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Brindisi nel Tempo Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione BRINDISI MASSERIE TORRI CASTELLI MONASTERI E CHIESE TUTTE LE STRADE PORTANO A BRUNDISIUM Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione BRINDISI ITINERARIO STORICO-CULTURALE vol. 5 Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione BRINDISI FEDERICO II A BRINDISI … TRA CASTELLI … CULTURA …CUCINA Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione BRINDISI MASSERIE TORRI CASTELLI MONASTERI E CHIESE MASSERIE TORRI CASTELLI MONASTERI E CHIESE Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione BRINDISI

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TUTTE LE STRADE PORTANO A BRUNDISIUM

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ITINERARIO STORICO-CULTURALE

vol. 5

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FEDERICO IIA BRINDISI

… TRA CASTELLI … CULTURA

…CUCINA

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ITINERANDO PER

MASSERIE, TORRI, CASTELLI, MONASTERI E CHIESE

La storia della masseria è indissolubilmente legata alla sto-ria dell’Italia meridionale che è storia travagliata, storia di miseria, di violenza, di sopraffazione, di ignoranza, di diritti negati, storia che affonda le sue radici nell’antichità, addi-rittura nei primi secoli dell’Impero romano, quando, Plinio il Vecchio per spiegare la crisi dell’agricoltura affermò che “i latifondi avevano rovinato l’Italia”.

OriginiLa masseria ha origini antichissime; i primi esempi, infatti, risalgono al tempo della colonizzazione greca nel meridione (VIII-VI secolo a.C.). Essa era intesa come organizzazione sistematica del territorio ed era finalizzata ad attività agri-cole. A partire dal V secolo a.C. i Romani concentrarono le proprietà in poche aziende latifondistiche, dando origine alle “massericiae”, entità rurali che sfociarono poi in inse-diamenti residenziali e produttivi, detti “villae” o “massae” .

Dal V al XV secolo La “villa romana” con le invasioni barbariche (V secolo d.C.) fu abitata dal nuovo signore barbaro che la fortificò per la difesa e per l’offesa.Dal VI sec vi fu il fenomeno dei villaggi rupestri.

Con il termine di civilta’ rupestre si intende l’insieme delle complesse e differenziate realtà sociali e culturali, civili e re-ligiose, legate all’esperienza del vivere in grotta, che hanno interessato dal VI al XIII secolo l’intera Italia Meridiona-le, continentale e insulare. Nelle case-grotta e nelle chiese-grotta si ritrova una vastissima documentazione inerente la vita, i valori religiosi, l’organizzazione sociale, le tecniche

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costruttive e le espressioni artistiche del Medioevo puglie-se, che merita di essere riscoperta e valorizzata, renden-dola fruibile per un pubblico il più vasto e differenziato possibile.Le ragioni di questa particolare scelta abitativa, alternati-va è da collegare essenzialmente nella crisi delle strutture statali, nel progressivo declino delle città, nell’esigenza di difesa dalle continue e ripetute invasioni barbariche

La presenza delle lame, fronte di cava naturale, e la rela-tiva tenerezza della roccia tufacea locale, ha inoltre faci-litato l’attività di scavo e la conseguente formazione degli insediamenti.Tutto ciò si può ritrovare perfettamente nel-l’organizzazione dei numerosi villaggi rupestri, come per esempio quello delle grotte di San Biagio nel territorio di San Vito dei Normanni e quello di Lama d’Antico nel territorio di Fasano, dove tutti gli elementi della cultura urbana dell’abitare di quello specifico momento

Particolare importanza riveste il fenomeno rupestre nel periodo medievale, con due distinti periodi di massimo sviluppo: il primo si colloca nella prima metà del X seco-lo, durante la seconda colonizzazione bizantina; il secon-do tra la fine dell’XI e il XIII secolo, durante il periodo normanno. Successivamente al XIV secolo sopravvissero solo quei villaggi sui quali si sovrapposero nuove strutture abitative e produttive masserie o massa.La “massa” subì una profonda trasformazio-ne nel IX secolo ad opera di Carlo Magno che creò una nuova entità rurale chiamata “feudo”. Nel XI secolo arrivarono nell’Italia meridionale i Nor-manni che trasformarono i feudi in “masserie villaggio” (tipologia presente in provincia di brindisi) e si attri-buisce ad essi la trasposizione sul territorio brindisi-no di un sistema politico-amministrativo d’impron-ta feudale con la creazione di pochi feudi concessi ad autorità laiche e ad enti ecclesiastici.

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Gli insediamenti rurali (castra - casali), anche in zone incolte, furono senz’altro favoriti dai Normanni che, verificando il sistema difensivo dell’intero loro territo-rio, realizzarono tutta una serie di fortificazioni.

Con l’arrivo degli Svevi, sempre nel meridione, nac-quero le “masserie regie” dedite alla coltura di cerea-li e all’allevamento dei cavalli.

Nel XV secolo l’Italia meridionale passò agli Aragonesi che eliminarono tutti i privilegi concessi precedentemente ai contadini. Gli unici a conservare qualche beneficio furono gli addetti alla transumanza che ebbero il permesso di costruire fabbricati su terreni adibiti a pascolo, destinati all’abitazione, al ricovero per gli animali e alla lavorazione di prodotti caseari. Sorsero, così, le “masserie di pecore” dette anche “iazzi”, distinte da quelle in cui si praticava la coltivazione, dette “posta”, perché erano postazioni fisse a cui si ritornava al termine della giornata. Lu “jazzu”, ossia il rifugio per gli animali di piccole dimensioni (pecore, capre, maiali), costituiva il fulcro dell’economia masserizia, in quanto una parte rilevante degli introiti proveniva dall’allevamento e dalle attività connesse.

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Dal XVI al XIX secolo La tipologia della masseria del sec. XV, che era rimasta invariata nei secoli XVI e XVII, subì sostanziali cambiamenti con l’arrivo dei Borboni nel meridione (sec XVIII). Essi espropriarono i feudi ecclesiastici dei quali si impadronì la borghesia rurale che orga-nizzò il latifondo in masseria, nella quale emerse la figura del massaro che coordinava il lavoro dei contadini.L’importanza delle masserie accrebbe parallelamente all’aumento della popolazione ed al conseguente accrescimento delle richieste dei prodotti di im-mediato consumo da parte delle città Ai mutamenti storici corrisposero cambiamenti sociali, del paesaggio e dello stesso profilo architettonico delle masserienel corso dei tempo, subirono rimaneggiamenti ed aggiunte d’ulteriori corpi di fabbri-ca, rispondenti alle esigenze dell’attività agricolo-pastorale.

Pertanto, ne è derivata un’ampia casistica subordinata a precise necessità della produ-zione agricola e dell’allevamento, oppure da una particolare organizzazione richiesta all’epoca di costruzione d’ogni singolo impianto oppure da esigenze d’ordine difensi-vo. Quest’ ultima necessità spiega la comparsa di tutti quegli elementi destinati alla difesa dagli attacchi esterni con alti muri di cinta interrotti dal solo portale, i torrioni angolari, le scale a pioli interne o ricavate nello spessore della muratura, il camminamento lungo il parapetto di coronamento, i ponti levatoi con le garitte, le feritoie e le caditoie in cor-rispondenza delle aperture.

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Masserie come Pettolecchia, Coccaro,San Domenico, Lama-cupa e Ottava Grande ubicate nel territorio di Fasano e sviluppatesi intorno ai secoli XVII - XVIII, per la loro posizione geografica non lontana dal mare e protetta dalle colline, rientravano in quella serie di torri interne e masserie fortifi-cate che costituivano una linea di difesa dagli assalti provenienti dal mare, dopo quella delle torri d’avvistamento, collocate lungo la costa.

Nel XIX secolo, con l’applicazione in Italia del codice napoleonico, furono assegnati ai con-tadini poveri terre demaniali per uso semina, pascolo o legna, ma le quote furono così picco-le che i contadini si videro costretti a venderle per poter sopravvivere. La borghesia rurale continuò ad essere, nel meridione, dominan-te facendo perdurare il latifondo che nel re-sto d’Italia si era ormai da tempo disgregato. Decollarono anche con la coltura dell’ulivo e della vite, le “masserie di campagna” che diede-ro lavoro ad un alto numero di salariati: massari di campo, gualani, bovari, massari di vacche e di pecore.

Subito dopo l’unità d’Italia (XIX sec.) i contadini delusi (briganti) de-vastarono molte di queste masserie. Verso la fine del XIX secolo i signori scelsero le masserie come loro residenza per controllare l’andamento delle attivi-tà. A tale scopo nacquero le “masserie palazzo” che segnarono un periodo di massima efficienza.Era enorme il numero di dipendenti: dal fattore al massaro, ai salariati fissi, gualani e lavoratori occasionali nei periodi di raccolta delle olive e nei periodi di semina. .

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Secolo XX Nel XX secolo, dopo i conflitti mondiali, le condizioni dei contadini peggiora-rono. Con la parola d’ordine “la terra a chi lavora” si emanò la “riforma agraria” che espropriò e frazionò i latifondi. La vita delle masserie subì notevoli ridimensio-namenti e molte furono abbandonate o utilizzate modificando abitudini e bisogni. Al posto delle “masserie di pecore” compaiono, con lo sviluppo della cerealicoltura, le “masserie da campo” e spesso i due tipi si fondono in masserie da campo e di pecore. Le masserie, nate sul tronco delle ville tardo-romane, di cui rievocano la disposizione dei volumi attorno ad un comodo e ampio spiazzo interno, con il tempo e la storia han-no dovuto,in alcuni casi, subire interventi che hanno modificato architettonicamente le strutture per precise esigenze di carattere politico, economico e sociale. Nessun cambiamento, però, ha offuscato il fascino che emanano queste strutture. Gli studiosi hanno cercato di sintetizzare le caratteristiche di ogni masseria in almeno 5 tipologie: torre-masseria, masseria con torre, masseria fortificata senza torre, masseria-castello, masseria senza fortificazioni.

STRUTTURE ED ARCHITETTURE

Le masserie si configuravano come floridi centri di vita agricola e sociale strutturati in modo da essere perfettamente autosufficienti. In genere la parte abitativa si presentava sempre secondo schema fisso: tutt’intorno gli ambienti di lavoro con il cortile, le abi-tazioni dei dipendenti, le stalle e l’aia. La parte centrale era l’abitazione del padrone e si presentava come l’edificio più vasto. L’architettura era sostanzialmente spontanea determinata dalle esigenze della vita rurale. Esse, inoltre, rispondevano a quel bisogno che l’uomo ha avvertito sin dalle origini di associarsi ai propri simili, di vivere in comunità, di accomunare il proprio lavoro a quel-lo degli altri, di assicurarsi una maggiore difesa da predoni o da pirati.

STRUTTURA A CORTE Al di là delle dimensioni, del contesto territoriale in cui si trovavano o delle attività che vi si svol-gevano, le masserie con struttura a corte presentano elementi strutturali fondamentali che si ripetono e le caratterizzano anche se manipolati dalle vicende della storia agraria del sud. Esse appaiono come un fortilizio quadrangolare o rettangolare chiuso attorno ad un vasto cortile, quasi mai inferiore a 500 metri quadrati (la corte), in genere pavimentato

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con lastre di pietra o con ciottoli e con centro il pozzo o cisterna. La corte è centro fisico e funzionale di questa tipologia di masseria, centro vitale e cuore della struttura e ad esse si accede da un unico portone che sembra voler escludere ogni possibilità di con-tatto con l’esterno. Sui lati del cortile si dispongono gli ambienti necessari alla vita della masseria e attorno e sul retro dell’edificio si stendevano le terre coltivate o i pascoli.

MASSERIA PASTORALE Questa tipologia di masseria, diffusa nel nostro territorio, a due piani o a un solo piano,con struttura a corte, era presente nelle proprietà latifondistiche in cui la funzione pasto-rale prevaleva su quella agricola. Al pianterre-no o al primo piano si trova l’abitazione del mas-saro. Essa raramente possiede l’abitazione pa-dronale, essendo poco adatta alla villeggiatura. Il cortile, anziché essere circondato da locali desti-nati agli alloggi dei lavoratori, è bordato prevalente-mente da tettoie chiuse (suppenne) e da pochi locali adibiti alla trasformazione del latte( la mercia). In alcuni casi la masseria pastorale si articola attorno a due cortili tra loro comunicanti: attorno al primo si dispongono le abitazioni dei lavoratori e gli altri edifici rustici, attorno al secondo, che dispone di una apertura propria, sono situate le tettoie per il riparo delle pecore.

MASSERIA AGRICOLA PASTORALE Questa tipologia di masseria, molto diffusa nel nostro territorio è normalmente a due piani e con struttura a corte. Il lato principale dal quale si entra è formato da due piani e quasi sempre accoglie anche una chiesetta: al piano superiore, al quale si ac-

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cede con una scala esterna è situata l’abi-tazione del padrone sormontata spesso da una guardiola che consente di abbracciare con lo sguardo l’intera superficie azienda-le o gran parte di essa; al pianterreno, inve-ce, di solito si trova l’abitazione del massaro. Sugli altri lati del cortile si dispongono senza un ordine ben preciso e su un solo piano gli altri ambienti necessari alla vita dell’azienda: i magazzini per il deposito dei prodotti agri-coli, le stalle per gli animali da lavoro con le mangiatoie in pietra, i dormitori per i lavo-ratori stagionali ed un locale piuttosto ampio che comprende il forno e la cucina in cui i braccianti consumavano il pasto. Attorno e sul retro dell’edificio, a seconda della grandezza della masseria, c’è il frantoio per l’olio, il “palmento” per il vino e l’aia (l’era) per “pisari” il grano.

MASSERIA A FORMA LINEARE In questa tipologia di masseria, diffusa nel nostro territorio, manca completamente la “corte”. In essa i vari corpi di fabbrica, complessi o meno a seconda della grandezza della masseria, sono disposti lungo un unico asse edile con i locali a solo pianterreno o a piani sovrapposti. Così strutturate sono anche le masserie con economia frugale nelle quali sono presenti l’abitazione modesta per il massaro, piccoli “curti” per le pecore e torrette rotonde per i colombi. L’unità, aspetto essenziale nell’architettura rurale, si ritrova attraverso l’uso del colore, del materiale e soprattutto per una particolare disposizione dei volumi minori rispetto a quello principale. La struttura diviene un fatto espressivo anche attraverso il materiale costruttivo più usato, il tufo, pietra calcarea locale, scavato e intagliato in cava secondo blocchi parallelepipedi di dimensioni pressoché unificate. La funzione è semplice qua-lificazione dello spazio interno: forme parallelepipede senza differenziazioni esterne, distribuite in uno schema planimetrico quadrangolare spesso a due piani.Attorno alla dimora il più ampio spazio “la mezzana” è riservato al pascolo dei bovini e degli equini.L’area immediatamente circostante la masseria, recinta di muri a secco è detta “cam-pana” ed è destinata al pascolo di puledri e di vitelli.

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La partitura degli spazi, espressa dalle diverse funzionalità e dalla modulazione con-tenuta anche negli ambienti, viene sottolineata da un elemento architettonico come il pozzo, spesso al centro della corte interna, quasi sempre lastricata con “chianche”. Vi è anche l’orto domestico, un fazzoletto di terra coltivata adiacente all’abitazio-ne perché la massaia possa accedervi con facilità senza ricorrere al distante pode-re e ove sia possibile l’irrigazione frequente. Esso è quasi sempre recintato per pro-teggerlo dalle devastazioni e dal” razzolare delle galline”. Oggi l’orto, e ancora più l’aia, rappresentano uno spazio adibito a verde privato il primo, attrezzato il secondo. L’edilizia rurale è quindi, una interpretazione del paesaggio agrario, una espressione culturale del territorio; nonché l’espressione funzionale dell’attività agricola e sociale.

Elementi tipologici

Le masserie generalmente presentano fabbricato ampi, composti da vari ambienti, spesso su due piani. Generalmente al piano terra si trovano gli ambienti destinati alla produzione, ovvero stalle e servizi generali, e al piano superiore gli ambienti utilizzati per residenza. In linea generale le masserie presentano i seguenti elementi tipologici: a) Corte: la corte o cortile, è lo spazio scoperto, presente soprattutto nei complessi rurali di una certa dimensione; b) Alloggio padronale: l’alloggio padronale è generalmente situato nel piano superiore del corpo principale, a cui si accede mediante ampie scale che si dipartono dell’ andro-ne di ingresso della corte;.c) Alloggio del massaro e dei salariati: gli ambienti dedicati al riposo del massaro e dei braccianti sono al piano terra a diretto contatto con gli spazi produttivi; d) Ambienti di lavoro: si tratta di una serie di vani dislocati intorno alla corte adibiti a stalla, rimessa di carri agricoli, ambienti per lavorazione e conservazione di vino, latte, olio e a volte anche di un vano per il maniscalco; e) Cappella: quasi sempre presente nelle masserie è ovviamente destinata alle celebra-zioni sacre. Si può trovare una Cappella interna posta nel piano residenziale o al piano terra con ingresso dell’ androne, al locale ricavato tra gli ambienti del piano terra con accesso esterno evidenziato da una croce, fino alla vera e propria chiesa avente volume-tria ed impostazione architettonica pregiata, spesso coperta da cupola o affiancata da un evidente campanile.; f) Fortificazioni: è l’elemento preminente e qualificante delle architetture rurali in esa-me. La torre è l’elemento più importante della struttura difensiva delle masserie.Invece le garitte e le torrette casamattate di forma quadrata o circolare poggiate su mensoloni di pietra e collocate agli angoli permettevano il controllo delle zone morte

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dell’ edificio; g) Jazzi: struttura rurale posta ad una certa distanza dalla masseria era destinata all’ allevamento del bestiame ovino; h) Caditoia o piombatoia: botola nel pavimento del cammino di ronda sulle mura o le torri atta a versare sul nemico olio o pece bollente.i) Feritoia: fessura praticata nelle mura (o in criptoportico o in mura di sostegno) delle fortificazioni dalla quale era possibile sparare con armi da fuoco leggere a canna lunga dette archibugi; per accrescere il raggio d’azione esse si allargano a strombo verso l’in-terno l) Garitte: casotto dove stava di guardia la sentinella; m) Cammino di ronda: ballatoio lungo le mura di cinta della masseria fortificata , pro-tetto verso l’esterno e dotato di feritoie e caditoie; n) Atrio criptoportico: passaggio coperto e semisotteraneo, illuminato con feritoie nei fianchi della volta, usato per la costruzione di terrazze. Presenta delle aperture che con-ducono allo spazio aperto; o) Frantoi Ipogei: uno degli angoli più affascinanti di questa masseria è il grande fran-toio sotterraneo, da cui prende il nome. In questa grotta naturale si produceva l’olio d’oliva.

LA VITA NELLA MASSERIALa vita al suo interno era difficile, dura, monotona, guidata da un ritmo quotidiano oggi impensabile, scandita dal rapporto costante con le esigenze dei campi, degli ani-mali, dal succedersi delle stagioni non favorevoli ad un’agricoltura dipendente dal cli-ma, quindi, tanta fatica per tutti, pastori, braccianti, massaro.

IL MASSAROIl massaro è la figura più importante della masseria. Poteva essere affittuario, quindi pagare un canone d’affitto al proprietario oppure solo responsabile della conduzione della masseria per conto del padrone.Era il massaro ad assegnare i compiti, a impartire gli ordini, e, sempre lui, secondo regole e tempi stabiliti e come forma di remunerazione, distribuiva ai capifamiglia re-sidenti parti di ciò che la masseria aveva prodotto. A queste distribuzioni regolari, si aggiungevano quelle eccezionali di agnello, e la festa del santo patronoLa figura del “massaro” nacque in seguito alla crescita demografica verificatasi nel XVI secolo. Tale fenomeno fornì le condizioni propizie

Il massaro era il “capo” di queste strutture rurali. Egli rilevava, tramite un contrat-to d’affitto, l’intera azienda dal proprietario effettivo, il quale, il più delle volte, era

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un nobile, un ecclesiastico, un feudatario, un giudice o un dottore, e si impegnava a corrispondergli metà del raccolto, le primizie di ciascun frutto. Tale accor-do, aveva solitamente una durata pari al tempo che necessitavano le colture per compiere un intero ciclo vitale. Questo personaggio, tuttavia, non avrebbe mai po-tuto portare avanti l’intera struttura da solo, sarebbe stato impossibile. Assumeva, quindi, dei braccianti, garantendo loro dei pasti caldi e un luogo in cui dormire, anche se, spesso, i lavoratori preferivano mantenere la loro residenza originaria. La masseria presto si popolava di uomini volenterosi, dediti al lavoro. Il massaro, di frequente, preferiva trasferirsi nel-l’agglomerato masserizio con tutta la sua famiglia, ma ciò era fattibile solo se il compro-messo stipulato con il possidente lo prevedeva espressamente. Il suo alloggio era situato quasi sempre al piano superiore, accanto alle stanze dei padroni che, di tanto in tanto, si recavano nelle masserie per trascorrere qualche settimana di tranquillità. Tali aziende erano lontane dai centri abitati e l’antica rete viaria salentina era inadeguata e precaria. Ciò non facilitava i collegamenti, anzi procurava un maggiore isolamento.

Il massaro aveva delle grosse responsabilità e doveva fare in modo che tutto filasse nel verso giusto, altrimenti, se fosse venuta meno anche solo una delle condizioni iniziali, il sistema ne avrebbe certamente risentito. Questi uomini infaticabili, tuttavia, erano ripagati per i loro sforzi. Grazie al censimento dei catasti onciari del XVIII secolo, è stato appurato che tale mestiere, rispetto ad altri di pari livello, forniva una certa sicurezza economica, per non parlare delle scorte alimentari derivanti dai raccolti sulle quali la famiglia del massaro poteva contare per il proprio sostentamento.lsuo carattere, della sua capacità di condividere e capire la durezza della fatica, dal tono con cui dava ordini, dal modo in cui stabiliva il rapporto con gli altri, dipendevano una vita tollerabile o sentirsi ultimi della terra. Il massaro, dopo aver lavorato diversi anni sotto padrone, spesso aveva la possibilità di comprare la masseria alla quale aveva dedicato tutto il suo tempo. Così da dipendente diveniva proprietario.

LA MASSARALa massara era la prima donna nella masseria. Essendo moglie del massaro, ne condi-videva importanza e responsabilità, preoccupazioni e compiti inerenti sia ai lavori delle

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donne, sia la vita sociale vera e propria all’interno della masseria.Cucinava per i lavoratori stagionali, gestiva la raccolta delle olive e la conservazione delle stesse per il padrone, la raccolta dei fichi da spaccare e sistemare sulle “littere” e unire poi a due a due con le mandorle abbrustolite, la raccolta dei pomodori e la tra-sformazione conserva e in salsa con il padrone, la conservazione di ortaggi, la battitura delle fave da ventilare e poi “scantari”, la pulitura di ceci e fagioli, dopo che si erano asciugati al sole,la trasformazione di uva in “musctarda” o “passuli”, delle melacotogne e delle pere in marmellata, utili per dolci di natale.Questi, insieme a tutti quei lavori che, apparentemente leggeri, rendevano in realtà, la loro vita molto piena e quella degli uomini , in famiglia, a tavola, più piacevole. In ogni masseria, comunque, c’era il forno grande che si utilizzava per cuocere pane frise e focacce.La massara decideva quando accenderlo, passava la voce e il giorno dopo diventava una sorta di “festa”, perché ogni donna si doveva dare da fare, lavorando sia pane e frise, sia cercando di inventare qualcosa da cuocere, approfittando delle giornate da forno. La massara, quindi, eseguiva i lavori più grossi con l’aiuto delle altre donne.

LE DONNE IN MASSERIAAnche la donna ,come l’uomo,subiva il peso della vita all’interno della masseria,era una figura importante,che doveva destreggiarsi tra figli,cucina,lavori domestici,nei campi. Conservava,misurava,proteggeva i frutti del lavoro maschile, attenta ai periodi di ma-gra.Dopo la mietitura entrava in scena nelle ore più calde, quando le spighe erano asciutte, sui campi dorati ormai “rasati” a “spigolare” a contendere quasi agli uccellini le spighe e i chicchi rimasti. Non era molto stimata nella società, ma ogni padre di fa-miglia sapeva quanto era importante. Ogni giorno era capace di mettere a tavola qual cosa, inventare nuovi contorni per rendere più appetibili i soliti ceci, fagioli, le solite fave; lavorava anche quando era incinta, fino a poche ore prima del parto, mettendo in pericolo il bambino che doveva nascere, oltretutto, doveva abbandonare il letto pochi giorni dopo il parto per tornare a lavorare, quindi, per allattare, portava con sé il pic-colo nei campi

LA VITA DEL PASTORENelle masserie “di pecore”, situate in zone poco adatte alle attività agricole,perché prive di terreni fertili, l’attività prevalente era quella legata all’allevamento ovino. Il pastore era il protagonista. All’alba il pastore si allontanava dalla masseria, guidando il suo gregge, verso

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pascoli remoti, lontano dai contatti umani per una intera giornata. Pas-sava il tempo sbucciando le fave con-tenute nella sua bisaccia a tracollo, o a raccogliere “cicureddi”, pensan-do ai lavori della sera e soprattutto “mmutata”, il riposo quindicinale e, a volte, mensile.

Altri strumenti sono: “le quatare”, “lu cacculu”, recipiente di rame stagionato dove si metteva a scaldare il latte, “le cuc-chiare” per rimescolare il latte caldo, “ la mattra” per poggiare la ricotta.Nelle masserie “di campo”, le attività agricole prevalevano su quella di allevamento, che era presente per ragioni di sussistenza. Protagonisti, i lavoratori agricoli, la loro giornata era dura, a volte rimata dalla voce di dell’antiero che sollecitava a tenere il ritmo; vita monotona vivacizzata solo dai rituali stagionali come mietitura, trebbiatura, vendemmia, che nelle masserie più grandi la presenza di “ furastieri”, ricchi di notizie ed esperienza per il loro girovagare in quanto stagionali.

MIETITURAL’era (aia), diventava il punto nevralgico della masseria che assumeva l’era allegra della festa come ad ogni buon raccolto.Questo era uno di quei momenti, durante i quali la masseria si animava per l’arrivo dei mietitori di supporto, gente di “foriterra”, fuori paese, cioè, che falciavano il grano sotto il caldo estivo, insieme a braccianti che raccoglievano le spighe in “ mannucchi”, li trasportavano vicino all’era ammassandoli insieme a “mete” o “pignoti” . Dopo la mie-titura, si passava alla “pisatura”. Le spighe, dopo aver disfatti i covoni, venivano stese sull’aia, poi entravano in funzione i battitori che battevano le spighe, oppure si facevano muovere in cerchio di animali che trasformando le “pisare”, frantumavano le spighe. Poi si ventilava la poltiglia e, infine, avvenuta la “cernitura” cioè la pulitura del grano. Le donne, intanto, attingevano acqua fresca per ristorare gli uomini, che, oltre al fasti-dio estivo, dovevano sopportare la polvere del grano e le pagliuzze che si appiccicavano alla pelle sudata. Tutto rendeva la trebbiatura, pur nella sua allegra, molto faticosa.

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Storie di briganti nelle masserie

Si racconta che, molto tempo fa, alla fine del ‘700, nelle campagne tra il tarantino ed il brindisino, imperversassero il brigante Musulino e la sua banda. Come tutti i briganti, anche loro avevano l’uso di approfittare delle Masserie, sfruttandole per riposarsi e rifo-cillarsi. Così, tra razzie, rapine e soprusi, era ovvio che non fossero ben visti.Nello stesso periodo esisteva una Masseria chiamata “La Petrosa” , di proprietà di un tal Martino Savino. La masseria aveva questo nome proprio per il territorio sassoso su cui sorgeva, al confine tra la provincia di Taranto e Brindisi, a pochi chilometri dal paese di S.Marzano di S. Giuseppe. Il proprietario era famoso per la sua onestà ma, sopratutto, per il carattere mite; sicchè, quando giungeva nella sua proprietà il brigante Musulino, egli non protestava, non per vigliaccheria, ma per quieto vivere: sapeva fin troppo bene che il brigante era potente, e mettersi contro di lui avrebbe portato grossi guai. Ed in fondo aveva la possibilità economica di offrire qualche pasto caldo, senza troppo perderne. Questo suo atteggiamento suscitò nel brigante un sentimento di sim-patia e fiducia. Ma non può dire sempre bene a un fuorilegge e infatti, dopo anni di brigantaggio, la Guardia Reggia era ormai prossima ad acciuffare il bandito, che già aveva perso molti dei suoi uomini.

Nello stesso periodo esisteva una Masseria chiamata “La Petrosa” , di proprietà di un tal Martino Savino. La masseria aveva questo nome proprio per il territorio sassoso su cui sorgeva, al confine tra la provincia di Taranto e Brindisi, a pochi chilometri dal paese di S.Marzano di S. Giuseppe. Il proprietario era famoso per la sua onestà ma, sopratutto, per il carattere mite; sicchè, quando giungeva nella sua proprietà il brigante Musulino, egli non protestava, non per vigliaccheria, ma per quieto vivere: sapeva fin troppo bene che il brigante era potente, e mettersi contro di lui avrebbe portato grossi guai. Ed in fondo aveva la possibilità economica di offrire qualche pasto caldo, senza troppo perderne. Questo suo atteggiamento suscitò nel brigante un sentimento di sim-patia e fiducia. Ma non può dire sempre bene a un fuorilegge e infatti, dopo anni di brigantaggio, la Guardia Reggia era ormai prossima ad acciuffare il bandito, che già aveva perso molti dei suoi uomini.Così, sententendosi alla fine, una sera ad ora tarda, Musolino si presentò alla Petrosa, con un uomo della sua banda, chiedendo di “Tatàttino”, come era chiamato in famiglia

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e dagli amici Martino. Il brigante appariva stanco, provato dal continuo nascondersi. Portava con sé una cassa, nascosta sotto il mantello. Si misero seduti al tavolo, illuminati dal lume. Martino era preoccupato, ma più incuriosito, dalla visita che si era presenta-ta diversa dal solito: sapeva, infatti, che ormai era questione di giorni per l’arresto del bandito. Musolino mise sul tavolo la cassa e l’aprì: era piena di oggetti d’ oro, indubbia-mente una parte della refurtiva accumulata in anni di rapine.

Tatàttì, sono alla fine, non posso più nascondermi. Non so che ne sarà di me, possono anche ammazzarmi. Quest’oro però, non devono prenderlo loro. Lo lascio in consegna a te. Se mai uscirò dalle galere, me lo ridarai, altrimenti, è tuo”. Martino dopo un atti-mo di smarrimento si alzò, mise una mano nella cassa, si fece passare tra le dite gli og-getti preziosi , le monete, i gioielli: pensò. Ad un tratto guardò quell’uomo ormai finito e disse “No”. Al che il compare di Musulino estrasse la spada e lo minacciò seriamente di ammazzarlo se non avesse fatto come gli era stato detto, ma il brigante aveva sempre più stima di quest’uomo, che ora dimostrava anche notevole coraggio . Mise una mano sul braccio del compare, e gli ordinò di riporre l’arma, dicendo che Martino si era sempre comportato con sincerità, ed era uomo troppo onesto per accettare una simile proposta, ma se gliel’aveva fatta era stato solo per riconoscenza, sperando di fargli cosa gradita, anche se sapeva che la sua onestà era tale, da non permettergli di accettare una cosa simile. Si ritrovarono fuori, in silenzio: i due uomini braccati si allontanavano nel-la notte. Martino sulla porta li guardava scomparire, ma ad un tratto gli urlò “Che ne farai dell’oro?”, “Lo seppellirò sotto un ulivo che conosco”. fu la risposta del brigante. Musolino fu arrestato due giorni dopo. Non si seppe nulla riguardo la sua fine, come neanche dell’oro sepolto sotto un ulivo nella campagna tra Taranto e Brindisi. Che quindi, probabilmente è ancora lì, ad aspettare di essere ritrovato

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Le masserie non sono più i luoghi deputati in cui permanevano, dimoravano massai con le proprie famiglie, operai e bestie per coltivare terre, produrre formaggi e tenere, come oasi gli spazi tra i centri urbani. Non vi sono più masserie in cui la sera si accendevano le lucerne a olio che davano fioca luce nelle stalle ove le bestie riposavano sopra strame o paglia e gli uomini, semivestiti, sopra sacchi di iuta pieni anch’essi di paglia. Gli aratri di legno, appena rinforzati dai puntali di ferro o vomeri, costruiti dai bovari sono nei musei della civiltà contadina con i ventilabri e quant’altro fu usato sui campi e sulle aie.

Le strutture delle masserie: torri di difesa, muraglie dei cortili, stalle, ombracoli sono ancora, ma cedono alle pressioni delle radici dei capperi e di quelle più pressanti dlei caprifichi; cedono per l’abbandono e perché spogliati dei pavimenti e degli infissi che i proprietari o i profìttatori trasferiscono, come anticaglie, nelle case del paese o nelle ville al mare. Vi sono masserie ove le stalle, non più tali, ospitano festose comitive al seguito di sposi. La funzione loro è cosi mutata da luogo di lavoro in luogo di ristoro e di festa. Le masserie, in cui non stagionale ma permanente è la residenza della famiglia del pro-prietario, e solo di quella e non più degli operai giornalieri delle sei ore, in tutta l’area della provincia di Brindisi finiranno col contarsi sulle dita delle mani. Ogni masseria della provincia di Brindisi ha una vasta autonomia compositiva che ne fa un esempio unico e il territorio fasanese ed ostunese ne sono uno splendido catalogo. Il frantoio-trappeto delle masserie fasanesi ed ostunesi acquista una particolare impor-tanza; si caratterizza per essere ipogèo, interamente scavato nella roccia, e in alcuni casi è lo stesso frantoio dei villaggi rupestri, poi inglobato nella masseria, che diventa così la naturale evoluzione del vivere delle popolazioni rurali, dalle abitazioni ipogèe al nucleo organizzato della masseria.

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Per questo lo sviluppo dell’agriturismo e della ricettività in masseria permette valida-mente una rivitalizzazione degli spazi e la salvaguardia di questi veri e propri monu-menti al lavoro e alla sapienza degli uomini. La tipologia delle masserie di cui è innervato il territorio di Brindisi è sicuramente mol-to articolata. Ne è conferma la presenza anche d’altri tre gruppi morfologici: masserie con coperture a terrazza ed a pignon, masserie miste a pignon e trulli, masserie a trullo. Si tratta di strutture architettoniche costruite in pietra calcarea o tufo. Nella maggior parte dei casi, erano recintate da muri “a secco” o “a crudo”, così definiti perché in-nalzati utilizzando il calcare compatto offerto dalle colline, senza malta (e quindi senza acqua). Nel territorio ostunese, sorge la masseria Satia Piccola che, oltre ad essere tra le più an-tiche della zona, è anche la più particolare. Infatti, risulta costituita da tre enormi trulli, dei quali, quello centrale è a due piani e perciò denominato Trullo Sovrano

LE CAPPELLE Gran parte delle masserie della provincia di Brindisi possiede, inoltre, una cappella, vale a dire la chiesetta in cui i proprietari ed il contado potevano celebrare il rito cristia-no. Nelle masserie, infatti, durante la fase della raccolta, confluiva un cospicuo numero di braccianti che vi dimoravano per periodi piuttosto lunghi svolgendo vari lavori.

Le chiese, quindi consentivano alla comunità di santificare la domenica, partecipando alla S. Messa, senza abbandonare il luogo di lavoro. Potevano essere inserite nel corpo di fabbrica oppure trovarsi distaccate rispetto al complesso architettonico abitativo e produttivo. Le loro dimensioni erano legate alla situazione socio-economica dei pro-prietari ed erano spesso dedicate, per devozione mariana, alla Vergine. Ad esempio,

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sono numerosi i rilievi scultorei e le tele con l’iconografia della Madonna della Madia, collocati soprattutto nelle masserie più prossime alla costa. Molte chiese, inoltre, con-servano dipinti ed affreschi che sono pregevoli attestazioni dell’attività artistica di alcu-ni pittori o di alcune scuole pittoriche locali.Le cappelle riassumevano in sé molto del complesso vissuto del vivere in masseria. Non sorprende quindi il fatto che la storia di molte di esse sia costellata di episodi romanze-schi. L’elemento che più contribuiva a movimentare la loro vicenda era, naturalmente, il diritto di asilo con cui esse, come tutte le chiese, garantivano l’immunità ai rifugiati. Molto spesso, quindi, vi si ritrovarono a vivere, anche per anni, poveracci inseguiti dai creditori o perseguitati dai funzionari del fisco, ma anche assassini più o meno occasio-nali. Ciò durò sino al concordato stipulato fra Stato e Santa Sede nel 1741, che escluse le chiese rurali dal diritto d’asilo e fissò, inoltre, norme più stringenti per l’erezione delle cappelle rurali. In primo luogo divenne necessario ottenere un formale assenso regio, condizionato alla esplicita dichiarazione di mancanza di diritto d’asilo. Per esplicitare il nuovo status vennero affisse apposite epigrafi sovrastanti l’accesso alla chiesa. Fondando la cappella il proprietario della masseria si impegnava a destinarle una an-nua rendita, assicurata in genere con la stessa masseria o parte di essa, sufficiente per il mantenimento delle suppellettili della chiesa e per l’elemosina da corrispondere al prete per i suoi servigi (celebrare la messa e somministrare i sacramenti). L’arredo interno di una cappella era molto variabile: da relativamente semplice a molto articolato ed impreziosito. Comprendeva l’altare con i relativi arredi sacri, le panche per il pubblico, quadri, affreschi o tempere murarie, recanti le immagini dei santi cui l’edificio era dedicato, più di rado anche i committenti. Si trattava in genere di santi molto vicini alla religiosità popolare, fra cui particolarmente diffusa quella della Ver-gine del Carmelo. Spesso di fattura naive, talvolta invece per l’esecuzione dell’arredo pittorico venivano incaricati gli artisti più in voga).

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CAPPELLE CAMPESTRI CHIESETTE RURALI CRIPTELe cappelle campestri diffuse nelle campagne, sono in genere, a pianta quadrata, sor-montate da volta a botte e copertura a due falde inclinate, il tutto in pietra calcarea locale. Il colore dominante all’esterno, è il bianco del latte di calce come per i trulli e i centri storici, all’interno le pareti sono affrescate. L’elemento d’arredo originario è costituito da una spessa lastra compatta in pietra, sorretta da mensole incastrate nella muratura, lo spazio interno e di non più di due metri quadrati. Le cappelle sono poste sulle strade ed erano per il viandante un breve raccoglimento in preghiera o sempli-cemente, il riparo temporaneo per i nostri contadini che a piedi, in bicicletta o con il carretto si spostavano fra la campagna e il paese. Le chiesette rurali erano dei punti di raccolta per la preghiera, al tramonto e il giorno di festa ci si ritrovava per le funzioni religiose. Le chiesette più antiche si trovano annes-se ai complessi masserizi, ma quasi ogni contrada ha la sua chiesetta antica o anche costruita recentemente con i fondi raccolti fra contadini e villeggianti. Numerose nella stagione estiva sono le feste di campagna in onore del santo venerato nella chiesa della contrada, una semplice e singolare processione per le stradine di campagna, musica popolare giochi e gare tradizionali come la “cuccagna”.

IL SISTEMA DEGLI INSEDIAMENTI RUPESTRILe chiese cripte sono in genere cripte basiliane che hanno avuto origine in maniera diffusa dal IX al XII sec. Le più importanti sono: il complesso rupestre di San Biagio a San Vito dei Normanni e la cripta del santuario Madonna del Belvedere a Carovigno. Fra le altre chiese cripte, con affreschi basiliani, la grotta della Madonna della Grotta, sovrastata da una chiesetta del 300 con campanile a vela e, la grotta di San Michele con gigantesche colonne stalagmitiche, ambedue sono in territorio di Ceglie.

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Nel territorio di Fasano, come quello di molti altri centri del Brindisino, quali Ostuni, Carovigno, S.Vito dei Normanni, Ceglie Messapica, per citare solo i più vicini, con-serva ancora ricchissime e spesso sconosciute testimonianze del fenomeno rupestre. Si registra infatti la presenza di ben 21 chiese rupestri, molte delle quali affrescate e sono ben quattordici gli insediamenti rupestri

In genere le chiese presenti lungo le lame di Fasano, soprattutto in quelle più vicine al mare, piuttosto che in quelle ai piedi della scarpata murgiana, presentano una pianta di forma rettangolare o irregolarmente quadrata, quasi sempre ad una sola navata con soffitto piano o a botte. In fondo alla navata è sistemata l’abside, di forma semicircolare a nicchione, la cui curvatura superiore è più bassa della volta della navata. In qualche caso sono presenti le absidi laterali, a volte ridotte a semplici nicchie. L’abside molto spesso è chiusa dall’iconostasi. L’altare, nei casi in cui non è andato distrutto, è formato da un blocco monolitico delle dimensioni di 70 –80 cm di lato e un metro d’altezza. Lungo le pareti della navata sono posti in genere i sedili, a Lama d’Antico anche una cattedra. Quasi sempre è rispettato l’orientamento liturgico, occidente – oriente, della navata rispetto all’abside centrale. Per ciò che concerne l’esterno delle chiese rupestri, in genere non hanno facciata e, quando presente, è ridotta al minimo indispensabile. Spesso l’ingresso consiste in una porta centinata ad arco doppio.

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A Fasano si possono distinguere tre tipologie di chiese: a pianta semplice (Difesa di Malta, Ottava, S. Donato, S. Marco, S. Virgilia, S. Basilio, S. Francesco e S. Nicola); a pianta composta (S. Giovanni e Lamalunga); a pianta complessa (S. Lorenzo, Lama d’Antico e SS. Andrea e ProcopioGli schemi pittorici delle chiese rupestri di Fasano si ispirano a modelli bizantini, pur essendo evidente l’influenza della cultura e delle tradizioni locali. Gli affreschi non hanno di solito carattere liturgico o didattico, ma solo votivo. Fra i soggetti numerose sono le Deesis pantocratiche. In origine erano frequentissime all’interno delle chiese le iscrizioni, in greco ed in latino, molte delle quali ormai illeggibili.

Gli insediamenti civili comprendono gruppi di grotte più vasti e complessi, con grotte su più piani, sentieri e strade di accesso, scalinate scavate nella roccia, sistemi di cana-lizzazione delle acque piovane, servizi comunitari (pozzi, magazzini, farmacie, etc.).Naturalmente anche a Fasano tra gli insediamenti monastici e quelli civili non si regi-

stra una profonda differenziazione, dato che spesso era proprio la presenza di un inse-diamento monastico ad attrarre la popolazione dando luogo ad un insediamento più vasto e complesso

INSEDIAMENTI MONASTICIInsediamenti monastici erano quelli di Difesa di Malta, di Ottava, di Pozzofaceto, di Sciurlicchio, di Campanella, di Laureto, di S. Donato, di S. Marco e di Lamalunga. Alcuni di questi, in particolare quelli prossimi alla scarpata murgiana (S. Donato e Lau-

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reto) sono composti da una o due grotte, a significare un tipo di insediamento monasti-co di tipo anacoretico, mentre gli altri, composti da un numero superiore di ambienti, fanno ipotizzare l’esistenza di una laura o di un cenobio.Insediamenti civili erano quelli di S. Lorenzo, di S. Giovanni, di Lama d’Antico, di S. Virgilia, di Seppannibale, di Lama Cupa, di Coccaro, di S. Basilio, di S. Francesco, di S. Nicola, di Facianello, di SS. Andrea e Procopio. Le cripte adibite a luogo di culto costituivano senza dubbio il cuore anche dell’insediamento civile e costituiscono ancor oggi l’elemento di maggior interesse dell’insediamento.Anche per questo è innegabile, dunque, il valore storico, sociale, culturale ed archi-tettonico delle masserie le quali offrono, non solo un valido contributo allo studio dei processi insediativi nel territorio della provincia di Brindisi, ma anche un’autentica te-stimonianza di quel solido mondo rurale con le sue quotidiane fatiche, con il suo pro-fondo rispetto per l’ambiente e con la sua religiosità.

LE MASSERIE FORTIFICATEQuasi tutte le masserie fortificate del Brindisino erano costruite sopra o vicino a vaste cavità sotterranee poi adattate dall’uomo alle sue esigenze: qui si sistemavano macine, presse e cisterne. Sempre sotto terra si ricavavano anche le stanze per il riposo degli operai e le stalle per gli animali. Nella nostra “grotta” si è lavorato fino agli anni 50. I macchinari, che con un sistema di cinghie e pulegge muovevano le macine, risalgono invece agli inizi del secolo. Le presse funzionavano a vapore. Sono veri reperti di ar-cheologia industriale, che sembrano aver smesso di lavorare solo da qualche giorno. Nel pavimento sono scavate cisterne in cui veniva conservato l’olio d’oliva. In questa grotta, accanto alle vecchie macine di pietra, sono raccolti i vecchi attrezzi di uso agricolo e domestico, insieme a orci, cesti di spighe secche, vino. In questo luogo il microclima è perfetto per conservare, in modo assolutamente naturale, frutta, verdura e ortaggi.Alcune masserie avevano anche dei frantoi ipogei, frantoi sotterranei ricavati in grotte naturali e adattate alle esigenze produttive con cisterne per la conservazione dell’olio e macine in pietra. I frantoi ipogei venivano utilizzati sino a 50 anni fa, oggi rappre-sentano una parte importante della nostra archeologia industriale e sono visitabili in alcune masserie del nostro territorio. Fra queste vi segnalo l’antica masseria Brancati la cui struttura architettonica risale al basso medioevo, ed è una delle poche masserie che ha conservato, delle varie fasi storiche, l’originale struttura e aspetto, non ha subito, infatti, “moderni rimaneggiamenti”. Il frantoio ipogeo sottostante è alquanto interes-sante e risale, verosimilmente, ad epoca romana. In masseria è possibile acquistare olio extra vergine di oliva, prodotto con metodi artigianali con olive raccolte direttamente dai rami di maestosi alberi di ulivi plurisecolari.

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LA MASSERIA NUOVAIl primo nucleo sparso dell’odierno paese di San Michele nasce con un atto notarile del 1839 con il quale il principe Francesco Dentice di Frasso (che possedeva i castelli di Carovigno San Vito e Serranova oltre a grandi latifondi) concedeva terreni per 210 tomoli (misura locale corrispondente a 8000 mq.) e 1500 querce a 61 coloni di Ceglie e Ostuni.Alla fine dell’ottocento il nobile napoletano Ettore Tagliaferro si trasferisce a Ceglie nella masseria Palagogna non lontano da San Michele. Con illuminata intuizione, pro-fonda competenza e grande sensibilità d’animo, attua una vera e propria riforma agra-ria, dividendo in lotti di cinque ettari il suo esteso latifondo ed assegnandolo a famiglie di contadini, che s’impegnano a trasferirvisi e a dissodarli. Per offrire loro anche l’indi-spensabile sostegno economico e per accostarli alla mentalità della cooperazione, crea una Cassa Rurale. Fu l’ispiratore dell’autonomia di San Michele (1928) che purtroppo non vide, morì nel 1922 colto da una crisi cardiaca durante lo svolgimento di un consi-glio comunale a Ceglie, comune del quale era sindaco.

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A Ceglie lungo la strada che porta al castello, vicino all’ex municipio, una larga tar-ga così lo ricorda: “Sulla casa del popolo nel fervido lavoro si spense repentinamente radiosamente per passare quale trionfatore fra un nimbo corrusco di fiori di laudi del popolo benedicente glorificante”.

LA MASSERIA CARESTIALa prima caratteristica che distingue questa masse-ria è il corollario degli elementi che la conformano, nonché la buona impostazione architettonica.La tipicità fruitiva della maggior parte dei locali in-ducono a diagnosticarla come iniziale masseria da campo, ma altre porzioni stabiliscono interessi per l’allevamento, l’olivicoltura, la viticoltura, la pasto-rizia e, soprattutto, una funzione direzionale come centro propulsore del lavoro agricolo.Ubicata nel territorio di Ostuni ammette una straordinaria caratterizzazione paesaggistica Qualsiasi elemento: abitazione, stalla, agrumeto, Jazzo, eccetera, ha una posizione specifica. È una struttura produttiva ed architettonica calibrata con metodo in tutte le parti che la costituiscono.Completamente racchiusa da alte mura ha delle qualità intrinseche che le consentivano di condurre, per lunghi periodi, una vita auto-noma, esplicando le prerogative di una cittadella.Ad iniziare dall’ingresso della masseria e fino all’edificio del proprietario, si prende co-noscenza di una strategia difensiva che si recepisce allorché ci si rende conto dello stato dei luoghi, della disposizione delle feritoie, della ubicazione dei posti di osservazione.Un sentiero, in parte contiguo al muro di cinta del vigneto e dell’agrumeto, conduce al-l’ingresso. Inizia un viale che in antico era coperto da un tetto a due falde sostenuto da 15 archi. A destra il pollaio e l’accesso alla corte interna, a sinistra lo Jazzo ed i ricoveri per gli ovini.Contigui al viale esistono l’agrumeto, l’orto e il vigneto.Il secondo diaframma immette nella corte.Intorno a questo spazio trovano collocazio-ne l’abitazione del massaro, la cappella, l’abitazione padronale, l’abitazione dell’am-ministratore, le stalle dei buoi e una consecuzione di passaggi coperti che consentono di pervenire alle altre componenti: cantina, giardino, stalle, orto, agrumeto, vigneto, eccetera.La masseria Carestia è l’espressione della migliore tradizione architettonica ed artigia-

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nale di Puglia, i suoi connotati sanciscono l’esperienza di scalpellini, fabbri, carpentieri, ebanisti, maestri muratori, contadini, eccetera.Il tufo è il materiale costruttivo predominante, ma diventa anche materiale decorativo con una sobrietà inaspettata, in quanto adoperato per evidenziare fornici, cornici, sti-piti, frontoni, loggiati, balaustri.Le altre strutture sono realizzate con pietre irregolari, a sacco, ovvero secondo l’opus incertum, e coperte di intonaco.Gli interessi operativi della masseria Carestia tenevano conto dell’ampia gamma di possibilità esistenti nell’allevamento e nell’agricoltura, le colture si alternavano per la validità dell’intero ciclo annuale: frumento, orzo, cereali, olivo, vite, agrumi, produzio-ne orticola; mentre l’allevamento considerava gallinacei, ovini, equini, bovini.Per questi aspetti la masseria Carestia è da indicare come emblematica anche nella vi-cenda storica della ruralità pugliese.La volontà della edificazione della masseria Carestia è dovuta all’arcidiacono Massari nel XVIII secolo, lo stemma contenuto nel portale di ingresso alla fabbrica per abita-zione reca la data 1752. Che il complesso sia dovuto ad un prelato lo si evince dai con-tenuti di alcune epigrafi posizionate su diversi paramenti murari della masseria, nonché dalle statue poste in facciata e da un particolare giardinetto strutturato come luogo di raccoglimento e di preghiera.

MASSERIA MONTALBANOLa masseria di Montalbano Vecchio, risale al XVI secolo ed è una delle più antiche masserie esistenti nel circondario di Ostuni. Un austero muro di pietra, che serviva per proteggere la masseria dalle incursioni piratesche e dal brigantaggio, come uno scrigno, racchiude un vero e proprio tesoro, un villaggio perfettamente conservato in tutti i suoi particolari: la dimora del Signore, le stalle, le scuderie, il frantoio, gli alloggi dei coloni e la chiesa della Beata Vergine del Rosario.La masseria di Montalbano Vecchio visse il suo periodo di massimo splendore dalla prima metà del XVII secolo, quando fu acquistata dalla famiglia degli Acquaviva di Aragona, Conti di Conversano, dapprima con Giangirolamo II che ne fece un centro di grande produzione olivicola e poi con il Conte Giulio II Acquaviva d’Aragona al quale si devono i lavori di ricostruzione della chiesa dedicata alla Beata Vergine del Rosario, che sull’altare riporta lo stemma del casato.Il Villaggio della Masseria Montalbano è uno splendido esempio di architettura rurale e signorile del XVI secolo. Appare protetto da un austero muro in pietra, eretto a difesa dei suoi 300 abitanti, e circondato da 20 ettari di ulivi secolari che diedero vita a una rinomata produzione di olio. Cuore del villaggio è una splendida corte che accoglie la chiesetta dedicata alla Vergine del Rosario, la dimora del signore, gli alloggi del suo

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seguito, tre grandi frantoi, le stalle e le scuderie. In una corte più piccola, si trovano le abitazioni dei coloni, piccole dimore tutte con camino. Oggi, dopo un restauro accura-to Masseria Montalbano ospita eventi e ricevimenti esclusivi. Le antiche dimore sono state adibite all’accoglienza degli ospiti che potranno, nel fascino originario del luogo, godere di tutti i moderni comfort e di un personale altamente qualificato e cortese. L’esclusivo ristorante offre piatti di cucina tipica pugliese ed internazionale ed una ac-curata selezione di vini.Il villaggio, con il passare del tempo, divenne così importante da contare ben 317 abi-tanti. Essi occupavano, all’interno della masseria, un’ala di basse costruzioni a schiera, consistenti in unità abitative composte da camera da letto e cucina, tutte uguali, dispo-ste a formare due corpi paralleli divisi da una strada. All’interno della masseria vivevano inoltre un Cappellano ed un amministratore che curava gli interessi del Conte di Conversano, nonché delle guardie armate alle dipen-denze del Conte. Oggi, dopo un rigoroso e responsabile restauro conservativo, la Masseria Montalbano Vecchio torna al suo antico splendore perpetuando la tradizionale ospitalità delle genti contadine, una tradizione fatta di cordialità e di semplicità

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TORRI COSTIERE E CASTELLIDifesa, dominio e controllo di una terra tra due mariLa storia delle fortificazioni pugliesi inizia in tempi remoti: specchie, aggeri di pietre e mura megalitiche lo testimoniano ancora oggi.Itinerari tra torri e costePartendo a sud della città di Brindisi incontriamo Torre Mattarelle e il sito di Torre Cavallo. Torre Mat-tarelle, posta in posizione emergente e panoramica,a causa della forte erosione naturale della costa e del suo costante arretramento,risulta in partediruta.Erretta nel XVI secolo, a pianta quadrata, con pareti a scarpa all’esterno e verticali all’interno.Un tempo tre caditorie scandivano i quattro prospet-ti, in controscarpa, con una inclinazione verso l’in-terno; il muretto di protezione delle caditorie era incurvato verso l’interno per evidenti esigenze difenzive.Presso la torre è stato rinvenuto materiale di interesse archeologico,come si è ricordato precedentemente.La struttura è in pietra locale di conci di tufo carparo regolari nei settori d’angolo; i paramenti murari invece sono frammisti a scapoli informi.L’area di Torre Cavallo resta legata ad una leggenda, quella dello sbarco nel 1248 di Luigi IX di Francia e dell’incontro con l’arcivescovo a cavallo con il calice ostensorio, che si ricorda il giorno del Corpus Domini.Il paesaggio circostante compreso tra Torre Cavallo e Punta della Contessa risulta mol-to interessante dal punto do vista naturalistico.Continuando lungo il litorale, a nord di Brindisi, la prima torre che incontriamo è Pun-ta Penne.Costruita nel XVI secolo è a base quadrata con pareti a scarpa all’esterno e verticali all’interno. Il toro ripartisce la parte inferiore da quella superiore,dove è evidente che un tempo erano presenti le caditoie eliminate dalle recenti manomis-sioni. Anche la scala è un elemento estraneo all’architettura originale della torre;infatti l’accesso originario,sempre sopraelevato per motivi di sicurezza,avveniva tramite scale di legno o di corda.Quì il paesaggio costiero è di tipo roccioso con piccole insenature sedi di lidi sabbiosi.A poche centinaia di metri dall’insenatura e della Torre Testa,in località Giancola e lungo il lato occidentale dell’ononimo Canale, è il sito archeologico in cui sonostati individuati insedimenti artigianali con fornaci per la produzione di ceramica.Due fornaci di quest’importante impianto produttivo sono conservate integralmente

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ed erano adibite alla produzione di anfore destinate al commercio ed all’esportazione dell’olio e del vino brindisini.Un sistema architettonico differente per uso,rispetto all’utilizzo tipico della torre costie-ra.“Masseria Fortificata” è un suggestivo binomio che vuole associare alla masseria clas-sica di ruolo di difesa e che architettonicamente parlando vede unificata la struttura “Masseria” alla struttura “Torre”.Le torri,da sempre elemento essenziale nel sistema di avvistamento a difesa da incursio-ni piratesche esterne, associate alle masserie hanno rappresentato anche,nei momenti di maggiore pericolo,l’ultimo baluardo di protezione per l’incolumità del-la gente che viveva nei casali. La masseria-torre di epoca medioevale,in realtà sembra avere una genesi più antica di quella sopra citata. Secondo gli storici la stessa sembra che si riallacci ad una pree-sistenza di epoca romana che è quella delle “Villae Rusticae”,che costituivano i primi nuclei di insediamento rurale ad greco-gotiche,seguite alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente,hanno significato specie per il territorio brindisino,terrore,saccheggi e de-vastazioni.Le masserie rurali hanno dovuto dotarsi di apparati di difesa come muri di cinta,torri di avvistamento,feritoie,caditoie e merlature,che le hanno trasformate,anche visivamente, in vere e proprie fortezze.I castelli di Puglia, noti ai tempi dei Romani e dei Bizantini, si moltiplicano nel medioevo. La neces-sità di fortificare, costruire rocche e baluardi a dife-sa delle città, delle rotte (terrestri e marittime), dei porti, dei valichi, dei confini e delle strade, divenne, nel medioevo, un’esigenza vitale. Questo mondo variegato, fatto di soluzioni ora semplici, ora ardite, di progetti ambiziosi e di falli-menti, ha lasciato in Puglia numerose testimonianze. Molti sanno che la storia dei castelli di Puglia si snoda attraverso i secoli, incrociando civiltà ed uomini il cui fascino è ancora sentito nel mondo. Dal “puer apuliae” Federico II Hohenstaufen agli Angioini, dagli Aragonesi ai Viceré di Spagna, tutti hanno, indistintamente, lasciato la loro impronta sul sistema delle for-tificazioni della Puglia. Del resto, non poteva essere altrimenti: regione ponte, frontiera d’Europa proiettata nel Mediterraneo dai forti contrasti, la Puglia è sempre stata il luogo in cui qualsiasi regno europeo doveva confrontarsi con l’Oriente, oltre che culturalmente, anche militarmen-te.

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La Puglia delle fortificazioni of-fre, poi, altri inaspettati scenari. Le sue coste, ad esempio, e le sue campagne, sono punteggiate da una serie infinita di torri e mas-serie fortificate, la cui storia ini-zia al tempo dell’invasione dei Longobardi, quando i Bizantini erigono il “Limes dei greci” che da Otranto arriva fino a Taran-to; poi, dopo il sacco di Otranto, sono gli Spagnoli che varano un piano organico delle fortificazio-ni costiere per contrastare la pe-ricolosa minaccia musulmana. Esse ricordano lunghi assedi ed episodi di terrore come il sacco di Otranto, la presa di Bari, la “chianca amara” di Vie-ste, la distruzione di Brindisi.Ma se le coste erano malsicure, nell’entroterra la minaccia era duplice. La masseria era il luogo in cui si accumulavano ricchezze e costituiva il bersaglio preferito sia dai pirati musulmani, che dai briganti locali, i quali praticavano diffusamente l’abigeato (approfittando dei frequenti e perduranti vuoti di potere che lasciavano indifesa la po-polazione). La Puglia delle fortificazioni offre, poi, altri inaspettati scenari. Le sue coste, ad esem-pio, e le sue campagne, sono punteggiate da una serie infinita di torri e masserie for-tificate, la cui storia inizia al tempo dell’invasione dei Longobardi, quando i Bizantini erigono il “Limes dei greci” che da Otranto arriva fino a Taranto; poi, dopo il sacco di Otranto, sono gli Spagnoli che varano un piano organico delle fortificazioni costiere per contrastare la pericolosa minaccia musulmana. Esse ricordano lunghi assedi ed episodi di terrore come il sacco di Otranto, la presa di Bari, la “chianca amara” di Vieste, la distruzione di Brindisi.Ma se le coste erano malsicure, nell’entroterra la mi-naccia era duplice. La masseria era il luogo in cui si accumulavano ricchezze e costituiva il bersaglio pre-ferito sia dai pirati musulmani, che dai briganti locali, i quali praticavano diffusamente l’abigeato (approfit-tando dei frequenti e perduranti vuoti di potere che

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lasciavano indifesa la popolazione). Così fu adottato un sistema analogo; ognuna di queste co-struzioni possedeva una torre ed attorno ad essa nasceva una masseria, ma non come semplice forma di volumi, bensì se-condo un ordine progettuale attento oltre, che alla difesa, an-che alla convivenza della piccola comunità.

I CASTELLI FEDERICIANI Estrema porta d’Oriente aperta agli scambi con i paesi trans-adriatici, la Puglia è stata anche soggetta nel tempo alle depredazioni piratesche che hanno reso necessario la co-struzione di fortificazioni che avessero la funzione sia di postazione di avvistamento che di difesa ultima del territorio. La maggior parte dei castelli pugliesi è di origine normanno-sveva, ma in seguito ne sono sorti altri o sono stati rimaneggiati i precedenti ad opera degli angioini e degli aragone-si, con modifiche anche vistose di chiara influenza barocca. Le testimonianze più grandiose di queste enormi costruzioni sono comunque riferibili alla fi-gura di Federico II che ne ordinò la costruzione in varie parti della Puglia. Partendo da Castel Fioren-tino dove la tradizione vuole che lo “Stupor Mundi” sia spirato, a Castel del Monte, nei pressi di Andria, l’opera forse più controversa voluta dall’imperatore, la cui funzione primaria non è ancora ben chiara agli studiosi moderni, da cui l’imperatore allungava il suo occhio per chilometri e chilometri, passando per le costruzioni da lui fatte erigere quali il Castello Svevo di Bari, Gioia del Colle, Trani, Brindisi e Oria. Degni di menzio-ne per la loro peculiarità architettonica sono i castelli cinquecenteschi di Lecce, Acaja e Otranto.

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Istituto Professionale di Stato per iServizi Alberghieri e della Ristorazione

BRINDISI

Alla realizzazione di questo lavoro molto ha contribuito sia la collaborazione del consiglio di classe 1I, sia la determinazione, l’impegno e la volontà degli alunni del corso.

Guidati dalla docente Giuseppina Lucia Sardelli e dall’esperto arch. Paolo Capoccia gli studenti hanno stilato una ricerca storica sul Medioevo e Federico II, attingendo tutta la

relativa documentazione storica da testi e da ricerche telematiche.

Il Dirigente Scolastico

Vladimiro Caliolo

Progetto relativo alle aree a rischio art. 9 CCNL comparto scuola 2002-2005Progetto grafico Francesco Zarcone