DI ROMA, DI NAPOLI E D’ALTRE COSE SPARSE

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GUIDO PECCI DI ROMA, DI NAPOLI E D’ALTRE COSE SPARSE

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G U I D O P E C C I

DI ROMA, DI NAPOLI

E D’ALTRE COSE SPARSE

Ar b o r s A p i e n t i Ae

e d i t o r e

a cura di Marco De Gemmis e Loredana Rea

GUIDO PECCI

DI ROMA, DI NAPOLI

E D’ALTRE COSE SPARSE

Contemporary Art Gallery

i g a i a ______________________________________________

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Crediti fotograici: Carlo De Santis, Nicola Pellegrino, Honos Art

In copertina: Testa con domus #2 2017 Ceramica, terracotta, argilla cruda, pigmento, gesso, ramo dim. variabili In quarta di copertina: Testa (petrolio) part. 2017 Olio, tempera, graite su carta cm 80x60

Coordinamento editoriale: Cristina García Curreli

Impaginazione e graica: Denise Sarrecchia

26.01.2018 I 24.03.2018

Honos Art Contemporary Art Gallery

Via dei Delini, 3500186 ROMA

05.04.2018 I 07.05.2018

MANN Museo Archeologico Nazionale

Piazza Museo, 1980135 NAPOLI

DirettorePaolo Giulierini

Servizio EducativoLucia Emilio (Responsabile)Michele lacobellisAntonietta Parente

Collaborazione all’allestimentoAntonio AlettoAntonio Sacco

Comunicazione istituzionalea cura del Servizio Educativo

06.10.2018 I 02.12.2018

Fondazione Umberto Mastroianni

Castello di LadislaoPiazza Caduti dell’Aria03033 ARPINO (Fr)

Presidente Andrea Chietini

Vicepresidente Luigi Benedetti

Presidente onorarioPaola Molinengo Costa

Consiglieri di Amministrazione Simone lontaGiuseppe Nino RezzaDanilo SalvucciNicola Ottaviani

Direttore artistico Loredana Rea

Sponsor

I N D I C E

L’ANTICO DI GUIDO PECCI

MARCO DE GEMMIS 5

DELLA PITTURA E D’ALTRE COSE SPARSE

A RECUPERARE L’INCANTO DELL’ANTICO

LOREDANA REA 9

APPUNTI A LATERE DI UNA MOSTRA

GUIDO PECCI 13

DI ROMA, DI NAPOLI E D’ALTRE COSE SPARSE

OPERE 15

NOTE BIOGRAFICHE 61

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L’ANTICO DI GUIDO PECCIMa D G i

Roma, «immensa e terribile», e poi Napoli: sono le città di Guido Pecci, spazi densi di stratiicazioni storiche e di sollecitanti contraddizioni, ma per lui, evidentemente, anzitutto di libertà, se l’una e l’altra una volta le ha associate al dono di respirare che ne ha ricevuto. E a completare il titolo di questa sua ultima ricerca, le «altre cose sparse», fra le quali

schiera i nomi di Kiefer e Schnabel e Cecily Brown, nonché alcuni colori: «il nero, il grigio e il rosa (antico)». Napoli si è aggiunta a Roma, che rimane il suo impareg-giabile luogo di elezione, in anni ormai non recentissimi, e spero di avere favorito quest’esito rendendo più frequenti i suoi passaggi per qui, dove ogni volta che tornava poteva trovare in me un suo estimatore e, quel che più conta, nel Museo Archeologico sempre nuove, fertilissime suggestioni.

Ho conosciuto Pecci al tempo de La casa di Giulia (2005), mostra che con piacere avrei voluto al MANN e che invece non fu possibile portarvi. All’amata iglia exemplum licentiae (Plinio il Vecchio) di Augusto, proprio dall’imperatore esiliata a Ventotene, allora dedicava ‒ con solidale dolore per l’eros a lei negato e implicitamente approvando il comportamento immorale di cui fra l’altro la si accusava ‒ un accorato, tormentato omaggio.

Se Giulia era per Pecci ben altro che il celebre personaggio della Storia o la vittima appartenuta a un tempo remoto, analogamente adesso dimostra di percepire come non distanti cronologicamente i segni indelebili e connotanti delle vicende passate di Roma o di Napoli, già prima nel suo lavoro comparsi qua e là. Quei segni li accoglie sia come parti di sé, frammenti della propria autobiologia, destinatari imprescindibili del suo guardare al quale si impongono qui e ora con inesauribile vitalità; sia, più in particolare, per la bellezza che vi riconosce e sa coinvolgerlo e per la vibrante sensualità che le opere di quel tempo lontano a lui più care sono state capaci di condurre ino a noi consegnandocela intatta (per esempio la sensualità creata dagli scultori antichi o presente nei consumati colori degli afreschi pompeiani, che ha il merito di sapersi tuttora confrontare ad armi pari con le cose, le persone e le esperienze più intense che la realtà può concedergli, di

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sapersi con queste mescolare divenendo essa pure elemento tangibile del suo vissuto); sia, inine, come privilegiati riferimenti a un’irrinunciabile tradizione artistica, alla quale chiede non di suggerirgli citazioni colte o intonazioni nostalgiche quanto di ispirargli risultati di attualissima energia comunicativa, neppure per un momento disponendosi ad allontanare e rafreddare il presente e l’emozione volgendo lo sguardo indietro.

È vero che il recupero e la riemersione delle immagini che Pecci opera tramite l’atto artistico rassomigliano in qualche modo a quelli del reperto archeologico strappato a una sparizione che poteva essere deinitiva, ma in realtà l’antico di Pecci c’è come profonda interiorizzazione di esso e certamente non fa venire in mente in primo luogo, per deinirlo, la parola archeologia: non è questa a toccare le sue corde, perché egli fa suo ciò che resta del passato ‒ pure studiato con scrupolo e da anni e anni insegnato ad altri ‒ mai frapponendo fra sé e lui iltri distanziatori: lo fa suo non per via di quello studio ma, piuttosto, intimamente e ‘naturalmente’. Perciò nei suoi lavori lo ritroviamo, l’antico, del tutto liberamente reinventato, largamente trasigurato dalle istanze e visioni soggettive, non raccolto fra quello ‘vero’ che qui da noi copiosamente permane: e le cose da Pecci viste e riviste e sentimentalmente fatte proprie ci giungono, ora dipinte o modellate e quindi in maniera indelebile issate e inalmente ‘tesaurizzate’, molto spesso in uno stato frammentario o recando in sé la preziosa diicoltà dell’avvenuto aioramento: quasi mai sono perfettamente delineate o formate, talvolta sono proprio sbiadite o appena sbozzate.

È quel che possiamo osservare, per esempio, in una delle due opere di maggiori dimensioni della mostra, Requiem (ampolla), dove Pecci ‒ «osservatore incessante del segno anonimo e precario» (Enrico Mascelloni) che ormai invade quasi ogni muro delle sue due città, ma di tale segno elaboratore sapiente ‒ trascrive, come graite da un disordinato imbrattatore di età neroniana, le parole dell’inefabile Trimalcione sulla Sibilla Cumana decrepita e rinsecchita in un’ampolla sospesa, che, schernita dai ragazzi del posto e interrogata su cosa desiderasse, rispondeva «morire». Non è un caso che egli scelga queste parole del Satyricon di Petronio, come non fu un caso che le stesse, quasi un secolo fa, fossero poste da T.S. Eliot in esergo a La terra desolata, anch’essa immensa dedica, fra tragedia e farsa, al decadimento di un’epoca. Pecci mi scrisse che, una volta terminati i due grandi quadri poi intitolati Requiem, vi colse «un nonsocché di funereo: sarà per via della Sibilla che desidera morire, sarà per la grande palla di terra con i rami secchi coniccati che sta a ianco del volto pietriicato di una donna d’alto rango. Mi pare di trovarmi al cospetto di un reliquiario, tant’è che, in basso, due listelli lignei fungono da appoggi per un paio di forme di terracotta lasciate da chi si era recato sul posto a onorare la memoria».

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Con Di Roma, di Napoli e d’altre cose sparse Pecci si propone di ‘mettere in opere’ l’essenziale di un ulteriore tratto del suo percorso esistenziale: è il modo per lui inevitabile di completare l’itinerario di conoscenza e comprensione di un aspetto della propria, personale esperienza. Per una narrazione che è anche scandaglio del suo rapporto con se stesso si aida di nuovo con iducia anzitutto alla pittura, alla quale chiede, come del resto all’argilla, non di descrivere esattamente ma, procedendo per sottrazione, di ridurre a sintesi eicace i dati che le fornisce.

Come già altre volte i luoghi, intervenuti decisivamente a caratterizzare l’esistenza, se ne stanno per lo più sullo sfondo, compaiono per cenni: poveri, minuti ma signiicativi frammenti di memoria dei paesaggi isicamente e poeticamente attraversati, sono tracce, spesso a stento riconoscibili, che si confrontano con più emergenti presenze: i corpi, le tante teste, i vasi antropomori prevalgono, e i rainati e quasi vuoti spazi circostanti ne esaltano il ruolo di protagonisti e la loro maggiore consistenza visibile, talvolta di rilevante evidenza, talaltra delicatamente aiorante.

Tutto, come sempre per Pecci, poteva essere inalmente intrapreso solo allorché si fosse veriicato il più pieno coinvolgimento con il contenuto della nuova ricerca, ne fosse maturata la necessità. Poi il lavoro, ancora una volta, gli ha portato via molto tempo, o sarebbe meglio dire che gli ha donato un lungo tempo di emozionata rilessione. Pecci non lavora velocemente, anche se a volte così potrebbe sembrare: certamente accade, però molto più spesso l’opera – o le opere di una stessa serie eseguite in parallelo ‒ sorge da un gesto quasi spontaneo per poi attraversare, prima di compiersi, una complessa elaborazione mentale e un accurato processo esecutivo (lui stesso in un’intervista si attribuì un ‘maniacale’ perfezionismo che in da ragazzo lo accompagna), che di frequente dà luogo allo stratiicarsi di ripetuti interventi e di svariati materiali.

Il tema della memoria personale collega senz’altro la mostra Don’t forget me! (2012) a quest’ultima, ma qui, abbandonati il tempo dell’infanzia e quei ricordi sereni o inquietanti e quelle immagini e i loro colori sfavillanti, Pecci individua e fa emergere ciò che più tardi, nelle città della formazione e della vita adulta, è trascorso dinanzi ai suoi occhi e lo ha nutrito. Anche ora, naturalmente, l’esperienza e la memoria personali non sono separate da quelle di tutti, e, come per l’immaginario infantile, lo sguardo soggettivo almeno ino a un certo punto può coincidere con lo sguardo collettivo e quindi attivare la mente e l’emozione di chi si disponga a osservare. Le opere di Pecci propongono a tutti di mettere a fuoco la ricchezza del loro vissuto, della relazione con le cose guardate intensamente: un tesoro da scoprire e custodire, da sottrarre alla distrazione.

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DELLA PITTURA E D’ALTRE

COSE SPARSEa recuperare l’incanto dell’anticoL a a R a

Non si può stare in piedi qui non ci si può sdraiare né sedere Non c’è neppure silenzio fra i monti

Ma secco sterile tuono senza pioggiaNon c’è neppure solitudine fra i monti

Ma volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignanoDa porte di case di fango screpolato

Thomas Stearns Eliot La terra desolata

Approdare alla pittura ha signiicato per Guido Pecci provare a recintare la complessità perturbante del proprio immaginario con una materia densa, che raccoglie e accoglie i sedimenti del quotidiano. In essa il di-venire dell’esistenza lievita e germina, a creare immagini che colano lun-go la tela prima di assumere la verticalità della supericie o si impastano

a suggerire insospettate profondità in cui scavare. Lentamente tra le smagliature dell’ordito aiorano come reperti icone misteriose e potenti, sospese al farsi delle cose, per opporsi alla voracità dell’oblio. Tra occultamenti e svelamenti richiamano la persistente intensità di un tempo remoto, recuperato alla rigenerante vitalità dell’o-ra, che si distende aievolendo l’irriducibilità del reale.

Continuare a braccare i suoi mobili confini, armato di mappe tracciate som-mariamente da chi insegue la possibilità di coniugare al presente, nel ritmo

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fratto dell’arte, il tempo passato, significa per Pecci cercare le impossibili cer-tezze di un’esistenza sospesa al filo sottile di una bellezza che non può essere pienamente posseduta. Solo sfiorata, annusata, inseguita e poi sognata, anco-ra e ancora. Stando in piedi nella solitudine di una terra vasta, difficile da mi-surare anche solo con lo sguardo, o accoccolato tra le mura di sé, a respingere i presagi del futuro.

Lungo le tracce di sentieri già percorsi da altri o inoltrandosi per terre non ancora esplorate, accompagnato da brezze dolci o venti sferzanti che sostengono il passo o spingono a cambiare direzione, Pecci insegue immagini, o i frammenti di esse, che la graite cattura veloce e la pittura invece decanta, ignara delle leggi di gravità, dopo aver trascinato i pensieri e le azioni nel vortice di impeti e impulsi che sembrano non conoscere sicuri ancoraggi.

L’approdo è sempre lontano eppure non è questo che lo preoccupa. A guidarlo è l’impalpabile eternità di un attimo, nella cui assolutezza il desiderio non può arrivare a compimento. Solamente lasciarsi assaporare fugacemente, per tornare e ritornare a centellinare l’incanto sensuale dell’antico, respiro vitalissimo che iniamma la sostanza della libertà espressiva e nutre l’idea del mondo che attraverso l’arte trova le sue co-ordinate culturali ed etiche.

Esplorando la dimensione labirintica e mai puramente citazionista di un antico ri-cercato e interiorizzato, Pecci ha elaborato un linguaggio stimolante e problematico, che procede mai in maniera lineare ma sempre inseguendo la tortuosità dei tracciati, per materializzare la corrente indistinta di pulsioni profonde e di istinti inarrestabili. A dominare è la necessità di spingere lo sguardo a penetrare sotto la pelle delle cose, per perdersi tra le pennellate livide, tra le sgocciolature opache e riaiorare aferrando i bagliori improvvisi, che strappano la supericie.

La pittura per sua natura promiscua allo spirito e all’anima necessita di manipola-zioni, contaminazioni, cancellazioni, prima di raggiungere un equilibrio sottile e mai deinitivo, in cui la velocità e il rallentamento costituiscono i tempi diferenti dell’ide-azione e dell’esecuzione, della visione e della comprensione, della manualità e della rilessione. Le mani allora si lasciano guidare sulle carte e sulle tele, muovendosi come a cercare il punto di innesco che può avviare la gestazione di un’immagine, pronta a frapporsi alla diaspora della memoria e a generare una dimensione sospesa in cui serbare la consapevolezza di sé.

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Come se spazio e tempo non esistessero fuori dalla pittura. È in essa che tutto trova il suo senso: i frammenti discinti aspettano di essere ricomposti, i colori di perdere la loro opacità tra le fessure dei rosa, dei gialli, degli azzurri e i reperti di argilla di essere recuperati dalle pieghe ctonie di un tempo che appare senza tempo.

Lento il iume della pittura esce dal suo letto e oltrepassando gli argini bagna con i suoi umori fecondi le terre che accompagnano il suo farsi, mentre il racconto di un’intimità che non può essere svelata attende di essere narrato, per riannodare i ili spezzati di parole non dette, che tornano e ritornano come nenia sul proprio ritmo. A suggerire e mai spiegare.

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APPUNTI A LATERE DI UNA

MOSTRAGui P i

Di Roma

Vedo un paio di argille crude in una galleria del centro, subito dopo aver raccolto qualche ramo secco sul lungotevere. Tornando a casa, mi fermo nei pressi di piazza Sidney Sonnino e acquisto, da un rigat-tiere, una ciotola sbeccata. In auto, durante il tragitto, metto insieme, nella mia mente, l’argilla cruda, i rami e la ciotola. Penso che potrebbe

rappresentare il Tevere. Mi procuro un panetto di creta per coniccarvi i rami e inglobarvi la ciotola. Lascio asciugare per un paio di mesi. La materia cambia... di colore, di forma, di consistenza. Verso nella ciotola un liquido arancione. Ora ho il Tevere dentro casa mia. Vi scorre ogni giorno e non ci metto molto a capire che porta con sé la memoria di una città immensa e terribile, dalla quale aiorano pietre vecchie con le sembianze di maschere, anfore senza manici, cinte murarie interrotte. Ma pure parole interrotte e letture lasciate a metà. La Sibilla Cumana che desidera morire. Ut pictura poesis. La triade vitruviana.

Di Napoli

Arrivo a Piazza Museo scendendo da Capodimonte, almeno una volta al mese. Marco mi fa lasciare, all’ingresso del suo uicio, la mia casa di terracotta, tutta scon-quassata. Ma, la casa, non è la mia. É di Giulia. Credo che Marco voglia scrivere qual-che verso. Poi, mi dice del canone di Policleto. Pompei, Ercolano, Paestum. Gli antichi che dipingevano “alla romanella”, un po’ così come viene, per dritto e in diagonale. Tornando a casa, mi fermo nei pressi di Piazza Bellini; mi ricordo di Pasquale, tanti anni

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fa, che baciava tutti e lì se ne stava a bere e a fumare. In auto, durante il tragitto, metto insieme, nella mia mente, Policleto, Pompei, Ercolano, Paestum e i versi che Marco ha scritto... forse. Napoli, però, non ha il Tevere. Napoli ha il mare (… e gli procura il mare / un collasso magniico / per il cuore). Non ci metto molto a capire che, il mare, può stare tutto dentro il mio barattolo di vetro, insieme ai pennelli. Qualora dovesse fuo-riuscirne, ne verserei una parte nella ciotola sbeccata. Ora ho il mare dentro casa mia.

E di altre cose sparse

La cenere di Anselm Kiefer, i piatti di Julian Schnabel, le donne di Cecily Brown. La foto che mi ha fatto Nicola. L’intervista che mi ha fatto Juan Carlos. Il rossetto di Ma-risol. La panchina di Largo Preneste. Il nero, il grigio e il rosa (antico). Quello che ora so di te e di me.

DI ROMA, DI NAPOLI

E D’ALTRE COSE SPARSEO

17Ri ag i #1 • 2017 • Olio, tempera, graite, vernice spray, argilla, nastro adesivo su carta • 80x60 cm

18Ri ag i #2 • 2017 • Incisione calcograica, olio, tempera, argilla, vernice spray su carta • 80x60 cm Ri ag i #3 • 2017 • Olio, tempera, graite, vernice spray, nastro adesivo su carta • 80x60 cm

19Ri ag i #3 • 2017 • Olio, tempera, graite, vernice spray, nastro adesivo su carta • 80x60 cm

20D #1 ( i i ) • 2017 • Terracotta, argilla cruda, gesso, pigmenti, ramo • 37x15x22 cm

21D #2 ( i i ) • 2017 • Terracotta, argilla cruda, gesso, pigmenti, ramo • 37x16x18 cm

22F a #1 • 2017 • Olio, tempera, graite su tavola e su carta, ceramica • 30x25 cm F a #2 • 2017 • Olio, tempera, collage su tavola, ceramica • 30x25 cm

23F a #2 • 2017 • Olio, tempera, collage su tavola, ceramica • 30x25 cm

24T • 2016 • Argilla cruda, ceramica, gesso, rami, liquido colorato • 16x19x15 cm T a ( i ) • 2017 • Olio, tempera, graite su carta • 80x60 cm

25T a ( i ) • 2017 • Olio, tempera, graite su carta • 80x60 cm

26 T a #1 • 2017 • Ceramica, terracotta, argilla cruda, pigmento, gesso, ramo • Dimensioni variabili

27T a #2 • 2017 • Ceramica, terracotta, argilla cruda, pigmento, gesso, ramo • Dimensioni variabili

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29T a ( ig ) • 2017 • Tempera, olio, collage, nastro adesivo su cartoncino • 28x19 cm

30R i (a a) • 2017 • Olio, tempera, bitume, graite, foglia oro su tela / listello ligneo, terracotta • 180x180x3 cm

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33R i ( a ag i ) • 2017 • Olio, tempera, bitume, argilla, graite su tela / listello ligneo, terracotta • 180x180x3 cm

34T a ( a #1) • 2016 • Olio su tela applicata su tavola • 30x24 cm T a ( a #2) • 2016 • Olio su tela applicata su tavola • 30x24 cm

35T a ( a #2) • 2016 • Olio su tela applicata su tavola • 30x24 cm

36Pa aggi a a a • 2017 • Olio, tempera, graite su tavola trattata a gesso • 23x18 cm ciascuno

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39T a (a a i ) • 2017 • Tempera, olio, argilla, collage su carta applicata su tavola • 30x24 cm

40T a ( a) • 2017 • Tempera, olio, argilla, collage su carta applicata su tavola • 30x24 cm T a ( ) • 2017 • Olio, tempera, argilla, collage, foglia oro su tavola • 30x24 cm

41T a ( ) • 2017 • Olio, tempera, argilla, collage, foglia oro su tavola • 30x24 cm

42Ca a #2 • 2017 • Olio e tempera su carta • 31x21 cm Ca a #3 • 2017 • Incisione calcograica e tempera su carta • 31x21 cm

43Ca a #3 • 2017 • Incisione calcograica e tempera su carta • 31x21 cm

44Ca a #5 • 2017 • Olio e collage su carta • 15x15 cm Ca a #6 • 2017 • Olio e collage su carta • 15x15 cm

45Ca a #6 • 2017 • Olio e collage su carta • 15x15 cm

46Ca a #8 • 2017 • Tempera, olio, argilla, nastro adesivo su carta • 15x15 cm Ca a #9 • 2017 • Tempera, olio, argilla, nastro adesivo su carta • 15x15 cm

47Ca a #9 • 2017 • Tempera, olio, argilla, nastro adesivo su carta • 15x15 cm

48Ca a #13 • 2017 • Incisione calcograica e olio su carta • 15x15 cm

49Ca a #7 • 2017 • Tempera, olio, nastro adesivo su carta • 15x15 cm

50Ca a #10 • 2017 • Incisione calcograica e olio su carta • 15x15 cm

51Ca a #11 • 2017 • Incisione calcograica, olio, collage su carta • 15x15 cm

52Ca a #14 • 2017 • Tempera, olio, inchiostro, argilla su carta • 15x15 cm

53Ca a #15 • 2017 • Tempera, olio, inchiostro, argilla su carta • 15x15 cm

54… E ’a a • 2017 • Ceramica, terracotta, argilla cruda, rami, olio, tempera, gesso, graite su tavola e carta • 70x285x5 cm

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56… E ’a a ( a i a ) • 2017

57… E ’a a ( a i a ) • 2017

58 … E ’a a ( a i a ) • 2017

59 … E ’a a ( a i a ) • 2017

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Guido Pecci (Alatri, 1975), dopo aver conseguito il diploma di lau-rea in P ittura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, ha fre-quentato il “Centro Internazionale per l’Incisione artistica” di Ur-bino, così da ampliare e diversificare la sua conoscenza delle tecniche grafiche.

Attualmente, insegna materie artistiche nella scuola secondaria di secondo grado.

Gli sviluppi maturi della sua ricerca artistica si proilano a partire da “La casa di Giulia”, (2005) mostra personale che tiene presso la galleria romana “Studio Arte Fuori Centro”. In occasione di quest’ultima, mette a punto un ciclo di opere, co-stituito da tele dipinte e da piccole sculture in terracotta policroma, in cui l’eroina eponima, la bella e sfortunata iglia dell’imperatore Augusto esiliata per condotta immorale, funge da pretesto per un’incursione nei territori dell’eros.

Muovendosi su questa lunghezza d’onda, l’artista sviluppa ulteriormente il discorso relativo al dialogo con la Storia (in particolare la “Storia dell’Arte”), attraverso una itta trama di rimandi non solo iconograici ma anche letterari, il tutto iltrato da un’incontenibile richiamo al “corpo” e alla sensualità che gli appartiene. Difatti, nel 2006, presso la “Fondazione Peano” di Cuneo, allestisce un’altra mostra personale, dal titolo fortemente evocativo: “anno(t)tando”. Giulia continua ad essere presente nell’immaginario del pittore e, con Lei, altre igure, femminili e maschili, le cui membra nude aiorano dal nero pesto della notte.

Nel 2007, la galleria napoletana “Franco Riccardo Arti Visive” ospita “Painting kills the mural stars”: l’artista, con questo nuovo ciclo di opere, intende analizzare il limite sottile che c’è tra il segno tracciato su un muro qualsiasi, magari di periferia, e quello tracciato su tela, con il preciso intento di preservare, su quest’ultima, la stessa febbrile urgenza espressiva che connota l’azione del graitista.

NOTE BIOGRAFICHE

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Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2013, si delinea una fase creativa che si di-scosta da quelle immediatamente precedenti. Pecci, negli spazi della galleria romana “Romberg Arte Contemporanea”, allestisce la mostra “Don’t forget me!”: dipinti, disegni, sculture ceramiche, installazioni narrano le vicende dell’orsetto Winnie The Pooh, igura emblematica del passaggio dall’età infantile a quella adulta. Il celebre personaggio dei cartoons, più o meno esplicitamente, dichiara il timore di essere abbandonato che, in in dei conti, altro non rappresenta se non l’angoscia del bambino che teme di perdere il suo stato di innocenza.

Il 2014 è l’anno del ritorno ai temi del “corpo” e dell’erotismo. “Pink like a chewing gum” è il titolo di un progetto espositivo presso la galleria “Federico Rui Arte Con-temporanea” di Milano, che prevede l’eterogeneità e la commistione dei linguaggi e delle tecniche artistiche, con il preciso intento di portare alla ribalta sempre lo stesso e identico nudo maschile, rosa come una gomma da masticare.

“Di Roma, di Napoli e d’altre cose sparse” è una mostra itinerante (Roma, galleria “Honos Art”; Napoli, “MANN” Museo Archeologico Nazionale; Arpino “Fondazione Umberto Mastroianni”) che intende fare il punto sul rapporto che l’artista ha con l’an-tico. Roma e Napoli diventano due grandi contenitori di “memoria” dai quali, Guido Pecci, entra ed esce di continuo, come a voler trasferire le “tracce” del passato nel pre-sente, in una continua e incessante ricerca di sé e del proprio modo di stare al mondo.

Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private tra le quali: Collezione Bertini (Prato), Collezione Golinelli (Bologna), Collezione Nenna (Brescia), Collezione MIC - Museo Internazionale della Ceramica in Faenza.

Tra le MOSTRE PERSONALI

2018 Di Roma, di Napoli e d’altre cose sparse, a cura di M. De Gemmis e L. Rea, Galleria Honos Art, Roma; MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli; Fondazione Umberto Mastroianni, Arpino.

2014 Nothing is forever, a cura di I. Bergantini, Galleria Romberg Arte Contemporanea, Latina.

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Pink like a chewing gum, a cura di A. Trabucco, Galleria Federico Rui Arte Contemporanea, Milano.

2010 Don’t forget me!, a cura di G. L. Marziani, Galleria Romberg Arte Contemporanea, Latina.

2007 Painting kills the mural stars, a cura di E. Mascelloni, Galleria Franco Riccardo Arti Visive, Napoli.

2006 Anno(t)tando, a cura di E. Perotto, L. Rea e F. Zoccoli, Fondazione Peano, Cuneo.2005 La casa di Giulia, a cura di L. Rea, Galleria Studio Arte Fuori Centro, Roma.2004 Landscape poems, a cura di M. Bussagli e L. Rea, Centro di Documentazione

Ricerca Artistica Contemporanea Luigi Di Sarro, Roma.2002 Paesaggi e altri luoghi, Galleria Le Opere, Roma.

Tra le MOSTRE COLLETTIVE

2016 Honos presenta Honos, a cura di J.C. García Alía, Galleria Honos Art, Roma.2015 ArtVerona - stand Galleria Federico Rui Arte Contemporanea. ST.ART - Foire d’Art Contemporain, stand Galleria Federico Rui Arte

Contemporanea.

Circolare / Caravan Setup, a cura di S. Gavioli e A. Zannoni, Autostazione di Bologna, Bologna.

2014 ArtVerona - stand Galleria Federico Rui Arte Contemporanea IMAGO. Dieci anni di pittura italiana dalla collezione Nenna, a cura di A.

Lacarpia, Museo della Città, Chiari. 2012 Racconti selvatici, a cura di A. Lacarpia, Galleria delle Battaglie, Brescia.

Caleidoscopio, a cura di A. Lacarpia, Il Sole 24 Ore, Milano; Galleria delle Battaglie, Brescia.

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All I desire, a cura di A. Lacarpia, Spazio Orlandi, Milano.CUTLOG Paris, stand Galleria Romberg Arte Contemporanea.

2011 Tamburo di latta, a cura di A. Trabucco, Galleria Romberg Arte Contemporanea, Latina.

2010 ArtVerona - stand Galleria Romberg Arte Contemporanea. La ceramica contemporanea di Roma e del Lazio, Galerie Beim Engel; Sede

dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles.2009 Nigredo, a cura di L. Adragna, B. Collevecchio e M. Di Veroli, Ex - Lavanderia

Santa Maria della Pietà, Roma.

Archiviarti 09, a cura di F. Sette, Fabbrica Borroni, Bollate (MI).ArtVerona - stand Galleria Romberg Arte Contemporanea e Galleria Franco Riccardo Arti Visive.

2008 Nuove argille. Linguaggi della giovane ceramica d’arte italiana, a cura di I. Biolchini, M. Bignardi, FRAC, Baronissi (SA).

ArtVerona - stand Galleria Romberg Arte Contemporanea.2007 Empremtes. Un recorregut pel Gravat Contemporani, d’Urbino a València, a

cura di G. Santini, M. Á. Rios, Politecnico di Valencia, Valencia (Spagna).

Urbino città degli incisori, a cura di E. Fuchs, G. Santini, Galleria Municipale di Arte Contemporanea, Lodz (Polonia).

2004 L’Arte e il Torchio. Incisione italiana under 35, a cura di D. Formaggio, L. Gensini, Museo Civico di Cremona e Istituto Italiano di Cultura, Cracovia.

2001 Nel segno dell’Incisione. Opera graica dell’Accademia di Belle Arti di Roma, a cura di G. Simongini, Ministero degli Afari Esteri: Città del Messico, Cuenca, Lisbona, Madrid, Roma.

Seconda Triennale di Graica Città di Brescia, a cura di M. Corradini, Palazzo Bonoris, Brescia.

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PREMI E RICONOSCIMENTI

2016 Premio Arteam Cup, Palazzo del Monferrato, Alessandria.2011 Premio Faenza - Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea,

MIC - Museo Internazionale della Ceramica, Faenza.2009 Premio Acqui Terme 2009, Biennale Internazionale dell’Incisione, Acqui Terme.2004 V Premio Internazionale per l’Incisione Fabio Bertoni, Sala Bramante, Fermignano.

© Honos ArtContemporary Art GalleryVia dei Delini 35 • 00186 Roma+39 06 31058440 [email protected]

© MANN - Museo Archeologico Nazionale di NapoliPiazza Museo Nazionale 19 • 80135 Napoli+39 081 4422149www.museoarcheologiconapoli.it

© Fondazione Umberto MastroianniCastello di Ladislao • Piazza Caduti dell’Aria, Arpino (Fr)+ 39 0776 848105 [email protected]

© 2018 - Arbor Sapientiae Editore S.r.l.Via Bernardo Barbiellini Amidei, 80 00168 Roma (Italia) - tel. 06 [email protected]@arborsapientiae.comISBN: 978-88-94820-57-7

Ar b o r s A p i e n t i AE

e d i t o r e

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Finito di stampare

nel mese di Gennaio 2018

ISBN 978-88-94820-57-7€ 10,00

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