DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE

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    DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE

    AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE

    di Adelaide Aglietta

    Prefazione di Leonardo Sciascia

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    Prefazione di Leonardo Sciascia

    "Nelle prime pagine di questo diario, Adelaide Aglietta ricorda quel mio breve articolo,"per cui tanto reo tempo si volse", in cui esprimevo un'opinione relativamente all'essere giu-

    rato in un processo come quello che all'Assise di Torino stava per cominciare contro Curcioe altri delle Brigate Rosse. Opinione che continuo a sostenere come abbastanza sensata eper nulla eversiva, se affermavo che per rispetto e dovere verso me stesso avrei accettato difare il giurato in un processo di quel tipo: e anzi forzando la mia innata e assoluta ripugnan-za a giudicare i miei simili (e mai la parola "simili" ha senso cos totale come quando si par-la di peccati e di colpe). E ancora non riesco a capire perch tanto scandalo, perch tantapolemica, se di un dovere verso una astrazione ed astratto io facevo un dovere concreto einamovibile; e con gli stessi effetti. Ad una opinione uguale - o quasi - erano arrivati i radi-cali dopo il dibattito interno lungo ed intenso: ma era una opinione non vincolante per cia-scuno di loro. Ed ecco che, nel sorteggio per i giurati al processo di Torino, appunto vienfuori il nome di Adelaide Aglietta. E non so come il sorteggio dei giurati avvenga: se si im-

    bussolano dei nomi; se si estraggono, come alla tombola, numeri che corrispondono ai nomidei probi cittadini che hanno i requisiti per giudicare i loro simili (requisiti che non riguar-dano, si capisce, la vera e profonda vita morale di ognuno); fatto sta che era proprio un belcaso di venir fuori del nome di Adelaide Aglietta. Ancora pi bello sarebbe stato il caso seavesse rifiutato. Ma ha accettato: e certo non senza esitazione, non senza disagio, non senzapena. Per un dovere verso se stessa, per il dovere di non aver paura proprio quando la si ha:alla paura del giudicare aggiungendosi, nella circostanza, quella della propria vita minaccia-ta, in pericolo (e minacciata concretamente, come da esempi che quasi quotidianamente sene avevano). Dalla sua esperienza venuto questo diario: discreto, senza declamazioni, perquel che riguarda i suoi stati d'animo, le sue apprensioni: che diventano quasi marginali ri-spetto al resoconto del processo - un resoconto tra i pi oggettivi, forse il pi oggettivo, che

    se ne abbia. Perch, bisogna dirlo, non molto oggettivi sono stati i resoconti che ogni giornone davano i giornali: approssimativi, anzi, e divaganti. E si consideri, per esempio, l'episo-dio misteriosissimo della lettera di cui parla al processo nell'udienza del 18 aprile: qualegroviglio da affrontare e da sciogliere sarebbe stato per un giornalismo avvertito, vigile e -per come richiesto dalla situazione italiana - preoccupato; e come invece stato sorvolatosenza alcuna attenzione e senza nemmeno riuscire a dare un netto ragguaglio dei dati di fat-to. Ve aggiunto che al di l del momento, al di l della particolarit del processo, al di ldella singolarit in cui Adelaide Aglietta si trova ad affrontare il suo ruolo di giudice - comedivisa tra la" disobbedienza civile "professata in quanto radicale e l'obbedienza alla dignitpersonale - questo diario una delle poche, delle pochissime testimonianze dirette, nate dauna diretta esperienza, che siano state pubblicate in Italia sull'amministrazione della giusti-zia. Ne ricordo soltanto un altro, anzi:" Il diario di un giudice "di Dante Troisi. Dopo esserestato giurato in Corte d'assise, Andr Gide scrisse un libro di ricordi e prese a dirigere unacollana che s'intitolava" Non giudicate. "Purtroppo, nella situazione italiana, non ci per-messo di non giudicare: come questo caso dimostra. Non permesso, cio, nemmeno a co-loro che per principio non vorrebbero. Solo che, giudicando, bisogna anche giudicare i giu-dici e se stessi giudici: come mi pare Adelaide Aglietta abbia fatto".

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    1. IL CORAGGIO DELLA PAURA

    Dalla dichiarazione di Adelaide Aglietta, allora segretaria nazionale del Partito radicale,

    resa in data 4 marzo 1978"...Sono stata sorteggiata - almeno cos pare - come giurata al

    processo di Torino. Penso che sia la prima volta che il massimo esponente di un partito sitrovi di fronte a questa evenienza, non solamente nella nostra storia nazionale. [...] Non hoquindi avuto esitazioni nel comprendere quel che dovevo fare. Come tutti, come donna,come madre, ho avuto e potr avere momenti di dubbio e di paura per me, per le mie fi-glie, per i miei compagni, per gli altri. Penso che il coraggio consista nel superare la paura,non nel non provarla. Penso che il coraggio della paura sia meritevole e doveroso dinanzialla morte che una societ sempre pi basata sull'equilibrio instabile del terrore militare enucleare prepara e impone: come dinanzi ad ogni morte. Anche per questo per noi e perme la vita sacra, a cominciare da quella degli altri, cos come la libert e la giustizia. [...]Intendo dunque, da questo momento, comportarmi come possibile giurata del processo diTorino. Non intendo quindi esprimere opinioni in merito; anzi, per l'esattezza, se non ho

    avute, non ne ho pi. Ho radicato in me il dovere costituzionale e morale di presumere lenon colpevolezza degli imputati, di contribuire ad assicurare loro la pi piena possibilit didifesa, di ricercare processualmente la verit e, in coscienza, di giudicare. Mi sia consenti-to di rivolgere a tutti un appello contro la paura, contro la violenza, contro la rassegnazio-ne a vivere la violenza assassina sia essa quella del potere o di chiunque altro. Rifiuto di ri-tenere in pericolo la mia vita e quella di chiunque altro per il solo fatto che si compia undovere di coscienza.

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    2. UNA CITT ASSEDIATA

    Gioved 19 gennaio,di prima mattina, arrivo alla stazione di Torino. Ero partita da Romaalle undici di sera, ma le nove ore di viaggio non sono riuscite a farmi dormire, a disto-

    gliermi dallo stato di rabbia, a tratti di disperazione nel quale mi aveva gettata la frase,secca e imperturbabile, pronunciata al telegiornale della sera: "La Corte costituzionale hadichiarato inammissibili quattro degli otto referendum richiesti dai radicali e sottoscritti dasettecentomila cittadini. Si tratta dei referendum sul concordato fra Stato e Chiesa, sui reatidi opinione e sindacali del codice Rocco, su codici e tribunali militari". Dunque, era statotutto inutile? In viaggio non facevo altro che pensare e ripensare a questo. Mi si paravanodavanti i ricordi dell'ultimo anno, uno dietro l'altro: i comizi per il lancio della raccoltadelle firme, le decine di tavoli per le strade, le notti passate con tantissimi compagni a veri-ficare e riverificare che tutto fosse in ordine, corretto, a posto. E poi, ancora, le donne e ivecchi. Erano quelli che pi mi avevano colpito: si avvicinavano, nelle manifestazioni e aitavoli, e ti davano le cinquemila o le diecimila lire. Sapevano gi tutto, pronti a discutere,

    ad aderire. Dovunque l'entusiasmo era stato grande. Finalmente, dopo trent'anni, le leggi diMussolini, di Rocco, le leggi clericali, militariste, venivano messe in discussione. La spe-ranza era pi grande dell'entusiasmo: si poteva prospettare una primavera di lotta, un gran-de movimento della sinistra, unita nel comune intento di abbattere i pilastri legislativi fa-scisti dello Stato, imporre alla DC una vittoria laica sull'aborto, spazzare leggi borboniche,sconfiggere una logica di governo corrotta e corruttrice. Poteva essere un 12 maggio 1974moltiplicato per otto, con la candidatura della sinistra a forza di governo alternativa; unasinistra unita nel rispetto delle diversit delle sue componenti e nel riconoscimento dellaCostituzione repubblicana come punto di riferimento obbligato. Ma gi dopo poche setti-mane il clima era cambiato: comunisti e socialisti avevano mostrato ben altre intenzioni,avallando il tentativo del governo di massacrare quanto meno i principali referendum (per

    gli altri avrebbe poi provveduto il Parlamento) attraverso pressioni sulla Corte di cassazio-ne prima e su quella costituzionale poi. Nel mio non-sonno gravavano soprattutto gli ulti-mi quaranta giorni, l'annuncio del telegiornale. Avevamo fatto di tutto. Decine di giuristi,non di parte, si erano pronunciati contro le tesi governative; in almeno cento avevamo in-trapreso un ennesimo sciopero della fame per chiedere alla RAI informazione sull'iter deireferendum, sapendo bene che solo nella censura e nella disinformazione si possono rea-lizzare operazioni come quella della Corte costituzionale; centinaia di telegrammi si eranoaccumulati sui tavoli della presidenza del Consiglio dei ministri, n si potevano contare isit-in e le dimostrazioni di piazza contro gli interventi di Andreotti. Il tutto era stato igno-rato da un'informazione sempre pi ammaestrata e obbediente: l'"arco costituzionale" ri-spondeva alle nostre iniziative con il controllo ferreo dei mass-media, un muro di gommaterribile, non perforabile. Non avendo la vocazione di Jan Palach o dei bonzi buddisti,pronti a bruciarsi in piazza e candidati al martirologio, avevamo deciso, il 17 gennaio, dicessare le attivit politiche nazionali del partito. Un comunicato stampa chiariva le moti-vazioni di tale decisione: "Per una forza politica di opposizione che intenda essere nonvio-lenta, costituzionale, in queste condizioni non esistono pi i margini per esercitare la pro-pria funzione; l'unica via praticabile ormai diffondere le lotte radicali e libertarie nellecitt e nelle regioni, non pi da Roma, dal centro". Il giorno seguente, veniva diffusa lasentenza della Corte. La Costituzione era stata stracciata, il patto di ferro DC-PCI, la logi-

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    ca soffocante delle "larghe intese" aveva vinto. Probabilmente grazie all'operato, in senoalla Corte, del democristiano Elia e del comunista Malagugini. Anche i socialisti per ave-vano avallato il "colpo" con il silenzio o la latitanza. Mi ritrovo cos nella mia citt, contutto da rifare. Nel giro di pochi giorni la situazione si ribaltata: il partito "chiuso", ilprogetto politico dei referendum decapitato, la necessit del mio impegno a Torino e dun-

    que non nuovo trasferimento. Non appena scesa dal treno, acquisto i giornali, forse qual-che quotidiano avr pubblicato sdegnati commenti contro la sentenza. Per vecchio istintoapro "La Stampa": "Pannella ha affermato che questa la pagina pi nera degli ultimi tren-t'anni, il comitato per i referendum ha detto che la sentenza rappresenta un colpo di Statolegale... Con i loro commenti esagitati Pannella e il comitato assumono una posizione diviolenti e dimostrano di non saper accettare le norme e le istituzioni di un paese democra-tico". L'articolo, firmato da Giovani Trovati, vicedirettore, tutto un elogio alla sentenzadella Corte, che causa "minor tensione" fra i partiti. Mi sento impotente.

    Marted 28 febbraio, al termine di una riunione di partito, il discorso cade - quasi ca-sualmente - sul prossimo processo alle Brigate Rosse. Spesso i radicali sono stimolati all'i-

    niziativa politica da esperienze personali, e prestano comunque alla sfera del "personale" -proprio e altrui - un'attenzione particolare. Piovono le lamentele: Torino una citt occu-pata militarmente, non se ne pu pi. La retorica dilaga, opprimente: partiti "costituzio-nali", giunta regionale, PCI, giornali cittadini battono la grancassa della raccolta delle fir-me "contro il terrorismo". Qualcuno ridicolizza: "L'appello della giunta regionale iniziasostenendo che il processo del 9 marzo sicuramente si far, ma pi raccolgono firme e me-no la gente accetta di fare il giudice popolare". Altri scherzano sul fatto che persino l'arci-vescovo Ballestrero ha assicurato l'impegno della diocesi sulla raccolta delle firme. Osser-vo che questo un "processo monstrum", voluto dal regime come prova di forza fra terro-rismo e Stato; ricordo poi l'articolo della "Stampa" del 13 gennaio, col quale si rimprove-ravano i torinesi che non accettavano l'incarico di giudice popolare: "Nessuno costretto

    ad essere un eroe, ma nessuno pu sottrarsi a un dovere. La violenza vincer sono a quan-do i cittadini non passeranno dalle deprecazioni verbali (magari a bassa voce) alle reazionidi fatto". Tutti insieme osserviamo che in pratica l'"arco costituzionale" propone al citta-dino di incarnare il ruolo del "vendicatore della violenza", anzich quello del giudice po-polare che, come la legge vuole, si impegna a ricercare processualmente la verit: "Allagente si chiede, insomma, di essere giustiziere". Qualcuno - ricordando che noi siamosempre stati favorevoli al fatto che tutti i processi, senza alcuna eccezione, si facciano -avverte che questo il modo pi assurdo e controproducente per convincere i cittadini adassumersi l'incarico. Poi la discussione si allarga: cosa pu spingere un uomo a diventareun terrorista? Che tipo di vita conducono? Come si pu credere nella "scorciatoia" dellalotta armata, fin troppo comoda per il potere? Le ipotesi e le curiosit si accavallano. Lasera seguente - per una strana coincidenza - ci troviamo a discutere con Elena Negri, PaoloChicco e Giovanni Negri, tre compagni di Torino che conosco da anni, e nasce la doman-da: "Cosa fareste se vi sorteggiassero per fare il giudice popolare?". Le risposte sono di-verse. C chi pensa che "questo regime ha assassinato la Costituzione e non mi pu venirea chiedere nulla"; gli si ricorda che la nostra concezione del diritto diversa, e sta al centrodel nostro modo di fare politica: la legge una occasione di confronto in ogni caso. Siamoimputati in centinaia di processi e chiediamo che essi si celebrino, cos come ci battiamoperch si facciano quelli contro gli uomini di regime coinvolti nelle truffe, nei peculati di

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    Stato, nella strategia della tensione. "Altrimenti muore anche la speranza dello Stato di di-ritto". Certo, siamo tutti d'accordo sul fatto che la borghesia faccia un "uso di classe" deldiritto. Sono le sue storiche contraddizioni; il problema nostro quello di fare esploderequeste contraddizioni, di farle entrare in crisi, di farne apparire in piena luce, con la disob-bedienza civile e la nonviolenza, tutta la carica di reale violenza. Alla fine tutti concordia-

    mo con l'appello, civile e coerente, lanciato da Leonardo Sciascia sulle colonne del "Cor-riere della Sera": "Per questo Stato non farei il giudice popolare. Se fossi estratto a sorteaccetterei per coerenza nei confronti di me stesso e dei valori nei quali credo". Il giornodopo, sulla "Stampa", compare un articolo di Claudio Cerasulo: "La funzione svolta dallastampa in un caso come questo del processo alle BR essenziale. Da una corretta informa-zione dipende l'atteggiamento della gente e quindi anche di chi pu essere sorteggiato fra igiudici popolari. Non a caso tutti i giornali si astengono dal pubblicare i nomi di chi accet-ta l'incarico". Gioved 2 marzo.Alle otto del mattino parto per Roma, con un compagno.Per la mattina successiva, dopo pi di un mese di cessazione delle attivit nazionali delpartito, convocata una riunione, per valutare e approfondire l'ipotesi di riconversione re-gionale delle lotte radicali. Ho un senso di sollievo nell'allontanarmi da Torino, dove il

    clima sempre pi pesante: la citt ormai una palestra di esercitazioni di militari, di ca-rabinieri, di poliziotti in borghese. Non si contano pi le macchine civili con targa di fuoriTorino, evidentemente in dotazione alle forze dell'ordine: facce dure, che mi ricordano ivolti delle squadre speciali inviate il 13 maggio del 1977 a piazza Navona da Cossiga percercare la strage e criminalizzare l'intero movimento di opposizione; quel giorno fu assas-sinata Giorgiana Masi. Pesa enormemente l'atmosfera, ambigua e sinistra, del cosiddetto"bunker", la caserma Lamarmora, dove si terr il processo. In treno, leggendo i giornali,rivedo le foto delle vittime di Torino, uccise barbaramente da ignoti assassini. L'ormai an-ziano avvocato Croce, reo di essere presidente dell'ordine degli avvocati; l'avversario poli-tico Carlo Casalegno. Mi soffermo su una frase pubblicata dal quotidiano "la Repubblica".Pare che sia stato estratto un grosso nome di Torino, forse un esponente del PCI, come

    giurato al processo delle BR: ho una punta di curiosit, faccio qualche battuta. Mi addor-mento.

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    3. L'APPUNTAMENTO CON I VIOLENTI

    Gioved 2 marzo.Arrivo a Roma alle quattro del pomeriggio, annoiata per il viaggio. Va-do a casa per lasciare il bagaglio, telefono a Gianfranco Spadaccia e poi al gruppo parla-

    mentare, con la gioia di risentire e rivedere i compagni coi quali ho lavorato quotidiana-mente per un anno e che da un mese non vedo. Al telefono risponde Marisa Galli, con ilsolito modo brusco e affettuoso, e mi dice che c un certo capitano dei carabinieri che maha cercato telefonicamente da Torino almeno quattro o cinque volte e vuole essere imme-diatamente richiamato. Mi stupisco per tanta urgenza, penso a una delle incriminazioni pervilipendio o per le iniziative dei centri CISA sull'aborto ("Strano che tirino fuori proprioadesso quest'argomento!"), ma in ogni caso telefono a Torino. "Lei proprio Adelaide A-glietta?", mi chiede il capitano; replico che non saprei proprio come dimostrarglielo, pertelefono. Il capitano mi comunica allora che il giorno precedente il mio nominativo statoestratto per la formazione della giuria popolare. Resto interdetta, non so rispondere altroche sino a domenica sono improrogabilmente impegnata a Roma; mi suggerisce di manda-

    re un telegramma al presidente della Corte d'assise per comunicargli la mia impossibilitad essere presente. Mi annuncia contemporaneamente, per il giorno successivo, l'arrivodella notificazione scritta ufficiale. Una ridda di pensieri mi passa per la testa: perch stato estratto il mio nome? E' possibile che il caso abbia scelto me su almeno un milione dialtre possibilit? La mia posizione compatibile con quella di giurato? Devo andare a rap-presentare istituzioni contro le quali lotto ogni giorno? A quali rischi vado incontro? Miprende la paura, parecchia paura. Penso alle bambine e mi metto persino a piangere. Dinuovo la dinamica del sospetto mi assale: cosa c sotto? perch un radicale? cosa voglio-no? In fin dei conti il nostro paese da anni oggetto di torbide operazioni. Questo processoio non lo condivido, ma mi viene in mente la frase di alcune sere prima: "I processi debbo-no essere fatti, tutti". Faranno il tiro al piccione contro di me? Far da bersaglio? Cerco di

    razionalizzare tutto con Giovanni, il quale chiamato subito Torino e parla con Paolo. Paolosa gi tutto: in mattinata ha telefonato a Radio Radicale un giornalista di "Repubblica" egli ha chiesto un appuntamento, non specificando la ragione. Cos Paolo venuto a saperemolte cose, e con parecchie ore di anticipo: la sera precedente era circolata la voce chefosse estratto un "grosso nome" del PCI torinese. Dalla segreteria della federazione comu-nista si confermava solo che "era stato sorteggiato un operaio del PCI, e che invece era sta-ta estratta la Aglietta", la quale "pare abbia gi rifiutato". Ora, sapendo tutto questo Paolo,mi rammento che Marisa Galli mi aveva avvertito che nel pomeriggio due giornalisti miavevano affannosamente cercato al gruppo parlamentare, e con amara ironia ripenso all'ar-ticolo di Cerasuolo sulla "Stampa". Gi, la funzione della stampa molto importante... Pi-glio un taxi e vado a al gruppo parlamentare. Non entriamo nel merito della questione, mastiliamo un comunicato che annuncia il telegramma della Corte d'assise sulla mia impossi-bilit ad essere a Torino il giorno dopo. Aggiungiamo una domanda: "Quale sarebbe, inquesto caso, il comportamento degli altri segretari di partito?". La sera tento di parlare conmio marito e le bambine, che sono in vacanza in montagna, ma impossibile: pare che gliospiti del Club Mditerrane non abbiano il diritto di ricevere telefonate. Furibonda desi-sto, e chiamo mio padre: so come sia apprensiva mia madre, come sempre teme per me,per la mia salute; conosco le angosce che ha vissuto durante gli scioperi della fame, prefe-risco che sia mio padre a parlargliene, debbo assolutamente evitare che apprenda la notizia

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    dai giornali. Mio padre, dopo avermi ascoltata, resta un po' silenzioso, poi mi chiede cosafar. Gli dico che non so, che tendenzialmente sono per accettare e che comunque ne di-scuter con i compagni il giorno dopo, perch anche da valutare la sottrazione del miotempo e del mio impegno rispetto ai programmo del partito. Lui mi dice che, nella mia po-sizione, farei meglio a rifiutare; gli chiedo a bruciapelo cosa farebbe lui: mi risponde cate-

    gorico che accetterebbe. La sera, a letto, mi riprende l'angoscia, ho la sensazione di averedi fronte un tunnel buio che non so dove conduca. Nuovamente penso a Francesca a adAlberta; come reagiranno le bambine? Saranno coinvolte? Ritelefono in montagna, litigodieci minuti con la telefonista, ma non c niente da fare.

    Venerd 3 marzo, nelle primissime ore, mi sveglia lo squillo del telefono. E' Marco, miomarito, gi al corrente di tutto. In verit non abbiamo da scambiarci molte idee, anche conlui - giorni prima - ci eravamo detti le nostre impressioni sul processo. Gli raccomando diparlare con Francesca e Alberta, per le quali mi sembra molto preoccupato. Accenna anchea un loro possibile trasferimento da Torino. Io non condivido l'idea, o quanto meno mi ap-pare prematura e in ogni caso intendo parlarne direttamente con le bambine, domenica,

    quando conto di tornare a Torino. Sono convinta, come al solito, che mascherare o mini-mizzare la realt ai bambini sia una scelta stupida e controproducente. Vado alla riunionedel partito, nella saletta di un albergo di Roma. Ad un tratto, nel breve tragitto, mi ricordodei giornali. La notizia sar riportata? E in che modo, in quali proporzioni? Compro tutti igiornali, mi casca l'occhio sulla "Repubblica". In prima pagina campeggia un titolo:"Scoppia il caso Aglietta". Scalfari ha decisamente mutato atteggiamento nei nostri con-fronti, dopo le continue censure o mistificazioni. Aggiungiamo all'ordine del giorno dellariunione la mia estrazione a giudice popolare al processo di Torino. Marco Pannella misussurra una prima considerazione: "Era scontato... prima o poi dovevamo giungere all'ap-puntamento con i ``violenti''. Quando tu non scegli i fatti, i fatti scelgono per te". Io mi ri-guardo le cifre che alcuni quotidiani riportano, piuttosto impressionanti: pi di un centi-

    naio di estratti, ma i "s" si possono contare sulle dita di una sola mano; bel risultato hannoottenuto il PCI, l'arcivescovo, "La Stampa", con i loro strilli "contro il terrorismo"... Guar-do tutti i compagni seduti attorno al tavolo: con ognuno ho un vissuto, un rapporto perso-nale e politico. Sono presenti i compagni del gruppo e della segreteria: i quattro deputati(Marco, Emma, Adele, Mauro), due dei deputati supplenti (Marisa Galli e Roberto Cic-ciomessere), Paolo Vigevano, Sergio Stanzani, Gianfranco Spadaccia, i compagni dellasegreteria (Geppi Rippa, Peppino Calderisi, Giovanni Negri, Loredana Lipperini, MarioSignorino). Da Torino venuto Paolo Chicco. Dopo altri argomenti, si apre il dibattito sulmio eventuale impegno. Tutto si impernia su un'unica questione: legittimo il rifiuto, datala funzione "costituzionalmente rilevante" che svolgo in qualit di segretario di un partito?E' il succo della domanda gi rivolta ai segretari degli altri partiti, su ci che loro farebberotrovandosi nella mia situazione. Concludiamo che, pur avendo validi motivi per rifiutare,questi cadono dal momento che segreteria e tesoreria, sono cessate, ed io sono dunque li-bera da vincoli ed impegni. Alcuni sono per pregiudizialmente contrari alla mia accetta-zione, avvolti e vinti dalla "dinamica del sospetto" nei confronti di una "operazione di re-gime" esplicitamente ipotizzata. Mentre discutiamo, il portiere dell'albergo, ogni dieci mi-nuti, ci comunica che c al telefono una giornalista "che vuole sapere...". Mi prende un at-timo d'ira, ripenso ai settanta giorni di sciopero della fame dello scorso anno per il miglio-ramento delle condizioni di vita e di lavoro degli agenti di custodia e per l'amnistia, tra-

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    scorsi nel silenzio totale; ripenso alle invocazioni ai giornalisti perch pubblicassero qual-cosa, un minimo di spazio, affinch si sbloccasse la situazione... I compagni ed io siamocomunque unanimi su una considerazione: il nonviolento si difende solo con le linearitdelle proprie scelte di coscienza, in una dimensione di divulgazione il pi pubblica possi-bile del proprio operato. Dunque Francesco Cossiga tenga alla larga da me qualsiasi suo

    uomo, qualsiasi scorta. La "protezione" di colui che, secondo noi, scientificamente, a tavo-lino, ho progettato, cercato, costruito e trovato l'evento criminale del 12 maggio, pu solocostituire un grave pericolo, mai una sicurezza. Fissiamo una conferenza stampa per ilgiorno successivo: ritorniamo a discutere dell'importanza - a maggior ragione questa volta- dell'informazione corretta e della conoscenza come unica garanzia di sicurezza fisica perme. Mi si deve conoscere non come simbolo, bens come persona: con le mie emozioni, imiei ideali e valori, le mie motivazioni di radicale. La riunione termina e vado a casa, houn po' meno paura. E' invece molto preoccupato mio padre, soprattutto per Francesca eAlberta. Ho riflettuto sul problema delle bambine, e gli rispondo che bisogna smetterla diessere vittime della logica che costruisce "mostri": nella strategia delle Brigate Rosse maivi sono stati bersagli che non fossero obbiettivi politici diretti, non vi debbono dunque es-

    sere preoccupazioni eccessive per i familiari. Comunico anche a mio padre che ho decisodi rifiutare preventivamente qualsiasi scorta armata. Lui non dice nulla.

    Sabato 4 marzo. I giornali giocano ad una sorta di "toto-radicale": accetter, non accette-r? Ancora una volta non riesco a non pensare al disprezzo mostrato dalla maggior partedegli organi di informazione in occasione di battaglie di liberazione condotte in anni e an-ni. Mi soffermo sulle dichiarazioni de miei "colleghi", segretari di partiti: tutte molto "pu-re", molto "dure", categoriche, sicure. Sento una stonatura pesante, forse perch sono abi-tuata anch'io a diffidare delle "purezze", degli integrismi. Penso anche alla scelta esisten-ziale del terrorista: non anch'essa la scelta totalizzante e clericale della "purificazione" dise stessi e degli altri dal "nemico", e dunque una scelta che racchiude valori di espiazione e

    di mondamento dei peccati in un lavacro di sangue? Da bambina temevo l'arcangelo Ga-briele, "giustiziere e vendicatore" dalla lunga spada e dalla dorata aureola (ben diverso dallaico e simpatico Robin Hood). Ritorno comunque a leggere le dichiarazioni: Berlinguer,Zaccagnini, Romita: nessuno avrebbe esitazioni. L'unico contributo serio e problematicoviene dal segretario liberale Valerio Zanone, che rileva le difficolt oggettive - per un se-gretario di partito - ad assumere un incarico cos impegnativo. Il segretario del PRI, OddoBiasini, mi rimprovera: non solo egli accatterebbe subito, ma ritiene assurda qualsiasi esi-tazione e ogni forma di consultazione con i compagni di partito. Vado al gruppo parlamen-tare piuttosto presto, poich bisogna terminare di scrivere gli interventi per la conferenzastampa. Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia, che mi attendono, hanno tentato invanodi ottenere un'intervista per me dai telegiornali: la risposta stata secca, neanche in questocaso si pu avere diritto di parola, alla vicenda verranno dedicati due minuti nel corso deiquali i redattori della RAI "riferiranno correttamente". Accusano sovente noi radicali di es-sere dei vittimisti: ma se qualsiasi altro segretario di partito si fosse trovato nelle mie con-dizioni non sarebbe stato intervistato dalla televisione? Perch intere colonne di piombo ecentinaia di veline televisive vengono ogni giorno dedicate alle dichiarazioni, anche le piinsignificanti, dei "politici" dei partiti "costituzionali"? Perch ogni comunicato delle BRviene pubblicato fino all'ultima riga? Perch fra regime e terrorismo a tutti i costi ci deveessere terra bruciata, non deve essere esistere - in termini di informazione - nulla, e se

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    qualcosa c, questo immediatamente manipolato e minimizzato? Affronto la saletta del-la conferenza stampa, che affollatissima, piuttosto tesa. Discuto con il redattore del TG1e con un altro Giornale Radio: non colpa loro ma oggi pi che mai li vedo come avvoltoipronti ad usarmi come volto, come persona, come simbolo, senza preoccuparsi di ci cheho realmente da esprimere, di ci che mi preme far conoscere. Mi rallegrano invece le de-

    cine di compagne e compagni che sono venuti, tutti molto affettuosi. Inizia la conferenzastampa: ADELAIDE AGLIETTA: "Il coraggio di avere paura" Sono stata sorteggiata -almeno cos pare - come giurata al processo di Torino. Penso che sia la prima volta che ilmassimo esponente di un partito si trovi di fronte a questa evenienza, non solamente nellanostra storia nazionale. Non so cosa avrei fatto, se mi fossi trovata nella pienezza delle mieresponsabilit di segretaria nazionale del Partito radicale. Non sono affatto sicura, come sisono proclamati ieri, a quanto pare, i miei illustri colleghi Zaccagnini, Romita, Biasini,Zanone e Berlinguer, che avrei ritenuto di poter e dover anteporre ragioni e incombenze digiurata a quelle, di rilevanza anche costituzionale, del mio ufficio. Vi sono contraddizionievidenti, non ultime ma non soltanto, quelle di natura pratica. Comunque facile parlareper assurdo. Ma, per quello che mi riguarda, fin quando non si saranno creati fatti nuovi,

    auspicabili e che siamo tesi a conquistare perch il Partito radicale possa riprendere la suaattivit nazionale nell'esercizio dei diritti e doveri costituzionali, non mi attribuisco altricompiti che quelli di una qualsiasi militante, nonviolenta, libertaria, radicale. Consentitemiper un istante di fare una considerazione forse non oziosa, forse necessaria. Meno di duemesi fa sono tornata a Torino, ho deciso di far cessare l'attivit nazionale del partito, dopo22 anni di lotte d'insuperato valore civile e politico, di fronte all'evidenza che da tempo ce-lavamo a noi stessi. Nell'Italia degli anni '70 anche il solo chiedere l'attuazione della Costi-tuzione, l'abrogazione dei fondamenti fascisti dello Stato, il rispetto della sua propria leggeda parte del potere, la conquista di diritti civili e costituzionali fondamentali a tutti e perciascuno esige processi, condanne, discriminazioni, ostracismi; ma esige - anche ormai - dimettere in causa la propria vita, se si nonviolenti; la vita altrui oltre che la propria se si

    violenti e si crede che i fini giustificano i mezzi e non che i mezzi prefigurano i fini. Nel1977 abbiamo dovuto condurre decine di digiuni per quasi cento giorni ognuno, per otte-nere che alcune distorte e avare notizie raggiungessero l'opinione pubblica. Contempora-neamente, nel 1977 stato sufficiente sparare alle gambe o al cuore di qualcuno, perchmessaggi politici venissero trasmessi a cinquanta milioni di italiani, per essere sempre pieletti a protagonisti della cronaca politica e antagonisti ufficiali di un potere che sembravolere la terra bruciata tra il suo 90 per cento di consensi parlamentari e la "opposizione"violenta dei gruppi terroristici. In questa escalation della violenza delle istituzioni, dalpeggioramento delle leggi fasciste a - soprattutto - l'uso fascista, letteralmente fascista, del-la informazione della RAI-TV e della stampa sovvenzionata contro le grandi, poderose lot-te politiche referendarie, civili, del "partito nonviolento", eravamo e siamo giunti al puntoin cui m'era parso evidentemente che, d'ora in poi, un esito tragico dei nostri digiuni dellasete, non evitabili dinanzi alla gravit delle violenze anche costituzionali, degli arbitrii cuidobbiamo disobbedire, sarebbe divenuto obbligato. L'informazione di regime, per sua pro-pria ideologia, omogenea agli assassinii dei cosiddetti partiti armati. Ho assunto dunquela responsabilit di far cessare questa nostra attivit politica nazionale, contro il prezzodella vita che stava ineluttabilmente divenendo necessario pagare o rischiare per lotte civilidoverose ma vietate. E' dunque per questo che ero tornata a Torino e ho avviato una con-versione delle lotte radicali. "E' qui che di nuovo vengo ora a trovarmi personalmente in

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    collusione con la spirale di violenza e di paura nella quale trenta anni di potere "costitu-zionale" hanno precipitato e sempre pi precipitano il paese". E' qui che altri sembrerebbe-ro aver scelto di divenire in tutto e per tutto simili a coloro che combattono, nel peggio cheli caratterizza. Non ho quindi avuto esitazioni nel comprendere quel che dovevo fare. Co-me tutti, come donna, come madre, ho avuto e potr avere momenti di dubbio e di paura

    per me, per le mie figlie, per i miei compagni, per gli altri. Penso che il coraggio consistanel superare la paura, non nel non provarla. Penso che il coraggio della paura meritevolee doveroso dinanzi alla morte che una societ sempre pi basata sull'equilibrio instabiledel terrore militare e nucleare prepara e impone: come dinanzi ad ogni morte. Anche perquesto per noi e per me la vita sacra, a cominciare da quella degli altri, cos come la li-bert e la giustizia. Ho consultato i compagni del partito e del gruppo parlamentare permeglio valutare con loro le possibili scadenze della vita politica, in particolare quelle ri-guardanti i referendum di cui siamo stati promotori e le lotte di difesa della Costituzione.Per il resto abbiamo valutato insieme le conseguenze politiche della mia decisione che, seappartiene interamente e integralmente alla mia coscienza, anche e proprio per questo nonpu non costituire anche una manifestazione concreta dei nostri comuni ideali e obiettivi.

    Ho trovato, in tutti, l'uguale consapevolezza che improbabile, in questa evenienza, nonopporre alla spirale della paura che ha dilagato e sta dilagando ovunque, specie a Torino,ora attorno a questo processo, una comune, rigorosa, attiva azione nonviolenta. Intendodunque, da questo momento, comportarmi come possibile giurata del processo di Torino.Non intendo quindi esprimere opinioni in merito; anzi, per l'esattezza, se ne ho avute, nonne ho pi. Ho radicato in me il dovere costituzionale e morale di presumere la non colpe-volezza degli imputati, di contribuire ad assicurare loro la pi piena possibilit di difesa, diricercare processualmente la verit e, in coscienza, di giudicare. Mi sia consentito di rivol-gere a tutti un appello contro la paura, contro la violenza, contro la rassegnazione a viverela violenza assassina sia essa quella del potere o di chiunque altro. Rifiuto di ritenere inpericolo la mia vita e quella di chiunque altro per il solo fatto che compie un dovere di co-

    scienza. Non so se la violenza per la quale tanti cittadini, cui va in questo momento tutta lamia comprensione, la mia solidariet e la mia stima, hanno avuto il coraggio della paura,sia reale o supposta. Fino a prova del contrario, rifiuto di presupporla. Ma questa spirale vaspezzata. Chiedo alle donne come me, alle donne di Torino, alle compagne di manifestarecon la loro sola presenza, silenziosamente e in massa, luned pomeriggio alle ore 15, in viaGaribaldi 13, la volont di una vita diversa, di una societ nonviolenta, contro ogni assas-sinio e assassino. Lo chiedo alle donne, come io sono, alle compagne, ai compagni. Muo-viamoci come altre donne, in condizioni pi tragiche, hanno fatto, in Irlanda. Portiamo inostri figli e genitori. Chiedo che unanimi e solidali i giurati designati si uniscano con se-renit per affrontare il loro compito vincendo la paura con cui ci si vuole degradare, a sud-diti o a donne e uomini vili, in nome della nonviolenza, di una giustizia vera, almeno datentare.MARCO PANNELLA: "Chi vuole s'accomodi" Chi pensa che i nonviolenti siano degli i-nerti e dei disarmati, sbaglia. C una cosa, almeno, che unisce profondamente nonviolentie violenti politici: gli uni e gli altri giudicano che la situazione storica e sociale nella qualevivono esige da loro di dare letteralmente corpo alle loro speranze ed ai loro ideali, di rite-nere comunque in causa la loro esistenza e di trarne le conseguenze. C una sorta di inte-grit che li unisce. Ma gli uni ritengono che i mezzi prefigurano e determinano i fini; edessendo dei libertari e dei socialisti la vita per loro sacra, innanzitutto quella dei loro ne-

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    mici; gli altri credono che i fini giustificano i mezzi, e scendono sullo stesso campo del-l'avversario, alzano anch'essi il vessillo dell'assassinio e della guerra, giusti e sacri. L'ideo-logia stessa che presiede alla vita del nostro Stato, retto con leggi fasciste e incostituzionaliper volont degli antifascisti al potere da trent'anni, fa scegliere "il partito armato", il terro-rismo come interlocutore privilegiato. La stampa e la RAI-TV fanno di costoro gli antago-

    nisti politici e i protagonisti della cronaca politica. Censurano, soffocano, deturpano fero-cemente i nonviolenti, referendari, costituzionali, che si muovono fra la gente e ne rappre-sentano aggregazioni maggioritarie. Come nonviolenti denunciamo ogni giorno la violenzaassassina di un potere che ha al suo attivo la strategia delle stragi e la strage di legalit.Siamo processati, condannati. Ma come nonviolenti sappiamo che la scelta del cosiddetto"partito armato" non solamente assassina sul piano della proclamazione teorica e dellaprassi, ma suicida se e quando davvero partecipa alle speranze della sinistra e non sia an-che soggettivamente espressione di servizi paralleli nazionali e internazionali. In questecondizioni, per noi il processo di Torino ha da farsi. La spirale della paura deve esserespezzata, una volta per tutte. Certo, esistono dei pericoli nuovi. In realt non sono che ilnuovo volto di vecchie realt che hanno sempre accompagnato le nostre lotte radicali. Co-

    gliamo l'occasione per dire al ministro di polizia Cossiga, al responsabile della strage dipiazza Navona e dell'assassinio di Giorgiana Masi che non tollereremo di essere "protetti"dai suoi servizi. Siamo armati di nonviolenza e non d'altro. Chi vuole s'accomodi. Non ri-schia nulla se non d'essere un indiretto "boia di Stato". GIANFRANCO SPADACCIA: "Lacoerenza del nonviolento" Ringraziamo i segretari degli altri partiti per il contributo che,con grande sicurezza e senza esitazioni, hanno voluto dare al segretario del nostro partitoin questa circostanza. Forse avremmo apprezzato maggiormente dichiarazioni pi proble-matiche, soprattutto tenendo conto del fatto che i loro autori, tutti parlamentari eletti, nonavrebbero potuto trovarsi nella situazione in cui si trovato il segretario del Partito radica-le. Non intendo mettere in dubbio la sincerit di quelle dichiarazioni n liquidare con faci-lit l'esistenza di questa incompatibilit che, nelle intenzioni del legislatore, aveva un valo-

    re garantista. Ma proprio l'esistenza di questa norma, se non viene intesa come un'altraforma di immunit e come un privilegio di casta, dimostra che, nella sostanza se non nellaforma, i problemi posti al segretario del Partito radicale non erano e non sono soltantoproblemi di carattere pratico. Le stesse considerazioni dell'onorevole Biasini ne sono delresto un'ulteriore conferma, anche se le dichiarazioni di Adelaide Aglietta hanno fugatoogni possibile dubbio sul carattere che hanno avuto le sue consultazioni con noi. Ma perun radicale, per un nonviolento esiste un altro elemento di contraddizione che sarebbe in-giusto sottacere in un momento in cui siamo costretti a denunciare le persistenti e le nuoveviolazioni della legalit repubblicana da parte delle istituzioni. In oltre quindici anni di lot-ta politica, i radicali di questa generazione hanno conosciuto la giustizia del regime in altraveste che non quella di giurati: nella veste di imputati, e spesso di detenuti, per reati d'opi-nione, per obiezione di coscienza, per la nostra disubbidienza civile a leggi fasciste e inco-stituzionali; come difensori, quelli di noi che sono avvocati, di radicali o altri; meno spes-so come parti civili, ma sempre per difenderci contro la prevaricazione e la violenza degliavversari e del potere. Oggi una di noi quelle stesse leggi, contro molte delle quali abbia-mo lottato con tutte le armi della nonviolenza, invece chiamata ad applicarle in qualit digiudice popolare. E' una contraddizione, ma una contraddizione cui un nonviolento non sipu sottrarre. Siamo sicuri che Adelaide sapr affrontarla con la forza e la coerenza di chiha sempre lottato per chiedere non l'affermazione della propria legalit alternativa ma il ri-

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    spetto della legalit da cui il potere e le istituzioni traggono la loro legittimit, la piena at-tuazione della Costituzione, l'integrale applicazione delle norme interne e internazionaliche garantiscono gli insopprimibili diritti dei cittadini.GRUPPO PARLAMENTARE RADICALE: "Va finalmente assicurato il diritto degli im-putati all'autodifesa" Il gruppo parlamentare radicale ringrazia la compagna Adelaide A-

    glietta, segretaria nazionale del Partito radicale, per la sua esemplare decisione. Il suo ge-sto va confrontato al suo indubbio diritto di essere - ove lo avesse ritenuto opportuno - e-sonerata dalle funzioni di giurata al processo di Torino per la indubbia rilevanza costitu-zionale del suo incarico, e per i conseguenti normali doveri del suo ufficio. Il gruppo radi-cale non pu in questa occasione non ribadire fermamente e solennemente che la Conven-zione europea dei diritti dell'uomo, legge dello Stato italiano, garantisce a ogni imputato ildiritto di difendersi, a sua scelta, direttamente o con l'assistenza di legali difensori. Questodiritto deve essere finalmente rispettato. Il gruppo radicale ha deciso inoltre di proporrenella prossima seduta della Camera un emendamento al decreto di legge governativo sulleCorti d'assise, con cui viene abrogata la norma che vieta ai parlamentari della Repubblicadi essere designati come giurati nei processi di Corte d'assise.

    PARTITO RADICALE DEL PIEMONTE: "Appello agli uomini e alle donne di Torino"La nostra citt, Torino, in questo giorni e lo sar ancor pi nei prossimi, avvolta da unadrammatica spirale di paura, di terrore, di angoscia. E' nei momenti di maggior pericolo,quando si teme per se stessi e per gli altri, quando si ha evidentemente paura di assistere aduna impressionante escalation di degradazione della vita civile, che si ha il diritto e il do-vere, e si deve trovare la forza, di fronteggiare individualmente e collettivamente la situa-zione, assumendo le responsabilit che tutto ci comporta. Nella nostra citt oggi l'unicolucido e responsabile comportamento possibile quello di spezzare al pi presto, subito, laspirale della paura. Una spirale che funzionale al regime e la cui logica deve essere rove-sciata con la nonviolenza, con la forza dei valori della Costituzione, dello Stato di diritto,del rispetto e della tolleranza reciproca, della aspirazione alla pace, dell'ordine democratico

    e repubblicano. Dissennato colui che pensa che tutto ci sia utopia. Ancor pi dissennaticoloro che credono che la paura scompaia occupando militarmente la nostra citt o impo-nendo al paese la trentennale vergogna delle leggi fasciste e l'aberrazione di altre ancorapeggiori. Ancora una volta la possibilit di superare un frangente drammatico risiede nellamaturit e nella civilt degli uomini e delle donne semplici, la cui semplicit di gran lun-ga pi efficace di tutte le misure, gli appelli, le parole ipocrite e inutili, di una classe politi-ca dirigente che creatrice di questa situazione di caos e di disordine pubblico. AdelaideAglietta non ha dato oggi che la prova del proprio senso di responsabilit. Lo ha fatto con-fidando in voi e riponendo in voi tutta quella fiducia che le stata necessaria per compieretale gesto. In voi cittadini di Torino, non certo nelle poco autorevoli autorit. Spezziamo erovesciamo la spirale della paura: accettiamo di fare i giudici popolari, scendiamo nellenostre strade e nelle nostre piazze, occupiamo la citt noi cittadini con la calma e la non-violenza, contro la paura, il caos, il terrore. Il primo appuntamento, con Adelaide Aglietta, fissato per luned 6 prossimo, alle ore 15, di fronte alla sede del Partito radicale, in viaGaribaldi 13. Che sia il primo appuntamento di massa, silenzioso, sereno, nonviolento,quindi realmente forte, contro la paura.ADELAIDE AGLIETTA A COSSIGA: "Rifiuto la scorta" Signor ministro, le chiedo for-malmente di dare disposizioni perch venga evitata assolutamente ogni e qualsiasi formadi tutela o vigilanza armata che le autorit locali o d'altra natura dovessero ritenere in do-

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    vere si assicurare Stop Non conosco altra garanzia possibile di serenit e di sicurezza chequella derivante dall'assenza di armi e armati di qualsiasi tipo - Adelaide Aglietta, segreta-ria nazionale del Partito radicale. 4 MARZO: "dall'Ansa" Onorevole Zaccagnini, segretariodella Democrazia cristiana: "Accetterei perch si tratta di adempiere a un fondamentaledovere civico e morale". Onorevole Romita, segretario del PSDI: "Non ho alcun dubbio,

    andrei certamente. I doveri dei cittadini vanno rispettati dai segretari dei partiti con impe-gno ancora maggiore". Onorevole Biasini, segretario del PRI: "Accetterei senza esitazionel'incarico nella consapevolezza che esso comporta l'assolvimento di un preciso dovere ci-vico, il cui adempimento riguarda la coscienza dell'individuo. Mi parrebbe assurdo, sottoquesto profilo, subordinare la mia decisione a una valutazione del mio partito". OnorevoleZanone, segretario del PLI: "L'ufficio di giurato soprattutto nelle drammatiche condizioniin cui versa la giustizia nel nostro paese un dovere pubblico che vale per tutti i cittadini,non esclusi quindi i segretari dei partiti. Qualora fossi sorteggiato mi troverei nella diffi-colt di conciliare i compiti, anch'essi pubblici, di deputato e segretario del PLI con quellidi giudice popolare. Di fronte alle troppe rinunce di cui si avuta in questi giorni la penosasequenza, darei la prevalenza al dovere di rendermi disponibile, perch la giustizia possa

    vere corso". Onorevole Pecchioli, per il PCI: "Accetterei senza alcuna esitazione. Si trattadi un dovere verso lo Stato democratico che deve scrupolosamente essere osservato. Credofermamente nella partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia, cos comeafferma la Costituzione della Repubblica". Onorevole Berlinguer, segretario del PCI: "Ac-cetterei senza alcuna esitazione". Senatore Cipellini, per il PSI: "E' dovere di tutti i cittadi-ni difendere la legalit dello Stato democratico e quindi in questa prospettiva amministrarela giustizia. E se questo un dovere per tutti i cittadini, figuriamoci per un dirigente di par-tito. Alle forze politiche spettano infatti il diritto e il dovere di difendere la legalit delloStato democratico, salvaguardare quei valori che vengono da lontano, dalle lotte di popolodella Resistenza. Per questo io come giurato nel processo alle BR avrei svolto questo im-pegno civile e politico con serenit, ma anche con la fermezza che viene dal ricordo di tan-

    ti compagni e amici che, durante la Resistenza, hanno sacrificato la vita per quei valori didemocrazia contro i quali anche le BR hanno sferrato il loro attacco. Noi socialisti, chesvolgeremo il nostro Congresso a Torino, riaffermeremo ancora una volta il no dei demo-cratici alla violenza, alla criminalit, che non hanno niente a che fare con la lotta politica".

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    4. FIORI IN TRIBUNALE

    Sabato 4 marzo.Passo il pomeriggio con i compagni, poi parto da Fiumicino con l'aereodelle ventitr: voglio trascorrere la domenica con Francesca e Alberta, mi preoccupano i

    loro possibili pensieri, reazioni, paure. Attero a mezzanotte, ad aspettarmi ci sono Paolo,Elena e Giovanni. Saliamo sulla cinquecento di Paolo, l'atmosfera non affatto piacevole,le battute mascherano una pura che collettiva. Qualcuno ha la sensazione che siamo se-guiti e lo dice, gli occhi di tutti si concentrano sullo specchietto retrovisore e sui finestrini.Ma sono le allucinazioni di uno stato psicologico folle e controproducente, dei cui rischiincomincio a rendermi conto solo ora.Domenica 5 marzoi giornali riportano, tutti in prima pagina, la notizia della mia accetta-zione. Parrebbe un'informazione corretta, in realt le motivazioni che ne ho dato non e-mergono. Le frasi riportate, isolate dal contesto generale, forniscono una visione parzialedel mio discorso, a seconda del "taglio" che i vari quotidiani hanno scelto. Alcuni specula-no sul brivido di un possibile fatto di sangue individuando nel giudice popolare non il cit-

    tadino che ritiene che la giustizia debba aver corso e che in sede processuale si impegna aricercare la verit, bens colui che pregiudizialmente "contro" l'imputato. Il "Roma",giornale minore di Napoli, titola: "La segretaria del PR giurata a discarico". L'articolistariporta la frase, che ho pronunciato nel corso della conferenza stampa: "Ho radicato in meil dovere di presumere l'innocenza degli imputati", insinuando insomma la mia connivenzacon le Brigate Rosse. L'articolo si chiude cos: "Si comprende bene come mai l'Agliettaabbia rifiutato la scorta". Altri quotidiani mettono solo in evidenza un fantomatico "corag-gio", nella logica della contrapposizione di violenza a violenza: la violenza dello Stato allaviolenza delle Brigate Rosse. Lo spirito costituzionale della mia accettazione, la nonvio-lenza come necessit esistenziale e politica tutt'altro che passiva o disarmata, l'appello aspezzare la spirale della pura e della violenza a Torino riappropriandosi serenamente delle

    strade della citt, il rifiuto della scorta come garanzia e il pacifico rigetto di qualsiasi ipo-tesi di coartazione - dettato dalla paura - della propria coscienza, sono tutti messaggi chenon a caso i mass-media non diffondono, perch totalmente estranei alle loro logiche. Perquesto, non appena mi telefona un giornalista di "Stampa Sera" chiedendomi un'intervista,pongo delle condizioni: domande scritte, risposte scritte, pubblicazione integrale. Il giorna-le accetta e nel primo pomeriggio mi trovo con il giornalista, gli consegno le risposte e luigentilmente mi offre un passaggio sino a casa. Sorpresa: il giornalista mi offre un alloggionel caso abbia bisogno di trasferirmi. E' il primo di una lunga serie di persone amiche egenerose. Lo ringrazio, penso di non essere disponibile a vivere nella clandestinit e nelsospetto. Per la prima volta, da quando sono immersa in questa vicenda, vedo Francesca eAlberta. Mi sembra stiano bene, mio marito ha parlato con loro, ma appaiono reticenti.Cerco di capire cosa pensino, se si siano fatte qualche idea leggendo i giornali. Francescami spiega che sperava che io accettassi e quando le chiedo se conosce i motivi per cui mol-ti cittadini non hanno accattato mi sento rispondere che "sa" che una "cosa pericolosa".Ci troviamo a parlare delle Brigate Rosse. Le parlo come sempre. La violenza genera ter-rore e morte, bisogna mutare la societ con la parola, con la convinzione e il dialogo. Lelotte popolari di liberazione sono altra cosa dalla violenza. Nessuno pu erigersi a giusti-ziere e assassino di altri. Capisco che sono parole schematiche, con le quali tento di preve-nire reazioni irrazionali, che potrebbero derivare dalla non comprensione dei fatti, nel caso

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    che mi si scatenasse addosso una qualche forma di violenza. Alberta, la pi piccola, ascol-ta, silenziosissima, tutto il discorso. Francesca mi chiede se ho paura. Le rispondo che ognitanto, s, ce l'ho; ma non sempre, mi prende a tratti, paura e angoscia. Vado oltre, sento cheserve anche a me stessa. No, non penso che qualcuno si possa divertire a giocare con me altiro al bersaglio. In ogni caso, quello che importa sono le proprie convinzioni, la coerenza:

    mi capitato altre volte, ricordo, almeno tre, di rimettere in discussione la mia esistenza,inseguendo obiettivi che mi ero prefissati, di crescita collettiva e democratica. Mentre labambina pi piccola mi abbraccia in modo protettivo, Francesca scherzosamente mi rac-comanda di stare attenta. Mi trattengo ancora un attimo a discutere con mio marito sullebambine. Secondo me non corrono alcun rischio, sarebbe maggiore il danno che potrebbevenir loro dal cambiare vita o dall'essere scortate. Marco d'accordo: una sorveglianzaparticolare aggraverebbe solo l'ansia, creerebbe un dato stridente di diversit nei confrontidegli altri bambini, incrementando traumi negativi. Con la mia macchina vado a casa di unavvocato, dove ci sono altri legali. Li conosco ormai da anni, sono da sempre vicini al par-tito, ho chiesto loro di informarmi, di spiegarmi, di chiarirmi, questioni che non conoscose non superficialmente. Mi sono infatti resa conto, in vista di ci che dovr fare, che ho

    bisogno di imparare molte cose; le voglio sapere anche perch la sera ho un "filo diretto"con gli ascoltatori di Radio Radicale, e mi par giusto che il maggior numero di personepossibile debba conoscere, essere coinvolto. Gli avvocati mi spiegano tutto: le funzioni delgiudice popolare, i meccanismi "istituzionali" nei quali egli si trova a dover operare, i limi-ti della sua possibile incisivit. Intanto arrivato da Roma Marco Pannella, anche lui ve-nuto per la trasmissione alla radio, ma si sofferma a lungo - sia con me che con gli avvoca-ti - sul problema dell'autodifesa, del diritto cio di ogni imputato a difendersi da solo, se ri-fiuta di essere assistito da un avvocato o di fiducia o d'ufficio, cos come il diritto italianoe la Convenzione di Ginevra sanciscono. Alle nove si sera sono alla radio, con Marco.L'interesse altissimo, le telefonate giungono senza sosta sino alle due di notte. E' uno"spaccato" interessantissimo. C chi curioso rispetto alla mia persona, c la "spinta

    d'ordine" che invoca la pena di morte. Io non entro nel merito di valutazioni politiche sulleBR, n tanto meno sugli imputatati. Marco parla a lungo, attacca a fondo la scelta violenta("suicida e omicida"), mi colpisce quando parla di Renato Curcio: "Conosco la sua storiapolitica: lineare". Io di Curcio so molto poco, ma mi interessano particolarmente coloroche chiedono perch vado "a giudicare compagni che sbagliano". Rifaccio tutto il discorsodella accettazione, mi soffermo sulla concezione che i radicali hanno del diritto. L'alterna-tiva non sta fra il fare o il non fare i processi, il problema come li si fa; aggiungo che nonso quanto potr incidere sul "processo monstrum". Un ascoltatore osserva acutamente chese questo processo, dopo due tentativi, non si riesce a portare a termine, lentamente si sci-voler verso la logica della Germania occidentale, verso la barbarie di Stammheim, versouna disperata e assassina guerra fra bande. Pi dialogo e pi acquisto serenit e speranza:comprendo che senza dialogo sono un pesce fuor dell'acqua. Alla fine della trasmissionemi ritrovo ad esprimere una considerazione che mi ripeter decine di volte nel corso dellelunghe mattinate del processo. La differenza fra noi e le Brigate Rosse, il muro altissimoche ci separa, ci che ci oppone, che loro agiscono secondo la filosofia del "tanto peggio,tanto meglio", del "pi il regime criminale pi sono possibili i passi verso una societ di-versa". Ma cos non si concorre a mutare lo Stato e a far deperire la violenza dello Stato, cisi pone come Antistato, ancora pi dogmaticamente dello Stato, perch si ipotizza di po-terlo costruire solo attraverso la lotta dell'avanguardia armata, senza crescita collettiva del-

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    la societ civile, delle masse. Penso anche che oggi il nonviolento paga prezzi - politici senon personali - ben pi alti dell'oppositore violento. Ogni giorno, in termini di possibilitdi comunicare le proprie opinioni, il nonviolento massacrato, al violento si regala invece- non a caso - un ruolo privilegiato. A notte fonda chiudiamo la trasmissione ricordandol'appuntamento per l'indomani, di fronte alla sede del partito, per andare in tribunale. U-

    scendo dal portone scorgo due individui a bordo di una macchina ferma. Nei giorni se-guenti spesso vedr agenti in borghese nei pressi di casa mia o del partito. Il fatto mi colpi-sce, mentre mi metto a letto mi attanaglia l'angoscia: non sono le Brigate Rosse a susci-tarmi apprensione, ma il gesto spontaneo e isolato del "solista del mitra" o del gruppettofanatico. Poi comprendo che il rischio non nemmeno questo. La realt ben altra: se aservizi segreti o a "corpi separati" di regime servisse politicamente far ricadere sui "terrori-sti" un assassinio a sinistra, non esiterebbero. Ripercorro i pi torbidi episodi della strate-gia della tensione: piazza Fontana, l'Italicus, la strage di Peteano, l'ambiguissima vicendadi Lo Muscio e Zicchitella. Tutte riflessioni inutili. Sono stanca e mi addormento subito.Luned 6 marzo.Alle tre di pomeriggio dopo aver dormito a lungo mi avvio verso il par-tito. Sono un po' tesa. E' la prima occasione nella quale sono conosciuti i miei spostamenti.

    E se qualcuno avesse intenzione di bloccare il processo, non sarebbe questo il momentobuono? Mi irrito con me stessa, come ogni volta che mi rendo conto di non usare il razio-cinio. Scatta una molla psicologica che sar determinante d'ora in avanti: se qualcuno haintenzione di colpirmi non ha alcun problema. Continuare a sospettare, a scrutare di tantoin tanto i volti della gente che per strada mi incrocia, stupido e senza senso. Non sono ioche mi ritrovo isolata e lontana dalla gente. Di fronte al partito ci sono gi un centinaio dipersone, nonostante si tratti di un giorno lavorativo. Non conosco molti, ma mi si stringo-no attorno affettuosamente, mi abbracciano, mi hanno portato i fiori. C un grande mazzodi rose mandatomi da Roma da Enzo Zeno. Alle tre e mezzo ci avviamo tutti verso il tri-bunale: saremo circa in trecento. Quando saluto Marco Pannella, che riparte per Roma, misento un po' pi sola; poi invadiamo l'ampio cortile del tribunale, nessun agente (ce ne so-

    no moltissimi, in divisa e in borghese) si oppone. Resto colpita: la citt in stato d'assedio,dell'ordine la mobilitazione e lo schieramento di forze dell'ordine e dell'esercito sono im-pressionanti, ma trecento persone armate di nonviolenza, di fiori, di serenit riescono indi-sturbate a occupare il "cuore giudiziario" della citt. Quando i compagni entrano nell'aulail contrasto fra loro e il grigiore, il conformismo del posto, le toghe dei magistrati, i cara-binieri con il mitra al collo ancor pi stridente. Mentre attendo, il capitano dei carabinieriche addetto alle scorte mi avvicina: "Lei rinuncia veramente alla scorta?". Confermo, mifa firmare un foglio col quale dichiaro che rinuncio sotto la mia responsabilit (responsabi-lit di cosa? della mia vita, delle mie scelte?). Quando tocca a me antro nell'aula, i compa-gni mi salutano, mi accorgo di avere ancora due fiori in mano. Per la prima volta mi trovodi fronte Guido Barbaro, presidente della Corte di assise. Mi chiede se non ho impedimen-ti, rispondo negativamente e confermo di essere tuttora residente a Torino. Scattano i flashdei fotografi, il cancelliere ha un sussulto e suda; Barbaro si irrita e ironicamente osserva:"Oggi sono persino presenti degli avvocati". Ci deve essere una polemica in corso. Fissan-dolo mi rammento di averlo gi visto: era presidente in un processo tenutosi due anni pri-ma contro alcuni antimilitaristi, per i quali avevamo organizzato una manifestazione di so-lidariet. Voci di tribunale lo dipingono come un molto duro e reazionario, ma le voci so-no voci. Vedremo. Insieme a me hanno accettato altri quattro: ho la sensazione che dopo lamia estrazione le accettazioni siano aumentate. Sciolta la "marcia", mio padre mi chiama

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    le accettazioni da Sanremo: mi annuncia il suo arrivo a Torino per il giorno dopo. Non rie-sco a dissuaderlo. Mi reco all'appuntamento che ho, per cena, con alcuni compagni e Gu-stavo Zagrebelsky, giovane quando valido e simpatico docente di diritto costituzionale. Adun tratto scruta fuori dalla finestra e abbassa la persiana: mi scappa da ridere, anzi ridiamotutti a lungo, non siamo proprio fatti per l'atmosfera dei film gialli. Resta la sensazione che

    tutti si preoccupino per me pi di quanto non faccia io stessa, e mi domando se faccio ma-le. Parecchi amici mi telefonano offrendomi ospitalit, alloggi, macchine.

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    5. NEL BUNKER

    Marted 7 marzo. Fra due giorni inizia il processo. Pranzo al ristorante con due amici.Sono anche loro preoccupati per me, ma fioccano battute su battute e mi accorgo - tutto

    sommato - di sorridere spesso. Mi prende la rabbia leggendo la cronaca della mia accetta-zione, come riportata dalla "Gazzetta del Popolo": "La partecipazione di Adelaide Agliettaal processo delle BR si risolve per i radicali in una buona manovra pubblicitaria". Ritengoche anche questa volta siano stati superati i limiti della civilt. Nel pomeriggio scrivo algiornale. Infatti questa storia della pubblicit uno di quegli argomenti che riescono afarmi indignare. E' lecito l'uso che i giornali fanno della mia immagine e della mia accetta-zione per la loro propaganda di regime? E' lecita l'amplificazione che essi assicurano alpartito armato, ad ogni suo gesto di violenza come ad ogni sua dichiarazione o comunica-to? Non appena, in queste opposte e convergenti propagande, tentiamo di far passare il no-stro messaggio nonviolento (in questo caso le ragioni per cui ho accettato, che non sonoquelle della "Stampa" e della "Gazzetta del Popolo"), il nostro tentativo viene immediata-

    mente stroncato con l'accusa di "manovre pubblicitarie" o di folklorismo radicale. E qualealtro mezzo ha il nonviolento per affermare le sue idee se non la propria parola, il propriocorpo, i propri gesti nel tentativo, attraverso di essi, di ricercare e imporre il dialogo? Ma appunto il dialogo che si tenta di impedire nello scontro delle opposte violenze. E' come seil giornalista dicesse, senza rendersene conto, che non solo io ma tutti coloro che sono di-sarmati e privi di potere possiamo essere soltanto oggetti e non anche soggetti di messaggi.Sono queste considerazioni che, qualche mese pi tardi, mi spingeranno a portare fino in-fondo provocatoriamente la logica dei miei avversari, e ad accettare di posare per una pub-blicit commerciale. Verso sera incontro mio padre, che arrivato da Sanremo. Mi sembraun po' commosso anche se, come sempre, si nasconde dietro i suoi silenzi. Mi chiede dovesto. Pu sembrare una domanda strana, ma da quando ho deciso di vivere per conto mio e

    ho accettato la segreteria del partito non ho praticamente pi avuto "fissa dimora", n aRoma n a Torino. Anzi, per l'esattezza, finalmente avevo trovato casa a Roma, ma sologiorni prima di decidere la sospensione delle attivit della segreteria nazionale e di ritorna-re a Torino. Cos, dopo aver vissuto a rotazione da alcuni compagni per un anno e mezzo,mi ritrovo nella mia citt, senza casa, di nuovo ospite di compagni. Per l'esattezza in que-sto periodo e per tutti i mesi successivi sar ospite di Angelo Pezzana, al quale mi lega unaamicizia di molti anni. Mio padre mi chiede ancora cosa intendo fare, se e quali minimeprecauzioni ho preso, se in questo periodo ho bisogno di una maggiore disponibilit di de-naro (sa che sono spesso in difficolt). No, lo ringrazio, non ho bisogno di nulla, per vivere sufficiente quel minimo di cui finora dispongo. Non credo che avr spese straordinarie,in quel caso glielo dir. Per il resto, gli rispondo che se qualcuno volesse fare qualsiasi a-zione nei miei confronti non ci sarebbero precauzioni che potrebbero evitarlo; compagnied amici stanno per insistentemente cercando di farmi accettare l'idea di cambiare fre-quentemente alloggio. Mi raccomanda ancora di stare attenta, mi d dei soldi e ripete difarmi sentire e vedere spesso. I dialoghi con mio padre sono sempre stati fatti di sfumaturee in essi hanno sovente avuto pi significato i silenzi che le parole, ma per me semprestato semplice capirlo.Mercoled 8 marzovado a trovare le bambine e passo con loro alcune ore molto serene:anche loro mi sembrano tranquille. Alberta mi chiede all'improvviso quand' "quella cosa

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    l". Intende dire il processo, le rispondo che inizia domani: con un certo sollievo afferma"allora domani sera finito". Nel pomeriggio vedo i compagni di Lotta Continua che do-vrebbero seguire, per il giornale, il processo. Mi chiedono di collaborare, rispondo loro chenon possibile se non relativamente a episodi particolari e per ora imprevedibili. Discu-tiamo un po' sulla mia accettazione, non la condivido anche se la capiscono, sono d'accor-

    do che la mia presenza nella giuria sia comunque una garanzia per la regolarit dello svol-gimento del processo. Sostengono per che strane fuori sarebbe stato meglio: faccio notareche le loro osservazioni sono molto contraddittorie e che sarebbe importante ci riflettesse-ro almeno sopra. Le mie contraddizioni le ho gi sviscerate. Ci abbracciamo. La sera, u-scendo di casa, una macchina posteggiata di traverso sul marciapiede accende di colpo ifari: ho un soprassalto e mi infilo in un ristorante; evidentemente anche se sono tranquillae scherzo sempre sugli eventuali rischi (ma questa sera, quella che precede l'inizio del pro-cesso, certamente molto meno), in realt sono molto tesa. Dopo cena, con Giovanni, Paoloed Elena, dopo molte insistenze accetto di andare a dormire in una casa in collina: misembra una cosa strana, ho la certezza che sia inutile, mentre invece sono contenta di esse-re con loro tre. E' un puro sfogo psicologico, ma non me la sento di stare sola.

    Gioved 9 marzo. Mi alzo prestissimo, molto prima che suoni la sveglia, come mi succedeogni volta che ho un impegno. Appena usciti da casa telefono a mio padre, compro i gior-nali e ci avviamo con un taxi alla caserma Lamarmora. "La Stampa" descrive minuziosa-mente le misure di sicurezza in atto nella citt: quattromila uomini in assetto di guerra, leteste di cuoio, i tiratori scelti sui tetti intorno alla caserma Lamarmora, novecento uominiaddetti alle scorte. Avvicinandoci alla caserma cominciamo a vedere tutto intorno uominicon giubbotti antiproiettile, appoggiati dietro ogni albero del viale: per riuscire ad entraredevo passare da uno sbarramento ad una altro, in mezzo ai mitra spianati ad altezza d'uo-mo fra le braccia di ragazzini giovanissimi, con i volti un po' smarriti. Vivere tutto questo ben altro dal leggerlo sui giornali: queste scene continueranno ad impressionarmi per tut-to il processo, arrivando a causarmi momenti di vero e proprio rigetto fisico. Nella strada

    d'accesso alla caserma, nel giardino di fronte, c uno schieramento incredibile di carabi-nieri, polizia, agenti in borghese. Questa strada riservata all'arrivo e al posteggio dellemacchine degli avvocati, dei giurati e delle loro scorte: continuo a pensare che la scortapu servire al massimo ad aumentare il numero di persone che corrono eventuali rischi,senza garantire ulteriormente la persona scortata. Per tutto il periodo del processo arriversulla mia macchina da sola, e continuer a posteggiarla nel corso fuori del recinto, evitan-do cos, almeno in parte, mitra e sbarramenti. All'ingresso riservato al pubblico e ai giorna-listi, due persone su tre sono agenti in borghese, camuffate per mimare la rappresentazionedi tutta la scala sociale: c l'imbianchino, l'operaio, il borghese, con il loden e "la Repub-blica" sotto il braccio, c il falso estremista. Dopo i controlli e controcontrolli, ordini econtrordini, riesco ad arrivare all'ingresso, saluto i compagni che tenteranno di entrare co-me giornalisti di Radio Radicale, peraltro senza riuscirvi. Nel cortile, passo in mezzo aduna fila di carabinieri e ad una decina di cani lupo. Arrivo all'ingresso dell'edificio dovedevo sottostare ad un accurato controllo della persona e dei miei oggetti personali: ho unattimo di perplessit, poi lascio perdere. Dopo di me controllano un tale (che scoprir poiessere un altro giurato) il quale con mio enorme stupore depone una rivoltella: accerternei mesi seguenti che anche altri girano costantemente armati e cercher di capire, chie-dendolo direttamente a loro, quale grado di sicurezza possa venire da una rivoltella. Le ri-sposte, vaghe, mi convincono che soltanto un fatto psicologico, quindi ancor pi perico-

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    loso. Salgo al primo piano dove ubicata l'aula: c un salone dove trascorreremo i tempimorti delle udienze (intervalli, attese, ecc...) e tre stanze, di cui una destinata al presidente,una alla giuria, una alla cancelleria e agli avvocati. E' tutto ridipinto e pulito, ma la struttu-ra rivela inequivocabilmente la sua origine di caserma. C un'altra saletta, antistante l'au-la, dove sosto con gli altri giurati convocati, una trentina di persona; a parte noi, in giro ci

    sono carabinieri e agenti in borghese. Incomincia una lunga attesa, durante la quale cercodi parlare con le persone che sono con me. Una donna, molto angosciata, mi spiega chenon pu accettare perch ha due bambini e nessuno a cui lasciarli; un'altra, sempre per mo-tivi familiari, non accetta, molto preoccupata della possibilit che il rifiuto venga segna-lato sulla fedina penale; un tale ha una bancarella ai mercati, che non gli permette di assen-tarsi oltre l'una, pena la perdita del "posto" vendita. Gli altri sono per lo pi silenziosi. Adun certo punto cerco una macchinetta del caff, un telefono e informazioni su quel chesuccede: i carabinieri non sanno nulla, telefono e caff non sono previsti. Mi sento segre-gata. Due donne (che non faranno parte della giuria) cominciano a chiedermi notizie delpartito (scopro che sono simpatizzanti) e della mia attivit; in effetti, soprattutto le donnedimostrano sempre una grande curiosit nei confronti miei, della mia vita, della militanza

    politica, delle mie figlie. Finalmente arriva Barbaro che con un sorriso accattivante e tonodeciso ci spiega che stiamo per iniziare, che gli imputati sono in aula e certamente (almenostando alla sua esperienza) leggeranno un comunicato. Il primo atto processuale - prosegueBarbaro - sar la nomina della giuria e il giuramento secondo l'ordine di estrazione, subitodopo dovremo risolvere il problema degli avvocati d'ufficio, perch evidente che gli im-putati revocheranno l'incarico agli avvocati di fiducia. Ha un'aria sorniona ma decisa, mol-to educato, formale, sorridente e un po' paternalista. Indossa un abito grigio che mi fa veni-re in mente gli amici di mio padre. Certo, un abisso ci divide nella mentalit, nei modi,nelle scelte. Un punto a mio favore per che, per nascita, per educazione, per l'ambientenel quale sono cresciuta ho conoscenza e familiarit con il mondo che lui rappresenta. Daparte mia chiarisco che ritengo sia auspicabile - presentandosi questo processo difficile e

    complicato non solo giuridicamente ma per il clima creatogli attorno dalle campagne poli-tiche e di stampa e da sicure pressioni di altra natura - che vi sia sempre un confronto frapresidente e giuria sulla conduzione del dibattimento, anche sulle decisioni di sua strettacompetenza, che tali ovviamente restano. Manifesto la preoccupazione che, rifiutando gliimputati la difesa, sia loro garantita la possibilit di esprimere il pi compiutamente possi-bile le loro tesi. Il presidente mi pare d'accordo, dice che ne riparleremo a giuria formata.Suona il campanello e si apre l'udienza. Entrano il presidente ed il giudice a latere, noi a-spettiamo fuori. Dall'aula si sente parlare, entro e capisco che in imputato sta leggendo uncomunicato: non riesco a vedere chi sia. Ascoltando il comunicato resto un attimo esterre-fatta: la prima volta che assisto a questo rituale. Giornalisti, avvocati, carabinieri, tuttisono attenti e tesi al discorso degli imputati. Attraverso i microfoni, che permettono a tuttidi sentire i "comunicati" dei brigatisti, riesco a cogliere le principali affermazioni: ...Comecomunisti abbiamo sostenuto e sosteniamo che la giustizia borghese solo un'arma con cuida sempre opprimete il popolo; e questa caserma, che con particolare buon gusto avetescelto per celebrare i fasti della "democrazia armata", lo dimostra anche nella forma. Que-sto NON E' UN PROCESSO ma, pi esattamente, E' UN MOMENTO DELLA GUERRADI CLASSE; un episodio dello scontro pi generale che oppone in una lotta irreversibilele forze della rivoluzione alla controrivoluzione imperialistica. Ed quindi su questo ter-reno generale che affronteremo la battaglia. Che le cose stiano cos dimostrato ampia-

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    mente dalla mobilitazione generale che ha coinvolto tutte le forze politiche del vostro fron-te (dalla DC ai revisionisti, ai radicali) in una iniziativa unitaria a sostegno delle decisionidell'esecutivo... ...I REVISIONISTI vogliono che il "processo" si celebri ad ogni costo e aTorino, per dimostrare a cani e porci l'efficacia del loro modello controrivoluzionario e laloro capacit di mobilitare la classe operaia e le classi intermedie a sostegno dello Stato

    imperialista. Cos abbiamo assistito, in questi ultimi giorni, alla campagna isterica e for-caiola che essi hanno scatenato ricorrendo alla squallida attivazione di tutti gli organismida loro controllati (dalla Regione alla FGCI) per mobilitare la nuova MAGGIORANZASILENZIOSA. Di questa operazione, in cui la burocrazia revisionista si fatta Stato impe-rialistico, a tutti apparsa chiara la sostanza: dividere il proletariato e attaccare con tutti imezzi le sue avanguardie. Ma la mobilitazione che doveva essere di massa, nonostante isuoi contenuti terroristici-ricattatori-polizieschi, non riuscita a coinvolgere che una mi-nima parte della classe operaia, della piccola borghesia e dei cosiddetti "ceti medi". Le mi-gliaia di firme in tutta la regione sono un trucchetto da prestigiatori... ...I RADICALI. Se il"caso" ha voluto che una militante radicale fosse sorteggiata per far parte della giuria spe-ciale, la scelta politica cosciente di farne parte stata del tutto razionale. L'infortunio dei

    radicali , a suo modo, emblematico e patetico: dopo aver abbaiato contro il regime e le"leggi speciali", al momento del bisogno sono corsi a puntellare il pi speciale dei tribuna-li! In questo affanno generale, anche loro non hanno perso l'occasione di "farsi Stato impe-rialista". L'ideologia radical-pacifista svela qui fino in fondo il suo carattere borghese e re-azionario: chi disarma le masse non pu che finire per armare la controrivoluzione. Lemimose non ingannano pi nessuno!... ...GLI AVVOCATI. Non siamo qui per difenderci enon abbiamo bisogno di difensori. REVOCHIAMO PERTANTO IL MANDATO AINOSTRI AVVOCATI DI FIDUCIA E RIFIUTIAMO QUALSIASI IMPOSIZIONE DIAVVOCATI DI REGIME. Nessuno pu ragionevolmente pensare di ostinarsi a proseguireper questo vicolo cieco senza incontrare la pi dura risposta del movimento rivoluziona-rio... Sul momento - naturalmente - rifletto solo sul pezzo concernete i radicali, anche per-

    ch istintivamente ho la tentazione di replicare. Il loro linguaggio mi pare rozzo quanto lo l'analisi. Dei radicali hanno capito poco o nulla: poco della concezione del diritto, nulladella nonviolenza ("disarmo delle masse"). Quando mi sento dire di aver abbaiato controle leggi speciali e di essermi adesso "fatta Stato imperialista" mi vien voglia di rispondereche noi le leggi speciali tentiamo di abrogarle, mentre le loro azioni costituiscono per il re-gime il miglior spunto per vararne altre. Dal linguaggio ho la conferma di opinioni giformate: il loro modo di porsi una sintesi di stalinismo e di cattolicesimo, con una visio-ne dei rapporti umani e sociali basata sull'intolleranza e sull'indisponibilit al dialogo, alcentro una forte e retorica mistica della morte e del sacrificio. I valori che - direttamente oindirettamente - ascolto propagandare non mi trasmettono nulla di nuovo; l'unica parte in-teressante del comunicato pu essere quella relativa alla "raccolta delle firme", alla qualenon a caso essi si appigliano. Le accuse e le minacce alla giuria e agli avvocati sono pesan-ti: un messaggio da passare all'esterno, attraverso i mass-media? Perch questi "militantirivoluzionari", cos "rigorosi e attenti", non si chiedono come mai i mass-media del regimeriservano loro spazi di informazione enormi? Il presidente incomincia a chiamare i giurati:mentre attendo il mio turno sento che accanto a me qualcuno dice che "s, accetter perchbisogna condannarli. Anzi bisognerebbe condannarli a morte": decido subito di chiedernel'allontanamento dalla giuria, ma non sar comunque chiamato a farne parte. La giuria po-polare deve essere una garanzia in pi di equit e di controllo nel processo, non pu essere

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    formata da persone di parte e che hanno opinioni preconcette: il giudizio dovrebbe matura-re fondandosi sulla conoscenza dei fatti che si acquisisce durante il dibattimento. La basedi partenza la presunzione della innocenza, fino a prova del contrario: su questo indi-spensabile essere rigorosi, da subito. Accetto per nona, ripetendo la formula del giuramen-to. Ma sono fra i giurati supplenti: non so ancora se ho la possibilit di partecipare alle

    camere di consiglio e alle discussioni, la cosa controversa, non c una disposizione pre-cisa. Il presidente chiarir subito che lui intende far partecipare tutti i giurati alle discus-sioni e alle decisioni - fatto salvo il diritto di voto - fino alla sentenza. La responsabilit minore, per la possibilit di controllo e di intervento durante il processo garantita: eraquanto pi mi preoccupava, dover dare nei fatti una copertura alla giuria senza poter inci-dere e intervenire. Mi seggo dietro il presidente, da dove pi facile parlargli anche duran-te le udienze, e mi guardo intorno. Gli imputati sono nella gabbia, anzi nelle due gabbie ed quasi impossibile vederli, perch sono circondati da un cordone di carabinieri. Sono mol-to impressionata, e non potrebbe essere diversamente. Ho la percezione soffocante dellaprivazione della libert, anche minima, anche dei movimenti pi inoffensivi o innocenti.Tutto appare assurdo, a cominciare dallo schieramento di forze dell'ordine all'interno di u-

    n'aula nella quale a stento riescono ad accedere persino i parenti: una manifestazione diimpotenza e di paura, una esibizione plateale di inutile forza, un modo subdolo di vendereall'opinione pubblica un'immagine di "mostri", "criminali" che mai debbono apparire nor-mali, esseri umani. Altrimenti la gente potrebbe porsi interrogativi, magari scomodi. Que-sti imputati non sono processati per assassinio o per strage, e non a caso l'opinione pubbli-ca lo ignora e lo continuer ad ignorare per tutto il processo. Gli imputati appaiono tran-quilli, ridono molto, cercano volti familiari in mezzo al pubblico, si esibiscono alla stampae ai fotografi, consapevoli che da oggi si apre per loro la possibilit di rompere l'isolamen-to in cui vivono da mesi, usando i mezzi di informazione come canale di trasmissione, siapur stravolto, del loro messaggio politico. E' ovvio che si prestino al gioco, cercando diusufruire della ribalta del processo. Il comportamento dei giornalisti si adegua perfetta-

    mente a questa necessit: non si perder occasione, durante il processo, per calcare la ma-no, spesso mistificando, sui comportamenti degli imputati. I fotografi sono scatenati: ar-rampicati gli uni sopra gli altri, sembra veramente che abbiamo l'occasione storica di foto-grafie il ciclope o l'ultimo esemplare di Neanderthal. Intravedo in mezzo ai carabinieri ilvolto di Curcio, quello che mi pi noto: gli latri imparer a conoscerli nel corso del pre-cesso: per ora sono volti senza nome. Sono uomini: ma chi sono? Qual stata la loro vita,al di l delle biografie ufficiali che la stampa ci propina con un taglio tutto particolare?Cosa significa vivere per anni nella clandestinit, limitando la propria individualit, lapropria esistenza, i propri rapporti ad un cerchio ristretto di persone? Cosa significa nonvivere in mezzo alla gente? E da quali esperienze politiche provengono? Come si passa dauna militanza politica aperta alla scelta dei mitra? Alla fine la giuria formata, la corte siritira in camera di consiglio: il presidente chiarisce le funzioni di ognuno, in particolare deigiurati supplenti. Dice che ci sono ancora dieci avvocati d'ufficio da nominare, che non sa-r facile, lui ne ha preventivamente consultati molti, ha gi ricevuto cinquanta rifiuti (a-desso capisco la sua battuta il giorno della mia accettazione), molto polemico e d lasensazione di sentirsi solo, lasciato solo a portare il carico e le responsabilit di questoprocesso. Cerchiamo dieci avvocati, vengono nominati in aula e si rinvia l'udienza allamattina successiva. Ho la sensazione che Barbaro tiri un sospiro di sollievo. Esco con glialtri giurati, ripercorrendo all'inverso tutto lo schieramento dei mitra: nel cortile ad ogni

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    giurato si affianca - con mio stupore - un carabiniere con il mitra spianato, le macchine de-gli avvocati e dei giurati partono seguite a ruota da un'altra macchina con una media di tremitra ognuna. Mi fermo a guardare la scena, chiedendomi che razza di vita possa esserequella degli "scortati"; sempre, a piedi o in macchina, seguiti da gente armata: addio all'al-legria di camminare fra la gente, uno tra i tanti. Mi sembra folle. Mi avvio da sola fuori dal

    recinto che blocca la strada-posteggio riservata a questa nuova specie di vigilati speciali: aldi l delle transenne mi aspettano i compagni. Mi abbracciano. Con loro mi avvio alla ri-cerca di un taxi, ma sono letteralmente aggredita dai fotografi, che quasi impediscono dicamminare; contemporaneamente mi scattano intorno agenti in borghese e carabinieri: miinnervosisco, accelero il passo cercando di farmi largo. Da un gruppo di tre o quattro don-ne, parenti o compagne degli imputati, partono insulti: mi fermo interdetta, la tentazione quella di avvicinarmi e parlare, ma so che inutile. E' un episodio che mi fa male. I com-pagni mi raccontano che entrare in aula era quasi impossibile, il pubblico al 90 per centoera composto di agenti in borghese; i parenti hanno avuto grosse difficolt e cos pure l'af-flusso dei giornalisti stato molto rallentato dai controlli. Finalmente trovo un taxi: vado acasa, dove rester tutto il giorno. Mi cerca un giornalista della "Stampa" ma non ho voglia

    di rilasciare interviste. Forse ho bisogno di stare un po' tranquilla, per prender fiato, dopotutte queste ore. A pranzo vengo a sapere che un "commando" delle cosiddette "formazionicomuniste combattenti" ha occupato nella mattinata la sede di Radio Radicale di Roma,trasmettendo un delirante comunicato contro il processo. Chiedo subito notizie di CarloCouvert, il compagno che stato imbavagliato e legato sotto la minaccia di una pistola. Midicono che sta bene, che ha superato lo choc, che gli autori dell'azione erano molto giovanie piuttosto insicuri. Mi chiedo a cosa possa preludere questa azione diretta, ma sono anco-ra troppo psicologicamente occupata dall'atmosfera del processo per avere paura. E' strano(e me ne rendo conto) come la paura sia alienata in un unico, grigio, surreale mondo che del tutto staccato e lontano dalla vita di tutti i giorni. La sera, dormiamo ancora nell'allog-gio in collina, la mattina uscendo notiamo una macchina della polizia nelle vicinanze.

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    6. LA PROSSIMA SAR ADELAIDE AGLIETTA

    Venerd 10 marzoalle 9 sono alla caserma Lamarmora. Quando arriva un capitano mi in-forma dell'assassinio del maresciallo Berardi. Il luogo mi sembra ancor pi tetro. I carabi-

    nieri sono tesi e sconvolti. Chiedo chi fosse questo maresciallo, perch proprio lui. Ap-prendo che aveva fatto parte per alcuni anni del nucleo antiterrorismo, quello che ha arre-stato Ferrari. Da due anni aveva un incarico tranquillo nella zona di Porta Palazzo. Avevacinquantatr anni. Sono sommersa dall'angoscia e dall'impotenza, travolta dal clima, dal-l'atmosfera di morte che fatti come questi riescono a creare: mi ribello a questa delirante,pazzesca logica. Quante volte lo abbiamo detto: cos si fa il gioco del potere, si assecondail regime, col suo bisogno di un antagonista violento per continuare a legittimare la propriaviolenza. Sono invasa da una grande tristezza di fronte a tutto ci, che altro non che lanegazione della speranza, dell'ottimismo, del dialogo, della serenit, e quindi anche del di-ritto fisico alla vita. Il tutto certamente si ripercuoter sul processo, aumenter la tensione,si rifletter sugli e contro questi imputati. Mi avvicino agli altri membri della giuria, con la

    curiosit di capire chi sono, cosa fanno, cosa pensano. Non il giorno migliore, sono tuttisconvolti dall'assassinio di Berardi e non appaiono loquaci: apprendo che due di loro sonooperai, le tre donne sono impiegate, uno pensionato, due lavorano nel settore assicurati-vo, uno ferroviere, uno antiquario ed uno procuratore legale. Dai discorsi che fanno sul-l'estrazione, sulle reazioni dei familiari e dei conoscenti, sulla scorta, sui giornalisti misembrano, almeno alcuni, molto preoccupati dei riflessi di tutto questo sulla propria vita,vista e vissuta per soprattutto attraverso i giudizi della gente. Uno dei due operai e il fer-roviere parlano della loro speranza di capire, attraverso questo processo, le ragioni socialie politiche che hanno provocato le scelte degli imputati. Mi chiedono che cosa ne penso,se sar possibile almeno che questo processo sia un momento anche di dibattito sul feno-meno del terrorismo e sulle ragioni che l'hanno fatto nascere: rispondo che, conoscendo i

    mezzi di informazione, credo che tutto ci sar molto difficile. Siamo interrotti da Barbaro(scuro in volto, penso per l'accaduto): appena saputo dell'assassinio ha telefonato alla mo-glie. Nel corso del processo scoprir che perennemente in contatto telefonico con la mo-glie. Sei avvocati hanno accettato, fra cui alcuni miei amici di vecchia data: ne dobbiamoancora trovare quattro. Segnalo a Barbaro le difficolt di accesso all'aula verificatesi ilgiorno prima e gli chiedo intervento. Ripropongo poi il problema del superfluo schiera-mento di carabinieri in aula, che oltretutto impedisce la vista degli imputati: credo che piche mai la pubblicit del processo vada garantita. Si apre l'udienza, i sei avvocati accetta-no: accettano anche gli avvocati Bianca Guidetti-Serra e Zancan che erano incerti fino al-l'ultimo, essendo gi impegnati per la difesa di fiducia di altri imputati. L'assassinio di Be-rardi ha vinto ogni resistenza. Barbaro ne nomina altri quattro. Protesto con Barbaro per-ch sono civilisti, e come tali non danno buone garanzie di difesa. Glielo faccio nuova-mente notare all'uscita, dopo che l'udienza rinviata. Uscendo, mi fermo a salutare alcunidegli avvocati nominati il giorno prima. Sono tutti molto sconvolti dagli ultimi avveni-menti. Uscire dall'aula, dall'edificio e da quell'atmosfera d un senso di liberazione. Instrada sono nuovamente inseguita dai fotografi fin dentro il bar, dal quale