Dieci domande che gli studenti ci fanno durante le docenze

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pubblicate il 26 novembre 2015 Dieci domande che gli studenti ci fanno durante le docenze Faccioni sui manifesti, etica aziendale, marketing virale, gestione delle comunità online: una selezione delle questioni più frequenti raccolte in questi anni

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pubblicate il 26 novembre 2015

Dieci domandeche gli studenti ci fanno durante le docenzeFaccioni sui manifesti, etica aziendale, marketing virale, gestione delle comunità online: una selezione delle questioni più frequenti raccolte in questi anni

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chi sono

Mi chiamo Dino AmenduniTwitter @dooniee-mail [email protected] il resto about.me/dinoamenduni

Sono comunicatore politico e pianificatore strategico per l’agenzia Proforma di Bari (www.proformaweb.it)

Sono collaboratore e blogger per Finegil-Gruppo Espresso e La Repubblica Bari e formatore (su social media marketing e comunicazione politica)

Tutte le mie presentazioni sono disponibili gratuitamente(sia la consultazione che il download) agli indirizzi www.slideshare.net/dooniee www.slideshare.net/proformaweb

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Dieci domande che gli studenti ci fanno durante le docenze

1. Lavorate per tutti i politici che vi chiamano?2. Voglio fare comunicazione politica: mi date un consiglio?3. Esiste un profilo professionale ideale per lavorare

sulla comunicazione politica online?4. Manifesti elettorali: faccioni sì o faccioni no?5. Non avete paura che le vostre campagne siano oggetto di satira?6. Un politico sta per iniziare una campagna elettorale e vuole fare il primo

passo su Facebook: meglio usare un profilo o aprire una pagina pubblica? 7. Chi deve gestire gli account social dei politici in campagna elettorale

(il candidato, i comunicatori, entrambi)? 8. Cosa faccio quando un utente trolla o insulta?9. È efficace l’utilizzo dei social media anche

in contesti territoriali molto piccoli?10. Il marketing virale può aiutare la politica?

le dieci domande

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prima di iniziare

Facciamo una raccolta di domande libere da parte vostra.Ad alcune ci sarà risposta già in queste slide, ad altre proveremo a rispondere in una prossima presentazione.

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1. Lavorate per tutti i politici che vi chiamano?

No, per scelta.Ma pensiamo che sia legittimo pensarla diversamente

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No.Riteniamo che le campagne elettorali richiedano il 101% dello sforzo professionale dei consulenti di comunicazione politica, in qualsiasi contesto si svolgano (dai piccoli centri a campagne nazionali: ogni elezione ha uguale dignità, e simili difficoltà).

La combinazione di alcune componenti abituali degli appuntamenti elettorali (tempi stretti, tante decisioni da prendere, tanti cambiamenti in corsa, gruppi di lavoro da coordinare, pressione da parte degli elettori e dei media, generale clima di sfiducia nei confronti della politica) richiedono, a nostro avviso, massimo impegno, dedizione e concentrazione (il 101%, appunto).

Lavorate per tutti?

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No.L’unico modo, per noi, di dare questo benedetto 101% è avere anche solo un minimo di condivisione emotiva, valoriale, politica di ciò che il candidato propone all’elettorato.

Non tutti i candidati possono piacere allo stesso modo (così come non siamo piaciuti allo stesso modo a tutti i candidati), ma abbiamo bisogno di un livello minimo di partenza per poter dare il massimo.

Per questo abbiamo deciso di non accettare commesse che provengono dalla parte politica più lontana dalle nostre idee (la destra, nello specifico).

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No, ma non è detto che sia giusto.Non ci sogneremmo mai di dire che il nostro modello aziendale sia l’unico corretto, anzi.

Molti consulenti politici ritengono che l’unico metodo per svolgere correttamente questa professione sia sostanzialmente il nostro opposto, cioè lavorare mantenendo distanza critica dai candidati e dalle loro idee. Il distacco, visto da noi come un elemento capace di non farci rendere al massimo, può essere invece considerato il giusto ingrediente per dare consigli e suggerimenti non viziati da componenti emotive o di appartenenza.

Lasciamo al lettore la scelta su quale modello adottare.

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Non esiste un modello universalmente valido: entrambi gli approcci (lavoro “di appartenenza” e lavoro “per tutti”) convivono da sempre nel panorama della comunicazione politica, rinnovando un confronto sempre stimolante.

C’è lo stesso dilemma nella professione di comunicatore politico: è un mestiere a parte, che richiede competenze specifiche, o un professionista deve saper “vendere” un politico e un detersivo allo stesso modo? Noi pensiamo che sia un lavoro specifico, pubblicitari molto più bravi di noi (Jacques Seguela, ad esempio), la pensano all’opposto.

La nostra posizione è un lusso: se fossimo un’agenzia che fa solo campagne elettorali, non potremmo permettercelo. Lavorare anche nel campo della comunicazione non politica ci rende più liberi di scegliere.

In sintesi

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2. Voglio fare comunicazione politica: mi date un consiglio?

Ne diamo due: fare almeno una campagna dietro le quinte, presentarsi dai politici con un piano di lavoro già pronto

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1. Fare una campagna dietro le quinte

Spesso si impara più lavorando come volontari in una campagna elettorale, anche molto piccola, anche in un ruolo molto marginale, che studiando modelli teorici troppo elaborati (e troppo slegati dal contesto italiano, specie locale).

Il nostro primo consiglio è, dunque: cercate la pratica, l’esperienza concreta, anche non su livelli nazionali, perché si impara molto di più “sporcandosi le mani” che studiando ma a “distanza di sicurezza”.

Nel bene e nel male, si impara più dietro le quinte, e questo tipo di esperienza non si può trovare altrove, se non in campagna elettorale.

Due consigli

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2. Andare dai politici ma con le idee chiare

L’offerta di comunicazione politica professionale supera, al momento, la domanda. La cultura della comunicazione politica fa fatica a radicare e ancora oggi ci sono tantissimi politici e partiti che non ritengono di aver bisogno di consulenti, di analisi, di sondaggi, di dati scientifici.

Per questo non è più sufficiente andare da un politico e dire di essere in grado di fare una campagna elettorale. Serve un altro approccio, più dispendioso dal punto di vista del tempo e dell’impegno necessario. Serve andare da un cliente potenziale illustrando con precisione qual è lo scenario, qual è la potenziale crisi di comunicazione e come si risolve.

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Possibile schema di lavoro:

Individuazione di un partito o di un politico con cui si intende lavorare;

Analisi scientifica dei punti di forza e dei punti di debolezza nell’attuale comunicazione del destinatario;

Spiegazione puntuale di come si intendono risolvere i punti di debolezza, in quanto tempo, con quali strumenti e perché è così importante che il politico investa per risolvere i problemi segnalati;

Indicazione chiara e definita di quale può essere il ruolo del comunicatore politico per risolvere il problema evidenziato (e, dunque, perché un politico dovrebbe scegliere proprio quel collaboratore).

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3. Esiste un profilo professionale ideale per la comunicazione politica online?

Spoiler: il percorso accademicoconta fino a un certo punto

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Sì, esiste un profilo professionale ideale per chi vuole fare comunicazione politica online.

Le sue caratteristiche:

Buona e autonoma conoscenza della politica (per precedente militanza o per passione) e delle sue dinamiche, che difficilmente possono essere ‘insegnate’ (all’Università o nei corsi di formazione) o trasmesse da un profilo senior a un profilo junior in un’agenzia.

Profilo professionale ideale

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Autonomia totale dal punto di vista della produzione tecnica di contenuti: chi sa montare un video, creare manifesti o webcard, sa scrivere un testo e sa lavorare in gruppo (senza eccellere necessariamente in tutto) ha un chiaro vantaggio competitivo in questa fase della storia della comunicazione politica italiana, e non solo.

Capacità di lavoro sotto stress e aumento della disponibilità di tempo all’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale.

Capacità di svolgere lavori simili per più clienti contemporaneamente per potersi garantire la piena sostenibilità economica, sia da freelance sia in agenzia.

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Il curriculum accademico non basta, serve l’esperienza sul campo. E serve fare gavetta.

La competenza professionale non basta, quando il mercato è saturo.

Serve un approccio più proattivo, in cui problemi e soluzioni siano mostrati ai politici con prontezza, in alcuni casi prima ancora che loro siano consapevoli di avere quel tipo di problemi.

Meglio una buona campagna locale, con autonomia e responsabilità, che una grande campagna nazionale ma con un ruolo piccolo e defilato, specie nelle prime fasi.

Il comunicatore politico, se gli va bene,

lavora sette giorni su sette e 24 ore su 24. O si accetta questa regola (almeno in alcune parti dell’anno) o si rischia di non essere efficaci come servirebbe in questo momento storico.

In sintesi

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4. Manifesti elettorali: faccioni sì o faccioni no?

Dipende (dal livello di popolarità del candidato)

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Faccioni sì o faccioni no?

Dipende

Partiamo da un presupposto. Questo tipo di valutazione non dovrebbe essere di tipo estetico, ma legato alla gestione di una variabile: la popolarità del candidato all’interno dell’elettorato di riferimento.

Popolarità assoluta: percentuale di elettori che conoscono il candidato.

Popolarità relativa: confronto di popolarità tra il candidato e i suoi competitor (tenendo conto anche della distanza temporale dalla data delle elezioni).

Più basso è l’indice di popolarità assoluta, più largo è il divario tra i candidati (con il “nostro” candidato in svantaggio), più il volto sui manifesti è strategicamente sensato.

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Francesca BarracciuPrimarie del centrosinistra (settembre 2013, Sardegna) -> volto sul manifesto perché il livello di conoscenza del candidato era più basso rispetto al Presidente Cappellacci, essendo lei la sfidante.

Il manifesto della campagna è dunque utile ad aumentare la notorietà all’interno di un pubblico più ampio.

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No

Matteo RenziPrimarie del centrosinistra (dicembre 2013, Italia) -> il volto sul manifesto non è stato necessario perché il livello di conoscenza del candidato era molto alto sia in termini assoluti, sia nei confronti dei competitor (Cuperlo, Civati, Pittella).

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Stesso candidato, campagne diverse, strategie diverse

Nichi VendolaRegionali Puglia (2005) -> il volto sul manifesto è stato utile perché Vendola era stato in Parlamento negli anni precedenti e aveva percentuali di notorietà molto più basse rispetto a Raffaele Fitto, Presidente di Regione in carica.

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Stesso candidato, campagne diverse, strategie diverse

Nichi VendolaRegionali Puglia (2010) -> lo scenario è molto diverso dalla campagna di cinque anni prima: Vendola ha governato e dunque è molto più conosciuto dei suoi principali avversari, Palese e Poli Bortone.

Il volto non è dunque indispensabile dal punto di vista strategico.

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Presupposto: un sondaggio che vi dica qual è il livello di notorietà del candidato. Senza questo indicatore la scelta è totalmente arbitraria e svincolata da ogni riflessione strategica.

Orientamento: il volto è utile per aumentare il tasso di popolarità in tempi brevi, soprattutto se si agisce contemporaneamente su altri mezzi (spot tv, social media, stampa, presenze televisive) per consolidare l’associazione nome-volto.

Nessuna scelta è definitiva: non esistono candidati per cui il volto sui manifesti va sempre bene o sempre male. Lo stesso candidato può avere esigenze che cambiano negli anni e a seconda del contesto (a partire dalle caratteristiche dei competitor).

In sintesi

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5. Non avete paura che le vostre campagne siano oggetto di satira?

No, anzi. Quando è possibile,progettiamo campagnefatte apposta per essere taroccate

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Paura della satira?

No, anzi.

Da qualche anno proviamo a progettare campagne il cui sviluppo (visual, concept) è naturalmente orientato a stimolare processi generativi da parte degli utenti.

Questo tipo di apertura può favorire l’aumento di visibilità e di popolarità delle campagne, soprattutto se sono inserite in un contesto competitivo molto polarizzato, con grande “tifo” e allo stesso tempo grande ostilità per il candidato con cui stiamo lavorando.

In alcuni casi non ci limitiamo a realizzare campagne “virali”, ma costruiamo strumenti (ad esempio generatori automatici di manifesti) che permettano a chiunque, anche senza alcuna competenza grafica, di realizzare adattamenti liberi.

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Tarocca il Manifesto (Regionali 2010)

Sito “neutro” (ma progettato dal comitato Vendola) in cui l’utente poteva liberamente taroccare i manifesti dei tre candidati principali. 85% dei manifesti generati ha riguardato Vendola, circa il 50% di quei manifesti era “negativo” ma nelle ore successive alla pubblicazione del sito, la campagna di Vendola ha sovrastato quella degli avversari sui social media.

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Oppure Vendola (Primarie 2012)

Campagna creata con un concept ipervirale. Sapevamo che la generazione dei manifesti avrebbe potuto ottenere effetti satirici, ma anche che in questo modo il claim “Oppure Vendola” sarebbe diventato più rapidamente popolare sul web.

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Matteo Renzi (Primarie 2013)

Il sito www.cambiaverso.com permetteva agli utenti di generare il proprio manifesto personalizzato e di pubblicarlo direttamente su Facebook e su Twitter, con un solo click e inserendo solo il proprio testo.

Grazie a questo strumento, sono stati realizzati oltre 10mila manifesti nella prima settimana dopo l’uscita del generatore.

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Non avere paura dei “manifesti tarocchi”: se la campagna non funziona, non funzionerà anche se non sarà oggetto di satira. Se funziona, è meglio far sì che circoli nel modo più semplice e virale possibile.

Scelta strategica e di creatività: le campagne non sono “virali” per definizione. Chiaramente un candidato molto amato o molto odiato favorisce meccanismi di generazione di manifesti. Ma è altrettanto importante progettare una campagna che si presti a questo tipo di declinazioni. La progettazione, dunque, può condizionare almeno in parte concept e visual della campagna.

Evitare di inserire il candidato (in particolare foto, in particolare il volto) direttamente sui manifesti oggetto di satira. Questo potrebbe favorire un effetto-boomerang (l’oppositore può mettere parole scomode in bocca al candidato).

In sintesi

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6. Che faccio, apro una fanpage?

Primi passi di campagna elettoralesu Facebook

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Che faccio, apro una fanpage?

Non è più necessario, ma molto dipende da cosa si è fatto in passato.

Alternative strategiche:

Il politico ha già un profilo personale, lo ha sempre usato per parlare di politica e intende continuare a farlo -> Si può continuare a usare il profilo personale, rendendo pubblici tutti i post da quel momento in poi.

Il politico ha già un profilo personale, ma non lo usa per parlare di politica -> Il profilo personale può restare aperto, ma deve essere usato per interagire con i propri amici. Tutto il flusso politico-elettorale potrà essere sviluppato, in questo caso, su una pagina pubblica, sul profilo personale si parlerà di politica il meno possibile, per differenziare i flussi informativi tra profilo e pagina pubblica.

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Il politico ha già un profilo personale e/o una pagina pubblica, ma non utilizza i social media in prima persona -> aprire una pagina pubblica gestita dallo staff (dichiarandolo), facendo migrare l’eventuale profilo privato sulla pagina pubblica per non perdere i contatti acquisiti

Il politico non è presente sui social media a inizio campagna elettorale -> aprire direttamente una pagina pubblica per sfruttare le opportunità collegate a questo strumento (a partire dai post sponsorizzati).

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Buona pratica (non politica): profilo personale Facebook di Selvaggia Lucarelli: gestione personale dell’account, risposta ai commenti, privacy “pubblica” per i post rendono inutile l’apertura di una pagina pubblica.

Gli utenti possono direttamente seguire il profilo e interagire senza essere necessariamente amici dell’utente.

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7. Chi deve gestire gli account di un politico sui social media?

(O anche: può un politico, compromettere mesi di lavoro con un tweet?Sì, può. Così come può farlo un comunicatore)

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Chi gestisce gli account?

Regola generale: meglio la gestione imperfetta e naturale di un politico rispetto a quella perfetta e “artificiale” di uno staff, agli elettori (giustamente) interessa di più così.

Alternative strategiche:

Se un politico gestisce già i suoi account sui social e intende continuare a farlo, l’assistenza può riguardare la valutazione di contenuti da condividere intervenire ex ante, o il monitoraggio del feedback ex post. Sarebbe comunque inutile, se non addirittura sbagliato o controproducente, “espropriare” la gestione social di un politico. Si perde in naturalezza e ci possono essere anche tensioni tra politico e consulenti sul “chi fa cosa”.

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Se un politico preferisce in modo netto un social media sugli altri, il compromesso può essere: lui/lei gestisce in prima persona il social “preferito”, lo staff gestisce gli altri canali con un tono di voce più istituzionale. Nota: gli utenti preferiranno comunque l’originale.Se un politico non utilizza i social media, è sensato che lo staff apra i canali personali (in particolare Facebook e Twitter) chiedendo però al politico di intervenire in prima persona a intervalli più o meno regolari.

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Il “compromesso Emiliano”: su Twitter il presidente della Regione Puglia gestisce quasi esclusivamente in prima persona (incluso qualche “coraggioso” retweet), su Facebook è maggiormente sostenuto dallo staff.

Effetto: Emiliano è uno dei pochi politici italiani ad avere più follower su Twitter che like su Facebook: gli utenti preferiscono l’originale.

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8. Cosa faccio quando un utente trolla o insulta?

La modalità Gandhi, la modalità Darth Fener, la modalità Morandi

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Guerra contro i troll

Premessa: qualsiasi strategia si decide di utilizzare, va dichiarata e resa pubblica.

Esistono due macrostrategie di lavoro possibili:

Non moderare nulla. È la nostra preferita perché:

a. riteniamo che uno spazio social costantemente aggiornato e curato porti gli utenti ad autogestirsi maggiormente. Meno c’è cura del feedback, più c’è spazio per troll e insulti.

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b. riteniamo che, soprattutto in campagna elettorale, le parole scritte sui social dagli utenti possano offrire un ulteriore elemento di riflessione per chi deve votare. Esempio: Cecile Kyenge, campagna europee 2014: zero moderazione perché anche gli insulti ricevuti possono aiutare un elettore a decidere da che parte stare.

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Moderare, ma spiegare come e perché.È la strategia maggiormente indicata per le istituzioni. Qualsiasi intervento di moderazione dei commenti deve essere giustificato da un sistema pubblico di regole che non porti gli utenti a sentirsi vittime di censura o discriminazione. Esempio: il blog collettivo Valigia Blu, mutuando in parte le linee-guida del The Guardian, ha condiviso le buone pratiche di partecipazione sui suoi spazi di discussione (social media e commenti del sito).

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Stile di gestione: modalità “Gandhi”

Valorizzare tutti i commenti costruttivi, anche critici, dando sistematicamente feedback a quel tipo di commento.

Non perdere la pazienza durante i momenti di polarizzazione del confronto, cercando la mediazione e il riconoscimento del valore nei contenuti della persona con cui si sta discutendo (qui lo scambio Esposito-Meloni-Delrio).

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Rispondere anche ai troll, senza esagerare, ma farlo pensando al valore pubblico dello scambio (parlare al troll per parlare a tutti i partecipanti).

Rispondere sempre nel merito rinunciando a rivendicazioni personali anche legittime.

Fare tutto questo con grande regolarità e sistematicità, per qualsiasi post, con qualsiasi utente, senza creare distinzioni.

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Stile di gestione: modalità “Darth Fener” (o modalità “James Blunt”)

Utilizzare lo stesso tono di voce dell’interlocutore, anche quando quest’ultimo è aggressivo.

Ignorare le provocazioni, soprattutto se ripetute.

Mettere in evidenza affermazioni e comportamenti palesemente scorretti da parte degli interlocutori, senza porsi particolari scrupoli.

Bannare sistematicamente chi non rispetta le regole.

( Qui un post sul rapporto piuttosto franco tra James Blunt e i suoi follower su Twitter)

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Stile di gestione: modalità “Gianni Morandi”

Pochi contenuti, ma pubblicati tutti i giorni.Rispondere ai commenti, ma farlo tutti i giorni.

Mantenere il filo dei discorsi fatti in precedenza sui social media, a partire dai commenti degli utenti.

Ma soprattutto, trollare più forte dei troll.

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Macrostrategie di moderazione e stile di gestione dipendono dall’incrocio di tre variabili:

tono di voce desiderato;

livello di reputazione digitale del mittente;

capacità tecniche e soprattutto relazionali di chi gestisce i social media.

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9. I social media sono utili in campagna elettorale anche nei piccoli comuni?

(e anche dove ci sonopochi utenti di Internete poca connettività veloce?)

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E se fossero più utili nei piccoli centri, invece che nelle grandi città?

Orientamento generale: all’aumentare della complessità del sistema dei media, aumenta la tendenza alla “reintermediazione” della comunicazione sui social media, cioè l’elaborazione, discussione e riutilizzo sui media tradizionali.

Quindi, in teoria, i grandi centri sono i luoghi ideali per utilizzare i social media.

Campagne social in campagna

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Ma lavorando per sottrazione, emerge un altro aspetto: in assenza di giornali, televisioni e altri media, come accade nei piccoli centri, i social (di un’amministrazione, o anche di un politico in campagna elettorale) possono rappresentare il principale strumento di informazione per i cittadini, così come le discussioni online possono proseguire offline e viceversa a causa della più facile sovrapposizione tra le comunità reali nei piccoli centri e le corrispettive comunità digitali (“ci conosciamo tutti”).

In sintesi: l’efficacia potenziale dei social media in campagna elettorale appare inversamente proporzionale rispetto alla complessità del sistema dei media nel territorio dove si va a votare.

Meno il sistema è complesso, più c’è potenziale.

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Questo orientamento vale per la comunicazione elettorale ma ancor di più per la comunicazione istituzionale, e funziona ancora meglio se esiste una virtuosa integrazione tra online e offline.

Il sindaco di Capannori (Lucca) organizza momenti regolari e codificati di interazione, il cui calendario è disponibile sul sito del Comune.

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10. Il marketing virale può aiutare la politica?

Sì, ma senza esagerare. La politica è semprepiù importantedella comunicazione

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Sì, ma senza esagerare.

Se è vero che una buona comunicazione può aiutare, è altrettanto che vero che una buona comunicazione, da sola, non basta per vincere le elezioni.

Serve molto altro, serve la politica. Servono le cose fatte per un sindaco, una proposta chiara per un candidato, una visione strategica d’insieme per un gruppo di lavoro. Per questo motivo bisogna fare sempre attenzione a dare il giusto peso a ogni singola componente della comunicazione pensando che nessuna idea, da sola, risulta davvero decisiva.

I video virali, anche geniali, non fanno eccezione.

Il marketing virale aiuta?

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Cos’è un video virale

Un video è virale quando:

È condiviso dai tastemaker, da utenti con grande popolarità e reputazione che accelera il processo di conoscenza del contenuto;

Ha un format facilmente riproducibile da altri utenti, che moltiplicano sia la portata del contenuto, sia la conoscenza dello stesso;

Contiene componenti (soggetto, sceneggiatura, scelte stilistiche) imprevedibili, che tengano alta l’attenzione dello spettatore.

Queste tre condizioni sono necessarie, ma non sufficienti. I video virali non si costruiscono in laboratorio (salvo rarissimi, e comunque non del tutto gestibili, casi).

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Michele Emiliano - “Problemi di elezione” (Amministrative 2009)

Un video autoprodotto a costo zero da due volontari diventa così popolare su Internet da indurre un cambio di pianificazione sui mezzi tradizionali: questo video va in televisione nell’ultima settimana prima delle elezioni.

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Michele Emiliano - Gianni Paulicelli (Amministrative 2009)

Un noto commerciante barese, conosciuto per i suoi video pubblicitari sulle principali tv locali, realizza uno spot politico “atipico” a sostegno di Michele Emiliano, sindaco di Bari.

Qui un suo spot originale...

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Michele Emiliano - Gianni Paulicelli (Amministrative 2009)

… e qui lo spot politico, realizzato tenendo conto di tutte le caratteristiche stilistiche dell’originale, ma con un messaggio forte e di profonda attualità per le amministrative 2009: il no al nucleare.

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Michele Emiliano - Gianni Paulicelli (Amministrative 2009)

Lo spot per la tv e per internet (due minuti) con cui Michele Emiliano, rilanciando e rovesciando un messaggio elettorale di Berlusconi, comunica la sua candidatura nelle ultime due settimane di campagna elettorale.

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Virali si nasce, non si diventa È giusto impegnarsi per progettare contenuti (in particolare video) di successo, ma se la grande idea non arriva, non bisogna fissarsi né disperdere troppe energie in questo segmento.

Virale è autoironico Anche se in politica può sembrare difficile, o addirittura pericoloso, è impossibile pensare a un contenuto davvero virale senza tenere conto di una dose, anche piccola, di ironia, meglio se applicata a se stessi.

Virale è genuino Un video troppo perfetto, patinato, preciso, difficilmente riuscirà a ottenere la carica empatica necessaria alla diffusione di un contenuto. Meglio impreciso ma fatto in casa, vero, accessibile a tutti.

Virale non è tutto La politica viene sempre prima della comunicazione. Mai dimenticarselo.

In sintesi

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Dieci domande che gli studenti ci fanno durante le docenze

conclusione

“ Voglio una squadra con tre C: Cabeza, Corazón y Cojones.”

Andrea Anastasi2005

(la traduzione delle tre C è superflua)

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Dieci domande che gli studenti ci fanno durante le docenze

Grazie.

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