il Guardian sul Trasimeno Festival(costo 8mila) agli

arianneschi Reed, il tecnologico di Obama e Bernstein delWatergate. Come

tutto si è gonfiato, tutto si sgonfia. Alla fine il Festival,anzi l’Ijf

(International Journalism Festival) resterà dove è nato. Glisponsor,

malgrado i loro problemi ed i loro lavoratori metteranno il

contantemancante. Restano i buoni, il giovane Cernicchi (“Verodispiacere.

Quasi dolore. Nottata insonne”), il sindaco Boccali, ilsottosegretario

Legnini. Cattivi Bracco e le istituzioni. Così due partiti deimedia Pd, in

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Giuseppe Mele 2014

tempi di comgresso, si fronteggiano in quel dell’Umbria:l’evento-filiale de

La Repubblica e la scuola-filiale Rai; qualche voltainsieme, qualche altra

contro; ci sono poi altre correnti, è ovvio, glialbergatori, la Pa, il tapis

roulant che tiene lontani gli immigrati dellastazione da Wladimiro e

Catiuscia, dai bei dibattiti introdotti da Potter: «Lacittà è nel bel mezzo di

una rivoluzione culturale. Proprio come ilgiornalismo». Tutti su “Il Filo di

Arianna”, l’agenzia di comunicazione srl,fondata dalla nostra, con tanto di

confusione con la più nota associazione peradozioni, e con le domande

fatidiche “Gli sponsor che sovvenzionano il noprofit contribuiranno con Iva

o senza?” Ed i 20 giornalisti, che tengono vivoil sito tutto l’anno, rientrano

nei 190 che fanno a gara per essere volontari?Chiedetelo ad Arianna,

ribelle del IJF, futura docente alla Scuola Rai. Semprea Perugia.

2013 Il voto vecchio dei giornalisti

Le elezioni dei giornalisti sono a metà guado. Il 19 ed il 20 maggio c’è

stata la prima scrematura. Chi ha superato il 51% è stato eletto. Per gli altri,

selezionati secondo un numero doppio rispetto alle poltrone contese, si va

al ballottaggio del 26 e 27 p.v.. Questo è il sistema elettorale previsto

dall’Ordine, anacrostico, defatigante e scoraggiante. Non si può votare on

line, bisogna indicare nome e cognome, ci si deve recare, anche nelle

grandi città, in un’unica sede. Per i padroni sindacali del corpo

professionale dei media, sicuramente – è stato detto tante volte – si tratta di

scoraggiare il voto. Risultato, al primo turno ottenuto: i competitori su

elenchi di decine di migliaia di elettori prendono centinaia di voti; vincono

e perdono per decine di preferenze. Sui 10mila pubblicisti nel Lazio, vanno

a votare in mille. La battaglia al Consiglio regionale del Lazio è solo tra

due liste: Autonomia e Responsabilità, Giornalisti Uniti, detta anche

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Giuseppe Mele 2014

ContrOrdine e la lista governativa Indipendenti per la Riforma Costruiamo

il futuro, che suona come il nome della Fondazione del ministro Lupi.

ContrOrdine ha piazzato tutti e 6 i suoi candidati con la prima votata Paola

Spadari dell’Ansa(voti 650), Silvia Resta de La7 (voti 629), Maria Lepri

della Rai (603), Marco Conti de Il Messaggero (577), Carlo Picozza de La

Repubblica (593), Mario Forenza di Rainews (527). Gli Indipendenti del

presidente dei giornalisti di Roma e Lazio Bruno Tucci (voti 598) e degli

attuali consiglieri Odg Lazio, come Filippo Anastasi (voti 476) e del

tesoriere Claudio Rizza (Il Messaggero, già all’ufficio stampa di Palazzo

Chigi, v.421) sono stati surclassati. Coinvolti nella debacle gli altri della

lista ( Sebastiano Messina de La Repubblica v.372, Marida Lombardo

Pijola de Il Messaggero v.319 e Francesca Romana Gigli della Rai v.272).

Stessa musica per il voto al Consiglio Nazionale. Tra gli Indipendenti, se

Tucci è arrivato quarto al regionale, il presidente nazionale Odg Enzo

Iacopino è arrivato addirittura solo sesto con v. 518, sotto quelli di

ContrOrdine (Carlo Bonini de La Repubblica v.682, Roberta Serdoz del

Tg3 v.623, Giannetto Baldi Ansa v.544, Chiara Longo Bifano 544

RadioRai, Guido D’Ubaldo Corriere dello sport v.533, Fabiola Paterniti

freelance v.531). Con gli altri (Maria Zegarelli de l’Unità v. 506, Cristina

Cosentino freelance v.502, Laura Trovellesi dell’ufficio Stampa Senato

v.489, Nadia Monetti della Rai v.484, Roberto Mastroianni 483, Pietro

Suber di Mediaset v.482, Sonia Oranges freelance v.480, Loris Gai506

della Rai v.472, Ester Palma del Corrierone v.452, Adalberto Baldini de

La7 v.447) in tutto i ContrOrdine sono 16 come lo sono gli Indipendenti

che ora contano di rifarsi al ballottaggio. (gli altri sono Pierluigi Roesler

Franz attuale consigliere v.475, Paolo Conti del Corrierone v.397,

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Giuseppe Mele 2014

Alessandra Longo de La Repubblica v.305, Raffaella Cosentino free lance

v.292, Adriana Pannitteri Rai v.287, Monica Paternesi Ansa v.279,

Alessandro Banfi Mediaset v.258, Antonio De Florio Il Messaggero v.246,

Vincenzo Miglietta Radio IlSole24h242, Dania Mondini Rai v.241,

Emiliano Scalia Sky v.231, Giulio Cesare Valesini Ballarò v.220, Gianluca

Gizzi Rds v.217, Antonella Giuli exLiberal v.212, Maria Micaela Fagiolo

Popoli e missioni v.194). Se il voto non cambierà, ContrOrdine batte

Indipendenti 14 a 2. Sono invece rimasti fuori, a soglia 120 voti cadauno, i

candidati di Fnsi L’Alternativa che schieravano per il Lazio Michele

Arnese di Formiche.net, Barbara Li Donni di Mediaset, Luigi Monfredi del

Tg1, Pierangelo Maurizio di Tg5, Maria Serra dell’ufficio Stampa Cotral e

Massimo Signoretti Pensionato; e per il Nazionale, Stefano Campagna del

Tg1, l’auore del famoso libello contro Bianca Berlinguer. Con lui il

pensionato Lino Ceccarelli, Paolo Corsini del GRRai, Valter Delle Donne

de Il SecoloD’Italia, Tommaso Della Longa del CRI, Marco Ferrazzoli

dell’uff. stampa CNR, Patrizio Li Donni free lance, Alan Patrizio Patarga

del Tg5 e Michele Ruschioni di NoiRoma.it. Tutti poi si rivedrano ai primi

di giugno per l’elezione dell’assemblea CASAGIT, dove L’Alternativa

candiderà fra gli altri Maurizio Pizzuto di Cultural News e poi a novembre

per le elezioni di Stampa Romana. Come si vede non si smette mai di

votare. Contrordine ha messo lo zampino anche tra i pubblicisti, sostenendo

la Sfragasso (v.222), appoggiata anche da Stampa Romana, espressione

nell’OdG capitolino della Fnsi, il sindacato giornalisti. SR, reduce dalla

partecipazione allo scontro tra il presidente Tucci ed Eracito Corbi,

direttore de Il Corriere Laziale, ha oscillato tra sostenere la lista Albo

Unico di Russo e Pizzuto, i candidati Contrordine e gli uscenti come Coros

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Giuseppe Mele 2014

consigliere di SR (v.151). Dominatrice è stata però la lista dei Pubblicisti

Unitari Stampa Romana del capocomponente Gino Falleri, attuale

vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti laziale, presidente nazionale

Giornalisti Uffici Stampa e del Dipartimento Uffici Stampa Fnsi. Unico

eletto, tra pubblicisti e professionisti, al primo turno con la maggioranza

assoluta dei voti con 709 preferenze, l’85enne Falleri ha condotto la volata

per il regionale anche all’attuale consigliere Genco (v.358) ed al capo

stampa ispettorato generale corpo forestale Cazora (v.281), che dirige la

rivista Il Forestale, con in redazione Flavio Rosati e che punta a sostituire

l’attuale consigliere Franco Rosati, presidente Giornalisti Agricoli regionali

(Arga). 10 i consiglieri uscenti falleriani al ballottaggio: Rossi, Armati e

Corsetti, segretario, tesoriere e vicepresidente Angpi e Eapo

(rispettivamente v.423, 370 e 266), De Vincentiis free lance (v.331),

Esposito (298) e De Renzis (v.261), Nota Cerasi (249), Davoli (227)

Solinas (141) e la sarda Palmisano (245); più altre 4 new entries del patron

(Mattoni del CNR v.297, Scarsi free lance v.257, Naddeo dell’Autority

vigilanza contratti v.213 e Berlingeri uff. stampa Presidenza Consiglio 158.

In lizza per Albo Unico nel regionale la Palmieri, SaiTv (v.159) e nel

nazionale Molina(167), Panei (165), Maiella uff. stampa Inps (v.152),

Calaci (141), Carnevali (141), Di Felice (140) e Cannata Cgil(139). Se

Contrordine e Stampa Romana sono di sinistra, Indipendenti di centro con

tendenza morotea alla sinistra ed Alternativa, come SenzaBavaglio di

destra, il gruppo Falleri è ondivago. Nato nel 2010 all’interno del centrista

Rinnovamento, si è poi inserito in Autonomia. Le liste come Albo Unico,

di fronte a tanta liquidità, fanno fatica ad opporsi ad una gestione

plurudecennale. Possono puntare sulla freschezza di candidati nuovi, ma

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Giuseppe Mele 2014

non sulle idee. Falleri assomiglia tanto ai vecchi Dc che raccomandavano

prudenza (e che nel caso specifico sconsigliano ai pubblicisti di passare

professionisti), ma a sorpresa a votarlo trovi il tesorerie radicale De Lucia,

come il neo consigliere regionale Tortosa ( passato dai socialisti di destra a

Di Pietro ai socialisti di Nencini). Anche Stampa Romana lo supporta, in

nome forse dell’occupazione burocratica in coabitazione dei palazzi di

governo della stampa. Domenica, al voto si rinnova. O forse si invecchia.

2012 Resamanifesta

Il mondo prevede la fine della stampa cartacea per il 2017. Quest’anno

sono più di mille i giornalisti considerati in esubero mentre i fatturati,

sostenuti da più di un finanziamento pubblico tremano all’idea di scendere

sotto i 3 miliardi, dai 4,8 del 2004, con una perdita di 100 milioni l’anno.

La vendita dei quotidiani è di 4,7 milioni di copie, al livello anteguerra. Gli

accessori (libri, DVD, francobolli, modellini) dal miliardo sono scesi a 350

milioni. I 168 distributori locali del 2004 sono oggi un centinaio e le

edicole, cinquemila in meno, 30.500. La pubblicità va per il 60% in

televisione e solo per il 19% sulla stampa (10% ai periodici, 8,5 ai

quotidiani, 0,67% ai giornali free); a seguire il 4,8%, sul web, ca 200

milioni. La corazzata Rai, Tv di Stato, si è fatta superare dalla Google

nazionale nela raccolta pubblicitaria. Si pensi che per la Rai lavora,

direttamente o no, lo stesso numero di persone che in Google è la somma

dei dipendenti in tutto il mondo. Nella crisi le spese di lettura sono tra le

prime a crollare ed in un anno si sono persi tre quarti di milione di lettori in

un paese che già ha sempre letto poco. Agli italiani non piace la stampa

nostrana interessata dell’interfaccia partitica e mai degli acquirenti. Come i

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Giuseppe Mele 2014

politici sono sentiti

lontani, così i principali

editorialisti ed opinion

makers non rappresentano

che se stessi. Non a caso

ampie masse

maggioritarie di elettori

non hanno voci forti

editoriali a rappresentarli.

In Italia vale più

l’espressione di Ignacio

Ramonet "I giornalisti hanno perduto il monopolio dell’informazione e la

società ha accettato l’idea che ormai tutti sono giornalisti".Questo nel

nostro piccolo. Poi più in generale press, editoria ed altre forme di lettura

sono destinate ad essere voci del fatturato delle telecomunicazioni. Inutile

attendersi granchè dall’acquisto on line di libri o newspaper. La lettura on

line sui diversi portali può essere pagata solo da consumo o abbonamento

tlc mobile o fissa. Prima di accettare la ristrutturazione della catena

commerciale, passerà molto tempo, di cui l’adversiting on line approfitterà.

Non a caso negli Usa hanno chiuso 166 testate dal 2008. Nella grillina

Parma a fronte della chiusura di Parmanews24, "Sera di Parma" e “La

Cronaca”di Cremona e Piacenza, i 180mila parmensi godono del record di

19 siti di news sul web. L’area culturale antagonista comunista,

ampiamente sopravvalutata rispetto al suo consenso reale ed alla risacca

della storia, che l’avrebbe voluta morta e sepolta da più di 20 anni ha subito

più delle altre. Hanno chiuso Terra dei verdi, Liberazione, Il Riformista,

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Giuseppe Mele 2014

l’Avanti, City, free press Rcs, le

testate di Emergency (PeaceReporter

ed E-il mensile) con un positivo “Ci

arrendiamo al mercato”. Intanto

Celentano chiedeva la chiusura ope

legis de l’Avvenire. Per sopravvivere ad un mondo in cui il comunismo si è

fatto dirigismo economico, l’altra faccia bifronte fascista, raggiungendo i

migliori risultati capitalistici, la stampa rossa nostrana si è fatta

giustizialista. In questo contesto brilla l’anacronismo perfetto del dibattito

de Il Manifesto, soldato giapponese sopravvissuto a se stesso. Quotidiano

moribondo che malgrado le vendite in crollo, ha sempre puntato più in alto

con più costi, più copie, più inserti, più lussi, aiutato da manine insperate

(banche e vecchie solidarietà) di 4 milioni tra ‘06 e ’09. I 40 mila lettori del

‘90 si sono però ridotti agli odierni 15mila. Il giornale si è trovato con stop

delle attività e pratiche fallimentari già avviate. La “vera istituzione del

giornalismo italiano” si è ribellata. Qualcuno ha ricordato che nel ’70

Pintor

promise il

coinvolgimen

to dei lettori.

Detto solo

ieri,

insomma. I

lettori sul

territorio si

autotassano, vogliono diventare gli editori, ma la redazione non li capisce.

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Giuseppe Mele 2014

Noblesse oblige, il governo da destra storica in carica salva tutti: 36 tra

giornalisti e poligrafici, intoccati e 34 in cassa integrazione. Lo

psicodramma è però in atto. La redazione ammette “grandi sacrifici per

rispettare condizioni molto pesanti nella gestione corrente dei bilanci” (sic).

I circoli di Padova, di Pietrasanta, di Bologna e della Sardegna, rivendicano

il loro diritto di naturali “editori”, in linea con l’ideologia prefissata, con

lettere mandate on line “ per paura di non essere pubblicati. La redazione

rifiuta sia l’acquirente borghese illuminato: “questo mai”, che la reductio a

25 ed accusa come “nemici dei lavoratori” i circoli che chiedono

l’autoriduzione a 35 dipendenti. Tutti tirano per la giacchetta la Rossanda,

ragazza del secolo scorso, che si chiede “ma perché ero comunista?" e che

“pare abbia pessima opinione di “cos’è il Manifesto”. Cosa pensi Magri

non si sa, ha anticipato la sua creatura l’anno scorso, con il suicidio

assistito. Come Minerva ad Ulisse, Parlato parla ai circoli: “ho superato gli

80, Molto è cambiato. Breznev, il cambio nome del Pci, la lotta di classe

dei padroni, la patrimoniale la voleva anche Einaudi. Dovremo costituire

una nuova cooperativa… fare ricorso all'azionariato”). Nelle assemblee

scoppiano gli interessi contrapposti di redattori, collaboratori, lettori-

sotenitori, ovviamente tutti comunisti. Finisce in forse l’ipotesi “di

proprietà collettiva, unica evoluzione in linea con la sua storia”.

L’amministrazione controllata preme ma ferve il dibattito su “statuto,

regole rapporto proprietà e redazione nell'autonomia di quelli che ogni

giorno fanno il giornale.” Così dopo 40 anni muore il Manifesto fuori di

testa tra vecchi e lavoratori angosciati per il loro futuro. La colpa è

ovviamente degli operai che non lo comprano e dello Stato che non lo

mantiene. Nato nel ’69 come dazibao maoista contro il Pci in un dibattito

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Giuseppe Mele 2014

bordighista già decrepito allora, partito e giornale, il Manifesto aveva il

rispetto di tutti, degli intellettuali indipendenti, organici e quello ipocrita

degli altri. Avrebbero dovuto dirgli, come si fa alla vecchia che vuol fare la

sciantosa: basta, sei ridicola. Nel suo modo cinico il Pd l’ha fatto

appropriandosi al terzo trasloco, della sede di via Tomacelli de Il

Manifesto, destinata a Bersani e ed al tesoriere Misiani. Botteghe oscure è

in disuso, l'acquario del circo Massimo lasciato, Tritone e Botteghino in via

di abbandono. Il più del Pd che ha bisogno di 5mila mq resta in via

Sant’Andrea delle Fratte al Nazzareno, in affitto al fantasma Margherita.

C’è tutto il tempo perché anche al Manifesto restino solo ragnatele. “Ci

arrendiamo al mercato”

2011 Gadmentana

Mentana sta in un avallamento sulla via da Roma tra Tivoli e

Monterotondo. Il paese dove Garibaldi si scontrò con l’avanzata tecnologia

francese del suo tempo è come insaccato tra colline alle spalle e monti fra

cave di fronte. Anche l’Enrico un tempo detto macchinetta a La7 è come in

una valle, ben più tosta e assai più concava. Prima del suo TG c’è tutto un

giorno da dimenticare e subito dopo a raffica le dure roccie Gruber-

Bignardi o Gruber-Lehner. Appena arrivato, Mentana con fare spigliato

cercava il dialogo presentativo con la Lilly il cui programma seguiva al suo

TG, così da creare un caldo trait d’union, poi un po’ i silenzi gelati , un po’

osservazioni taglienti dirette l’hanno fatto desistere. La piccola belva

tedesca che “non fa niente per nasconderlo” l’ha addentato ad una gamba in

ascensore ed Enrico ha abbozzato. Ora giorno dopo giorno affronta una

lenta opera d’assorbimento che lo adatti del tutto all’ambiente, che lo

sbianchi e lo faccia trasparire dentro e lungo le strisce verdi blu ferrovie

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dello stato che ha di consueto alle spalle. Nel luglio dell’anno scorso il suo

arrivo a La 7 è stato un po’ come quello di Rolando nell’Inter di qualche

anno fa. Al debutto al timone del Tg Mentana fece uno share del 7,3% con

ca 1,5 milioni di ascolti, un record per una rete che di solito sta sotto della

metà. Poi ha proseguito per116 sere consecutive, stabilizzandosi sui 2

milioni di ascolti. Arrivava dalla rottura del 9 febbraio 2009, avvenuta in

malo modo con l’ambiente considerato suo naturale, Mediaset e Canale 5,

dove aveva più che diretto creato il primo Tg nazionale non

Rai. Mentana non è però Baudo, Costanzo o Rossella; non è mercenario ora

in Rai ora in Mediaset. Dopo quel 2009 che seguiva già alla prima

defenestrazione del 2004 quando gli era stato tolto il TG per la direzione

editoriale, Mentana resta alla finestra. Quando rientra, molti si attendono il

dente avvelenato, l’attacco alle reti del cavaliere. Invece no, macchinetta,

nick dovuto alla velocità dell’eloquio,che giurano sia assai più rapido dal

vivo rispetto allo studio tv, resta se stesso, attento al paese reale

dell’antipolitica diffusa, ponderato, veritiero nel ritrarre vizi e virtù degli

uni e degli altri. Nel club La7 è un’affondo terribile che svela pochezza e

cortigianeria della faziosità strillata a diversi decibel da Lerner, Bignardi,

Piroso e Gruber. Anche solo pacate introduzioni ai temi di queste talk show

politici, finiscono per imbarazzare i piccati conduttori. Bisogna capirlo

Mentana. In un tempo lontanissimo fu partecipe, o meglio vicepresidente

della giovanile socialista e direttore del relativo organo ufficiale Giovane

Sinistra e come era naturale passò al canale Rai di riferimento, il secondo

ed al suo telegiornale ancora garibaldini e forieri di speranze coi loro pochi

anni. Milanese di prima generazione di famiglia immigrata Mentana ci

dava dentro d’impegno e d’acume. Poi grazie alla Maglie da vicedirettore

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TG2 approdò più che alla direzione alla fondazione del neonato TG5: era

l’anno ’92 e qui le date pesano come macigni. Mentana in Rai avrebbe

potuto sopravvivere e senza neanche finire nei sottoscala come toccò a

Pirrotta. Avrebbe dovuto però uniformarsi allo stile dell’epoca. Oggi le

cotonature, le mise scollate, gli sguardi languidi delle nostre tele giornaliste

nel frattempo divenute telecommentatrici non devono trarre in inganno. Nei

primi anni ’90 in tuta stile hamas erano delle guerrigliere, tricoteuses

dell’epurazione soprattutto antisocialista. Mentana i cui ricci ricordavano

Martelli e lo sguardo diretto e un po’ bovino Rho e Tognoli era proprio un

tipico prodotto della Milano libertaria riformista. A Cologno finiva per

restare a casa sua. L’informazione della corazzata Mediaset l’ha costruì lui

in un ambiente che a sua volta lo formò indissolubilmente. E’vero che per

molti la vera informazione, la meno politica e per questo più politica di

tutte a canale 5, l’ha sempre fatta Striscia la Notizia. Il Tg di Mentana però

fin dall’evento della morte di Falcone superò la concorrenza Rai uscendo

del tutto dalle distinzioni lottizzatrici. Mentana non è né riesce ad essere un

fan del premier a cui in fondo offre un sostegno non fideistico basato

sull’imparzialità, secondo il percorso comune di milioni di laico

progressisti che da subito si sono schierati per il Cavaliere. Ad un certo

punto nell’incandescenza dello scontro, anche Berlusconi coi Tg ed i

giornali, incoraggiato da Feltri e Lega è passato alla lottizzazione piena, al

carrismo mediatico usuale per il centrosx da Telekabul ad oggi. In questo

Afghanistan inquisitorio è finita anche La7 che come Tv dell’incumbent

Internet sembrava rivolta ad altri lidi, già dal’impostazione bipartisan della

trasmissione post 11 settembre di Diario di Guerra condotto da Ferrara e

Lerner, poi divenuto Otto e mezzo. Messo di fronte al realismo degli

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eventi, data la superiorità intellettuale dell’elefantino, Lerner se la diede per

creare una tv inquisitoria in cui l’ex abituè Agnelli e Torino bene, l’ex

fallito stroncatore della Lega, poi gran adulatore di Tronchetti, celebra un

suo processo in genere, costituito da mille contro uno del centrodx preso a

capro espiatorio. Pochi però riescono a dire la propria, perché le domande

di Lerner sono j’accuse, in cui sempre più il giornalista si diverte a

trasformarsi in un ebreo errante, vittima simbolo cui dunque tutto è

concesso. Come fare una trasmissione tutta a sostegno Pisapia senza

intrralci, esattamente come fece Santoro per Vendola. Dietlinde Gruber,

proveniente da un paesino tedesco, già cronista per il DC Adige, sostenuta

da Vespa e Ghirelli in Rai contro i quali capeggiò la rivolta del Tg1

redazionale, invece secondo Pansa e Grasso adotta “metodo del due contro

uno. Per vincere, la Gruber assieme all’anti-Cavaliere di turno, colpisce il

terzo ospite, di centrodx.” Come per Santoro l’esperienza in politica è stata

un disastro, come il libro sull’Irak che è tra i più economici all’autogrill.

Invece nelle lotte redazionali è eccezionale. Così appena arrivata si è

liberata del partner Guiglia. D’altronde bisogna piacere al vertice Telecom

ed a quello de La7, cioè a Stella, fratello del giornalista moralizzatore de La

Casta. Ovviamente i due fratelli sono partecipi della casta al massimo

grado, il primo come vip manager, il secondo come giornalista, E’ il

metodo Celli che consiste nel denunciare esattamente le cose che si fanno.

La7 è uno strano essere; non è mai stato chiaro come arrivò da Cecchi Gori

che diceva di non essere stato pagato, a Colannino. D’altronde a

quest’ultimo dx e sx hanno fato a gara a quasi regalare aziende primarie.

Colannino e Tronchetti pensavano comunque di convergere servizi Internet

e Tv, prospettiva inevitabile ma finora procrastinata. Con Bernabè la7 si è

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collocata nell’tifoseria mediatica ed ha scelto il partito ex Ulivo; poi poiché

il prodismo è evaporato, è divenuta una Rai3 più aristocratica, coi risultati

drammatici che avevano fatto pensare ad una sua vendita Mentana il

salvatore le ha ridato respiro. Purtroppo però nel suo avallamento ed a sua

insaputa anche Mentana sta divenendo un ebreo errante, lui che ancor più

laico

del

poco

religios

o Gad.

La

posa, la

giacca,

il

capello

lo

stanno

trasfor

mando

in un

Gad

Mentan

a. Se

non

potrà

far

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passare un po’ d’aria fresca, la7 tornerà ai suoi standard imprigionandoci

anche l’Enrico il cui unico cedimento al berlusconismo è la moglie più alta

di lui