Dentro - La Voce della casa circondariale di Trento 1/2014

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“DENTRO” la voce della Casa Circondariale di Trento 1 A proposito di amnistia e indulto a mesi si discute, nel dibattito politico, della possibile adozione di un provvedimento di clemenza a favore dei detenuti delle carceri italiane. I diversi partiti si confrontano e scontrano su questo tema, varie sono le opinioni, così che risulta difficile capire bene cosa sta accadendo. I provvedimenti di clemenza previsti dalla legge in Italia sono tre: la grazia, l'indulto e l'amnistia. In questo articolo non approfondiamo il tema della grazia, perché è un beneficio che non riguarda tutti, ed è concesso dal Presidente della Repubblica alla singola persona che ne abbia fatto richiesta. In questo momento storico suscitano interesse nella popolazione carceraria l'amnistia e l'indulto. Vediamo di capire di cosa si tratta. Va chiarito subito che l'amnistia né l'indulto sono un diritto del detenuto. Ogni detenuto può sperare nell'amnistia o nell'indulto, ma non è un obbligo da parte dello Stato concederli. Entrambi i provvedimenti hanno carattere generale, cioè riguardano tutti i detenuti nei limiti stabiliti dalla singola legge che concede la clemenza. L'indulto e l'amnistia per essere approvati devono ottenere il voto dei 2/3 dei parlamentari (L. Cost. 29 novembre 1991 n. 280). L'amnistia deriva da una parola greca che significa dimenticanza, e detta in modo molto semplice cancella il reato, e se vi è stata condanna fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie. In genere viene concessa per reati che non superino i tre o quattro anni di reclusione. In alcuni casi l'amnistia non cancella tutte le conseguenze negative (ad es. in tema di successiva condanna ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena, della recidiva, della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato). Infine, il codice penale esclude che l'amnistia possa applicarsi a favore dei recidivi o dei delinquenti abituali o professionali. Ora l'indulto. L'indulto, dal latino indultum, è sempre un atto di clemenza ma a differenza dell'amnistia, che estingue il reato, condona in tutto o in parte, oppure trasforma in pena di specie diversa, la sanzione inflitta con la sentenza di condanna. Salvo che sia diversamente stabilito, non viene concesso ai recidivi, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Infine, il detenuto può decidere di rinunciare all'amnistia o all'indulto, con dichiarazione fatta avere al Giudice, decidendo così di scontare per intero la pena. D

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A proposito di amnistia e indulto a mesi si discute, nel dibattito politico, della possibile adozione di un provvedimento di clemenza a favore dei detenuti delle carceri italiane. I diversi partiti si confrontano e

scontrano su questo tema, varie sono le opinioni, così che risulta difficile capire bene cosa sta accadendo. I provvedimenti di clemenza previsti dalla legge in Italia sono tre: la grazia, l'indulto e l'amnistia. In questo articolo non approfondiamo il tema della grazia, perché è un beneficio che non riguarda tutti, ed è concesso dal Presidente della Repubblica alla singola persona che ne abbia fatto richiesta. In questo momento storico suscitano

interesse nella popolazione carceraria l'amnistia e l'indulto . Vediamo di capire di cosa si tratta. Va chiarito subito che né l'amnistia né l'indulto sono un diritto del detenuto. Ogni detenuto può sperare nell'amnistia o nell'indulto, ma non è un obbligo da parte dello Stato concederli. Entrambi i provvedimenti hanno carattere generale, cioè riguardano tutti i detenuti nei limiti stabiliti dalla singola legge che concede la clemenza. L'indulto e l'amnistia per essere approvati devono ottenere il voto dei 2/3 dei parlamentari (L. Cost. 29 novembre 1991 n. 280). L'amnistia deriva

da una parola greca che significa dimenticanza, e detta in modo molto semplice cancella il reato, e se vi è stata condanna fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie. In genere viene concessa per reati che non superino i tre o quattro anni di reclusione. In alcuni casi l'amnistia non cancella tutte le conseguenze negative (ad es. in tema di successiva condanna ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena, della recidiva, della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato). Infine, il codice penale esclude che l'amnistia possa applicarsi a favore dei recidivi o dei delinquenti abituali o professionali. Ora l'indulto. L'indulto , dal latino indultum, è sempre un atto di clemenza ma a differenza dell'amnistia, che estingue il reato, condona in tutto o in parte, oppure trasforma in pena di specie diversa, la sanzione inflitta con la sentenza di condanna. Salvo che sia diversamente stabilito, non viene concesso ai recidivi, ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Infine, il detenuto può decidere di rinunciare all'amnistia o all'indulto, con dichiarazione fatta avere al Giudice, decidendo così di scontare per intero la pena.

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INCONTRI & CONFRONTI

lla fine di novembre la redazione del giornalino del carcere ha avuto l’opportunità di conoscere il

Prof. Tapparelli, un trentino che da oltre 30 anni vive in Brasile, che è stato docente di diritti umani presso l’università statale di Salvador de Bahia e membro fondatore del Forum comunitario di lotta alla violenza e del Laboratorio di studi su violenza, sanità e società. Il Forum e il Laboratorio si occupano di assistere le vittime di violenza. Più precisamente, operano a favore delle vittime della violenza di Stato, delle donne vittime di violenza, e attività di sostegno per i figli delle madri in carcere. Grande interesse ha destato il racconto sulle carceri brasiliane e sulle condizioni in cui si trovano a vivere i figli delle detenute. Abbiamo scoperto che le donne detenute partoriscono nelle prigioni ed i neonati patiscono con le madri una vera e propria carcerazione. Come le madri, questi bimbi possono uscire nelle zone d’aria per un tempo massimo di un’ora e mezza solamente quattro volte alla settimana, mentre negli altri giorni sono segregati, al pari di qualsiasi altro recluso, all'interno di celle affollate, sudicie, buie e prive di ogni elementare

servizio. Le madri, inoltre, debbono provvedere autonomamente, senza alcun aiuto dello Stato, ad acquistare il latte, i pannolini e tutto quanto di prima necessità per i loro figli. Ovviamente, non è il caso di sottolinearlo, per i bimbi delle madri povere, che sono la maggior parte, i disagi aumentano in forma esponenziale, e questi di fatto sono abbandonati al loro destino senza che nessuno si preoccupi, impotente la madre, dei loro bisogni. L’immagine che rimane impressa, dopo aver sentito un simile resoconto, è quella di un luogo di grande sofferenza per innocenti condannati ad una vita di costrizione e miseria, ciò nel più totale spregio dei diritti dei minori consacrati nelle Carte Internazionali recepite dai vari paesi. Situazione che, per altro verso, contrasta anche con un principio classico espresso pressoché in forma incontrastata nelle varie culture, in base al quale non è dato far ricadere le colpe dei padri sui loro figli. Formalmente, è vero, nessun giudice condanna questi bimbi alla prigione, e in questo senso non è immediata la

percezione di un vulnus al principio della responsabilità personale sopra ricordato, ma di fatto la condizione che essi devono patire è la medesima in cui si troverebbero qualora avessero commesso i più gravi delitti, ed in questo dato di realtà emerge la violazione più subdola e strisciante del criterio di attribuzione individuale della responsabilità, nonché di quello della non imputabilità dei soggetti minori. É forse un eccesso, una semplice provocazione ragionare in questi termini solo per l’assenza di una pronunzia giudiziale che sia la conferma di ciò che di fatto molti bimbi patiscono nelle carceri brasiliane? Un altro settore nel quale l'associazione presta la propria attività è quello dell'assistenza a favore delle vittime della violenza di stato. Il fenomeno in Brasile è particolarmente diffuso; nel 2012 sono stati commessi 5467 omicidi, un terzo dei quali da uomini in divisa. La grande difficoltà che incontrano i parenti delle vittime è quella di ottenere giustizia per i loro familiari. Molti non hanno la possibilità di affidarsi a un avvocato, e l'associazione del Prof. Tapparelli interviene garantendo la tutela legale e la migliore difesa nel processo, anche attraverso la costituzione di parte civile per ottenere, quantomeno, il risarcimento del danno. Il Prof. Tapparelli ha spiegato che non di rado gli omicidi compiuti da uomini in divisa restano impuniti in quanto vengono coperti da omertà e inquinamento delle prove, e talora la giustizia nemmeno giunge a radicare un processo. Si tenga conto che le indagini per questi fatti di sangue vengono condotte il più delle volte dai colleghi dei potenziali autori dei fatti di sangue, e, sebbene tale circostanza non sia di per sé significativa, nel tempo è emersa una pericolosa tendenza a creare una fitta rete di coperture. Risulta ben chiaro, così, quante e quali difficoltà debbano essere superate per far luce su tali episodi di violenza. Per chiarire meglio, il Prof. Tapparelli ha raccontato il caso di Amarildo, un tale caduto vittima di un tragico errore della polizia. Si trattava di un semplice manovale confuso per un pericoloso spacciatore e, perciò, prelevato dagli agenti e scomparso nel nulla. Le indagini hanno incontrato mille difficoltà, ostacolate da reticenze e resistenze poste dalla polizia che è addirittura arrivata a minacciare i familiari di Amarildo per ridurli al silenzio. Solo dopo che con il passaparola il fatto è salito alla ribalta dell'opinione pubblica (in tutto il Brasile comparivano ovunque striscioni che chiedevano: "dov'è Amarildo?") le indagini sono partite ed è stato possibile l'inizio della ricerca della verità. A tutt'oggi il cadavere non è stato ritrovato ma a seguito delle testimonianze raccolte sono stati arrestati cinque agenti. Il caso Amarildo è certamente eclatante ma non è l'unico. Centinaia e centinaia, avvisa il Prof. Tapparelli, sono i casi di violenza di Stato irrisolti e che forse mai saliranno agli onori della cronaca.

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IL CARCERE È LA SOLUZIONE?

el mese di dicembre ho partecipato, assieme ad altri

detenuti, ad un incontro con l'ex Pm Gherardo Colombo. Tema della riunione era il titolo di un suo libro “Il perdono responsabile”. Libro che ho avuto modo di leggere nei giorni precedenti l'incontro stesso. Era presente anche una classe di un corso serale di scuola superiore. Mi sentivo al contempo emozionato e felice nell’incontrare uno degli uomini che reputo più importanti della nostra recente storia; protagonista, assieme ad altri, di quella che troppo sbrigativamente era stata definita la “stagione di mani pulite”. Fu infatti all'inizio degli anni Novanta grazie ad un episodio marginale, le presunte tangenti del “Pio Albergo Trivulzio” e le conseguenti indagini, che avevano aperto gli occhi di tutti gli italiani sul sistema di tangenti che soffocava la nostra società, e nel quale gran parte della classe politica di allora pareva essere perlomeno connivente. L'indignazione che scosse allora l'opinione pubblica ebbe il suo apice, ripreso dalle telecamere, nel famoso lancio delle monetine verso l'ex presidente del consiglio Bettino Craxi, all'uscita dell’Hotel Raphael. Sembrava allora, che ci potesse essere un nuovo inizio per la nostra nazione. Un inizio nel

quale ognuno potesse farsi valere per quello che valeva, slegato dai lacciuoli di un sistema corrotto e completamente inefficiente. Asservito solo a logiche di potere e spartizioni localistiche che nulla avevano da spartire con il bene pubblico. Siamo arrivati al 2014 per scoprire invece che non e cambiato niente, anzi, se possibile, è tutto peggiorato. Non cito, solo per amor di patria, gli scandali che quasi giornalmente coinvolgono i nostri amministratori pubblici. Ciò premesso, la questione sollevata da “Il Perdono responsabile” avrà difficile applicazione a modesto parere dello scrivente,

nel nostro paese. Una società che non ha saputo creare gli anticorpi, verso una dilagante ed a volte sfrontata corruzione pubblica, può risolvere o solamente affrontare in maniera corretta e concreta il problema di come reinserire chi ha sbagliato? Una classe dirigente del paese che non è stata capace di rinnovarsi; impegnata com’è e com'era, solo nel salvaguardare se stessa? È in grado di dare le riposte giuste, al diritto di redenzione che ognuno di noi detenuti ha? Non può che essere

negativa la risposta a questi quesiti. Se poi aggiungiamo che questo rimane l'elemento più sconfortante... Questa vituperata classe politica è stata scelta, seppur con un certo “indottrinamento” multimediale, da liberi cittadini attraverso libere elezioni, e ciò rende la cosa ancora più sconfortante. Vivere in una società giusta nella quale ognuno abbia la sua opportunità, compreso chi sbaglia, è un’ambizione che alberga nella maggioranza di noi; ma la realtà del nostro paese e ben lontana da quei principi che dovrebbero guidare una moderna società civile. Realisticamente, invece, appare attualmente troppo compromesso il rapporto tra il normale cittadino e l'imponente, improduttivo e troppo spesso arrogante nei confronti dei più deboli, apparato pubblico. Ma niente di tutto questo è trapelato dalle parole del magistrato. Lontano, anche lui, da quella concretezza di cui il nostro paese ha bisogno. Una provocazione, un sasso lanciato nello stagno, qualcuno ha definito il libro, nel corso della serata; un modo di far sentire il problema, della detenzione nel nostro paese, da una prospettiva diversa e nuova. È facile rispondere, in maniera altrettanto provocatoria; un sasso lanciato in uno stagno quasi prosciugato.

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La Fondazione Trentina per il volontariato ha assegnato il "Premio solidarietà 2013" al progetto "Sportello in

carcere per i familiari". Oltre all'attività di sensibilizzazione, la Conferenza Regionale Volontariato Trentino

Alto Adige ha prodotto un vademecum intitolato: "Codice a sbarre" che illustra i tratti essenziali della

procedura penale ed il funzionamento della Casa Circondariale di Trento ed offre anche una panoramica

delle Cooperative e delle Associazioni che offrono servizi ad ex detenuti. Nel Carcere di spini di Gardolo, tre

volte alla settimana, è attivo uno sportello i cui volontari offrono informazioni, sostegno ed aiuto ai familiari

dei detenuti, svolgendo un'azione d'orientamento per le prassi adottate in carcere in merito al deposito

pacchi viveri e beni di prima necessità oltre ad un aiuto per la compilazione dei moduli. Un sentito

ringraziamento a tutte le persone che aiutano i nostri familiari da parte di tutti noi ristretti.

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sguardi dal mondo KASSERINE - TUNISIA

n Tunisia c’è una città che si chiama KASSERINE, è la più antica di tutto il territorio. La zona era abitata fin dai tempi dell’antica Roma. È sul confine con l’Algeria in questa città ci sono tante montagne, circa il 50%. In più c’è

la montagna più alta di tutto il paese, è alta 1544 mt, è zona protetta con molte specie di animali protetti. La gente guadagna da vivere attraverso il lavoro della terra e la produzione di mele. Questi frutti sono classificati tra i primi nel mondo. C’è anche l’unica fabbrica che produce carta in tutta l’Africa e la maggior parte della gente fa commercio di contrabbando: oro, droga, tipi di hashish, denaro e altre merci. Non siamo solo noi cittadini di KMASSERIE a

sopravvive in questo modo; succede anche in altre piccole città, ma è più diffuso a KASSERINE. Io ho fatto sempre parte di questa città, nel senso del bravo cittadino; ho viaggiato e ho visitato altre città, quasi tutte a nord del paese soprattutto dove c’è il mare, ma ho scoperto che abbiamo una mentalità diversa dalla loro. Naturalmente anche loro hanno una mentalità diversa dalla nostra. Al nord ci sono più alberghi; c’è il mare, c’è turismo, ci sono più fabbriche, c’è sviluppo industriale, hanno le chiese, campi da calcio, brave squadre sportive ecc. Questo è stato possibile perché la classe dirigente del Paese è sempre stata del nord. Mi sono accorto che pur essendo cittadine dello stesso Paese, noi tunisini non abbiamo lo steso modo di vivere, non abbiamo stesse abitudini né la stessa cultura. Quando andavo a cercare un lavoro o fare un giro mi sentivo uno straniero. Da noi a

KASSERINE c’è sempre rispetto tra piccolo e grande, ricco e povero, non ci sono integralisti, c’è grande rispetto tra il mondo maschile è il mondo fienile. A mio parere gli abitanti del nord della Tunisia hanno una mentalità più aperta; forse. KASSERINE e il sua popolo ha sofferto sempre da quando la Tunisia è stata una colonia francese e anche dopo

la liberazione avvenuta il 20 marzo 1956. Non c’è stato nessun cambiamento; solo brutti ricordi, vittime, sacrifici... Ma il popolo di KASSERINE è molto orgoglioso. Il primo storico presidente non ha fatto nulla, solo un ringraziamento a qualche combattente, un pezzo di terra a qualcuno, magari uno stipendio per tutta la vita, l’autorizzazione per aprire un bar popolare ecc. ,ma non ha mai pensato a tutta la popolazione. Cosi con il tempo, e dopo molti anni la città è rimasta come era o forse è peggiorata (peggio nel senso della mentalità e dell’odio verso il sistema politico). Nelle altre città le cose sono andate meglio. hanno costruito fabbriche, alberghi a cinque stelle, strade, auto strade ecc. Per gli abitanti del nord noi siamo contadini; siamo la mano d’opera

abbiamo la terra e non abbiamo bisogno di nient’altro (siamo i terroni). È stato cosi per molti anni. Il seconde presidente Ben Ali, salito al potere nel novembre 1987 e rimasto ventitré anni, ha fatto lo stesso errore del primo presidente, non ha combinato molto. In ventitré anni ha visitato la nostra città una sola volta e quella volta e stato trattato male con una protesta molto violenta. Gli hanno tirato patate e sassi. Sapeva bene che la città lo odiava, soprattutto quelli che avevano famiglie numerose, ragazze giovani laureate senza lavoro dopo molti anni di studio, e per il costo della vita. Qualcosa ha fatto di nuovo: strade una bella università ostruita nel 2005, la luce e l’acqua nelle case, ma il resto è rimasto com’era, fino alla rivolta della cosi detta primavera araba del gennaio 2011.

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“DENTRO” supplemento al n° 1 del 2014 di Oltre il muro HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO : Aiti Said Hakim - Bolognani Giordano - Bougarne Mustapha - Ciccolini Vittorio - Fatih Hicham – Gega Valentin - Hichri Majdi - Leghzawni Hassan - Liberatore Aldo - Taourgh Youssef - Zidi Chaker – Zucchelli Ivan Coordinatori del gruppo di redazione: Annalisa Dolzan e Piergiorgio Bortolotti

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on the road RACCONTI DI UN VIAGGIO

ell’ottobre del 1995, dopo una lunga stagione lavorativa, decisi di intraprendere un viaggio negli Stati

Uniti. Avevo già venduto l’appartamento che avevo precedentemente acquistato, e con la mia fidanzata partimmo da Milano verso Los Angeles dove avremmo trascorso la maggior parte del nostro tempo. Il primo impatto con il Nuovo Mondo fu per me assolutamente positivo; avevo già viaggiato e soggiornato anche per lunghi periodi in alcuni dei paesi europei, conoscevo la lingua ed avevo dimestichezza con i viaggi ed il turismo. Tutto appariva sovradimensionato; gli aeroporti, i negozi, le strade ed in particolar modo la velocità di esecuzione di ogni attività, che fosse la prenotazione di un volo o di una camera, la chiamata di un taxi e tutto il resto. Arrivati a Los Angeles, la nostra meta prescelta, mi adattai immediatamente all’umore positivistico degli Statunitensi californiani, alla loro semplicità che frequentemente, in Europa, si confonde per superficialità, alla loro fiducia spontanea nei confronti di chiunque provenga dall’estero ed

in particolare dall’Europa. Avevamo preso in locazione per un paio di settimane, tramite agenzia, una camera in un piccolo hotel situato quasi nel centro di L. A. e passavamo le giornate a camminare lungo le strade all’ombra dei grattacieli; a volte salivamo sullo Space Building per consumare qualche hamburger con patatine nel ristorante situato proprio in cima al grattacielo. La sera, e fino a notte fonda, invece, frequentavamo un paio di locali ricavati in enormi seminterrati dove centinaia di persone assistevano a concerti a sorpresa di gruppi musicali già famosi o in pieno lancio commerciale. La mia fidanzata però, incredibilmente, non riusciva ad inserirsi nella mentalità del posto e trovava grandi difficoltà nel comunicare. Io invece stavo maturando il desiderio di rimanere per altre settimane per visitate S. Francisco e la California; allora decidemmo di dividerci ed alla data stabilita per il rientro, io rimasi in città mentre lei rientrò in Italia. Avevo adocchiato, nella zona di Long Beach, direttamente sull’oceano Pacifico, una serie di Residence divisi dalla spiaggia da una stretta strada

pedonale frequentata giorno e notte da ogni genere di persona, di ogni origine etnica. Affittai allora un piccolo appartamento al costo di 130,00 $ alla settimana con la disponibilità di ogni macchinario che la mente umana potesse inventare e tutti quanti rigorosamente utilizzabili previo gettone da 0,25 $, 0,50 $, 1,00 $ e così via, compreso il frigorifero e le lenzuola. All’americana!! Pratico, veloce, di qualità, economico……facile = easy! Easy anche rimanere senza denaro, ma, nel mio caso, avevo portato una discreta somma dall’Italia ed ero provvisto di regolare documento, la carta verde, che mi autorizzava a rimanere per sei mesi sul territorio statunitense come turista. Trascorsi alcune settimane durante le quali strinsi amicizia con diversi abitanti del posto che mi consigliavo in merito ai luoghi da visitare ed ogni genere di divertimento possibile e davvero la scelta era vastissima; a me però piaceva molto trascorrere le serate e le nottate in spiaggia oppure nel centro di L. A. seguendo l’agenda degli eventi musicali in successione continua ed incredibile da non sembrare vero: Kiss, Rolling Stones, Red Hot Chili Pepers e quasi tutte le maggiori Pop Stars dell’epoca, alcune ancora attuali. Una mattina incontrai per caso, ad un chiosco sulla spiaggia, un italo americano molto simpatico che presto divenne amico; mi presentò alla sua famiglia di origine milanese, americana di terza o quarta generazione, la quale era convinta di parlare italiano ma in realtà si trattava del dialetto brianzolo integrato dalla lingua che sentivano sui canali italiani via cavo. Questi gestiva gruppo di laboratori per la produzione di alimenti a base farinacea e mi portò, nei giorni successivi, a visitare i vari luoghi di produzione. Era giustamente fiero della sua azienda e si accorse del mio interesse particolare per il laboratorio di produzione per pizze, di stile americano, surgelate. In esso infatti era stata installata una serie di macchinari, fra loro integrati, senza soluzione di continuità, che permettevano una produzione continua di pezzi cotti, surgelati, cellofanati, cartonati infine imballati per numero continuo, ad iniziare dall’introduzione delle farine di vario genere, dell'acqua, degli ingredienti freschi, dalla mozzarella alla salciccia e di qualsiasi altro condimento richiesto per la particolare partita ordinata. Il macchinario richiedeva una continua manutenzione e l’adattamento alla ricetta richiesta dei vari ingredienti da processare. Una sera, mentre si chiacchierava intorno al mio viaggio, l’amico mi chiese di rimanere a L.A. e propose di inserirmi nel lavoro del laboratorio al quale ero molto interessato; accettai di buon grado e frequentai un corso realmente di totale immersione con verifica finale. Fu questo il primo vero riscontro pratico e diretto di un aspetto della mentalità americana; si viene misurati per quello che si dimostra di saper fare; l’aspetto amicale, la raccomandazione, la spintarella o l'appartenenza etnica non hanno poi seguito e proprio non ci si deve affidare. I primi giorni di lavoro furono terribili; nulla veniva lasciato al caso e ogni operazione doveva essere eseguita perfettamente fin nei minimi dettagli ma in seguito e con l’aiuto di un PC, la gestione divenne fluida e ben controllata, così mi venne affidato il primo settore dei tre nei quali veniva suddivisa la catena di produzione. Alla fine della settimana, di venerdì, ricevetti il mio primo stipendio e rimasi sorpreso dell’importo: 700 $. Mi sembravano una

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cifra enorme, considerando che era il compenso di una settimana. Nei mesi successivi potei inviare in Italia molto risparmio nonostante non mi facessi mancare nulla. Mi meravigliai del fatto che, man mano che facevo conoscenza dei miei colleghi di lavoro, questi fossero sempre in ritardo con qualche pagamento e che nessuno arrivasse mai alla fine settimana con un dollaro in tasca. L’amico, ora datore di lavoro, mi sorprese asserendo che quei miei colleghi, oltre ad essere dei “Gran testoni senza cervello”, parole sue, fossero anche di colore, ovvero neri! Questo fu il secondo riscontro reale e diretto della mentalità americana. Non si tratta in realtà di razzismo ma di rassegnata accettazione delle caratteristiche tipiche attribuite ad una specifica etnia e cultura. Tutti si adattano a questa mentalità, nel bene e nel male, che si tratti di bianchi o neri, anglosassoni, sudamericani o europei. Ovvio che per gli italiani valessero tutti i pregiudizi sui difetti quanto sulle qualità generalmente attribuite alla nostra cittadinanza. Effettivamente in ugual modo feci poi io stesso quando, nell’assumere la responsabilità complessiva del laboratorio, mi trovai a distribuire i vari incarichi; le lacune culturali non erano in verità il vero problema, ogni operazione poteva essere infatti eseguita facilmente, quanto la volontà e la capacità di applicazione intellettiva ad un determinato compito. Quest’aspetto variava notevolmente a seconda dell’origine etnica dell’addetto. Ciò non m’impedì di stringere amicizia con molti dei ragazzi con i quali lavoravo ai quali mi sentivo affine per l’età e preferenze musicali. Nei mesi a seguire, ci frequentavamo alla sera ed essi m’introducevano nei locali, l'accesso ai quali era sconsigliato ai bianchi. Io però ero accompagnato dagli amici neri, e poco tempo dopo potevo sentirmi a mio agio anche da solo; la pecora bianca, insomma, anche perché fra le caratteristiche degli italo americani è riconosciuta, dai neri, una certa empatia nei loro confronti. Infatti la mentalità che deriva dal senso di appartenenza etnica agisce a doppio senso. Stavo proprio bene, mi sentivo ben inserito ed era trascorso ormai oltre un anno circa dall’arrivo. Non sentivo nostalgia di casa pur parlando frequentemente del mio paese, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto prendere una decisione definitiva; rimanere o tornare? Molto mi tratteneva ma ancor più mi solleticava l’idea di trasferire l’esperienza acquisita, in Italia, per tentare di mettermi alla prova in condizioni differenti ma più familiari e attigue alla mentalità nostrana. Credo che fosse una domenica di febbraio, di mattina, quando davanti alla porta del mio microloft, incontrai un piccolo gruppo di persone, più o meno della mia stessa età, con le quali feci conoscenza e con alcune delle quali strinsi amicizia. Questi erano tre matti che avevano deciso di dedicare un intero anno della loro vita da Mu Jumpers, ovvero “saltare” da un luogo all’altro seguendo la tendenza musicale del momento o la moda di tendenza, ed intercettare gli avvenimenti che interessavano loro sul posto da spettatori. Decisi allora che sarei rientrato in Italia ma solo dopo aver trascorso alcuni mesi, circa quattro, a vagabondare con i tre nuovi amici da un luogo all’altro degli Stati Uniti. Mi licenziai ed ottenni il pagamento di tutti gli emolumenti, compresi i contributi pensionistici che altrimenti non avrei potuto far valere in Italia a causa della legislazione americana. Spedii circa una metà del denaro a casa e con il resto partii alla volta di Fresno, ancora in California, per il festival Pop Rock annuale. Con i tre compagni acquistammo un camper vecchissimo ma in

buono stato, facemmo il pieno di carburante e viveri e da Fresno, attraversato il deserto del Mohawe ci recammo a Mommouth Lake per ascoltare un nuovo gruppo del quale ora non ricordo il nome e sciare sul nevaio. Fu veramente straordinario: al mattino si partiva da una cittadina nel deserto che sembrava uscita da un film Western ed in meno di un'ora, per mezzo di una funivia, si arrivava sull'altopiano coperto da due metri di neve: panorami sconfinati indimenticabili! Insomma, nell'arco di pochi mesi attraversammo, da Ovest ad Est, molti Stati dell'Unione, in quella che viene definita la provincia profonda americana, composta da sconfinati campi di grano, fattorie, piccole città, autostrade dritte; via così fino a Boston, dove lasciai il gruppo di amici ed in aereo mi spostai a New York. Qui trascorsi un paio di settimane presso una famiglia di origini tedesche che affittava ai turisti una camera cucina ricavata in una soffitta. La città è enorme e frenetica ma conserva delle caratteristiche architettoniche del '700 e '800 molto

particolari. I Neworchesi vivono il loro quartiere come se si trovassero in una città a sé stante. Gli avvenimenti relativi alla musica sono molto frequenti, ma costosi, come ogni cosa a N.Y. A parte il cibo. Mi mancavano molto gli amici da poco lasciati e la nostalgia per le risate e tutte le follie combinate insieme. Ancor oggi ci scambiamo cartoline d’auguri e ci teniamo in contatto via web. Hanno terminato gli studi, si sono sposati ed a leggere i loro messaggi sembrano persone completamente diverse da quelle che avevo incontrato. Tipicamente americani, bianchi e protestanti, hanno programmato e strutturato la loro vita secondo scadenze quasi fisse e con ritmi di lavoro forsennati come se dovessero morire l’indomani. Con mia moglie si vorrebbe organizzare un viaggio per loro verso l'Italia e probabilmente lo realizzeremo nei prossimi mesi. Molto è rimasto di quest'esperienza nei miei ricordi e sono convinto che viaggiare e vivere all’estero, sviluppare esperienze lavorative, oltreché relazioni umane, immersi in una cultura differente da quella di origine, produca l’allargamento dell'orizzonte mentale e contemporaneamente l’apprezzamento delle proprie ed altrui qualità; tanto quanto i difetti. Ciò consente una crescita notevole dello spirito di tolleranza, poiché conoscere ambiti culturali differenti comporta per ognuno confrontarsi con la propria cultura d’origine, con i propri conoscenti e concittadini, la propria lingua nonché la propria indole personale in relazione all'esperienza vissuta.

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riflessioni AD ALTA VOCE LA LIBERTA è un termine psicologico nella vita dell’essere umano, può essere positivo come può essere negativo, dipende dalla situazione sociale della persona. Scelgo questo argomento perché è molto difficile capirlo. Dopo uno sbaglio nella vita libera, sono entrato in posto molto soffocante dove non c’è nessuno po’ capirmi o sentirmi. Qui non penso solo che non sono libero, ma penso che sono morto, perché vivo come vogliono loro, parlo quanto vogliono loro, mangio quanto vogliono e dormo quanto vogliono; ma grazie a loro, perché entro il bagno quando voglio io. Posso dire come qui dentro ogni persona passa la sua giornata: uno frequenta la scuola, uno fa due passi all’aria e uno fa un po’ di attività sportiva perché ha visto un altro che stava morendo con la maledetta terapia. Loro dicono

“terapia”, ma secondo me, è un veleno che ha rovinato la vita di tante persone, così la chiamo – “maledetta terapia” - quando vedo uno che taglia il suo corpo. Ma perché? Mi hanno portato qui per un reato di spaccio, perché io vendevo droga, ma loro che cosa mi danno? “Terapia” Qua dietro le sbarre se vede la libertà solo quando pioggia o quando nevica perché la neve e la pioggia portano l’odore della libertà, ma quando c’è il caldo uno si sente come una tomba dentro l’inferno. Voglio concludere con una cosa: questo posto è come una malattia che uccide piano, piano, piano. La cosa più importante è che devo imparare e capire tutto quello che non sono riuscito a capire nella libertà, perché prima ero una persona di pensieri limitati. Posso dire che la mia personalità comincia da qui, la mia anima e il mio corpo sono nati 25 anni fa, così posso definire la mia vita che è stata come una bugia. Adesso esco da me stesso per trovare la realtà di questa vita che mi ha regalato solo la sofferenza e resisto contro tutte le difficoltà che possono essere davanti alla mia rabbia. Adesso non esiste amicizia, non esiste fratellanza, sono nato da solo e devo vivere da solo e devo morire da

solo, non voglio trattare nessuno male perché ci sono tante persone che mi hanno fregato però non finisce qui e non mi metto tatuaggi per ricordare le cose ma lascio tutto dentro al mio cuore. La mancanza della libertà mi ha fatto cambiare tante cose, pensiero, comportamento, io voglio vivere senza complicare le cose, così la vita scorre molto semplice, con pochi sbagli, uno deve pensare benissimo prima di mettere il piede. Veramente adesso ho capito perché l’uccellino vola per sempre e soprattutto non si fida di nessuno perché alcune volte si sente male dentro la gabbia e non c’è nessuno che può aiutarlo. Voglio dire una cosa: la nostra vita è molto difficile, uno deve fare il massimo per capire come funziona se non deve andare all’altro mondo (la morte). P.S. Una buona terapia sarebbe potersi muovere, passeggiare, correre, giocare a calcio in cortile. BISOGNA FAR SOFFRIRE PER RIEDUCARE? Per educare e reinserire un condannato, la giustizia usa la pena come uno degli strumenti per ottenere un reale

cambiamento degli atteggiamenti di fondo del colpevole. Pena significa sofferenza; espiare una pena significa associare sensazioni dolorose a certi comportamenti affinché nasca il riflesso condizionato di evitarli. Per esempio, al fumo di sigarette si associa un gusto spiacevole per smettere di fumare. Quindi a questo punto non stiamo parlando di un’educazione con il vero significato della parola bensì di un’educazione condizionata. Per esperienza, la pena può significare anche semplice sofferenza. Ma quando mi si condanna a questa sofferenza, mi si dà l’impressione di volermela infliggere apposta, non solo per creare nella mia mente certe associazioni. Allora diventa meno probabile che il condizionamento si stabilisca. Vorrei dire prima di tutto che la pena deve essere giusta, giustificata, e quindi commisurata al fatto compiuto e

all’intenzione. Dicono che gli strumenti della pena devono avere l’identica funzione della corda che si stringe intorno al muso del mulo per addomesticarlo, nove volte su dieci il mulo viene addomesticato, mentre gli strumenti di pena ottengono con la stessa probabilità l’effetto opposto al desiderato. Ma io sono convinto che io potrei essere quell’uno per dieci rieducabile.

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“DENTRO” la voce della Casa Circondariale di Trento

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di tutto un po’ CONSIGLI & SORRISI

La ricetta dello chef: Carbonara di zucchine

Ingredienti (per due persone)

160 gr di spaghetti n° 5; 2 uova; 2 zucchine; olio extravergine d'oliva; 2 pizzichi di sale fino; 1 cucchiaio di sale grosso; 1 spicchio d'aglio; prezzemolo quanto basta; un pizzico di pepe nero; Grana Padano quanto basta.

Procedimento: Lavate le zucchine e tagliatele a dadini. Prendete una padella antiaderente, versate un filo d'olio, lo spicchio d'aglio e mettete sul fuoco. Unite le zucchine e cuocete a fuoco medio (se serve aggiungete un poco d'acqua). Dopo qualche minuto togliete l'aglio. Nel frattempo riempite una pentola d'acqua e portatela ad ebollizione, salandola poco prima che bolla. Versate gli spaghetti e cuocete come da indicazioni sulla confezione. Sbattete le uova con un pizzico di sale ed il grana

padano grattugiato. Quando la pasta sarà pronta versatela nella padella delle zucchine ed aggiungete le uova sbattute con il formaggio. Mescolate per bene e cuocete per qualche minuto, finché le uova si saranno "rassodate"; unite per ultimo il prezzemolo che non deve mai essere cotto. Servite ben caldo.

"Pensa, ogni volta che respiro muore un uomo" "Hai provato a prendere qualcosa per l'alito?"

Con uno stipendio da fame si possono nutrire dei dubbi?

Un avaro disse a Dio: "Che cosa sono per te 1000 anni?" E Dio rispose: "Mah, poco più di un secondo" "E che cosa sono per te 100.000 euro?" E Dio: "Ma, forse un centesimo" "E allora", disse l'avaro, "cosa ti costa darmi un centesimo?" "Certo", rispose Dio, "aspetta solo un secondo..."

Un contadino vuol fare uno scherzo ad una delle sue galline e le sottrae di nascosto un uovo per dipingerlo di tutti i colori. Poi lo rimette in mezzo alle altre uova e si mette da una parte a spiare le reazioni della chioccia. Questa però resta del tutto indifferente. Deluso, il contadino sta per tornarsene ai suoi lavori, quando vede dall'altra parte dell'aia un gran putiferio: è il gallo che riempie di botte il pavone!

Una famosa giornalista americana sta girando un documentario in una zona del Medio Oriente in cui è in atto una guerra. Prima del conflitto aveva notato che allora le mogli camminavano sempre dietro ai mariti. Tornando oggi, pochi anni dopo, nota che i mariti camminano dieci metri dietro le mogli. La giornalista avvicina una delle donne e commenta: "Stupendo! Qual è la causa di così tanto progresso in un breve tempo?" Risponde la donna: "Le mine antiuomo!"