Digital Kids - Prefazione e Introduzione

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Prefazione Angelo Failla – Fondazione IBM Una parte consistente della popolazione mondiale, anche se con marcate differenze geografiche, vive ormai circonda- ta da un’infrastruttura digitale costituita da una fittissima rete di tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Tali tecnologie sono sempre più pervasive, coinvolgono tutti gli ambiti della vita e l’uso di manufatti tecnologicamente densi – con tecnologie sempre più nascoste, miniaturizzate e interconnesse – rappresenta un’esperienza normale e quotidiana per milioni di persone. La diffusione di strumenti basati sulle ICT è stata velocis- sima e ha conquistato ambiti di utilizzo sempre nuovi. La corsa verso l’informatizzazione delle nostre attività è stata motivo di entusiasmo per alcuni e a volte fonte di disagio per altri. In ogni caso è stata oggetto di studi approfonditi, accesi dibattiti, interminabili discussioni tra ottimisti e pes- simisti, detrattori e fautori della tecnologia. Naturalmente ciò è stato evidente solo per coloro che hanno vissuto la fase di passaggio: gli addetti alla produzio- ne che hanno visto la nascita della fabbrica automatica, gli impiegati e i manager nel lavoro d’ufficio del settore privato negli anni Ottanta, poi gli addetti alla pubblica amministra- zione e, più di recente, gli insegnanti. Il lavoro è stato l’ambito privilegiato di introduzione delle 0040.primepagine.qxd 17-09-2008 12:35 Pagina VII

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"Digital Kids. Come i bambini usano il computer e come potrebbero usarlo genitori e insegnanti", a cura di Susanna Mantovani e Paolo Ferri, ETAS, 2008.

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PrefazioneAngelo Failla – Fondazione IBM

Una parte consistente della popolazione mondiale, anchese con marcate differenze geografiche, vive ormai circonda-ta da un’infrastruttura digitale costituita da una fittissimarete di tecnologie della comunicazione e dell’informazione.Tali tecnologie sono sempre più pervasive, coinvolgono tuttigli ambiti della vita e l’uso di manufatti tecnologicamentedensi – con tecnologie sempre più nascoste, miniaturizzatee interconnesse – rappresenta un’esperienza normale equotidiana per milioni di persone.

La diffusione di strumenti basati sulle ICT è stata velocis-sima e ha conquistato ambiti di utilizzo sempre nuovi. Lacorsa verso l’informatizzazione delle nostre attività è statamotivo di entusiasmo per alcuni e a volte fonte di disagioper altri. In ogni caso è stata oggetto di studi approfonditi,accesi dibattiti, interminabili discussioni tra ottimisti e pes-simisti, detrattori e fautori della tecnologia.

Naturalmente ciò è stato evidente solo per coloro chehanno vissuto la fase di passaggio: gli addetti alla produzio-ne che hanno visto la nascita della fabbrica automatica, gliimpiegati e i manager nel lavoro d’ufficio del settore privatonegli anni Ottanta, poi gli addetti alla pubblica amministra-zione e, più di recente, gli insegnanti.

Il lavoro è stato l’ambito privilegiato di introduzione delle

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tecnologie. Dal mondo del lavoro le tecnologie hanno co-minciato a diffondersi in tutti gli altri ambiti, scuola com-presa, mantenendo però per un lungo periodo un’immagi-ne ancora legata al mondo della produzione. Era l’immagi-ne sostitutiva del computer, visto come sostituto dell’uomonelle attività prevedibili e ripetitive della produzione. Sonostati necessari alcuni anni e molta esperienza d’uso per pas-sare dall’idea sostitutiva a quella integrativa, che considera-va il computer come un potenziamento delle capacitàespressive, comunicative e di apprendimento delle persone.

Tutto ciò ci aiuta a evidenziare la chiave di interpretazio-ne che accompagnerà i lettori di questo volume: le tecnolo-gie dell’informazione e della comunicazione hanno contri-buito a creare una discontinuità fondamentale tra genera-zioni, tra coloro che provengono da un mondo non tecnolo-gico e chi, invece, è nato già in un contesto caratterizzatodalla presenza capillare della tecnologia. È la differenza fon-damentale, ampiamente descritta in questo volume, tra im-migranti e nativi digitali.

Tale distinzione non è nuova ed esiste già una letteraturaspecializzata che studia i diversi comportamenti nelle rela-zioni con la tecnologia tra coloro che hanno vissuto il feno-meno della migrazione verso le tecnologie informatiche e inativi digitali. Anche in questo caso, il lavoro è un ambitoprivilegiato di osservazione. Recenti ricerche evidenziano,per esempio, che la baby gamers generation contrapposta allababy boomers generation – composta da coloro che, nati a par-tire dalla prima metà degli anni Ottanta, sono cresciuti rite-nendo del tutto normale avere a disposizione i videogiochi –sta iniziando a cambiare il mondo del lavoro. E questo per-ché si osserva come molti comportamenti tipici dei video-giochi (chiunque può avere successo, basta solo allenarsi eprovare e riprovare avendo abbastanza tempo a disposizio-ne; si impara dal team lavorando assieme; puoi anche nonavere un capo ma devi avere delle guide strategiche; e cosìvia) cominciano a essere trasferiti nelle situazioni di lavoro.

Se dal mondo del lavoro passiamo al mondo della scuola,

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ancora più importante è chiedersi come apprendono i natividigitali in un mondo ricco di tecnologie in tutti gli ambiti. Ilpresente volume, che segue a circa due anni di distanza lapubblicazione di Bambini e Computer, frutto della collabora-zione della Fondazione IBM Italia con l’Università di Milano-Bicocca, affronta proprio questo tema cruciale. La particola-rità risiede nel fatto che, per la prima volta nel nostro Paese,si comincia ad avere una consistente quantità di dati osserva-tivi su una particolare fascia d’età, i bambini da 0 a 6 anni,sulla cui condizione di nativi digitali non vi sono dubbi.

Questi nativi digitali sono accompagnati nel loro inizialeavvicinamento verso la tecnologia, che fa parte sin dall’ini-zio del loro mondo, da altri nativi digitali (i fratelli maggiori,già appartenenti alla baby gamers generation), da immigrantigià integrati nel nuovo mondo digitale, oppure da immi-granti che ancora stentano ad adattarsi ai mutamenti provo-cati da questa epocale discontinuità. Il libro presenta a que-sto riguardo una serie di dati estremamente interessanticirca le interazioni dei bambini con la tecnologia, sia in con-testi istituzionali sia famigliari, e si sofferma sul ruolo degliadulti, insegnanti e genitori.

Come si sviluppa l’interazione con la tecnologia nei bam-bini da 0 a 6 anni? In quali contesti avviene la prima fami-liarizzazione? Qual è il ruolo degli adulti e a che punto sononel percorso verso la migrazione digitale genitori e inse-gnanti? Sono i temi che trovano nel volume una trattazioneaccurata, basata sulle evidenze raccolte con un ricco insie-me di tecniche di ricerca qualitative. Alcune osservazioni ri-sultano di particolare interesse e sembrano ripercorrere al-cuni dei fenomeni tipici delle fasi iniziali di introduzionedelle tecnologie nel mondo del lavoro. Alcuni insegnanti,per esempio, attribuiscono ancora al computer una dimen-sione di pericolo (i computer sarebbero incomprensibili,alienanti, duri, freddi e addirittura nocivi per i bambini) euna strumentale (è una macchina veloce, è utile, è uno stru-mento per facilitare il lavoro). Ma anche una dimensione le-gata alla sfera comunicativa (facilita la comunicazione, è

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una macchina per interagire), e a quella didattica (facilitato-re dell’apprendimento, mezzo di formazione), e non mancachi associa ancora al computer una dimensione magica. Igenitori hanno atteggiamenti più distaccati nei confrontidel computer e delle tecnologie, frutto della familiarizzazio-ne già avvenuta in ambito lavorativo. Da questo punto di vi-sta, la ricerca evidenzia il netto legame esistente tra il primocontatto con le tecnologie e i diversi atteggiamenti che svi-luppano gli utenti, in questo caso insegnanti e genitori, fe-nomeno già ampiamente analizzato dagli studi sui processidi appropriazione della tecnologia da parte delle persone inambito lavorativo.

L’elemento che differenzia profondamente tutte le prece-denti ricerche sui processi di appropriazione della tecnolo-gia e gli studi sugli atteggiamenti nei confronti del compu-ter da quella presentata in questo volume, è il fatto che, finoa qualche anno fa, tutti questi fenomeni erano riferiti a im-migranti tecnologici, mentre il fuoco specifico della presen-te ricerca è su come apprendono i bambini nativi digitaliche vivono in un mondo in cui le tecnologie costituisconouna parte integrante e data per scontata. Ciò ci consente diriportare la riflessione su chi ricopre un ruolo educativo neiconfronti dei nostri bambini: la scuola, la famiglia e in sen-so più ampio l’intera comunità. I bambini hanno necessitàdi un’attenzione educativa coordinata e armoniosa, se con-tinuano a esserci troppe differenze nella considerazione delruolo delle tecnologie nel processo educativo tra genitori einsegnanti, ma anche tra gli stessi genitori e tra gli stessi in-segnanti, si possono creare squilibri difficili da recuperare.

Ecco perché in questo volume si pone particolare atten-zione all’esperienza e alle rappresentazioni della tecnologiadi genitori e insegnanti, considerati come immigranti digi-tali, perché su tali rappresentazioni, frutto a volte dei disagidovuti al processo di migrazione verso la tecnologia, si svi-luppano molte preoccupazioni e timori che risultano infon-dati. È importante invece conoscere e comprendere qualiaspetti devono essere tenuti in considerazione nel guidare i

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nativi digitali verso un uso critico e consapevole delle ICT.Le precedenti rivoluzioni non avevano coinvolto la scuolacosì come accade oggi con la rivoluzione digitale. Il possibi-le gap tra il mondo digitale in cui vivono i nativi digitali e lascuola, ancora popolata da immigranti digitali, può esserecolmato se si approfondisce la conoscenza delle rappresen-tazioni delle tecnologie da parte degli adulti e se si sviluppa-no programmi di ricerca in grado di fornire indicazioni sucome vivono e apprendono i nativi digitali.

La Fondazione IBM Italia ha maturato oltre cinque anni diesperienze in queso ambito grazie al progetto KidSmart, chesi è arricchito nel tempo attraverso diverse collaborazioni(col Ministero della Pubblica Istruzione, con gli Enti Locali,con specifiche realtà territoriali). La collaborazione con la Fa-coltà di Scienze della Formazione dell’Università di Milano-Bicocca avviata ormai tre anni fa ha consentito di mettere apunto un programma di ricerche che si pone un obiettivoambizioso: contribuire a fornire elementi di conoscenza chepossano essere utili per mettere a punto interventi sulle po-licy che dovrebbero guidare il futuro sviluppo della nostrascuola dell’infanzia, da sempre fiore all’occhiello del nostrosistema educativo, oggi popolata dai digital kids.

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IntroduzioneBambini e computer: grandi questioni malposteSusanna Mantovani

Computer sì o computer no? Le nuove tecnologie sono dan-nose per i bambini? Devono essere introdotte e utilizzategià nella scuola dell’infanzia o è meglio aspettare? Come“insegnare” l’uso delle nuove tecnologie?

Questo volume è la seconda tappa di un percorso di ri-flessione e di ricerca che ha avuto inizio con Bambini e Com-puter (Mantovani, Ferri, 2006) e documenta anch’esso solol’inizio di riflessioni e approfondimenti che dovranno coin-volgere non solo noi ricercatori ma anche i molti genitori einsegnanti. Tutti questi soggetti, infatti, nel nostro Paese,hanno contribuito attraverso la partecipazione e il reciprococoinvolgimento a fare della scuola dell’infanzia italiana unpunto di riferimento planetario per il pensiero sull’infanziae a diffondere una rappresentazione di bambino ricco, cu-rioso, collaborativo e capace. Un bambino-ricercatore chemisteriosamente perde questa caratteristica nel procederedella vita scolastica, non riesce più a trasferire le sue cono-scenze ai problemi reali della studio e arriva all’universitàspesso passivo e demotivato.

Il computer, le tecnologie possono influire sullo stile diapprendimento, sull’atteggiamento di ricerca e sull’acquisi-zione delle conoscenze? E lo fanno in senso positivo o nega-tivo?

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Nei capitoli che seguono si cerca non di inseguire questedomande che oggi, a nostro avviso, non hanno più molto sen-so, ma di analizzare il tema da un punto di vista differente.

In effetti, ci chiediamo, forse, se apprendere precocemen-te una lingua straniera, in particolare l’inglese possa “far ma-le”? Piuttosto i più a avvertiti sono insoddisfatti dei metodi diinsegnamento della lingua nella scuola, spesso puro “rim-picciolimento” riduttivo dei metodi messi a punto per etàsuccessive quando l’apprendimento della lingua non è piùnaturale e spontaneo. Non come quello che sarebbe necessa-rio per i piccoli, fondato sull’osservazione, l’esplorazione el’acquisizione non solo del lessico e delle strutture sintatti-che ma anche degli elementi paralinguistici e conversazio-nali essenziali a un uso da nativo della lingua.

Il parallelo tra familiarizzazione tecnologica e apprendi-mento precoce della lingua straniera da un lato è calzante:anche per l’inglese troviamo forte resistenza nel mondo dellascuola dell’infanzia che teme, e a ragione, una inefficace sco-lasticizzazione di un ambiente di apprendimento che è piùricco e moderno di quello della scuola primaria e secondaria,ma che è anche espressione del senso di inadeguatezza degliinsegnanti che non conoscono la lingua, non si sentono diaccompagnare i bambini in contesti di apprendimento dotatidi senso e vedono vacillare davanti a questa sfida la propriaidentità professionale purtroppo già fragile. Dall’altro, però, ilparallelo è riduttivo perché le nuove tecnologie, e in particola-re il computer e la rete, sono molto più pervasive di una lin-gua, oggi dominante come l’inglese, e costituiscono la nuovastruttura del mondo che percepiamo, della quotidianità che vi-viamo e delle modalità di relazionarsi e conoscere.

Il senso di timore e di smarrimento degli insegnanti, chevedono sfumare le certezze didattiche, e dei genitori che ve-dono i loro figli avventurarsi in un mondo al quale essi han-no solo un accesso parziale e molto più difficile da control-lare – non basta “tenere a casa” i figli, anzi è proprio “da ca-sa” che meglio si avventurano nella rete – è fondato e com-prensibile e ci costringe a cercare di fermarci a riflettere, a

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osservare e ascoltare le esperienze dei bambini per andareoltre sostenendo i bambini nel loro apprendistato esplorati-vo della tecnologie della comunicazione digitale, affinché siattrezzino per essere attivi in questo mondo senza esseretravolti dall’ onda.

Le tecnologie, il computer “ci sono”, come già scrivevamonel volume precedente due anni fa. L’ambiente nel quale ibambini crescono e apprendono è diverso. Il mondo è diver-so, diverse e nuove molte forme di apprendere e di comunica-re anche e soprattutto da quando il computer e le altre tecno-logie si sono diffuse e hanno impresso modi e ritmi di cam-biamento straordinari. Le nuove tecnologie non sono la tele-visione, che aleggia come un’ombra, “cattiva maestra”, “ladradi tempo e serva infedele” sulle rappresentazioni ambivalentidei possibili nuovi mostri evocati dall’immaginario di inse-gnanti e genitori. Il problema è che non solo non si sono an-cora utilizzate appieno le potenzialità della televisione1 ma ilcomputer e le altre tecnologie sono radicalmente diverse nelmodello di comunicazione e di fruizione (e se proprio voglia-mo più rischiose). Sono interattive e socializzanti anche se inmodi che ancora non comprendiamo appieno e che quindinon sappiamo né valutare né orientare. Nel testo verrannopresentate e discusse ricerche che consentono di aprire fine-stre su queste questioni con le quali dovremo confrontarcinegli anni a venire e sulle quali la nostra scuola deve procede-re immediatamente a riflettere molto a fondo per trovare leproprie vie (capitoli 1 e 3).

Non si tratta allora di chiedersi se gli oggetti tecnologici eil loro uso facciano bene o facciano male oppure se sia o noopportuno permettere che siano presenti nella scuola deipiccoli: sono domande comprensibili ma del tutto inutili.

Ci chiediamo forse se dobbiamo nascondere i libri perimpedire che i bambini imparino a leggerli troppo presto?Purtroppo la sana resistenza all’anticipazione di didatticheformali di lettura e scrittura2 fa talora dire anche questo:“nascondiamo i computer, sono pericolosi”. Si confonde inquesto modo la curiosità e la disponibilità dei bambini nello

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sperimentarsi con i linguaggi e i simboli con la didatticaformale di tanta scuola, forse da ripensare per tutte le età.

NATIVI E IMMIGRATI, COSTRUIRE UN APPROCCIOTRANSCULTURALE

Si tratta piuttosto di fermarsi a riflettere, a osservare, adascoltare, a dialogare e a prepararci – noi adulti – ad accom-pagnare, da adulti, i bambini in un mondo, quello digitale,nel quale essi sono i nostri “interpreti” e spesso i nostri“maestri”– così come un bimbo cinese o indiano, figlio digenitori immigrati, può essere e spesso è “interprete” deisuoi genitori – ma sono pur sempre bambini. Si tratta di ac-compagnarli nella scoperta del mondo di oggi e della suastruttura profonda che è fatta per una parte nuova e impor-tante di tecnologie, aiutandoli a fermarsi, a pensare, a riflet-tere, a non ubriacarsi, a non andare troppo veloci, a starecon gli altri e a mettere a confronto questa loro esperienzacon i saperi del passato.

Le tecnologie costituiscono oggi, come si è detto, una ca-tegoria strutturale del mondo che non dispone ancora diuna lingua da tutti compresa ed è, dunque, alla ricerca dimetafore per essere definita e compresa (almeno analogica-mente): un paragone è quello con la lingua straniera e vei-colare al quale abbiamo fatto cenno, una metafora suggesti-va e ormai ricorrente, che verrà esplorata nel testo, è quelladell’immigrazione che ci fa parlare dei nativi, migranti eimmigrati digitali (capitoli 1 e 4). Gli adulti immigrati hannobisogno di mediatori e di interpreti. Hanno il compito diffi-cile di affacciarsi alla cultura dove in questo caso gli autocto-ni sono i loro figli (che hanno il vantaggio di non essere ne-cessariamente minoranza), di alfabetizzarsi anche se nonperderanno mai il loro accento, ma anche di custodire erendere attraente la cultura delle origini, rendendola dispo-nibile e vitale anche attraverso il nuovo ambiente. Un’ope-razione di cross-fertilization che ci impegnerà, se vorremo,

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nei prossimi decenni, scardinando l’idea dell’adulto deten-tore del sapere e dell’insegnante “signore dell’aula” versoun modello a due vie di reciproco apprendistato e di conta-minazione che produrrà, nella migliore e più ottimisticadelle visioni, non il reciproco estraniamento bensì una con-taminazione feconda e difficilmente immaginabile.

TECNOLOGIE E SUCCESSO SCOLASTICO

Molte domande che si pongono genitori e insegnanti riguar-dano l’impatto delle nuove tecnologie sul successo scolastico.Le ricerche ormai numerose, le più rilevanti delle quali ver-ranno qui presentate e discusse (capitolo 1), sembrano ancorauna volta segnalare che è la presenza o meno di computer ealtre tecnologie nell’ambiente domestico, la familiarità dei ge-nitori e dei bambini con le tecnologie fin dai primi anni nelcontesto domestico e la naturalezza nell’uso da parte dellepersone significative che circondano i ragazzi (nelle cosiddet-te connected families di Papert), assieme alla presenza e a unuso “moderato” di esse nella scuola, a rappresentare la situa-zione più efficace e correlata al successo scolastico. Ciò con-ferma ancora una volta che la famiglia è il contesto di appren-dimento più potente, che la cultura famigliare prevale neltempo sulla cultura della scuola e che la scuola non riesce an-cora, nemmeno in questo caso dove gli strumenti vengonodalla tecnologia e dalla scienza, a contrastare o compensaredistorsioni o carenze che nella famiglia si manifestino, men-tre ne rinforza le risorse positive.

La scuola, lo sappiamo e ce lo ripetiamo con angoscia noi“gente di scuola”, non compie appieno la propria missionedi promozione sociale e di riduzione delle disparità nelleopportunità. Il digital divide è in casa nostra, come evitarlo oridurlo senza sovraccaricare i nostri bambini e lasciando lo-ro il tempo per cercare, per giocare e per pensare? Le tecno-logie per gli insegnanti una droga, un compito gravoso inpiù o una straordinaria potenzialità? O meglio come ren-

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derle una straordinaria potenzialità fin dai primi anni? Perutilizzare le parole della pedagogia della nostra scuola del-l’infanzia: come creare contesti di senso che espandano lepossibilità dei campi di esperienza. Contesti di senso abili-tati dalla tecnolgia che possono essere esplorati a fondo daibambini, evitando una spaventosa e inutile abbuffata tecno-logica precoce?

GETTARE UN PONTE TRA VECCHIO E NUOVO MONDO

Queste domande, quasi ovvie, perché ricorrenti nelle ricer-che sul successo scolastico o sugli effetti a lungo terminedelle esperienze prescolari, rischiano di essere, vorrei soste-nere, in gran parte mal poste.

Come si può, infatti, ritenere conclusivi dati che mettonoin relazione esperienze di apprendimento così diverse? Hasenso porsi una domanda di questo genere senza metterein discussione che cosa si intenda per successo scolastico ese questo concetto/definizione – tenuto conto delle caratte-ristiche degli apprendimenti che avvengono nella scuola –sia ancora così rilevante e prioritario nelle nostre preoccu-pazioni per i nostri figli? Questo è tanto più vero nel nuovomondo digitalmente interconnesso segnato e modificatoprofondamente dalla tecnologia? Non è il caso di commette-re lo stesso errore compiuto decenni addietro rispettoall’“intelligenza” per molti anni considerata quella cosa cheveniva misurata dai test mentre ciò che i test misuravanoerano le probabilità di successo scolastico nei paesi con si-stemi scolastici sviluppati. Oggi parliamo di “intelligenze” esappiamo che esse vanno considerate non solo in campi di-versi ma anche tenendo conto della “nicchia ecologica”, nel-la quale si esercitano e che consente di interpretarle.

Ci interesserà davvero e ancora per il futuro solo il “suc-cesso” in questa scuola e con questo “metro” dobbiamo va-lutare l’impatto della dimensione tecnologica oppure essa

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prelude a un modo molto diverso di organizzare istituzio-nalmente la formazione e l’acquisizione della cultura? E cichiediamo dunque se il computer fa bene o fa male per que-sta scuola? Il successo nella scuola di oggi è davvero quelloche conta di più per il futuro e rispetto a questo dovremmomisurare e valutare le esperienze?

Queste domande sono una consapevole provocazione.Sappiamo che il successo scolastico è correlato al supera-mento dei test di accesso all’università e che una laurea per-mette migliori possibilità di accesso nel mondo del lavoro.Non sappiamo altrettanto bene che cosa questo significhisul piano qualitativo, della flessibilità cognitiva, della capa-cità di divenire un professionista capace di passare con agi-lità dalla specializzazione alla visione globale e viceversa, edi sviluppare una capacità di affrontare i problemi tenendoconto della “rete” nella quale sono inseriti. L’apprendimen-to collaborativo di cui tanto si parla e che il computer nellascuola dell’infanzia sicuramente riesce a promuovere è soloscoprire insieme o anche affrontare un problema in teamfacendo convergere specialismi e intelligenze diverse? Nona caso le grandi scoperte degli ultimi decenni si collocanomolto spesso ai confini tra discipline.

Il nuovo spazio/tempo di apprendimento e di vita chehanno aperto le nuove tecnologie e la rete è valutabile conparametri che appartengono ormai a un’altra dimensionestorica e culturale? O invece la riflessione sul fenomeno del-la diffusione dirompente delle nuove tecnologie che ha mo-dificato il nostro modo di vivere, di comunicare e di starequotidianamente insieme non dovrebbe farci porre una do-manda diversa, e cioè come si stanno trasformando le vite,le menti, i modi di stare insieme e di apprendere dei nostrifigli in questo spazio/tempo nuovo digitalmente esteso? Maallora di quale scuola abbiamo bisogno per il futuro?

Questo non significa considerare obsoleti i saperi svi-luppatisi nei secoli e che la scuola ancora oggi, con dubbiaefficacia, cerca di rendere rilevanti per la vita e la mente deigiovani, bensì chiedersi se il nuovo ambiente digitalmente

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esteso non debba costringere la scuola fin dai primi anni atrovare mezzi, spazi, tempi, interazioni nuove affinché isaperi e le esperienze di un passato che si allontana sem-pre più in fretta per i ragazzi non vadano definitivamenteperduti. Come fare cioè a traghettare nel “nuovo mondo” isaperi del “vecchio mondo” e a far sì che riprendano vitacosì come avvenne per i saperi classici nell’Umanesimo? Èun’impresa che vale la pena di essere tentata traducendo isaperi antichi nella modernità e rendendo le infinite possi-bilità aperte dalle tecnologie non solo esplorazioni acroba-tiche e subculture ma a tutti gli effetti nuove forme di cul-tura.

Questo testo non pretende certo di rispondere a doman-de di tale portata ma di aprire finestre e sollecitare la discus-sione in chi ha la responsabilità dei più piccoli che tra qual-che anno saranno adolescenti, studenti universitari, ricerca-tori, professionisti.

ESPLORARE E DIVERTIRSI CON IL NUOVO

La scuola dei più piccoli che si pensa come “luogo di vita”,che persegue il benessere dei bambini più che il rendimen-to e il prodotto immediato, che si preoccupa degli “immate-riali” come la felicità, l’impegno e il senso di appartenenza,considerati oggi così importanti anche dall’economia è amio parere in grado già oggi, nelle sue espressioni miglioridi creare contesti di esplorazione e di apprendimento colla-borativi che si espandano in progetti documentabili, comu-nicabili e ripercorribili. Non può non confrontarsi con ilnuovo ambiente mentale ed esistenziale che si è venutocreando in seguito allo sviluppo delle tecnologie ma deve epuò farlo con fiducia, con piacere, con curiosità e libertà – ilpiacere, la fiducia, la curiosità e la libertà che tutti i bambiniche stanno bene hanno nei confronti del nuovo e del mon-do – e può dunque divenire prima palestra e modello da stu-diare per la scuola dell’obbligo.

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Osservando i bambini che con libertà si accostano edesplorano, che si confrontano e comunicano, che usano,scoprono, documentano, scambiano attraverso le nuovetecnologie e lo fanno fisicamente vicini, toccandosi e guar-dandosi e non in solitudine, la scuola dei piccoli ha il tempodi pensare, di discutere, di documentare, di rilanciare e an-che di consentire ai bambini di sentirsi padroni dei mezzi enon dipendenti da essi. Può dargli modo di sfogare la curio-sità e di superare, attraverso un esercizio libero in un am-biente sicuro e dotato di buoni registi, il rischio di una indi-gestione tecnologica solitaria e bulimica, consumata nell’i-solamento e nello straniamento sociale. È questo il pericolovero, quello che già esiste in famiglia e nella società, e cherischia di estendersi esponenzialmente se la scuola non siapre al nuovo, ai nuovi linguaggi e ai nuovi stili cognitivi deipiccoli sempre criticamente ma senza timori.

LE PAURE DEGLI ADULTI

Le paure degli adulti nei confronti della familiarità precocedei bambini con le tecnologie hanno diverse ragioni: la pau-ra dello straniero, del diverso e dell’ignoto, di linguaggi che anoi sono stranieri. La nostra condizione di immigrati adulti,disorientati e poco alfabetizzati in un mondo che non domi-niamo, nel quale usiamo un linguaggio che non parleremomai come lingua madre, e la visione dei nostri figli, che situffano in questo mondo, che si allontanano e che potrebbe-ro perdersi in esso recidendo i legami con le radici comuni,comprensibilmente sgomentano. L’abisso o l’infinito virtua-le è spalancato.

Il timore si manifesta negli insegnanti soprattutto comepaura di non essere sufficientemente pronti nel dominare i“nuovi mostri” tecnologici e di non saper svolgere il proprioruolo professionale con sufficiente autorevolezza. Questotimore si proietta sul computer e le tecnologie digitali vissu-te come fredde e “cattive”, come elementi dai quali i bambi-

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ni vanno protetti mantenendoli nel bozzolo senza tempodella “buona” scuola dei piccoli.

Nei genitori i timori sembrano invece proiettarsi verso ilfuturo, verso gli adolescenti misteriosi e incontrollabili chequesti mezzi potenti renderanno ancora più alieni: liberi diesplorare un mondo pericoloso a cui solo loro o soprattuttoloro hanno accesso. Un modo incontrollabile dove fare in-contri inimmaginabili, diventarne dipendenti, esserne tra-viati. I timori legati alla sessualità e alla dipendenza, tipici enaturali timori rispetto all’adolescenza e alla possibilità diperdere il controllo sui figli, emergono già parlando con igenitori dei piccoli come se non sempre si riuscisse a veder-li per come essi sono oggi e sembrano essere molto diffusi(capitolo 4).

Paradossalmente il bambino non visto ma attraverso ilquale si vede l’adolescente assorto nel computer che chissàquali mondi sta esplorando, quali linguaggi parla e qualicontatti sta stabilendo fa paura perché è solo in casa con lamacchina. Le altre paure consuete rispetto agli adolescenti,dipendenze, macchine veloci, compagnie pericolose sonogenerate dal loro essere fuori di casa, mentre il loro esserein casa sarebbe rassicurante. Le tecnologie sono dentro ofuori la famiglia? Sono forse il nemico tra noi? La fuga chenon possiamo controllare? Che spazio, che luogo sono mai?Non è forse come stare a casa con un libro, eppure non mol-ti decenni fa si controllavano i libri, li si selezionava, li siproibiva, così oggi si vorrebbe poter fare con il mondo che iragazzi aprono da sé.

L’accesso libero al mondo e alla rete spaventa. In entram-bi i casi è paura di altro, paura di ciò che non si conosce co-me chi vi è nato (i nativi digitali appunto), che può far smar-rire la strada e le origini e che comunque non si è in gradodi dominare come i nostri nativi/apprendisti/interpreti.Paure fondate, alle quali vanno trovate risposte responsabi-li, aperte e non repressive, perché impedire ai bambini unaprecoce familiarità con questa nuova struttura digitale delmondo vuol dire tagliarli fuori dal futuro. Una riflessione di

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questa portata con i genitori e tra genitori e insegnanti è ap-pena cominciata e il nostro è un piccolo contributo.

E gli insegnanti?Gli insegnanti, non più “signori dell’aula”, sembrano in

media avere, come categoria custode del sapere tradiziona-le, meno familiarità con il nuovo ambiente digitale di moltefamiglie oppure esitano a trasferire nella loro professiona-lità queste esperienze e saperi che restano nel privato, fuoridalla scuola (capitoli 2, 4). Nella scuola la nuova struttura delmondo digitale diventa la patente ECDL o un tema di matu-rità sulla rivoluzione tecnologica… Diviene il “laboratorio diinformatica” o “come fare un programma”, raramente ilmondo digitale e le nuove tecnologie della comunicazionesono messe a tema trasversalmente e analizzate criticamen-te come linguaggi e modo di apprendere e di studiare daconfrontare metacognitivamente con quelli cui siamo piùavvezzi. Linguaggi e metodi da sperimentare accanto aglialtri per confrontarli, scoprirne le diverse possibilità, conta-minarli.

Gli insegnanti vivono con fatica la posizione di “immi-granti digitali con accento” e il rischio o la paura di perderee far perdere i saperi che custodiscono e dei quali sono vei-coli privilegiati.

Timori fondati comprensibili anche questi ai quali la ri-flessione e la formazione deve aiutare a rispondere.

Le rappresentazioni degli insegnanti, più di quelle dei ge-nitori sono, questo emerge dalla nostra ricerca, prevalente-mente negative e gravide di timori per i bambini di questaetà. L’abisso della rete appare più spaventoso della possibi-lità che i piccoli, potenzialmente nativi, non si trovino an-ch’essi a essere minoranza immigrata.

Su questo è necessario lavorare così come è necessario unconfronto tra pari, tra genitori, tra insegnanti e con i bambini.Su questo ultimo aspetto la nostra ricerca ha mosso solo i pri-mi passi e dovrà svilupparsi in futuro anche mettendo a con-fronto, fuori dalla segregazione per età tipica della nostrascuola, generazioni diverse, bambini e adolescenti.

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DOMANDE APERTE

Se i timori, la confusione, le esitazioni e i dubbi di genitori einsegnanti vanno analizzati, compresi e in buona parte su-perati alla luce delle ricerche, delle esperienze e delle rifles-sioni delle quali disponiamo, messe a disposizione dalla let-teratura ormai molto ampia anche se ancora poco focalizza-ta sui piccoli e arricchita dei primi passi della nostra ricerca,alcune domande andranno approfondite ancora per moltianni, seguendo e documentando gli stili di esplorazione, diuso, di relazione che il nuovo mondo tecnologico suscitanei bambini.

Come valutare la “distrattenzione”, come la si definiscenelle pagine che seguiranno (capitolo 1, p. 31), l’attenzionefluttuante sempre allertata e sempre spostata, lo stato di ec-citazione e noia a un tempo che si riscontrano nei ragazziimpegnati con le nuove tecnologie per esplorare, curiosareassaggiare qua e là, girovagando in rete? E come conse-guenza quale deve essere il ruolo educativo – fondamentalema certamente diverso – degli adulti immigrati nei con-fronti dei loro cuccioli nativi?

I piccoli con il loro modo naturale di esplorare e di condi-videre e di scoprire le possibilità strumentali di qualsiasi og-getto attraverso la potenza del simbolico che esplode dal ter-zo anno di vita – il manico di scopa diviene cavallo, il compu-ter diviene… – diventano un soggetto privilegiato di osserva-zione e ricerca rispetto al modo in cui si appropriano dellenuove tecnologie. Proprio la loro relativa resistenza alla di-pendenza dagli oggetti, dai singoli linguaggi e dalle abitudi-ni in un’età nella quale, una volta garantito il benessere degliaffetti, attraverso il gioco e l’esplorazione tutto è possibile,rende la costruzione insieme a loro di percorsi di educazioneai nuovi media utili anche a noi “immigranti digitali”.

I bambini dei cento linguaggi possono essere un univer-so da osservare e conoscere meglio nella loro appropriazio-ne nativa delle tecnologie prima che i giochi siano fatti e l’u-so che i nativi preadolescenti o adolescenti fanno delle tec-

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nologie e della rete li porti a vivere una socialità sbilanciatanel mondo virtuale.

Quali modi di stare insieme inducono le tecnologie? I ge-nitori che abbiamo ascoltato si pongono questa domandaimportante. Hanno scelto la scuola dell’infanzia – primaancora scelgono il nido – innanzi tutto affinché i loro figliimparino a stare con gli altri e stando con gli altri apprenda-no le regole del vivere insieme. Questa motivazione è sem-pre e ancora la prima, come indicano molte ricerche, segui-ta dalla capacità di esprimersi e di essere creativi e solo interza posizione da quella relativa ad apprendimenti piùstrutturati (Mantovani, Anolli, Agliata, Zaninelli, 2008).Motivazioni sagge che vedono nella scuola un luogo dovel’esperienza sociale ridotta dei loro bambini che vivono perlo più in un mondo di adulti, può venire riequilibrata e ar-ricchita. Come si sta insieme con le nuove tecnologie? Ilcomputer e la rete – ma anche i cellulari – permettono “in-sieme”, come?

Gli adolescenti cercheranno nella rete “molta personaliz-zazione e molto sharing” una sintetica definizione di adole-scenza che sembra riprendere efficacemente il tema dellatensione del dibattito tra individualizzazione dell’offerta di-dattica e scuola uguale per tutti. Come si colloca la scuola difronte al bisogno di ogni bambino e di ogni ragazzo di sen-tirsi unico e riconosciuto (con le sue tracce sempre più niti-de di bambino fino al blog di adolescente) e nello stessotempo in costante contatto con i suoi pari e la gestione de-mocratica e condivisa, l’accesso offerto generosamente ditutte le conoscenze? Come si può osservare e orientare que-sto processo fin dai primi anni?

Stili di apprendimento, attenzione e modi dello stare in-sieme si connettono in quella “attenzione senza sguardi”che sembra caratterizzare il modo di comunicare attraversogli oggetti tecnologici: si guarda il computer insieme men-tre ci si parla, si guarda la slide di PowerPoint invece di chici parla, si parla al telefono gesticolando e guardando nelvuoto, si comunica attraverso il computer senza vedersi e

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senza potersi guardare negli occhi. “Non fotografarmi,guardami!” dice una bambina alla mamma che fotografa lospettacolo del quale è protagonista nella festa di fine annoalla scuola dell’infanzia. Lo sguardo è il primo veicolo del-la comunicazione e il linguaggio, nei suoi primordi pseu-dodialogici, si crea dai primi scambi di sguardi tra il neo-nato e chi si cura di lui, dalle strategie attraverso le qualil’adulto cattura lo sguardo, trattiene l’attenzione e la portacon il tono della voce e del gesto verso un oggetto di atten-zione comune: “Guarda…!”. Le madri dei bambini non ve-denti trovano allora strategie alternative, attraverso il tattoe il movimento per creare queste catene di attenzione co-mune senza le quali la comunicazione non è possibile e ilpiccolo non svilupperebbe competenze sociali e linguag-gio (Fraiberg, 1999).

La conversazione implica il guardarsi, il dialogo a due an-cora di più. Il computer estende l’isolamento bizzarro di chiparla al telefono sempre con qualcuno che è altro e più im-portante di chi è lì, o invece incoraggia una socialità più ric-ca che dalla distanza e dall’assenza della potenza emotivadello sguardo trae il vantaggio di poter creare un possibilespazio di riflessione e di incoraggiare la scrittura non solofatta di faccine ed emoticon?

Se sempre più spesso e per più tempo queste saranno leesperienze sociali dei ragazzi attraverso la tecnologia, comepuò la scuola creare contesti che non ignorino questa espe-rienza ma che siano complementari e che privilegino mo-dalità di stare insieme nelle quali gli sguardi e le mani oltreche le menti lavorino insieme?

E allora le classi così come sono disposte e le lezioni cosìcome sono possono raggiungere questo scopo o invece oggipiù che mai abbiamo bisogno di una scuola-laboratorio, diuna scuola-officina, di una scuola-cantiere, ma anche di unascuola dove vi siano tempi per leggere e poi per discutere,faccia a faccia nella scuola; scuola dove si possa avere un an-golo morbido e confortevole per leggere, dove si possa pas-seggiare e discutere con i maestri e gli altri discepoli?

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Anche in questo caso l’organizzazione della scuola del-l’infanzia appare oggi vicina a una comunità della cono-scenza non solo virtuale e proponiamo di studiarne più afondo l’ambiente e le possibilità, conservandone quelle ca-ratteristiche antiche che sono oggi particolarmente neces-sarie. Questa organizzazione dello stare insieme per pensa-re, discutere e apprendere è anch’essa cultura tanto e forsepiù del programma di conoscenze da acquisire.

E il tempo? Il tema del tempo emerge nella riflessionedalle parole di molti che abbiamo ascoltato: quali tempi perapprendere oggi? Quali per pensare? Come si segmenta iltempo e l’attenzione? Quanto ne viene usato per trovare ecomunicare a fronte di quello impiegato per riflettere edesercitare? Indubbiamente la macchina polarizza l’attenzio-ne per molto tempo, ma è un tempo che approfondisce oche semplicemente fa surfing in superficie?

Il tempo dei bambini è un tempo dilatato e prezioso, in-tenso e molto lento: a quattro anni giocando il tempo vola,ma sempre a quattro anni una settimana sembra lunga unanno... Come modificano il tempo esistenziale le nuove tec-nologie? Come possono gli adulti, la scuola, governare que-sta dimensione? La vita quotidiana, la vita in famiglia co-stringe a tempi continuamente interrotti, spezzati (Ferri,2005, pp. 135-150).

Da questo punto di vista la scuola dell’infanzia sembraessere un’oasi dove l’esplorazione fino in fondo, l’esercizioripetuto fino in fondo attraverso il gioco e non il compito, iprogetti che durano tutto l’anno – chiamiamoli filo condut-tore o sfondo integratore o semplicemente progetti a secon-da dei riferimenti preferiti dalla scuola dei piccoli – un po-tente possibile “decondizionatore” dallo zapping frenetico edai “troppi file aperti” che può includere con attenzione econ cautela ma senza timore di includere in questa esplora-zione lenta, minuziosa e creativa tutti gli oggetti e gli stru-menti.

Per i bambini non è un problema, ma il regista – l’adulto –deve essere presente, attento ed essere in grado di osserva-

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re, documentare, comprendere, provocare, rilanciare, equi-librare e riportare poi i bambini a ricostruire e ripensare iprogetti e i percorsi seguiti per realizzarli.

Oggi i bambini in età di scuola dell’infanzia in Italia nonvivono ancora, tutti, la presenza delle tecnologie in fami-glia. Forse il rischio è oggi che vi accedano tardi e come se-conda lingua piuttosto che come i nativi di altri paesi. Lascuola con questo deve confrontarsi.

La tecnologia, le domande che pone, i timori che suscitasembrano rendere attuali ed essenziali le idee di fondo dellapedagogia dell’infanzia italiana ed europea (Mantovani,2006) di fronte al nuovo ambiente di vita e di apprendi-mento dei bambini e assegna un ruolo fondamentale agliinsegnanti.

LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

Il nostro lavoro, che verrà presentato nei capitoli che se-guono, pur essendo solo agli inizi, ha investito molto tem-po ed energia nella formazione degli insegnanti (capitolo5). Formazione che si è configurata e che proponiamo noncome training bensì come sviluppo della consapevolezzaprofessionale, come Bildung e cioè come apertura colta ecritica verso il nuovo mondo nel quale i bambini cresceran-no. Questa formazione è perciò per sua natura aperta e dia-logica, mira a familiarizzare gli insegnanti con la culturatecnologica e con i suoi strumenti e non fornisce risultatiche possano essere tradotti in percorsi o percorsi didatticidefiniti.

Mira piuttosto a problematizzare, a suscitare consapevo-lezza, a generare confronto, a ridurre l’ansia e il senso diinadeguatezza e quindi a rendere meno difficile assumersi,nel nostro tempo, la responsabilità di adulto-regista e di in-segnante-ricercatore.

I cambiamenti indotti dall’era tecnologica sono cambia-menti antropologici (capitolo 1), e dunque i metodi che per

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ora abbiamo utilizzato attingono anche dall’antropologia(Tobin, Wu, Davidson, 1989) ma anche dalla potenza di tec-nologie come il video, la moviola che consente di rivedere,analizzare, discutere, ricostruire.

Nella prima fase abbiamo osservato, documentato, poifilmato, in seguito montato dei filmati combinando natura-le con artificiale per ottenere dei reattivi di rapida efficacia(Tobin, Bove, Mantovani, 2007) che hanno consentito di di-scutere con genitori e insegnanti e anche con i bambini,sollecitati da uno stimolo esterno quale le videoregistrazio-ni che noi mostriamo e nelle quali è possibile essere testi-moni di brani dell’esperienza e dell’esplorazione attiva ereale dei bambini e non solo dell’esperienza immaginata otemuta.

In una seconda fase, più estesa e della quale si dà conto inquesto testo (capitolo 5), si è consentito agli insegnanti di ap-profondire e di discutere le proprie rappresentazioni e i pro-pri timori e di riassumere la consapevolezza delle propriecompetenze e responsabilità.

È solo l’avvio di un percorso che dovrà dagli insegnantistessi trovare spunti per svilupparsi.

Come formarli allora? Non certamente delineando una didattica delle nuove

tecnologie nella scuola dell’infanzia. Piuttosto ipotizzandoche le tecnologie possano consentire prima di tutto a loro diesplorare in modi nuovi o addirittura di arricchire ed esten-dere i campi di esperienza; se gli insegnanti si sentirannopiù sciolti e tranquilli nella loro competenza di “immigrantidigitali”, competenza costitutivamente diversa da quella deipiccoli nativi ma assolutamente necessaria per orientarlinel mondo, potranno – insieme ai bambini – creare conte-sti di apprendimento equilibrati dove il nuovo non siaescluso ma dove tutti i linguaggi possano essere ascoltati,espansi e messi in interazione.

Vi sono già numerose esperienze nelle scuole dell’infan-zia italiane che documentano come questo sviluppo sia pos-sibile.

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IL PIANO DELL’OPERA

In questo testo presentiamo i progressi della nostra ricercasviluppati attraverso l’analisi delle ricerche e della lettera-tura, le discussioni con insegnanti, bambini e genitori e leriflessioni emerse da un esteso progetto di formazione. Ilvolume è strutturato nel modo seguente: il primo capitoloillustra le teorie, le epistemologie di sfondo, le coordinateteoriche e le ricerche qualitative e quantitative, che hannoguidato il nostro lavoro, in particolare si focalizza sul temadel confronto tra “immigranti” e “nativi digitali”. A partiredai risultati di una recente ricerca dell’OCSE dedicata ai“New Millennium Learners” (Pedro, 2006), vengono cioèdelineati i tratti di una “rottura” generazionale e socialesempre più evidente tra i “figli di Gutenberg” e i digital kids(Prensky, 2001, 2006) nei comportamenti relazionali, co-municativi e di apprendimento.

Il secondo capitolo si sofferma sull’approccio alla tecno-logia degli “immigranti digitali” una relazione che è carat-terizzata da una forte componente di strumentalità e da unforte orientamento a uno scopo produttivo immediato. Gliadulti presentano, come dimostrano i dati della nostra ri-cerca, un distacco molto maggiore nei confronti del com-puter e delle tecnologie digitali rispetto ai bambini natividigitali e questo vale maggiormente per quegli immigrantidigitali un po’ speciali che sono i maestri e gli insegnanti.Proviamo ad offrire al lettore, attraverso l’analisi dei focusgroup e dei risultati di ricerca, una fotografia delle diffi-coltà che i professionisti della scuola incontrano nell’adat-tarsi al “mondo nuovo” della comunicazione didattica digi-tale.

Ai nativi digitali e al modo in cui si appropriano dellatecnologia è dedicato il terzo capitolo. I bambini approccia-no la tecnologia in modo molto più naturale e spontaneodi quanto ipotizzato dai loro maestri e insegnanti. I risulta-ti di ricerca sono integrati da una rassegna delle principaliricerche, internazionali e italiane, che hanno affrontato il

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tema del rapporto tra bambini e tecnologie: “stato dell’ar-te” sull’approccio dei piccoli al computer e a Internet.

Nella categoria degli immigranti digitali poi esiste unaseconda tipologia di soggetti, oltre agli insegnanti, di gran-de rilevanza per i nostro lavoro di ricerca, si tratta dei geni-tori dei digital kids, cui è dedicato il quarto capitolo del vo-lume. Le rappresentazioni che i genitori hanno nei con-fronti della tecnologia e le loro modalità di appropriazionedegli strumenti informatici e telematici sono, infatti, fon-damentali per comprendere le modalità e le pratiche di ap-propriazione digitale dei bambini. È in famiglia, infatti,che avviene il primo contatto dei bambini con i computer,Internet, i cellulari, le macchine fotografiche digitali ecc. egli atteggiamenti dei genitori rispetto alla tecnologia sonouna variabile molto rilevante per comprenderne i compor-tamenti di “appropriazione digitale” dei bambini. Il lavorodi ricerca che presentiamo si è intrecciato, durante gli an-ni, con un produttivo lavoro di formazione sul campo degliinsegnanti della scuola dell’infanzia, progettato insieme econ il contributo del Ministero dell’Istruzione e della Fon-dazione IBM.

Queste esperienze di formazione, che sono state proget-tate a partire dalle ipotesi ed evidenze della ricerca, ci hapermesso di creare nel tempo un circolo virtuoso tra atti-vità di ricerca e attività di formazione che è andato a inte-grare e a fornire ulteriori materiali e spunti di riflessioneper il percorso di ricerca intrapreso.

Questo intreccio tra ricerca e formazione ci ha permes-so poi di realizzare uno degli obiettivi primari del nostrolavoro di ricerca: la progettazione, la realizzazione – insie-me ai bambini e agli insegnanti che hanno lavorato connoi – di percorsi significativi di formazione degli operatoridella scuola dell’infanzia; percorsi di cui diamo conto nel-l’ultimo capitolo del nostro lavoro, e che ci auspichiamocontribuiscano a colmare la divaricazione che nella nostrasocietà e in particolare nel mondo della scuola si è creatatra nati e immigranti digitali.

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Il dialogo avviato con i lettori può proseguire al di là diquesto libro, sul Web.

Abbiamo creato un blog che contiene ulteriori materialidi approfondimento, notizie sugli sviluppi della nostra ri-cerca, e che soprattutto vuole dare voce ai commenti e allediscussioni che ci auguriamo il libro susciterà. L’indirizzodel blog è http://digitalkidsbicocca.blogspot.com/.

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