DIAMAGNETISMO E PARAMAGNETISMO - Unife

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1 DIAMAGNETISMO E PARAMAGNETISMO Usiamo per la definizione delle grandezze fisiche magnetiche il sistema C.G.S. Si noti che in questo capitolo ci atterremmo alla notazione del cap. 31 del libro di N. W. Ashcroft e N.D. Mermin “Solid State Physics” indicando con H G il campo di induzione magnetica che in genere viene denominato con B G . Si sottintende che questa uguaglianza sia riferita alla regione esterna alla sostanza magnetica che è tutti gli effetti considerata come vuoto. Nel sistema C.G.S. si ha infatti che nello spazio libero (al di fuori del mezzo magnetico) 0 B H = G G μ , ma poiché la permeabilità magnetica del vuoto 0 μ vale 1, si ha che B H = G G , cioè il campo di intensità H coincide con il campo di induzione magnetica di intensità B. L’unità di misura usata in questo capitolo per l’intensità H del campo magnetico è quindi in Gauss (G) che rappresenta l’unità di misura usata per l’intensità B del campo di induzione magnetica. L’unità di misura dell’intensità H del campo magnetico nel sistema C.G.S. è infatti espressa in Oersted (Oe) e vale in generale la relazione 1 G = 1 Oe. Questa identificazione fra H e B non vale solo per il campo magnetico esterno maggiormente trattato in questo capitolo, ma anche per il campo di scambio ed il campo dipolare che sono campi intrinseci dei materiali magnetici. Si noti infine che in questo capitolo viene indicato con la lettera J sia il numero quantico associato al momento angolare totale che l’integrale di scambio. 1.1 Introduzione Diamo in primo luogo la definizione della magnetizzazione M G di un corpo. Essa è una grandezza vettoriale ed è definita nella sua forma generale come la derivata del vettore momento magnetico μ G rispetto al volume V del corpo, cioè ( ) ( ) d r M r dV μ = G G G G (1.1) In base a tale definizione la magnetizzazione viene determinata in un punto a distanza r G rispetto ad un’origine O ed è quindi diversa in ogni punto del corpo. Non è quindi necessario che il solido sia magnetizzato uniformemente per definire la magnetizzazione. Il momento magnetico viene anche definito momento di dipolo magnetico. In figura è rappresentato un solido magnetizzato in modo

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DIAMAGNETISMO E PARAMAGNETISMO

Usiamo per la definizione delle grandezze fisiche magnetiche il sistema C.G.S. Si noti che in

questo capitolo ci atterremmo alla notazione del cap. 31 del libro di N. W. Ashcroft e N.D. Mermin

“Solid State Physics” indicando con H il campo di induzione magnetica che in genere viene

denominato con B . Si sottintende che questa uguaglianza sia riferita alla regione esterna alla

sostanza magnetica che è tutti gli effetti considerata come vuoto. Nel sistema C.G.S. si ha infatti che

nello spazio libero (al di fuori del mezzo magnetico) 0B H= μ , ma poiché la permeabilità

magnetica del vuoto 0μ vale 1, si ha che B H= , cioè il campo di intensità H coincide con il campo

di induzione magnetica di intensità B. L’unità di misura usata in questo capitolo per l’intensità H

del campo magnetico è quindi in Gauss (G) che rappresenta l’unità di misura usata per l’intensità B

del campo di induzione magnetica. L’unità di misura dell’intensità H del campo magnetico nel

sistema C.G.S. è infatti espressa in Oersted (Oe) e vale in generale la relazione 1 G = 1 Oe. Questa

identificazione fra H e B non vale solo per il campo magnetico esterno maggiormente trattato in

questo capitolo, ma anche per il campo di scambio ed il campo dipolare che sono campi intrinseci

dei materiali magnetici.

Si noti infine che in questo capitolo viene indicato con la lettera J sia il numero quantico associato

al momento angolare totale che l’integrale di scambio.

1.1 Introduzione

Diamo in primo luogo la definizione della magnetizzazione M di un corpo. Essa è una grandezza

vettoriale ed è definita nella sua forma generale come la derivata del vettore momento magnetico μ

rispetto al volume V del corpo, cioè

( ) ( )d rM r

dVμ

= (1.1)

In base a tale definizione la magnetizzazione viene determinata in un punto a distanza r rispetto ad

un’origine O ed è quindi diversa in ogni punto del corpo. Non è quindi necessario che il solido sia

magnetizzato uniformemente per definire la magnetizzazione. Il momento magnetico viene anche

definito momento di dipolo magnetico. In figura è rappresentato un solido magnetizzato in modo

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non uniforme. Si deve considerare un elemento infinitesimo di volume dV a distanza r rispetto ad

un’origine O di un sistema di riferimento ed un momento magnetico infinitesimo dμ .

Se il corpo è magnetizzato uniformemente, cioè il momento magnetico è uguale in ogni punto

( ( )rμ =μ ) si ha che anche ( )M r = M . In questo modo la definizione di magnetizzazione viene

semplificata nella forma

MVμ

= (1.2)

Quindi, se la magnetizzazione è uniforme, la relazione fra magnetizzazione e momento magnetico

può essere espressa in forma scalare. Daremo nei prossimi paragrafi anche la definizione

termodinamica di magnetizzazione di un solido in relazione alla energia libera del sistema. Tale

ulteriore definizione si può giustificare pienamente prendendo in esame un sistema quantistico e

non più un sistema classico.

Analogamente si definisce suscettività magnetica e la si indica con la lettera χ la seguente

grandezza

MH

χ ∂=∂

(1.3)

dove H è l’intensità del campo magnetico applicato. Questa definizione risulta valida quando il

vettore magnetizzazione M è parallelo al vettore campo magnetico H . La suscettività rappresenta

la capacità di magnetizzazione di un solido con proprietà magnetiche ed esprime il grado con cui un

solido risponde all’azione di un campo magnetico esterno. In base alla definizione data la

suscettività è una grandezza scalare. Poiché per campi applicati facilmente raggiungibili negli

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esperimenti spesso M dipende linearmente da H (cioè M = k H dove k è una costante) la

definizione di suscettività si riduce ad una forma ancora più semplice, cioè

MH

χ = (1.4)

In accordo con questa definizione la suscettività è ancora una grandezza scalare e non dipende dal

campo magnetico esterno H.

In base al comportamento nei confronti di un campo magnetico esterno le sostanze si suddividono

in due categorie, cioè in sostanze DIAMAGNETICHE e sostanze PARAMAGNETICHE.

Si definisce DIAMAGNETICA una sostanza che tende a schermare l’azione di un campo

magnetico applicato. In questo modo il momento magnetico indotto di ciascun atomo ha direzione

opposta a quella individuata dal campo applicato.

Una sostanza è invece PARAMAGNETICA quando i corrispettivi momenti magnetici di ciascuno

dei suoi atomi tendono ad allinearsi sotto l’azione di un campo magnetico esterno lungo la direzione

individuata dal campo magnetico stesso.

In base a tale comportamento le sostanze DIAMAGNETICHE sono caratterizzate da suscettività

magnetica χ negativa (χ < 0), mentre le sostanze PARAMAGNETICHE hanno suscettività

magnetica χ positiva (χ > 0).

1.2 Teoria classica del diamagnetismo: teoria di Langevin

Il fenomeno del diamagnetismo causato dalla tendenza delle cariche elettriche (elettroni) a

schermare in parte un corpo dall’azione di un campo magnetico applicato ha il suo analogo

elettrodinamico nella legge di Lenz. Tale legge descrive l’insorgenza di una corrente indotta come

risposta alla variazione di flusso del campo magnetico attraverso un circuito di corrente. Tale

corrente indotta si oppone alla variazione di flusso ed alla corrente ad esso associata. Tutte le

sostanze hanno comportamento diamagnetico, poiché tutti gli atomi hanno elettroni appartenenti

alle shell più esterne che schermano l’azione di un campo magnetico esterno. Il comportamento

diamagnetico è tipico di quelle sostanze in cui questo effetto è preponderante rispetto agli altri

effetti possibili. Sono esempi di sostanze diamagnetiche i gas nobili allo stato solido, materiali con

shell elettroniche complete come l’elio (He), il neon (Ne), l’argon (Ar), il kripton (Kr) e lo xenon

(Xe); sono diamagnetici anche i composti ionici come il fluoruro di litio (LiF), il fluoruro di

potassio (KF) ed il fluoruro di sodio (NaF). Sia l’alogeno (atomo di fluoro F) acquistando un

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elettrone che i metalli alcalini (Li, K, Na) perdendo un elettrone sono sostanze diamagnetiche,

poichè ionizzandosi realizzano la condizione di shell esterna completa.

Per ricavare il risultato classico di Langevin esprimente la suscettività magnetica di una sostanza

diamagnetica occorre richiamare in primo luogo il TEOREMA di LARMOR. Esso afferma che il

moto degli elettroni attorno al nucleo in presenza di un campo magnetico di intensità H è, al primo

ordine in H, lo stesso moto che si avrebbe in assenza di tale campo a cui si deve sovrapporre un

ulteriore moto di precessione attorno ad H la cui frequenza angolare di precessione è data per ogni

elettrone da

2LeHmc

ω = (1.5a)

dove e è la carica dell’elettrone presa in modulo, m è la massa dell’elettrone e c è la velocità della

luce. La frequenza angolare viene definita FREQUENZA di LARMOR. La direzione della velocità

angolare Lω è lungo l’asse individuato dal campo magnetico H . La corrispondente frequenza

2L Lf =ω π (L indica Larmor) può essere espressa nella forma

2L

Lf H=γπ (1.5b)

dove 2L

emc

=γ è il rapporto giromagnetico orbitale (scritto a meno del segno – della carica) di un

corpo rigido rotante (elettrone) secondo le leggi della meccanica classica. Si vedrà nel paragrafo 1.4

che esso è dato dal rapporto fra il momento magnetico ed il momento angolare orbitale.

Si fa l’ipotesi che la corrente media (la media è d’insieme) generata dagli elettroni contenuti

all’interno di un atomo sia nulla prima dell’applicazione del campo magnetico esterno. In seguito

all’applicazione di un campo magnetico esterno ciascun elettrone ruota descrivendo orbite circolari

attorno all’asse individuato da H ad una frequenza angolare pari alla frequenza di Larmor e

l’insieme degli elettroni produce una corrente media finita attorno al nucleo. Si assume anche che la

frequenza di Larmor sia molto inferiore alla frequenza del moto originale dell’elettrone attorno al

nucleo soggetto a forze di tipo centrale e questa ipotesi è ragionevole per un campo magnetico

esterno debole. E’ noto dalle leggi dell’elettrodinamica classica che una carica in movimento genera

una corrente /i dq dt= dove q è la generica carica e t è il tempo. Vista l’analogia geometrica con il

modello della spira circolare percorsa da corrente può essere utilizzato per il calcolo di i tale

modello. La corrente è data, per ciascun elettrone, da /i e cT= (c si aggiunge nell’espressione di i

per ragioni dimensionali nel sistema C.G.S.); 2 / LT π ω= è il periodo di rivoluzione, cioè il tempo

impiegato dall’elettrone per percorrere un’intera circonferenza ed Lω è la frequenza angolare di

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Larmor. Il periodo di rivoluzione è in questo caso un periodo associato alla precessione attorno alla

direzione del campo magnetico esterno. Quindi, sostituendo l’espressione di T nell’intensità di

corrente i, si trova / 2L Li e c= ω π . Se si considera un atomo contenente Z elettroni si scrive la

corrente totale equivalente LI Zi= − dove il segno – è dovuto al fatto che la direzione della corrente

equivalente generata convenzionalmente da una carica positiva è opposta rispetto alla direzione del

moto della corrente generata dall’elettrone avente carica negativa.

Sostituendo l’espressione della frequenza di Larmor di Eq.(1.5) dentro / 2L Li e c= ω π si trova che

la corrente totale I generata da Z elettroni vale

2

24Ze HI

mcπ= − (1.6)

Poiché il percorso della corrente è molto piccolo il momento magnetico orbitale può essere scritto

come il prodotto fra l’intensità i della corrente e l’area A dell’orbita (assunta circolare). Il campo

magnetico prodotto dall’elettrone è, a grandi distanze, equivalente a quello di un dipolo magnetico

caratterizzato da un vettore momento di dipolo posto nel centro dell’orbita e perpendicolare al piano

dell’orbita stessa. L’elettrone è, a tutti gli effetti, equivalente ad un dipolo magnetico. In base alla

definizione fornita, l’intensità del momento magnetico orbitale del singolo elettrone è e L Li A=orbitaleμ

dove 2A π ρ= è l’area dell’orbita dell’elettrone e ρ è il raggio dell’orbita. Il momento magnetico

orbitale esprime la forza del dipolo magnetico associato all’elettrone. Per avere il momento

magnetico totale μ dell’atomo associato agli Z elettroni basta moltiplicare per il numero Z di

elettroni, cioè

2

224

Ze Hmc

= − ⟨ ⟩μ ρ (1.7)

In Eq.(1.7) la quantità 2⟨ ⟩ρ è la media del quadrato della distanza del generico elettrone dall’asse

lungo cui è posto il campo magnetico. Essa è definita come una media d’insieme delle posizioni

degli Z elettroni dell’atomo. Poiché tale distanza è definita su un piano individuato dalla rotazione

dell’elettrone avente generiche coordinate x ed y attorno all’asse si scrive 2 2 2x y⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ + ⟨ ⟩ρ con le

quantità 2 2x y⟨ ⟩ ⟨ ⟩e indicanti le corrispondenti medie delle singole componenti x ed y elevate al

quadrato. La distanza quadratica media del generico elettrone dal nucleo è invece 2 2 2 2r x y z⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ + ⟨ ⟩ + ⟨ ⟩ dove si è aggiunta anche la media del quadrato della componente z, poiché

la distanza è in questo caso calcolata rispetto ad un punto, rappresentato dal nucleo, posto sull’asse.

In figura è schematizzato il moto di precessione del generico elettrone attorno all’asse definito dal

campo magnetico applicato.

6

Nucleo

z

H

e-

r

Piano xy

ωL

Per una distribuzione di carica a simmetria sferica deve valere 2 2 2x y z⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ a causa

dell’isotropia spaziale così che si può scrivere ad esempio 2 22 x⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ρ ed 2 23r x⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ . Si trova

che 2 2 / 3x r⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ che, sostituito in 2⟨ ⟩ρ , fornisce 2 22 / 3 r⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ρ . Sostituendo in Eq.(1.7)

l’espressione di 2⟨ ⟩ρ si trova

2

226

Z e H rmc

= − ⟨ ⟩μ (1.8)

Per ottenere il momento magnetico totale basta sommare i momenti magnetici di ciascun atomo e

ciò equivale a moltiplicare per il numero N di atomi del mezzo supponendo che tali momenti

magnetici siano tutti uguali. Quindi si può scrivere tot N=μ μ . Dividendo totμ per il volume V del

mezzo si trova la corrispondente magnetizzazione, cioè 2

226

N Ze HM rV mc

= − ⟨ ⟩ nell’ipotesi che il

mezzo sia uniformemente magnetizzato in accordo con Eq. (1.2). Si nota che la magnetizzazione è

ρ

7

antiparallela al campo esterno. Dividendo ancora per il campo magnetico H si trova la

SUSCETTIVITÀ DIAMAGNETICA del mezzo

2

226

M N Z e rH V mc

= = − ⟨ ⟩χ (1.9)

Eq.(1.9) rappresenta la LEGGE di LANGEVIN e costituisce un risultato derivato per via classica.

Il problema del calcolo della suscettività diamagnetica si riduce al calcolo di 2r⟨ ⟩ per la

distribuzione elettronica nell’atomo che può essere ottenuto in modo preciso usando la meccanica

quantistica. Per come è stata definita, la suscettività diamagnetica è una grandezza scalare ed

adimensionale. A causa del segno meno nel membro di destra posto davanti ad una quantità positiva

essa risulta minore di zero. Come si nota la suscettività diamagnetica è indipendente dalla

temperatura. Si sarebbe potuta trovare la suscettività diamagnetica di Eq.(1.9) anche applicando la

definizione più generale di suscettività data in Eq.(1.3). Tipicamente la suscettività diamagnetica è

dell’ordine di -10-4÷-10-5. Tuttavia, sperimentalmente viene misurata la suscettività magnetica

molare molareχ misurata in cm3/mole (si veda il paragrafo 1.5.1 per la sua definizione).

Il limite della trattazione classica del diamagnetismo sta nel fatto che si assume che la direzione del

campo magnetico esterno sia un asse di simmetria del sistema e questo non è in genere vero per

sistemi molecolari complessi. Per questa ragione deve essere applicata la teoria generale del

diamagnetismo e del paramagnetismo formulata da Van Vleck. Tale teoria si basa su leggi

quantistiche e riproduce sotto particolari condizioni il risultato classico di Langevin. Discuteremo

tale teoria nel paragrafo 1.4.

1.3 Teoria classica del paramagnetismo: equazione di Langevin e

legge di Curie

In generale, il paramagnetismo di una sostanza origina dal moto degli elettroni attorno ai nuclei di

ciascun atomo ed è quindi denominato paramagnetismo elettronico. Occorre tenere presente che si

ha anche un paramagnetismo nucleare associato al moto dei protoni e dei neutroni attorno al nucleo

la cui entità è molto minore rispetto a quello elettronico a causa della massa dei protoni e dei

neutroni che risulta molto maggiore rispetto a quella degli elettroni.

Si ha paramagnetismo elettronico nelle seguenti classi:

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a) Atomi, molecole e difetti reticolari con un numero dispari di elettroni. Infatti lo spin totale

non può essere nullo.

b) Atomi liberi e ioni con un orbitale più interno parzialmente occupato. Appartengono a

questa classe gli elementi di transizione (es. ferro (Fe), cobalto (Co), nichel (Ni), rame (Cu),

manganese (Mn)), elementi delle terre rare (es. lantanio (La), cerio (Ce), samario (Sm),

gadolinio (Gd)) e degli attinoidi (es. torio (Th), uranio (U), plutonio (Pu)).

c) Alcuni composti aventi un numero pari di elettroni incluso l’ossigeno molecolare (non atomi

singoli).

d) I metalli (es. sodio (Na), potassio (K), calcio (Ca)) esclusi i metalli di transizione

appartenenti al gruppo b).

Le sostanze paramagnetiche sono caratterizzate da atomi ciascuno dei quali ha un definito momento

magnetico, ma i momenti magnetici non interagiscono fra di loro. Risultano quindi nulle sia

l’interazione di scambio che l’interazione dipolare che verranno discusse nei paragrafi 2.1 e 2.2 per

le sostanze ferromagnetiche.

Deriviamo ora l’equazione di Langevin per il paramagnetismo classico. Supponiamo di avere un

mezzo (paramagnete) contenente N atomi ciascuno dei quali con momento magnetico μ . In un

mezzo paramagnetico la magnetizzazione totale si media a zero a causa del disordine termico. Se

viene applicato un campo magnetico esterno, oltre al piccolissimo effetto diamagnetico, i momenti

magnetici degli atomi tendono ad allinearsi lungo la direzione del campo. L’energia d’interazione di

ciascun atomo con il campo H è data da

cosE H Hμ μ θ= − ⋅ = − (1.10)

dove θ è l’angolo compreso fra il momento magnetico ed il campo magnetico esterno. Ciò equivale

ad affermare che un dipolo magnetico di momento μ , se immerso in un campo magnetico H ,

acquisisce un’energia pari ad E Hμ= − ⋅ . In figura è rappresentata la direzione arbitraria del

momento magnetico del generico atomo rispetto al campo magnetico esterno.

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zH

μ

θ

x

y

φ

Per il calcolo della magnetizzazione Langevin seguì lo stesso tipo di calcolo effettuato da Debye per

calcolare la polarizzabilità per orientazione in un dielettrico. In particolare si può definire la

magnetizzazione del paramagnete nella forma

cosNMV

= ⟨ ⟩μ θ (1.11)

dove N è il numero di atomi supposti non interagenti e V è il volume del mezzo paramagnetico. ...⟨ ⟩

indica la media delle possibili orientazioni del generico atomo rispetto al campo magnetico

nell’elemento di angolo solido sind d dθ θ φΩ = calcolata rispetto alla distribuzione classica di

probabilità di Boltzmann all’equilibrio, cioè

2

0 02

0 0

sin coscos

sin

E

E

d d e

d d e

⟨ ⟩ =∫ ∫

∫ ∫

π πβ

π πβ

φ θ θ θθ

φ θ θ

dove φ è l’angolo azimutale e θ è l’angolo polare; 1/ Bk Tβ = con Bk costante di Boltzmann.

Sostituendo ad E l’espressione data in Eq.(1.10) ed integrando in φ a numeratore ed a denominatore

si ottiene

cos

0

cos

0

sin coscos

sin

H

H

d e

d e

πβμ θ

πβμ θ

θ θ θθ

θ θ=∫

10

L’integrale si risolve per sostituzione di variabile, cioè si pone cos sin per cui t dt dθ θ θ= = − ;

quindi per 0 1 si ha tθ = = e per 1 si ha tθ π= = − . Conviene anche effettuare la sostituzione

x Hβμ= . Si ottiene

( )( ) ( )

( ) ( ) [ ]

1 1

1 11 1

1 1

11

1 1

cos ln

ln ln ln

ln ln ln ln

t x t x

t x t x

t x x xt x

x x x x

x

dt t e dt t ef x d f xf x dx

dt e dt e

d d e d e edt edx dx x dx x

d d de e x e e xdx dx dxe e

−−

− −

− −

−′

⎡ ⎤⟨ ⟩ = = = = =⎣ ⎦−

⎡ ⎤⎛ ⎞⎡ ⎤ ⎡ ⎤⎛ ⎞ ⎛ ⎞−⎢ ⎥⎜ ⎟= = = =⎢ ⎥⎜ ⎟ ⎢ ⎥⎜ ⎟⎜ ⎟⎢ ⎥⎢ ⎥ ⎝ ⎠⎝ ⎠ ⎣ ⎦⎣ ⎦ ⎝ ⎠⎣ ⎦

⎡ ⎤ ⎡ ⎤= − − = − − =⎣ ⎦ ⎣ ⎦

+=

∫ ∫

∫ ∫

θ

1 1cothx

x x xe e x x

− − = −−

Nel primo passaggio si è cambiato segno sia a numeratore che a denominatore scambiando così gli

estremi di integrazione e si è posto ( )1

1

t xdt e f x−

=∫ così che ( ) ( )1 1

1 1

t x t xd df x f x dt e dt tedx dx− −

′ = = =∫ ∫

dove si è scambiato l’integrale con l’operazione di derivazione a causa della continuità della

funzione integranda. Si è, quindi, applicata la regola di derivazione della funzione logaritmo

naturale ( ) ( )( )

lnf xd f x

dx f x′

⎡ ⎤ =⎣ ⎦ . Si è poi sfruttata una proprietà del logaritmo, cioè ln ln lna a bb= −

e si è infine tenuto conto dell’identità trigonometrica cothx x

x x

e e xe e

+=

− dove coth è la cotangente

iperbolica. La funzione

1( ) cothL x xx

= − (1.12)

è la FUNZIONE di LANGEVIN disegnata in figura. ( )L x è una funzione compresa fra 0 ed 1. In

particolare, ( )L x è una funzione monotona crescente di x e tende ad 1 al crescere di x, cioè al

crescere del rapporto H/T .

11

0 2 4 6 8 10

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

x

L(x)

Quindi, sostituendo nell’espressione della magnetizzazione di Eq.(1.11), si ricava

( )NM L xVμ= (1.13)

Eq.(1.13) rappresenta l’EQUAZIONE di LANGEVIN. Essa esprime l’andamento della

magnetizzazione di una sostanza PARAMAGNETICA ricavato per via classica. La

magnetizzazione è parallela al campo magnetico ed ad esempio cresce al crescere del campo

magnetico esterno a fissata temperatura.

Per x<<1 con x Hβμ= si può sviluppare in serie la funzione cotangente iperbolica, cioè

( )1coth 33xx O

x+ + e si ottiene per la funzione di Langevin ( )

3xL x . Occorre tenere presente

che la condizione x<<1 si realizza ad una temperatura di poco maggiore di 1 K (a maggior ragione

quindi alla temperatura ambiente a cui avvengono gli esperimenti) per un campo magnetico di

intensità H dell’ordine di 104 G facilmente ottenibile in laboratorio. Quindi la magnetizzazione

risulta3

N xMVμ . Sapendo che 1/ Bk Tβ = si ricava

2

3 B

N HMV k T

μ (1.14)

La suscettività magnetica in questo limite risulta

12

2

3 B

M N CH V k T T

μχ = = (1.15)

Eq.(1.15) prende il nome di LEGGE di CURIE. La costante 2

3 B

NCV k

μ= è la costante di Curie ed ha

le dimensioni di una temperatura. La suscettività di un paramagnete espressa in Eq.(1.15) è una

grandezza scalare, adimensionale, positiva ed inversamente proporzionale alla temperatura. Inoltre,

in virtù dell’approssimazione effettuata, non dipende dal campo magnetico esterno. E’ da notare che

la suscettività di Eq.(1.15) si sarebbe potuta ottenere anche applicando la definizione più generale di

Eq.(1.3). La suscettività paramagnetica è mediamente dell’ordine di 10-4÷10-5 anche se raggiunge

valori più alti a bassa temperatura. Come per la suscettività diamagnetica, sperimentalmente viene

misurata la suscettività magnetica molare molareχ espressa in cm3/mole (si veda il paragrafo 1.5.1

per la sua definizione).

1.4 Teoria quantistica del paramagnetismo

Discutiamo in questo paragrafo la teoria quantistica del paramagnetismo. Si è visto nel paragrafo

1.2 che ad un elettrone, che descrive un’orbita circolare facendo una precessione attorno al campo

magnetico H con frequenza angolare Lω detta frequenza di Larmor, è associata un’intensità di

corrente / 2L Li e c= ω π in analogia con il caso della spira percorsa da corrente e ad essa, a sua

volta, un momento magnetico. Analogamente, definito con ρ il raggio dell’orbita circolare,

l’intensità del momento magnetico orbitale di un elettrone associato alla rotazione dell’elettrone con

frequenza angolare ω attorno al nucleo, dato ancora dal prodotto dell’intensità di corrente

/ 2i e c= ω π per l’area dell’orbita, è espressa da ( ) 2/ 2orbitalee e cμ ω π π ρ= da cui si ricava

immediatamente che 2/ 2orbitalee e cμ ωρ= . In questo caso ω non è la frequenza angolare di

Larmor, ma la frequenza angolare di rotazione dell’elettrone attorno al nucleo presente in assenza di

un campo magnetico applicato. Sapendo che l’intensità del momento angolare orbitale dell’elettrone

di velocità v per un moto circolare vale 2l m m= =vρ ωρ , poiché v ωρ= si trova che

2 /l mωρ = e quindi che 2e

e lm c

=orbitaleμ . Poiché la corrente equivalente è opposta al moto

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dell’elettrone, l’orientazione del momento magnetico orbitale è opposta a quella del momento

angolare orbitale. In forma vettoriale si scrive quindi

2orbitalee

e lmc

μ = −

La direzione di orbitaleeμ è la stessa di l , ma il verso è opposto come schematizzato in figura. La

costante 2emc

= −orbitaleγ è il rapporto giromagnetico orbitale coincidente con quello già definito

nel paragrafo 1.2 (a meno del segno -) per un corpo rigido (elettrone) che ruota attorno al campo

magnetico esterno alla frequenza angolare Lω di Larmor. In questo ambito si può attribuire a tale

grandezza un significato fisico ben preciso definendo orbitaleγ come il rapporto fra il momento

magnetico orbitale di un elettrone ed il corrispondente momento angolare orbitale, cioè

e

l=

orbitaleorbitale μγ .

Come si nota, la relazione fra momento magnetico orbitale e momento angolare orbitale è stata

ricavata basandosi su leggi di meccanica classica. Essa continua a rimanere valida anche in

meccanica quantistica per un moto arbitrario di un elettrone con momento angolare l elevato a

rango di operatore vettoriale. Teniamo per semplicità come notazione per un operatore vettoriale la

stessa usata per un vettore sottintendendo d’ora in avanti che sia sottinteso anche il simbolo

operatoriale “∧”. Per ragioni dimensionali si deve sostituire il vettore l con l dove / 2h π= (h

è la costante di Planck) ha le dimensioni di un momento angolare. Occorre poi aggiungere il

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momento magnetico di spin che invece può essere spiegato solo nell’ambito della meccanica

quantistica e che vale 0 2spine

eg smc

μ = − dove 0g è il fattore di Landè dell’elettrone (si veda dopo

per una discussione). E’ quindi possibile definire il rapporto giromagnetico associato allo spin

dell’elettrone come il rapporto fra l’operatore momento magnetico di spin espinμ e l’operatore

momento angolare di spin s , cioè e

s=

spinspin μγ da cui si ricava 0

2g emc

= −spinγ .

Combinando insieme il momento magnetico orbitale e quello di spin del singolo elettrone si trova il

momento magnetico totale del singolo elettrone, cioè ( )0/ 2orbitale spine e e e mc l g sμ μ μ= + = − + .

Sommando i momenti magnetici di tutti gli elettroni appartenenti ad uno ione (atomo) si ricava il

momento magnetico totale di uno ione (atomo), cioè ( )0/ 2e mc L g S= + = − +orbitale spinμ μ μ con

e ii

=∑orbitale orbitaleμ μ e e ii

=∑spin spinμ μ . L’operatore L è la somma dei momenti angolari orbitali

degli elettroni, cioè ii

L l= ∑ , mentre l’operatore S è la somma dei momenti angolari di spin

degli elettroni, cioè ii

S s= ∑ . Le definizioni del rapporto giromagnetico orbitale e di spin

rimangono valide anche considerando il momento magnetico orbitale e di spin del singolo atomo ed

i corrispondenti momenti angolari orbitali e di spin del singolo atomo, purchè si sostituisca ad

s la quantità S e ad l la quantità L .

Il momento magnetico totale si può riscrivere come / 2ge mc Jμ = − (si veda il paragrafo 1.5.1

per una dimostrazione qualitativa usando il teorema di Wigner-Eckart). La grandezza g prende il

nome di fattore di separazione spettroscopico o fattore di Landè ed è dato da

( ) ( ) ( )( )

1 1 11

2 1J J S S L L

gJ J

+ + + − += +

+ . Per lo spin elettronico si ottiene, in presenza di correzione

relativistica, 0 2 12

g ⎛ ⎞= + +⎜ ⎟⎝ ⎠

…απ

, con 1137α costante di struttura fine, che fornisce

0 2.0023g = (valore calcolato da Dirac) e che viene approssimato al valore 0 2g = . Si nota quindi

che il rapporto giromagnetico di spin spinγ è il doppio di quello orbitale orbitaleγ . Tale risultato non

deve sorprendere, perché spinγ viene calcolato mediante leggi quantistiche e non ha un analogo

classico. Quindi, solo figurativamente lo spin di un elettrone può essere pensato come originato

dalla rotazione dell’elettrone attorno a se stesso. L’operatore J L S= + è l’operatore momento

15

angolare totale dato dalla somma vettoriale dell’operatore momento angolare orbitale e

dell’operatore momento angolare di spin. Definendo la quantità / 2B e mcμ = magnetone di Bohr

il momento magnetico di un atomo assume la forma

Bg Jμ μ= − (1.16a)

In particolare 200.927 10B−= × erg/Gμ . Si può riscrivere Eq.(1.16a) nella forma

J=μ γ (1.16b)

con 2gemc

= −γ , rapporto giromagnetico definito come il rapporto fra il momento magnetico totale

del singolo atomo ed il momento angolare totale, cioè J

=μγ . Si dimostra facilmente che le

dimensioni del rapporto giromagnetico, sia esso orbitale, di spin o totale sono nel sistema C.G.S.[s-1

G-1] oppure [s-1 Oe-1]. Basta scrivere il rapporto fra le dimensioni del momento magnetico e quelle

del momento angolare tenendo presente che il momento angolare ha le dimensioni di un’azione cioè

di un’energia per un tempo, cioè -1 -1erg

G s Gerg sJ

⎡ ⎤⎡ ⎤ ⎢ ⎥ ⎡ ⎤= =⎢ ⎥ ⎣ ⎦⎢ ⎥⎣ ⎦ ⎢ ⎥⎣ ⎦

μ . Poiché 1 G = 1 Oe si può anche

scrivere -1 -1s Oe⎡ ⎤⎣ ⎦ . E’ possibile ricavare questo risultato anche tenendo presente l’espressione del

rapporto giromagnetico che può essere riscritto in forma compatta come 2gemc

= −γ con g = 1 se il

rapporto giromagnetico è orbitale, g = g0 = 2 se è di spin e 1 2g≤ ≤ se è totale. Infatti, nel sistema

C.G.S. si ha [ ] 31 -12 2e g cm s⎡ ⎤= ⎢ ⎥⎣ ⎦ per cui

312 2 1 1 1 12 2e

mc− − −

⎡ ⎤⎡ ⎤ ⎡ ⎤ ⎡ ⎤⎢ ⎥= = =⎢ ⎥ ⎣ ⎦⎢ ⎥⎣ ⎦⎢ ⎥⎣ ⎦ ⎣ ⎦

-1

-1g cm s g cm G sg cm s

.

L’ultima uguaglianza viene dal fatto che G = erg1/2/ cm3/2. Esplicitando le dimensioni di 1 erg si

ottiene G = g1/2 cm-1/2s-1 che può essere riscritta come 1 1 1 12 2− − −=g cm G s . Le dimensioni della

carica e si ottengono a partire ad esempio dalla forza di Coulomb espressa nel sistema C. G. S., cioè

F = e2/r2 da cui e = F1/2 r. Esplicitando le dimensioni della forza, cioè [F ] = [g cm s-2 ] si ottengono

facilmente le dimensioni di e.

È interessante ricavare l’equazione di Brillouin per la teoria quantistica del paramagnetismo. Essa

rappresenta l’equivalente quantistico dell’equazione classica di Langevin (cf. Eq.(1.13)).

Supponiamo di avere un atomo che possiede il momento magnetico espresso in Eq.(1.16)

appartenente ad una sostanza paramagnetica e di porlo in un campo magnetico. In base a ciò si

assume che l’atomo del paramagnete abbia già un momento magnetico permanente diverso da zero

16

anche in assenza di campo. Indicato con J il numero quantico del momento angolare totale lo stato

fondamentale avrà un determinato valore di J. Esso si trova mediante le regole di Hund trascurando

il contributo degli altri termini del multipletto associati a stati eccitati e vale ,...,J L S L S= − + . Ciò

è realistico se la differenza fra l’energia del primo stato eccitato J ′ e quella dello stato

fondamentale soddisfa la condizione J J BE E k T′ − >> . Se è rispettata questa condizione si trascura

l’influenza che gli stati eccitati ad energia più elevata hanno sullo stato fondamentale. Lo stato

fondamentale è 2J+1 volte degenere ed è l’unico stato termicamente eccitato. Per effetto di un

campo magnetico viene rimossa tale degenerazione (effetto Zeeman) ed il livello fondamentale si

splitta in 2J +1 livelli pari al numero di valori assunti dal numero quantico mj = -J, -J + 1,…, J - 1,

J. Il numero quantico mj è il numero quantico magnetico del momento angolare totale ed è quindi

associato alla proiezione del momento angolare totale lungo la direzione z ( zJ ) individuata dal

campo magnetico.

Si può poi considerare un insieme di atomi (ioni) identici sottoposti all’azione di un campo

magnetico. Lo scopo è quello di ricavare l’espressione della magnetizzazione corrispondente. Essa

si potrebbe determinare direttamente a partire dal momento magnetico definito in Eq.(1.16). Infatti

per magnetizzazione si intende la densità di momento magnetico o momento magnetico per unità di

volume, cioè MVμ

= nell’ipotesi di un mezzo magnetizzato uniformemente. Tuttavia, tale

approccio non porterebbe ad un risultato rilevante da un punto di vista fisico. Quindi, per derivarla

si utilizza un metodo di meccanica statistica che tiene conto dell’energia quantizzata. In primo

luogo si esprime l’energia libera del sistema. L’energia libera di Helmholtz vale lnBF k T Z= − dove

Z è la funzione di partizione del sistema espressa in questo caso nella forma j

j

JE

m J

Z e β−

=−

= ∑ con

j B jE H g H m= − ⋅ =μ μ energia quantizzata dello stato j-esimo del sistema dovuta alla presenza del

campo magnetico assunto applicato lungo z in cui compare il numero quantico jm associato a zJ .

Sostituendo le espressioni di Z e di jE in F si ha ln B j

j

Jg H m

Bm J

F k T e β μ−

=−

= − ∑ da cui

ln B j

j

Jg H m

m J

F e β μβ −

=−

− = ∑ ; quest’ultima uguaglianza si ottiene dividendo per Bk T , ponendo

1/ Bk T β= e cambiando segno ad entrambi i membri. Applicando la funzione esponenziale a primo

17

ed a secondo membro dell’ultima uguaglianza si ottiene B j

j

Jg H mF

m J

e e β μβ −−

=−

= ∑ . Questa è ancora

una definizione dell’energia libera, ma espressa in forma esponenziale. La forma scritta risulta utile

per i calcoli seguenti, poiché, come si può notare, l’energia libera è espressa mediante una serie

geometrica convergente avente un numero finito di termini. La serie scritta si può quindi

agevolmente sommare. Infatti, la ragione di tale serie vale 1Hq e−= <βγ dove Bg=γ μ . A partire

dalla regola generale di somma delle serie geometriche con un numero finito di termini la serie data

si può riscrivere come1

1j

j

J J Jm

m J

q qqq

− +

=−

−=

−∑ . Per dimostrare l’uguaglianza scritta occorre in primo

luogo riscrivere la sommatoria di una serie geometrica di ragione q costituita da un numero finito di

termini che richiama la serie data spezzando la sommatoria in due sommatorie, cioè scrivendo 1

0

n nk k k

k n k n k

q q q−

=− =− =

= +∑ ∑ ∑ dove la ragione nella prima sommatoria ha esponenti negativi, mentre nella

seconda sommatoria ha esponenti positivi incluso lo zero. Se si considera la prima serie a secondo

membro conviene moltiplicarla per (1-q) ed esplicitare la sommatoria, cioè scrivere:

( ) ( ) ( )1

1 1 1 11 .... ... 1 1k n n n n

k n

q q q q q q q q−

− − + − − + − −

=−

− = + + + − − − − = −∑ da cui 1 1

1

nk

k n

qqq

− −

=−

−=

−∑ .

Analogamente, considerando la seconda serie, moltiplicandola per (1 - q) ed esplicitando la

sommatoria si ottiene: ( ) ( ) ( )2 2 1 1

0

1 1 .... ... 1n

k n n n n

k

q q q q q q q q q q+ +

=

− = + + + + − − − − = −∑ da cui

1

0

11

n nk

k

qqq

+

=

−=

−∑ . Sostituendo i risultati ricavati per entrambe le sommatorie si ricava

1 11 11 1 1

n n n n nk

k n

q q q qqq q q

− + − +

=−

− − −= + =

− − −∑ . Nel caso specifico si deve sostituire all’indice n intero,

l’indice J che può essere anche frazionario per multipli di ½ e scrivere, senza perdita di generalità,

l’uguaglianza iniziale.

Quindi si ha anche che 1

1

J JF q qe

− +− −

=−

. Conviene moltiplicare a secondo membro a numeratore

ed a denominatore per 1/ 2q− e si ottiene ( ) ( )1/ 2 1/ 2

1/ 2 1/ 2

− + +−

−−

=−

J JF q qe

q qβ

. Sostituendo il valore di

Hq e−= βγ si trova che

18

( ) ( )1/ 2 1/ 2

/ 2 / 2

H J H JF

H He ee

e e

+ − +−

−−

=−

βγ β γβ

βγ β γ (1.17)

A partire da questa espressione si ricava l’energia libera F applicando la funzione logaritmo

naturale sia a primo che a secondo membro, dividendo per β e cambiando di segno entrambi i

membri, cioè

( ) ( )( ) ( ) ( )( )( ) ( )

( ) ( )( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )( )

1 ln

1 ln ln

f H g H f H g H

g H g H

f H g H f H g H g H g H

e eFe e

e e e e

β

β

+ − +

+ − + −

−= − =

−⎡ ⎤⎛ ⎞= − − − −⎢ ⎥⎜ ⎟

⎝ ⎠⎣ ⎦

(1.18)

dove si è posto ( )f H H J= β γ e ( ) / 2g H H= β γ .

A partire dall’energia libera F scritta per un sistema magnetico, è possibile dare la definizione di

magnetizzazione M in ambito di meccanica statistica e determinarla. Il primo principio della

termodinamica espresso in forma differenziale vale = +dQ dU dW dove dQ è la variazione

infinitesima di calore, dU la variazione infinitesima di energia interna e dW il lavoro

infinitesimo. Tenendo presente la relazione fra dQ e la variazione infinitesima di entropia dS si

può scrivere =dQ T dS da cui = −dU TdS dW . Per un sistema magnetico il lavoro infinitesimo si

può scrivere nella forma =dW dHμ da cui dU TdS dH= − μ . D’altra parte l’energia libera di

Helmholtz F U T S= − espressa in forma differenziale è data da dF dU TdS S dT= − − .

Sostituendo l’espressione di dU dentro dF si ricava dF dH S dTμ= − − per cui si ha che

T

FH

μ ∂⎛ ⎞= −⎜ ⎟∂⎝ ⎠ da cui

1

T

FMV H

∂⎛ ⎞= − ⎜ ⎟∂⎝ ⎠. Se si considerano N ioni (atomi) indipendenti si ottiene

T

N FMV H

∂⎛ ⎞= − ⎜ ⎟∂⎝ ⎠ (1.19)

Eq.(1.19) rappresenta la definizione termodinamica della magnetizzazione per un sistema di N ioni

(atomi) dove la derivata rispetto ad H è fatta a temperatura T costante. Non è permesso in questo

caso eguagliare l’energia libera alla variazione di energia ΔE0, dovuta al campo magnetico H, dello

stato fondamentale che è 2 J +1 volte degenere. Non si può cioè porre F = U – T S = ΔE0,

uguaglianza che può essere assunta valida solo per T→0. Infatti, la separazione in energia fra due

livelli adiacenti appartenenti ai 2 J+1 livelli per effetto dell’applicazione di un campo magnetico

esterno (corrispondenti allo stato fondamentale) risulta piccola rispetto all’energia termica kBT non

19

Ej : energia dello stato fondamentale

Δ Multipletto di 2 J+1 livelli

Δ: separazione in energia fra due livelli adiacenti

Δ << kB T

appena il campo magnetico esterno va a zero. In Figura è rappresentato schematicamente l’ordine di

grandezza delle energie in gioco. Ciò implica che la temperatura T non può essere considerata

tendente a zero.

Sostituendo in Eq.(1.19) l’energia libera di Helmholtz data in Eq.(1.18) si ricava

( ) ( )( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )( )( ) ( )( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )( )

( ) ( )( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )( )

( ) ( )( ) ( ) ( )( )( ) ( ) ( )( )

( ) ( )

( ) ( )

1 ln ln

ln ln

/ 2

f H g H f H g H g H g H

f H g H f H g H g H g H

f H g H f H g H g H g H

g H g Hf H g H f H g H

f H

NM e e e eV H

N Ne e e eV H V H

f H g H e e g H e eN NV V e ee e

J eNV

+ − + −

+ − + −

+ − + −

−+ − +

⎡ ⎤⎛ ⎞ ∂ ⎛ ⎞= − − − − − =⎜ ⎟ ⎢ ⎥⎜ ⎟∂ ⎝ ⎠⎝ ⎠ ⎣ ⎦⎡ ⎤∂ ∂⎛ ⎞ ⎡ ⎤= − − − =⎢ ⎥⎜ ⎟ ⎢ ⎥∂ ∂ ⎣ ⎦⎝ ⎠⎣ ⎦

⎛ ⎞′ ′+ + ′ +⎜ ⎟⎝ ⎠= − =

−−

+=

β

β β

β β

βγ βγ

β

( )( ) ( ) ( )( )

( ) ( )( ) ( ) ( )( )

( ) ( )( )( ) ( )

( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )( )

( ) ( ) ( )( ) ( )( )

( ) ( ) ( )( ) ( )( )

( )

/ 2

/ 2 coth / 2 coth

/ 2 coth / 2coth

1 1/ 2 coth 1/ 2 coth

2 1 1coth / 2 coth2 2

g H f H g H g H g H

g H g Hf H g H f H g H

e e eNV e ee e

N NJ f H g H g HV V

N J f H g H g HVN J J f H g H J g HV

N JJ JH HV J J

+ − + −

−+ − +

⎛ ⎞+ +⎜ ⎟⎝ ⎠ − =

−−

= + + − =

⎡ ⎤= + + − =⎣ ⎦

⎡ ⎤= + + − =⎣ ⎦

+⎛ ⎞= + −⎜ ⎟⎝ ⎠

β γ

β

βγ βγ β γβ β

γ γ γ

γ

γ β γ β γ ( )

( )( ) ( )

/ 2

2 1 1coth 1 1/ 2 coth / 22 2

2 1 2 1 1 1coth coth2 2 2 2

H

N JJ JH J JH JV J J

N J JJ x xV J J J J

⎡ ⎤=⎢ ⎥

⎣ ⎦⎡ ⎤+⎛ ⎞= + − =⎢ ⎥⎜ ⎟⎝ ⎠⎣ ⎦⎡ ⎤+ +⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞= −⎢ ⎥⎜ ⎟ ⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎝ ⎠ ⎝ ⎠ ⎝ ⎠⎣ ⎦

β γ

γ β γ β γ

γ

20

dove l’apice ' indica la derivata fatta rispetto ad H. Si è cioè applicata la regola di derivazione del

logaritmo naturale di una funzione composta, cioè si è scritto ( )( ) ( )( )( )( ) ( )ln

F G xD F G x G x

F G x

′⎡ ⎤⎡ ⎤ ′=⎣ ⎦⎣ ⎦

con H al posto di x. Nei passaggi intermedi si è utilizzata l’identità trigonometrica

( ) ( )

( ) ( ) ( )cothf x f x

f x f xe e f xe e

+ ⎡ ⎤= ⎣ ⎦−

dove il simbolo coth indica cotangente iperbolica. Nell’ultimo

passaggio si è invece posto J H x=β γ con 1/ Bk Tβ =

La magnetizzazione della sostanza PARAMAGNETICA risulta quindi:

( )JNM JB xV

= γ (1.20)

dove ( )JB x è la FUNZIONE di BRILLOUIN definita come:

( ) 2 1 2 1 1 1coth coth2 2 2 2JJ JB x x x

J J J J+ +⎛ ⎞ ⎛ ⎞= −⎜ ⎟ ⎜ ⎟

⎝ ⎠ ⎝ ⎠ (1.21)

Eq.(1.20) con la funzione ( )JB x data da Eq.(1.21) è l’EQUAZIONE di BRILLOUIN. Essa

rappresenta l’andamento della magnetizzazione di una sostanza PARAMAGNETICA ricavata per

via quantistica. E’ quindi l’equivalente quantistico dell’equazione classica di Langevin del

paramagnetismo (cf. Eq.(1.13)).

L’andamento grafico della funzione di Brillouin è qualitativamente simile a quello della funzione

classica di Langevin (cf. Eq.(1.12)), cioè essa ha un andamento monotono crescente al crescere del

rapporto H/T. Anche la funzione di Brillouin è compresa fra 0 ed 1. Tuttavia, poiché ( )JB x è stata

derivata quantisticamente, a fissato x si avranno diverse curve corrispondenti ai diversi valori di J

assunti dal momento angolare totale al variare dello stato fondamentale del materiale paramagnetico

studiato. Questo comportamento la differenzia dalla funzione classica di Langevin la quale è

rappresentata da curve che risultano diverse al variare del materiale paramagnetico preso in esame

senza che sia esplicita la dipendenza da J. La funzione di Brillouin è disegnata in figura per tre

valori di J, cioè per J = 1/2, J = 3/2 e J = 5/2. Essa descrive il comportamento paramagnetico di ioni

di metalli contenuti in solidi.

21

0 1 2 30

0.5

10 1 2 3

x

Risulta interessante studiare l’andamento della magnetizzazione nel limite di x<<1 che significa

BH k Tγ e corrisponde molto spesso al caso reale. Infatti, la quantità / 1BH k ≈ Kγ per un

campo di 104 G usato comunemente negli esperimenti. Tenendo conto che gli esperimenti sono

effettuati a temperatura ambiente la condizione x<<1 è facilmente realizzabile. Sviluppando fino al

secondo ordine entrambe le cotangenti iperboliche di Eq.(1.20), cioè scrivendo

1coth (3)3

Oyyy+ + con

2 12Jy x

J+

= per il primo termine e 1

2y x

J= per il secondo termine

si ricava

( )

( )2 2

2 2 2

2 1 2 1 2 1 1 1 122 2 1 2 3 2 2 3

11 2 1 1 1 4 4 1 12 3 3 3 34 4

JJ J J x xB x J

J J x J J x J

J JJ x x J J x xx J x J J J

+ +⎛ ⎞ ⎛ ⎞+ − + =⎜ ⎟ ⎜ ⎟+⎝ ⎠ ⎝ ⎠⎛ ⎞ ++ + + −⎛ ⎞= + − − = =⎜ ⎟⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎝ ⎠ ⎝ ⎠

Sostituendo questa espressione approssimata di ( )JB x nell’espressione di M di Eq.(1.20) si ottiene

ricordando che Bg=γ μ e che J H x=β γ con 1/ Bk Tβ = .

Bj(x) J = 1/2 J = 3 /2 J = 5/2

22

( ) ( )

( )

2 2

2 2

1 13 3

13

BB B

B

BB

J J J JN x N g J HM g J g JV V k TJ J

N Hg J JV k T

μμ μ

μ

+ += =

= +

A partire dalla definizione termodinamica della magnetizzazione T

N FMV H

∂⎛ ⎞= − ⎜ ⎟∂⎝ ⎠si ricava la

suscettività del sistema, cioè 2

2T

N FV H

χ⎛ ⎞∂

= − ⎜ ⎟∂⎝ ⎠ essendo /M Hχ = ∂ ∂ . Nel caso specifico basta

ricavarla come /M Hχ = , poichè la magnetizzazione è lineare in H ottenendo

( )2 2 113B

B

N g J JV k T

χ μ +

Se si definisce la quantità adimensionale ( )1effp g J J= + come numero efficace di magnetoni di

Bohr si ha

2 2

3eff B

B

pNV k T

μχ (1.22)

Eq.(1.22) rappresenta la LEGGE di CURIE per un sistema di ioni (atomi) non interagenti. Essa

esprime, anche per il caso quantistico, una suscettività inversamente proporzionale alla temperatura

T con 2 2/ / 3eff B BC N V p kμ= costante di Curie avente le dimensioni di una temperatura. Eq.(1.22)

rimane valida (con qualche piccola eccezione) per descrivere la suscettività di tali ioni quando

fanno parte di una struttura più complessa come un solido.

Anche l’espressione della suscettività di Eq.(1.22) ottenuta nell’approssimazione x <<1 è molto

simile a quella ottenuta classicamente seguendo la stessa approssimazione (cf. Eq.(1.15)). La

differenza fondamentale sta nel fatto che in questo caso il momento magnetico può essere definito

come Bpμ μ=eff eff , cioè come il prodotto fra il magnetone di Bohr Bμ ed un numero decimale

effp . Il momento magnetico varia in relazione alla sostanza paramagnetica considerata

rappresentata ad esempio da uno ione trivalente del gruppo delle terre rare (lantanidi) all’interno di

un cristallo isolante oppure da uno ione del gruppo del ferro (fra gli elementi di transizione)

all’interno di un composto salino come l’allume ferrico di ammonio. Ciò è in questo caso una

diretta conseguenza della sua derivazione quantistica che porta a definire un numero efficace

effp di magnetoni di Bohr.

23

Si possono anche ricavare gli andamenti della magnetizzazione e della suscettività magnetica

quando gli elettroni di ogni atomo e quindi gli atomi stessi non sono tutti nello stato fondamentale.

Ad esempio M e χ si possono ricavare nel caso in cui la differenza fra l’energia del livello

fondamentale J e quella del primo livello eccitato J ′ soddisfa alla condizione J J BE E k T′ − ≈ ,

cioè è dello stesso ordine di grandezza di Bk T ; M e χ si possono ricavare anche nel caso opposto a

quello discusso precedentemente, cioè quando J J BE E k T′ − << . Gli andamenti della

magnetizzazione e della suscettività che si ricavano sono molto simili a quelli riferiti al caso

studiato. Quando J J BE E k T′ − << si deve anche tenere conto della distribuzione degli atomi sui

diversi livelli energetici (livello fondamentale e livelli eccitati) corrispondenti ai diversi termini di

multipletto (ad es. i termini di multipletto ,...,J L S L S= − + per lo stato fondamentale, i termini di

multipletto ,...,J L S L S′ ′ ′ ′ ′= − + per il primo stato eccitato e così via) degli atomi del paramagnete.

1.5 Teoria quantistica del paramagnetismo: teoria perturbativa di

Van Vleck

Il modello di Van Vleck è un modello molto raffinato basato sulla teoria perturbativa indipendente

dal tempo che rappresenta un potente strumento matematico per studiare i sistemi quantistici. Lo

scopo è quello di ricavare mediante la teoria perturbativa la variazione di energia di un paramagnete

e da essa la suscettività magnetica.

In presenza di un campo magnetico esterno supposto uniforme, cioè ( )H r H= occorre modificare

l’operatore Hamiltoniano del sistema trattato secondo la meccanica quantistica. In primo luogo

nell’espressione dell’operatore energia cinetica totale associata al moto degli elettroni si deve tenere

conto della presenza di H . L’operatore vettoriale momento ip dell’i-esimo elettrone di carica –e

che entra a far parte dell’operatore energia cinetica deve essere sostituito da

( ) ( )⎛ ⎞′ → − − → +⎜ ⎟⎝ ⎠

i i i i ie ep p A r p A rc c

dove ( )iA r è il potenziale vettore dipendente dalla posizione ir dell’i-esimo elettrone.

Consideriamo l’equazione 0H∇⋅ = dove ∇ è l’operatore divergenza che esprime la solenoidalità

del campo H . Tale equazione è una delle equazioni di Maxwell ed è sempre valida. In virtù dell’

24

equazione 0H∇⋅ = si può introdurre un vettore A , detto potenziale vettore, tale che H A= ∇×

dove ∇× è l’operatore rotazionale. Infatti, in base ad una semplice regola di calcolo vettoriale, la

divergenza del rotazionale di un generico vettore è sempre nulla. In presenza di un campo

magnetico uniforme si trova, a partire dalla relazione H A= ∇× , che il potenziale vettore ( )iA r per

l’i-esimo elettrone può essere espresso nella forma

( ) 12i iA r r H= − ×

Si dimostra facilmente che la quantità ( )ie A rc ha le dimensioni di un momento esplicitando le

dimensioni di ( )iA r , cioè 1 12 2A −⎡ ⎤

=⎡ ⎤⎣ ⎦ ⎢ ⎥⎣ ⎦

-1g cm s cm essendo le dimensioni del campo esterno

12 1 1

2 23

2H −

⎡ ⎤⎡ ⎤⎢ ⎥= = =⎡ ⎤ ⎡ ⎤⎣ ⎦ ⎣ ⎦ ⎢ ⎥⎢ ⎥ ⎣ ⎦⎢ ⎥⎣ ⎦

-1ergOe g cm s cmcm

. Infatti, facendo l’analisi dimensionale si ottiene

31 1 12 2 2 2e A

c

−⎡ ⎤⎡ ⎤ ⎢ ⎥ ⎡ ⎤= =⎢ ⎥ ⎣ ⎦⎢ ⎥⎣ ⎦ ⎢ ⎥⎣ ⎦

-1 -1-1

-1g cm s g cm s cm g cm s

cm s .

Per dimostrare che ( ) 12i iA r r H= − × conviene semplificare la descrizione prendendo il campo

magnetico diretto ad esempio lungo z, cioè scrivere ˆH H k= con H intensità uniforme del campo e

k versore associato alla direzione z. Ricaviamo A esplicitamente, cioè

( ) ( )ˆˆ ˆ

1 1 1 ˆ ˆ2 2 2

0 0i i i i i i

i j kA r H x y z y H i x H j

H= − × = − = − −

dove ( ), ,i i i ir x y z= . Sostituiamo l’espressione di A in H A= ∇× ricavando esplicitamente H , cioè

( )

( ) ( ) ( )

ˆˆ ˆ

1 1ˆ ˆ ˆ2 2

0

1 ˆ ˆˆ ˆ2

i ii i i

i i

i ii i

i j k

H H k A y H i x H jx y z

y H x H

x H i y H j H H k H kz z

∂ ∂ ∂⎡ ⎤= = ∇× = ∇× − − = − =⎢ ⎥ ∂ ∂ ∂⎣ ⎦−

⎛ ⎞∂ ∂= − + + − − =⎜ ⎟⎜ ⎟∂ ∂⎝ ⎠

poiché le derivate sono nulle a causa dell’uniformità del campo magnetico secondo cui ( )H r H=

cioè il campo magnetico non dipende dalle coordinate. Si ottiene un’identità e quindi si è dimostrato

25

che ( ) 12i iA r r H= − × . Il potenziale vettore espresso in questa forma soddisfa anche la condizione

0A∇ ⋅ = , cioè è a divergenza nulla. Infatti, basta sostituire l’espressione di A e scrivere in forma

esplicita tale condizione, cioè

( ) ( )

( ) ( )

1 1 ˆˆ ˆ ˆ ˆ ˆ ˆ2 2

1 02

i i i ii i i

i ii i

A y H i x H j i j k y H i x H jx y z

y H x Hx y

⎛ ⎞∂ ∂ ∂∇ ⋅ = − ∇ ⋅ − = − + + ⋅ − =⎜ ⎟⎜ ⎟∂ ∂ ∂⎝ ⎠

⎛ ⎞∂ ∂= − − =⎜ ⎟⎜ ⎟∂ ∂⎝ ⎠

tenendo conto delle relazioni fra i versori, cioè ˆ ˆ 1i i⋅ = , ˆ ˆ 1j j⋅ = , ˆ ˆ 0i j⋅ = , ˆ ˆ 0j i⋅ = , ˆ ˆ 0k i⋅ = e

ˆ ˆ 0k j⋅ = e dell’annullamento delle derivate a causa dell’uniformità del campo magnetico.

L’equazione a divergenza nulla del potenziale vettore prende il nome di gauge di Coulomb. In

meccanica quantistica A è un operatore vettoriale, H può essere considerato un vettore essendo

uniforme spazialmente.

I due contributi energetici, espressi in forma operatoriale, da calcolare sono i seguenti

1) Energia di interazione fra il campo magnetico esterno e lo spin elettronico

Essa viene scritta come la somma delle energie d’interazione di ciascuno spin con il campo

magnetico esterno, cioè si ha

0 0 0B B B zH g S H g H S g H Sμ μ μ μΔ ⋅ ⋅ ⋅ =spin0H = - = = (1.23)

dove 0 Bg Sμ μ= −spin è il momento magnetico di spin degli elettroni,

i

i

S s=∑ è l’operatore

vettoriale di spin totale espresso come somma degli operatori di spin di ciascun elettrone ed

iz z

i

S s=∑ è la componente z dell’operatore S data dalla somma delle componenti degli spin

orientati lungo la direzione z individuata da H. Gli izs possono assumere i valori +1/2 e -1/2,

mentre 0g = 2 è il fattore di Landè per l’elettrone. A causa della commutatività fra l’operatore S e

l’operatore H si ha che ⋅ = ⋅S H H S . I due operatori commutano, perché l’operatore H può

essere visto come vettore a causa della sua uniformità spaziale.

2) Energia cinetica totale elettronica

Essa assume la forma

26

( )

( )2 2

2

2

1 1 12 2 2 2

1 1 12 4 4

iA r

i i i i ii i i

i i i i ii i i

e eT p p A r p r Hm m c m c

e ep p r H r H pm m c m c

⎡ ⎤ ⎡ ⎤′= = + = − × =⎢ ⎥ ⎢ ⎥⎣ ⎦ ⎣ ⎦

− ⋅ × − × ⋅

∑ ∑ ∑

∑ ∑ ∑

Si sostituisce l'espressione di

Si scrivono separatamente

( ) ( )

( )2 22

2

18

1 12 4

i i i ip A r A r p

ii

i i i ii

e r Hm c

ep p r H r Hm m c

⋅ ⋅

+ × =

= − ⋅ × + ×

i due contributi e non si fa il doppio prodotto, poichè non è ancora dimostrata la commutatività di ed

( ) ( )2 22

0

18i i

i i

ep r Hm c

T

⋅ + × =

= + Δ

∑ ∑1H

In questa espressione 20

12 i

i

T pm

= ∑ è l’operatore energia cinetica totale elettronica in assenza di un

campo magnetico esterno, mentre

( ) ( )2 22

1 14 81 i i i i i

i i

e ep r H r H p r Hm c m c

Δ = − ⋅ × + × ⋅ + ×∑ ∑H

è l’operatore associato alla variazione di energia dovuta alla presenza del campo magnetico esterno.

I due termini di 1ΔH possono essere ulteriormente manipolati e posti in una forma più semplice

ed interpretabile da un punto di vista fisico.

Partiamo dalla derivazione del primo termine di 1ΔH , cioè di ( )14 i i i i

i

e p r H r H pm c

− ⋅ × + × ⋅∑ . A

partire dalla condizione 0A∇ ⋅ = si può dimostrare che ( ) ( )i i i iA r p p A r⋅ = ⋅ , cioè che i due operatori

vettoriali potenziale vettore e momento coniugato commutano (la dimostrazione viene lasciata al

lettore). Ciò implica, sostituendo l’espressione di A nell’uguaglianza scritta, che

i i i ir H p p r H× ⋅ = ⋅ × e quindi, più in generale, che

( ) ( ) ( )1 1 14 4 2i i i i i i i i i i

i i i

e e ep r H r H p p r H p r H p r Hm c m c m c

− ⋅ × + × ⋅ = − ⋅ × + ⋅ × = − ⋅ ×∑ ∑ ∑ .

Si può riscrivere il termine in una forma più semplice. Infatti, basta tenere presente che il momento

angolare classico dell’i-esimo elettrone vale i i il r p= × per cui si può scrivere per ogni elettrone,

sfruttando la regola del prodotto misto a b c c a b⋅ × = ⋅ × e la proprietà del prodotto vettoriale

a b b a× = − × , i i i i i i ip r H H p r H r p H l− ⋅ × = − ⋅ × = ⋅ × = ⋅ ; anche in questo caso si è inserito

27

/2h π= per ragioni dimensionali, poiché ha le dimensioni di un momento angolare, mentre il

in meccanica quantistica è un numero. Da notare che la proprietà del prodotto vettoriale si può

applicare a maggior ragione, perchè H può essere considerato a tutti gli effetti un vettore e non un

operatore vettoriale essendo uniforme nello spazio.

Di conseguenza, considerando la somma su tutti gli elettroni, si ha

( )1 1 12 2 2i i i

i i

e e ep r H H l H Lm c m c m c

− ⋅ × = ⋅ = ⋅∑ ∑ , dopo avere definito il momento angolare

elettronico totale come ii

l L=∑ . Tenendo conto della definizione del magnetone di Bohr, cioè

2Bemc

μ = e, sfruttando la commutatività di H ed L ( H può essere visto come un vettore) per

cui H L L H⋅ = ⋅ , il primo termine di 1ΔH si può riscrivere in una forma più semplice, cioè

( )12

− ⋅ × = ⋅∑ i i Bi

e p r H L Hm c

μ dove compare il prodotto scalare fra l’operatore momento angolare

orbitale elettronico ed il campo magnetico esterno.

Scriviamo ora in una forma più semplice il secondo termine di 1ΔH , cioè ( )2 22

18 i

i

e r Hm c

×∑ . Si ha

( ) ( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( )

2

2 2 2 2 2 2 2

ˆ ˆˆ ˆ ˆ ˆ

0 0 0 0

ˆ ˆ ˆ ˆ

i i i i i i i i i

i i i i i i i i

i j k i j kr H r H r H x y z x y z

H H

y H i x H j y H i x H j x H y H H x y

× = × ⋅ × = ⋅ =

− ⋅ − = + = +

dove , ,i i ix y z sono le componenti dell’i-esimo elettrone in un riferimento cartesiano ed il campo

magnetico è assunto lungo z, cioè ˆH H k= . Si è tenuto conto delle relazioni fra i versori, cioè

ˆ ˆ 1i i⋅ = , ˆ ˆ 1j j⋅ = , ˆ ˆ 0i j⋅ = e ˆ ˆ 0j i⋅ = . Quindi, in virtù di quest’ultimo risultato, il secondo termine di

1ΔH si può riscrivere in una forma più semplice, cioè ( ) ( )2 2 22 2 22 2

18 8

i i ii i

e e Hr H x ym c mc

× = +∑ ∑ .

Combinando insieme il primo ed il secondo termine di 1ΔH così semplificati si ricava

( )2 2

2 228

1 B i ii

e HL H x ymc

μΔ = ⋅ + +∑H (1.24)

28

Scriviamo, quindi, l’operatore associato alla variazione dell’energia totale ΔH come somma del

contributo 0ΔH dovuto allo spin elettronico (cf. Eq.(1.23)) e del contributo 1ΔH dovuto

all’effetto del campo magnetico sull’energia cinetica degli elettroni (cf. Eq.(1.24)), cioè

( )

( ) ( )

2 22 2

0 2

2 22 2

0 2

8

8

0 1 B B i ii

B i ii

e Hg S H L H x ymc

e HL g S H x ymc

μ μ

μ

Δ = Δ + Δ = ⋅ + ⋅ + + =

= + ⋅ + +

H H H

(1.25)

Si nota che l’operatore ΔH è proporzionale ad un termine al primo ordine in H ed ad un termine

al secondo ordine in H .

Se si applica un campo magnetico di intensità media pari ad esempio a 104 G si può dimostrare, con

un semplice calcolo effettuato facendo una stima approssimativa dell’ordine di grandezza del primo

termine a secondo membro di Eq.(1.25), che si ottiene una variazione di energia di 10-4 eV. Il

secondo termine a secondo membro dà infatti un contributo molto più piccolo e quindi trascurabile

per il conto. Quindi risulta che, applicando un campo magnetico di intensità media, l’energia del

sistema cambia di poco tenendo presente che le energie atomiche sono dell’ordine di alcuni eV.

Questa piccola variazione è però responsabile delle proprietà magnetiche della materia. Per

calcolare piccole variazioni di energia in meccanica quantistica ci si avvale della TEORIA

PERTURBATIVA ORDINARIA.

Poiché la suscettività è proporzionale alla derivata seconda dell’energia libera (e quindi anche alla

derivata seconda dell’energia) si dovranno tenere nello sviluppo perturbativo dell’energia termini

fino al secondo ordine in H per avere una suscettività magnetica che risulti indipendente dal campo

esterno come effettivamente si osserva sperimentalmente. Per questa ragione si usa il risultato della

teoria perturbativa indipendente dal tempo al secondo ordine nell’energia. Quindi, nel calcolo si

trascurano i contributi dell’energia perturbata di ordine superiore al secondo nel campo magnetico

esterno che risultano molto piccoli.

Se En è l’energia dello stato imperturbato n-esimo (con n = 0 stato fondamentale ed n = 1,2,..,k i k

stati eccitati imperturbati) e ΔEn la sua variazione corrispondente all’operatore ΔH si ha En -> En

+ ΔEn con la variazione di energia ΔEn espressa mediante la teoria perturbativa indipendente dal

tempo al secondo ordine nella forma

29

2| || |n

n nn n

n nE n n

E E ′′≠

′⟨ Δ ⟩Δ = ⟨ Δ ⟩ +

−∑

o

o

Perturbazione al II ordinePerturbazione

al I ordineH

H

Si fa uso della teoria perturbativa indipendente dal tempo, perché non si è interessati alla evoluzione

nel tempo dell’Hamiltoniana. Infatti, è ragionevole studiare l’interazione con il campo magnetico

esterno ad un dato istante temporale.

La notazione usata è quella introdotta da Dirac con vettori bra (a sinistra) e ket (a destra) rispetto

all’operatore di perturbazione ΔH . Il primo termine a secondo membro rappresenta la correzione

perturbativa al primo ordine data dall’elemento di matrice della perturbazione ΔH sullo stato

imperturbato n (elemento diagonale) che ha il significato di un valore medio della perturbazione.

Invece il secondo termine a secondo membro è la correzione al secondo ordine. La sommatoria è

fatta su tutti i k stati imperturbati n′ diversi dallo stato n fissato (elementi off-diagonali). È da

notare che in meccanica quantistica gli elementi di matrice sono degli integrali sullo spazio di Fock

le cui funzioni integrande sono rappresentate da operatori e da autovettori, uno a destra

dell’operatore (corrispondente alll’autovettore ket) e l’altro a sinistra dell’operatore (corrispondente

all’autovettore bra). Quest’ultimo deve essere scritto come complesso coniugato. Il secondo termine

a secondo membro è quindi espresso da una sommatoria di elementi di matrice.

Se si sostituisce l’espressione dell’operatore ΔH di Eq.(1.25) dentro nEΔ si ottiene

( ) ( )

( ) ( )

2 22 2

0 2

22 2

2 20 2

| |8

| |8

n B i ii

B i ii

n nn n

e HE n L g S H x y nmc

e Hn L g S H x y nmc

E E

μ

μ

′′≠

Δ = ⟨ + ⋅ + + ⟩ +

′⟨ + ⋅ + + ⟩

+−

∑∑

Poichè la variazione di energia è piccola si trascurano i contributi al terzo ed al quarto ordine in H

provenienti dall’ultimo termine a secondo membro (quello contenente la sommatoria n n′≠∑ ); in

30

seguito a questa semplificazione si può riscrivere la nEΔ nella forma

( ) ( )

( )

20

0

2 22 2

2

| || |

| |8

Bn B

n nn n

i ii

n H L g S nE n H L g S n

E E

e H n x y nmc

′′≠

′⟨ ⋅ + ⟩Δ = ⟨ ⋅ + ⟩ + +

+ ⟨ + ⟩

μμ

In questo ultimo passaggio si è sfruttata la proprietà di commutatività degli operatori L ed S con

l’operatore H grazie alla quale ( ) ( )0 0L g S H H L g S+ ⋅ = ⋅ + . Inoltre si è decomposto il primo termine

in due termini portando fuori dall’elemento di matrice ( )2 2| |i ii

n x y n⟨ + ⟩∑ (che dà la correzione al

primo ordine perturbativo) il termine 2 2

28e H

mc non dipendente dall’elemento di matrice stesso e sono

stati scambiati il risultante secondo termine con l’ultimo termine contenente gli elementi di matrice

off-diagonali. Infine, in quest’ultimo termine si è tenuto solo il contributo al secondo ordine in H.

Si può infine portare fuori dal primo elemento di matrice B Hμ , quantità che non dipende da esso

essendo H un vettore ottenendo

( ) ( )

( )

20

0

2 22 2

2

| || |

| |8

′′≠

′⟨ ⋅ + ⟩Δ = ⋅ ⟨ + ⟩ + +

+ ⟨ + ⟩

Bn B

n nn n

i ii

n H L g S nE H n L g S n

E E

e H n x y nmc

μμ

(1.26)

Eq.(1.26) costituisce l’EQUAZIONE DI BASE per le teorie quantistiche della SUSCETTIVITÀ

MAGNETICA di atomi, ioni o molecole. Il primo termine nel membro di destra è al primo ordine

nel campo magnetico esterno, cioè varia linearmente con il campo esterno. Il secondo ed il terzo

termine costituiscono insieme il contributo al secondo ordine nel campo esterno. Si può scrivere il

generico elemento di matrice del secondo termine in notazione compatta, cioè

( )0| |B nnn H L g S n Vμ ′′⟨ ⋅ + ⟩ = in modo tale che, ancora in notazione compatta, possa essere scritto

il modulo quadro di tale elemento di matrice, cioè 2

nn nn nnV V V ∗′ ′ ′= . A causa del fatto che

l’operatore 0+L g S è hermitiano (è infatti reale) si ha che n n n nV V ∗′ ′= . Quindi, ( )n n n nV V

∗ ∗∗′ ′= da

31

cui n n n nV V∗

′ ′= con ( )0| |′ ′= ⟨ ⋅ + ⟩n n BV n H L g S nμ per cui gli elementi di matrice del secondo

termine nel membro di destra si possono riscrivere come

( ) ( )0 0| | | |

′′≠

′ ′⟨ ⋅ + ⟩⟨ ⋅ + ⟩

−∑ B B

n nn n

n H L g S n n H L g S n

E E

μ μ. Da notare che il contributo al secondo

ordine diagonale in n è circa 105 volte più piccolo del contributo al primo ordine anche per campi

grandi dell’ordine di 104 G. Anche il termine al secondo ordine costituito dagli elementi di matrice

off-diagonali è dello stesso ordine di grandezza nella maggior parte dei casi a causa del fatto che il

denominatore n nE E ′− dà la tipica energia di eccitazione atomica che risulta piuttosto grande

rendendo il termine corrispondente molto piccolo. Tuttavia alcuni atomi, come per esempio i gas

nobili, esibiscono proprietà diamagnetiche per le quali l’operatore 0L g S+ ha autovalore nullo a

causa del fatto che 0 0 0L S= = (si veda il paragrafo successivo per una discussione). Ciò porta

all’annullamento del primo e del secondo termine del membro di destra di Eq.(1.26). Per questi

atomi si dovrà tenere conto, nel calcolo della suscettività, del terzo termine del membro di destra di

Eq.(1.26) (secondo termine al secondo ordine nel campo magnetico) che, pur essendo piccolo,

risulta diverso da zero. Escluso questo caso l’energia di un sistema di atomi con o senza campo

magnetico è praticamente la stessa.

1.5.1 Suscettività di ioni (atomi) isolanti con tutte le shell occupate:

diamagnetismo di Larmor

Analizziamo in primo luogo il caso dei GAS NOBILI che rappresentano il prototipo di sostanze

diamagnetiche e sono ISOLANTI. Calcoliamo per essi, a partire dal risultato della teoria

perturbativa, la suscettività diamagnetica.

Consideriamo il sistema ad una temperatura tale che tutti gli elettroni si trovino nello stato

fondamentale n = 0 non degenere che indichiamo con 0 usando la notazione della meccanica

quantistica. Poiché i gas nobili presentano shell complete si ha che i numeri quantici associati al

momento angolare totale, a quello orbitale ed a quello di spin sono nulli, cioè 0J L S= = = . Ciò

implica che 0 0 0 0J L S= = = essendo uguali a zero gli autovalori

( ) ( ) ( )+ + +1 , 1 e 1J J L L S S corrispondenti rispettivamente al momento angolare totale, al

momento angolare orbitale ed a quello di spin. Di conseguenza, i primi due termini della correzione

32

perturbativa all’energia di Eq.(1.26) sono uguali a zero, poiché per entrambi i termini vale la

condizione ( )0 0 0L g S+ = essendo 0 0 0L S= = .

In particolare, per J = 0 si trova che 2 J + 1=1, cioè che lo stato fondamentale effettivamente non è

degenere essendo rappresentato da un solo livello. Quindi, la correzione perturbativa dell’energia

nello stato fondamentale n = 0 vale

( )2 2

2 20 2 0 | | 0

8i i

i

e HE x ymc

Δ = ⟨ + ⟩∑

In questo caso si può porre 0E FΔ = , dove F è l’energia libera, poiché lo stato fondamentale è non

degenere. Si deve perciò confrontare l’energia dello stato fondamentale E0 con l’energia termica kBT

con il risultato che E0 >> kBT . Quindi, in virtù di questa disuguaglianza, è come se si assumesse una

temperatura T = 0, temperatura alla quale si può porre 0E FΔ = .

Quindi, la suscettività per ione si può esprimere come la derivata seconda dell’energia 0EΔ

risultando

( )

( )

22 2 2 22 20

2 2 2 2

22 2

2

1 1 1 0 | | 08

1 0 | | 04

i ii

i ii

EF e H x yV V VH H H mc

e x yV mc

χ⎛ ⎞∂ Δ∂ ∂ ⎜ ⎟= − = − = − ⟨ + ⟩ =⎜ ⎟∂ ∂ ∂ ⎝ ⎠

= − ⟨ + ⟩

Supponendo di avere N ioni indipendenti si può esprimere la suscettività totale nella forma

( )2

2 22 0 | | 0

4i i

i

N e x yV mc

χ = − ⟨ + ⟩∑ (1.27)

L’espressione trovata prende il nome di SUSCETTIVITÀ DIAMAGNETICA di LARMOR. Essa è

una grandezza adimensionale e negativa, poiché l’elemento di matrice è positivo. Inoltre è

indipendente dalla temperatura. Si dimostra facilmente che il risultato quantistico ottenuto

applicando la teoria perturbativa al secondo ordine è equivalente al risultato classico della teoria del

diamagnetismo di Langevin. Infatti, nell’ipotesi che la distribuzione elettronica abbia simmetria

sferica, si può scrivere

( )2 2 2 2

2

0 | | 0 0 | | 0 0 | | 0

2 0 | | 03

i i i ii i i

ii

x y x y

r

⟨ + ⟩ = ⟨ ⟩ + ⟨ ⟩ =

= ⟨ ⟩

∑ ∑ ∑

33

essendo per definizione 2 2 2 2

i i i ir x y z= + + e, a causa della simmetria sferica,

2 2 2 210 | | 0 0 | | 0 0 | | 0 0 | | 03i i i i

i i i i

x y z r⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ = ⟨ ⟩∑ ∑ ∑ ∑ per cui si ottiene immediatamente

2 2 2 22 20 | | 0 0 | | 0 0 | | 0 0 | | 03 3i i i i

i i i i

x y r r⟨ ⟩ + ⟨ ⟩ = ⟨ ⟩ = ⟨ ⟩∑ ∑ ∑ ∑ . Definendo un raggio quadratico medio

ionico nella forma 2 21 0 | | 0ii

r rZ

⟨ ⟩ = ⟨ ⟩∑ (è la definizione di media aritmetica) dove Z è il numero di

elettroni in ciascuno ione e, sostituendo tale espressione in Eq.(1.27), si ricava

22

26N Z e rV mc

χ = − ⟨ ⟩ (1.28)

Il risultato di Eq.(1.28) è equivalente al risultato classico di Langevin di Eq.(1.9). Tuttavia, usando

il metodo perturbativo si trova che il diamagnetismo è associato agli elettroni delle shell

elettroniche esterne che risultano completamente occupate. Questo risultato non poteva essere

ottenuto per via classica.

In genere risulta comodo esprimere la suscettività diamagnetica come suscettività molare avente

unità di misura in cm3/mole. Basta moltiplicare la suscettività per il volume di una mole, cioè

molare AN VN

χ χ= dove ( )/AN N V è il volume di una mole con AN numero di Avogadro. Ad

esempio fra i gas nobili la suscettività molare dell’elio (He) (la più bassa in valore assoluto) vale 61.9 10 3cm /mole−− × , mentre quella dello xenon (Xe) (la più alta in valore assoluto) è

643 10 3cm /mole−− × . Invece ad esempio fra gli alcalini la suscettività molare dello ione potassio

(K+) è 614.6 10 3cm /mole−− × e fra gli alogeni quella dello ione Cl- è 624.2 10 3cm /mole−− × .

1.5.2 Suscettività di ioni (atomi) isolanti con shell parzialmente occupate:

paramagnetismo di Van Vleck

Prendiamo ora in esame atomi appartenenti alla classe degli ISOLANTI che non soddisfano la

condizione di completezza della shell più esterna e calcoliamo per essi la correzione dell’energia al

secondo ordine perturbativo. Questi atomi manifestano sia comportamento diamagnetico che

paramagnetico.

34

Esaminiamo prima il CASO IN CUI il NUMERO QUANTICO è nullo, cioè 0J = che equivale ad

avere L’AUTOVALORE DEL MOMENTO ANGOLARE TOTALE ( )1J J + NULLO. Tale

caso si verifica, oltre che per shell piene (cf. paragrafo 1.5.1), anche per shell in cui manca un

elettrone perché risultino semipiene. E’ da notare che non era possibile considerare tale caso nella

discussione del paramagnetismo quantistico fatta nel paragrafo 1.4 dove si assumeva che J fosse

diverso da zero e si aveva suscettività magnetica non nulla solo per sostanze paramagnetiche con

momento magnetico permanente. Il valore di J = 0 si ricava utilizzando le 3 regole di Hund per il

riempimento delle shell secondo le quali:

a) Gli elettroni vengono distribuiti in maniera tale da avere lo spin totale S dello stato

fondamentale massimo in accordo con il principio di esclusione di Pauli. Questa regola

stabilisce quindi il valore di S con 1

n

z ii

S s=

= ∑ numero quantico dello spin totale

corrispondente allo stato fondamentale considerato; zis è la componente lungo z dello spin

dell’i-esimo elettrone e può assumere i valori +1/2 (spin up) o -1/2 (spin down), mentre n è

il numero di elettroni da porre nella shell considerata il cui numero massimo è stabilito dal

principio di esclusione di Pauli.

b) Occorre massimizzare il momento angolare orbitale totale L dello stato fondamentale.

c) Occorre stabilire il valore del momento angolare totale J corrispondente allo stato

fondamentale una volta noti i valori di L ed S. In base al segno del termine

dell’Hamiltoniana ( )λ ⋅L S che esprime l’interazione spin-orbita i valori di J corrispondenti

allo stato fondamentale sono i seguenti

, 2 1

, 2 1

J L S n l

J L S n l

= − ≤ +

= + ≥ +

Shell meno che semipiene Shell più che semipiene

dove l è il numero quantico azimutale (per shell d- si ha l = 2, per shell f si ha l =3). Per shell meno

che semipiene, cioè per 2 1n l≤ + , l’accoppiamento spin-orbita avente 0λ > favorisce il minimo

valore di J, dato da momento angolare e di spin totali antiparalleli, cioè L S− . Per shell più che

semipiene, cioè per 2 1n l≥ + , l’accoppiamento spin-orbita avente 0λ < favorisce il massimo

valore di J dato dalla condizione di momento angolare orbitale e di spin totali paralleli, cioè L S+ .

Il numero totale di elettroni è pari a ( )2 2 1n l= + . La regola a) tuttavia presenta ambiguità perché

non stabilisce quale orbitale debba essere riempito per primo (per esempio non stabilisce quale dei 5

orbitali della shell d- o quale dei 7 orbitali della shell f- deve essere riempito per primo).

35

Se si considerano gli stati fondamentali (indicati con | 0⟩ in notazione di Dirac) di ioni con shell d-

parzialmente occupate (numero quantico azimutale l = 2) si ha che la condizione per cui il momento

angolare totale sia nullo, cioè 0J L S= − = , si realizza quando si pongono nella shell d- 4

elettroni scelti ad esempio tutti con spin down (shell meno che semipiena) ognuno dei quali con

componente lungo la direzione z data da zs = -1/2. Questa condizione corrisponde ad una shell a

cui manca un elettrone per risultare semipiene. I due elementi (isolanti) aventi 4 elettroni nella shell

più esterna e che realizzano questa condizione sono gli ioni Cr2+ ed Mn3+ (si noti che i

corrispondenti atomi di Cr e di Mn sono invece metalli di transizione che non realizzano la

condizione 0J = ). I 4 elettroni posti nella shell d- danno come momento angolare totale di spin 4

11/ 2 ( 1/ 2) ( 1/ 2) ( 1/ 2) 2 2zi

iS s

=

= = − + − + − + − = − =∑ . Invece il numero quantico associato al

momento angolare orbitale totale è ( )4

12 1 0 1 2zi

iL l

=

= = + + + + − =∑ , poichè il numero quantico

z il , che dà la componente lungo z del momento angolare orbitale li dell’i-esimo elettrone, varia da -

li a +li, cioè [ ],zi i il l l∈ − + a passi di un’unità. E’ da notare che nel riempimento degli orbitali si è

partiti per convenzione da quello corrispondente ad 2zl = + , ma ovviamente si perviene allo stesso

risultato anche partendo dall’orbitale corrispondente ad 2zl = − . Si verifica facilmente che

2 2 0J L S= − = − = . Lo stesso risultato si otterrebbe se gli elettroni fossero scelti tutti con spin-

up. Il riempimento completo della shell d- costituita da 5 orbitali si ottiene con 10 elettroni, due per

ogni orbitale per il principio di esclusione di Pauli come si può facilmente verificare. Tuttavia

l’ultimo caso di interesse, se si vuole avere una shell d- parzialmente occupata, è quello con 9

elettroni anche se il corrispondente valore di J risulterebbe diverso da zero. Un ragionamento simile

applicato alla shell f- caratterizzata da numero quantico azimutale l = 3 e da 7 orbitali porterebbe ad

avere il numero quantico J nullo se si utilizzassero 6 elettroni, poiché si avrebbe 3S = ed 3L = che

porterebbe ad avere 3 3 0J L S= − = − = . Il riempimento totale della shell f- si ottiene invece con

14 elettroni.

Se 0J = si può dimostrare, a partire da opportune regole di commutazione fra gli operatori di

momento angolare, che 00 | | 0 0L g S⟨ + ⟩ = pur essendo non nullo lo stato ( )0 | 0L g S+ ⟩ . Ciò

corrisponde fisicamente ad un sistema che nello stato fondamentale non presenta momento

magnetico permanente. Questo non significa, come avveniva nel caso discusso nel paragrafo 1.5.1,

36

che l’autovalore L e l’autovalore S riferiti allo stato fondamentale siano entrambi separatamente

nulli. Alla luce di questi risultati la correzione al secondo ordine perturbativo nell’energia risulta

( ) ( ) 22 2 02 2

0 200

0 | |0 | | 0

8

Bi i

ni n

H L g S ne HE x y FE Emc ≠

⟨ ⋅ + ⟩Δ = ⟨ + ⟩ − =

−∑ ∑μ

(1.29)

dove l’uguaglianza 0E FΔ = vale nel caso non degenere (si veda il paragrafo 1.5.1 per una

giustificazione di questa uguaglianza). In questo caso si assume infatti che sia soddisfatta la

condizione 0n BE E k T− con n=1,2,3 indice dell’energia degli stati eccitati. In base a tale

condizione la maggior parte degli elettroni in ciascun atomo e quindi anche la maggior parte degli

atomi o delle molecole sono nello stato fondamentale all’equilibrio termico. La somma presente nel

secondo termine è effettuata su tutti i k stati eccitati imperturbati off-diagonali caratterizzati dal

numero quantico 0n ≠ con n = 1,2,.. Come si nota, in Eq.(1.29) manca il primo termine a secondo

membro che era presente in Eq.(1.26), poiché 00 | | 0 0L g S⟨ + ⟩ = . In Eq.(1.29) si è rinominato n′

con n ed il segno meno nel secondo termine a secondo membro rispetto ad Eq.(1.26) è dovuto al

cambio di segno effettuato a denominatore. Questo cambio di segno è puramente arbitrario, ma

risulta comodo per il calcolo della suscettività.

Come si può notare l’ultimo termine a secondo membro contenente gli elementi off-diagonali non si

annulla a differenza del caso precedente degli isolanti con shell piena dove era invece diverso da

zero solo il primo termine del membro di destra di Eq.(1.29). Supponendo di applicare il campo

magnetico lungo z si ha: ( ) ( )0 0z zH L g S H L g S⋅ + = + . A partire da Eq.(1.29) e, tenendo conto di

quest’ultima semplificazione nel secondo termine a secondo membro, si ricava la suscettività degli

isolanti contenenti N/V atomi (ioni) per unità di volume, cioè

( ) ( )

( ) ( )

222 2 02 2 202 2 2

00

22 02 2 22

00

0 | |0 | | 0 2

4

0 | |0 | | 0 2

4

z zi i B

ni n

z zi i B

ni n

L g S nEN F N N e x yV V V E EH H mc

L g S nN e Nx yV V E Emc

χ μ

μ

⎡ ⎤⟨ + ⟩∂ Δ∂ ⎢ ⎥= − = − = − ⟨ + ⟩ − =⎢ ⎥−∂ ∂ ⎢ ⎥⎣ ⎦

⟨ + ⟩= − ⟨ + ⟩ +

∑ ∑

∑ ∑ (1.30)

portando fuori 2Bμ dagli elementi di matrice off-diagonali. È da notare che l’operatore derivata

seconda rispetto ad H agente sul secondo termine di Eq.(1.29) è applicato al modulo quadro di

ciascuno dei k elementi di matrice corrispondenti agli stati imperturbati off-diagonali proporzionali

ad 2H . Eq.(1.30) rappresenta un risultato importante. Il primo termine nell’ultimo membro è la

SUSCETTIVITÀ DIAMAGNETICA di LARMOR ed è associata agli elementi di matrice

37

(diagonali) dell’operatore ( )2 2i i

i

x y+∑ . La suscettività diamagnetica di Larmor è già stata discussa

nel paragrafo 1.5.1. Il secondo termine è un contributo nuovo e rappresenta la correzione

paramagnetica alla suscettività diamagnetica di Larmor. Esso è associato agli elementi off-diagonali

fra lo stato fondamentale imperturbato | 0⟩ e gli stati eccitati imperturbati | n⟩ dell’operatore

0z zL g S+ che risulta proporzionale al momento magnetico, componente z. Come si può notare, la

suscettività che si ricava è un contributo positivo ed è quindi certamente di natura paramagnetica,

ma, a causa del suo piccolo valore, rappresenta SOLO una correzione al diamagnetismo degli

ISOLANTI. Questa correzione paramagnetica alla suscettività diamagnetica prende il nome di

PARAMAGNETISMO di VAN VLECK. Essa non ha a nulla a che vedere con la suscettività

paramagnetica studiata nei paragrafi 1.3 ed 1.4. Si può quindi affermare che il comportamento

magnetico degli isolanti contenenti ioni (atomi) con shell meno che semipiena (la sola che può

realizzare la condizione 0J = ) dipende dal bilanciamento fra il diamagnetismo di Larmor (primo

termine nell’ultimo membro di Eq.(1.30)) ed il paramagnetismo di Van Vleck (secondo termine

nell’ultimo membro di Eq.(1.30)). Si nota che la suscettività paramagnetica di Van Vleck che si

ricava dal secondo termine nell’ultimo membro di Eq. (1.30) risulta indipendente dalla temperatura.

Se vale la condizione per cui 0n BE E k T− (con 0E caratterizzato dal numero quantico J = 0 del

momento angolare totale associato allo stato fondamentale ed nE associato al numero quantico J’

del primo stato eccitato) non si può più usare Eq.(1.30) per ricavare la suscettività diamagnetica e

paramagnetica, ma si può dimostrare che la suscettività paramagnetica risulta inversamente

proporzionale alla temperatura assumendo la forma della legge di Curie (cf. Eq.(1.22)). Tale

condizione è però meno probabile. Anche nelle molecole più complesse è presente il

paramagnetismo di Van Vleck con suscettività magnetica indipendente dalla temperatura come

termine correttivo alla suscettività diamagnetica. Esso origina dalle fluttuazioni del momento

angolare attorno all’asse molecolare che a loro volta generano un momento magnetico. Tuttavia,

dalle misure su diverse molecole risulta che il comportamento complessivo è ancora diamagnetico,

poiché la suscettività totale misurata è negativa.

Consideriamo ora il caso in cui il NUMERO QUANTICO J È DIVERSO DA ZERO, cioè 0J ≠

che equivale ad avere l’AUTOVALORE DEL MOMENTO ANGOLARE TOTALE DIVERSO DA

ZERO. Questo caso si verifica sempre, tranne che per shell piene (cf. paragrafo 1.5.1) e per shell a

cui manca un elettrone per risultare semipiene (caso precedente di shell meno che semipiene).

Quando 0J ≠ risulta diverso da zero in Eq.(1.26) anche il primo termine dell’energia perturbata.

Tale termine è associato agli elementi diagonali dell’operatore 0L g S+ a sua volta proporzionale al

momento magnetico del singolo atomo (ione) che risulta così diverso da zero anche in assenza di

38

campo esterno. Si può dimostrare che il primo termine dell’energia perturbata in Eq.(1.26) è quasi

sempre maggiore degli altri due, i quali possono essere quindi trascurati. Infatti, nella maggior parte

dei casi i due termini al secondo ordine in H sono almeno 5 ordini di grandezza più piccoli del

primo termine al primo ordine come già discusso nel paragrafo 1.5. Lo stato fondamentale è in

questo caso 2J+1 volte degenere in assenza di campo essendo 0J ≠ . Poiché lo stato fondamentale

è caratterizzato dagli autostati degli operatori 2J e ˆzJ ( ∧ è il simbolo di operatore per la

componente z del momento angolare totale), cioè J , L , S e zJ l’elemento di matrice del

primo termine di Eq.(1.26) dato da ( )0| |n L g S n⟨ + ⟩ si può riscrivere nella forma proporzionale a

0| |z zJ LS J L g S J LS J ′⟨ + ⟩ con , ,...,z zJ J J J′ = − ed | | zn J LS J⟩ = ⟩ . ( )z zJ J ′ è il numero quantico

magnetico del momento angolare totale indicato nei paragrafi precedenti con mJ. Per il calcolo di

questo elemento di matrice viene in aiuto il teorema di WIGNER-ECKART. Applicato al caso in

esame esso afferma che gli elementi di matrice di qualsiasi operatore vettoriale nello spazio (2J+1)-

dimensionale agente sugli autostati di 2J e zJ con un dato valore di J sono proporzionali agli

elementi di matrice dell’operatore J stesso, cioè

( )0| | | |z z z zJ LS J L g S J LS J g J LS J LS J J J LS J′ ′⟨ + ⟩ = ⟨ ⟩

dove g è la costante di proporzionalità espressa dal fattore di Landè e rappresenta il coefficiente di

Clebsch-Gordan della trasformazione. Nel caso specifico l’operatore vettoriale nello spazio (2J+1)-

dimensionale degli autostati di 2J e zJ è 0L g S+ . E’ da notare inoltre che gli elementi di matrice

dell’operatore 0ˆˆ

z zL g S+ (con ∧ simbolo di operatore) sono già diagonali negli stati di definito zJ ,

poiché in generale si ha che

( ) ( )0ˆˆ ˆ| | | |

z zz z z z z z z z J JJ LS J L g S J LS J g J LS J LS J J J LS J g J LS J δ ′′ ′⟨ + ⟩ = ⟨ ⟩ = . La

prima uguaglianza è vera grazie al teorema di WIGNER-ECKART, mentre la seconda viene dalla

definizione degli elementi di matrice dell’operatore zJ . Riprendendo gli elementi di matrice

dell’operatore 0L g S+ e l’uguaglianza scritta in virtù del teorema di WIGNER-ECKART si può

riscrivere il secondo membro di tale uguaglianza portando dentro gli elementi di matrice la quantità

( )g J LS così da ottenere ( )0| | | |z z z zJ LS J L g S J LS J J LS J g J LS J J LS J′ ′⟨ + ⟩ = ⟨ ⟩ .

Scritta l’uguaglianza senza gli autostati (togliendo cioè sia i bra che i ket a primo ed a secondo

membro) si ricava che

39

0L g S g J+ = (1.31)

Questa relazione è rigorosamente valida per elementi di matrice diagonali in J, L ed S, cioè

nell’ambito dell’insieme (2J+1)-dimensionale dei livelli (non separati in energia) che costituiscono

lo stato fondamentale atomico degenere in assenza di campo esterno. Un atomo (ione)

paramagnetico può infatti avere un momento magnetico diverso da zero proporzionale al numero

quantico 0J ≠ . Lo stato fondamentale è l’unico stato termicamente eccitato. Se, a causa

dell’applicazione di un campo magnetico, come spesso si verifica, la separazione in energia fra il

multipletto 2J+1 dello stato fondamentale ed il multipletto 2 1J ′+ associato al primo stato eccitato

J ′ è molto maggiore di Bk T , cioè J J BE E k T′ − , viene trascurata l’influenza che gli stati

eccitati ad energia più elevata hanno sullo stato fondamentale. In questo modo lo stato

fondamentale 2J+1 volte degenere può ancora considerarsi l’unico stato termicamente eccitato.

Solo in questo caso Eq.(1.31) permette di interpretare il primo termine al primo ordine nel campo

magnetico dell’energia perturbata di Eq.(1.26) come energia d’interazione Hμ− ⋅ del campo con

un momento magnetico μ proporzionale al momento angolare totale dello ione (atomo) e dato da

Bg Jμ μ= − (1.32)

Eq.(1.32) è esattamente uguale ad Eq.(1.16) ricavato nell’ambito della teoria quantistica del

paramagnetismo ed esprime il momento magnetico totale di uno ione (atomo) paramagnetico.

Poichè lo stato fondamentale è degenere non è più permesso calcolare la magnetizzazione come

derivata prima dell’energia perturbata e la suscettività come derivata seconda dell’energia

perturbata. Infatti, in questo caso non è più vero che l’energia libera F è uguale a 0EΔ (si veda il

paragrafo 1.4 per una dimostrazione di questa affermazione). La magnetizzazione viene quindi

calcolata in base alla sua definizione statistica, cioè T

N FMV H

∂⎛ ⎞= − ⎜ ⎟∂⎝ ⎠ e la suscettività come

/M Hχ = ∂ ∂ che implica 2

2T

N FV H

χ⎛ ⎞∂

= − ⎜ ⎟⎜ ⎟∂⎝ ⎠.

La serie di passaggi da effettuare per ricavare la magnetizzazione e da essa la suscettività è

esattamente quella già descritta fra Eq.(1.17) ed Eq.(1.22) del paragrafo 1.4 e la discussione relativa

risulta ancora valida. Quindi, anche mediante il metodo perturbativo, si ritrova la magnetizzazione

di Eq.(1.20) espressa mediante la funzione di Brillouin e la LEGGE di CURIE per la suscettività di

una sostanza paramagnetica già ricavata in Eq.(1.22).

Tuttavia la teoria quantistica del paramagnetismo basata sul metodo perturbativo trattata in questo

paragrafo dà maggiori informazioni sul paramagnetismo di atomi e ioni rispetto alla teoria

40

quantistica del paramagnetismo discussa nel paragrafo 1.4, poichè permette di descrivere una nuova

forma di paramagnetismo, detto paramagnetismo di Van Vleck, presente negli isolanti con shell

meno che semipiene dove però si realizza la condizione per cui l’autovalore del momento angolare

totale è nullo corrispondente al caso J = 0. Questo caso non poteva essere trattato nell’ambito della

teoria quantistica del paramagnetismo del paragrafo 1.4 dove veniva assunto che J fosse diverso da

zero.

Infine, è da notare che la suscettività magnetica può talvolta assumere carattere tensoriale quando il

vettore magnetizzazione M non è parallelo al vettore campo magnetico H . In questo caso la

magnetizzazione viene definita come ( )/ H TM N V F= − ∇ con ( ), ,x y zH H H H= dove

, ,Hx y zH H H

⎛ ⎞∂ ∂ ∂∇ = ⎜ ⎟⎜ ⎟∂ ∂ ∂⎝ ⎠

è il gradiente dell’energia libera F fatto rispetto ad H a temperatura T

costante e la suscettività risulta ( )ˆ / H H TN V F= = − ∇ ∇αβχ χ ; il simbolo ^ in χ indica una

grandezza tensoriale con , , ,x y zH H H=α β . Quindi, ad esempio, la componente xx del tensore vale

/x xH H

x x

N V FH H

⎛ ⎞∂ ∂= − ⎜ ⎟∂ ∂⎝ ⎠

χ e così via per le altre componenti. In notazione compatta si può porre

, , ,x y z=α β con , ,x y z rispettivamente al posto di , ,x y zH H H . In forma esplicita il tensore di

suscettività assume quindi la forma di una matrice 3 × 3

xx xy xz

yx yy yz

zx zy zz

=αβ

χ χ χ

χ χ χ χ

χ χ χ .

1.6.1 Suscettività dei metalli: paramagnetismo di Pauli

Occorre tenere presente che nei metalli anche gli elettroni di conduzione contribuiscono al

momento magnetico. E’ da notare che il paramagnetismo discusso nei paragrafi precedenti era

associato agli elettroni di valenza appartenenti alle shell più esterne di isolanti. Ci si potrebbe

aspettare che anche gli elettroni di conduzione possano fornire un contributo alla magnetizzazione

41

ed alla suscettività paramagnetica di un metallo del tipo della legge di Curie, cioè un contributo

inversamente proporzionale alla temperatura. Invece, si è osservato sperimentalmente che la

magnetizzazione di molti metalli (fra di essi anche metalli di transizione) è indipendente dalla

temperatura. Occorre quindi correggere la teoria relativa al paramagnetismo quantistico degli

elettroni di valenza appartenenti alle shell più esterne per spiegare questo comportamento associato

agli elettroni di conduzione.

Pauli dimostrò che l’applicazione della distribuzione di Fermi-Dirac avrebbe corretto la teoria come

richiesto. Si assume in prima approssimazione che gli elettroni siano liberi, cioè che non siano

soggetti all’azione di un potenziale esterno (es. potenziale periodico di un reticolo cristallino). Si fa

anche l’ipotesi che valga l’approssimazione ad elettroni indipendenti in base alla quale gli elettroni

non interagiscono fra di loro mediante un’interazione coulombiana. Se si trascura il contributo

associato al momento angolare orbitale che dà origine come vedremo ad una forma di

diamagnetismo, detta diamagnetismo di Landau, ogni elettrone è dotato solamente di momento

magnetico di spin 0spine Bg sμ μ= − . Scegliendo la direzione z (quella lungo cui viene applicato il

campo magnetico esterno) si ottiene 0spine B zg sμ μ= − . Sapendo che 1/ 2zs = ± dove il segno + (-)

indica che lo spin è parallelo (antiparallelo) ad H e che 0 2g = , ciascun elettrone fornisce alla

magnetizzazione un contributo pari a /B Vμ± dove V è il volume del sistema. In particolare, se lo

spin dell’elettrone è parallelo al campo H (momento magnetico di spin antiparallelo) il contributo

vale /B Vμ− , mentre se lo spin dell’ elettrone è antiparallelo ad H (momento magnetico di spin

parallelo) il contributo vale /B Vμ+ . Quindi, definito /n N V± ±= dove n+ ( )n− è il numero di

elettroni per unità di volume con spin parallelo (antiparallelo) ad H, la magnetizzazione totale netta

risulta ( )( ) 0B B B B BM n n n n n n− + − + − += + − = − = − >μ μ μ μ μ , poiché n n− +> (si veda dopo per una

dimostrazione).

Se ogni elettrone interagisce con il campo magnetico solo attraverso il suo momento magnetico di

spin allora l’energia d’interazione vale 0spine z BE H g s Hμ μ= − ⋅ = , poiché 0

spine B zg sμ μ= − con

1/ 2zs = ± . L’effetto del campo magnetico è quello di rimuovere la degenerazione shiftando

l’energia di ogni livello elettronico di una quantità pari ad BE Hμ= ± dove il segno + si riferisce

all’elettrone con spin parallelo al campo magnetico (spin up) e momento magnetico di spin

antiparallelo, mentre il segno – fa riferimento all’elettrone con spin antiparallelo (spin down) e

momento magnetico parallelo. Se si indica con ( )g ε+ ( ( )g ε− ) il numero di elettroni per unità di

volume con spin up (down) con energia compresa fra ε ed dε ε+ si deve avere, in assenza di un

campo magnetico esterno, che

42

( ) ( )12

g gε ε± =

poiché la probabilità di avere elettroni con spin up è uguale a quella di avere elettroni con spin

down. In base alla definizione appena data si può indicare ( )g ε+ ( ( )g ε− ) anche con

( ) ( )( )/ /dn d dn dε ε+ −

. La quantità ( ) ( ) ( )g g gε ε ε+ −= + , numero totale di elettroni per unità di

volume con energia compresa fra ε ed dε ε+ , indica quindi genericamente una densità di stati di

energia. È possibile esprimere mediante tale quantità il numero totale di elettroni per unità di

volume per ogni specie di spin (spin up e spin down) scrivendo: ( ) ( )n d g f± ±= ∫ ε ε ε dove

( ) ( )1

1f

e −=

+β ε με è la funzione di distribuzione di Fermi-Dirac ad una qualsiasi temperatura T

con μ potenziale chimico. Essa rappresenta la probabilità di occupazione o numero medio di

occupazione da parte degli elettroni di conduzione di un livello energetico presente nella banda di

conduzione di un metallo compatibilmente con il principio di esclusione di Pauli. L’energia 0ε =

corrisponde al fondo della banda di conduzione, poiché nei metalli non è presente una vera e

propria banda di valenza, ma solo una sorta di banda associata agli elettroni più vicini ai nuclei o

elettroni di core. Come si nota, per ricavare n± si deve moltiplicare la densità di stati di energia

corrispondente per la probabilità di occupazione a quella data energia. Allo zero assoluto (T = 0)

vale l’uguaglianza F=μ ε dove Fε è l’energia di Fermi.

La quantità ε è l’energia del singolo elettrone che risulta uguale alla sua energia cinetica

imperturbata. Per il principio di conservazione dell’energia, l’energia cinetica ′ε posseduta dall’

elettrone in presenza di un campo esterno H è quindi la differenza fra la sua energia totale ε e

l’energia potenziale E acquisita in presenza di un campo esterno, cioè

( )B BE H H′ = − = − ± = ∓ε ε ε μ ε μ . In particolare, per spin up, cioè per spin parallelo ad H si ha

BHε μ− , mentre per spin down, cioè per spin antiparallelo ad H si ha BHε μ+ . In presenza di un

campo magnetico esterno l’energia cinetica cambia a causa dell’interazione con H. Si ha quindi

( ) ( )

( ) ( )

1212

B

B

g g H

g g H

+

= −

= +

Densità di stati di energia con spin up

Densità di stati di energia con spin down

ε ε μ

ε ε μ

43

Si nota immediatamente dalla figura, dove è rappresentata la densità di stati di energia indicata con

/dn dE , che il numero di elettroni di energia compresa fra ε ed dε ε+ con spin down è maggiore

del numero di elettroni di energia compresa fra ε ed dε ε+ con spin up, cioè ( ) ( )g g− +>ε ε a

causa del segno + dentro la parentesi a secondo membro in ( )g− ε . Si noti che in figura l’intensità

H del campo magnetico è indicata con B.

Ciò significa che gli elettroni con momento magnetico di spin parallelo al campo sono in numero

maggiore degli elettroni con momento magnetico antiparallelo ad H come ci si doveva aspettare. E’

proprio questo eccesso di elettroni che dà il contributo al paramagnetismo degli elettroni di

conduzione.

Lo stato con energia massima corrisponde all’energia di Fermi Fε sia per gli elettroni con spin

down che per quelli con spin up. Quindi entrambe le bande elettroniche sono occupate fino

all’energia corrispondente al livello di Fermi.

Poiché gli elettroni con spin up contribuiscono con un momento magnetico pari a Bμ− e quelli con

spin down con un momento magnetico pari a Bμ+ , la magnetizzazione netta (momento magnetico

44

per unità di volume) del metallo riscritta mediante ( )g± ε che entrano a loro volta nella definizione

di n± vale

( ) ( ) ( ) ( )0 B BM g f g f d− +⎡ ⎤= −⎣ ⎦∫

Fε μ ε ε μ ε ε ε (1.33)

dove a T = 0 ( ) 1 Ff = ≤ < per 0ε ε ε ed ( ) 12Ff =ε . Si noti che Eq.(1.33) ha le dimensioni di una

magnetizzazione, poiché l’integrale dipende dal prodotto del momento magnetico Bμ per il numero

di elettroni (che è un numero puro) per unità di volume. Il numero di elettroni per unità di volume è

dato a sua volta da ( )g dε ε± con ( ) ( )/g d dn d d± ±=ε ε ε ε . Poichè l’energia d’interazione BHμ±

con il campo magnetico causa uno shift piccolo dell’energia degli elettroni (dell’ordine di 10-4 volte

Fε anche per H pari a 104 G) se paragonato a ε che è invece dell’ordine di Fε (alcuni eV), si può

sviluppare in serie di Taylor al primo ordine l’argomento di ( )g ε± , cioè

( ) ( ) ( )1 12 2B B

dgg g H g Hd

ε ε μ ε με±

⎛ ⎞= = ⎜ ⎟⎝ ⎠

∓ ∓

Basta infatti porre Bx Hε μ± = ∓ , sviluppare al primo ordine attorno a x± , cioè

( ) ( ) ( )x

dgg x g xdx

ε

ε ε±

± ±± =

= + − . Sostituendo nell’espressione della magnetizzazione di Eq.(1.33) si

ottiene

( ) ( )

( ) ( ) ( ) ( )( )

( )

0

2 2 2 2

0 0

2

12

1 02

B B B B

B B B B B

dg dgM g H g H dd d

dg dg dgg H g H d H d H g gd d d

H g

⎡ ⎤⎛ ⎞ ⎛ ⎞= + − − =⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎢ ⎥⎝ ⎠ ⎝ ⎠⎣ ⎦⎡ ⎤= + − + == = − =⎢ ⎥⎣ ⎦

=

∫ ∫

F

F F

B F

B F

ε

ε ε

μ ε μ μ ε μ εε ε

μ ε μ μ ε μ ε μ ε μ εε ε ε

μ ε

poiché ( )0 0g = . Si trova che la magnetizzazione è espressa in funzione della densità di stati g

valutata per Fε ε= . Si trova facilmente a partire dalla densità di stati di energia calcolata per

Fε ε= , cioè ( ) ( )1

3 2

3

8 2 12

F F

mg

ε ε= e dall’energia di Fermi 232 03

8Fnh

mεπ

⎛ ⎞= ⎜ ⎟⎝ ⎠

che

( ) 03 / 2F Fg nε ε= . Basta ricavare 3h dall’energia di Fermi e sostituirlo in ( )Fg ε . Infatti si ha che

45

( ) ( )3/ 22 /3 2/ 3

3/ 2 1/ 22 2 3 3/ 2 3/ 2 3/ 2 3 4 3/ 2 3/ 2

0 0 0

8 8 2 23 3 3

h m h h m h mn n n

⎛ ⎞⎛ ⎞ ⎛ ⎞⎜ ⎟= ⇒ = = ⇒ =⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎜ ⎟⎝ ⎠ ⎝ ⎠⎝ ⎠

F F Fπ π πε ε ε . Se si

sostituisce in ( )Fg ε si ottiene ( ) ( )( )

1/ 2 3 / 20

1/ 2 3 / 2 3 / 2

0

8 2 3216 2

3

= =12

F FF

F

m ngm

n

πε επ εε

In particolare, 0n è il

numero totale di elettroni per unità di volume che occupano i livelli fino al livello massimo a T = 0

corrispondente all’energia di Fermi Fε . Sostituendo ( )Fg ε nell’espressione della magnetizzazione

si ottiene

2

032

B

F

nM Hμε

= (1.34)

Questa espressione rappresenta la magnetizzazione dovuta alla riorientazione di spin degli elettroni

di conduzione per effetto di un campo magnetico. Tale effetto è quindi presente nei metalli. E’ un

effetto paramagnetico, poiché la magnetizzazione è nella stessa direzione e verso del campo

magnetico H a causa del fatto che la costante 2

032n B

F

με

è positiva e viene denominato

PARAMAGNETISMO di PAULI. La suscettività paramagnetica di spin di un metallo Pauliχ vale,

tenendo conto della definizione, /M H=χ valida quando M dipende linearmente da H

2

032

BPauli

F

n μχε

= (1.35)

Anche in questo caso la suscettività è una grandezza scalare positiva ed adimensionale. E’ da notare

che la suscettività associata al paramagnetismo di Pauli è indipendente dalla temperatura.

L’indipendenza dalla temperatura di Pauliχ è dovuta al fatto che la sua derivazione è stata effettuata

assumendo T = 0.

Tenendo presente che l’energia di Fermi per un metallo è mediamente 2F eVε ≈ (può anche avere

un valore molto più alto) si ottiene che 65 10Pauliχ −≈ × valore in accordo con il risultato

sperimentale. Tale valore è di circa un ordine di grandezza più piccolo rispetto a quella della

suscettività paramagnetica di Langevin-Larmor associato agli elettroni di valenza e discussa nei

paragrafi 1.3, 1.4 ed 1.5.2. Ciò è dovuto al fatto che l’effetto associato al principio di esclusione di

Pauli è molto più efficace del disordine termico nel contrastare l’allineamento dei momenti

magnetici con il campo magnetico esterno. Anche se nella derivazione di Eq.(1.35) si è fatta

l’ipotesi che la temperatura fosse allo zero assoluto considerando l’occupazione dei livelli fino

46

all’energia di Fermi Fε e non oltre, tale risultato vale per un intervallo di temperature diverse dallo

zero assoluto piuttosto ampio a partire da T = 0. Poichè nelle shell d- (es. W (Tungsteno)) il valore

di 0n è maggiore rispetto a quello nelle shell s- (es. Li, Ag, Cu, Au) o p- (es. Al) e quello di Fε è

invece in genere minore, il paramagnetismo elettronico dovuto agli elettroni di conduzione degli

atomi che hanno shell d- incomplete è maggiore, poiché la corrispondente Pauliχ è maggiore.

1.6.2 Suscettività dei metalli: diamagnetismo di Landau

Nella derivazione della suscettività paramagnetica degli elettroni di conduzione si è supposto che il

moto degli elettroni non venga influenzato dal campo magnetico considerando solo gli effetti

paramagnetici che si generano dall’accoppiamento dello spin dell’elettrone (momento angolare di

spin) con il campo magnetico applicato. Si è quindi implicitamente assunto che le funzioni d’onda

orbitali degli elettroni non vengano modificate dal campo H. Tuttavia ci sono anche effetti

diamagnetici che originano dall’accoppiamento del campo con il moto orbitale degli elettroni

considerati come particelle cariche che inducono una modifica delle funzioni d’onda orbitali degli

elettroni di conduzione. Landau ha dimostrato che negli elettroni liberi ciò comporta la presenza di

una magnetizzazione antiparallela ad H nota come DIAMAGNETISMO di LANDAU. In

particolare, ha ricavato una suscettività diamagnetica pari ad 1/3 della suscettività di Pauli cambiata

di segno, cioè 1/3Landau Pauliχ χ= − .

Se gli elettroni si muovono in un potenziale periodico (non sono quindi più elettroni liberi) l’analisi

diventa più complicata anche se l’ordine di grandezza della suscettività diamagnetica è ancora pari a

quello della suscettività paramagnetica. La suscettività totale che risulta da una misura del momento

magnetico di un metallo indotto da un campo esterno risulta una combinazione della suscettività

paramagnetica di Pauli dovuta agli elettroni di conduzione, della suscettività diamagnetica di

Landau associata agli elettroni di conduzione e della suscettività diamagnetica di Larmor-Langevin

associata agli elettroni più vicini ai nuclei o elettroni di core (per i metalli hanno il ruolo di elettroni

di valenza anche se non sono caratterizzati da una banda di valenza). Quest’ultima forma di

suscettività è presente in tutti i materiali, siano essi metalli all’interno di composti (in forma di ioni

con shell esterna completa e quindi aventi comportamento isolante) od isolanti puri come i gas

nobili. Non è semplice isolare facendo una misura i singoli contributi alla suscettività. La

suscettività paramagnetica di Pauli può essere estratta dalla suscettività totale di un metallo facendo

una misura basata sulla tecnica della risonanza magnetica nucleare. Tale tecnica infatti sfrutta il

47

forte accoppiamento con i momenti magnetici di spin da parte dei momenti magnetici dei nuclei

ionici usati in questa tecnica. In figura sono rappresentate le suscettività magnetiche caratteristiche

di sostanze diamagnetiche e paramagnetiche in funzione della temperatura T.

Si noti che l’ordine di grandezza della suscettività paramagnetica di Pauli è lo stesso di quello della

suscettività paramagnetica di Van Vleck anche se in media il corrispondente valore di χ è minore

per la suscettività di Pauli come si vede in figura. Per alcuni metalli di transizione tuttavia la

suscettività di Pauli è maggiore di quella di Van Vleck per gli isolanti.

FERROMAGNETISMO

Il ferromagnetismo è caratteristico dei materiali che presentano forte magnetizzazione in presenza

di un campo magnetico che rimane quando viene tolto il campo. Perché ciò avvenga ci deve essere

interazione fra i dipoli magnetici che li tiene orientati in una stessa direzione e verso (il verso risulta

opposto per spin adiacenti in un antiferromagnete) anche quando viene meno il campo. Altrimenti

non appena viene tolto il campo i dipoli si dovrebbero orientare in maniera casuale e ciò è invece

una caratteristica dei materiali paramagnetici. La maggiore responsabile di tale interazione è

48

l’energia di scambio la cui origine microscopica è di natura quantistica essendo essa associata

all’ordinaria interazione coulombiana repulsiva elettrone-elettrone ed al principio di esclusione di

Pauli. La maggior parte delle teorie di magnetismo si basano solo su questo tipo di interazione e

trascurano l’energia dipolare e l’energia di anisotropia che può a sua volta manifestarsi in diverse

forme. Infatti, sia l’energia dipolare che quella di anisotropia sono in genere poco intense rispetto

all’energia di scambio.

2.1 Interazione dipolare

L’energia d’interazione fra due dipoli aventi momenti magnetici 1μ e 2μ rispettivamente e posti ad

una generica distanza r vale

( )( )1 2 1 231 ˆ ˆ3dipolareE r rr

μ μ μ μ⎡ ⎤= ⋅ − ⋅ ⋅⎣ ⎦ (2.1)

dove ˆ / | |r r r= è il versore che individua la direzione di r con | |r r= . Come si nota

l’interazione dipolare è proporzionale all’inverso del cubo della distanza r. La forma scritta è anche

simmetrica per i due dipoli, cioè risulta invariante se si scambia 1μ con 2μ . In generale l’energia

dipolare agisce a distanze dell’ordine di 1 micron. E’ utile dare una stima dell’ordine di grandezza

dell’interazione dipolare od interazione dipolo-dipolo che per definizione è un’interazione a lungo

raggio a causa della dipendenza dall’inverso del cubo della distanza. Una buona stima

dell’interazione dipolare si ottiene assumendo che i momenti magnetici siano 1 2 Bgμ μ μ≈ ≈ così

che l’energia, trascurando i contributi angolari contenuti nei prodotti scalari, vale

approssimativamente

( )2

3dipolareBg

Erμ

Tenendo presente che la distanza dei dipoli magnetici in un ferromagnete è tipicamente dell’ordine

di 2 A si trova che 410dipolare eVE −≈ , cioè un valore molto piccolo rispetto all’interazione

elettrostatica che porta a delle differenze di energie fra gli stati atomici dell’ordine di 1eV .

L’interazione dipolare è quindi troppo debole per giustificare il ferromagnetismo.

Si può rappresentare il sistema nella forma schematizzata in figura. A sinistra è disegnato

genericamente l’insieme dei momenti magnetici in un ferromagnete, mentre a destra è illustrata la

49

configurazione di due momenti magnetici 1μ e 2μ in corrispondenza della quale l’interazione

dipolare in un sistema magnetico reale risulta minima.

Si noti che l’energia dipolare di Eq.(2.1) risulta minima in un sistema ideale quando una coppia di

dipoli 1μ e 2μ è allineata in modo tale che la freccia di un dipolo sia rivolta verso il punto di

applicazione dell’altro (i due dipoli sono cioè lungo la direzione del vettore congiungente r ).

Tuttavia nei sistemi fisici reali, per minimizzare l’energia dipolare i dipoli 1μ e 2μ tendono a

disporsi ortogonalmente ad r e con verso opposto a causa ad esempio della presenza di

anisotropie. Quindi l’interazione dipolare non favorisce l’allineamento dei dipoli, ma il loro

antiallineamento. Da notare che entra in gioco nella minimizzazione energetica la posizione relativa

rispetto al vettore r congiungente i due dipoli. Come vedremo, anche questo fatto differenzia

l’interazione dipolare rispetto all’interazione di scambio dove invece compare solamente la

posizione relativa fra le coppie di momenti magnetici individuata dall’angolo compreso fra di essi.

2.2 Interazione di scambio

Come anticipato, il ferromagnetismo si spiega grazie all’interazione di scambio che è a corto raggio

e più intensa di quella dipolare. Per spiegare l’origine microscopica di questo tipo di interazione che

sta alla base del ferromagnetismo consideriamo un sistema a due elettroni appartenenti ciascuno ad

un nucleo e quindi spaiati. Esso può essere rappresentato ad esempio da una molecola d’idrogeno in

cui si considera in un primo momento solo l’interazione coulombiana repulsiva fra i due elettroni e

50

si trascurano le interazioni di ciascuno dei due elettroni con i due nuclei. E’ noto che il principio di

esclusione di Pauli, che può essere riformulato nei termini di antisimmetria della funzione d’onda

complessiva (parte spaziale e di spin), può portare ad effetti magnetici anche quando non ci sono

termini dipendenti dallo spin nell’Hamiltoniana H. Poiché l’Hamiltoniana (intesa come operatore)

di un sistema a due elettroni, data dalla somma di un termine di energia cinetica

( )2

2 21 22

Tm

= − ∇ +∇ ed uno d’energia potenziale ( )1 2,V r r , non dipende dallo spin, lo stato

stazionario di un sistema a due elettroni può essere scritto come il prodotto di uno stato stazionario

puramente orbitale la cui funzione d’onda elettronica vale ( )1 2,r rψ e soddisfa l’equazione di

Schrödinger elettronica orbitale indipendente dal tempo

( ) ( ) ( ) ( ) ( )2

2 21 2 1 2 1 2 1 2 1 2, , , ,

2r r r r V r r E r r

m= − ∇ +∇ + =ψ ψ ψH (2.2)

e di uno stato di spin dato dalle possibili combinazioni lineari dei 4 stati di spin (funzione d’onda di

spin) indicati con

, , ,↑↑ ↑↓ ↓↑ ↓↓

dove ↑ indica sz = + 1/2 (spin up) e ↓ indica sz = -1/2 (spin down). Nell’Eq.(2.2) l’operatore

energia potenziale è un’energia di interazione coulombiana fra i due elettroni, cioè

( )2

1 21 2

, eV r rr r

=−

.

Si possono scegliere le combinazioni lineari in modo tale da ottenere valori definiti dello spin totale

S dei due elettroni e della sua componente Sz, somma delle componenti sz dei singoli spin lungo

l’asse z. Come noto queste 4 combinazioni, ognuna delle quali esprimente la funzione d’onda di

spin, sono rappresentate da 1 stato di singoletto (da cui il nome singoletto) caratterizzato da spin

totale S = 0 e componente totale Sz = 0 e da 3 stati di tripletto (da cui il nome tripletto) caratterizzati

da spin totale S = 1 e componente Sz = 1,0,-1 rispettivamente, cioè

51

( ) ( )

( ) ( )

S 1 2

T 1 2

1, 0, =0 Singoletto2

1, = 1

1, 1, =0 Tripletto2

1, =-1

z

z

z

z

s s S S

S S

s s S S

S S

= ↑↓ − ↓↑ =

⎧ ↑↑ =⎪⎪⎪= ↑↓ + ↓↑ =⎨⎪⎪ ↓↓ =⎪⎩

χ

χ

Lo stato di singoletto è descritto da una combinazione antisimmetrica degli spin, cioè cambia segno

per scambio degli spin (scambio “spin up” con “spin down”) per cui ( ) ( )S 1 2 S 2 1, ,s s s sχ χ= − . E’

ragionevole scegliere tale stato di spin come antisimmetrico, poiché si deve differenziare il caso con

spin 1 up e spin 2 down dal caso in cui vengono scambiati gli spin, cioè quello con spin 1 down e

spin 2 up. I 3 stati di tripletto sono espressi invece da combinazioni simmetriche, cioè non cambiano

segno per scambio degli spin per cui ( ) ( )T 1 2 T 2 1, ,s s s sχ χ= . Anche in questo caso è ragionevole

scegliere tali stati come simmetrici, perché lo scambio dello spin 1 con lo spin 2 non ha un effetto

sul sistema degli spin. Corrispondentemente, a causa dell’antisimmetria della funzione d’onda totale

imposta dal principio di esclusione di Pauli, la funzione d’onda orbitale dello stato di singoletto è

simmetrica rispetto allo scambio delle posizioni delle due particelle, cioè di 1r con 2r , per cui viene

scritta mediante la seguente combinazione lineare ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( )1 2 1 1 2 2 2 1 1 21,2S r r r r r rψ φ φ φ φ= + dove

1φ si riferisce al nucleo 1 posto in 1R e 2φ al nucleo 2 posto in 2R . Quindi si ha che

( ) ( )1 2 2 1, ,S Sr r r rψ ψ= . Da notare che, in base a questo tipo di rappresentazione, l’elettrone avente

posizione 1r può appartenere al nucleo 2 avente posizione 2R e viceversa per l’elettrone avente

posizione 2r a causa del principio di indistinguibilità. In questo scambio di posizioni sta la chiave

del problema che porterà alla determinazione dell’integrale di scambio. Invece, la funzione d’onda

orbitale di tripletto è antisimmetrica rispetto allo scambio di 1r con 2r per cui viene espressa

mediante la combinazione lineare ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( )1 2 1 1 2 2 2 1 1 21,2T r r r r r rψ φ φ φ φ= − per ragioni simili a

quelle di ( )1 2,S r rψ . Quindi si ha che ( ) ( )1 2 2 1, ,T Tr r r rψ ψ= − .

52

Indichiamo con Es ed Et i due autovalori più piccoli (corrispondenti cioè allo stato fondamentale di

energia minima), soluzioni dell’equazione di Schrödinger orbitale (cf. Eq.(2.2)), associati

rispettivamente allo stato di singoletto ed allo stato di tripletto. Oltre a questi va considerato

l’autovalore associato all’interazione coulombiana fra i due elettroni ( )1 2,V r r . Ancora una volta si

nota che lo spin non influenza l’energia del sistema, perché gli autovalori, soluzione dell’Eq.(2.2),

sono autovalori (energie) della parte orbitale dell’equazione di Schrödinger che è per definizione

spin indipendente.

Se si rappresenta lo stato generale di una molecola come una combinazione lineare dei 4 stati di

spin, 3 di tripletto ed 1 di singoletto, discussi precedentemente è conveniente avere un operatore

chiamato Hamiltoniana di spin spinH i cui autovalori Es ed Et danno gli spin degli stati

corrispondenti, rispettivamente di singoletto e di tripletto. Vale per l’operatore vettoriale di spin

totale 2S la condizione

( )22 2 21 2 1 2 1 22S s s s s s s= + = + + ⋅

dove il doppio prodotto deriva dalla commutatività dei due operatori di spin su siti diversi (gli spin

appartengono infatti ad atomi diversi), cioè 1 2 2 1s s s s⋅ = ⋅ . Si ha che l’operatore 2S soddisfa

l’equazione agli autovalori ( ) ( ) ( )21 2 1 2, 1 ,S s s S S s s= +χ χ e l’autovalore corrispondente vale

( )1S S + . Analogamente, devono valere le equazioni agli autovalori per gli operatori di singolo

spin 21s ed 2

2s , cioè ( ) ( ) ( )21 1 1 1 11s s s s s= +χ χ ed ( ) ( ) ( )2

2 2 2 2 21s s s s s= +χ χ dove gli autovalori

corrispondenti valgono ( )1 1 1s s + ed ( )2 2 1s s + , rispettivamente, ognuno dei quali è uguale ad

( )1/ 2 1/ 2 1 3/ 4+ = . Si trova, in base alla relazione scritta fra gli operatori ed in base alle equazioni

agli autovalori per 2S , 21s ed 2

2s che l’autovalore ( )21s sE ⋅ associato all’operatore

( )( )2 2 21 2 1 2 / 2s s S s s⋅ = − + può essere scritto in funzione degli altri autovalori, cioè come

( ) ( ) ( )( ) ( ) ( )2 1 1 2 2

3 3 31 ( 1) ( 1) / 2 1 / 2 1 / 24 4 21s sE S S s s s s S S S S⋅

⎛ ⎞⎛ ⎞ ⎛ ⎞= + − + + + = + − + = + −⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎜ ⎟⎝ ⎠ ⎝ ⎠⎝ ⎠

Si possono distinguere due casi:

a) Stato di SINGOLETTO S = 0. L’autovalore di 2S vale S(S+1), cioè 0.

L’autovalore corrispondente di 1 2s s⋅ vale ( )0 3/ 2 / 2 3/ 4− = −

b) Stato di TRIPLETTO S = 1. L’autovalore di 2S vale S(S+1), cioè 2.

53

L’autovalore corrispondente di 1 2s s⋅ vale ( )2 3/ 2 / 2 1/ 4− = +

Di conseguenza si può costruire il seguente operatore, Hamiltoniana di spin, nella forma

( ) ( ) 1 21 34 s t s tE E E E s s+ − − ⋅spinH =

La corrispondente equazione di Schrödinger è data da ( ) ( )1 2 1 2, ,s s E s sspin spinχ χH = . Tale

operatore è scritto in modo tale che nello stato di singoletto esso abbia autovalore spinE pari

all’autovalore Es dell’Hamiltoniana di partenza e nello stato di tripletto abbia autovalore spinE pari

all’autovalore Et dell’Hamiltoniana di partenza (cf. Eq. 2.2). Infatti si ha

Stato di SINGOLETTO: l’autovalore di 1 2s s⋅ vale -3/4 per cui

( ) ( )1 3 1 3 3 334 4 4 4 4 4

spins t s t s t s t sE E E E E E E E E E⎛ ⎞+ − − − = + + − =⎜ ⎟

⎝ ⎠=

Stato di TRIPLETTO: l’autovalore di 1 2s s⋅ vale +1/4 per cui

( ) ( )1 1 1 3 1 134 4 4 4 4 4

spins t s t s t s t tE E E E E E E E E E⎛ ⎞+ − − + = + − + =⎜ ⎟

⎝ ⎠=

Ridefinendo lo zero dell’energia si può omettere la costante ( )3 / 4s tE E+ comune a tutti e quattro

gli stati e scrivere l’Hamiltoniana di spin spinH nella forma

1 22J s s− ⋅spinH = (2.3)

con 2 s tJ E E= − e J integrale di scambio. L’Hamiltoniana di Eq.(2.3) prende il nome di

Hamiltoniana di Heisenberg. Si può infatti dimostrare, utilizzando il metodo di Heitler-London

applicato alla molecola di idrogeno, che due particelle (elettroni) 1 e 2 aventi posizioni 1r ed 2r ed

orbitanti attorno a due nuclei aventi posizioni 1R ed 2R interagiscono attraverso un’energia

coulombiana diretta ed una energia di scambio. L’Hamiltoniana corrispondente, detta di Heitler-

London, è quella espressa dall’operatore di Eq.(2.2) a cui vanno aggiunte le interazioni

coulombiane negative elettroni-nuclei, cioè 2 2 2 2

1 1 2 2 1 2 2 1

e e e er R r R r R r R

− − − −− − − −

, e quella positiva

nucleo-nucleo 2

1 2

eR R

+−

in modo tale che l’Hamiltoniana di Heitler-London risulta

54

( )2 2 2 2 2 2 2

2 21 2

1 2 1 1 2 2 1 2 2 1 1 22HLe e e e e eH

m r r r R r R r R r R R R

⎡ ⎤ ⎡ ⎤⎢ ⎥ ⎢ ⎥= − ∇ +∇ + − + − − − +

−⎢ ⎥ ⎢ ⎥− − − − −⎣ ⎦ ⎣ ⎦. Assumendo

che i nuclei si trovino a grande distanza grazie a cui la funzione d’onda del sistema a due elettroni

può essere fattorizzata nelle funzioni d’onda associate a ciascun atomo si ottiene

( ) ( ) ( ) ( )2 2 2 2

1 2 1 1 2 2 1 1 2 21 2 1 2 1 2 2 1

e e e eK d r d r r r r rr r R R r R r R

∗ ∗⎛ ⎞⎜ ⎟⎡ ⎤ ⎡ ⎤= + − −⎣ ⎦ ⎣ ⎦⎜ ⎟− − − −⎝ ⎠

∫ φ φ φ φ

( ) ( ) ( ) ( )2 2 2 2

1 2 1 1 2 2 2 1 1 21 2 1 2 1 2 2 1

e e e eJ d r d r r r r rr r R R r R r R

∗ ∗⎛ ⎞⎜ ⎟⎡ ⎤ ⎡ ⎤= + − −⎣ ⎦ ⎣ ⎦⎜ ⎟− − − −⎝ ⎠

∫ φ φ φ φ

dove K esprime l’energia coulombiana e J quella di scambio. Entrambi gli integrali hanno quindi le

dimensioni di un’energia. In particolare, si può ricavare J determinando la differenza fra Es ed Et, a

partire dall’Hamiltoniana di Heitler-London, cioè scrivendo ( )( )

( )( )

, ,, ,

s HL s t HL ts t

s s t t

H HE E

ψ ψ ψ ψψ ψ ψ ψ

− = −

dove ( ),i HL iHψ ψ con i = s, t indica l’elemento di matrice e ( ),i iψ ψ è l’integrale di

normalizzazione anch’esso espresso in forma di elemento di matrice. Si ricava l’integrale di

scambio come ( ) / 2s tJ E E= − . Nel calcolo si possono usare per esempio le autofunzioni non

normalizzate ( ) ( ) ( ) ( ) ( )1 2 1 1 2 2 2 1 1 2,S r r r r r rψ φ φ φ φ= + e ( ) ( ) ( ) ( ) ( )( )1 2 2 1 1 2 1 1 2 2, 2S r r r r r rψ φ φ φ φ= − ,

rispettivamente per lo stato di singoletto e di tripletto che si possono ottenere a partire

dall’approssimazione ad elettroni indipendenti. A causa del fatto che i nuclei si assumono a grande

distanza si può trascurare il quadrato dell’integrale di sovrapposizione 2sI che ha origine

dall’integrale di normalizzazione ( ),i iψ ψ . In particolare

( ) ( ) ( ) ( )1 1 1 2 1 2 1 2 2 2sI d r r r d r r r∗ ∗= =∫ ∫φ φ φ φ . I termini in parentesi tonda indicano

rispettivamente l’interazione coulombiana repulsiva fra i due elettroni, l’interazione coulombiana

repulsiva fra i due nuclei, l’interazione coulombiana attrattiva fra l’elettrone 1 ed il nucleo 2 e

l’interazione coulombiana attrattiva fra l’elettrone 2 ed il nucleo 1. Il secondo, il terzo ed il quarto

termine di interazione vengono sommati al primo termine di interazione repulsiva fra i due elettroni

che corrisponde all’operatore ( )1 2,V r r nell’equazione elettronica (cf. Eq.(2.2)) per tenere conto

dell’energia potenziale totale del sistema includendo anche le energie di interazione elettroni-nuclei

e nucleo-nucleo. In particolare, grazie all’approssimazione di Born-Oppenheimer, il potenziale

d’interazione fra i due nuclei può essere assunto come costante se riferito al moto elettronico. I

55

termini di interazione coulombiana 2

1 1

er R

−−

e 2

2 2

er R

−−

degli elettroni 1 e 2 con i corrispettivi

nuclei non entrano negli integrali K e J essendo termini associati agli atomi di idrogeno isolati.

Entrambi i termini K e J sono scritti come elementi di matrice fra due stati espressi solo da funzioni

d’onda orbitali. Esse risultano reali, poiché sono funzioni d’onda dello stato fondamentale di

ciascun atomo di idrogeno che per definizione sono reali per cui si può omettere la complessa

coniugazione. Poiché J si riferisce alla differenza fra l’energia dello stato di singoletto e quella dello

stato di tripletto prende anche il nome di “splitting” di scambio. Le autofunzioni che compaiono in

K ed in J sono autofunzioni orbitali e non di spin. Mentre l’integrale coulombiano K ha un analogo

classico, perché l’elemento di matrice è fra stati uguali pari a ( ) ( )1 1 2 2r rφ φ , l’integrale di scambio J

è calcolato fra due stati che differiscono fra loro per uno scambio delle posizioni 1r ed 2r dei due

elettroni dati rispettivamente da ( ) ( )1 1 2 2r rφ φ e ( ) ( )2 1 1 2r rφ φ . Da notare che nell’integrale di

scambio J si ha lo scambio delle posizioni spaziali dei 2 elettroni che a sua volta implica uno

scambio fra gli spin assegnati a ciascun nucleo. A causa di questa peculiarità legata alle

autofunzioni, l’origine dello scambio può quindi essere spiegato solamente mediante leggi

quantistiche e non ha controparte classica.

Se ci si limita a considerare un sistema a due elettroni come la molecola di idrogeno si può

affermare, grazie ad un teorema valido per sistemi a due elettroni, che lo stato fondamentale è

caratterizzato da una funzione d’onda orbitale simmetrica corrispondente ad uno stato di singoletto

(S = 0) per cui si ha sempre che s tE E< da cui 0J < , poiché l’energia di singoletto è l’energia

minima. L’energia totale d’interazione si ottiene dall’integrazione dell’equazione di Schrödinger

(cfr. Eq.(2.2)) in cui si considera per H l’Hamiltoniana completa di Heitler-London. Tralasciando

il contributo costante imperturbato 2E0 associato ai due atomi considerati separatamente e

contenente i due termini di energia cinetica dei due elettroni ed i termini di interazione di ciascun

elettrone con il proprio nucleo, l’energia totale può essere scritta come Etot= K±J (K e J sono

entrambi negativi) dove il segno + vale per spin antiparalleli (singoletto) ed il segno – per spin

paralleli (tripletto). La differenza fra l’energia corrispondente allo stato di tripletto e quella

corrispondente allo stato di singoletto vale Et - Es= (K-J) -(K+J) = -2 J. E’ da notare che, mediante il

metodo di Heitler-London, si spiega il legame covalente che caratterizza il più importante

contributo al legame nella molecola di idrogeno. Tuttavia, mediante il metodo di Heitler-London, si

ottiene solo una stima grossolana dell’energia di legame , poiché occorre tenere presente che il

legame ha in parte anche una natura ionica del tipo H+ H-. Per tenere conto di questo contributo

occorre aggiungere alla funzione d’onda orbitale dello stato fondamentale di singoletto anche un

56

termine che tiene conto del fatto che entrambi gli elettroni possono appartenere ad un unico atomo,

cioè una combinazione del tipo ( ) ( ) ( ) ( )1 1 2 1 1 2 2 2r r r r+φ φ φ φ

Tuttavia, se si considera un solido costituito da N atomi o in generale da molecole complesse (caso

più frequente), a causa di effetti a molti corpi, l’integrale di scambio J può essere positivo o

negativo per cui nei solidi anche lo stato di tripletto può essere lo stato fondamentale. Risulta

evidente che il ferromagnetismo si manifesta in elementi che hanno un numero piuttosto elevato di

elettroni spaiati, cioè quelli i cui momenti angolari di spin non si cancellano. Inoltre la

sovrapposizione delle funzioni d’onda orbitali, che entrano direttamente nella definizione

dell’integrale di scambio, deve risultare piuttosto marcata in modo tale che J assuma valori

sufficientemente grandi. Si vede facilmente che l’interazione di scambio decresce rapidamente al

crescere della distanza fra gli elettroni appartenenti ad atomi diversi. Infatti, ciascuna funzione

orbitale elettronica è maggiormente localizzata nell’intorno di ir R= con i =1,2 (cioè vicino a

ciascun nucleo) per poi decrescere molto rapidamente. Di conseguenza, l’energia di scambio

diminuisce rapidamente per distanze superiori a 1 2R R− , cioè per distanze superiori alla distanza

fra i due nuclei primi vicini. Quindi, praticamente solo gli atomi primi vicini di un determinato

atomo in un cristallo contribuiscono all’interazione di scambio. Si può modellare fenomeno

logicamente l’interazione di scambio mediante un esponenziale decrescente. Esso tende a zero più

rapidamente di una potenza inversa del cubo della distanza che è invece caratteristico

dell’interazione dipolare. In base a queste considerazioni risulta chiaro come in alcuni elementi di

transizione (ad esempio il ferro, il nichel ed il cobalto) gli elettroni della shell d- (la più esterna),

che risultano spaiati a causa della incompletezza della stessa, siano responsabili del loro

comportamento ferromagnetico basato sull’interazione di scambio fra atomi vicini. Anche le loro

corrispondenti leghe manifestano per ragioni simili un comportamento ferromagnetico. Infine,

ancora per le stesse ragioni, alcune leghe del manganese (MnAs, MnBi ed MnSb), ma non il

manganese preso come elemento singolo, sono ferromagnetiche.

L’Hamiltoniana di Eq.(2.3) è molto semplice, perché dipende SOLO dal prodotto scalare dei due

operatori di spin. Se J > 0 l’energia di scambio risulta minima quando gli spin sono paralleli dando

luogo allo stato FERROMAGNETICO. Infatti, trattando i due operatori vettoriali 1s ed 2s come

vettori ed indicando con θ l’angolo fra essi compreso si ha che

1 2 1 2 1 2 1 22 2 | || | cos 0 2 | || | ( 1) 2 0J s s J s s J s s J s s= − ⋅ = − = − + = − <spinH dove 0θ = ,

mentre si otterrebbe 1 22 0J s s > per spin antiparalleli. La sostanza corrispondente è denominata

57

FERROMAGNETICA. E’ da notare che se J > 0 ciò implica, tenendo presente che 2 s tJ E E= − ,

che t sE E< , cioè lo stato di tripletto a spin paralleli minimizza l’energia di scambio.

Invece, se J < 0 l’energia di scambio risulta minima quando gli spin sono antiparalleli dando luogo

allo stato ANTIFERROMAGNETICO. Infatti, in questo caso si ha

( )1 2 1 2 1 2 1 22 2 | || | cos 2 | || | 1 2 0J s s J s s J s s J s s= − ⋅ = − = − − = <spin πH dove θ π= ,

mentre si otterrebbe 1 22 0J s s− > per spin paralleli. Le sostanze caratterizzate da questo

accoppiamento sono ANTIFERROMAGNETICHE. Se J < 0 si ha che s tE E< , cioè lo stato di

singoletto a spin antiparalleli minimizza l’energia di scambio.

Esiste anche un terzo tipo di accoppiamento simile all’antiferromagnete rappresentato dal

FERRIMAGNETE (ad esempio la magnetite (FeO x Fe2O3)) dove gli spin sono antiparalleli, ma

non hanno la stessa grandezza. I tre tipi di sistemazioni ordinate di spin sono illustrati in figura.

L’accoppiamento di scambio dipende solo dalla posizione relativa dei due spin, ma non dalle

direzioni di ogni singolo spin rispetto al vettore congiungente i due spin 1 2r r− con 1r vettore

posizione dello spin 1 ed 2r vettore posizione dello spin 2. L’interazione di scambio è

un’interazione di origine quantistica a CORTO RAGGIO che, come già affermato, coinvolge

soprattutto coppie di primi vicini. Tuttavia, nei solidi magnetici il ferromagnetismo è rappresentato

dall’ Hamiltoniana generale

scambio ij i jij

J s s− ⋅∑H =

dove si è estesa la somma a tutte le coppie di spin. Quindi, in teoria non solo gli atomi primi vicini,

ma anche i vicini di ordine superiore contribuiscono all’interazione di scambio. Si è indicato

genericamente con ijJ la costante di scambio fra l’atomo i-esimo e l’atomo j-esimo (quella indicata

in Eq.(2.3) con 2 J). Inoltre, a fissato ione i-esimo, la costante di scambio per ogni coppia di spin è

diversa: in particolare, se si considerano n vicini (n=1 primi vicini, n=2 secondi vicini e così via) si

58

ha ( )1 2 3 1 2 3... ...i i i i i i i i n i i i i i i i i nJ J J J J J J J+ + + + − − − −≠ ≠ ≠ ≠ ≠ ≠ dove si è supposto per semplicità di

essere nel caso unidimensionale. Spesso però nei modelli si considera realistica la somma estesa ai

soli atomi primi vicini (2 nel caso unidimensionale), poichè essa rappresenta anche nei solidi il

contributo più grande all’energia di scambio. Di conseguenza, l’integrale di scambio risulta uguale

per ogni coppia ij con j = i ± 1 e può essere posto uguale a J. Sulla base di questa approssimazione

si riscrive l’Hamiltoniana di scambio nella forma

scambio i jij

J s s⟨ ⟩

− ⋅∑H = (2.4)

dove ij⟨ ⟩ indica che la somma è fatta sui primi vicini.

2.3 Domini magnetici

I domini magnetici sono regioni di un sistema ferromagnetico con magnetizzazione diversa. La

formazione dei domini dipende dalla forma e dalle dimensioni del sistema e la magnetizzazione

cambia orientazione passando da un dominio a quello adiacente. I domini magnetici sono chiamati

anche domini di Weiss. Il confine che divide un dominio da quello adiacente prende il nome di

parete di dominio. A causa dell’energia in gioco il confine fra due domini adiacenti può essere netto

(la parete ha spessore tendente a zero) oppure graduale (la parete ha spessore finito). In quest’ultimo

caso la parete di dominio è più estesa ed il costo energetico in energia di scambio per formarla è

minore rispetto al caso in cui il confine è netto. Nella realtà la parete ha comunque sempre uno

spessore diverso da zero ed il suo spessore dipende dalla competizione fra l’energia di scambio e

quella di anisotropia. La parete di dominio è detta di Bloch se la magnetizzazione all’interno della

parete ruota in un piano parallelo alla parete stessa (caso (a) di figura). La parete è invece detta di

Néel se la magnetizzazione ruota in un piano perpendicolare alla parete di dominio (caso (b) di

figura).

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Nei sistemi magnetici le pareti che si formano più frequentemente sono quelle di Bloch. In figura è

riportata una configurazione a singolo dominio e due esempi di configurazioni a doppio dominio

separati da una parete di dominio che segna un confine netto fra i due domini.

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Nella configurazione a singolo dominio schematizzata in alto è favorito energeticamente lo scambio

ferromagnetico (J >0), poiché gli spin sono tutti paralleli a causa dell’azione del campo magnetico

esterno e gli spin interagiscono mediante un’interazione di scambio ferromagnetica.

Nella prima configurazione a doppio dominio (Es.1) si può affermare che dal punto di vista

dell’interazione di scambio ferromagnetico si ha un danno energetico passando dalla configurazione

con magnetizzazione up alla configurazione con magnetizzazione down, perché si accumula

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un’energia in eccesso pari a 2 J. Infatti, assumendo gli spin di modulo unitario, quando essi sono

paralleli l’energia di scambio di una coppia di spin vale J↑↑ = −scambioH , mentre quando sono

antiparalleli J↑↓ =scambioH come si verifica per le coppie di spin adiacenti presenti in figura

rispettivamente nel dominio di sinistra ed in quello di destra. La differenza fra le due energie è

quindi ( ) 2J J J↑↓ ↑↑− = − − =scambio scambioH H . Invece, dal punto di vista dell’interazione dipolare

la configurazione è energeticamente conveniente. Infatti, l’interazione dipolare è per definizione

un’interazione a lungo raggio ed una configurazione favorevole per l’energia dipolare si ha quando

gli spin (atomi) sono disposti ortogonalmente rispetto al vettore congiungente ed antiparallelamente

gli uni (dominio di sinistra) rispetto agli altri (dominio di destra) come in questo caso. Inoltre i

primi (Ii) vicini (atomi) che interagiscono mediante l’interazione di scambio sono molti meno

rispetto alla totalità degli atomi. Pur essendo più debole, in questa configurazione l’interazione

dipolare è più importante dello scambio.

Invece, la seconda configurazione a doppio dominio (Es.2) dove i primi vicini sono in numero

maggiore rispetto ai vicini di ordine superiore (non rappresentati per semplicità in figura perchè

presenti in numero basso) non è energeticamente favorevole nè per lo scambio ferromagnetico (per

la stessa ragione del caso precedente) nè per l’interazione dipolare a causa della scarsità di atomi

secondi, terzi, ect… vicini che interagirebbero mediante un’interazione a lungo raggio.

L’interazione di scambio è comunque la più importante ed anche la più forte.

E’ interessante studiare il comportamento di un sistema a doppio dominio come quello dell’Es.1

sotto l’azione di un campo magnetico esterno. Si verifica che il dominio avente magnetizzazione

parallela ad H risulta più esteso rispetto al dominio con magnetizzazione antiparallela. Il sistema

presenta magnetizzazione netta parallela alla direzione di H . Infine, lo spostamento della parete di

dominio in seguito all’azione di un campo esterno è dovuta al campo esterno stesso che porta ad

un’estensione del dominio con magnetizzazione parallela ad H . Tale spostamento si può bloccare a

causa di difetti reticolari. In figura è rappresentato lo spostamento della parete dalla posizione P alla

posizione P1 in un sistema a due domini. Al crescere dell’intensità di H nel tempo, se non si

verificano blocchi dovuti a difetti reticolari, il dominio di sinistra con magnetizzazione parallela ad

H aumenta di dimensioni a causa dello spostamento della parete verso destra, mentre quello di

destra, con magnetizzazione antiparallela ad H , si riduce sempre più. Si arriva alla fine del

processo di spostamento ad avere un singolo dominio con magnetizzazione parallela ad H in tutto il

sistema.

62

2.4 Ferromagnete semplice

In generale i sistemi magnetici sono interessanti, perché presentano transizioni di fase. Il tipo di

interazioni associate alle transizioni di fase sono quella di scambio e quella Zeeman esprimente

l’interazione del sistema con il campo magnetico esterno. Si devono considerare materiali a singolo

dominio, cioè sistemi sufficientemente piccoli affinché non si verifichi il fenomeno dei domini

magnetici. Un ferromagnete caratterizzato solo da interazione di scambio ed interazione con il

campo magnetico esterno si chiama FERROMAGNETE SEMPLICE. In un ferromagnete semplice

tutti i dipoli sono uguali, l’integrale di scambio è POSITIVO ( J > 0) ed a temperatura T = 0 i dipoli

magnetici sono tutti allineati fra di loro.

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L’Hamiltoniana di un ferromagnete semplice ha la forma

i j iij i

J Hμ μ μ⟨ ⟩

− ⋅ − ⋅∑ ∑H = (2.5)

dove iμ ( jμ ) è il momento di dipolo dell’atomo i-(j)-esimo ed H è il campo magnetico esterno. In

questo caso J ha le dimensioni di un’energia e si assume che anche H abbia le dimensioni di

un’energia, poiché il momento magnetico iμ è assunto adimensionale. Il primo termine

dell’Hamiltoniana è il termine di scambio con interazione a primi vicini, mentre il secondo termine

esprime l’interazione con il campo (termine Zeeman). Se si pone J = 0 si ha un paramagnete

semplice.

Dal punto di vista classico il momento magnetico generico μ precede attorno ad H formando un

cono di precessione come disegnato in figura.

Dal punto di vista quantistico lo schema è simile, ma solo per gli autovalori (corrispondenti alle

frequenze dei modi normali calcolate classicamente) perché i vettori μ sono elevati al rango di

operatori e la componente z ( zμ ) del momento magnetico è quantizzata. Inoltre, gli autovalori sono

quantizzati secondo le regole della meccanica quantistica.

Esiste anche un modello semiclassico dove vengono considerati vettori μ la cui componente nella

direzione del campo è però ancora quantizzata. Essa è uguale a 0μ+ se è parallela ad H , mentre

vale 0μ− se è antiparallela. Anche se si parla di vettori e non di operatori si ha lo stesso una

quantizzazione della componente z del momento magnetico.

μzμ

H z

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Per studiare la dinamica dei modi di spin nei sistemi continui (infiniti o confinati) si può seguire sia

l’approccio semiclassico che quello quantistico.

2.4.1 Diagramma di fase di un ferromagnete semplice

Il diagramma di fase del ferromagnete semplice disegnato in figura è individuato dalle variabili H,

T, M ed n dove H è il campo magnetico, T è la temperatura assoluta del sistema, M è la

magnetizzazione ed n il numero di moli che è considerato costante. Si ha che M = M(H,T), cioè la

magnetizzazione M dipende sia dal campo applicato H che dalla temperatura T e le tre grandezze

sono legate da una sorta di equazione di stato. Il sistema è scelto in modo tale che il campo

applicato sia lungo la direzione z, cioè ˆH z . La temperatura critica Tc è la temperatura in

corrispondenza della quale la magnetizzazione è nulla in assenza di un campo magnetico applicato e

segna il passaggio dalla fase ferromagnetica alla fase paramagnetica o viceversa (transizione di fase

ferromagnete↔paramagnete).

Si può individuare, per T < Tc, una linea di transizioni di fase del primo ordine ad H = 0. Se T = 0 ed

H è diretto lungo + z si ottiene /M N Vμ= (N è il numero di atomi e V il volume del sistema) che

rappresenta il valore massimo. Se invece H ha verso opposto si ottiene /M N Vμ= − , valore

per H = 0

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minimo. La transizione è quindi del primo ordine. Il vettore magnetizzazione è indicato in figura

con una freccia verso l’alto (per H positivo) e con una verso il basso (per H negativo). Quando la

temperatura sale alcuni dipoli iniziano a ruotare a causa dell’agitazione termica. Quindi, non si avrà

più il valore della magnetizzazione massima o minima. A T = Tc per H = 0 si ha una transizione

continua o critica e per questa ragione Tc prende il nome di punto critico. Anche a temperatura T

molto elevata non si può avere M = 0 quando 0H ≠ , cioè in presenza di un campo esterno. Per T >

Tc e per H = 0 si ha M = 0.

In figura è disegnato l’andamento della magnetizzazione in funzione della temperatura per H = 0. Si

vede che per T < Tc la magnetizzazione è diversa da zero. Per cT T≥ la magnetizzazione è nulla.

Equivalentemente la curva della magnetizzazione per M <0 risulterebbe simmetrica rispetto all’asse

delle T e per cT T≥ risulterebbe anch’essa uguale a zero.

La classificazione delle transizioni di fase, di cui queste appena descritte fanno parte, verrà discussa

nel Capitolo “Transizioni di fase”.

Tc T

M

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2.5 Temperatura di Curie e legge di Curie-Weiss

La temperatura di Curie è la temperatura al di sopra della quale scompare la magnetizzazione

spontanea. E’ la temperatura critica che caratterizza la transizione di fase ferromagnete ↔

paramagnete in assenza di un campo esterno, cioè per H = 0. Separa quindi la fase paramagnetica

disordinata a T > Tc dalla fase ferromagnetica ordinata a T < Tc. Supponiamo che il sistema sia nella

fase paramagnetica caratterizzata da una magnetizzazione nulla. L’applicazione di un campo

magnetico esterno H provoca una magnetizzazione finita M . Conviene tenere conto dell’ipotesi

di Weiss del campo molecolare o campo di scambio sH , trattato equivalentemente ad un campo

magnetico esterno, secondo cui sH è proporzionale ad M , cioè sH Mλ= dove λ è una costante

indipendente dalla temperatura. Questa ipotesi è a tutti gli effetti la prima ipotesi basata su una

teoria di campo medio. Quindi, in base ad essa, la magnetizzazione finita del paramagnete, dovuta

ad un campo esterno, genera a sua volta un campo di scambio. Se χ è la suscettività del sistema,

tenendo conto del fatto che essa esprime la capacità di magnetizzazione di un sistema in risposta

all’applicazione di un campo, si può scrivere la seguente relazione scalare, cioè

( )sM H Hχ= +

dove si è incluso anche il campo di scambio.

Sostituendo ad sH la sua espressione in forma scalare si ricava ( )/M H Mχ λ= + . Si è già

ricavato che la suscettività di un paramagnete è data dalla legge di Curie secondo cui /C Tχ = dove

C è la costante di Curie e T è la temperatura assoluta (cf. Eq.(1.15) ed Eq.(1.22)). Eguagliando le

due espressioni della suscettività, cioè scrivendo ( )/ /M H M C T+ =λ si ha che

( )M T C H Mλ= + . Portando il termine proporzionale alla magnetizzazione C Mλ a primo

membro si ha che ( )T C M C Hλ− = . Si ottiene quindi che ( )/M C H T Cλ= − . Tenendo ancora

conto della definizione della suscettività nel caso in cui M dipende linearmente da H, cioè

/M Hχ = si trova che

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C

T Cχ

λ=

La suscettività presenta una singolarità per T Cλ= ed è quindi infinita ( )→∞χ . A questa

temperatura e conseguentemente anche per temperature al di sotto di essa esiste una

magnetizzazione spontanea tipica di un ferromagnete. Infatti, se per T Cλ= la suscettività è infinita,

tenendo conto del fatto che la suscettività è anche espressa da /M Hχ = si realizza la condizione

χ →∞ con un valore di M finito, cioè con una magnetizzazione spontanea, in assenza di un campo

esterno H, cioè per H = 0 (infatti il limite di un numero finito (M) diviso per zero (H) è uguale

all’infinito). Si può quindi esprimere χ nella forma

; cc

C T CT T

χ λ= =− (2.6)

Eq.(2.6) esprime la LEGGE di CURIE-WEISS dove cT è detta temperatura di Curie o punto di

Curie e segna il passaggio dalla fase paramagnetica a quella ferromagnetica in assenza di campo

esterno. Essa rappresenta una temperatura critica. L’espressione trovata descrive abbastanza bene

l’andamento della suscettività poco al di sopra del punto di Curie. Tuttavia, calcoli più accurati

confermati da dati sperimentali mostrano che l’andamento della suscettività è ( ) 4/ 3cT Tχ −∝ − in

prossimità del punto di Curie. I principali elementi ferromagnetici hanno temperature di Curie

diverse. In particolare ad esempio per il ferro 1043c KT = , per il cobalto 1400c KT = , mentre per il

nichel 631 oc KT = .

In modo analogo ai ferromagneti si può ricavare la suscettività e l’equivalente di una temperatura di

Curie per i ferrimagneti e per gli antiferromagneti. Per questi ultimi la temperatura al di sotto della

quale a partire da un paramagnete si ha un antiferromagnete (spin ordinati antiparallelamente) con

momento totale nullo è detta TEMPERATURA di NEEL. L’andamento della suscettività in

funzione della temperatura di un antiferromagnete semplice ha un comportamento più complesso

rispetto a quello del paramagnete semplice.