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Fra i rari documenti relativi alla casa si conservano nell’archivio le patenti con cui il re Carlo Alberto, in data 20 settembre 1845, da Torino, approvò il dispaccio dell’Intendente generale di Sarde-gna che concedeva a Bartolomeo Casu la proprietà di un viottolo adiacente alla sua abitazione in Suelli.

Particolari del portale della casa con le iniziali di Bartolomeo Casu e la data 1845 e del portone.

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Un inventario completo degli arredi presenti nella casa di Suelli nella perizia fatta dal mobiliere Anselmo Sciolla per conto di Ignazio Ruda il 18 febbraio 1922, cui seguì la fattura dello Sciolla.

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Alcuni degli oggetti descritti nell’inventario.

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Inventario dei beni lasciati da donna Angela Maria Serra, fatto dal curatore testamen-tario Leandro Soler nel 1674.

Di tipologia fuori dal comune questo documento in cui Filippo Antonio Ruda, essendosi trasferito da Donori a Soleminis, chiese al feudatario, in surroga all’esenzione dai diritti feudali spettante per tre anni ai nuovi vassalli, la concessione di un terreno irriguo abbandonato confinante col rio de misa. Nel verso la concessione firmata dal marchese di Soleminis il 28 marzo 1777.

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L’accrescimento della proprietà avveniva comunemente attraverso l’acquisizione di interi assi ereditari derivanti da accorte politiche matrimoniali. Ne sono un esempio le “Carte della nobile famiglia Pisquedda e nobili famiglie Paderi Deroma Cadello Pira Salaris imparentate alla nobile famiglia Trogu” e le “Carte della nobile famiglia Trogu imparentata alla nobile famiglia Diana”. Dalla famiglia Diana i beni e i documenti pervennero ai Ruda a seguito delle seconde nozze di Salvatorangelo Ruda con Giovanna Diana.

Nell’archivio Ruda si conserva un cospicuo numero di atti notarili, di cui il più antico è del 1520, relativi a proprietà acquisite successivamente dai Ruda. Fu forse Carlo Ruda, fra Otto e Novecento, a ordinare questi atti, riportandoli sotto il nome della famiglia cui erano appartenuti.

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Intorno alla metà dell’Ottocento i Ruda consolidarono ed ampliarono il loro patrimonio anche a Suelli sia acquistando diversi terreni che acquisendoli in seguito ad eredità o per via matrimoniale.

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In questo registro sono riportati, in separati e distinti elenchi, le terre, le vigne, le case, i casolari e quant’altro i diversi membri della famiglia Ruda possedevano nei villaggi di Soleminis, Samatzai, Pimentel, Serrenti, Donori, Suelli, Barrali … Fu il matrimonio celebrato nel 1833 tra Salvator Angelo Ruda e Francesca Casu che, come si legge in queste carte, ricevette in dote dai genitori Pietro Paolo e Antonietta Marrocu Diana vasti possedimenti terrieri a Suelli, a segnare il radicamento dei Ruda in questo territorio. Francesca Casu è sepolta a Suelli, nella chiesa del Carmine.

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Carlo Ruda, agli inizi del No- vecento, elaborò alcune “mappe” del- le proprietà di famiglia come questa relativa alle Proprietà di Chiara Ruda Tordelli nel Comune di Suelli nella quale evidenziò per ogni terreno, anche utiliz-zando colori diversi, i proprietari originari.

Proprietà di Ignazio, Annunziata ed Efisia Ruda in Suelli.

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Nella gestione dei terreni della sua azienda, prevalentemente coltivati a cereali e leguminose, la famiglia Ruda teneva conto delle norme relative all’ammasso e al prezzo del grano, alcune delle quali contenute nel Titulo sexto delle Leyes y Pragmaticas del Reyno de Sardeña.

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Tra i volumi della ricca biblioteca di casa Ruda figura il Pregone … concernente l’erezione e la buona amministrazione dei monti fromentari, di cui era proprietario quel Filippo Antonio che ottenne la patente di cavalierato e nobiltà nel 1814. I monti frumentari, la cui organizzazione fu compiutamente delineata proprio nel 1767 con la pubblicazione di questo pregone, furono istituiti in Sardegna intorno alla metà del Seicento per sottrarre i contadini poveri ai rischi dell’usura: il monte infatti prestava loro la quantità di grano necessaria per la semina, che veniva restituita ad un tasso molto basso. Nel 1780 il sistema dei monti, capillarmente diffuso nell’isola, fu rafforzato con la creazione dei monti nummari, in grado di concedere piccoli prestiti in denaro per l’acquisto di semenze, bestiame ed attrezzi da lavoro.

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I conti relativi alla semina ed al raccolto, ai servi e ai mietitori impiegati nel lavoro dei campi venivano minuziosamente annotati in centinaia di registrini, la cui attenta lettura si rivela fondamentale per chi voglia ricostruire la storia e l’attività dell’azienda. Non meno interessanti, tra le carte di famiglia, quelle che testimoniano l’acquisto di attrezzi da lavoro o ne descrivono quei pezzi che necessitavano di riparazione.

Salvatore Sirigu, fattore dell’Azienda di Suelli per circa cinquant’anni, è ritratto in questa foto del 1929 con la sua famiglia e con la piccola Francesca Ruda, a sinistra in prima fila.

Salvatorangelo Corona, il penultimo a destra, fu per molti anni il fattore di Donori; l’immagine risale al 1946.

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Per garantire la sicurezza delle proprietà si istituirono nella Sardegna del Seicento le compagnie barracellari, guardie campestri armate che, dietro compenso, proteggevano i terreni e il bestiame loro affidati da furti e danneggiamenti. Per i risarcimenti si attingeva dai fondi della compagnia cui spettava la divisione, tra i suoi membri, degli eventuali utili ma, all’occorrenza, anche l’obbligo di rifondere in proprio il danneggiato. Trasformati, a metà del- l’Ottocento, in un corpo di volontari, i barracelli furono sottoposti all’os- servanza di un regola- mento che fissava la co- stituzione, la composizio- ne e la durata in carica della compagnia; l’art. 3 dello stesso regolamento stabiliva che nei Capito- lati, deliberati dai Consi- gli comunali, dovessero essere indicati la misura dei compensi e precisati gli accordi con i proprie- tari.

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Nell’Azienda agricola Ruda, dove si allevava naturalmente anche del bestiame, si conoscevano i sistemi atti a preservare e a curare i capi dalle malattie, specie in caso di epizoozia: agli animali infetti si doveva tagliare l’unghia e mettere sulle ulcere … polvere da schioppo e … abbruciarla; si doveva poi inzuppare della stoppa nella tintura di aloe … oppure acquavite … e introdurla nella devisione delle unghie. Le ulcere della bocca si dovevano lavare con aceto e sale e strofinare con aglio, titulas de allu, tagliato a fettine.

Marchio per bestiame con le iniziali di Bartolomeo Casu.

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Il Capo III del Regolamento sul governo dei boschi …, approvato nel 1844 dal governo sabaudo, dettava le norme sull’utilizzo del bosco come terreno da pascolo. L’emanazione di tale regolamento si rese necessaria per porre limite al pascolo nelle zone boschive che, come i terreni coltivati, venivano fortemente danneggiate anche dal semplice passaggio del bestiame.

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L’acquisto di azioni e la sottoscrizione di libretti di conto corrente furono alcune delle forme di investimento attuate da Michele Ruda e dalla moglie Francesca Roych. Michele fu cliente di diverse banche isolane che, istituite a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, operavano nel campo del credito fondiario o del credito agrario: tra esse il Credito Agricolo Industriale Sardo, autorizzato anche all’emissione di buoni agrari pagabili a vista, come quelli posseduti dallo stesso Michele.

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Tra i Ruda, saldamente ancorati ai valori cristiani ed inseriti nell’asso-ciazionismo religioso, una devozione particolare era riservata a Santa Gio-vanna Francesca Fremyot di Chan-tal, della quale, ancor oggi conser-vano una reliquia, custodita nella cassetta in ciliegio; in essa è riposta la veste di lino che ricoprì le spoglie della Santa dalla sua canoniz-zazione (1767) alla traslazione del suo corpo nella chiesa di San Maurizio ad Annecy (1806), come attestato dall’autentica della stessa reliquia. Quest’ultima pervenne alla famiglia tramite Giuseppe Sanjust, conte di San Lorenzo, cavaliere dell’Ordine Mauriziano e dell’Ordine del Collare dell’Annunziata.

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Nella biblioteca della famiglia Ruda si conservano i tre tomi dell’opera agiografica dedicata alla santa. Nata a Digione nel 1572, dopo la morte prematura del marito, il barone di Chantal, si dedicò all’apostolato attivo, poi sotto la guida spirituale di San Francesco di Sales scelse la vita claustrale e con lui fondò l’ordine della Visitazione del quale fecero parte i numerosi conventi da lei stessa fondati, il primo dei quali ad Annecy nell’alta Savoia. Morì nel 1641 a Moulins.

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Riproduzioni dei ritratti seicenteschi di santa Giovanna Francesca Fremyot di Chantal e di San Francesco di Sales che si trovano nella chiesa della Visita-zione di Torino.

La basilica della Visitazione ad Annecy, culla della congregazione femminile salesiana delle Visitandine.

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È verosimile che nei momenti difficili dell’esistenza i membri della famiglia trovassero più naturale rivolgere il pensiero verso i santi della tradizione locale, venerati anche dagli avi, come Santa Vitalia (in sardo S. Vida), San Gemiliano, San Giorgio, vescovo di Suelli, e quelli di origine orientale, la cui venerazione è radicatissima nell’isola, tra i quali ad esempio Santa Greca e i Santi Quirico e Giulitta.

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Per la Madonna di Bonaria, patrona della Sardegna, la devozione era speciale anche in casa Ruda. Nel 1870, ricorrendo il V centenario del rinvenimento del simulacro della Vergine, furono organiz-zati grandi festeggiamenti e per finanziarli fu allestita, sotto il patrocinio della principessa Margherita di Savoia, una lotteria. Nell’opuscolo qui accanto so-no indicate le somme e gli oggetti offerti allo scopo da numerosi devoti tra i quali Francesco Ruda che, assieme alle altre zelatrici del quartiere cagliaritano di Castello, donò una scodella con sottocoppa e cucchiaio in argento, ed acqui-stò una cospiqua quantità di biglietti.

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Per ottenere protezione dai pericoli naturali (grandine, fulmini e saette), dalle malattie e dalle disgrazie talvolta si ricorreva anche all’uso di formule e segni al confine tra la fede e la superstizione come dimostrano i documenti esposti dal carattere apotropaico, ritenuti quindi in grado di allontanare o distruggere gli influssi malefici.

Come gran parte dei sardi anche i Ruda conoscevano il potere taumaturgico di Sant’Efisio, copatrono della Sardegna, e di Sant’Ignazio da Laconi, a cui si attribui-scono numerosi miracoli. Di ambedue i santi conservavano le reliquie e del frate cappuccino anche l’immagine in metallo.

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Dagli interessanti registri di contabilità giornaliera come i due esposti 1876, 1885), minuziosamente compilati da Michele, e dalle numerose ricevute dell’archivio Ruda, è possibile scorgere la vita quo-tidiana della famiglia che era solita elargire elemosine giornaliere e mensili a favore di alcuni poveri e di diversi conventi, che disponeva di servitù e conduceva un’esistenza dignitosa e senza sfarzi. A tavola non mancava mai la pasta, la carne ed il pesce, talvolta si acquistavano colombi selvatici, pernici, beccacce, conigli, bottarga, “griviera” e formaggio piacentino, gelati, ecc. L’abbigliamen- to era molto curato, come dimostrano le spese sostenute per l’acquisto di tessuti (velluti, cache- meare, percalle, tela di Russia, tela inglese, stoffa zaffiro, taffettà, cicgnac, trine e merletti), per il pagamenti di sarti, modiste, calzolai e perfi- no di rinomate tintorie. Dagli stessi documenti traspa- iono le attenzioni per i figlioli ai quali era assicurata l’istruzione e non si facevano mancare ca- ramelle e qualche giocattolo (pal- le elastiche, trombette, bambole) e gli sfizi degli adulti che si conce- devano il tabacco, cosmetici, qual- che gioiello, i “bagni di mare”, alcu- ne serate al teatro cagliaritano “Cerruti” e la comodità di uno charet (una spartana carrozza acquistata a Genova).

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Nella Sardegna dell’Ottocento, in cui l’analfabetismo imperava, ai rampolli della nobiltà, maschi e femmine, di norma, era assicurata un’istruzione di base che consentiva loro di imparare a leggere, scrivere e a far di conto e contribuiva alla formazione della coscienza civile. Tra questi, poi, alcuni proseguivano gli studi all’accademia militare, altri, invece, alle università sarde o della penisola. Nella famiglia Ruda, ad esempio, da quanto si apprende dalla documentazione del suo archivio, Michele, che aveva conseguito la laurea in Leggi, iscrisse le figlie Annunziata, Efisina, Annetta e Chiarina al Conservatorio della Provvidenza di Cagliari dove frequentarono le cosiddette Scuole Normali. I figli Carlo ed Ignazio, invece, dopo gli studi primari furono avviati rispettivamente all’Istituto tecnico-nautico “Pietro Martini” e alla Scuola di viticoltura ed enologia, ambedue nel capoluogo sardo. Come si evince dai registri di contabilità, per l’istruzione della sua prole Michele sosteneva le spese oltre che per le tasse scolastiche e le rette mensili per il Conservatorio anche per l’acquisto di quaderni di calligrafia, album da disegno, penne e matite, sillabari, atlanti, dizionari e, quando necessario, per i “ripetitori” (insegnanti di sostegno).

Tesi di laurea di Michele Ruda-Diana, conseguita a Cagliari il 24 aprile 1860.

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La bella biblioteca Ruda, della quale fanno parte libri di ogni genere, molti dei quali rilegati in pergamena, è esplicativa dell’ele-vato livello culturale della famiglia. Accanto ai numerosi libri di devozione o di agiografie di santi, come quelli sulla vita di santa Giovanna Francesca di Chantal o di Santa Maria di Cervellon, infatti, vi si trovano testi sette-centeschi di filosofia, storia, diritto, medicina, farmacia, lettera-tura. Oltre alla passione per la lettura la famiglia coltivava anche l’amore per la musica e per la pittura come testimoniano i già citati registri di contabilità dell’archivio, dove sono riportate non solo le spese sostenute per l’acquisto di libri e giornali, ma anche di cartoni e pennelli e di spartiti musicali, nonché per l’accordatura del pianoforte e per pagare lezioni di musica impartite dal maestro Pillitu.

Registro di spese per l’anno 1869.

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Quarta edizione del Commento alla Carta de Logu, promulgata nel 1392 da Eleonora d’Arborea, scritto dal giureconsulto sassa-rese Girolamo Olives.

Engaños y desengaños del profano amor è un romanzo sardo-ispanico di genere boccaccesco e dal carattere autobiografico, ispirato, pare, alle vicende della nobiltà cagliaritana ma ambientato a Toledo dall’autore, Giuseppe Zatrillas che, nato a Cagliari nel 1648 da un’illustre famiglia catalana, impegnato in ambito politico e per i suoi meriti divenuto primo marchese di Villaclara e conte di Villasalto, fu tra i più illustri letterati del suo tempo.

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Tra le spese sostenute dalla famiglia Ruda erano frequenti quelle per il pagamento di parcelle mediche, per le prestazioni delle levatrici e per l’acquisto di prodotti della farmacopea del tempo, utilizzati per prevenire o curare sia i malanni più comuni che quelli derivanti dai morbi, all’epoca assai diffusi, come la malaria ed il colera. Erano dei toccasana, acquistati frequen-temente ed usati singolarmente o nei com-posti, la manna, l’acqua di ninfea, lo sciroppo di cedro, quello di rabarbaro, di gomma arabica e asparagina, le foglie di malva, la belladonna, l’infuso di quassio amaro e la massa senapata, gli unguenti refrigeranti, l’olio di guisquiamo, il balsamo di Oppodeldok, il decotto bianco di Sydenam, le pastiglie di lichene, di ipecaquana, alla codeina e le immancabili sanguette (sanguisughe).

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Nell’Ottocento la paura del colera era vivissima, soprattutto dopo l’epidemia che nel 1855 si abbatté su Sassari provocando una vera strage. In tutta la Sardegna, quindi, si viveva in un costante allarme e diversi erano i rimedi, generalmente inefficaci, sug-geriti per la prevenzione: dai salassi alla sommi-nistrazione di brodo di riso o di una lieve scossa di ipecacuana (un particolare emetico), ma anche di decotti tamarindati e di infusi di camomilla. Anche nella famiglia Ruda si seguivano queste prescrizioni, come si deduce dalla documentazione contabile d’archivio.

Francesca Roich-Sanjust, detta Cicita, contessa di San Lorenzo, moglie di Michele Ruda.

G. .Plenck, Farmacia chirurgica, Venezia 1786.

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Il chinino, somministrato in tavolette zuccherate, veniva utilizzato come rimedio curativo e preventivo contro le febbri malariche, vero flagello per la Sardegna che era tra le regioni mediterranee più colpite. Il morbo endemico che mieteva numerose vittime e fiaccava le energie, compromettendo, inoltre, le attività econo-miche, costituiva un grosso problema pure per i Ruda che lo temevano anche perché ostacolava il corretto e produttivo sfruttamento dei loro possedimenti.

Per timore del vaiolo, tra i mali endemici dell’isola che nell’Ottocento si era manifestato in forma epidemi-ca, Michele Ruda sottopose alla vac-cinazione il figlio Ignazio, nonostante questa non fosse stata ancora resa obbligatoria.

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Salvator Angelo Ruda, come altri membri della famiglia, prestò servizio nel corpo dei miliziani ricoprendo, nel 1843, il ruolo di capitano dell’8a Compagnia del Batta-glione di Cagliari; in precedenza il nonno Filippo Antonio era stato capitano di Cavalleria miliziana mentre il padre Giu-seppe Ignazio aveva rivestito lo stesso grado nel Battaglione di Infanteria della Trexenta. Il corpo dei miliziani fu istituito nel Set-tecento per assicurare l’ordine interno di città e villaggi in tempo di pace e per concorrere alla difesa generale in tempo di guerra; i componenti, tutti volontari, venivano istruiti periodicamente all’uso delle armi: fucile, sciabola, baionetta e coltello. Oggetto di una profonda riforma da parte di Vittorio Emanuele I, sotto Carlo Alberto, nel 1836, il corpo fu ordinato in dodici battaglioni, suddivisi in compagnie, a capo dei quali stavano rispettivamente un comandante e un capitano; ai vertici il Grande Stato Maggiore.

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Salvator Angelo Ruda, in veste di capitano dell’8a Compagnia del Battaglione di Ca- gliari, anticipava spes- so le somme dovute ai Cacciatori miliziani per il servizio di ron- da notturna che effettuavano in città, chiedendone successivamente il rimborso al Marchese Manca di Nissa. L’incarico di provvedere alla ronda nella città di Cagliari venne affidato ai miliziani nel 1836, in seguito alla riorganizzazione del corpo.

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Come era frequente tra i nobili, anche alcuni esponenti della famiglia Sanjust, strettamente imparentata con i Ruda, abbracciarono la carriera militare arrivando a ricoprire incarichi di notevole rilevanza: è il caso di Francesco che, insignito del Gran Cordone dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, ricoprì il ruolo di luogotenente generale e capitano delle guardie del corpo di sua Maestà.

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I destini della famiglia Ruda si intrecciarono, alla fine dell’Ottocento, con quelli dei Tordelli in seguito al matrimonio di Chiara Ruda, figlia di Michele e Francesca Roych Sanjust, con Vittorio Tordelli. I legami tra le due famiglie divennero ancora più stretti nel 1945 quando Francesca Ruda, figlia di Ignazio, (fratello di Chiara) e di Francesca Sirchia Ruda, si sposò con Luigi Tordelli, figlio di Vittorio e padre degli attuali proprietari della Casa Ruda di Suelli.

Della famiglia spoletina dei Tordelli fecero parte personaggi che ricoprirono cariche rilevanti nell’Amministrazione pontificia e grandi collezionisti d’arte come Serafino, al quale appartenne l’album di elaborati grafici che lo stesso compose a sedici anni.

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La famiglia Tordelli Ruda in una foto scattata nel 1918 nei Giardini pubblici di Cagliari. Al centro i genitori Vittorio Tordelli e Chiara Ruda e, da sinistra, i figli: Adele, Elisa, Giovanna, Luigi, Fausto, Gioconda e Vincenzo.

La terrazza in cui fu scattata la foto-grafia è quella della casa di Cagliari, in vico Martini 8, ac-quistata da Salva-tor Angelo Ruda a metà dell’Ottocento e già di proprietà del cardinale Luigi Amat.

Francesca Ruda e Luigi Tordelli con il figlio Vittorio in una foto risalente al 1947.

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I Tordelli, nell’Ottocento, avviarono una fiorente attività imprenditoriale nel settore alberghiero a Falconara Marittima, Roma e Spoleto.

Sul retro della cartolina (anni Venti del Novecento), in cui è riprodotta la sala da pranzo del Grand Hotel Tordelli di Spoleto, l’albergo è così descritto: CASA DI PRIMO ORDINE aperta tutto l’anno. Posizione centrale ed incantevole con vista di panorami vari. Soggiorno ideale per primavera, estate, autunno. Tutto il comfort moderno con Termosifone, Ascensore, Bagni. Annesso all’Hotel: Ristorante e Sala da The. Meta di ristoro e pernottamento per Automobili. Garage.

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Vetrina n° 15 Dall’album di famiglia

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Vetrina n° 16

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Erano regolati dalla rigida etichetta di Corte i cerimoniali di Casa Savoia per le feste religiose, i matrimoni, le nascite e i funerali, come mostrano l’Ordine nella processione del Giovedì Santo del 1845 e il Programma delle Feste per le nozze fra S.A.R. il principe ereditario Vittorio Emanuele e l’arciduchessa d’Austria Adelaide Francesca: i festeggiamenti in questo caso durarono dal 12 aprile al 4 maggio 1842 con messe, balli di corte, corse di cavalli, tornei, spettacoli e apertura straordinaria dei musei. Fra gli avvisi del prefetto del Real Palazzo spicca per i dettagli del cerimoniale quello del 9 gennaio 1855 per la nascita del principe Vittorio Emanuele Leopoldo, ottavo figlio del re Vittorio Emanuele II e della regina Adelaide.

A seguito del parto, la regina morì a Torino il 20 gennaio 1855, a pochi giorni dalla morte della regina madre Maria Teresa; pochi mesi dopo morì anche il piccolo Vittorio Emanuele Leopoldo. Questi lutti, cui si aggiunse nel febbraio dello stesso anno la morte di Ferdinando, fratello di Vittorio Emanuele II, gettarono il re in una profonda prostrazione; considerandoli segni divini di contrarietà alla politica anticlericale che il governo andava sviluppando, il re contrastò a tal punto la legge sull’abolizione dei conventi che il primo ministro Camillo Cavour fu costretto, nell’aprile di quell’anno a dimettersi.

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Poesie in italiano e francese in onore della regina Maria Teresa.

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Vetrina n° 17

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La regina Maria Teresa d’Asburgo-Lorena Figlia del granduca di Toscana Fer-dinando III, nacque a Firenze nel 1801. Nel 1817 sposò Carlo Alberto, allora principe di Carignano, e fu regina di Sardegna dal 1831 al 1849. Morì a Torino il 12 gennaio 1855. Rimasta vedova nel 1849, potè con-tare per il proprio sostentamento sul bilancio della propria Ammini-strazione particolare. Essa faceva capo al suo procuratore generale che fu, dal 1850, il conte Giuseppe Sanjust di San Lorenzo. L’attivo del bilancio era costituito principalmente dal “dovario” che riceveva dalle Regie Finanze (nel 1851 fu di 500 mila lire). La regina vedova, come stabilito dal patto di famiglia del 14 febbraio 1850, rinunciava alle ragioni dotali e ad altre provenienti dalla successione di Carlo Alberto, in quanto risiedeva “in famiglia”, cioè a corte.

Regali, tavola, gite della regina Maria Teresa, tutte le spese venivano ri-portate scrupolosa-mente.

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Sono qui visibilii alcuni documenti dell’Amministrazione particolare della regina vedova Maria Teresa fra cui il bilancio per il 1851 e il registro dei conti del 1853, da cui si possono rilevare le spese in sintesi e in dettaglio: • Conto dell’Intendenza particolare di S.M. la Regina Vedova Maria

Teresa. 1853. In particolare si rileva l’acquisto del quadro La flora catalana di Giovanni Marghinotti.

• Bilancio per l’Amministrazione Particolare di S.M. la Regina Vedova Maria Teresa per l’anno 1851, da lei approvato e sottoscritto da Giuseppe Sanjust di San Lorenzo.

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Vetrina n° 18

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Nato a Cagliari il 25 settembre 1785, Giuseppe Sanjust Vivaldi iniziò giovanissimo la carriera militare sino ad arrivare al grado di maggiore generale. A partire dal 1806, in cui divenne 2° scudiere della regina, ricoprì numerosi incarichi di corte. Nel 1832 fu nominato dal re Carlo Alberto sottogovernatore dei propri figli, Vittorio Emanuele e Ferdinando. Divenne conte di San Lorenzo a seguito della morte dei suoi fratelli maggiori Francesco, senza discendenza, e Giovanni, padre di sette figlie femmine. Grande di corte e Gran cordone dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, nel 1855 fu insignito, come già il suo prozio Dalmazzo Sanjust, della massima onorificenza sabauda, il Collare della SS. Annunziata. Già Cavaliere d’onore della regina Maria Teresa, ebbe nel 1850 dalla regina vedova la nomina a suo procuratore generale e ne curò quindi l’amministrazione particolare. Morì a Torino il 16 maggio 1859 senza figli. Il titolo di San Lorenzo tornò quindi alla figlia maggiore di suo fratello Giovanni, Chiara Sanjust Cossu che sposò Giuseppe Maria Roych, da cui Francesca Roych Sanjust.

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Qui accanto il Regolamento organico pel servizio interno della Real Corte, emanato dal Re Carlo Alberto il 24 febbraio 1849, che regolava all’art. 36 i doveri Del cavaliere d’Onore di S.M. la Regina, incarico allora ricoperto da Giuseppe Sanjust. Avendo Carlo Alberto abdicato a favore del figlio nel mese di mar- zo ed essendo poi morto nell’estate, il re Vittorio Emanuele II emanò nel 1850 un re- golamento aggiornato. Giuseppe Sanjust conti- nuò a servire la regina vedova Maria Teresa come cavaliere d’ono- re: fra i suoi compiti l’or- ganizzazione e la sicu- rezza dei viaggi.

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Alcune note e disposizioni per viaggi della Regina.

Poesie dedicate al conte Giuseppe Sanjust dalle sue ammiratrici.

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Vetrina n° 19

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Albero genealogico della famiglia Ruda, a partire da don Filippo Antonio Ruda che ottenne la concessione del cavalierato e della nobiltà il 31 dicembre 1814 e delle armi gentilizie il 7 febbraio 1815. Disegno acquerellato eseguito da Iris Floris Brognara

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Michele Ruda Diana e Francesca Roych Sanjust, contessa di San Lorenzo, si sposarono nel 1866, a un anno dalla morte di Ignazio Ruda Diana, primo marito di Francesca e fratello di Michele. Nel quadernetto qui sotto sono riportate, dalla mano di Michele, le date significative della loro vita privata, tra cui il 7 giugno 1866, dì felice di nozze, primo giorno di un lungo e felice matrimonio.

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