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SdS/Rivista di cultura sportiva Anno XXI n.56 1 2 Le prospettive della struttura dell’allenamento Peter Tschiene Il problema delle strutture dell’allenamento: prospettive future e loro cambiamento 6 La struttura a blocchi dell’allenamento Vladimir Issurin, Vladimir Shkljar La concezione della struttura a blocchi dell’allenamento degli atleti di alto livello 19 La paura dell’infortunio in ginnasti di alto livello Anna Claudia Cartoni, Andrea Massaro, Carlo Minganti, Arnaldo Zelli Studio del rapporto tra alcune variabili ad elevato significato psicologico, legate in particolare alla paura dell’infortunio e alcuni fenomeni caratteristici della ginnastica 10 Il monitoraggio dell’allenamento Melis Viru, Atko Viru Principi generali ed obiettivi del monitoraggio dell’allenamento 27 Sport e disturbi alimentari Alexandra Schek Il problema dei disturbi alimentari nello sport di alto livello, loro individuazione e trattamento In questo numero POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70%, ROMA - TAXE PERÇUE (TASSA RISCOSSA) ITALY 14 Training’s Digest A cura di Mario Gulinelli, Olga Iourtchenko, Arnd Krüger 39 Riduzione del peso corporeo e prestazione negli sport di combattimento Saima Timpmann, Vahur Ööpik, Metodi di riduzione del peso corporeo e loro effetti sul metabolismo e sulla capacità di prestazione negli sport di combattimento 46 L’allenamento intermittente-forza Giampiero Alberti, Enrico Arcelli, Franco M. Impellizzeri, Domenico Gualtieri Aspetti fisiologici dell’allenamento intermittente-forza 54 La preparazione fisica e le attività subacquee Alfio Cazzetta Preparazione fisica e modelli di prestazione delle diverse attività subacquee 64 Summaries

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2Le prospettive della strutturadell’allenamentoPeter TschieneIl problema delle strutture dell’allenamento: prospettive future e loro cambiamento

6La struttura a blocchi dell’allenamentoVladimir Issurin, Vladimir ShkljarLa concezione della struttura a blocchidell’allenamento degli atleti di alto livello

19La paura dell’infortunio in ginnasti di alto livelloAnna Claudia Cartoni, Andrea Massaro, Carlo Minganti, Arnaldo ZelliStudio del rapporto tra alcune variabiliad elevato significato psicologico, legate in particolare alla paura dell’infortunio e alcuni fenomeni caratteristici della ginnastica

10Il monitoraggio dell’allenamentoMelis Viru, Atko ViruPrincipi generali ed obiettivi del monitoraggio dell’allenamento

27Sport e disturbi alimentariAlexandra SchekIl problema dei disturbi alimentari nello sport di alto livello, loro individuazione e trattamentoIn

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14Training’s DigestA cura di Mario Gulinelli, Olga Iourtchenko,Arnd Krüger

39Riduzione del peso corporeo e prestazione negli sport di combattimentoSaima Timpmann, Vahur Ööpik,Metodi di riduzione del peso corporeo e loro effetti sul metabolismo e sulla capacità di prestazione negli sport di combattimento

46L’allenamento intermittente-forzaGiampiero Alberti, Enrico Arcelli, Franco M. Impellizzeri, Domenico GualtieriAspetti fisiologici dell’allenamento intermittente-forza

54La preparazione fisica e le attività subacqueeAlfio CazzettaPreparazione fisica e modelli di prestazione delle diverse attivitàsubacquee

64Summaries

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Le prospettive della struttura dell’allenamento

Peter Tschiene, Redattore della rivista Leistungssport

Posto l’accento sulla necessità di considerare nel loroinsieme gare e strutture dell’allenamento, vengonoesposte alcune prospettive che influiranno su quest’ulti-me. In futuro, chi si occupa di teoria e metodologia del-l’allenamento si dovrà interessare maggiormente dellafunzione svolta dalle gare e dalla prestazione di gara edil carico di allenamento non potrà continuare ad essereelevato a criterio fondamentale. Una misura importatedell’incremento della prestazione deve essere considera-ta la preparazione immediata alla gara. Per quantoriguarda l’adattamento biologico, come base dell’incre-mento della prestazione, l’individualizzazione dei carichidi allenamento e di gara, elemento fondamentale del-l’allenamento moderno, è realizzabile solo se si studianoe si prendono in considerazione le tipologie adattative

degli atleti. Un’altra prospettiva importante è l’integra-zione dei processi di ristabilimento nelle strutture del-l’allenamento. Le tipologie dei tempi di ristabilimentodebbono essere differenziate secondo le loro finalità esecondo le caratteristiche dei vari sport, rapportandolecon la durata ed il contenuto del carico precedente edelle gare da disputare. In futuro le raccomandazionigenerali sulle strutture dell’allenamento serviranno solocome orientamento puramente pratico. Teoria e meto-dologia debbono lavorare maggiormente su modellistrutturali che si adattino ai diversi obiettivi dei varisport. Perciò una nuova classificazione dei sistemi diesercizi e dei metodi di allenamento è un passo fonda-mentale verso una futura concezione sistemica dellestrutture di allenamento e di gara.

Il problema delle strutture dell’allenamento: prospettive e loro cambiamento

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Introduzione

Inizialmente, l’Autore si scusa per la defi-nizione dell’oggetto, che cercherà di circo-scrivere in questo articolo. Infatti, con iltermine struttura dell’allenamento, gene-ralmente, s’intende l’intero sistema di svi-luppo della prestazione sportiva. Ma -soprattutto per quegli atleti dei vari sportche si trovano nelle classi più elevate dirisultati - se non si tiene conto della gara,da sola ogni struttura dell’allenamento ècompletamente priva di senso.La competizione e la prestazione (cioè lastruttura dell’attività di gara, ndt) che devevi deve essere realizzata determinano tuttele misure di preparazione alla competizio-ne stessa - cioè l’allenamento. Di conse-guenza, se si vuole fornire un contributo alnostro tema che sia utile, sia dal punto divista teorico che pratico, questo rapportosistemico deve essere considerato nel suoinsieme.

La gara deve essere posta in primo piano

Qualsiasi forma possa assumere in futurociò che verrà scritto e consigliato sul temadella struttura dell’allenamento, dovràcomprendere il rapporto che abbiamoappena citato. Per questa ragione, perdescrivere più precisamente di quanto nonsia avvenuto finora, il rapporto che inter-corre tra allenamento e competizioni,l’Autore ha avanzato la proposta di parlaredi una teoria dell’incremento della presta-zione sportiva (Tschiene 19991). Infatti, sedal punto di vista teorico e pratico si con-tinua a trattare l’allenamento isolato dallagara, come avviene tradizionalmente, nonsi apporta nulla all’incremento concretodella prestazione, assolutamente nulla.Naturalmente, si può affermare che i rap-porti che intercorrono tra la gara e l’alle-namento debbono essere differenziatitenendo conto dei periodi di prestazionenella carriera dell’atleta (livello giovanile,alto od altissimo livello) o nella prepara-zione a lungo termine: la funzione dellagara varia dal principiante fino all’atleta diclasse elevata e, esattamente come il livel-lo dei risultati, si sviluppa secondo le con-dizioni dello sport praticato, dell’età dell’a-tleta e della sua anzianità di allenamento.Perciò, solo per il settore del massimolivello di risultati si può affermare piena-mente che la prestazione positiva di garasvolga una funzione di rafforzamento neiconfronti del cosiddetto sistema funziona-le motorio (intendendo con esso l’atletacome “portatore” specializzato di una pre-stazione ben definita). Per livelli diversi dirisultati lo si può affermare solo limitata-mente.

2. La preparazione immediataalla gara, componente sistemicadella gara stessa

La preparazione immediata alla gara (Pig)deve essere considerata una componenteessenziale della gara stessa. Infatti questamisura di allenamento non è concepibilese non viene considerata in rapporto stret-to con la competizione ed la prestazioneche vi deve essere realizzata dall’atleta. Infuturo, se si vuole che gli atleti entrino ingara in uno stato di forma ottimale sia dalpunto di vista fisico, mentale e tecnico-tattico, alla Pig dovranno essere dedicatisia un’attenzione sia sforzi elaborativimaggiori, che tengano conto delle esigen-ze specifiche dei vari sport, Le più importanti forme di Pig sono note(Tschiene 19922), però, per diversi motivi,hanno bisogno di una ricerca approfonditae, soprattutto, di essere collaudate. Ognisemplificazione della Pig come vera e pro-pria misura di allenamento fallisce il suocompito.

3. L’adattamento biologico, basedell’incremento della prestazione

Con il 1° ed il 2° tentativo di approccio inprospettiva rispondiamo pienamente aquanto si trova alla base del processo diincremento di ogni prestazione sportiva:l’adattamento biologico dell’atleta, com-presa la cosiddetta organizzazione (senso-riale-mentale) delle informazioni. Questo approccio deve essere ampliatocon un ulteriore aspetto. Le misure meto-diche di allenamento dirette a svilupparele capacità condizionali e le abilità tecni-co-sportive sono note. Ciò si riferisce a

processi adattativi generalizzati. Ma, anchese non nelle loro innumerevoli forme dimanifestazione, occorre che, nell’ambitostimolo-reazione dei diversi sport, sianostudiate e tenute in considerazione lecaratteristiche specifiche individuali deiprocessi di adattamento, tenendo contodella tipologia adattativa e sessualmentespecifica degli atleti/delle atlete.In questo campo sono stati già compiutialcuni passi proponendo una differenzia-zione del carico secondo le tipologie adat-tative degli atleti (Bondarchuk 1984, per ilanciatori; Platonov, Bulatova 1993 per inuotatori; Charitonova 1996, per i pattina-tori su ghiaccio di velocità; Kahl 2001 per icanoisti).Se questo approccio non viene seguitocoerentemente, possiamo bollare comeformalistiche, ogni teoria e metodologia, edimenticarle sul piano pratico.

4. Se non vi sono integrati e non si elaborano i processi di ristabilimento, la 3a prospettiva è assolutamente irrealistica

Come è noto, le modificazioni dovute all’a-dattamento che si producono nell’organi-smo dell’atleta dopo i carichi che - sianoessi di allenamento o di gara - non rappre-sentano altro che applicazioni di stimolidiretti a provocare l’adattamento, si svol-gono durante le pause di recupero.Platonov (1999) è stato il primo Autore nelcampo della teoria dell’allenamento adessere stato coerente su questo punto. Inquesto caso, non si tratta di pura fisiologiadella prestazione (del lavoro), ma della tra-sformazione delle sue conoscenze in misu-re strutturali e metodiche del processo diallenamento e di gara. A questo punto,sulla base delle conoscenze teoriche cheho acquisito finora e delle mie esperienzeconcrete di allenatore, debbo affermareche in questo campo esiste un grandebisogno di elaborazione: gli allenatori e chili istruisce dal punto di vista teorico - chegeneralmente si trova in posizione accade-mica - si debbono staccare dal feticcio delcarico come elemento prioritario nellosport.

In futuro ci dovremo occupare molto dipiù della funzione delle gare e dellaprestazione di gara. Perciò la scienza ela prassi dell’allenamento non possonocontinuare ad elevare il carico di alle-namento a feticcio che stanca inutil-mente l’atleta.

1a prospettiva

La Pig deve essere considerata la misu-ra più importante per l’incrementodella prestazione. Nella prassi dellosport di altissimo livello inevitabilmen-te deve essere applicata in modo diffe-renziato, ma anche coerente

2a prospettiva

Studiare e tenere conto delle tipologieadattative degli atleti significa realizza-re quella individualizzazione dei carichidi allenamento e di gara che è datempo necessaria.

3a prospettiva

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5. Le strutture globali dellacostruzione della prestazionehanno ancora senso?

È nostra opinione che dalle prospettiveprecedentemente citate derivino alcunicriteri, essenziali per la costruzione distrutture dei cicli di allenamento (macroci-cli) e di gara:

• anzitutto debbono essere adeguate indi-vidualmente, cioè i loro contenuti e laloro durata debbono essere sensati dalpunto di vista dell’adattamento indivi-duale;

• debbono terminare obbligatoriamentecon una sollecitazione elevata dell’atle-ta: con una gara o con un test. Così,realizzano il loro compito principale:l’incremento della prestazione e dellacapacità di prestazione;

• debbono integrare una fase (microcicli)di ristabilimento. Anche alcuni microciclidi riposo assoluto non rappresentanopiù un tabù;

• in questo modo rimane inalterato ilcarattere ciclico del modello strutturale.

I modelli strutturali globali finora noti, daMatveev a Verchoshanskij e le loro varia-zioni (ad esempio, Issurin, Shliar, in questonumero), non sono più sul banco di provae vanno considerati storicamente, comeprecursori necessari. Ma come si va avanti?Attualmente esiste un vuoto perché le ideee le raccomandazioni tradizionali non cor-rispondono più alle realtà internazionali(ed anche nazionali). Questo vuoto teoriconel campo delle concezioni delle cosiddet-te strutture dell’allenamento offre il destroad ogni tipo di fantasia - anche di origineaccademica. E sono, talvolta, dannose per-ché, generalmente, partendo da una sco-perta empirica in un settore limitato ditemi, si procede immediatamente allacostruzione di una struttura dell’allena-mento, se non di una teoria. Ciò è inam-missibile, per dirla con Albert Einstein.È ovvio che si faccia una distinzione traanni di allenamento e di gara molto arti-colati e scarsamente articolati. Maggiore èil numero delle gare cui si partecipa mag-giore sarà l’articolazione, ovvero il numero

dei macrocicli per l’incremento della pre-stazione. Minore il numero dei macrocicli,maggiore sarà il tempo a disposizione peradattamenti profondi, cioè per il migliora-mento di quei presupposti della prestazio-ne che sono necessari per prestazioni piùelevate. Una strutturazione fortemente articolatadell’anno di allenamento e di gara indub-biamente offre alcuni vantaggi, soprattut-to per gli atleti del livello di vertice:

1. un migliore controllo dei processi diadattamento secondo la tipologia dell’a-tleta;

2. la possibilità di ottenere più volte ilmassimo della loro forma (intesa comedisponibilità ottimale alla gara);

3. migliore coincidenza con il calendario digara, cioè con la pluralità di gare;

4. sostituzione della quantità con la qua-lità del carico. Naturalmente, ciò valesolo per atleti che, essendo nel settore divertice, dispongono a sufficienza dellenecessarie basi adattative;

5. possibilità di evitare eccessi di carico,grazie a frequenti intervalli di ristabili-mento.

6. I contenuti ed i metodi tradizionali sono ancora utilinella pratica?

Se si riconosce la priorità dell’aspetto bio-logico nell’allenamento (cioè della prepa-razione pura), in quanto si considera l’a-dattamento come base di questo processo,si debbono anche classificare i mezzi dellasua realizzazione. Più esattamente debbo-no essere sottoposti ad un esame critico. Con riferimento al cosiddetto Bernshtein-Problem, Zanon (2000) ha notevolmentecontribuito alla discussione. Ci dobbiamodistaccare da categorie di esercizi cheancora appartengono alle “vecchie” ideesull’allenamento e le sue strutture che:a) non si basano su come vengono real-

mente generati i movimenti volontaridell’uomo, ma, adeguandosi ad auspiciche seguono i cosiddetti criteri “pedago-gici”, continuano a realizzare una distin-zione tra esercizi condizionali, tecnici,tecnico-tattici, più o meno specializzati;

b) non sono compatibili con una concezio-ne globale dell’atleta o del suo adatta-mento, ma li suddividono in componenticondizionali, tecnico-tattiche, ecc. Maun sistema funzionale, non lavora inquesto modo.

Molto probabilmente, già se si cambial’approccio alla categorizzazione ed alladefinizione dei gruppi di esercizi si posso-no ottenere alcuni miglioramenti dellaprestazione. A tale cambiamento si collegauna diversa interpretazione dei relativimetodi, senza la quale gli esercizi sonoinutili. Dalla comprensione dell’interazionetra i metodi e, quindi, dalla necessità dicomplessi di metodi, dipende come si clas-sificano funzionalmente gli esercizi nellestrutture future dell’allenamento e dellegare e si possono realizzare i loro obiettivi.Selujanov ed i suoi collaboratori hannoprogredito in questa direzione (1991,1992).

Mi siano ancora permesse alcune annota-zioni finali. Per ragioni di necessaria cautela ci si devedomandare per quali periodi di prestazionedell’atleta valgano gli stati di fatto cheabbiamo criticato e le prospettive cheabbiamo citato. Essi si riferiscono all’ac-cesso al livello delle massime prestazioni.Finora non abbiamo menzionato il mante-nimento di questo livello di vertice. In que-sto settore, l’atleta viene rimandato allesue esperienze e l’allenatore deve osserva-re i suoi colleghi. È uno stato di cose chenon può continuare. Su di esso Platonov ecollaboratori prossimamente formuleran-no alcune proposte. Con il mio tentativo didelineare delle prospettive credo di poterecontribuire, anche se in misura modesta:

• ad una umanizzazione dell’allenamento,più precisamente del carico, degli atletidelle classi più elevate di risultati;

• all’aumento dell’efficacia adattativa del-l’allenamento e della gara;

• alla congruenza tra calendario interna-zionale di gara ed allenamento (cioèadattamento alla pluralità di gare);

• ad una chiara classificazione dei cosi-detti “mezzi di promozione della presta-zione” nel processo di allenamento e digara (cioé alla sintonizzazione tra assi-stenza medica, farmacologica, dietetica,psicologica e sociale).

Le tipologie dei tempi (periodi) di rista-bilimento debbono essere differenziatesecondo la finalità e gli sport, metten-dole in relazione con la durata ed ilcontenuto del carico precedente e dellegare, di diversa importanza, chedovranno essere disputate.

4a prospettiva

In futuro, le raccomandazioni generalisulle strutture dell’allenamento, servi-ranno solo per un orientamento pura-mente pratico. Teoria e metodologiadebbono lavorare più intensamente amodelli strutturali che si adattino ascopi diversi in sport diversi.

5a prospettiva

La nuova classificazione dei sistemi diesercizi e di metodi pone l’ultima pietradi una futura concezione sistemicadelle strutture di allenamento e di gara.

6a prospettiva

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Se si considera che la mercificazione dellosport e della prestazione sportiva conti-nueranno si può prevedere che la suainfluenza negativa sul processo d’allena-mento e di gara continuerà: con il dopinge con la negazione di consigli e raccoman-dazioni che siano fondate sulla scienzadell’allenamento.

Articolo originaleTraduzione di M. Gulinelli. Titolo originale:Perspektiven der Traininingstruktur.

L’articolo è la revisione in vista della stampadella relazione che sarà presentata dall’Autore alPrimo corso nazionale di specializzazione perallenatori della FISI e della FISG equivalente al IVlivello europeo, che si svolgerà nell’aprile del2003, presso la Scuola dello Sport del Coni,Roma.

Bibliografia

Bondarchuk A., I lanci dell’atletica leggera(in russo), Zdorovja, Kiev.Charitonova L. G., Ricerche complesse suiprocessi di adattamento ai carichi fisici del-l’organismo di bambini ed adolescenti (inrusso), Teorija i praktika fiziceskoi kultury,1996, 12, 18.Issurin V., Shkliar V., Konzepzija blokovojkomposizii v podgotovkie sportsmenov voi-sokogo klassa, Teorija i praktika fiziceskoikul’tury, 5 , 2002, 2-5 (traduzione italiana acura di O. Iourtchenko, La struttura a bloc-chi dell’allenamento, in questo numero).Matveev L. P., Il problema della periodizza-zione dell’allenamento sportivo, (in russo),2. edizione, Mosca, 1965.Platonov V., Bulatova M., La diversificazionedell’allenamento nel nuoto giovanile, Sds-Scuola dello sport, 11, 1992, 25, 2-10.Platonov L. P., Belastung-Ermüdung-Leistung. Der moderne Trainingsaufbau,Philipka Verlag, 1999, Münster.Selujanov V. N., Sarsanja S. K., Konrad A. N.,Mjakincenko E. B., Classificazione dei carichifisici nella teoria della preparazione condi-zionale (in russo), Teorija i praktika fiz.kul’t., 1991, 12, 2-7.Selujanov V. N., Mjakincenko E. B., TurajovV. T., Le leggi biologiche nella pianificazionedella preparazione condizionale degli atleti,Teorija i praktika fiz. kul’t, 1997, 7, 29-33.Tschiene P., Neue Impulse zurTheoriegründung für dieLeistungssteigerung im Wettkampfsport,Leistungssport, 29, 1999, 5.Thiess G., Tschiene P., Handbuch zurWettkampflehre, Meyer & Meyer, 1999,Aachen.

Non tutti gli sport invernali e del ghiaccio, soprattutto le loro gare, sono legati alle con-dizioni metereologiche stagionali, ad esempio, l’hockey su ghiaccio, il pattinaggio divelocità, il pattinaggio di figura e per certi aspetti anche il bob e lo slittino. Invece, laneve artificiale è utilizzabile solo in inverno, per cui lo sci alpino e le discipline dello scinordico hanno bisogno delle loro condizioni metereologiche. Le piste ed i trampolinicon materiali artificiali sono solo un sostituto necessario, ma limitato, che serve soprat-tutto per l’allenamento. Ecco cosa è importante per gli aspetti dell’allenamento:

1. Il fattore costi: dal punto di materiale, logistico ed organizzativo è molto maggioreche nalla maggior parte degli sport olimpici (se si eccettuano la vela, l’equitazione, ilciclismo, il pentathlon moderno). Non si è certo profeti se si afferma che per tutti i par-tecipanti, se vogliono restare concorrenziali a livello internazionale, il fattore costi èdestinato chiaramente ad aumentare. Perciò aumenta anche il ruolo degli sponsor(quello dello Stato diminuisce rapidamente). Ma aumenta anche il loro impatto sullapratica: la pressione al successo ed alla prestazione diventa enorme.Per questo allenatori e ricercatori nel campo della scienza dello sport aumentano i lorosforzi nella loro ricerca di metodi con effetti maggiori di quelli finora noti, compreso ildoping.

2. Nello sport commercializzato - soprattutto negli sport invernali – ad esempio, le tra-smissioni televisive sono estremamente importanti non solo dal punto di vista finanzia-rio, ma addirittura perché possa esistere ed essere continuata ogni azione di promozio-ne e di pianificazione della prestazione. Per questa ragione la televisione esercita un’in-fluenza sempre crescente sul programma delle gare. Tutto ciò va in direzione dell’accorciamento delle gare, dell’introduzione di nuovi tipi digare più telegeniche, di regole che permettono di capire più facilmente chi sono i vinci-tori e i piazzati. Per la televisione che si regge sulla pubblicità (commerciale) l’obiettivo èsolo quello di aumentare la percentuale dei consumatori. Un esempio di questa tendenza lo abbiamo avuto in Italia: nei Campionati mondiali del2003 in Val di Fiemme la partenza in gruppo nello sci di fondo oppure, già prima di essi,le cosidette gare ad inseguimento nella combinata nordica, ecc.Per questa ragione in futuro cambiera anche la progettazione dell’allenamento neglisport interessati e nelle loro discipline. E, ancora una volta, si deve ricordare una pro-spettiva: La struttura della gara determina la struttura della prestazione, che deve essereconsiderata e sviluppata nell’allenamento.

3. Un problema si pone nella partecipazione alle gare. Un incremento del numero dellegara a livello elevato è quasi imposisbile (ma tutto è possibile!?). Un ulteriore aumentonon può essere auspicabile a causa della ridotta preparazione immediata alla gara, esoprattutto per il mancato recupero da parte degli atleti.

4. L’assistenza tecnologica all’allenamento ed alla gara dovrà aumentare proprio neglisport invernali. Si tratta di un fattore del sistema.Però oltre al miglioramento del processo e dell’efficacia (dell’assistenza tecnologica,ndt) aumenta un rischio; in un momento, che non può essere previsto, verrà trascuratoil fattore personale/umano, per cui comincerà ad avere un effetto negativo sul processoglobale dell’ulteriore incremento della prestazione sportiva. Per una probabile spiegazione del fenomeno, che in parte già possiamo riconoscereattualmente:interventi nella struttura globale della persona, soprattutto sul suo modo di agire! Qui sirichiede l’utilizzazione di una psicologia competente.Ma se ciò continua?Un problema fondamentale che si incontra sempre più frequentemente, è quello di unagrande quantità di interventi singoli sulle funzioni, sul loro controllo nell’organismoumano, cioè nell’atleta. Ne risulta una alterazione del circuito regolatorio, che ci è igno-ta. Questa alterazione però provoca crisi nelle sfere della personalità, naturalmenteanche in quella biotica. Il risultato è l’instabilità delle prestazioni in gara, a prescinderedal gigantesco dispendio di tempo e di risorse in allenamenti e gare. Poiché quando ci siavvicina troppo od addirittura si superano i limiti autonomi dell’organismo ne vengonodistrutte le difese naturali. Alcuni sport invernali già hanno raggiunto questi limitiautonomi dell’individuo già fortemente adattato, cioè l’atleta. La scienza dello sportdeve avere sempre presente la globalità e l’incolumità dell’atleta.

Noi tutti siamo partecipanti e testimoni di uno straordinario esperimento sul campo:lo sport di alto livello come modo specifico di provare il materiale sull’uomo.

Alcuni aspetti speciali degli sport invernali e del ghiaccio

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1. Introduzione

Come introduzione a questo articolooccorre ricordare tre diverse circostanze:• L’attuale sport di alto livello è un feno-meno completamente diverso dallo sportdel passato. Rispetto ad esso i cambia-menti radicali riguardano le condizionieconomiche, sociali, organizzative e pro-fessionali. Era logico che ciò avesse conse-guenze sulla metodica dell’allenamento ela sua utilizzazione.

• Nelle condizioni attuali, l’attività dellescienza applicata è costretta ad una ricer-ca approfondita di riserve di prestazione; èevidente la necessità di una collaborazionenon formale tra allenatori e scienziati;quindi sono necessarie anche nuove fontidi conoscenze applicate.• Nella letteratura la discussione è iniziatain Russia (Verchoshanskij 1998a; Matveev1998; Platonov 1998; Selujanov 1998;Suslov, Filin 1998) e si è estesa, in Europa,ad altre pubblicazioni (Tschiene 1999;

Vladimir Issurin, Istituto Wingate, Netanya, Vladimir Shkijar, Dipartimento dello sport, Municipalità di Gerusalemme

La struttura a blocchi dell’allenamentoLa concezione della struttura a blocchi dell’allenamento

degli atleti di alto livello

Zanon 1999; Matveev 2000; Issurin, Shkliar2001). Nella preparazione del nostro artico-lo siamo partiti dalla tesi che nella teoriadella periodizzazione dell’allenamentosportivo (Matveev 1964) siano state formu-late sia le basi metodologiche della costru-zione dell’allenamento degli atleti, sia il suoapparato terminologico. Questo approccio,giustamente, fu definito classico e fonda-mentale, anche se ora è evidente che que-ste tesi - formulate oltre quarant’anni fa –debbono essere riformate e ripensate.

L’essenza del modello non tradizionale dell’allenamentoa blocchi è rappresentata dal susseguirsi di un’azioneconcentrata su un numero scarso di capacità. Vengonodistinte tre tipologie distinte di cosidetti mesocicli ablocchi: mesocicli di accumulazione, di trasformazionee di realizzazione. Quest’ultimo serve alla preparazioneimmediata alle gare principali. Nel loro insieme, i diversiblocchi formano una tappa della preparazione che

riproduce, in misura ridotta, l’alternanza dei carichi diallenamento nel ciclo annuale. Però, in essa, il periododi gara comprende anche blocchi di preparazione gene-rale. L’applicazione pratica della concezione della strut-tura a blocchi dell’allenamento permette una importan-te riduzione del volume globale del carico annuale diallenamento e facilita notevolmente la preparazione(immediata) dell’atleta alle gare importanti.

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2. Il nostro obiettivo

Con questo articolo ci proponiamo digeneralizzare e sottoporre ad una criticaapprofondita i più importanti aspetti diuna moderna costruzione dell’allenamentodegli atleti di qualificazione elevata. Talecritica riguarderà questi punti:

1. I volumi globali ed i limiti superiori deicarichi di allenamento.

2. La struttura a blocchi, come concezionedella pianificazione moderna dell’alle-namento.

3. La preparazione alle gare principali dellastagione.

Le fonti dalle quali abbiamo tratto le infor-mazioni per questo articolo sono rappre-sentate: dalle esperienze dell’allenamentodei migliori atleti dell’ex Urss negli anni da1976 al 1991 (anni durante i quali unodegli Autori, Issurin, era Direttore dellostaff per la consulenza scientifica com-plessa della squadra nazionale di canoadell’Urss, ndt); l’esperienze di allenatoredella squadra nazionale d’Israele (dal 1992al 2001); materiali tratti dalla letteraturainternazionale e gli scambi diretti di opi-nioni con specialisti dei vari Paesi, comeanche analisi statistiche e contenutistichepersonali.

3. I volumi generali dei carichi di allenamento: stato e tendenze attuali

Nella tabella 1 vengono riassunti dati rica-vati da colloqui con specialisti di sportdiversi di vari Paesi, che esprimono qualisiano stati i cambiamenti nei volumiannuali di allenamento. Se si analizzano letendenze che si possono dedurre da talidati si ricava che, negli sport di resistenzae, chiaramente, anche nella maggior partedei giochi sportivi, il volume annuale diallenamento si è notevolmente ridotto.Sembra che la causa di questo fenomenovada attribuita ad almeno quattro fattori.

• La distruzione del sistema socialista hamutato, radicalmente, la strategia dellosport di vertice: le squadre dei Paesi post-socialisti sono passate da una preparazio-ne estremamente centralizzata ad una più“liberale” con programmi che, in parte,avevano a disposizione meno materiali efinanziamenti. La conseguenza è stata chenon è stato realizzato il volume completodel carico di allenamento. • Le esperienze dei principali allenatori eatleti dei Paesi dell’Europa orientale hannodimostrato che, in una serie di casi, gli ele-vati carichi globali erano eccessivi e che icontrolli sulla loro realizzazione venivano

effettuati, senza che ve ne fosse ragione,in modo rigido e dirigistico. All’inizio deglianni ‘90 molti di questi allenatori e di que-sti atleti si sono traferiti in Occidente, dovele loro esperienze e le loro conoscenzefurono benvenute.• Gli atleti dell’area post-sovietica, cheprecedentemente realizzavano grandivolumi globali di carico, ora hanno persole loro tradizionali basi di allenamentoinvernale, ad esempio, nel Caucaso enell’Asia centrale. Questo fatto, insieme aduna notevole diminuzione delle risorsefinanziarie, indubbiamente ha influenzatonegativamente i volumi totali di caricorealizzati.• Un fattore essenziale che permetteva ditollerare elevati carichi di allenamento eral’utilizzazione di programmi di sostegnofarmacologico, la maggior parte dei qualiattualmente è illegale. I controlli anti-doping, non solo in gara, ma anche in alle-namento - introdotti dal CIO a metà deglianni ‘90 - sono diventati una componenteindispensabile dello sport di vertice.Quindi, si può giustamente supporre che ivolumi annuali dei carichi di allenamento,espressi in chilometri od ore di allenamen-to, siano ormai costanti, cioé non subiran-no cambiamenti importanti nel prossimofuturo.

4. La struttura a blocchi in quanto concezione dell’allenamento moderno

Alcune tesi della teoria classica dellaperiodizzazione sono state sottoposte acritica e a revisione già all’inizio degli anni‘80. Naturalmente, queste tesi rimaserovalide per lo sport giovanile e quello diqualificazione non elevata. Ma lo sviluppodello sport di alto livello rese più acuteuna serie di contraddizioni che, preceden-temente, passavano quasi inosservate:

• l’aumento notevole del numero e dellivello delle competizioni, per cui lo sche-ma tradizionale non rispondeva più allenuove esigenze della preparazione e dellapluralità di gare;• i limiti di uno sviluppo complesso dimolte capacità condizionali: lo schematradizionale prevedeva un’alternanzarazionale di “oggetti” che rappresentavanolo scopo dell’azione esercitata dall’allena-mento sugli atleti. Ma, contemporanea-mente, in ogni tappa, il numero di talioggetti era talmente elevato, che l’organi-smo riusciva trasformarsi solo in un pro-dotto scarsamente funzionale. Ad esempio,nel periodo di preparazione, dovevanoessere sviluppate le basi della capacitàaerobica, la forza massima, la resistenzaalla forza nella zona aerobica e anaerobica,dovevano essere aumentate le capacità dibase di forza rapida, ampliato il repertoriodegli elementi coordinativi, corrette lecarenze tecniche, completato l’arsenaledelle tattiche e curate eventuali malattieche erano state trascurate. La maggiorparte di questi compiti doveva essere svol-ta contemporaneamente, per cui si produ-cevano conflitti tra processi fisiologici d’a-dattamento scarsamente conciliabili, senon addirittura completamente inconcilia-bili tra loro. • La non coincidenza degli effetti di alle-namento nello sviluppo delle diverse capa-cità condizionaliSe si vuole ottenere una preparazione otti-male alla gara (top form), nel periodo dipreparazione, ad esempio, è necessarioeseguire un volume elevato di carichi aero-bici o di forza. Però, se durante il periododi gara queste capacità non vengono sot-toposte a stimoli sufficienti, diretti a con-servarle, il livello di resistenza aerobica e diforza massima si abbassa. Questa ultimatesi richiede l’introduzione di un concettopoco conosciuto, quello dell’“effetto resi-

Sport Tempo globale Totale dei chilometridi allenamento (h) allenamento

1985-1990 1993-2001 1985-1990 1993-2001

Nuoto 900-1 250 900-1 100 1 400-3 000 1 250-2 700Mezzofondo 900-1 200 800-1 100 5 500-6 700 5 000-4 700

(atletica leggera)Canottaggio 900-1 200 800-950 5 500-6 700 5 000-6 300Canoa/kayak 900-1 200 800-1 100 4 500-6 200 4 000-5 500Nuoto sincronizzato 900-1 200 800-1 100Ginnastica artistica 1 100-1 400 1 100-1 250Pallavolo 800-1 300 800-1 200Scherma 800-1 200 800-1 100Lotta greco-romana 800-1 200 800-1 100

Tabella 1 – Volume annuale e carichi di allenamento di atleti di qualificazione elevata

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duo di allenamento” (cfr. Counsilmann,Counsilmann 1991; Zatziorski 1995) (ininglese: residual effect of training). Si tratta di quel fenomeno per cui, dopol’interruzione di un’azione concentratad’allenamento (cioé di un carico concentra-to di allenamento), il suo effetto si conser-va per un certo periodo, per poi scomparireed il livello della capacità che è stata cosìsviluppata ritorna gradualmente a quelloiniziale. Le diverse capacità condizionaliconservano una capacità più elevata, ma alivelli diversi che esprimono la specificitàdella loro natura funzionale (figura 1).Dopo queste riflessioni si possono, facil-mente, formulare i principi di una costru-zione alternativa dell’allenamento, chepermetta di superare le contraddizioni delsuo modello classico. Questo modello non tradizionale è cono-sciuto con la definizione di struttura ablocchi dell’allenamento. Il modello, comeogni altro fenomeno relativamente nuovoè soggetto a modi diversi di intenderlo e diinterpretarlo. Ma, in letteratura la suanatura è molto poco descritta.

1. Il nucleo del nuovo modello è rappre-sentato da un mesociclo a blocco (MES)con un carico di allenamento concentrato,nel quale il numero delle capacità allequali si mira è ridotto al minimo. Per facili-tare la pianificazione e l’analisi vengonodistinti tre tipi di mesocicli a blocco:- il blocco d’accumulazione (accumula-

tion): serve allo sviluppo delle capacità dibase (di regola la resistenza aerobica e laforza massima) e delle componenti fon-damentali della tecnica;

- il blocco di trasformazione (trasmuta-tion): serve allo sviluppo di capacità piùspecifiche ed alla trasformazione dell’au-mentato potenziale di prestazione in unapreparazione sportiva specifica dell’or-ganismo: i punti principali ai quali mira il

carico di allenamento sono la resistenzaspeciale, la resistenza alla forza e lostato di preparazione tecnico-tattica;

- il blocco di realizzazione (realisation):serve alla preparazione immediata allagara per le competizioni principali.Contiene un livello relativamente elevatodi esercizi di forza rapida ed esercizi che“modellano” l’attività di gara.

2. Diversamente dal modello classico , cheprevedeva lo sviluppo parallelo (globale) dimolte capacità, il modello alternativocomprende una successione di carichi o diazioni concentrate su un numero limitatodi capacità “bersaglio” (generalmente, nonpiù di due). Proprio questa elevata concen-trazione del carico di allenamento rappre-senta l’essenza dalla struttura a blocchi.Infatti, gli atleti di elevata qualificazionesono già adattati a diversi tipi di carichimedi ed addirittura elevati (già la parola“blocco” prevede la concentrazione mono-litica di un certa sostanza).

3. I tre diversi mesocicli formano unatappa della preparazione che rappresenta,in misura ridotta, l’alternanza dei carichi diallenamento nel ciclo annuale: preparazio-ne di base-preparazione speciale- realizza-zione del potenziale di prestazione e par-tecipazione alle gare. La successione deimesocicli a blocco viene determinata dalleparticolarità e dalla durata dell’effettoresiduo d’allenamento nello sviluppo dellediverse capacità. Nel caso ideale, la tappadell’allenamento a blocchi dovrebbe favo-rire il passaggio alle gare con un livello dimigliore combinazione possibile di effettiresidui nelle capacità condizionali chedeterminano la prestazione (figura 2).Nella realtà, gli effetti residui dell’allena-mento possono essere prolungati, utiliz-zando volutamente unità di allenamentodirette a sostenerli con esercizi adeguati.

4. Il ciclo annuale di allenamento è forma-to da un determinato numero di tappe,che, in forma simile al modello classico,vengono raggruppate in periodi, sebbenein questo caso il loro contenuto sia radi-calmente diverso (nei periodi di prepara-zione viene pianificata la partecipazionealle gare, il periodo di gara comprendeblocchi di preparazione generale). Le prin-cipali particolarità della struttura a blocchisono riportate nella tabella 2.

5. L’applicazione della concezione dellastruttura a blocchi dell ’allenamento(Kaverin, Issurin 1989; Issurin 1996) per-mette una importante riduzione del volu-me globale annnuale del carico di allena-mento, perché la sua costruzione è piùfinalizzata ed equililibrata.

6. La struttura a blocchi permette una suc-cessione ordinata e più facile dei controllicorrenti e periodici (globali) sugli effettidel carico o sul corrispondente stato del-l’atleta. Per quanto riguarda i controlli cor-renti, in primo luogo vengono rilevati gliindici che caratterizzano la reazione allatipologia dominante di carico, mentre itest dei controlli periodici (a tappe) vengo-no realizzati alla fine della tappa. In modoanalogo, vengono modificati anche l’ali-mentazione ed i mezzi di integrazione ali-mentare ad effetto ergogeno.

5. La preparazione alle gare principali

La struttura a blocchi della costruzionedell’allenamento facilita notevolmente lapreparazione (immediata) dell’atleta allegare principali:

• dopo la conclusione di una tappa di alle-namento, pianificata razionalmente, siverifica una coincidenza cronologica tra i

Figura 1 – Effetto residuo di allenamento delle diverse capacità dopo

un’azione/un carico di allenamento speciale concentrato

Figura 2 – La composizione di una tappa d’allenamento con tre mesoci-

cli a blocco con la possibile coincidenza di effetti residui di durata

diversa

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massimi livelli di tutte le capacità condi-zionali che determinano la prestazione. Sesi parte dalla durata dell’effetto residuo diallenamento, 7-8 settimane rappresentanouna tappa di lunghezza ottimale, che cor-risponde a quella delle esperienze dellesquadre nazionali dell’ex-Urss e dell’ex-Rdt. Naturalmente, le tappe del periodo dipreparazione sono più lunghe, mentrequelle del periodo di gara possono esserepiù brevi. Tuttavia la tappa della prepara-zione immediata al gara (Pig) deve esserepianificata utilizzando periodi di tempoottimali.• Nel caso ideale ogni tappa deve conclu-dersi con qualche tipo di gara.Naturalmente il livello di queste gare sarànotevolmente diverso all’inizio ed alla finedella stagione. A prescindere da ciò, esistesempre la possibilità di raggiungere elevatirisultati in alcuni momenti culminanti. Diconseguenza, durante la stagione, il con-trollo della Pig può essere valutato e per-fezionato più volte. • Nella costruzione di una tappa della Pigci imbattiamo in due tendenze:a) la prosecuzione o la ripetizione perfe-zionata dello schema principale della pia-nificazione eb) il rinnovamento del contenuto dell’alle-namento, per evitare una eccessiva abitu-dine e stabilizzazione delle reazioni al cari-co (Verchoshanskij 1998b). In parte questorinnovamento avviene per vie naturali,cioé attraverso il cambiamento dei luoghie dei momenti in cui viene realizzato l’alle-namento, il cambiamento di partner e dicondizioni, ecc. Naturalmente, ciò non èsufficiente e, per questa ragione, periodi-camente deve essere cambiato anche ilcontenuto degli esercizi d’allenamento disviluppo.

6. Osservazioni finali

Le tesi che abbiamo esposto si riferiscono,in primo luogo, all’allenamento negli sportindividuali. Naturalmente, ciò non escludeche si debba intraprenderne l’adattamentocritico alle condizioni dei giochi sportivi.Alcuni elementi di ciò che le giustifica,

come quelli citati nell’articolo (ad esempio,l’effetto residuo di tipi diversi di carico eduna originale classificazione dei mesocicli)sono poco noti. Malgrado ciò, la concezio-ne della struttura a blocchi è stata usata edescritta (Bondarciuk 1981; Verchoshan-skij 1998a; Kaverin, Issurin 1989, ecc.). Leesperienze della sua applicazione neglisport di resistenza mostrano la possibilitàdi una importante diminuzione di volumiglobali del carico di allenamento che sonosuperflui. Ciò corrisponde alla tendenzagenerale degli ultimi anni. Molti specialisti,molti allenatori ed atleti nell’organizzazio-ne o nella realizzazione dei carichi di alle-namento utilizzano il concetto di “blocco”,ma spesso lo collegano con un contenutodiverso. Qui non si tratta di limitare qual-siasi libertà individuale nell’utilizzazionedei concetti. E neppure si tratta di inventa-re nuove definizioni per fenomeni già notida tempo, ma di scoprire in essi nuovetendenze, comprenderle a fondo ed utiliz-zarle per gli scopi voluti.

Traduzione ed adattamento di O. Iourtchenko daTeorija i praktika fiziceskoi kul’tury, 5, 2002, 2-5.Titolo originale: Konzepzija blokovoj komposizii vpodgotovkie sportsmenov voisokogo klassa.Indirizzo degli Autori: Prof. Dott. Vladimir Issurin,Wingate Institute, Netanya 42902, Israele

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Caratteristiche Modello tradizionale Modello della strutturadella costruzione a blocchidell’allenamento

Domina il principio Utilizzazione complessa Concentrazione dell’azionedell’assemblaggio dei carichi dell’azione di carichi diversi speciale su un nimero

minimo di capacità

Coincidenza temporale Prevalentemente Prevalentementedegli accenti nello siluppo parallela in successionedelle capacità

Componente principale Periodi d’allenamento: Tappe di allenamentoconcettuale dell’allenamento • preparatorio • combinazione

• di gara tra mesocicli a blocchi• di transizione

Partecipazione alle gare Soprattutto nel periodo di gara

Tabella 2 – Differenze principali nella costruzione dell’allenamento

Bibliografia

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1. Introduzione

L’Homo olympicus si distingue dall’Homosedentarius (cioé da chi ha uno stile di vitasedentario, privo di attività fisica) per unaserie di adattamenti e caratteristiche. Gliadattamenti necessari rappresentano ilrisultato di un allenamento sistematico evengono ottenuti grazie allo sfruttamentodelle possibilità insite nel programmagenetico individuale. I parametri che determinano le modifica-zioni che avvengono nell’organismo sonol’intensità e le durata degli esercizi di alle-namento, nonché la sollecitazione specifi-ca di determinati gruppi muscolari e unitàmotorie durante l’esecuzione di questiesercizi.

In linea generale, le modificazioni provo-cate dai diversi esercizi fisici garantisconoun miglioramento del livello della presta-zione. Contemporaneamente, questemodificazioni, insieme al miglioramentodella prestazione, offrono la possibilità diun feedback operativo sui risultati dell’al-lenamento e, quindi, di una sua direzioneefficace. Nuove conoscenze scientifiche ciconsentono di valutare quali siano lemodificazioni che sono in grado di aprireagli atleti la strada all’alto livello. Inoltre,disponiamo di un numero suffciente diinformazioni che ci consentono non sol-tanto il controllo degli effetti dell’allena-mento, ma anche di organizzare le trasfor-mazioni d’adattamento nell’allenamentostesso.

Il monitoraggiodell’allenamentoPrincipi generali ed obiettivi del monitoraggiobiochimico dell’allenamento

2. Gli obiettivi del monitoraggiodell’allenamento

Gli obiettivi del monitoraggio dell’allena-mento sono:1. registrare l’allenamento realizzato (eser-

cizi e metodi utilizzati, modificazioni delcarico nelle singole unità di allenamen-to, nei micro-cicli, negli stage di allena-mento, intervalli di recupero tra gli eser-cizi e le unità di allenamento);

2. garantire un feedback sugli effettiattuali dell’allenamento;

3. verificare se il programma di allenamen-to è adeguato ad atleti che si trovano adun determinato livello e

4. individuare quale sia il modello dellepossibilità di adattamento dell’atleta.

Il monitoraggio dell’allenamento si propone di registrare parametri sul processo di allenamento che si sta realizzando allo scopo di ottenere feedback sui suoi effetti,accertarsi se il programma che si staseguendo corrisponde allo statoattuale dell’atleta ed alle sue capacità di adattamento. Vengonotrattati alcuni aspetti che riguardanoil monitoraggio dell’allenamento dal punto di vista medico, etico e biochimico, con particolare riferimentoi a quest’ultimo ed ai suoi obiettivi, che sono quelli di ottenere dati sui processi di adattamento utili per verificare ed eventualmente correggere il programma di allenamento stesso.

Melis Viru, Atko Viru, Accademio olimpica estone

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La definizione del modello di sviluppodegli effetti dell’allenamento consentirà divalutare le interrelazioni tra esercizio ese-guito e le modificazione specifiche cheesso produce nell’organismo.Un’analisi del programma di allenamentorichiede la valutazione del carico (intensitàe volume) nelle unità e nei microcicli del-l’allenamento.È anche molto importante assicurarsi chel’unità di allenamento abbia prodotto l’ef-fetto allenante desiderato. Per la valuta-zione dei microcicli è inoltre necessarioottenere informazioni sul processo direcupero. Un’analisi del processo di recu-pero può essere molto importante perpoter definire quali siano gli intervalli otti-mali di ristabilimento tra gli esercizi all’in-terno di un’unità di allenamento.La valutazione sia dell’unità di allenamen-to, sia dei microcicli di allenamento èstrettamente correlata alla diagnosi del-l’affaticamento.Dal punto di vista della strategia dell’alle-namento è particolarmente importanteconoscere quale sia il modello di modifica-zione della capacità di prestazione di unatleta. Ci sono molte ragioni per le quali lapura e semplice enumerazione dei risultatidi gara non fornisce un’informazione suf-ficiente, mentre, invece, sono necessarienumerose informazioni di carattere gene-rale sulle condizioni dell’organismo ed inparticolare sulle basi della sua capacitàspecifica di prestazione. Queste informa-zioni sono più importanti di quanto rite-nuto finora per potere prevedere i lmomento in cui si raggiunge il culminenella capacità di prestazione, od il livello diforma massima. Infatti, per raggiungerequesto picco di massimo rendimento sisfruttano al massimo la capacità di adat-tamento dell’organismo. Qui troviamo ilconfine tra allenamento efficace e sovral-lenamento. Perciò, il monitoraggio dell’al-lenamento dell’atleta deve anche fornireinformazioni sulla capacità di adattamentodel suo organismo, inclusa la diagnosi disintomi precoci di superallenamento. Sugliatleti sono state eseguiti vari tipi di misu-razioni ed una serie di pubblicazioni speci-fiche consiglia test o modalità di controllodiverse. Però, il solo fatto che si misuriqualcosa su un atleta non rappresentaancora un vero e proprio monitoraggiodell’allenamento. Infatti si può parlarelegittimamente di monitoraggio dell’alle-namento solo se si rispettano completa-mente questi cinque principi:

• si tratta di un processo diretto adaumentare l’efficacia della direzione del-l’allenamento;

• tale processo si basa sulle modificazioniregistrate nell’organismo dell’atleta

durante vari raduni di allenamento o aseguito dell’effetto prodotto dai princi-pali elementi organizzativi dell’allena-mento (unità di allenamento, microciclo,gare, ecc.);

• si tratta di un processo estremamentespecifico, che dipende dal tipo di discipli-na sportiva, dal livello di prestazione del-l’atleta e dalle particolarità dell’età e delsesso. Quindi, i metodi di monitoraggiodell’allenamento vanno scelti in modospecifico, considerando la disciplinasportiva e le caratteristiche dell’atleta;

• il metodo di rilevazione utilizzato per ilmonitoraggio dell’allenamento ha unsignificato se è grado di fornire infor-mazioni affidabili sul compito oggettodell’osservazione;

• le informazioni ottenute grazie alle rile-vazioni eseguite devono essere com-prensibili; inoltre debbono essere corret-te da un punto di vista scientifico, perpotere consentire di apportare correzio-ni al programma di allenamento.

Le richiesta principale che viene posta adun programma di monitoraggio dell’alle-namento è che ricorra al minor numeropossibile di test, per ottenere il maggiornumero di informazioni affidabili. L’equazione: più test = più informazioni,non è accettabile, poiché il monitoraggionon è fine a sé stesso, ma deve rappresen-tare un aiuto per l’allenatore e l’atleta. I test devono essere commisurati sull’alle-namento e non debbono rappresentare unulteriore carico per gli atleti. Ogni test edogni misurazione debbono essere lemigliori tra le numerose possibilità tra lequali si può scegliere.Per prima cosa è necessario definire i com-piti del monitoraggio dell’allenamento.Metodologie, test e parametri debbonoessere scelti tenendo conto della specifi-cità del compito e della gara. Rispettare laspecificità della disciplina sportiva signifi-ca che un’informazione, per essere valida,si deve riferire ai presupposti specifici dellaprestazione di gara. Più stretto è il rappor-to tra un parametro e una prestazionespecifica, maggiore è il valore informativiodei risultati ottenuti con un test. Ad esem-pio, gli sciatori di fondo hanno bisognonon solo di resistenza, ma anche di forzamuscolare. Perciò, una valutazione dellaforza massima non rappresenta un’infor-mazione sufficiente, poiché la prestazionedello sciatore di fondo dipende dalla capa-cità di mantenere un livello ottimale diforza rapida in ogni ciclo per lungo tempo.La forza massima ha un rapporto soloindiretto con la resistenza muscolare loca-le, che però rappresenta un fattore chelimita notevolmente la prestazione.

3. La scelta dei metodi, dei teste degli indici per il monitoraggiodell’allenamento ed il loro utilizzo

La scelta di metodi, test e parametri idoneirappresenta la condizione fondamentaleper riuscire ad ottenere il massimo diinformazioni con il minimo numero di test.Occorre evitare di rilevare più indici perottenere la stessa informazione. La sceltadeve cadere di preferenza su indici chesiano strettamente correlati con la presta-zione. In questo caso infatti è fondamen-tale l'interrelazione tra prestazione e indicerilevato.

Il punto di vista etico

• Gli atleti durante l’esecuzione dei test edelle misurazionei debbono subire ilminore numero possibile di traumi;

• debbono essere liberi da ogni costrizio-ne, cioè non debbono essere obbligati asottoporsi a test e misurazioni;

• debbono essere informati su come sisvolgono i test;

• la realizzazione del test non deve pro-durre in loro alcuna sensazione negativa;

• devono essere informati, nella misura daloro desiderata, sui risultati del test;hanno il diritto di pretendere che vengarispettata la loro privacy (che cioè sialimitata la diffusione dei risultati deitest).

Il punto di vista medico

Va assolutamente evitato ogni tipo dieffetto secondario a lungo termine (dolore,infiammazione a seguito di infezionedovuta a biopsia o prelievo di sangue,ecc.). Il rischio di infezione aumenta se imetodi invasivi (biopsia o cateterizzazionedi vasi sanguigni) vengono usati in campo.Persino una piccola puntura delle puntadelle dita, praticata prima di una partitaper effettuare un prelievo di sangue, puòinficiare la prestazione di giocatori di pal-lavolo o basket. La stessa puntura puòanche rappresentare un veicolo di infezio-ne durante attività intense di gioco. Neilimiti del possibile, nelle analisi di campo ilprelievo di sangue dovrebbe essere sosti-tuito da un prelievo delle urine. Però, nellamaggior parte dei casi, il valore informati-vo dell’analisi delle urine è decisamenteinferiore rispetto ad un prelievo di sangue.La biopsia, i prelievi di sangue, la valuta-zione della differenza venosa-arteriosa e lasomministrazione di isotopi possono avve-nire soltanto in condizioni cliniche o dilaboratorio. Inoltre, l’intervallo di tempoche deve trascorrere tra i test deve esseresufficientemente lungo da impedire ognieffetto negativo sull’atleta.

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Il punto di vista biochimico

L’analisi biochimica di microcampioni,ottenuti attraverso biopsia o analisi delsangue, nonché la precisa determinazionedi ormoni ed altre sostanze, richiede chevengano utilizzati metodi complessi ecostosi. Per l’analisi dell’energetica musco-lare, i metodi invasivi di analisi biochimicapossono essere sostituiti con la risonanzamagnetica nucleare, ma in questo caso icosti sono notevolmente maggiori rispettoal ricorso ai metodi tradizionali metodibiochimici. Inoltre, il ricorso ad un metodocome la risonanza magnetica nucleare èpossibile soltanto in particolari condizionidi laboratorio e per un numero ristretto diesercizi.In un numero ristretto di casi, per la valu-tazione delle modificazioni strutturaliintervenute nelle fibre muscolari, la biopsiapuò essere sostituita dalla tomografiamuscolare. Anche in questo caso, però, sideve ricorrere ad un’apparecchiatura com-plessa, che prevede costi notevoli.Vi sono molti lavori nei quali si è cercato didimostrare come, per determinare la sogliadel lattato, i metodi invasivi possano esse-re sostituiti da test a carichi crescentidiretti a determinare il punto di deflessio-ne nelle curve della ventilazione e delloscambio gassoso o della frequenza cardia-ca. Però resta da risolvere un grandenumero di problemi prima di poter esseresicuri della precisione e specificità deimetodi indiretti che vengono proposti.Perciò, per l’analisi della soglia anaerobicasi continuano a privilegiare i test direttiper la valutazione del lattato ematico. Ladeterminazione del lattato non ha costieccessivi, la quantità necessaria di sanguesi ottiene molto semplicemente con unprelievo realizzato sul lobo auricolare. Ledeterminazioni del lattato si rendononecessarie per la valutazione dell’intensitàdella glicogenolisi anaerobica, come peraltri scopi.

Il punto di vista pratico

Dal punto di vista pratico, il problemaprincipale è rappresentato dal momento edalla durata dei test. Molti compiti delmonitoraggio dell’allenamento richiedonoche le modificazioni intervenute durantel’allenamento e la gara vengano rilevate intempo reale. In questo caso il protocollod’analisi deve garantire, in modo ottimale,che vengano rilevate le modificazioni piùsignificative. Per questa ragione, un fatto-re critico è rappresentato dal tempo cheintercorre tra il momento del picco delcambiamento e la sua registrazione, cioé ilmomento del suo rilievo o misurazione. Inaltri casi, l’obiettivo consiste, soprattutto,

nella valutazione degli effetti cumulatividell’esercizio e dell’allenamento, nonchédel modello di sviluppo degli effetti dell’al-lenamento stesso. In questi casi, l’insiemedei dati può risultare alterato dall’affatica-mento dovuto alle attività svolte nel gior-no del test o nei giorni precedenti, o da unprocesso completo di recupero. Le informazioni migliori sull’efficacia del-l’allenamento e sull’adeguatezza dei suoiprogrammi possono essere ottenute se iprocessi di adattamento e le loro manife-stazioni strutturali, metaboliche e funzio-nali, vengono registrate a livello cellulare.Nella maggior parte dei casi quanto dettoè tecnicamente realizzabile. Però, tali ana-lisi esigono che si ricorra a metodologiecomplesse e costose. Abbiamo già accen-nato in precedenza quali sono le riservemediche ed etiche per le quali l’utilizzazio-ne dei metodi biochimici di monitoraggiodell’allenamento resta limitata. Persino inlaboratorio, quei metodi che sono in gradodi garantire il più alto numero di informa-

zioni possono essere utilizzati da unristretto numero di persone. Malgrado ciò imetodi biochimici continuano ad essereindispensabili per la soluzione di numerosicompiti del monitoraggio dell’allenamento.Infatti, sono necessari, soprattutto:

• per la valutazione degli effetti dell’alle-namento della forza dinamica; dellacapacità di produzione energetica(modalità di risintesi dell’ATP); dellosfruttamento delle possibilità metaboli-che;

• per i controlli metabolici; • per la valutazione dell’effetto allenante

delle unità di allenamento; • per l’analisi del processo di recupero e

della struttura del microciclo; • per la previsione del massimo livello di

forma; • per la diagnosi dell’affaticamento e del

sovrallenamento; • per il controllo generale delle modifica-

zioni prodotte dall’adattamento.

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Il monitoraggio biochimico va inteso comeuna componente del controllo dell’allena-mento, che consente di ottenere informa-zioni più approfondite sulle modificazioniadattative di quanto non sia possibile conaltri metodi. Non è necessario quando èpossibile ottenere le stesse informazionianche ricorrendo ad altri strumenti, ma loè quando consente di ottenere maggioriinformazioni. Ad esempio, in alcuni casi, sel’efficacia dell’allenamento si riduce forte-mente, analisi più approfondite basate su

metodi biochimici consentono di svelarnela causa. Infatti, l’obiettivo che è alla basedi tali metodi consiste nel comprenderequali sono le basi dell’adattamento indottodall’allenamento attraverso i suoi segnalimetabolici e ormonali.

4. Il monitoraggio biochimicodell’allenamento

Questi sono i punti che definiscono lanatura del monitoraggio biochimico del-l’allenamento:

• nella maggioranza degli sport, l’adatta-mento metabolico rappresenta il back-ground del miglioramento della presta-zione sportiva specifica. Se si vuole rea-lizzare la direzione dell’allenamentoquesto adattamento deve essere defini-to sia dal punto di vista sia qualitativoche quantitativo.

• Nell’allenamento, l’adattamento meta-bolico è un fattore significativo anche aifini del miglioramento dello stato gene-rale e specifico della condizione fisica.

Gli adattamenti possono avere un’im-portanza fondamentale nello studio del-l’efficacia dell’allenamento.

• L’efficacia della direzione dell’allena-mento può essere valutata a breve ter-mine controllando quali sono le modifi-cazioni metaboliche e funzionali provo-cate da determinati esercizi e metodi diallenamento.

• Alla base di ogni allenamento efficacetroviamo un adattamento enzimatico estrutturale a livello cellulare, che è cau-

sato da modificazioni ormonali e meta-boliche che intervengono durante edopo le unità di allenamento. La regi-strazione di tali parametri apre la stradaalla valutazione dell’effetto allenante diogni unità di allenamento.

• Se ci si serve di analisi metaboliche eormonali è possibile individuare pro-grammi di allenamento sbagliati, chepossono imprimere una direzione errataall’adattamento metabolico o persinoprovocare una pericolosa diminuzionedella capacità di adattamento, comepure una riduzione delle riserve dell’or-ganismo.

• Nel controllo dell’allenamento i testmetabolici ed ormonali si rivelano utilise sono in grado di fornire informazionipiù significative rispetto a quelle otteni-bili con metodi fisiologici più semplici emeno costosi o test specifici sulle capa-cità condizionali e la capacità di presta-zione sportiva.

La scelta degli strumenti e dei metodi dautilizzare sia nel monitoraggio biochimico

dell’allenamento, sia dell’allenamento ingenerale si basa, soprattutto, sulla cono-scenza della natura specifica dell’adatta-mento indotto dall’allenamento stesso. Iparametri che vengono registrati devonofornire informazioni valide e specifiche suun processo di sviluppo che spessoabbraccia vari anni. che includono il perio-do prebuberale, la pubertà e l’adolescenza.Non è ancora chiaro se il valore informati-vo dei parametri resti invariato durante losviluppo ontogenetico e la maturazione. Un altro problema è rappresentato dalfatto che il monitoraggio biochimico del-l’allenamento può diventare più complessocon il trascorrere degli anni. Infatti, mag-giore è il livello delle prestazioni, piùapprofondite e dettagliate dovrebberoessere le informazioni. Al livello più eleva-to di prestazione, in proporzione, sononecessarie analisi specialistiche più fre-quenti per ottenere informazioni su qualisono le cause che promuovono oppureostacolano od impediscono i progressi nel-l’adattamento. Secondo gli specialisti nelcampo dell’allenamento ogni atleta sareb-be in possesso di un suo potenziale dimiglioramento attraverso l’allenamento.Dalle esperienze pratiche sappiamo che,dopo aver raggiunto un certo livello, anchese vengono aumentati intensità e volumedell ’allenamento, la prestazione nonmigliora. Al contrario, in alcuni casi, si pro-duce, inaspettatamente, un superallena-mento. Allora, ci si chiede, legittimamente,come sia possibile valutare quali possanoessere le potenzialità di sviluppo di unatleta: ma su questo punto, purtroppo,non sappiamo nulla.

5. Conclusioni

I vantaggi di una direzione dell’allenamen-to basata sul suo monitoraggio sono:

• la possibilità di introdurre correzioni alprogramma di allenamento ed alla suarealizzazione;

• la possibilità di registrare obiettivamen-te le esperienze maturate.

Traduzione di Patrizia Sodani, revisione termino-logica di Mario Gulinelli, da Leistungssport ,6,2002, 39-41. Titolo originale, Prinzipien desTrainingsmonitorings.Indirizzo dell’autore: Prof. Dr. A. Viru, EestiOliempiaakadeemia, Jakobi 5–112, 51014 Tartu,Estland.

Nota della redazione:Il lettore interessato potrà approfondire il temaleggendo il libro: Viru A., Viru M. BiochemicalMonitoring of Sport Training, Champaign, Ill.,Usa, Human Kinetics 2001.

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mittel, Leistungssport, 6, 2002, 54-55). Pertale studio nel periodo compreso tra l’ot-tobre 2000 e il novembre 2001, in tredicipaesi sono stati acquistati 643 integratorialimentari non-ormonali, commercializzatida 215 diverse società produttrici. La mag-gior parte degli integratori alimentari fuacquistata direttamente in negozi specia-lizzati (91,2%) dei singoli Paesi e tramiteInternet (8,2%). Di questi, 289 integratorialimentari provenivano da aziende checommercializzano anche proormoni, 345integratori alimentari da aziende che nonvendono pro<ormoni. I prodotti sono statisottoposti a test con gas-cromatografia-spettrometria di massa rilevando la pre-senza di 11 diversi steroidi anabolizzanti-androgeni proibiti. Dei 634 integratori ali-mentari analizzati, 94 (14,8%) risultavanopositivi alla presenza di steroidi anaboliz-

zanti-androgeni proibiti (i cosiddet-ti proormoni), non dichiarati inconfezione. Dal rapporto numerototale di integratori alimentari-paese, è emerso che il maggiornumero di integratori alimentaripositivi sono stati rinvenuti inOlanda (25,8), Austria (22,7%), GranBretagna (18,9%) e negli Stati Uniti(18,8%) (tabella 1). In base alladenominazione indicata in etichettagli integratori alimentari positivierano prodotti in questi Paesi: StatiUniti, Olanda, Gran Bretagna, Italia

e Germania. Il 21,1% degli integratori ali-mentari positivi proviene da aziende checommercializzano anche precursori ormo-nali, il 9,6 per cento da aziende che non licommercializzano. Negli integratori ali-mentari positivi sono state evidenziateconcentrazioni di steroidi anabolizzanti-androgeni comprese tra 0,01 mg/g e 190mg/g, concentrazioni così basse da faresupporre - ma si tratta di solo di una sup-posizione - che non si tratti di aggiunteintenzionali, quanto piuttosto di contami-nazioni, che possono verificarsi, ad esem-pio, quando con una stesso macchinariovengono lavorate vitamine e pro-ormoni enon viene sufficientemente pulito dopoogni utilizzo. Le analisi delle urine di uncampione di soggetti che avevano assuntointegratori alimentari risultati positivi,hanno portato a controlli antidoping posi-

tivi dopo molte ore,soprattutto per la pre-senza del metabolita delnandrolone, il norandro-sterone. Secondo i risul-tati di questo studio,occorre che la comunitàsportiva sia consapevoledei rischi che si corronoutilizzando integratorialimentari che potrebbe-ro contenere proormoniseppur non indicati inetichetta, in quanto illoro consumo può porta-re alla positività nei con-troll i antidoping.Secondo la ricercadell’Istituto di biochimicadella Sporthochschule sitratta di un problema didimensioni internaziona-li , che però non puòessere usato, come vienefatto spesso come scusaper mascherare il ricorsoa sostanze vietate, sianoesse contenute in inte-gratori alimentari od inaltri prodotti. Per ridurrei rischi di doping non

Attenti agli integratori

Malgrado la loro utilità sia larga-mente discussa e messa in dubbio(su questo tema cfr. l'articolo di A.Scheck, pubblicato nel n. 52 di que-sta rivista), gli integratori alimentaricontinuano ad essere largamenteutilizzati nello sport di alta presta-zione e non soltanto in esso, rap-presentando un settore che restaaperto ad ogni tipo di speculazione,dove la pseudoscienza la fa dapadrona. Ma, oltre alla loro dubbiautilità, per gli atleti negli integratori ali-mentari sono celati anche altri rischi.Infatti dal 1996 negli Stati Uniti d’America,la legge consente l’uso dei cosiddettiproormoni, come integratori alimentari. Varicordato che i proormoni sono steroidianabolizzanti-androgeni, che nel nostroorganismo possono essere trasformati insostanze attive. I rappresentanti più noti diquesto gruppo di sostanze sono i precur-sori ormonali del testosterone, quali laDHEA, il 4-androstendione, il 4-androsten-diolo e il 5-androstendiolo, nonché iproormoni del nandrolone, quali il 4-norandrostendione, il 4-norandrostendioloe il 5-norandrostendiolo. Secondo ilRegolamento Antidoping del Cio e delleFederazioni Sportive Internazionali tutti iproormoni sono classificati come sostanzeanabolizzanti proibite e il loro uso costitui-sce doping. Ed unnumero sempre mag-giore di controlli realiz-zati dopo casi di positi-vità al doping ha messoin evidenza che ancheintegratori alimentarinon ormonali , qualivitamine, minerali, crea-tina, ribosio, etc. posso-no contenere proormo-ni, non dichiarati nell’e-tichetta. Per valutare ledimensioni del fenome-no degli integratori ali-mentari contenentiproormoni non dichia-rati l’Istituto di biochi-mica della Sporthoch-schule di Colonia (Ger-mania), con il sostegnodel Cio, ha condotto unampio studio interna-zionale, i cui risultatisono stati riassunti inun articolo pubblicatonel numero 6 del 2002di Leistungssport (HansGeyer, Wilhelm Schän-zer, Dopingrisiken durchNährungsergänzung-

a cura diMario Gulinelli, Olga Iourtchenko, Arnd Krüger

TRAINER’SDIGEST

Paesi Numero Numero Percentualedegli integratori degli integratori degli integratori

analizzati positivi positivi (%)

Olanda 31 8 25,8Austria 22 5 22,3Gran Bretagna 37 7 18,9Usa 240 45 18,8Italia 35 5 14,3Spagna 29 4 13,8Germania 129 15 11,6Belgio 30 2 6,7Francia 30 2 6,7Norvegia 30 1 3,3Svizzera 13 - -Svezia 6 - -Ungheria 2 - -Totale 643 94 14,8

Tabella 1 – Integratori alimentari con pro-ormoni non dichiarati

Integratori alimentari contenenti pro-ormoni non dichiarati(integratori alimentari positivi) in rapporto al numero totaledegli integratori alimentari venduti nei diversi Paesi

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intenzionale, gli atleti - qualora decidanodi farne uso - dovrebbero acquistare solointegratori alimentari prodotti da aziendein grado di eseguire e/o assicurare un con-trollo di qualità sui proormoni e che pos-sono garantire che i loro prodotti non ven-gono assolutamente in contatto con talisostanze durante il processo produttivo edi conservazione. Gli atleti tedeschi hannola possibilità di sapere quali di essi soddi-sfino tali requisiti consultando la bancadati dell’Olympiastützpunkt di Colonia(www.osp-koeln.d) e di ottenere altreinformazioni sull’argomento consultandola homepage dell’Istituto di Biochimicadella Deutsche Sporthochschule di Colonia(www.dopinginfo.de). Per cui nessuno diessi, se trovato positivo ai controlli anti-doping, potrà più addurre la scusa di avereassunto sostanze doping a sua insaputaavendo fatto uso di integratori alimentari,alibi del quale si sono serviti e continuanoa servirsi molti atleti

Selezione del talento ed intelligenza

Come è noto la selezione del talento rap-presenta da anni uno dei problemi dellosport moderno. La maggior parte degliapprocci si basa su test che riguardano lecapacità motorie, soprattutto le capacitàfisiche. Ma quale ruolo svolgono nel talen-to sportivo il sistema nervoso e le funzionipsichiche superiori? A questo tema è dedi-cato uno dei capitoli di un libro sull’indivi-duazione e la ricerca del talento nellosport di V.N. Selujanov, attuale direttoredel Laboratorio di teoria e metodologiadell'allenamento dell'Istituto superiore dicultura fisica di Mosca, e di M.P. Shestakovdedicato ai problemi della selezione deltalento (Selujanov V.N., Shestakov M.P.,Opredelenie odarennostej i poisk talantov vsporte, Mosca, 2001), nel quale vengonoesposti i risultati delle ricerche svolte suiproblemi del rapporto tra talento e lecaratteristiche del sistema nervoso, lamotivazione, il temperamento e l'intelli-genza. Per quanto riguarda quest'ultimoaspetto, Selujanov osserva che in approcciteorici diversi come parametri dell'intelli-genza vengono utilizzate caratteristichediverse e tali approcci possono essere sud-divisi in due grandi gruppi: al primo grup-po appartengono gli approcci in cui ven-gono individuati i correlati dell'attivitàcognitiva, mentre il secondo gruppo com-prende quelli in cui vengono individuate lecomponenti di questa attività. Ad esempio,rientrano nel primo gruppo, gli approccinei quali i parametri della velocità di ese-cuzione di compiti semplici (il tempo direazione) vengono considerati come indiciindiretti delle particolarità dell'elaborazio-ne dell'informazione e, quindi, dell'intelli-

genza. Invece le componenti dell'intelli-genza, individuate nel secondo gruppo,vengono definite secondo la specificitàdell'esecuzione di un determinato tipo diattività che, ipoteticamente, include unaqualsiasi componente dell'intelligenza.A volte, l'intelligenza viene definita -anche se riduttivamente - come capacitàgenerale di apprendimento. Per valutarequesta capacità è opportuno analizzare ladinamica del processo di apprendimento,che si manifesta nella velocità di incre-mento dei parametri oggettivi della riusci-ta dell'apprendimento stesso. Così, il con-fronto tra i parametri del pensiero operati-vo di giovani giocatori di pallacanestro, dipallavolo e di giovani tennisti mostra che iprimi risultano migliori nel numero delleazioni (soluzionie di problemi), mentre isecondi (tennisti) nel tempo dei test.Di interesse particolare sono i dati ottenutinelle fascie giovanili dai candidati alleScuole sportive (tabella 1). Se, per quantoriguarda la razionalità del pensiero, i gio-catori di pallavolo sono inferiori rispetto aigiocatori di pallacanestro ed ai tennistiloro coetanei, per quanto riguarda l'opera-tività del pensiero all'ultimo posto trovia-mo i tennisti. Utilizzando la valutazioneintegrale, cioè il numero delle azioni (solu-zioni) al secondo, possiamo vedere che igiocatori di pallavolo superano i giocatoridi pallacanestro e i tennisti (rispettivamen-te: 0,42 u.c; 0,13 u.c; 0,02 u.c.).All'età di 16 anni rimane il vantaggio deigiocatori di pallacanestro nella razionalitàdelle soluzioni e il ritardo dei tennisti nellaloro operatività. Ciò permette di ipotizzareche la preparazione e, quindi, la selezione

nelle diverse discipline sportive, debbatenere conto di uno di questi parametri.Probabilmente, per i tennisti risulta piùimportante la razionalità, per i giocatori dipallacanestro la razionalità e l'operatività,per i giocatori di pallavolo, l'operatività.I risultati dello studio degli stereotipi dina-mici mostra la superiorità dei giocatori dipallacanestro, per quanto riguarda la loroformazione e trasformazione, mentre itennisti sono migliori per quanto riguardala loro variabilità. Ciò si spiega con il valorediverso che assumono le varie caratteristi-che dei processi nervosi in queste specia-lità, che viene determinato, a sua volta,dalle particolarità della preparazione tecni-ca. Nella pallacanestro viene appreso unnumero notevolmente maggiore di azionitecniche rispetto alla pallavolo e al tennis.Però, dall'altro lato, il minore numero diazioni che viene appreso in questi sportrichiede, probabilmente, una maggiore sta-bilità e sicurezza della loro esecuzione.Occorre notare una stabilità relativamenteelevata di tutti i parametri della velocitàdella formazione dello stereotipo dinamiconel processo di preparazione, e ciò, secon-do Selujanov ha un'importanza notevoleper la selezione. Inoltre Selujanov ci ricordache talvolta l'essenza dell'intelligenza vienevista nell'efficacia dell'adattamento delcomportamento ad un ambiente difficile.I dati ottenuti dall'Autore grazie all'utiliz-zazione del test specifico su 100 soggettititolari delle Squadre Nazionale dell'ex-URSS di atletica leggera, di tennis, dirugby, di ginnastica artistica, di calcio, dihockey, dimostrano che i vertici dello sportvengono raggiunti da quegli atleti che

Parametri Disciplina 10 anni 12 anni 14 anni 16 annisportiva

Velocità Tennis 0,47 0,46 0,48 0,37di formazione Pallacanestro 0,56 0,67 0,49 0,47stereotipi, u.c. Pallavolo 0,28 0,34 0,37 0,47

Velocità Tennis 0,32 0,38 0,46 0,39di trasformazione Pallacanestro 0,46 0,46 0,53 0,59stereotipi, u.c. Pallavolo 0,25 0,25 0,24 0,29

Razionalità Tennis 4,0 2,69 1,8 1,1del pensiero Pallacanestro 0,3 0,6 0 0operativo, u.c. Pallavolo 7,9 7,6 7,4 7,0

Rapidità Tennis 30,5 25,9 13,7 13,7del pensiero Pallacanestro 16,1 14,6 15,0 12,9operativo, u.c. Pallavolo 18,8 9,8 8,5 8,4

Tabella 1 – Parametri "modello" della velocità di formazione degli stereotipi dinamici

e del pensiero operativo (secondo Bril')

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hanno in media un QJ = 100±10 u.c. Nellostesso tempo, i titolari delle SquadreNazionali dell'ex-URSS che hanno un QJsuperiore, sono caratterizzati da un'insta-bilità dell'esecuzione delle azioni tecniche,da un'elevata variabilità del comporta-mento in condizioni di concorrenza diffici-le, e ciò porta spesso all'insuccesso nellegare molto importanti.Raramente si riscontrano atleti che riesco-no a raggiungere risultati elevati sia nellosport sia nello studio. Però, ci ricordaSelujanov, non bisogna assolutamente tra-sformare ciò nell'idea che lo sport e lo stu-dio siano due cose incompatibili, mentrenon è razionale aspettarsi che un atletariesca a raggiungere risultati elevati sianello sport che nello studio. In ogni casociò non va stimolato in un senso o nell'al-tro. Il giovane atleta deve avere la possibi-lità di definire realmente i suoi obiettivi. Selujanov ricorda poi che una capacità chea volte, erroneamente, viene identificatacon l'intelligenza è la creatività, intenden-do con essa quelle forme di comporta-mento che si basano sull'immaginazione,sulla fantasia, cioè, sull'astrazione dalleoperazioni che determinano il processogenerale del pensiero, della comprensionee della presa di decisioni. Questa astrazio-ne conduce una persona creativa dallasoluzione solita attesa alla sfera dell'irrea-le, dell'impossibile; e la soluzione saràtanto più creativa quanto più vicino si tro-verà a questo stato che confina con l'irrea-le. Nonostante il fatto che le persone crea-tive siano, spesso, anche intelligenti,secondo Selujanov, occorre sottolineareche tra le capacità creative e l'intelligenzanon esiste assolutamente alcuna correla-zione. In altri termini, ci sono personemolto intelligenti, ma assolutamente noncreative, e ci sono persone dotate di gran-de creatività, ma di modesta intelligenza. Per quanto riguarda le idee della psicoge-netica sui test per la valutazione dell'intel-ligenza, il livello di intelligenza sarebbedeterminato dal genotipo e dall'ambientedell'infanzia. Il risultato dell'influenza, siadi questo ambiente (l'esperienza primaria),sia del genotipo è rappresentato dalla sta-bilità ontogenetica dei parametri dell'intel-ligenza, interpretata non come mancanzadi sviluppo, ma come mantenimento di unlivello relativo di intelligenza della persona,cioè della sua posizione nel range di ungruppo. Quando si parla dell'ereditarietàdell'intelligenza si intende il rapporto tra ladispersione genotipica dei parametri del-l'intelligenza rispetto alla dispersionegenerale (fenotipica).Alcuni specialisti russi (Ravic-Sherbo,1988; Borodina, 1987) pensano che sol-tanto circa la metà della variabilità fenoti-pica sia legata ai fattori genotipici. Il con-

tributo del genotipo alla variabilità dellecaratteristiche della intelligenza nonesclude, naturalmente, le possibilità dicambiamento di questo contributo dovuteall'influenza dell'ambiente (Kramorenko etal., 1990). Le ricerche hanno stabilito chela variabilità dell'intelligenza è soggettaall'effetto di parametri determinati dal-l'ambiente familiare, mentre le caratteristi-che dell'ambiente (soprattutto nella primainfanzia) possono avere validità per la pro-gnosi dei parametri dell'intelligenza neiperiodi d'età successivi. Nella variabilitàinterindividuale dei parametri delle capa-cità speciali (capacità di lettura, capacitàspaziali, capacità matematiche, capacità diriflessione logica, ecc.) il contributo dellavariabilità genetica (cioè determinatageneticamente) è approssimativamenteuguale al contributo dei parametri dell'in-telligenza dovuti all'ambiente, cioè variadal 40 al 60% della dispersione generale(Il'in, 1990; Ivanov-Muromskij, 1987).

Gruppi di allenamento

Quanto può o deve essere ampio il divarioprestazionale all’interno dei gruppi di alle-namento per ottenere un grado di appren-dimento ottimale? L’apprendimento nelgruppo rappresenta un valido metodo inambito sportivo e musicale ed anche sco-lastico. Qual è, ad esempio, la differenzatra il livello di apprendimento registratoall’interno di un gruppo di atleti di parilivello e quello di un gruppo costituito daatleti con prestazioni notevolmente diver-se? Quali sono i vantaggi di cui possonofruire i componenti di una squadra di cal-

cio all’interno della quale ci sia una “gerar-chia”? Le dinamiche sono le stesse indi-pendentemente dal sesso dell’atleta? F.d’Arripe-Longueville, C. Gernigon, M.-L.Huet et al., Peer-assisted Learning in thePhysical Activity Domain Dyad Type andGender Differences, in Journal Sport &Exer. Psych., 24, 2002, 219-238, hannoosservato trentadue ragazzi e trentatréragazze di nazionalità francese, allievi diuna scuola superiore (età 18,3±1,3), men-tre si esercitavano nelle virate nella nuota-ta a rana in una piscina di 25 metri. Nelcorso di un test preliminare, i partecipantierano stati classificati da un gruppo diesperti in base al loro livello di prestazione.Successivamente è stato eseguito un alle-namento a coppie nella virata, con periodidi allenamento ognuno della durata diotto minuti. Il comportamento delle cop-pie, libere di organizzare autonomamenteil proprio allenamento, è stato ripreso edesaminato da due esperti. Trascorsi quat-tordici giorni è stato effettuato un nuovotest, per verificare quale effetto di allena-mento fosse ancora documentabile. Gliallievi e le allieve si allenavano formandotrentadue coppie dello stesso sesso. Ai finidello studio, queste coppie erano statesuddivise in sottogruppi, il cui processo diapprendimento era stato così differenziato:

• apprendimento guidato (i più bravi inse-gnano l’esercizio ai meno abili);

• imitazione (i più bravi mostrano l’eserci-zio ai meno bravi);

• cooperazione (gli atleti di pari abilità siaiutano l’un l’altro);

• attività parallela (nessuna cooperazione).

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Per potere ottenere risultati attendibili, ilcoefficiente di obiettività richiesto agliesperti indipendenti era maggiore di r =0,9. Gli allievi e le allieve appartenenti agruppi asimmetrici facevano registrareprogressi maggiori rispetto alle coppie diallenamento di pari livello. Nel corso degliotto minuti i maschi si esercitavano conuna frequenza maggiore rispetto alleragazze. Nelle coppie di allenamento dipari livello prestazionale è stata osservatauna predominanza dell’attività parallelarispetto all’imitazione e all’istruzione. Ilmiglioramento degli atleti abili non hacostituito oggetto dello studio.Non è dato sapere se sarebbero stati otte-nuti risultati analoghi per attività sportivemaggiormente complesse. Né è statodocumentato se e fino a che punto, quan-to osservato tende a riprodursi in unità diallenamento di maggiore durata. Gli Autori fanno notare tuttavia cheandrebbe dedicata maggiore attenzione econsiderazione ai gruppi di allenamento esarebbe utile lavorare con gruppi eteroge-nei dal punto di vista delle prestazioni,poiché ciò andrebbe a vantaggio dell’ap-prendimento.

Allenamento con il biofeedback

Nel corso degli anni è stato dimostrato cheun allenamento con il biofeedback haeffetti positivi sulla prestazione sportiva inalcune discipline sportive. Tuttavia, questapratica pone ancora molti problemi irrisol-ti, che riguardano, soprattutto, il suoambito preciso di utilizzo. Tre Autori israe-liani (B. Blumenstein, M. Bar-Eli e G.Tenenbaum, Brain and Body in Sport andExercise, Chichester: J. Wiley & Son, 2002,133 pagine), hanno realizzato un’analisisistematica sullo stato della ricerca (oltre500 citazioni bibliografiche). Espertisoprattutto nelle tematiche relative all’au-mento del rendimento nel tiro, gli Autoriprecisano che il biofeedback non è un far-maco, per cui basta utilizzarlo, quantopiuttosto un vero e proprio metodo di alle-namento.

Quindi, come per altre forme di allena-mento, per un corretto biofeedback èimportante:

• la frequenza e la durata dell’allenamento;• i criteri di allenamento;• se e con quale frequenza vengono asse-

gnati “compiti a casa”;• se si tratta di esercizi nei quali si può

effettivamente migliorare grazie al con-trollo interno;

• l’entità della motivazione al biofeedback;• che tipo di sostegno cognitivo ricevono

dal loro ambiente gli atleti e le atlete;

• il tipo di atteggiamento nei confronti delbiofeedback presente nell’ambientesociale;

• il tipo di reazione nei confronti del bio-feedback all’interno del gruppo di alle-namento (poiché il rilassamento vienepraticato principalmente in gruppo);

• la capacità di determinare l’esatta condi-zione di allenamento della caratteristicache si vuole migliorare con il biofeed-back;

• se si vuole ottenere un effetto statisticoo individuale;

• con quale velocità avviene l’adattamentoal biofeedback;

• la capacità di adattare il biofeedback allecondizioni specifiche delle singole disci-pline sportive.

Chiunque desideri lavorare con questometodo, non può fare a meno di confron-tarsi con la lettura di questo testo.

Allenamento isocinetico

I primi articoli sull’allenamento isocineticodella forza risalgono a circa trent’anni fa e.già allora si poneva l’accento sul fatto cheesistono soltanto pochi esercizi sportiviadatti alla struttura motoria dell’isocineti-ca. Per cui, contrariamente a quantoavviene nella letteratura statunitense,verso l’allenamento della forza in regimeisocinetico in Europa si sono conservatipregiudizi, che hanno fatto in modo cheesso sia sopratutto parte integrante dellariabilitazione. Invece, l’allenamento isoci-netico della forza ha una sua giustificazio-ne nell’allenamento della forza di base,mentre nell’allenamento sport-specifico,non ha avuto successo. Nel frattempo, ènata tutta una letteratura sull’argomento.La migliore panoramica è quella fornita dallibro di L.E. Brown (L. E. Brown, Isokineticsin Human Performance, Leeds, HumanKinetics, 2000, 456 pagine). Il volume for-nisce una visione d'insieme di quasi tuttolo spettro di possibilità offerte dall’allena-mento isocinetico e le documenta conl'ausilio di migliaia di citazioni bibliografi-che. Si tratta della migliore analisi attual-mente disponibile. Grazie ad un indicetematico, il volume è ben strutturato econsente una facile ricerca.Per chi desideri una visione ancor piùaggiornata, consigliamo la rivistaIsokinetics and Exercise Science (IOS Press,Amsterdam). Nel numero 10 (2002),dispensa 1, è documentato il 2° Congressodella Società Isocinetica Europea (svoltosiil 15/16.3.2002 a Crans Montana), che si èoccupato principalmente di allenamentoisocinetico eccentrico. Nel frattempo, lemacchine isocinetiche sono state modifi-cate al punto di consentire l’esecuzione di

un allenamento eccentrico. Soltanto graziealla simulazione del ciclo allungamento-accorciamento è stato possibile avvicinarsialla specificità delle diverse disciplinesportive. A questo proposito può essereinteressante riportare quanto viene espo-sto da Platonov sull’allenamento isocineti-co della forza nel capitolo 18° “Forza epreparazione della forza” del suo librodedicato alla preparazione degli atleti aglisport olimpici (V. N. Platonov, Obshaja teo-rija podgatovki sportsmenov v olimpijskomsporte, Kiev, Olimpiiskaja Literatura, pagg.583) nel quale non si ha verso questo regi-me di allenamento l’atteggiamento diffusoinvece in altri Autori. Platonov ricorda che,rispetto ad altri regimi di lavoro, l’allena-mento in regime isocinetico crea condizio-ni favorevoli per un’elevata attivitàmuscolare per tutta l’escursione del movi-mento, che non può essere ottenutadurante l ’esecuzione di esercizi consovraccarichi, in particolare il bilanciere.Ciò è stato dimostrato in modo convincen-te da ricerche condotte (fin negli anni ‘70),ad esempio, sull’attività elettrica deimuscoli estensori del ginocchio nel movi-mento di estensione degli arti inferiori nel-l’esecuzione di un esercizio di squat ed inun lavoro eseguito su un’apparecchiaturaisocinetica.I dati riportati nella figura 1 dimostranoche, durante il lavoro sull’apparecchiaturaisocinetica, si nota una maggiore attiva-zione dei muscoli, ed é importante notarecome i valori dell’attività elettrica deimuscoli durante il lavoro isocinetico resti-no a livello massimale, indipendentementedal cambiamento dell’espressione dellaforza e dell’angolo articolare, a dimostra-zione del fatto che l’intensità degli impulsinervosi inviati ai muscoli durante questolavoro rimane a livello massimale, pertutta l’escursione del movimento in quan-to l’atleta deve superare un sovraccaricomassimale con angoli articolari diversi.L’efficacia del metodo isocinetico vienedeterminata, in misura notevole, dallavelocità dei movimenti. Ad esempio, in unostudio sull’efficacia del metodo isocineticoper lo sviluppo della forza massima deimuscoli estensori degli arti inferiori di gio-catorici di pallavolo, con un’ampiezza dimovimento pari a 140° l’aumento maggio-re della forza veniva ottenuto con unavelocità di movimento pari a 70°/s, mentreuna velocità più elevata risultava pocoefficace. Esperimenti nei quali sono stateutilizzate , rispettivamente, velocità di60°/s e di 120°/s hanno dimostrato cheuna velocità minore produce un aumentomaggiore della forza, indipendentementedal fatto che i risultati venissero verificatiin regime isotonico od isocinetico. Lo stes-so risultato è stato ottenuto con altri espe-

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rimenti, e ciò può essere spiegato facil-mente. Infatti, per uno sviluppo efficacedella forza massima è molto importantel’entità dell’opposizione che deve esseresuperata. Quando si usa il metodo isocine-tico, una tensione muscolare massima ovicina alla massima può essere raggiuntasolo se la forza prodotta dall’opposizioneal movimento cede lentamente a quellaapplicata dall’atleta. Se il movimento vieneeseguito con velocità elevata, si tratta diun principio che vale per tutti gli esercizi diforza, non solo per quelli in regime isoci-netico, il muscolo non dispone del temponecessario per sviluppare la tensione mas-simale e mantenerla. Però, secondoPlatonov, il fatto che il metodo isocineticoche prevede l’esecuzione dei movimenticon velocità elevata risulti poco efficaceper lo sviluppo della forza massima, nonvuole dire che questo metodo non debbaessere utilizzato nella preparazione degliatleti. Al contrario, esercizi svolti con que-sto metodo risultano molto efficaci se l’o-biettivo dell’allenamento consiste nello svi-luppo della resistenza alla forza di queimuscoli, che sono prevalentemente impe-gnati nella realizzazione del carico in alcu-ni sport ciclici (canottaggio, nuoto, ecc.)oppure nell’aumento della capacità di rea-lizzare il potenziale di forza nelle condizio-ni di un’attività muscolare specifica. Ciòriguarda sia un lavoro di carattere ciclico,che non richiede l’espressione massimale osubmassimale della forza durante l’esecu-zione dei principali movimenti di lavoro,sia un lavoro di carattere aciclico con

impegni esplosivi di forza. Così, ad esem-pio, un allenamento isocinetico dei muscoliestensori a velocità elevata (180°/s) emolto elevata (fino a 360°/s) risulta piùefficace per lo sviluppo della forza rapida,rispetto ad uno con velocità scarsa. Va poi detto che un’allenamento dellaforza che preveda l’utilizzazione di unavelocità scarsa non garantisce l’espressio-ne della forza nei movimenti che debbonoessere eseguiti a velocità elevata, mentrel’effetto prodotta dall’allenamento dellaforza a velocità elevata si esprime neimovimenti eseguiti a velocità elevata: ciòviene determinato dalle differenze nellastruttura delle fibre muscolare reclutateper il lavoro durante l’esecuzione di movi-menti di velocità diversa, ma anche dalleparticolarità della loro regolazione nervo-sa. Occorre sottolineare però che oltre allatendenza generale alla diminuzione dellaforza con l’aumento delle velocità di movi-mento (figura 2) vi sono le particolaritàindividuali dell’atleta che possono influen-zare sia l’andamento delle curve, sia illivello di forza massima che esso è ingrado esprimere a velocità diverse.

Figura 1 – Valori medi dell’attività elettrica massimale (elettromiogramma integrato) di tre

muscoli estensori del ginocchio in atleti praticanti pesistica, registrati durante un lavoro concen-

trico (sovraccarico 100% del massimale) 1. lavoro eseguito su un’apparecchiatura isocinetica; 2.

esercizio di squat con bilanciere sulle spalle (Hakkinen, Komi 1988)

Figura 2 – Dinamica degli impegni di forza di un lottatore di qualificazione elevata durante il

movimento di flessione dell’articolazione del ginocchio; eseguito a velocità diverse: a – 60°/s; b –

120°/s, c – 180°/s; d – 240°/s

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La ginnastica artistica è tra gli sportcon componente di rischio. Chiunqueosservi una competizione di ginnasti-ca artistica, specie quelle ad altolivello, rimane colpito dall’apparentesemplicità e naturalezza con la qualegli atleti eseguono gesti tecnici dal-l’evidente difficoltà. Infatti sembrache gli atleti della ginnastica esegua-no movimenti dove è richiesta unagrandissima forza senza sforzo, ese-guano salti acrobatici quasi disinte-ressandosi della forza di gravità, iltutto su superfici spesso pococonfortevoli. Ciò che lascia stupiti èche le evoluzioni della ginnasticaartistica ad alto livello, chiaramentepericolose, siano eseguite senza alcu-na paura evidente. Potrebbe sembra-re che questi atleti abbiano imparatoa gestire la paura, quasi ad annullar-la. Ciò non sempre è vero; infatti,anche gli atleti di alto livello dichia-rano di trovarsi di fronte all’emozionedella paura che risulta un freno allaloro evoluzione tecnica. Perciò, inquesto lavoro si è cercato di ricavareuna maggiore comprensione delfenomeno della paura dell’infortunio,dei blocchi psicologici cui questapaura può ricollegarsi e nei quali puòesprimersi e della loro eventualerelazione con altre importanti varia-bili quali l’esperienza pregressa diinfortuni, la preoccupazione o ansiageneralizzata che gli atleti possonoprovare nell’esibirsi o nell’eseguireesercizi di alto valore tecnico, e ilsenso di sicurezza personale che que-sti atleti hanno nelle proprie capacitàtecniche e atletiche.

Anna Claudia Cartoni, Andrea Massaro, Carlo Minganti, Arnaldo Zelli, Istituto Universitario di Scienze Motorie, Roma

La paura dell’infortunio in ginnasti di alto livello

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Studio del rapporto tra alcune variabili ad elevatosignificato psicologico, legate in particolare alla paura dell’infortunio, e alcuni fenomeni caratteristici della ginnastica

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1. Introduzione

Ciò che accomuna le attività sportive è ilcontinuo tentativo di portare all’eccellenzae ai limiti delle possibilità umane una dataabilità. L’agonismo, l’aspirazione alla vitto-ria, la caccia al record, spingono alla ricer-ca di prestazioni massime e, di conseguen-za, anche le intensità emozionali risultanoamplificate al massimo, sia in senso positi-vo che negativo. Gli sport ad alto tasso di rischio, sono con-traddistinti da un’abilità eccezionale daparte dell’atleta di controllare e gestire leproprie emozioni.La ginnastica artistica, al suo livello attualedi sviluppo, è certamente da annoveraretra gli sport ad alto rischio. I ginnastiimparano, fin dai loro primi approcci conquesta disciplina, che il confine tra unabuona esecuzione ed una che può portaread una caduta ed ad un eventuale infortu-nio, è molto sottile. La precisione assoluta,unita all’armonia nei movimenti, rappre-senta l’essenza stessa di questo sport. Perquesto motivo, una delle emozioni che iginnasti si trovano ben presto a dovereaffrontare, è la paura. Spesso i ginnastiriferiscono di avere paura, in particolaremodo, dell’infortunio. In alcuni casi, questapaura può rappresentare un serio proble-ma e spesso si verificano situazioni in cuigli allenatori, non preparati a gestire similicircostanze non riescono ad aiutare con-cretamente i propri atleti. Può accadere, inoltre, che la gestione erra-ta di tali situazioni porti addirittura all’ab-bandono dell’attività da parte dei ginnasti.Sembra, quindi, utile impostare un pro-gramma di studi scientifici di questi feno-meni per approfondire sia le origini dellapaura dell’infortunio sia le relazioni, se cene sono, che questa paura intrattiene conconvinzioni, pensieri ricorrenti o preoccu-pazioni che un atleta potrebbe esprimere oprovare nel contesto di un allenamento odi una gara ad alti livelli. Nel lavoro che viene presentato si è cerca-to di indagare proprio questo tipo di rela-zioni. In particolare, dallo studio su uncampione di atleti d’alto livello, si è cerca-to di ricavare una maggiore comprensionedel fenomeno della paura dell’infortunio,dei blocchi psicologici cui questa paurapuò ricollegarsi e nei quali può esprimersi,e della loro eventuale relazione con altreimportanti variabili quali l’esperienza pre-gressa di infortuni, la preoccupazione oansia generalizzata che gli atleti possonoprovare nell’esibirsi o nell’eseguire esercizidi alto valore tecnico, e il senso di sicurez-za personale che questi atleti hanno nelleproprie capacità tecniche e atletiche. Lostudio si appoggia necessariamente aconoscenze e modelli psicologici del com-

portamento umano che hanno caratteriz-zato, soprattutto, il progresso nel campodella psicologia della personalità.

Le convinzioni sull’auto-efficacia

Le opinioni e credenze che un individuo hasulle proprie capacità caratterizzano lecosiddette convinzioni d’auto-efficacia.Queste convinzioni sono estremamenteimportanti; per prima cosa, stimolanoall’azione: una persona che nutra dubbisulle sue capacità, sarà indotta inevitabil-mente ad evitare sfide ed impegni e si sco-raggerà alle prime difficoltà e insuccessi.Tali convinzioni influenzano anche diretta-mente i risultati: coloro che hanno unaforte fiducia in se stessi, stabilisconoobiettivi sempre più ambiziosi e tendono apersistere nei loro sforzi; infine, un fortesenso d’auto-efficacia valorizza le propriecapacità nella misura in cui tanto più sielevano le proprie abilità, tanto più elevatesaranno le capacità personali di influenza-re gli eventi. Va, tuttavia, ricordato che esi-stono anche delle eccezioni: un livelloeccessivamente elevato d’auto-efficacia,può indurre gli individui ad ostinarsi nel-l’esecuzione di compiti impossibili o adintraprendere azioni rischiose che si fareb-be bene ad evitare.

Emozioni e regolazione emotiva

Lo studio delle emozioni è un argomentoche ha affascinato filosofi, saggi e studiosidi ogni tempo, origine culturale e geogra-fica. Fin dai tempi di Platone, le emozionisono state considerate come il fulcro stes-so della natura dell’uomo. Secondo la psi-cologia moderna, le emozioni complesse(quali la paura, la rabbia, la tristezza)richiedono fondamentalmente una com-ponente cognitiva e sono spesso il risulta-to complesso sia di valutazioni personali distimoli esterni o sociali sia di elaborazionie sensazioni interne all’individuo (Lazarus1991). In quest’ottica, aspetti cognitivi e dipensiero danno avvio alle esperienze emo-tive. Le emozioni non sono, in altre parole,scatenate semplicemente da eventi esternima sono piuttosto il risultato dei significa-ti soggettivi che le persone assegnano aglieventi che li circondano. Queste valuta-zioni e significati soggettivi sono, a lorovolta, il risultato di relazioni complesse tragli eventi scatenanti, gli obiettivi personali,e le norme o standard comportamentaliche l’individuo si prefigura.È così evidente come, lungi dall’esseresemplici manifestazioni di predisposizioniindividuali non meglio definite, le emozio-ni siano piuttosto indicatori complessidella capacità di regolarsi e affrontare ledifficoltà, le sfide, o anche le soddisfazioni

che un individuo può incontrare quotidia-namente (Lazarus 1991).

Il contributo della psicologia nello sport

Le tematiche che finora abbiamo trattatosono di grande importanza per spiegaremolti aspetti della vita quotidiana di ogniindividuo. Applicate al campo dello sport,esse assumono un rilievo addirittura fon-damentale. Gli psicologi hanno indagatomolti aspetti delle emozioni negli atleti.Uno degli stati emotivi più indagati è cer-tamente la paura, soprattutto la pauradell’insuccesso e della vittoria (Martens,Burton, Vealy, Bump, Smith 1990; Anshel1991; Lazarus 1991; Conroy 2001). La let-teratura scientifica è invece piuttostoavara di riferimenti per quanto riguarda lapaura dell’infortunio e del danno fisico.L’infortunio, soprattutto in prestazioni adalto livello tecnico e agonistico, è, in ognicaso, quanto mai possibile e non c’è dub-bio che gli atleti siano consapevoli deirischi cui vanno incontro.

La paura nei ginnasti

Questa emozione, come già detto, puòcreare gravi problemi alla carriera di unginnasta, fino a potere provocare, se malgestita, l’abbandono dell’attività sportiva.Capita spesso che la paura sia vissuta convergogna da parte dell’atleta, al quale deveessere spiegato che tale emozione è asso-lutamente normale per chiunque affrontiuna disciplina come la ginnastica artistica.La paura può bloccare i processi di acqui-sizione di nuovi elementi o impedire l’ese-cuzione corretta di quelli che già fannoparte del bagaglio tecnico del ginnasta. Intutti gli sport con tasso di rischio, la pauranon potrà mai essere completamente eli-minata, quindi, gli atleti di queste discipli-ne dovranno imparare a gestire e domina-re tale emozione per non rimanerne vitti-me. Stati emotivi di paura e ansia possono,infatti, influenzare molto negativamentel’allenamento e la prestazione.La paura inoltre può portare ad un altrotipo di esperienza solitamente riferita daiginnasti, quella cioè dei cosiddetti blocchipsicologici. Tali esperienze consistono inblocchi comportamentali che impedisconoall’atleta di eseguire movimenti che, disolito, anche se di elevata difficoltà, ese-gue senza particolari problemi. La causa, ole cause, sono molto difficili da individua-re; spesso l’atleta riferisce di una pauranon meglio specificata e di una incapacitàdi visualizzare l’esecuzione del movimento.L’esperienza indica che la maggior parte ditali blocchi si verifica nelle esecuzioni diserie acrobatiche, specialmente all’indietro.Una ricerca su giovani ginnaste statuni-

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tensi di alto livello, ha indicato come, que-sto fenomeno, sia ampiamente diffuso,coinvolgendo infatti oltre il 70% delleragazze intervistate (Feygley 1989). Inoltre,si è potuto notare come la tipologia degliatleti che maggiormente subisce il feno-meno dei blocchi sia simile. Sono solita-mente gli atleti più brillanti, coloro cheall’inizio della loro carriera di ginnastihanno avuto una maggiore velocità diapprendimento e che, quindi, sono portatia “bruciare le tappe” del normale iter versol’acquisizione di un movimento (Feygley1989).Anche se stabilire le cause della paura del-l’infortunio non è cosa semplice, sonostate individuate tre cause scatenanti:cause fisiche (es. la paura di non esseresufficientemente forti), cause emotive (es.la paura è generata dallo stesso attrezzo),cause cognitive sia razionali (es. esseretroppo stanchi), che irrazionali (es. lapaura di avere sfortuna in quell’attrezzo).

2. Scopo della ricerca

Chiunque osservi una competizione di gin-nastica artistica, in modo particolare quel-le ad alto livello, rimane solitamente colpi-to dall’apparente semplicità e naturalezzacon cui gli atleti eseguono gesti tecnicidall’evidente difficoltà. Agli occhi di unospettatore, sembra che gli atleti della gin-nastica eseguano movimenti dove è richie-sta una grandissima forza senza alcunosforzo, eseguano salti acrobatici quasidisinteressandosi della forza di gravità, iltutto su superfici che spesso risultanopoco confortevoli (la superficie di appog-gio su una trave è di soli dieci centimetri).Il fatto che lascia più di tutti stupiti è chele evoluzioni della ginnastica artistica adalto livello, la cui pericolosità, in molti casi,è molto chiara anche ai non addetti ailavori, siano eseguite senza alcuna pauraevidente. Potrebbe sembrare, agli occhi diuno spettatore, che questi atleti abbianoimparato a gestire la paura, quasi adannullarla. Questo è quello che spessopensano anche gli atleti più giovani, alleprime armi, osservando le prestazioni degliatleti d’élite.In realtà, precedenti studi (Cartoni, DePero, Minganti, Zelli 2002), in accordo conquanto riferito dagli allenatori, indicanocome il fenomeno della paura sia presenteanche negli atleti d’altissimo livello. L’inte-resse della ricerca che viene presentata èdi indagare se esistano delle differenzeindividuali nella percezione della paura traatleti che praticano questo sport a livelloagonistico. Inoltre si vuole verificare dache cosa possano dipendere tali differenze,con particolare riferimento ad eventualiesperienze pregresse di trauma, al livello

generale di preoccupazione che il ginnastapuò provare di fronte alle evidenti diffi-coltà della disciplina, e al senso di sicurez-za personale che questi atleti hanno perquanto concerne le proprie capacità fisi-che. Queste tre variabili o costrutti psico-logici, rappresentano importanti elementidi studio che meritano di essere esaminatisimultaneamente. L’auto-efficacia motoriaè la fiducia che l’individuo ripone nelleproprie capacità di affrontare con succes-so le situazioni specifiche dell’ambitomotorio. Atleti con elevata fiducia in sestessi possono interpretare la propria ansiao preoccupazione come elementi positiviche facilitano la performance, mentre gliatleti con bassi livelli d’auto-efficacia pos-sono interpretare i sintomi dell’ansia comedebilitanti. A loro volta, il senso di sicurez-za personale e il livello di ansia che si puòprovare, dipendono, probabilmente inlarga misura, dalle difficoltà e esperienzepregresse che l’atleta può avere provatonel contesto specifico delle sue attività.

3. Materiali e metodi

Campione

Hanno preso parte alla ricerca 126 ginna-sti, (58 maschi e 68 femmine), partecipantial Campionato italiano di serie A1 e A2 diginnastica artistica. L’età media del cam-pione è di circa 17 anni (d.s.: 4) con unadifferenza evidente tra maschi e femmine(età media: 19,19; d.s.: 3,55 per i maschi e15,85, d.s.: 2,74 per le femmine).

Strumenti e procedure

Ad ogni ginnasta sono stati somministratidue questionari finalizzati a rilevare la per-cezione di auto-efficacia relativamentealla disciplina praticata e il comportamen-to in situazioni specifiche della ginnasticaartistica.

Questionario di auto-efficacia motoria(SEM-S)

Il SEM-S (Bortoli, Robazza 1996) misura lapercezione personale di competenza

motoria con riferimento alla disciplinapraticata. Il test è composto da dieci itemdei quali quattro riguardano o misuranoauto-efficacia positiva (ho un buon livellodi capacità motorie), tre misurano auto-efficacia negativa (le mie capacità motoriesono limitate) e tre riguardano l’auto-effi-cacia “in situazioni impegnative” (sonocapace di risolvere rapidamente i problemiche mi si presentano in gara). I soggettipotevano rispondere ad ogni item usandouna scala a cinque punti (No per niente =1, Poco = 2, Abbastanza = 3, Molto = 4,Moltissimo = 5). Punteggi alti in ogni scalae sul totale indicano un’elevata auto-effi-cacia motoria specifica.

Questionario specifico sulla ginnasticaartistica

Il questionario è stato creato per questaricerca ed è composto da ventinove itemche misurano perlopiù l'attività atleticapregressa, il carico d’allenamento settima-

nale, il livello agonistico, nonché le even-tuali esperienze di infortuni e le paure-preoccupazioni nell'affrontare esercizi spe-cifici della ginnastica artistica. In partico-lare, otto item (tabella 1) sono stati formu-lati per misurare la preoccupazione degliatleti e il punteggio totale è dato dallasomma degli otto valori. Per valutare l'at-tendibilità dello strumento (coerenzainterna) è stato utilizzato il test dell'alfa diCrombach (Alpha = 0,85). Un’altra variabile che si è considerata èstata la severità di infortuni pregressi, cheè stata calcolata moltiplicando il numerodegli infortuni riportato dai soggetti (uno= 1, due = 2, più di due = 3), per il temponecessario a recuperare dall’infortunio(Pochi giorni = 1, Una settimana = 2, Duesettimane = 3, Un mese = 4, Più di unmese = 5).La variabile paura è stata invece misuratautilizzando due item, rispettivamente, (“haipaura di provare un movimento nuovo?” e“hai paura di provare un movimento chegià conosci?”). I soggetti potevano rispondere si/no aquesti due item e ottenevano un punteg-

• “Sei preoccupato di farti male per una caduta dall’attrezzo?”• “Sei preoccupato di subire lo stesso trauma che ha avuto un tuo compagno?”• “Sei preoccupato di rifarti male?”• “Sei preoccupato di farti male contro un attrezzo?”• “Sei preoccupato di farti male perché sei stanco?”• ”Sei preoccupato di farti male mentre esegui un movimento che stai imparando?”• “Sei preoccupato di farti male mentre esegui un movimento che sai già fare?” • ”Sei preoccupato di farti male perché esegui un movimento difficile?”

Tabella 1

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gio 0 se le due risposte erano negative, unpunteggio di 1 se una delle sue risposteera affermativa, ed un punteggio di 2 seentrambe le risposte erano affermative. Una procedura simile è stata seguita permisurare la variabile del blocco psicologi-co. In particolare, i soggetti rispondevanosi/no a due domande (“Ti è mai successo dibloccarti prima di eseguire un movimentonuovo?” e“Ti è mai successo di bloccartiprima di eseguire un movimento che avevigià provato?”) ed il punteggio ottenutopoteva variare tra 0 (entrambe le risposteerano negative) e 2 (entrambe le risposteerano affermative).

4. Risultati

Valori medi e differenze di genere

Vista l’importanza che le differenze digenere hanno avuto nell’analisi di datisimili raccolti in ricerche passate (Cartoni,De Pero, Minganti, Zelli 2002), è sembratoopportuno prima di tutto esaminare l’o-mogeneità del campione e, poi, analizzare idati separatamente per maschi e femmine.Queste analisi hanno evidenziato differen-ze importanti. Gli atleti che hanno partecipato alla ricer-ca hanno evidenziato, nel complesso, unalunga esperienza sportiva; praticano laginnastica artistica da un minimo di cin-que ad un massimo di venti anni,(M:11,79; d.s.: 3,51). Questa variabile èstata presa in considerazione per stabilirel'esperienza sportiva pregressa del campio-ne. Mediamente, i maschi (M:13,10) hannopiù esperienza sportiva delle femmine(M:10,67), una differenza che raggiunge lasignificatività statistica (F1,125 = 16,90;p<0,001). Il 90% del campione, inoltre,dichiara di avere avuto esperienze di trau-ma senza sostanziali differenze tra i duesessi (figure 1, 2, 3). Di questi, il 32,5%risponde di avere abbastanza paura dirifarsi male (figura 4). La paura dell’infor-tunio è, quindi, una componente presentenella realtà dell’atleta e, dalle rispostedate al questionario, risulta che i ginnastihanno soprattutto paura di farsi male peruna caduta dall’attrezzo e per stanchezzafisica (figure 5, 6). Gli atleti maschi hannoprovato, mediamente, più blocchi psicolo-gici (M:1,62 confrontato con M:1,38 per lefemmine) e sono più sicuri delle propriecapacità fisiche (M: 38,4 confrontato conM: 35,9 per le femmine). In entrambi i casi,queste differenze raggiungono la signifi-catività statistica (F1,125 = 4,96; p<0,05 perla differenza nel blocco psicologico; F1,120 =8,62; p<0,001 per la differenza nell’auto-efficacia). Infine, per quanto riguarda la gravità deltrauma fisico (M: 9,89; d.s.: 4,87), la paura

Figura 1 –

Figura 2 –

Figura 3 –

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di affrontare degli esercizi (M: 0,73; d.s.:0,65) e il livello generale di preoccupazioneo ansia (M: 20.60; d.s.: 4,49), non esistonodifferenze statisticamente significative tramaschi e femmine. I ginnasti, quindi, mediamente, hanno piùesperienza sportiva delle atlete e questoprobabilmente giustifica, almeno in parte, ivalori più alti riscontrati nel primo gruppoper quanto riguarda l’esperienza di blocchipsicologici e il senso di sicurezza persona-le; al contrario, è interessante constatareche non esistono differenze di genere perquanto concerne la paura nell’eseguire unesercizio, il livello di preoccupazione oansia, e la severità di traumi fisici provatidurante la carriera sportiva.

Correlazioni tra le variabili studiate

Queste prime analisi suggeriscono che ilcampione di atleti che hanno partecipato aquesto studio non è omogeneo e che ilgenere e l’esperienza sportiva pregressa diquesti possono avere un ruolo importantenel comprendere i modi in cui la pauradell’infortunio è legata alle variabili psico-logiche (ansia, auto-efficacia) che sonostate prese in considerazione. Sono state, quindi, effettuate delle analisicorrelazionali per valutare questi legami.In particolare, sono state prima esaminatele correlazioni tra le variabili d’interesse(correlazioni non-parziali) e, successiva-mente, queste stesse correlazioni sonostate stimate dopo avere controllato orimosso statisticamente il peso che l’espe-rienza sportiva pregressa poteva avere suqueste correlazioni (correlazioni parziali).Fondamentalmente, questo controllo stati-stico assicura che le correlazioni tra levariabili di interesse non siano un’espres-sione delle correlazioni che queste variabilihanno con l’esperienza sportiva pregressa.Queste correlazioni sono state esaminatesia nell’intero campione sia nei due gruppiseparati di atleti e atlete.

Correlazioni nel campione completo

L’analisi correlazionale non-parziale rivelaalcuni dati importanti, come riportatonella tabella 2. La preoccupazione, comesembra abbastanza naturale, è strettamen-te legata, con valori statisticamente signi-ficativi, alla paura e alla esperienza diblocchi psicologici. In altre parole, maggio-ri livelli di preoccupazione sono legati apaure e blocchi psicologici più frequenti.Inoltre, come si poteva ipotizzare, l’auto-efficacia è correlata negativamente esignificativamente ai livelli di paura, ossia,atleti che hanno una maggiore sicurezzain se stessi, tendono a provare meno spes-so paura di fronte ad un esercizio. L'auto-

Figura 4 –

Figura 5 –

Figura 6 –

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Correlazioni nei gruppi di atleti e atlete

Realizzando lo stesso procedimento sulcampione maschile e femminile separata-mente, si evidenziano andamenti differentiNell'analisi del solo campione maschile(tabella 3), permangono significative lecorrelazioni che legano l'auto-efficacia siaall’esperienza pregressa che alla gravità deltrauma fisico (quest’ultima correlazione,comunque, diminuisce sostanzialmente nelmomento in cui è calcolata controllandogli effetti dovuti all'esperienza sportiva).Non troviamo, invece, più significatività

diminuisce in modo sostanziale, mostran-do come la correlazione positiva tra auto-efficacia e gravità del trauma, fosse ingran parte un artefatto statistico spiegabi-le alla luce dell'esperienza sportiva pre-gressa. Infine, sempre alla luce delle corre-lazioni parziali calcolate controllando per ilfattore “esperienza pregressa”, è importan-te costatare come permangano positive esignificative le correlazioni tra preoccupa-zione o ansia, paura d’infortunio, e blocchipsicologici, mentre diminuisca di valore lacorrelazione negativa tra paura e auto-efficacia.

efficacia è anche correlata significativa-mente con l'esperienza sportiva pregressa:atleti più esperti sono anche più sicuri inloro stessi. L'esperienza maggiore, però, èanche collegata ad una maggiore presenzae gravità d’infortunio. Un dato che a prima vista sembra inusua-le, è quello della correlazione positiva chelega l’auto-efficacia, ai limiti della signifi-catività statistica, con la gravità del trau-ma fisico. In realtà, effettuando le correla-zioni parziali controllando per il fattore“esperienza sportiva pregressa” (tabella 2,valori sotto la diagonale), tale correlazione

Autoefficacia Preoccupazione Paura Blocco Gravità Esperienzapsicologico trauma sportiva pregressa

Autoefficacia - 0,074 - 0,061 - 0,002 - 0,250 0,263p = 0,079 p < 0,05

Preoccupazione - 0,006 0,122 0,283 0,042 - 0,040p < 0,05

Paura - 0,046 0,084 - 0,029 - 0,044 - 0,124

Blocco psicologico - 0,068 0,316 - 0,114 0,178 0,115p < 0,030

Gravità trauma 0,183 0,062 -0,017 0,157 0,327p < 0,05

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Autoefficacia Preoccupazione Paura Blocco Gravità Esperienzapsicologico trauma sportiva pregressa

Autoefficacia - 0,104 - 0,98 - 0,84 - 0,172 0,284p < 0,05 p = 0,075 p < 0,01

Preoccupazione 0,063 0,249 0,309 0,064 - 0,009p < 0,01 p < 0,01

Paura – 0,172 0,243 0,162 - 0,094 - 0,119p = 0,082 p < 0,05

Blocco psicologico - 0,126 0,233 0,079 0,003 0,076p < 0,05

Gravità trauma 0,152 0,080 - 0,106 0,080 0,174p = 0,069

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Tabella 3 – Campione maschile. Correlazioni tra esperienza, paura, ansia ed autoefficacia nel campione maschile. Le correlazioni sotto la diagonale

sono parziali e controllano per gli effetti dovuti all’esperienza sportivo pregressa

Tabella 2 – Campione completo. Correlazioni tra esperienza, paura, ansia ed auto efficacia nell’intero campione. Le correlazioni sotto la diagonale

sono parziali e controllano per gli effetti dovuti all’esperienza sportiva pregressa

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5. Conclusioni

Questo studio è nato per cercaredi fare luce su un aspetto nonancora approfonditamente stu-diato nel campo delle scienzedello sport e nel mondo dellaginnastica agonistica in partico-lare, ovvero, il rapporto che inter-corre tra variabili ad alto signifi-cato psicologico come l’esperien-za emotiva della paura, legata inparticolare all’infortunio, il sensodi sicurezza personale, le espe-rienze pregresse di trauma, ilivelli di preoccupazione riguardoalla prestazione sportiva e feno-meni caratteristici della ginnasti-ca come l’esperienza di “blocchipsicologici” di fronte ad un eser-cizio. I risultati della ricerca conferma-no alcune ipotesi di lavoro e pon-gono a loro volta dei quesiti. Unconcetto che i dati di questaricerca confermano è che l’espe-rienza serve a rafforzare il sensod’auto-efficacia. Bandura (1977,1999), afferma che l’acquisizionee la pratica di un’abilità, permettealle persone di affrontare situa-zioni difficili con una sicurezza e

convinzione personale maggiore. I nostridati indicano che l’esperienza sportiva pre-gressa di questi ginnasti è, nella media,molto consistente e che gli atleti maschitendono ad avere più anni d’attività spor-tiva alle spalle delle loro colleghe, forse acausa della maggior longevità della loro

senso di sicurezza personale delle atletesia correlato negativamente con la loroesperienza di blocchi psicologici (anche seal limite della significatività statistica). Taledato lascia intendere come nelle ragazzeuna migliore auto-efficacia, potrebbe aiu-tare a contrastare il fenomeno dei blocchi.

statistica nelle relazioni che lega-no la paura d’infortunio e i lsenso di sicurezza personale, dauna parte, e la paura ed il livellodi generale preoccupazione oansia dall’altra. Rimane invecestatisticamente significativa larelazione tra la preoccupazione eil blocco psicologico. Nell'analisi del campione femmi-nile (tabella 4), i risultati delleanalisi correlazionali sono dram-maticamente diversi da quelliottenuti nel campione maschile.La differenza più marcata è nellerelazioni che legano la paura dieseguire un movimento o eserci-zio alle altre variabili psicologicheprese in considerazione, vale adire la preoccupazione o ansia el’auto-efficacia. Queste relazionierano interamente assenti nelcampione maschile, mentre sonostatisticamente significative ed inlinea con le nostre attese, nelcampione femminile. Nelle ragaz-ze, una maggiore sicurezza di sée un minore livello di preoccupa-zione, si correlano a livelli piùbassi di paura nell’affrontare unesercizio. Ancora più interessan-te è il fatto che questi dati per-mangono anche dopo avere controllatoper i possibili legami di queste variabili conl'esperienza sportiva pregressa. Inoltre, a differenza degli atleti, le ragazzeche provano più paura, sono anche quelleche riportano maggiori blocchi di frontead un esercizio. Infine, è da notare come il

Autoefficacia Preoccupazione Paura Blocco Gravità Esperienzapsicologico trauma sportiva pregressa

Autoefficacia -0,181 -0,273 -0,230 0,133 0,162p < 0,05 p < 0,68

Preoccupazione -0,157 0,382 0,337 0,088 -0,015p < 0,01 p < 0,01

Paura -0,248 0,429 0,300 -0,145 0,056p = 0,068 p < 0,01 p < 0,05

Blocco psicologico -0, 213 0,183 0,213 -0,101 -0,063p = 0,117 p = 0,118

Gravità trauma 0,163 0,126 -0,198 -0,117 0,50

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Tabella 4 – Campione femminile. Correlazioni tra esperienza, paura, ansia ed autoefficacia nel campione maschile. Le correlazioni sotto la diagonale

sono parziali e controllano per gli effetti dovuti all’esperienza sportivo pregressa

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carriera sportiva. Nonostante ciò, il nume-ro e la gravità del vissuto traumatico nonpresenta differenze di genere, forse acausa del maggior stress cui, nella loro purbreve carriera, le atlete sono sottoposterispetto ai maschi. La paura di eseguire unesercizio e la preoccupazione generale neiconfronti dei rischi legati alla disciplinastessa della ginnastica artistica, hannorelazioni significative con l’esperienza di“blocchi psicologici”, cioè l’esperienza dinon riuscire ad eseguire un certo esercizioo movimento. Questo blocco comporta-mentale, sebbene diffuso, è maggiormentefrequente nei maschi, nei quali si relazionacon i livelli di preoccupazione. Le ragazzeinvece, associano al fenomeno dei blocchianche l’emozione della paura.Proprio quest’emozione, sembra esserevissuta in maniera sensibilmente differen-te dai maschi e dalle femmine. I dati corre-lazionali di questa ricerca hanno mostratoche nei primi la paura non si rapporta inmodo significativo a nessuna delle altrevariabili prese in considerazione, sianoqueste gli indicatori dell’esperienza pre-

gressa, il trauma, o il senso di sicurezza eauto-efficacia personale. Tali relazioniinvece sono chiare e sostanziali nel cam-pione delle atlete. Questi risultati a caricodel genere aprono la possibilità a diverseipotesi. Una possibilità è che tra alcuniatleti maschi ci sia una più marcata capa-cità o desiderio di gestire e controllare l’e-sperienza emotiva della paura e che talecapacità e motivazione scaturiscono daesigenze che sono relativamente indipen-denti dalle considerazioni che l’atleta fasulle sue capacità e sul significato dellesue esperienze. Un'altra possibilità, legataa quest’ipotesi, è che gli atleti e le atletevivano diversi processi di socializzazionenel corso dei loro anni formativi .Culturalmente, infatti, i maschi, fin dabambini, sono spinti a negare il fenomenodella paura, al fine di non essere derisi oadditati come pavidi. In palestra inoltre, ilrapporto con i compagni e con gli allena-tori, la voglia di non deludere questi ultimie il timore del loro giudizio, può spingerealcuni ragazzi a sopprimere tale emozioneo a viverla con vergogna. Per studiare

meglio questo fenomeno, sarebbe oppor-tuno approntare uno studio specifico,mirato a verificare il rapporto con l’emo-zione paura, in sportivi di varie specialità,confrontando il dato per entrambi i generi.Infine, ci si deve interrogare su quali sianole motivazioni che possono indurre i gin-nasti a provare timore di fronte a specia-lità, come le parallele e la sbarra per imaschi e la trave e le parallele asimmetri-che per le femmine, che statisticamentesono tra quelli che producono il minorenumero di infortuni. In conclusione, sarebbe auspicabile unampliamento dello studio sugli aspettiemotivi e cognitivi che caratterizzano lapaura e lo sviluppo di strategie operativeatte a controllare e gestire nel migliormodo quest’emozione disabilitante così dafacilitare l’operato di tecnici e atleti.

Indirizzo degli Autori: Istituto Universitario diScienze motorie, Piazza Lauro de Bosis, 15,00194 Roma.

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Bibliografia

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Le domande alle quali si cerca di rispondere sono: se lo sport di alto livello attiri soggetti che presentano alterazionidel comportamento alimentare; se la pratica dello sport può provocare disturbi alimentari;

se l'attività sportiva incoraggi lo sviluppo di tali comportamenti. Inoltre, vengono forniti consigli pratici su come individuare e trattare i disturbi dei comportamenti alimentari e vengono esposte

quali siano le conseguenze della conservazione di un peso corporeo eccessivamente basso per un lungo periodo

Alexandra Schek

Il problema dei disturbi alimentari nello sport di alto livello, loro individuazione e trattamento 27

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1. Introduzione

Nella definizione disturbi alimentari(eating disorders) vengono comprese duepatologie psicosomatiche che vanno sottoil nome di anoressia nervosa e bulimianervosa, mentre viene definito comporta-mento alimentare disordinato (disorderedeating) un comportamento alimentaredeviante dalla norma, che però nonrisponde pienamente ai criteri di undisturbo alimentare manifesto. Ne sonoalcuni esempi la "dieta a jo-jo" (Schek2001) e la "pseudoanoressia da sport”(Clasing et al. 1997). In questa, definitaanche anoressia atletica, il comportamen-to alimentare è ancora controllabile: i sog-getti in questione possono modificarevolontariamente la loro alimentazione, aseconda della fase di allenamento e rimo-dificarla alla fine della loro carriera,aumentando di nuovo di peso. Invece un disturbo alimentare comportasempre una perdita di controllo: ciò cheinizialmente veniva messo in atto volonta-riamente per diminuire di peso diventaautomatico e il comportamento alimenta-re non è più controllabile (attacchi di avi-dità patologica di cibo).Tra le cause che determinano la comparsadi disturbi alimentari, oltre a fattori biolo-gici (fame risultante da un'alterazionedella regolazione del senso di sazietà),vengono citati soprattutto fattori sociali eculturali (ideale di magrezza, spinta al suc-cesso) e fattori psicologici. In particolare si tratta di persone che nonhanno adeguate strategie di coping dellostress, e il cui senso di identità e la cuiautostima sono carenti (Johnson 1994).Inoltre, queste persone tendono a presen-tare una percezione alterata del propriocorpo, perfezionismo ed un senso di perdi-ta di controllo. Secondo Lindman (1994)nello sport di alto livello persone che pre-sentano queste caratteristiche non sonorare. Gli atleti hanno un’elevata consape-volezza di sé, soprattutto del proprio corpoe dei suoi limiti di prestazione, attribuisco-no un valore elevato alla vittoria e vengo-no influenzati, nel loro comportamento enei loro obiettivi, sia dal loro livello di pre-stazione, sia dagli allenatori, dai genitori,dagli insegnanti, dai dirigenti, dai compa-gni di squadra e dagli amici. Diminuire l'a-limentazione ed una iperattività fisica rap-presentano per gli atleti una possibilità diesercitare un controllo compensativo su sestessi. Se questo controllo viene minaccia-to, ad esempio da un trauma o dal cam-biamento di allenatore, il senso di perditadi controllo può condurre a praticareforme insane di regolazione del peso comedigiuno, vomito provocato ed abuso di las-sativi, diuretici e anoressizzanti. Tra un'ali-

mentazione restrittiva e un disturbo ali-mentare manifesto non c'è soluzione dicontinuità. Il disturbo alimentare vienevissuto come ulteriore perdita di controllo,e la percezione di sempre maggiore perditadi controllo può far arrivare a fenomenidepressivi ed in casi estremi a rischio disuicidio.In quegli atleti che non presentano carat-teristiche predisponenti, come quelledescritte precedentemente, sapere chepossono migliorare i loro risultati con una(moderata) riduzione del peso può provo-care anche alterazioni del comportamentoalimentare, però senza che queste evolva-no fino a diventare disturbi alimentarimanifesti (Clasing et al. 1997).

2. Definizione dei concetti

Negli Stati Uniti, per la diagnosi dei distur-bi alimentari viene utilizzata la 4° edizionedel Diagnostic and Statistical Manual ofMental Disorders (DSM-IV) . Questomanuale della Società Americana diPsichiatria nel 1994 ha sostituito la 3° edi-zione riveduta del 1987 (DSM-III-R), che, asua volta, si era sostituita alla 3° edizione(DSM-III) del 1980. Nella tabella 1 sonoriportati testualmente i criteri attuali per ladiagnosi dell'anoressia nervosa. Questi

comprendono insufficienza di peso (oltre il15% inferiore alla norma), paura diaumentare di peso, alterazione della per-cezione del corpo, dismenorrea e amenor-rea (assenza o scomparsa del flussomestruale mensile).In Germania i disturbi alimentari, normal-mente, vengono diagnosticati servendosidella 10° edizione dell ' InternationalClassification of Mental Disorders (ICD-10) (Dilling et al. 1993). I criteri per identi-ficare l'anoressia nervosa sono:1. un peso corporeo del 15% inferiore alla

norma od un indice di massa corporea(Body Mass Index, BMI) inferiore a 17,5kg/m2.

2. Perdita di peso auto-indotta evitando diassumere alimenti ad elevato contenutocalorico ed auto-provocando conati divomito, facendo abuso di lassativi, didiuretici, di farmaci che riducono l'appe-tito e/o praticando iperattivitià fisica.

3. Disturbi dello schema corporeo e con-vinzione ossessiva d’essere grasso/a.

4. Disturbi di natura endocrina dell’asseipotalamo-ipofisario-gonadico,

5. Nel caso in cui la malattia inizi primadella pubertà: alterazioni dello sviluppopuberale, incluso l’accrescimento soma-tico, spesso reversibili con la ripresa diun’alimentazione regolare.

Tabella 1 – Criteri di diagnosi dell’anoressia nervosa definiti nel Diagnostic and Statistical

Manual of Mental Disorders (Manuale diagnostico e statistico dei disordini mentali, DSM-

IV,307.1, Sass et al 1996)

• Rifiuto di mantenere il minimo del pesocorporeo normale per una data età eduna data statura (ad esempio, perdita dipeso che porta ad un peso corporeocostantemente inferiore all’85% del pesocorporeo minimo normale, oppure assen-za dell’aumento di peso previsto duranteil periodo della crescita, che comportache il peso corporeo sia inferiore all’85%di quello minimo normale per l’età data.

• Eccessivo timore di aumentare di peso equindi di ingrassare, malgrado si siasottopeso.

• Disturbi nella percezione del proprioaspetto e del proprio peso corporeo,eccessiva incidenza dell’aspetto o delpeso corporeo sull’autostima, oppurenegazione del grado di gravità dell’at-tuale stato di sottopeso.

• Nelle donne, dopo il menarca, presenzadi un’amenorrea, cioè assenza di alme-no tre cicli mestruali consecutivi. (Siconsidera amenorrea anche il caso incui le mestruazioni si presentano solo aseguito di trattamento ormonale come,ad esempio, con gli estrogeni).

Sottotipi:

• Tipi restrittivi: non presentano regolarmente attacchi di voracità (binge eating*) e nonfanno ricorso a metodi per eliminare cibi solidi e fluidi ingeriti (purging) come, adesempio, vomito auto-indotto o abuso di lassativi e diuretici.

• Tipi binge eating/purging: presentano attacchi regolari di voracità e ricorrono ametodi per eliminare cibi solidi e fluidi ingeriti.

* Per definire gli attacchi di voracità (binge eating) si ricorre a quattro criteri: la sensazione di per-dita di controllo durante gli attacchi, la quantità (si tratta una quantità notevolmente maggioredi quella che la maggior parte delle persone assumerebbe nello stesso periodo e nelle stesse con-dizioni), la durata (si tratta di un periodo di due ore), la frequenza (almeno due volte alla settima-na per tre mesi consecutivi).

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Ambedue i sistemi di classificazione distin-guono, all’interno del concetto di anores-sia, un sottotipo di anoressia restrittiva edun sottotipo bulimico (binge-purge) .Nell’anoressia bulimica si ricorre a metodiattivi di riduzione del peso come vomitoauto-indotto, uso di purganti, a volte col-legati ad attacchi di avidità di cibo.Nell’anoressia restrittiva questi metodi didimagrimento sono assenti. Per quantoriguarda l’anoressia atletica - descritta per

la prima volta come digiuno degli atleti daSmidt (1980) - non ci sono criteri ufficiali.In linea di principio si tratta di una reazio-ne anoressica in atleti/e (Steinacker et al.1996) inserita all’interno di un continuumche va da comportamenti alimentari nor-mali (non alterati) all’anoressia (restrittivao bulimica). La tabella 2 mostra undicipossibili criteri, assoluti e relativi, per iden-tificare l’anoressia atletica. Questi criteri,originariamente elaborati da Pugliese

I criteri IDC-10 per quanto riguarda labulimia nervosa sono:1. continua attenzione per il cibo ed attac-

chi di avidità di cibo, durante i qualivengono consumate grandi quantità dialimenti in periodi di tempo molto brevi;

2. tentativo di opporsi all’effetto d’ingras-samento provocato dal mangiare attra-verso varie modalità di comportamento;

3. timore patologico di ingrassare;4. frequenti episodi passati di anoressia.

Criteri assoluti:• Una perdita di peso che porta ad un peso corporeo del 5% inferiore

al peso minimo normale per una data età e statura.• La mancanza di malattie organiche o di altri disturbi, che possano

spiegare la perdita di peso.• Timore eccessivo di ingrassare.• Rifiuto di alimentarsi (restrizione dell’apporto energetico a meno di

1200 kcal al giorno).• Disturbi gastroenterici

Criteri relativi:• Alterazione dello schema corporeo.• Comportamento diretto ad eliminare cibi solidi.

e fluidi ingeriti (vomito auto-indotto, lassativi, diuretici, ecc.).• Attacchi di voracità. • Disturbi mestruali (oligorrea/amenorrea).• Pubertà ritardata.• Forzata iperattività fisica.

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Tabella 2 – Criteri di diagnosi dell’anoressia atletica (secondo Sundgot-Borgen 1993a)

Strumento Utilizzazione Categorie Caratteristiche Revisione

Eating disorder Determinazione Tendenza alla magrezza DT, B e BD si riferiscono Versione rivista (EDI-2)Inventory (EDI) del rischio (Drive for thinnes, DT), bulimia alla percezione del corpo del 1991 con lo stessoQuestionario di anoressia (Bulimia, B), insoddisfazione ed al comportamento alimentare; numero di domande,madel 1983 con 64 e bulimia per il proprio corpo (Body le domande sono formulate in 11 categorie; le tredomande in 8 Dissatisfaction, BD) sfiducia in base ai criteri del DSM per categorie aggiuntecategorie interpersonale (Interpersonale la diagnostica della bulimia riguardano l’anoressia(Garner et al.) distrust, ID), perfezionismo nervosa; DT fornisce informazioni nervosa e sono:

(Perfectionism, P); percezione sul timore di ingrassare, B il comportamento asceticodi fame e sazietà (Interoceptive sugli attacchi di voracità e BD (Ascetism, A); la regolazioneAwareness, AW), timore di sul grado di insoddisfazione degli impulsi (Impulsdiventare adulto (Maturity per il proprio aspetto ed Regulation), l’insicurezzaFear, MF), sensazione di il proprio peso; ID, P, AW, MF sociale (Social Insecurity, SI).incapacità (Ineffectiveness, I) rilevano i fattori psichici

implicati nello sviluppo enel mantenimentodell’anoressia nervosa.

Eating Attitude Determinazione Comportamento dietetico Le domande comprendono Versione rielaborata Test (EAT) del rischio (Dieting), bulimia (Bulimia), le sette sintomatologie: del 1982 con 26 domandeQuestionario di anoressia controllo orale (Oral control) occuparsi continuamente sull’assunzione di caloriedel 1979 con 40 negli atleti degli alimenti; volere inferiore al fabbisognodomande in tre essere snelli a tutti i costi; (ad esempio: “assumocategorie dieta ipocalorica; prodotti dietici”), bulimia,(Garner/Garfinkel) alimentarsi lentamente; preoccupazione per

alimentarsi di nascosto; gli alimenti (ad esempio,pressione sociale verso “dopo avere mangiato,l’aumento di peso come sento l’impulso di vomitare”)anche vomito ed abuso e controllo orale (ad esempio di diuretici e lassativi. “evito di mangiare

quando ho fame”).

Eating Disorder Determinazione Assunzione limitata di cibi Si può tenere conto Versione rielaborata del 1993Examination; dei rischi (Restraint) sovralimentazione del linguaggio corporeo (EDE-2) con 4 categorie(EDE) intervista di anoressia (Overeating) preoccupazione della persona intervistata (senza Overeating) consemi-strutturata e bulimia per il cibo (Eating concern) 5-8 domande per ciascuna.del 1987 con 62 preoccupazione per il propriodomande in 5 aspetto (Shape concern)categorie preoccupazione per il proprio(Cooper, Fairburn) peso (Weight concern)

Tabella 3 – Strumenti di screening che permettono di rilevare il rischio di disturbi alimentari

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4. Diffusione dei disturbi alimentari e sport a rischio

La frequenza con la quale si presenta l’a-noressia nervosa nelle adolescenti e nellegiovani donne dell’Europa occidentaleviene stimata dallo 0,25 allo 0,5 (tabella 4).Il rapporto tra uomini e donne va da 1 su2 a 1 su 10 (Barry, Lippmann 1990), conuna tendenza all’aumento. Di regola, lepersone affette da questo disturbo cerca-no di conformarsi all’ideale corrente dimagrezza. La diffusione della bulimia ner-vosa viene stimata dall’1,5 al 2,5% (tabella4). Anche in questo caso le donne sono piùcolpite degli uomini. Generalmente man-cano loro strategie adeguate di soluzionedei problemi della vita quotidiana. Infor-mazioni più dettagliate su questa proble-matica si possono trovare in Schek (2001).Nello sport di alto livello sembra che idisturbi del comportamento alimentare sipresentino con maggiore frequenza chenella popolazione normale. Anche qui, lepiù colpite sono le adolescenti e le giovanidonne, ma l’obiettivo non è l’ideale dimagrezza, quanto invece la prestazionesportiva. Dati attendibili sulla maggior fre-quenza di occorrenza di questo disturbonelle atlete di alto livello emergono finoradall’unico studio controllato noto in lette-ratura, effettuato su un vasto campione di522 atlete norvegesi di alto livello, appar-tenenti a trentacinque sport diversi e su448 non-atlete, mediante la somministra-zione di due questionari e lo svolgimentodi un’intervista personale e di una indagi-ne clinica (Sundgot-Borgen 1993). Oltre

trollo costituito da pazienti che presenta-no disturbi alimentari, vengono considerati“a rischio”. Lo Eating Attitude Test (EAT)rileva il rischio di anoressia restrittiva obulimica, mentre lo Eating Disorder Inven-tory (EDI) rileva quello di comportamentoanoressico o bulimico. Comunque non èpossibile riuscire a fare una distinzionenetta tra bulimia ed anoressia bulimica,per cui con le domande sul comportamen-to anoressico vengono rilevati solo i sog-getti che presentano anoressia restrittiva(Walberg, Johnston 1991). Un altro svan-taggio del metodo dei questionari è chenon riesce a rilevare tutti coloro che sonocolpiti da disturbi alimentari, poiché coloroche presentano disturbi alimentari manife-sti, sono proprio quelli che più frequente-mente forniscono risposte false o evitanodi partecipare (O’Connor et al. 1995). Inquesto modo si finisce per sottostimare ilnumero delle persone a rischio. Di contro,utilizzando il concetto di soggetti “arischio” si sopravvaluta l’esistenza didisturbi alimentari manifesti, in quantonon tutte le persone a rischio rispondonoai criteri diagnostici dei disturbi alimentari(Sundgot-Borgen, Larsen 1993a). Perciòper validare i risultati dell’Eating DisorderInventory o dell’Eating Attitude Test vieneraccomandata la combinazione con unaintervista sulla base dei criteri del DSM odell’IDC (Dale, Landers 1999) o con unaintervista semi-strutturata come la EatingDisorder Examination (EDE, tabella 3)(Cooper, Fairburn 1987). Finora le intervi-ste sono state utilizzate solo in pochi studidi carattere clinico (tabella 6).

Patologia Paese Frequenza (%) Fonte

Popolazione generale

Anoressia nervosa Germania dallo 0,25 allo 0,5 Neumärker,Bartsch 1998;

Austria 0,3 Kinzl et al. 1998Usa dallo 0,2 all’1,1 Leon 1991

Bulimia nervosa Germania 2,4 Pudel 1992Austria 1,5 Kinzl et al. 1998Usa dallo 0,4 a 3,3 Leon 1991

Atlete di alto livello

Anoressia nervosa Norvegia 1,3 Sundgot-Borgen1993a

Bulimia nervosa Norvegia 8,3 Sundgot-Borgen 1993a

Anoressia atletica Norvegia 8,2 Sundgot-Borgen 1993a

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(1983) per i bambini in età scolare, sonostati ripresi da Sundgot-Borgen (1993) esottoposti a nuova ponderazione per adat-tarli agli atleti. Tali criteri devono assoluta-mente comprendere: un peso inferiore allanorma (più del 5% al di sotto della norma),l’assenza di patologie organiche che giu-stifichino il calo di peso, un eccessivotimore di ingrassare, restrizioni alimentarie disturbi del tratto gastro-intestinale.Secondo McArdle et al. (1999) come crite-rio assoluto sarebbe sufficiente anche l’u-tilizzazione di uno solo dei metodi insanidi controllo del peso, quale il digiuno, ilvomito, l’uso di purganti, ecc. Neumärker,Bartsch (1998) non accettano “questo tipodi tentativi di classificazione” in quanto “èevidente la confusione che ne risulta”.Neumärker, Bartsch (1998) invitano a nonconsiderare l’indice di massa corporea(Body Mass Index, BMI) a prescindere dallacostituzione fisica, raccomandando una“oggettivazione somatometrica della tipo-logia costituzionale attraverso l’indicemetrico”. L’articolo di G. Fröhner, T. Bart-sch pubblicato nel n. 53 di questa rivista,tratta ampiamente l’influenza della tipolo-gia costituzionale sul rischio di anoressia.In breve, gli atleti che presentano unacostituzione metromorfa ed un BMI infe-riore a 18 sono maggiormente a rischio dianoressia degli atleti che, a parità di BMI,hanno una costituzione leptomorfa. Storlie(1991) propone di tenere conto della per-centuale di grasso corporeo. Per quantoconcerne gli uomini, la percentuale digrasso corporeo non dovrebbe scendere aldi sotto del 5-10% nei ginnasti, corridori,nuotatori, lottatori, tennisti, calciatori egiocatori di pallacanestro e dell’11-15%negli atleti dell’atletica leggera, nei pesisti,nei giocatori di baseball e di football ame-ricano. Per quanto concerne le donne,Storlie consiglia una percentuale di grassocorporeo del 12-15%, se praticano ginna-stica, balletto classico o corsa e del 15-20% se praticano altri sport.

3. Metodi di ricerca

Lo strumento di screening, abitualmenteusato per individuare atleti a rischio dicomportamento alimentare disturbato, èrappresentato da questionari standardiz-zati (tabella 3). Tali questionari sono com-posti da 64 domande a risposta chiusasulla frequenza di determinate azioni ereazioni; per ciascuna domanda le personedevono fare una croce su una delle seirisposte possibili, che vanno da “sempre” a“mai”. Successivamente, le risposte vengo-no valutate assegnando un punteggio aciascuna di esse. Le persone che superanoun punteggio prestabilito, o che ottengonoun punteggio simile ad un gruppo di con-

Tabella 4 – Frequenza con la quale si presentano l’anoressia e la bulimia nelle adolescenti e nelle

giovani donne

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Metodo di ricerca Campione Risultati

Questionario 522 atlete e 448 non • il 31% delle atlete ed il 27% delle non praticanti (Sundgot-Borgen, atlete (sono inclusi 35 seguivano una dieta, perché il 73% delle atlete volevaLarsen 1993a) sport o 6 tipologie di sport*) migliorare i suoi risultati e l’83% delle non praticanti

voleva migliorare il suo aspetto.• il BMI delle atlete (20,8 kg/m2) era minore di quello

delle non praticanti (21,5 kg/m2);• un numero di atlete (11%) maggiore delle non praticanti

(7%) ricorreva a metodi non salutari di controllo del peso.Tra essi il più citato era il digiuno;

• il 12% delle atlete e l’11% delle non praticanti pensavanodi soffrire di disturbi alimentari.

Eating Disorder 522 atlete e 448 non-atlete • il 22% delle atlete ed il 26% delle non-atlete eranoInventory (sono incluse 6 tipologie di sport a rischio di disturbi alimentari;(Sundgot, Borgen, • negli sport “estetici” (34%) ed in quelli con categorieLarsen 1993a) di peso (27%) il rischio era più elevato che negli sport

di resistenza (20%), negli sport tecnici (13%),negli sport con la palla (11%) e negli sport di forza (6%);

• le atlete più magre si trovavano nel gruppo degli sportestetici (BMI 18,8 kg/m2) e di resistenza (22%).

Questionario 348 atlete (67%) e 303 non-atlete • il 54% delle atlete a rischio di disturbi alimentari, il 41%(Sundgot-Borgen (68%) che non facevano uso di quelle non a rischio ed il 36% delle non-atlete a rischio1993b) di contraccettivi orali ed il 23% di quelle non a rischio presentavano disfunzioni

mestruali (oligomenorrea/amenorrea);• le atlete degli sport di resistenza (62%), di quelli estetici

(60%) e di quelli con categorie di peso (50%) risultavanopresentare disturbi alimentari più frequentemente delleatlete praticanti sport tecnici (37%), con la palla (28%)o di forza (22%).

Intervista, ricerca 103 atlete (20%) e 30 non-atlete • il 18% delle atlete ed il 5% delle non-atlete presentavano(Sundgot-Borgen (7%) a rischio di disturbi disturbi alimentari; 1993a) alimentari secondo l’EDI • le atlete praticanti sport nei quali viene posto l’accento

sulla snellezza e su un determinato peso, erano più colpite(25%) di quelle praticanti altri sport (12%); 7 atlete (1,3%)rispondevano ai criteri dell’anoressia nervosa, 42 (8%) aquelli della bulimia nervosa e 43 (8,2%) a quelli dell’anoressiaatletica; 11 (2,1%) non potevano essere classificate;40 atlete affette da bulimia nervosa e 15 affette da anoressiaatletica riferivano di attacchi di voracità e di far usodi mezzi per eliminare cibi e fluidi ingeriti.

Protocollo 7 atlete affette da anoressia • le atlete degli sport di resistenza, degli sport estetici e di tiposull’alimentazione 3-d nervosa, 22 atlete affette da tecnico mostravano la minore assunzione giornaliera(Sundgot-Borgen bulimia nervosa, 21 atlete di calorie rispetto al peso corporeo e alle ore allenamento1993b) affette da anoressia atletica settimanali (cfr. tabella 7);

30 non atlete a rischio • le atlete affette da anoressia nervosa e anoressia atleticaassumevano meno calorie e meno carboidrati della quantità minima consigliata a donne fisicamente attive e quantitàinsufficienti di proteine, calcio, vitamine e ferro.

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Tabella 5 – Risultati di uno studio su atlete e non-atlete norvegesi realizzato nel 1993

* Sport di tipo tecnico: sci alpino, bowling, golf, equitazione, tiro, vela, paracadutismo, atletica leggera, salto in alto e in lungo; sport di resistenza:biathlon, sci di fondo, ciclismo, corsa su slitta, orienteering, marcia, canottaggio, pattinaggio, nuoto, atletica leggera: fondo e mezzofondo; sport ditipo estetico: tuffi, pattinaggio artistico, ginnastica artistica, ginnastica ritmica sportiva, danza; sport con categorie di peso: judo, karate, lotta;sport di forza: pesistica, atletica leggera: corsa veloce, lancio del peso, del disco, del giavellotto.

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Sport Campione Strumento Risultati

Pattinaggio 23 donne, 17 uomini EAT40, Il 48% delle donne era a rischio di anoressia; su ghiaccio Protocollo correlazione negativa tra rischio ed assunzionedi velocità alimentare 3 d di calorie (1170 kcal/d), ferro e vitamina B1.(Rucinski 1989)

Ginnastica 25 ginnaste, EDI-2 Il 61% delle ginnaste ed il 24% delle non-atleteartistica 21 non-atlete del gruppo di controllo non avevano mestruazioni(O’Connor 1995) da oltre tre mesi; nelle ginnaste esisteva una

correlazione negativa tra l’idea fissa di essere snellee l’apporto di calorie (1400 kcal/d) o la densità ossea.

Ginnastica ritmica 12 ginnaste EDI, intervista, 2 atlete con anoressia nervosa (DSM-III-R), anoressia(Sundgot-Borgen 1996) 11 non-atlete visita clinica subclinica, attacchi di voracità, abuso di lassativi

e diuretici, periodi di digiuno, 4 atlete con ritardonel menarca (15 anni), delle quali 2 con cicloirregolare, 2 amenorreiche; 1 frattura da stress.

Danza 21 danzatrici EAT40, 33% (vs 14%) a rischio di anoressia; 29% (vs 10%) (Evers 1987) 29 non atlete Protocollo consumavano meno di due terzi alimentare 3

alimentare 3 d della quantità raccomandata di calorie.

Balletto 10 ballerine EAT26, intervista Il rischio di anoressia nelle ballerine con frattura(Frusztajer 1990) con o senza secondo i criteri da stress era più elevato (50%) che negli altri gruppi

fratture da stress, del DMS III (ciascuno il 30%), mentre l’80% delle ballerine10 non-atlete con frattura (vs il 40% od il 20% negli altri gruppi)

si trovava più del 25% al di sotto del peso ideale.

Aerobica 30 istruttrici EDI-2 Rischio di disturbi alimentari in circa il 40%(Olson et al. 1996) del campione; il 17% riferisce di avere sofferto

recentemente di anoressia nervosa ed il 23% di bulimia nervosa.

Sci di fondo 91 atlete Visita clinica 2 casi di anoressia bulimica (BMI < 17 kg/m2), e biathlon 14 casi di peso inferiore al normale (BMI < 19 kg/m2),

33% di casi di oligomenorrea, 25% di casidi amenorrea; in due anni diminuzione della densitàossea del 4-6% in due atlete amenorreiche.

Atletica leggera 13 praticanti corsa, Questionario Mezzofondiste e fondiste: rischio più elevato (discipline di corsa) 14 praticanti danza, compilato di anoressia rispetto agli altri gruppi; 2 di queste (Frederick et al. 1992) 14 non-atlete, autonomamente 13 atlete erano amenorreiche.

18 donne in età post-menopausa.

Corse di fondo 7 atlete EDI ed altri Le atlete amenorreiche presentavano un peso(Klock, Desouza) con amenorrea, questionari corporeo inferiore ed un’età più elevata di comparsa

9 senza, del menarca rispetto alle donne eumenorroiche;6 non-atlete 3 delle 7 atlete erano a rischio di anoressia o depressione.

Tabella 6 – Studi sul comportamento alimentare disturbato

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Nuoto(Rosenvinge A) 87 atlete, 71 atleti A) EAT40 e altri A) 3,5% delle donne e 2,8% degli uomini eranoet. al. 1993) di diverso livello questionari a rischio di incorrere in disturbi alimentari; nessun

di prestazione rapporto tra rischio e livello di prestazione.B) 12 atlete, B) nuoto: 1 donna con bulimia nervosa (DSM-IV)19 atleti, gruppo 3 casi di eccesso di alimentazione, 3 casi di vomito, di controllo: 14 casi di superallenamento.13 donne, 20 uomini

Canottaggio Pesi leggeri: EAT26 ed altri Donne: 25,4% digiuno; 20,0% attacchi di voracità;(Sykora et al. 1993) 17 donne, 63 questionari 13,2% vomito;

uomini; Uomini: 57,0% digiuno; 12,3% attacchi di voracità;altri: 56 donne, 2,5% vomito;26 uomini Quasi nessuna differenza tra i pesi leggeri e gli altri;

le oscillazioni più elevate di peso si riscontrano trai canottieri della Categoria leggeri:

Culturismo 12 atlete EDI ed altri Il 42% delle partecipanti a gare (vs 14% delle non (Walberg, partecipanti questionari partecipanti a gare e 5% delle non praticanti) Johnston 1991) a gare, 91 non riferivano di trascorsi di anoressia, il 67% (vs 55% e

partecipanti a 38%) di paura di ingrassare; 86% (23% e 13%) erano gare, 92 non oligo- o amenorroiche; la percentuale di grasso praticanti corporeo era del 17,7% (20,5% non misurato)

Culturismo 28 partecipanti Questionari, Per quanto riguarda la preoccupazione per il cibo,(Mangweth 2001) a gare, 30 con intervista secondo la percezione del corpo ed l’attività fisica i culturisti sono

e 30 senza i criteri del DSM-IV confrontabili con coloro che soffrono di disturbi alimentaridisturbi alimentari (secondo il DSM-IV); generalmente, prima delle gare

seguono una dieta, dopo le gare si alimentano in eccesso.

Lotta 85 lottatori, EDI, EDE, Ai criteri di un comportamento alimentare disturbato(Dale, Landers, 1999) gruppo intervista rispondeva il 36% dei lottatori, il 19% di essi anche anche

di controllo: fuori stagione, rispetto al 29% dei soggetti del gruppo75 non-atleti di controllo; il 2,4% dei lottatori appariva a rischio

di bulimia; nessuno dei soggetti dell’intero campionerispondeva ai criteri del DSM-IV per la bulimia nervosa.

Ippica 93 fantini Questionario Durante la stagione l’80% diminuiva, a breve termine,compilato di oltre 2 kg; per farlo l’80% utilizzava l’attività fisica,autonomamente il 77% una dieta, il 70% le saune, il 70% i diuretici, ed altro il 48% farmaci contro l’appetito, il 27% i lassativi.

11 sport* 562 studenti, Questionario a 133 Donne: 2,8% anoressia subclinica, 9,2% bulimia subclinica,(Johnson et al. 1999) 883 studentesse punti (3 categorie 1,1% bulimia clinica (DSM-IV), 10,8 attacchi sistematici

dell’ED 1-2) di voracità, 5,5% eliminazione sistematica del cibo.Uomini: 13,0% attacchi sistematici di voracità,2,0% eliminazione sistematica di cibo.

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Tabella 6 – Segue

* Football americano (384 uomini), pallacanestro, atletica leggera, nuoto (135 donne), ginnastica artistica, lotta, corsa campestre, canottaggio, tennis,sci nordico, pallavolo.

Sigle:EAT40: Eating attitude test (Garner, Garfinkel 1979) con 40 domande; EAT26: Eating attitude test (Garner et al. 1982) con 26 domande; EDI: Eating disorder inventory (Garner et al. 1983) con 64 domande; EDI-2: versione rivista dell’Eating disorder inventary (Garner 1991) con 64 domande; EDE: Eating disorder examination (Cooper, Fairburn 1987) con 62 domande.

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che dei criteri del DMS-III-R per diagnosti-care l’anoressia e la bulimia nervosa, si ètenuto conto anche di criteri per diagno-sticare l’anoressia atletica (tabella 2). Peròi risultati vanno interpretati con una certacautela per una serie di ragioni: 1. la defi-nizione di anoressia atletica non ha unavalidità assoluta; 2. le atlete sono stateintervistate solo durante, ma non al difuori, della stagione di gara e 3. a quantopare sono state categorizzate come ano-ressiche solo le atlete affette da anoressiarestrittiva. Nella tabella 5 viene fornito unquadro dettagliato dei risultati, mentre quidi seguito sono riportati solo i risultati piùimportanti: mentre l’11% delle non-atleteed il 12% delle atlete nel questionarioautonomamente compilato avevano indi-cato che soffrivano di disturbi alimentari,dall’intervista risultava che solo il 5% dellenon-atlete, rispetto al 18% delle atlete, difatto soffriva di disturbi alimentari: delleatlete, l’1,3% rispondeva ai criteri dell’ano-ressia nervosa, l’8% a quelli della bulimianervosa ed l’8,2% a quelli dell’anoressiaatletica. Secondo l’EDI il 22% delle atlete erano arischio di sviluppare disturbi alimentari, edil rischio più elevato si presentava neglisport “estetici” (34%), seguiti dagli sport incui ci sono classi di peso (27%) e daglisport di resistenza (20%). Negli stessi tipidi sport oltre il 50% delle donne soffriva didisfunzioni mestruali. Perciò l’Autrice arri-va alla conclusione che le donne che prati-cano sport a livello agonistico nei qualiviene richiesta magrezza o un determinatopeso corporeo, rischiano di svilupparedisturbi alimentari e dismenorrea più delledonne che praticano altri sport o non pra-ticano sport. Clasing et al. (1997) sonodella stessa opinione, motivandola con ilfatto che la prestazione in questi tipi disport dipende, tra gli altri fattori, dal pesocorporeo, che quindi deve essere mante-nuto sotto controllo.Negli sport “estetici”, come la ginnastica ela danza, uno scarso peso corporeo favori-sce l’esecuzione dei movimenti. Inoltre esi-ste la convinzione che con un corpo snellosi possa ottenere un punteggio maggioreda parte della giuria. Negli sport di resi-stenza, come la corsa, uno scarso pesocorporeo - o più precisamente una minorepercentuale di grasso corporeo - a paritàdi V

.O2max assoluto significa un V

.O2max

relativo più elevato e, quindi, un migliora-mento della capacità di resistenza. Invecenegli sport in cui ci sono classi di peso,come la lotta, diminuendo il peso si puòottenere un vantaggio, se l’avversario nellaclasse di peso immediatamente inferiore èrelativamente più debole.Anche gli studi condotti negli anni ‘90 conun valido disegno sperimentale in alcune

discipline sportive - riassunti nella tabella6 - permettono di concludere che le atletedi alto livello degli sport “estetici”, deglisport di resistenza e di quelli con categoriedi peso incorrono più frequentemente indisturbi alimentari e mestruali. Inoltre, ledonne corrono maggiormente il rischio diessere sottopeso per lunghi periodi ditempo. Gli atleti che durante la stagioneagonistica vogliono ridurre il proprio peso,come gli atleti degli sport di combattimen-to, i canottieri della Categoria pesi leggeri,i fantini od i saltatori con gli sci, terminatala stagione generalmente aumentano dinuovo di peso. Solo saltuariamente vengo-no utilizzati metodi non salutari per ridur-re il peso. Il comportamento alimentare deiculturisti e ciò che essi fanno per la loroimmagine esteriore, in molti casi, sonosimili a quelli delle persone che soffrono didisturbi alimentari. Però, a differenza diqueste ultime, i culturisti attribuisconomaggiore importanza all’aumento dellamassa muscolare anziché che alla diminu-zione del grasso corporeo. Per descriverequesto fenomeno è stato coniato il con-cetto di reverse anorexia (Pope et al 1993).Invece, alcuni studi che risalgono agli anni‘80 – delle meta-analisi in proposito si tro-vano in McArdle (1999) ed in Wilmore(1991) – forniscono risultati in parte con-trastanti. Nella maggior parte dei casi ciò èdovuto alla scarsa numerosità del campio-ne ed alla mancanza di gruppi di controllo.

5. Conseguenze negative per la salute

I risultati di molti studi permettono di sup-porre che gli atleti di alto livello, spesso,con l’alimentazione assumono la stessaquantità, od addirittura una quantitàminore di energia delle persone di riferi-mento della stessa età, sebbene si muova-no di più e quindi utilizzino una maggiorequantità di energia (tabella 7). In passato,nel caso di atleti il cui (minore) peso cor-poreo non diminuiva malgrado un eviden-te bilancio energetico negativo, si suppo-neva che il loro organismo utilizzasse l’e-nergia assunta con gli alimenti in modopiù efficace (Brownell et al. 1987) o oppu-re che economizzassero l’energia dellaquale disponevano (Mulligan, Butterfield1990). Però, non è stato possibile confermarequesta ipotesi della “conservazione dell’e-nergia”, attraverso ricerche sull’utilizzazio-ne dell’energia durante l’attività sportiva,il metabolismo basale e l’effetto termico diun pasto (Wilmore et al. 1992). Gli Autoriattribuiscono la discrepanza tra l’apportodi energia calcolata in base ad un proto-collo (questionario sull’alimentazione) ali-mentare e l’apporto atteso di energia,

essenzialmente al fatto che gli atleti nelriempire questo protocollo riferisconomeno di ciò che in realtà assumono. Maanche se si tiene conto di ciò una partenon irrilevante degli atleti, che mantengo-no costante un peso basso o diminuisconodi peso, assumono meno energia delquanto sarebbe necessario per garantireun apporto sufficiente di tutti i nutrienti. Alungo termine questo rifornimento dienergia inferiore al necessario porta aduna sottoalimentazione o ad una alimen-tazione carente. Negli atleti di alto livello èconsiderato problematico sopratuttto l’ap-porto di ferro (Van Erp-Baart 1989), di cal-cio e di vitamina D (Sundgot-Borgen1993b). Nelle praticanti ginnastica artisticae nelle ballerine, la quantità di questimicronutrienti che viene assunta non rag-giunge il 67% (Loosli et al. 1986) od il 75%(Cohen et al. 1985) dei livelli di assunzioneraccomandati. Ciò è provocato dallo scarsoconsumo di carne, di latte e latticini, che sipuò osservare spesso nelle atlete sottope-so (alimentazione vegetariana). A lungoandare, una carenza di ferro porta all’ane-mia, ed una mancanza di calcio e di vita-mina D all’osteoporosi. Quest’ultima vienerafforzata da una carenza di estrogeni,come avviene nel caso di un’oligomenor-rea e soprattutto dell’amenorrea. Questedisfunzioni mestruali, a loro volta, possonoessere la conseguenza di disturbi alimen-tari o dello stress psichico e fisico a ciòcollegato (Mansfield, Emans 1989). Nelcaso che si presentino contemporanea-mente disturbi alimentari, amenorrea edosteoporosi, si parla di triade atletica,descritta dettagliatamente da Putukian(1994) in un articolo di rassegna.Un’alimentazione carente in generale, unadiminuzione del contenuto osseo di mine-rali e la tendenza a fratture da stress chene risulta, in particolare, hanno per conse-guenza che non si riesce a mantenere l’op-timum di prestazione. Da ciò ne può deri-vare un’interruzione della carriera sportiva.Come dimostrato dalla casistica: “anchedopo un trattamento psicosomatico,forme progredite di anoressia non possonopiù portare allo sport di alto livello” (Jakobet al. 1996). Un allenamento di volume elevato primadel menarca, cioé un allenamento che pre-ceda l’inizio della pubertà, può condurre aritardi nello sviluppo. Comunque ciò inte-ressa soltanto ragazze particolarmentesnelle e nelle quali, per fattori genetici, lapubertà si presenta in ritardo, come quelleche si trovano soprattutto negli sportestetici (Marx 1996).Nel caso dell’anoressia nervosa, il dima-gramento può arrivare ad un punto taleche si incorre nella morte per fame. Anchela bulimia nervosa può condurre alla

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Sport Campione BMI Ass. giornaliera di energia

Valori consigliati Uomini (15-24 anni) 23,0 kg/m2 42-46 kcal/kg PC(DGE et al. 2000) Donne (15-24 anni) 21,5 kg/m2 39-42 kcal/kg PC

Sport di resistenza 24 donne – 1,9 kcal/kg PC/ore(Sundgot-Borgen 1993b) settimanali di allenamento

41,6 kcal/kg PC

Corse di fondo 18 donne 18,8 kg/m2 40,1 kcal/kg PC(Van Erp-Baart et al. 1989)

Corse di fondo 9 donne con(Myerson et al. 1991) ciclo regolare 19,5 kg/m2 37,8 kcal/kg PC

6 amenorroiche 19,4 kg/m2 33,7 kcal/kg PC

Corse di fondo 5 donne con 18,7 kg/m2 32,5 kcal/kg PC(Wilmore et al. 1992) ciclo normale

8 amenorroiche 18,4 kg/m2 34,9 kcal/kg PC

Sport estetici 22 donne 16,2 kg/m2 2,0 kcal/ kg PC/ore settimanali di allenamento36,3 kcal/kg PC

Ginnastica ritmica 12 donne 16,2 kg/m2 1,8 kcal/kg PC/ore(Sundgot-Borgen 1996) settimanali di allenamento

40,5 kcal/kg PC

Ginnastica artistica 11 donne 18,8 kg/m2 37,7 kcal/kg PC(Van Erp-Baart et al. 1989)

Balletto 10 donne con ciclo 19,1 kg/m2 33,2 kcal/kg PC(Frusztajer et al. 1990) normale

10 amenorroiche 18,1 kg/m2 30,1 kcal/kg PC

Sport tecnici 13 donne – 2,2 kcal/kg PC/(Sundgot-Borgen 1993b) ore settimanali di allenamento

29,9 kcal/kg PC

Sport con categorie di peso 11 donne – 2,2 kcal/kg PC/(Sundgot-Borgen 1993b) ore settimanali di allenamento

29,9 kcal/kg PC

Culturismo 4 donne 21,4 kg/m2 26,3 kcal/kg PC(Van Erp-Baart et al. 1989) 8 uomini 28,6 kg/m2 37,5 kcal/kg PC

Judo 4 uomini 25,9 kg/m2 37,5 kcal/kg PC

Sport con la palla 21 donne – 2,8 kcal/kg PC/(Sundgot-Borgen 1993b) ore settimanali di allenamento

42,5 kcal/kg PC

Pallavolo 9 donne 21,8 kg/m2 33,4 kcal/kg PCPallamano 8 donne 22,9 kg/m2 33,9 kcal/kg PCHockey 9 donne 22,5 kg/m2 34,6 kcal/kg PC(Van Erp-Baart et al. 1989)

Tabella 7 – Studi attuali sull’assunzione di calorie in vari sport. PC = peso corporeo

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mia nervosa, che, in particolare, rendenecessario un allontanamento dalla fami-glia d’origine. Senza un aiuto qualificato lepossibilità di guarigione sono molto scar-se (Hänsel 1995). La terapia dei disturbi alimentari richiedeun intervento interdisciplinare, nel quale videve essere una collaborazione tra psico-terapeuta, dietologo e medico. Nel tratta-mento dei problemi psichici che ne sonoalla base si è mostrata efficace la terapiacomportamentale, che va preferita allapsicoanalisi (Hänsel 1995).Per la normalizzazione del peso corporeo edel rapporto con gli alimenti si possonoutilizzare protocolli alimentari per il selfmonitoring soprattutto dell’apporto calori-co combinati con un corso anti-dieta, chemigliorano la parcezione della sensazionedi fame e di sazietà e dovrebbero liberare icomportamenti alimentari dall’influenza difattori (emotivi) esterni (Rief et al. 1991).

6. Prognosi e terapia

Nel caso dell’anoressia atletica la remissio-ne è sicuramente possibile, anche senzaricorrere ad un medico (Jakob et al. 1996).La prognosi di recupero di un peso corpo-reo normale è molto buona, in quanto, adifferenza dall’anoressia nervosa la perditadi peso corporeo non è riconducibile aprofondi problemi cronici (Smith 1980). Ilquadro è diverso nei disturbi alimentari. Sipuò calcolare che la guarigione dall’ano-ressia nervosa sia possibile al massimo persolo il 35% delle persone che ne sonoaffette. Un miglioramento dei sintomi sipresenta nel 30-40% dei casi. La sua cro-nicizzazione viene calcolata al 20-40%, ela mortalità al 15%. Una prognosi negativaè rappresentata, tra l’altro, da un iniziodella malattia dopo i 18 anni d’età , un suodecorso prolungato e la mancanza di unsuo trattamento. Lo stesso vale per la buli-

morte. Le cause possono essere dovute aduna profonda alterazione del bilancio deglielettroliti (ad esempio, una diminuzionedel contenuto del potassio nel sangue),come quella che viene provocata dallaripetizione quotidiana di vomito provoca-to, associata all’abuso di purganti e diure-tici. A causa del vomito di succo gastricoacido le persone bulimiche soffrono spessodi infiammazioni dell’esofago, di lesionidentarie e di gonfiore delle ghiandole sali-vari. Le persone anoressiche mostranospesso una temperatura corporea bassa,un abbassamento della pressione arteriosa,accumulo di acqua nei tessuti, alterazioninella crescita dei capelli e delle unghie evariazioni nell’emogramma (Hänsel 1995).Informazioni più particolareggiate sulleconseguenze dannose per la salute di que-sti disturbi alimentari possono esserereperite in McArdle et al. (1999) e Johnson(1994).

Comportamento anoressico (anoressia, Comportamento bulimico (bulimia nervosa, anoressia restrittiva, anoressia atletica) anoressia nervosa bulimica, anoressia atletica)

• Diminuzione del peso fino a quello inferiore al peso ideale • Ampie e ripetute oscillazioni del peso in periodidi gara, che rimane costante anche fuori della stagione di gara. brevi di tempo.

• Continui commenti sul proprio essere grassi, anche se il peso • Autocritiche crescenti per il proprio aspettoè al di sotto della norma. ed il proprio peso

• Insoddisfazione per il proprio aspetto (cosce, glutei, anche) • Occuparsi eccessivamente del peso, del volumee per proprio peso corporeo, dei quali si parla continuamente. e della composizione del corpo.

• Azioni rituali e continua preoccupazione per gli alimenti, • Non mangiare con gli altri e rubare alimentile diete ed il numero di calorie.

• Tentativi di evitare ogni occasione di mangiare insieme • Nessuna “orgia” di cibo in presenza di altre personeagli altri (ad esempio, i/le compagni/e di squadra)

• Riferire di sensi di colpa dopo avere mangiato. • Paura di non riuscire a smettere di mangiare:• Estremo interesse per le abitudini alimentari altrui• Assentarsi regolarmente poco dopo mangiato,

soprattutto dopo avere mangiato grandi quantità di cibo.

• Rifiuto di mangiare quantità maggiore per aumentare di peso. • Occhi arrossati, soprattutto dopo essere andati nella stanza da bagno, nella doccia, alla pattumiera, ecc.

• Bere continuamente limonate leggere od acqua, • Cattivo odore dopo avere vomitato nella toiletta,masticare gomma. nella stanza da bagno, nella doccia, pattumiera, ecc.

• Allenamento forzato, anche al di là della quantità • Fasi di eccessiva restrizione di assunzione di caloriedi allenamento stabilita. e/o attività sportiva eccessiva.

• Lamentele frequenti di stitichezza. • Uso eccessivo di lassativi e diuretici.

• Senso di vertigine, disturbi dell’equilibrio, cambiamenti • Mangiare quando si è di cattivo umore, ad esempiofrequenti d’umore senza una ragione evidente. per senso di solitudine.

• Ritenzione idrica, che non è spiegabile con l’edema premestruale. • Problemi personali o familiari di alcool o droga.

• Amenorrea; fratture da stress. • Oligomenorrea.

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Tabella 8 – Segnali di disturbi alimentari (modificato da Johnson 1994, Mc Ardle et al. 1999)

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Per la rimineralizzazione delle ossa, anchenelle atlete con anoressia atletica, si consi-glia una terapia sostitutiva con ormonisessuali femminili (estrogeni) calcio e vita-mina D (Platen et al. 1991), anche se leperdite di massa ossea non sono comple-tamente reversibili (Putukian 1994). Inogni caso occorre fare molta attenzioneche l’ambiente che circonda i pazienti litratti con rispetto, tolleranza, correttezza esoprattutto con pazienza e non esprima nècomprensione nè disapprovazione(McArdle et al. 1999).

7. Diagnosi precoce e prevenzione

Se si vuole aiutare rapidamente un/a atletache tende a disturbi del comportamentoalimentare è necessario riconoscerne cor-rettamente i primi segni e prenderli sulserio. Nella tabella 8 sono riassunti isegnali d’allarme di un comportamentoanoressico o bulimico. Se vengono rilevati,l’atleta deve confrontarsi con essi ed esse-re inviato a specialisti qualificati. Poichéatleti anoressici, il cui peso corporeo non èpiù conciliabile con una prestazione spor-tiva ad alto livello, si allontanano dallosport e, tra l’altro, devono essere sottopo-sti ad una terapia a lungo termine sonoassolutamente necessarie delle misurepreventive. Al primo posto c’è la necessitàche l’atleta sia cosciente di quanto èimportante, per la sua salute e la suacapacità di prestazione sportiva, una ali-mentazione che copra il suo fabbisogno dienergia, che sia ricca di carboidrati e varia.Questa spiegazione può essere fornita daigenitori, dall’allenatore dagli insegnanti odal medico. Per controllarne l’applicazioneè opportuno controllare l’apporto di calo-rie e di nutrienti, eventualmente sotto

forma di un diario alimentare giornaliero,la cui valutazione dovrebbe essere affidataa specialisti in alimentazione. Tutti gli inte-ressati dovrebbero evitare assolutamentedi pesarsi regolarmente, soprattutto ingruppo e di commentare il peso corporeoe la figura. Se per migliorare la prestazione è inevita-bile una moderata riduzione di peso, èopportuna la consulenza di uno specialistain alimentazione ed il peso che si deveraggiungere non deve essere troppo basso.É auspicabile che una moderata riduzionedell’energia assunta avvenga sotto formadi incremento del consumo di ortaggi,insalata, frutta con una contemporaneariduzione dell’assunzione di grassi. Va evi-tato di digiunare, di fare diete moltorestrittive e calcoli delle calorie, comevanno vietate tutte quelle misure, comepurghe e lassativi, dirette a “fare il peso”,prima delle gare (Lindman 1994). Nellatabella 9, ancora una volta, sono riassuntiquesti consigli per l’allenatore.

8. Osservazioni conclusive

Lo sport, ad un livello elevato di prestazio-ne, soprattutto in quelle discipline nellequali l’accento viene posto sulla snellezza,può portare alla fissazione verso un bassopeso corporeo e ne possono derivaredisturbi del comportamento alimentare(che comprendono anche mezzi non sanidi controllo del peso). Questa cosidettaanoressia atletica non deve essere confusacon l’anoressia nervosa (restrittiva o buli-mica), una malattia psicosomatica, che èanche essa legata ad un peso inferiore alnormale, ma si presenta solo in personepredisposte verso di essa, che del resto sitrovano anche in ambiente sportivo.Rispetto all’anoressia nervosa, che nonsempre può essere curata anche con untrattamento psicoterapeutico, l’anoressiaatletica è di natura transitoria. Fuori dallastagione di gara, al più tardi alla fine dellasua carriera sportiva, l’atleta ritorna ad uncomportamento alimentare “normale”.Però, non si debbono sottovalutate le con-seguenze sulla salute, soprattutto sulladensità delle ossa, di una sottoalimenta-zione protratta per vari anni. Perciò unapersona interessata da questi problemi èsempre una di troppo! Per riassumere: nonsi deve né fare finta di nulla né crearetabù, ma occorre discutere ed informare!

Traduzione di P. Sodani, M. Gulinell i , daLeistungssport 1, 2002, 22-32; titolo originale:Eß (verhalten)störungen im Leistungssport.

Revisione terminologica e consulenza tecnica diCaterina Pesce.

Indirizzo dell’autrice: A. Schek, Mühlstraße 11,35390 Gießen

• Non sopravvalutare gli effetti positi-vi di uno scarso peso corporeo sullaprestazione sportiva.

• Mettere in risalto il ruolo svolto daun’alimentazione corretta e comple-ta per la capacità di prestazione e lacarriera dell’atleta.

• Porre obiettivi realistici per quantoriguarda il peso da raggiungere, imetodi e la velocità della riduzionedel peso.

• Non parlare mai in termini positivi didiuretici e lassativi.

Tabella 9 – I consigli per l’allenatore formu-

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Saima Timpmann, Vahur Ööpik, Istituto di biologia dell’esercizio fisico, Università di Tartu

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Metodi di riduzione del peso corporeo e loro effetti sul metabolismo e sulla capacità di prestazione negli sport di combattimento

In molti sport il peso corporeo rappresenta un indicatore dello stato di salute e della capacità di prestazione fisicadegli atleti, mentre in altri sport, nei quali le gare vengono disputate in base a categorie di peso, il peso corporeo èdecisivo per l’ammissione ad esse. Vengono ricordati i metodi in uso per la riduzione di peso a breve od a lungo ter-mine in questi sport; gli effetti di tale riduzione sul metabolismo e sulla capacità generale di prestazione; l’alimen-tazione durante il periodo di riduzione del peso ed infine il rapporto che vi è tra la regolazione del peso e la presta-zione negli sport di combattimento.

Foto Digitalvision

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1. Introduzione

Il peso corporeo è un indicatore generico,ma di notevole valore informativo sullostato di salute e la capacità di prestazionefisica e, nel caso degli atleti, anche dellostato di allenamento. Nei Paesi ad elevatosviluppo industriale, il sovrappeso è diven-tato un grave problema sociale, mentre,invece l’atleta in sovrappeso è relativa-mente raro. Infatti, in molti sport ed inmolte discipline sportive, il controllocostante del peso corporeo e la sua rego-lazione consapevole rappresentano unacomponente indispensabile dell’allena-mento. Esistono almeno tre gruppi di sport neiquali il peso corporeo deve essere tenutosotto controllo:

1. gli sport nei quali le gare vengonodisputate per categorie di peso (sport dicombattimento: lotta, judo, karate,pugilato; pesistica). L’obiettivo direttodel controllo del peso è l’ammissione aduna determinata categoria di gara.

2. Gli sport “estetici” (ginnastica artistica,ginnastica ritmica, pattinaggio di figurasu ghiaccio, ecc.). In questi sport, lostretto controllo del peso corporeo èmotivato, oltre che da fattori legati allaprestazione, da considerazioni di tipoestetico.

3. Al terzo gruppo appartengono disciplinesportive in cui la riduzione di peso èfinalizzata all’incremento delle presta-zioni (tutte le competizioni di salto, lediscipline di mezzofondo e fondo dell’a-tletica leggera, lo sci di fondo, il cicli-smo).

Questo articolo si propone un’analisi delleproblematiche legate alle riduzione di pesoperiodica che è molto diffusa tra gli atletidegli sport da combattimento e sui suoieffetti sulla funzionalità dell'organismo esulla capacità di prestazione.

2. Le tecniche per la riduzionedi peso nello sport

A seconda della durata, si distingue trauna riduzione di peso rapida (fino a settegiorni) ed una graduale (oltre sette giorni).La riduzione graduale di peso (normal-mente si parla di “fare” o “rientrare nelpeso”) viene ottenuta principalmente aspese del tessuto adiposo, ossia è il risulta-to di un bilancio energetico negativo.Invece, nel caso di riduzione rapida dipeso, abbiamo una diminuzione della per-centuale del contenuto di acqua nell’orga-nismo. Generalmente, gli atleti che gareg-giano in determinate categorie di peso uti-lizzano i sistemi di riduzione rapida di peso

in un periodo compreso tra 12 e 96 ore,limitando l’assunzione di liquidi o di ali-menti e ricorrendo anche a saune e carichidi allenamento. Più raramente vengonoimpiegati lassativi, diuretici ed emetici. Perquanto riguarda i diuretici occorre ricorda-re che rientrano tra le sostanze dopanti eche la loro utilizzazione è vietata. In casiestremamente rari, prima delle gare, vieneprelevata dagli atleti una determinataquantità di sangue che viene, successiva-mente, rinfusa nell’organismo. Le percentuali di riduzione di peso regi-strate nei lottatori sono comprese tra il 4,5e il 4,9% in 12-24 ore e tra il 3,4 e l'8,0%in 48-96 ore.Nel caso della riduzione graduale di peso,la diminuzione varia tra 0,3 e 3,8 kg allasettimana, un risultato che viene ottenutoprevalentemente riducendo l’energiaassunta con l’alimentazione. Se si analizzano i dati di fonti diverse sievince che nel periodo della dieta per rien-trare nel peso gli atleti riducono la quan-tità giornaliera di energia assunta con ipasti fino a 75-130 kJ per kg di peso cor-poreo. Con 100 kJ · kg-1 · 24h-1 vienegarantita la perdita di circa 1 kg di pesocorporeo alla settimana.

3. L’effetto della riduzione di peso sul metabolismo

La riduzione del peso corporeo viene otte-nuta a spese del contenuto di acqua, gras-so, carboidrati (glicogeno), nonché inci-dendo sulle riserve proteiche dell’organi-smo. Una riduzione di 1 g delle riserve dicarboidrati o di proteine è accompagnatada una perdita di 3-4 g d'acqua. Il caratte-re e la misura dei cambiamenti dipendonodalle modalità usate per la regolazione delpeso. I metodi di perdita rapida di pesodeterminano soprattutto una disidratazio-ne, la cui entità può essere controllataindirettamente attraverso la modificazionerelativa del volume del plasma del sangue.Con una riduzione del peso corporeo com-presa tra il 4,1 e il 6,3% è stata rilevatauna diminuzione del volume plasmaticotra l'1,4 ed il 14,8%.L’esistenza di una notevole correlazionetra riduzione del peso corporeo e riduzionedella percentuale di acqua nel corpo èdimostrata dal fatto che molto spesso lamisura del cambiamento di peso e quelladel volume del plasma ematico vanno dipari passo. Una diminuzione del pesocompresa tra il 3,3% e il 5,8%, ottenuta inun periodo di 3-5 giorni, nei lottatori e neikarateka esaminati era accompagnata dauna diminuzione del volume di plasmasanguigno di circa il 6,3%. Sulla base di una ricerca sulle variazioniindividuali di peso durante le competizioni

che ha riguardato diciotto atleti è statoaccertato che ad una riduzione di peso dicirca il 4,3% corrispondeva una diminuzio-ne media del volume plasmatico solodell’1,8%. Contemporaneamente però unariduzione di peso del 4,8 e del 5,3% produ-ceva una diminuzione del volume plasma-tico del sangue rispettivamente dell’8,0% edell’8,2%. Il peso corporeo può essere ridotto rapida-mente senza produrre cambiamenti nega-tivi del volume plasmatico del sangue. Inuna ricerca, tre gruppi diversi di personeottenevano la stessa riduzione media dipeso corporeo del 4,1% in 24 ore utiliz-zando tre metodi diversi: il primo gruppomediante sauna, il secondo mediante diu-retici ed il terzo, attraverso carico fisico,ma in un periodo di 48 ore. Nei primi duegruppi, la diminuzione del peso eraaccompagnato da una diminuzione delvolume plasmatico, rispettivamente, del14,1% e del 10,3%, mentre nel terzo grup-po il volume del plasma del sangue restavaimmutato.Sebbene le modificazioni del volume pla-smatico provocate da una riduzione delpeso siano legate ad una variazione delbilancio dei fluidi corporei, una diminuzio-ne del plasma del 10% non causa una cor-rispondente modificazione della percen-tuale d’acqua nel corpo. Ciò si spiega colfatto che nel corpo, solo circa il 25% dellariserva extracellulare di acqua appartieneal plasma sanguigno. Quando la disidratazione è provocata dauna sauna, la diminuzione del volume delplasma e del volume dei fluidi intercellulariè sensibilmente maggiore rispetto ad ana-loghe modificazioni riscontrate nei fluidiintracellulari, che rappresentano la per-centuale maggiore, circa il 70%, del conte-nuto totale di acqua nel corpo. La riduzione del volume plasmatico, cherappresenta una manifestazione accesso-ria di una rapida diminuzione di peso,causa svariati disturbi al normale funzio-namento dell’organismo. La quantità diacqua eliminata con la sudorazione è rela-tivamente superiore alla quantità di elet-troliti che vengono persi, una dinamicache causa un aumento della pressioneosmotica del plasma. Una pressione osmo-tica più elevata e un ridotto volume delplasma del sangue hanno un effetto nega-tivo sulla termoregolazione. La temperatu-ra interna del corpo a riposo e sotto caricofisico aumenta, e il rischio di incorrere inun colpo di calore è elevato, specialmentein situazioni di stress. Parallelamente alla diminuzione del volu-me del plasma si manifesta un aumentodella viscosità del sangue, con i relativieffetti negativi sulla gittata sistolica e laportata cardiaca.

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La diminuzione della capacità cardiaca, ingenerale, diminuisce l'efficacia del traspor-to di O2, con le relative alterazioni delmetabolismo nella muscolatura impegnatanel lavoro.L’effetto della riduzione del peso corporeosulle scorte di glicogeno nel muscolo nonè stato ancora sufficientemente studiatocon metodi diretti (analisi bioptica).Houston et al. (1981), Tarnopolsky et al.(1996) hanno dimostrato che una riduzio-ne del peso corporeo compresa tra il 5 el’8% è accompagnata da una notevolediminuzione della concentrazione di glico-geno nei muscoli (tra il 36 e il 54%). Unaconferma indiretta della riduzione delleriserve di carboidrati nell’organismo aseguito di una riduzione del peso corporeoè fornita dal rilievo di dati sull'accumulo dilattato nel sangue. Horswill et al. (1990),McMurray et al. (1991), Burge et al. (1993)e Rankin et al. (1996) hanno evidenziatoche eseguendo lo stesso esercizio si rileva-va un incremento nettamente minore dilattato ematico rispetto a quando taleesercizio veniva eseguito in condizioni dipeso corporeo “normale”. SebbeneCaldwell et al. (1984) abbia osservato lostesso effetto sul lattato nel gruppo da luiesaminato, contrariamente agli Autori pre-cedenti, non ha riscontrato alcun effettosignificativo della riduzione del peso cor-poreo sul glicogeno muscolare. Perciò, unadiversa concentrazione di lattato tra primae dopo la diminuzione del peso corporeonon rispecchierebbe lo stato delle riservedi glicogeno muscolare.

Oltre alla perdita di liquidi ed alla diminu-zione delle scorte di glicogeno muscolare,una alterazione della dieta può influiresulla funzione tampone del sangue e deimuscoli. È stato dimostrato che un’alimen-tazione con una minore percentuale dicarboidrati durante il periodo di riduzionedi peso causa un calo delle riserve alcalinein condizione di riposo. Quando la riduzione graduale del pesocorporeo viene realizzata in un periodo piùlungo, essa viene ottenuta, principalmente,grazie ad un bilancio energetico negativo,che provoca una riduzione del tessuto adi-poso. Mediamente, una riduzione del pesocorporeo dell’8%, ottenuta in un periododi tre settimane riduce il grasso corporeodel 53%, mentre la massa magra diminui-sce del 2,5% (Maffulli 1992).Una diminuzione eccessiva di grasso cor-poreo per un periodo prolungato può cau-sare gravi problemi di salute (Brownell,Steen, Wilmore 1987). Secondo l'AmericanCollege of Sports Medicine (1996), quandoregolano il loro peso corporeo, gli atletidegli sport di combattimento di età infe-riore ai diciassette anni non dovrebberoridurre la percentuale di grasso corporeoal di sotto del 7%, mentre gli atleti di etàsuperiore non dovrebbero scendere al disotto del 5%. Secondo la medesima fonte,il limite minimo della massa adiposa per leatlete è compreso tra il 12 e il 14%.Tuttavia, nella pratica questi limiti, chesono stati fissati nell’interesse della salutedegli atleti, non vengono rispettati. Unostudio condotto su 159 lottatori di sedici

scuole statunitensi ha dimostrato che il33% di loro lottava in una categoria cheavevano raggiunto grazie alla riduzionedel loro peso corporeo. Per ottenere ciò la loro percentuale digrasso corporeo veniva portata ad unlivello inferiore a quello consentito(Wroble, Moxley 1998). Nelle quattro cate-gorie di pesi più leggere, il peso corporeodel 62% degli atleti era inferiore a quelloche avrebbe dovuto essere (peso minimoconsentito), mentre nelle quattro categoriemedie e nelle quattro più pesanti, rispetti-vamente il 29% e il 6% dei partecipantifacevano registrare un peso corporeo infe-riore ad esso.

4. Conseguenze sulla prestazione della riduzione del peso corporeo

I dati sugli effetti della riduzione di pesosulla capacità di prestazione sono con-traddittori. Se da una parte numerosi testdi laboratorio hanno rilevato conseguenzenegative, dall’altra non sono stati accertaticambiamenti in determinate caratteristi-che delle prestazione. Grazie alla riduzionedi peso, la prestazione dell’atleta può addi-rittura aumentare. L’effetto negativo delladisidratazione sulla prestazione aerobica èevidente: dopo l’assunzione di diuretici èstata registrata una diminuzione della pre-stazione aerobica del 5%, mentre era del10% a seguito di misure dietetiche(Armstrong, Costill, Fink 1985; Webster,Rutt, Weltman 1990). L’effetto di una rapi-

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da riduzione del peso corporeo sul V.O2max

(l · min-1) dipende, in grande misura, dal-l’entità e dalla percentuale di riduzione delpeso. Nel caso di una riduzione di pesocompresa tra il 4,2% e il 4,9% ottenuta unarco di tempo tra 12 e 24 ore sono statirilevati effetti negativi, mentre una dimi-nuzione di peso più contenuta, tra l'1,6% eil 3,4%, in periodi che andavano da 2 a 48ore, oppure un tasso di riduzione più lento,pari all'8% in 96 ore, non produceva effettisignificativi su questo importante indicedella capacità di prestazione aerobica(Houston, Marrin, Green, Thompson 1981;Caldwell , Ahonen, Nousiainen 1984;Armstrong, Costill, Fink 1985). Nel quadro di una ricerca condotta su ses-santadue atleti di sport diversi (pesistica,lotta, judo, pugilato), Caldwell et al.. (1984)sono arrivati alla conclusione che la pre-stazione fisica non viene influenzato solodalla riduzione di peso, ma anche da comeè stata ottenuta. A tale scopo, in una ricer-ca, sono stati confrontati gli effetti sullaprestazione in un esercizio effettuato alcicloergometro di tre modalità di riduzionedel peso (diuretici, sauna e esercizio fisicoparticolarmente intenso). La riduzione delpeso era del 4,1% in 24 ore (diuretici esauna) ed in 48 ore (allenamento). Duranteil periodo di esercizio di massima intensità,il V

.O2max e la prestazione nel gruppo che

aveva usato diuretici e la sauna diminuiva-no in modo significativamente maggiore,rispetto al gruppo che aveva ridotto il pesosottoponendosi ad esercizio fisico intenso.Però, in un carico di lavoro vicino allasoglia aerobica, non si osservavano diffe-renze significative tra i vari gruppi.Nelle persone in cui la diminuzione di pesoviene ottenuta, principalmente, attraversola disidratazione, è stato registrato un calodella prestazione anaerobica rispetto aquella ottenuta in condizioni di peso cor-poreo normale. Inoltre è stato accertatoche una riduzione di peso tra il 4,5 e l'8%era accompagnata da una riduzione dellacapacità anaerobica compresa tra il 4,1 e il13%. Secondo alcuni Autori, invece, unariduzione rapida del peso non provocaeffetti di rilievo sulla capacità di prestazio-ne anaerobica, mentre ciò può avvenire nelcaso di una riduzione graduale.Nel caso della riduzione graduale di peso,il V

.O2max (l · min-1) può diminuire o rima-

nere invariato. Nei valori del rapporto traV.O2max (l · min-1) e peso corporeo si può,

addirittura, produrre un miglioramento.L’effetto sulla resistenza muscolare e sullaforza massima è stato esaminato sia conesercizi isometrici sia con esercizi isotonici.In entrambi i casi è stato rilevato un effet-to significativo negativo della disidratazio-ne. Una riduzione di peso dovuta a disidra-tazione, pari al 4% (ottenuta con una

Uno dei metodi più importanti per la riduzione di peso utilizzato negli sport di combatti-mento è rappresentato dall’allenamento della resistenza, poiché per suo tramite:

• l’esigenza dell’atleta di ridurre il suo peso per le necessità della gara ed ottenererisultati migliori in essa può essere collegata con il suo lavoro di condizionamentoorganico-muscolare;

• non viene solo eliminato il grasso, ma questa sostanza viene utilizzata nella musco-latura, nei tessuti metabolicamente attivi e viene così aumentato anche il consumod’energia;

• si influisce sulla stabilizzazione della salute.Come è noto, se si vogliono formare i presupposti energetici di natura complessa deglisport di combattimento, occorre che l’allenamento della resistenza venga eseguito inzone d’intensità diverse. Ciò vuole dire che, secondo la durata e l’intensità del caricovangono metabolizzati substrati energetici diversi (cfr. la figura).Come è noto, nell’organismo umano, il grasso viene immagazzinato sotto forme di trigli-ceridi nel fegato, nei muscoli e nei tessuti, che durante il carico fisico, grazie a processidi natura neuro-ormonale vengono trasformati in substrati (acidi grassi, glicerolo). Per laloro demolizione richiedono una grande quantità di ossigeno. Perciò, un presuppostoper l’attivazione del meccanismo di combustione dei grassi è un carico di scarsa inten-sità. In un allenamento della resistenza di scarsa intensità per primi si ricorre ai depositidei fosfati energetici, ed all’inizio del carico una grande parte dell’energia viene trasfor-mata grazie al metabolismo dei carboidrati. Grazie all’attivazione dei sistemi respiratorioe cardiocircolatorio alle cellule muscolari viene trasportato ossigeno, la maggior partedei carboidrati viene bruciata per via aerobica, con scarsa formazione di lattato: dopo da20 a 30 min, se il tasso di lattato è basso, il metabolismo dei grassi comincia a prevalere(cfr. figura), ed ora, grazie alla sua maggiore attivazione, per i processi di trasformazioneenergetica viene utilizzata una percentuale sempre crescente di grassi, mentre quella deicarboidrati diminuisce. Soggettivamente questa attivazione del metabolismo dei grassiviene percepito dall’atleta come sensazione di facilità e di minore sforzo. L’intensità conla quale viene attivato il meccanismo dei grassi, durante e dopo il carico, dipende dalladurata del carico stesso. La sudorazione intensiva si presenta soprattutto dopo carichi dilunga durata di scarsa intensità. Se essi vengono ripetuti secondo una successione rego-lare, le riserve di grasso diminuiscono.Un allenamento della resistenza che miri alla demolizione dei grassi, dovrebbe tenereconto del fatto che una scarsa concentrazione di lattato muscolare ed ematico stimolala loro mobilitazione, mentre una elevata l’inibisce. Nei soggetti non allenati, secondoNeumann, la demolizione dei grassi peggiora con una concentrazione di lattato superio-re alle 5 mm/l, negli atleti con una concentrazione superiore a 8 mm/l. La diminuzionedel metabolismo dei grassi dovuta all’aumento dell’intensità del carico è minore quantopiù elevata è la capacità di prestazione aerobica. Queste le indicazioni da seguire in un allenamento diretto a ridurre il grasso od il pesocorporeo: da 2 a 3 allenamenti settimanali di scarsa intensità; frequenza cardiaca da 110a 140 battiti/min; lattato circa 2 mmol/l; durata da 60 a 90 min. I mezzi di allenamento più adatti sono:

• esercizi tecnico tattici;• corsa lenta, bicicletta, sci di fondo

utilizzati secondo il metodo del carico prolungato (della durata) o l’allenamento adintervalli estensivo.

Allenamento della resistenza e diminuzione di peso

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sauna con temperature comprese tra i 74e i 79 gradi) non comportava conseguenzesulla resistenza muscolare e sulla forzamassima, se la sauna era seguita da unperiodo di riposo di 3,5 ore per consentirela normalizzazione della temperatura cor-porea (senza assunzione di cibi o bevande)(Greiwe, Staffey, Melrose, Narve, Knowlton1998).La graduale diminuzione del peso corporeonon provocava nessuna variazione dellaresistenza muscolare in un lavoro isotoni-co, ma quest’ultima diminuiva in un lavoroisometrico. Gli indici della capacità di saltoe della forza muscolare relativa al pesocorporeo miglioravano invece di diminuire.Sulla base di questi dati è difficile trarreconclusioni su quale sia l’effetto dellariduzione di peso sulla prestazione. Spesso,i dati degli studi non sono confrontabilitra loro, o sono addirittura contraddittori.Infine, questa divergenza, in parte, è dovu-ta alla non omogeneità dei test utilizzati.Tuttavia, un’analisi dettagliata dei datirivela che in tutti gli studi sulla capacità diprestazione, i cui test tengono conto dellecaratteristiche specifiche degli sport dacombattimento, tutti i metodi diretti a“fare il peso” rapidamente esercitano uneffetto chiaramente negativo sulle presta-zioni degli atleti (Horswill, Hickner, Scott,Costill, Gould 1990; Hickner, Horswill,Welker, Scott, Roemmich, Costill 1991;Rankin, Ocel, Craft 1996; Timpmann 1997).In tutti i test citati, la durata dell’esercizioera compresa tra i tre (karate) ed i seiminuti (lotta), ed a periodi di intensitàmassima d’esercizio si alternavano fasi dilavoro di scarsa intensità. I principali fattori che accompagnano unariduzione rapida di peso e che erano all'o-rigine di una diminuzione della prestazio-ne quando i test venivano eseguiti secon-do le modalità esposte sono chiaramentequesti:

Una riduzione del peso corporeo nonaccompagnata da una diminuzione dellaprestazione, o addirittura dal migliora-mento di alcune caratteristiche della pre-stazione, sta ad indicare che le procedureimpiegate per i test non tenevano contodelle caratteristiche specifiche dello sportconsiderato.

5. L’alimentazione durante la fase di riduzione del pesocorporeo e le sue conseguenzesulla prestazione fisica

Numerosi studi hanno dimostrato che coni metodi usuali di riduzione del peso, ilconsumo di carboidrati rappresenta solouna percentuale compresa tra il 22 e il50% della quantità necessaria al manteni-mento del tasso di glicogeno nel muscolo:10g/kg/24 h. Se durante il periodo di dietail contenuto di energia nell’alimentazioneè rappresentato dall’assunzione di 100kJ/kg, anche un’elevata percentuale di car-boidrati (70%) garantisce solo 4,2 g/kg/24h. Cioè una quantità al di sotto del fabbi-sogno reale.

McMurray et al. (1991). hanno realizzatoun esperimento che si proponeva di stu-diare l’effetto di una riduzione di peso abreve termine (sette giorni) e di alcunediete sulla prestazione aerobica ed anaero-bica di atleti praticanti lotta. Durante isette giorni che precedevano il test, gliatleti sottoposti all’esperimento utilizzava-no una dieta nella quale vi erano le per-centuali normali consigliate di nutrienti(50% di carboidrati, 30% grassi, 20% pro-teine), o una dieta con una percentuale piùelevata di carboidrati (75% carboidrati,15% grassi, 10% proteine). La quantitàmedia di energia assunta quotidianamentein entrambe i gruppi era di 6679 kJ (1.594kcal). Ciò determinava una notevole ridu-zione del peso corporeo: in media 2,43 kg,mentre la percentuale di grasso nella

massa corporea diminuiva dal 9,7% al7,9%. La prestazione veniva esaminataattraverso due tipi di test: la capacità diprestazione aerobica con 8 min di corsasul nastro trasportatore ad un’intensitàdell’85% del V

.O2max e la capacità di pre-

stazione anaerobica con il test di Wingate(30 s al cicloergometro). I cambiamenti nella dieta non provocava-no effetti significativi sulla capacità diprestazione aerobica. Durante il caricoaumentava l’ossidazione dei grassi, mentrediminuiva quella dei carboidrati. Il lattatoematico post carico diminuiva considere-volmente. Queste variazioni, però, nonerano provocate dal tipo di dieta.Sette giorni di dieta ipocalorica con la per-centuale consigliata di carboidrati (50%)

provocavano una diminuzione della pre-stazione anaerobica nelle persone oggettodell’esperimento, mentre la dieta ipocalori-ca con elevato contenuto di carboidrati(75%) contribuiva a mantenerla. Tuttavia,il tipo di dieta non influenzava la velocitàdi sviluppo dell’affaticamento. Horswill et al. (1992) hanno studiato l’ef-fetto di una dieta differenziata sulle pre-stazioni di lottatori durante la fase di ridu-zione del peso corporeo. Le persone ogget-to dell’esperimento diminuivano il loropeso corporeo del 6% per due volte, men-tre in un periodo di quattro giorni venivaloro somministrata un’alimentazione conuna percentuale minore di carboidrati,41,9%, il 46,7% di grassi e l'11,4% di pro-teine, oppure con una percentuale elevatadi carboidrati, 65,9%, una percentuale

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• diminuzione del volume del plasmadel sangue;

• alterazione dei meccanismi di termo-regolazione;

• diminuzione della capacità delleriserve di glicogeno e dei sistemitampone del sangue.

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minore di grassi, 22,7% e l'11,4% di pro-teine. Il test da sforzo all'ergometro amanovella consisteva di 8x15 s alla massi-ma velocità, intervallati da 30 secondi dirotazioni libere.Nel test eseguito dopo la diminuzione delpeso corporeo, il lavoro totale durante leprove massimali di 15 s, quando la dietaprevedeva una percentuale elevata di car-boidrati era significativamente superiore,rispetto all’altro tipo di dieta. Proba-bilmente, l’elevata percentuale di carboi-drati nell’alimentazione determinava unpiù elevato tasso di glicogeno nel sangue,garantendo così la prestazione. Differenzesensibili si riscontravano nella variazionedel volume del plasma del sangue: infatti,nel caso della dieta ricca di carboidrati, ilplasma aumentava (7,6%), mentre dimi-nuiva con la dieta povera di carboidrati(1,4%). Dopo il carico non si rilevavanodifferenze significative correlate alla dietaper quanto riguardava il tasso di lattato odil valore del pH ematici. Però questi para-metri erano influenzati dalla diminuzionedel peso corporeo. Infatti, nello stessoesercizio eseguito con peso normale, il lat-tato post-carico era significativamentesuperiore, e il valore di pH inferiore rispet-to a quanto riscontrato nell’esercizio ese-guito con peso corporeo ridotto. In condizioni di riposo, le riserve alcalinedel sangue diminuivano sensibilmente conla riduzione del peso corporeo, soprattuttonel caso di una dieta povera di carboidrati,a testimonianza di una ridotta capacitàtampone del sangue. La concentrazioneplasmatica di glicerolo, considerato unindicatore della mobilitazione degli acidigrassi, aumentava sensibilmente con lariduzione del peso corporeo, ma non sem-brava essere legata al tipo di dieta. In molti sport, nei quali vengono disputategare per categorie di peso, normalmente èprevisto un intervallo di 2-20 ore tra leoperazioni di peso e la prima gara. Gli atle-ti sfruttano questo periodo per limitare glieffetti negativi della disidratazione dovutaalla diminuzione del peso corporeo.Una reidratazione a breve termine (da 1 a3,5 ore) non basta a migliorare la presta-zione anaerobica (Klinzling, Karpowicz1986; Rankin, Ocel, Craft 1996); mentre ilsuo recupero può essere garantito da unariduzione della disidratazione effettuata inun periodo da 5 a 24 ore. La disidratazionepuò svilupparsi ed aggravarsi rapidamente,ad esempio secondo l’intensità del carico ele condizioni climatiche. La perdita di liqui-di attraverso il sudore può arrivare fino a2, addirittura 2,5 litri all’ora. Al contrario,la reidratazione è un processo lento. Ilripristino del volume del plasma ematicopuò durare dalle 4 alle 5 ore. L'idratazionecompleta del tessuto muscolare ed il recu-

pero delle scorte di glicogeno richiedonoun periodo di tempo che può arrivare a 48ore (Houston, Marrin, Green, Thompson1981). Rankin et al. (1996)in una loro ricercahanno esaminato il rapporto tra rendi-mento e tipo di alimentazione durante unbreve periodo di riposo successivo allariduzione del peso corporeo. I dodici lotta-tori sottoposti al test riducevano il loropeso corporeo in un periodo di 72 ore,ricorrendo ad un’alimentazione ipocalorica(18 kcal/kg; 60% di carboidrati, 20% digrassi, 20% di proteine) ed evitando ladisidratazione dell’organismo. Durante le cinque ore successive di riposo,alcuni lottatori consumavano una percen-tuale elevata di carboidrati (75%, 15% digrassi e 10% di proteine), mentre altri neassumevano una percentuale media (47%di carboidrati, 37% di grassi, 16% di pro-teine) per un apporto energetico totale di21 kcal/kg.La prestazione anaerobica delle personesottoposte all’esperimento veniva esamina-ta in tre condizioni diverse sull’ergometro amanovella: in condizioni di peso normale,dopo la riduzione del peso corporeo e dopocinque ore di riposo. Il test prevedeva 8x15s di lavoro massimale, alternati a 20 secon-di di lavoro meno intenso. Durante ilsecondo test, il peso degli atleti in mediaera di 2,4 kg minore, mentre durante lecinque ore di recupero aumentava di 1,0 kg(con una alimentazione ricca di carboidrati)e di 0,83 kg (con l’assunzione di una per-centuale media di carboidrati). Un’alimentazione con il 60% di carboidratidurante la fase di riduzione del peso nonriusciva ad evitare la diminuzione dellaprestazione anaerobica. Il lavoro totalerealizzato nel test in condizioni di pesocorporeo minore, rappresentava il 92,4%rispetto al lavoro realizzato in condizionidi peso normale. Nel terzo test per quanto attiene il ripristi-no della prestazione emergeva un trendben preciso e differenziato a seconda deltipo di alimentazione assunta: con unapercentuale elevata di carboidrati, il lavoroera del 99,1%, con una percentuale mediadi carboidrati soltanto il 91,5% rispetto allavoro totale del test eseguito in condizio-ni di peso normale. Invece, un quadro diverso compariva nellaforza dinamica media misurata nei test:infatti a livello di forza massimale non sirilevavano differenze, né tra i test né tra lediverse diete. Il contenuto di glicogeno neimuscoli non veniva determinato diretta-mente. Però, la ridotta concentrazione dilattato ematico dopo il test eseguito incondizioni di peso corporeo ridotto, indicauna minore percentuale di glicogenomuscolare.

6. Regolazione del peso e prestazione nello sport da combattimento

È difficile valutare, in base a criteri ogget-tivi, quale sia l’effetto della regolazione delpeso sulle prestazioni degli atleti da com-battimento. Le precedenti analisi statisti-che, spesso condotte sulla base di dati nonspecifici, non hanno fornito risultatisostanziali (Horswill 1992; Horswill et al.1992; Fogelholm 1994). Non è possibile affermare se la riduzionedi peso prima della gara aumenti o dimi-nuisca le possibilità di successo.Tuttavia, gli atleti, perlomeno i lottatori,hanno tratto dalla loro personale esperien-za opinioni o convinzioni molto forti: unariduzione del peso per potere rientrare incategorie inferiori di peso, spesso, vieneconsiderata una requisito per il successo.In casi estremi, gli atleti sono disposti arischiare la vita pur di vincere: nel 1997negli Stati uniti tre decessi di lottatorisono stati collegati al tentativo di perdere,rispettivamente, 6,81, 1,82 e 2,72 kg in 12,4 e 3 ore (Remick et al. 1997).Secondo un recente studio su giovani lot-tatori delle High School statunitensi lariduzione di peso può favorire il successosportivo (Wroble, Moxley 1998). Duranteuna stagione sono stati raccolti dati detta-gliati su risultati di gara e le variazioni dipeso in cento cinquantanove lottatori. Neè risultato che il 57% dei lottatori classifi-cati ai primi quattro posti dei Campionatidi alcuni Stati federali avevano disputatole gare con un peso inferiore al minimoche sarebbe consentito, mentre la percen-tuale di lottatori di peso "normale" si atte-stava soltanto al 33%. Un altro studio degli stessi Autori, condot-to su ventiquattro squadre di ventiquattroStati degli Usa (duecento sessanta atleti),ha messo in luce l'importanza, ai fini dellapossibilità di vittoria, della velocità direcupero dopo le operazioni di peso.L’aumento medio del peso, dopo le opera-zioni di peso dei vincitori del primo com-battimento era di 1,5 kg, mentre gli atletisconfitti facevano registrare un aumentodi 1,2 kg. Sebbene contenuta, questa diffe-renza era statisticamente significativa edinfluiva direttamente sul risultato dellacompetizione.

Traduzione di P. Sodani da Leistungssport 4,2002, 29-32. Titolo originale: Der Einfluss derKörpergewichtsreduzierung auf die Leistung imKampfsport.

Indirizzo degli autori: Saima Timpmann, VahurÖöpik. Institute of Exercise Biology, University ofTartu. Tähe 4/203 51010 Tartu, Estonia.

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Giampiero Alberti, Facoltà di Scienze Motorie, Università degli Studi di Milano; Enrico Arcelli, Centro Studi e Ricerche Fidal; Franco M. Impellizzeri, Laboratorio valutazioni funzionali, Sport Service Mapei, Castellanza;

Domenico Gualtieri, Preparatore atletico della Nazionale femminile italiana Under 19

L’allenamento intermittente-forza

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Aspetti fisiologici dell’allenamento intermittente-forza

Attraverso un’analisi degli effetti dell’allenamento sullefibre muscolari, sulla funzione cardiaca, sul creatinfo-sfato, la mioglobina, il 2,3 difosfoglicerato, la produzio-ne e l’accumulo di lattato si cerca di valutare se ilmezzo di allenamento definito intermittente-forza, nelquale al lavoro di corsa, tipico del lavoro intermittente,vengono sostituiti esercizi di forza, possa contribuire amigliorare anche componenti della resistenza nei giochisportivi. Se ne conclude che, malgrado i riscontri inte-

ressanti forniti dalle esperienze di campo, la scarsità diricerche compiute sull’intermittente-forza, attualmente,non rende possibile un raffronto degli effetti sulle com-ponenti della resistenza, determinati da questa metodi-ca e da altre metodiche più collaudate. Si può comun-que affermare che esistono numerosi presupposti ditipo fisiologico perché tale metodica di allenamentopossa essere considerata utile per il miglioramento dialcune componenti della resistenza.

Foto Bruno

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Introduzione

Scopo di questo lavoro è quello di valuta-re, tenendo soprattutto conto di quanto sitrova nella letteratura scientifica, se effet-tivamente il mezzo di allenamento che èdefinito intermittente-forza (e che contie-ne inequivocabilmente chiari elementi distimolo delle componenti di forza) possacontribuire a migliorare anche componentidella resistenza.Il lavoro intermittente è un mezzo utilizza-to per migliorare la potenza aerobica,anche se si basa sull’alternanza di sforzibrevi di intensità media-elevata e di sforzi,sempre brevi, di intensità media-bassa. Sideve a Cometti l’introduzione progressivanel lavoro intermittente degli esercizi dipotenziamento muscolare (sforzi di inten-sità elevata); è a tale mezzo di allenamen-to che è stato dato il nome di intermitten-te-forza.Se alla corsa (o più in generale agli impe-gni di media-alta intensità) si sostituisco-no esercizi di forza (per esempio esercizicon sovraccarichi, balzi verticali, balzi oriz-zontali, skipping, sprint), il lavoro diventaparticolarmente interessante per allenare,oltre che la forza (per esempio in alcunediscipline come le corse di mezzofondo),anche le componenti periferiche della resi-stenza negli sport di squadra.Nell’intermittente-forza il recupero puòessere quasi passivo (cammino) o adintensità molto bassa e, in questi casi, ilrecupero neuromuscolare è più efficace;oppure di tipo più attivo (corsa lenta o, neigiochi di squadra, esercizi come palleggi epassaggi).

L’effetto dell’allenamento sulle fibre muscolari

Le fibre muscolari si differenziano percaratteristiche morfologiche e proprietàcontrattili. Esistono vari tipi di classifica-zione delle fibre. Quella riportata nellatabella 1 tiene conto del diverso contenutoin esse della catena pesante della miosina

(o MHC, myosin heavy chain). Utilizzandotecniche elettrofonetiche, si è stabilito cheogni tipo di fibra si differenzia dalle altreper il fatto che contiene forme diverse diMHC. Ad ogni MHC corrispondono pro-prietà contrattili diverse e valori media-mente differenti di potenza generata.Secondo la legge di Henneman (o sizeprinciple), il reclutamento delle fibremuscolari procede secondo criteri bendefiniti: le fibre lente, infatti, sono recluta-te prima delle fibre rapide, qualunque sia iltipo di movimento che viene compiuto. Leopinioni sono ancora oggi discordanti sol-tanto a proposito di quello che si verificadurante i movimenti rapidi di tipo balisti-co; da parte di alcuni Autori, infatti, èstato ipotizzato che nel corso di essi pos-sano essere reclutate soltanto le fibre ditipo II, senza che vi sia necessariamente ilcoinvolgimento delle fibre di tipo I. Apparecerto, tuttavia, che per attivare delle fibreveloci di tipo IIb sia assolutamente neces-sario compiere azioni che siano esplosive oche richiedano elevate intensità (figura 1).Esistono pareri non del tutto univocianche per quello che riguarda il fenomenodella possibile trasformazione completa diun tipo di fibra in un altro tipo. In labora-torio, cambiando l’innervazione tra fibrerapide e fibre lente, si è visto che, dopoqualche tempo, le fibre tendono a cambia-re parzialmente le proprie caratteristichemeccaniche e metaboliche, adeguandosialla mutata innervazione. Il nervo, delresto, determina l’approvvigionamento disostanze trofiche al muscolo. Non è certo,però, che l’allenamento sia davvero ingrado di trasformare le fibre di un tipo in

Fibre Tipo di miosina

Tipo I MHC ITipo IIA MHC II ATipo IIB MHC II BTipo IIAB MHC II A + II BTipo C MHCI + II A(suddivise a lorovolta in tipoIC, II C, II AC)

Tabella 1 - Classificazione delle fibre musco-

lari in base al loro conenuto in MHC, catene

pesanti della miosina

Figura 1 – Reclutamento per il lavoro delle fibre muscolari di tipo diverso a seconda dell’intensità del lavoro e del livello di qualificazione degli atleti.

A – soggetti non praticanti sport, B – atleti di elevata qualificazione. 1 – fibre muscolari lente; 2 – fibre muscolari rapide del tipo a, 3 – fibre musco-

lari rapide del tipo b; 4 – fibre non reclutate per il lavoro

La molecola della miosina

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fibre di un tipo diverso, se non per quantoriguarda le IIa che hanno caratteristicheintermedie (per questo sono chiamateanche “intermedie”) e che, attraverso unallenamento specifico, sembra possanospecializzarsi maggiormente verso lecaratteristiche di un tipo oppure dell’altro.In ogni caso, l’allenamento determina unsignificativo cambiamento delle caratteri-stiche metaboliche e funzionali delle fibre.Nell’allenamento intermittente-forza, alcontrario di ciò che avviene con i piùcomuni mezzi di allenamento per il mec-canismo aerobico, le fasi di lavoro, se cor-rettamente impostate, possono essere ese-guite ad alta intensità e con un elevatoimpegno muscolare. Questo fa sì che sianoattivate ed allenate anche molte fibre ditipo II, in tal modo contribuendo al miglio-ramento delle qualità di forza. Costill et al. (1976) hanno verificato che in“in atleti praticanti lo sprint” si trova gene-ralmente un’alta percentuale di fibre velo-ci. In altri due studi, quelli di Sharp et al.(1986) e di Joansson et al. (1990) si è veri-ficato un incremento nelle fibre di II tipodopo un programma di allenamento disprint.Numerosi studi hanno invece indicato (e inun primo momento la cosa può apparireparadossale) che, per effetto di un pro-gramma di allenamento costituito da breviperiodi di sforzo massimale ripetuti inmodo intermittente, si ha un aumentodella concentrazione delle fibre lente ascapito delle fibre veloci. Cadefau et al.(1990), per esempio, hanno dimostrato cheotto mesi di allenamento specifico disprint inducono un incremento nella per-centuale delle fibre di tipo I in giovaniatleti. Simoneau et al. (1985), a loro volta,hanno osservato che un allenamento dialta intensità di sprint intermittenti deter-mina un aumento sia del numero sia del-l’area delle fibre di tipo I, con un concomi-tante decremento nelle fibre di tipo IIb.Linossier et al. (1993) hanno verificatocome un allenamento di sprint brevi inter-mittenti induca un aumento della percen-tuale delle fibre di tipo I a scapito dellefibre di tipo II. Nello studio si è messo inevidenza come l’adattamento delle fibrepossa dipendere sia dalle caratteristichedel programma di allenamento (natura edurata), sia dallo stato di pre-training delsoggetto. Un esercizio intenso e ripetuto parrebbecosì indurre la conversione delle fibre ditipo intermedio in fibre di tipo ossidativo;sulle fibre intermedie, dunque, sembrereb-be più efficace l’azione della fase ossidati-va del recupero rispetto a quella delladeplezione delle riserve di PCr e della pro-duzione dell’acido lattico durante il perio-do di esercizio.

Gli aspetti cardiaci

Sono almeno quattro i fattori che influen-zano la risposta all’allenamento aerobico:

• il livello aerobico iniziale; • l’intensità dell’allenamento; • la frequenza dell’allenamento; • la durata dell’allenamento.

Nella verifica dell’efficacia dell’allenamen-to intermittente-forza sullo sviluppo dellecapacità di resistenza, è utile analizzaresoprattutto l’intensità dell’allenamentopoiché, del tutto verosimilmente, gli altrifattori sono variabili indipendenti dallatipologia di allenamento. Il primo quesito che è il caso di porsi è sele caratteristiche del metodo di allena-mento intermittente-forza siano adeguatea stimolare il miglioramento delle qualitàaerobiche per quello che riguarda gliaspetti cardiaci. Negli individui allenati, lapotenza aerobica migliora se l’intensitàdell’esercizio è tale da portare la frequenzacardiaca oltre il 75-80% di quella massimadel soggetto. Quando la frequenza cardia-ca è attorno all’85%-90% di quella massi-ma e lo sforzo è sufficientemente lungo,migliorano soprattutto le componentiperiferiche, in particolare gli enzimi delmetabolismo ossidativo presenti nei mito-condri. Quando la frequenza cardiaca èsopra il 90%-95% di quella massima, l’e-sercizio risulta efficace anche sulle com-ponenti centrali, in particolare su quellecardiache. Numerosi studi (Brahler et al.1995; Loy et al. 1994; Olson et al. 1991;Pollock et al. 1975; Wallick et al. 1995)hanno evidenziato come - a parità diintensità, di durata e di frequenza degliallenamenti - i miglioramenti indotti sianodel tutto simili, indipendentemente daltipo di esercizio svolto, purché siano coin-volte grosse masse muscolari. Gacon(1998) evidenzia nelle sue ricerche come,nell’allenamento di tipo intermittente, lafrequenza cardiaca salga rapidamente nelcorso del primo sforzo, raggiunga un pla-teau molto alto durante lo sforzo stesso e,poi, essendo l’intervallo fra uno sforzo el’altro troppo breve per permettere ad essadi diminuire sensibilmente, rimanga sem-pre a livelli molto alti, corrispondenti adun’elevata percentuale del massimo con-sumo di ossigeno. In ogni caso, fra i diversi lavori di tipointervallato è opportuno fare delle distin-zioni. Nell’interval-training classico, peresempio, nel corso degli sforzi la frequen-za cardiaca sale in misura analoga a quelladell’intermittente, ma durante le fasi direcupero scende in misura ben maggiore,tanto che le oscillazioni di essa sono assaipiù elevate, talvolta anche sopra alle 80

pulsazioni/minuto. Nell’intermittente,invece, la frequenza cardiaca è semprevicina a quella massima e le variazione diessa sono solamente di 10-20 pulsazio-ni/minuto. Durante l’intermittente forza, inaltre parole, malgrado le evidenti oscilla-zioni, la frequenza cardiaca si mantienesempre all’interno di un ambito certamen-te allenante per le componenti centrali delmeccanismo aerobico.

Il creatin fosfato (CP)

Nel muscolo il “convertitore” dell’energiachimica in energia meccanica è costituitodall’ATP; ma all’interno dei muscoli c’è unaquantità limitata di tale sostanza ed essadeve continuamente essere risintetizzata.Quando il lavoro compiuto dai muscoli èmolto intenso, il fabbisogno di energia perquesta risintesi non può essere totalmentecoperto dal meccanismo ossidativo, madeve avvalersi anche dell’intervento deimeccanismi anaerobici, sia attraverso ilbreak down del creatin fosfato (CP), siaattraverso la glicolisi anaerobica. Nel corsodel lavoro muscolare il break down del CPè un processo molto rapido. Bergstrom eKarlsson (1971) riportano che in un eserci-zio compiuto ad un’intensità pari al 100%del massimo consumo di ossigeno nelquale si giunge all’esaurimento in tempifra i 2 ed i 9 minuti, le riserve di CP giun-gono a livelli minimi nell’arco di 2-3 minu-ti. Altri studi (Bergrstrom et al. 1971; Keulet al. 1972) hanno mostrato come duranteazioni muscolari volontarie massime, sia ditipo dinamico, sia di tipo statico, le riservedi CP siano consumate in 20 s. Studi teori-ci di Margaria el al. (1966), di Newsholme(1980) e di Mader et al. (1983) calcolanoche le riserve di CP possano essere consu-mate in uno sprint massimale della duratadi 5-7 s.In che modo, dunque, si può agire su que-sto meccanismo, attraverso l’allenamento,per ottenere un miglioramento della suaefficienza?Thorstensson et al. (1975) e Rehunen etal.(1982) riportano che, in soggetti nonsedentari, allenamenti di sprint non indu-cono alcun aumento nei muscoli delleconcentrazioni di fosfati altamente ener-getici (ATP e CP). Linossier et al. (1993)confermano queste osservazioni, riferendocome nelle concentrazioni di tali sostanzenei muscoli non ci fossero differenzesignificative fra prima e dopo un periododi allenamento di sprint; la concentrazionedella creatina, infatti, era di 116 mmol (SD21) prima dell’allenamento e di 111 mmol(SD 13) dopo; quella del creatin fosfato0,62 mmol (SD 0,06) prima e 0,65 mmol(SD 0,03) dopo; quella dell’ATP 0,17 mmol(SD 0,01) prima e 0,18 mmol (SD 0,03)

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dopo. In questi studi i soggetti, in seguitoal periodo di allenamento, hanno avutosignificativi aumenti di picchi di forza e dipotenza; ciò starebbe ad indicare che leprestazioni di forza massima e di potenzanon sono collegabili al quantitativo difosfati altamente energetici presenti neimuscoli, tranne che in soggetti sedentari,nei quali si è constatato che le basse riser-ve di questi substrati possono essere limi-tanti per le espressioni di forza. Il fattoreche invece sembra essere determinanteper migliorare le proprie capacità di espri-mere il massimo della potenza è la capa-cità di utilizzare le scorte di CP. Hirvonenet al. (1987) hanno analizzato l’utilizzo deifosfati altamente energetici durante eser-cizi sopramassimali. Hanno verificatocome, in un lavoro muscolare della duratadi 11 s, circa l’88% del CP fosse stato uti-lizzato in media dopo 5 s. Hanno inoltreosservato come i soggetti con le più alteperformance utilizzassero nello stessotempo circa il 100% del CP. Le riserve dicreatin fosfato, insomma, vengono in granparte utilizzate durante i primi secondi diun esercizio di alta intensità e la capacitàdi compiere lavoro muscolare è legataall’abilità di utilizzare il pool dei fosfatialtamente energetici. A questo punto è importante valutare se lacapacità di utilizzare tali substrati èmigliorabile con l’allenamento. Linossier etal. (1993) hanno dimostrato come un pro-gramma di allenamento consistente esclu-sivamente in brevi sprint induca unsostanziale miglioramento non soltantodei picchi di velocità e di potenza, maanche della potenza media erogata nel testWingate, nel quale si devono compiere sulcicloergometro 30 secondi alla massimaintensità di cui si è capaci (“fuori tutto”).Alcuni autori hanno altresì evidenziatocome il ruolo dello shuttle CP-Creatinapossa essere molto significativo anchenella ripetizione del picco di potenza e divelocità. Thorstensson et al. (1975) peresempio, hanno osservato come in seguitoad un allenamento di sprint training vifosse un incremento dell’attività deglienzimi dei fosfati altamente energetici, inparticolare dell’adenilato chinasi. Trattan-dosi di un enzima che agisce su una rea-zione reversibile, tuttavia, questo incre-mento della sua attività potrebbe signifi-care anche un aumento della capacità dirisintesi di CP durante la fase di recupero. Dal punto di vista applicativo questopotrebbe significare che la capacità dicompiere brevi sforzi eseguiti alla massimaintensità e, soprattutto, di ripeterli in unosprint training intermittente possa essereinfluenzata dall’aumento dell’attività deglienzimi che intervengono nel metabolismodei fosfati altamente energetici. Balsom et

al. (1992) hanno verificato come in unosprint training intermittente con un tempodi recupero di 30 s la risposta fisiologica ela performance siano chiaramente influen-zate dalla distanza di sprint. Mentre 15 mdi sprint possono essere ripetuti ogni 30 ssenza un decremento della prestazione, itempi di percorrenza per 40 m di sprintaumentano già dopo la terza prova.Questo decremento della prestazione èassociato ad un netto calo del pool deinucleotidi adeninici, cui corrisponde un’e-levata concentrazione plasmatica dell’i-poxantina e dell’acido urico. Holmyard etal. (1988), Brooks et al. (1990) e Wootton eWilliams (1983) confermano che un perio-do di recupero di 30 s non è sufficienteper sostenere esercizi di massima intensitàdella durata di 6 s in modo ripetuto senzache vi sia un decadimento della prestazio-ne. Ciò è in contrasto con precedenti studidi Margaria et al. (1969) che affermavanoche si potessero ripetere ogni 30 s esercizimolto intensi della durata di 10 s in modoindefinito senza accusare fatica.In sintesi, sembrerebbe dunque che svol-gere brevi sforzi di intensità massimale inmodo intermittente e con un recupero nonsufficiente, fra le altre cose, a ricreare ifosfati altamente energetici necessari allosforzo, determini un decadimento dellaprestazione che può essere considerato unaccumulo di “fatica”. Come evidenziato direcente anche da Bisciotti et al. (2002)questa fatica ha certamente cause e ragio-ni multifattoriali che, in parte, non sonostate ancora del tutto chiarite, ma propriola complessità del meccanismo è un chiaroindice della sua presumibile specificità.Proporre pertanto una tipologia di sforzoquale quella dell’allenamento intermitten-te-forza che determina un rapido esauri-mento delle riserve di fosfati, ma che pre-vede dei tempi di recupero sufficienti aricostituirli almeno in parte, può, presumi-bilmente, stimolare in modo specifico l’a-dattamento del meccanismo che contrastal’accumulo di questa componente dellafatica, ovvero la risintesi dei fosfati alta-mente energetici, in particolare, attraversol’aumentata attività enzimatica che cata-lizza questa reazione.

La mioglobina

La mioglobina è una proteina globulareche contiene ferro e che è in grado dilegare l’ossigeno (figura 2, figura 3). Neltessuto muscolare si trova in quantità piùabbondante nelle fibre rosse. Costituisceuna scorta di ossigeno intracellulare per lefibre muscolari ed uno dei suoi ruoli èquello di liberare ossigeno sia nella faseiniziale di un lavoro, sia durante un lavorodi elevata intensità quando il fabbisogno

energetico non può essere totalmentecoperto dall’apporto di ossigeno prove-niente dal sangue (Wittemberg et al.1975). Durante il lavoro intermittente,secondo la valutazione di Gacon (1998), lamioglobina intramuscolare aiuta a soddi-sfare le esigenze energetiche, integrandol’apporto dell’ossigeno che deriva dalla cir-colazione. Questo sistema è molto vantag-gioso in quanto, trovandosi l’ossigenodirettamente in loco, non si hanno i ritardideterminati dai tempi necessari per l’arrivodi esso dall ’esterno. Ciò permette ai

Figura 2 – La mioglobina è una proteina

coniugata, appartenente alla classe delle

cromoproteine, presente nel citoplasma

delle fibre muscolari. Come l’emoglobina, è

capace di combinarsi reversibilmente con

l’ossigeno, per il quale possiede un’affinità

maggiore, svolgendo nelle fibre dei muscoli

scheletrici la funzione di riserva di ossigeno.

È una proteina che trasporta l’ossigeno, fun-

zionalmente identica all’emoblogina, ma

costituita da una sola sotto unità. Questa

sotto unità contiene sette eliche ciascuna

delle quali è indicata con una lettera maiu-

scola: A, B, C, D, E, F, G, H. Gli aminoacidi

della mioglobina o dell’emoglobina sono indi-

cati dalla lettera dell’elica alla quale appar-

tengono e dalla loro posizione nella struttura

primaria di questa elica: ad esempio, l’Arg

H23 è il 23° amminoacido dell’elica H all’e-

stremità terminale COOH delle sottounità. Il

gruppo eme, cioé il gruppo prostetico costi-

tuito da un anello porfirinico coordinante,

attraverso i quattro atomi di azoto pirrolici,

un atomo di ferro centrale, che assolve alla

funzione di trasportatore dell’ossigeno, è

situato in una fenditura della struttura ter-

ziaria, dove gli aminoacidi sono idrofobi. La

porfirina è legata alla catena polipeptidica

da legami idrofobi e da alcuni legami elett-

trostatici. L’atomo centrale di ferro è esava-

lente, cioé da sei valenze, quattro per gli

azoti della porfirina e due per due His della

proteina. Uno di questi legami è il luogo in

cui si fissa la molecola d’ossigeno

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muscoli di utilizzare una maggiore quan-tità di ATP prodotto con meccanismo ossi-dativo e, quindi, a parità di lavoro compiu-to, di accumulare un minor debito di ossi-geno, oppure – essendoci più ossigeno adisposizione – di compiere una maggiorequantità di lavoro. In una loro ricerca,Karlsson, Saltin et al. (1971) dimostranoche, in un esercizio intermittente 15-15,richiedente 1,7 litri di ossigeno, in 15 s lacircolazione ne può fornire 15 litri; il rima-nente ossigeno (0,550 litri), è assicuratodalla mioglobina. Durante il consecutivorecupero la circolazione apporta 0,625 litridi ossigeno, ma in tale fase le esigenzenon sono che 0,075 litri, di modo cherimangono 0,550 litri per ricostituire ildeposito di ossigeno della mioglobina.Tutto questo evidenzia la possibilità che,attraverso questa metodologia di allena-mento che prevede sforzi intensi fraziona-ti, si possa sollecitare significativamente ilmeccanismo aerobico, senza che vi sia ungrosso intervento del meccanismo lattaci-do. L’ossigeno depositato nella mioglobinamuscolare, dunque, contribuisce al totaledel lavoro che può essere fornito dal mec-canismo aerobico; elevando la quantità dimioglobina presente a livello muscolare, diconseguenza, si incrementa anche il quan-titativo di ossigeno a disposizione.

Di sicuro negli animali il livello di mioglo-bina muscolare si correla alla condizionefisica. Già nel 1926 Whipple (1926) avevaosservato come la concentrazione di mio-globina nei muscoli striati dei cani da cac-cia fosse notevolmente superiore a quellodei cani da salotto. Nel 1934 Shenk (1934)aveva trovato che il bestiame allevato alpascolo aveva una più elevata concentra-zione di mioglobina rispetto a quello alle-vato al chiuso. Nel 1967 Pettengale andHolloszy (1967) hanno dimostrato comenei ratti, in seguito ad un programma diallenamento di corsa continua di intensitàcrescente su treadmill, si era verificato unaumento della concentrazione di mioglo-bina nell’ordine del 80%. Tale aumento si èavuto soltanto nei muscoli coinvolti speci-ficatamente dall’allenamento (come ilquadricipite) e non nei muscoli coinvolti inmodo marginale (come gli addominali). Inaccordo con questa osservazione, Lawrie(1953) ha osservato che nei muscoli petto-rali di un gruppo di colombe allevate inlibertà la concentrazione di mioglobina eranotevolmente maggiore rispetto a quelladel gruppo di controllo costretto all’immo-bilità. Anche in questo caso, inoltre, è statoosservato che non si verificava un aumen-to del contenuto di mioglobina nei muscoliche non erano coinvolti nell’attività. Vari

studi, insomma, hanno dimostrato chenegli animali il contenuto nei muscoli dimioglobina è determinato in modo signifi-cativo dalle abitudini di vita o dai pro-grammi di allenamento e che tale adatta-mento avviene soltanto nella muscolaturaimpegnata. L’aumento della concentrazio-ne di mioglobina, tuttavia, pare avvenire inmisura differenti nelle varie specie animali.La concentrazione della mioglobinamuscolare in ratti allenati con un pro-gramma di esercizi di lunga durata con loscopo di raggiungere il loro livello massi-mo prestativo, per esempio, non è che unquarto di quella trovata nei muscoli sche-letrici di cavalli e di altre specie animali(Lawrie 1953). Ciò suggerisce che la con-centrazione muscolare di mioglobinapossa essere determinata geneticamente.Non è ancora chiaro se nella specie umanail livello di mioglobina possa variare inseguito all’allenamento. Alcune osserva-zioni in vitro (Hemmingsen 1963;Scholander 1960), hanno indicato come lamioglobina incrementi il trasporto di ossi-geno in un fluido; ciò suggerisce che lamioglobina possa anche facilitare il tra-sporto dell’ossigeno nel citoplasma. Inmolti animali – fra cui topi, polli, conigli egatti – la concentrazione di mioglobina èpiù alta nei muscoli con predominanza difibre di tipo I o IIa, mentre è significativa-mente minore nei muscoli costituiti in pre-valenza da fibre di tipo IIb. Nei topi, peresempio, è possibile identificare alcunefibre di tipo II con concentrazioni di mio-globina molto basse. Tali fibre possonochiaramente essere classificate come real-mente “bianche”. Nemeth and Lowry(1984) hanno mostrato come nell’uomo, adifferenza di altre specie, il contenuto dimioglobina muscolare non è molto diffe-rente nei vari tipi di fibre. Le fibre di tipo IIcontengono in media almeno i due terzidell’emoglobina presente nelle fibre di tipoI. In muscoli con un numero simile di fibredi tipo IIa e IIb, inoltre, gli autori hannoverificato che non è possibile distinguerealcuna fibra il cui contenuto di mioglobinasia chiaramente basso. Gli stessi Autorihanno poi mostrato come non vi sia unadiminuzione della concentrazione di mio-globina in seguito ad un periodo di dealle-namento. Biork (1949) e Jansson, Sylvèn(1981) hanno dimostrato come nelle fibredel muscolo cardiaco, dotate di una capa-cità ossidativa di circa tre volte superiore aquella della muscolatura scheletrica, si puòosservare una concentrazione di mioglobi-na equivalente a circa la metà di quelladella muscolatura scheletrica. Jansson,Sylvèn, Nordevang (1981), hanno osserva-to come la concentrazione di mioglobinatenda ad essere inferiore in soggetti (cicli-sti) allenati (5,05 mg · g-1; SD 0,20) rispetto

Figura 3 – La mioglobina svolge la funzione di trasporto dell’ossigeno nel citoplasma della cellule.

La sua velocità di trasporto dell’ossigeno in funzione della pressione di questo gas, è di tipo

micheliano e la curva che la rappresenta è un’iperbole. Invece l’emoglobina trasporta l’ossigeno

nei globuli rossi. la sua funzione di trasporto dell’ossigeno in funzione della pressione di questo

gas è di tipo allosterico e la curva che la rappresenta è una sigmoide. La cooperazione tra i mono-

meri le conferisce una grande affinità per l’ossigeno nei polmoni dove è abbondante, ed invece,

una scarsa affinità per l’ossigeno nei tessuti dove viene trasmesso alle cellule. Quindi, l’emoglobi-

na ha un comportamento diverso da un organo all’altro quando le pressioni d’ossigeno sono diver-

se. Grazie all’allosterismo questa proteina si adatta meglio alle condizioni dell’ambiente

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a quello che si rileva in soggetti non alle-nati (5,38 mg · g-1; SD 0,52). James (1971)ha verificato che nelle fibre a sacconucleare, caratterizzate da bassa capacitàossidativa e da una larga sezione trasver-sale, la concentrazione di mioglobina èmaggiore di quella delle fibre a catena dinuclei. Ciò può suggerire che il contenutodi mioglobina sia maggiore nelle situazioniin cui è necessario facilitare il trasporto diossigeno, in quelle in cui è minore ilnumero di capillari ed in quelle in cui èmaggiore la distanza dei capillari dal cen-tro della fibra. Si può così ipotizzare cheun aumento compensatorio della concen-trazione di mioglobina possa essere indot-to dalle situazioni nelle quali ci sono con-dizioni di difficoltà di apporto di ossigenoattraverso il sistema circolatorio.

Il 2,3 difosoglicerato

Il 2-3 difosfoglicerato (2,3-DPG) è un enzi-ma che, soprattutto nel corso della glicolisianaerobica, riduce l’affinità dell’emoglobi-na per l’ossigeno, favorendo così il rilasciodell’ossigeno stesso a livello periferico.Lenfant et al. (1968) hanno osservato chesoggetti che vivono in alta quota presen-tano elevate concentrazioni di 2,3-DPG.Dempsey et al. (1974) e Taunton et al.(1974) hanno studiato l’effetto di eserciziprolungati e non hanno invece trovatoalcuna differenza nel livello di 2,3-DPG.Austin et al. (1973), Faulkner et al. (1970),Kunski et al. (1976), Taunton et al. (1974) eKlein et al. (1980) hanno dimostrato unincremento nella concentrazione di 2,3-DPG in seguito ad allenamenti costituiti daimpegni brevi, ma esaustivi; in seguito adun lavoro di elevata intensità su distanzeridotte, per esempio, è stato riscontrato unaumento del 15% nella concentrazione di2,3-DPG in un gruppo di mezzofondisti.Parrebbe, dunque, che soltanto esercizimolto intensi e di breve durata determini-no negli eritrociti quella condizione che èin grado di provocare un incremento dellaconcentrazione del 2,3-DPG, vale a dire lanecessità che l’emoglobina ceda un’eleva-ta quantità di ossigeno a livello periferico.Sembrerebbero essere le esigenze metabo-liche degli allenamenti, in definitiva, acondizionare la concentrazione di 2,3-DPGnei globuli rossi.

Produzione ed accumulo di lattato

Il sistema anaerobico alattacido, permettedi risintetizzare ATP a partire dalla degra-dazione del glucosio. Questo processo pro-duce acido lattico ed è proprio tale sostan-za a costituire il meccanismo limitantedella glicolisi. L’acido lattico, infatti, è

quasi totalmente dissociato in ioni lattatoe ioni idrogeno; questi ultimi, durante l’e-sercizio strenuo, provocano l’aumento delgrado di acidità nelle fibre muscolari, valea dire determinano un abbassamento delpH. Quando il pH scende al di sotto dideterminati valori si altera il funzionamen-to enzimatico della glicolisi e viene inibitoil rilascio degli ioni calcio da parte del reti-colo sarcoplasmatico; diminuiscono così lecapacità contrattil i del muscolo.L’acidificazione dell’ambiente muscolaredetermina l’inibizione anche degli enzimidel meccanismo anaerobico alattacido,riducendo la risintesi del creatin fosfato(McCaan et al. 1995). L’aumento della con-centrazione degli ioni idrogeno, infine,sembra essere la principale causa dellasensazione di fatica (Karlsson, Saltin1971). È dunque vantaggioso che il lattatoprodotto a livello muscolare sia rimosso ilpiù velocemente possibile. Una piccolissi-ma parte dell’acido lattico è eliminata conle urine e con il sudore. La maggior parte(più del 60%) è ossidata con produzionefinale di CO2 e H2O; da questo punto divista un ruolo quantitativamente impor-tante è svolto in particolare dal cuore e daimuscoli scheletrici, organi che sono ingrado di utilizzare in contemporanea l’aci-do lattico ed il glicogeno.Uno degli scopi di questo articolo è lavalutazione dell’entità dell’intervento delmeccanismo energetico lattacido ed even-tualmente dell’importanza che ha l’accu-mulo di lattato ai fini dell’efficacia dell’al-lenamento.Sul lavoro intermittente Bisciotti (2002) haeffettuato uno studio su dieci giocatori di

calcio, chiarendo quali caratteristichepotrebbe assumere questa metodica diallenamento a seconda del metabolismocoinvolto. In lavori massimali, come puòessere uno sprint training, il meccanismoglicolitico viene comunque coinvolto, indi-pendentemente dalla durata dello sforzo.Linossier et al. (1993) hanno osservato unincremento nella produzione di lattatodopo un allenamento di sprint training incui la durata dei singoli impegni era di 5 s;nei soggetti sottoposti a tale lavoro si ètrovato un aumento del 20% dell’attivitàdella fosfofruttochinasi e della lattico dei-drogenasi. Hirvonen et al. (1987) hannodimostrato come la potenza espressa dalmeccanismo lattacido sia costante dall’ini-zio alla fine di un esercizio massimale, perlo meno quando questo durava da 1 a 11secondi. I risultati suggeriscono che in unesercizio massimale, sia pure di brevedurata, si utilizzano sempre entrambi imeccanismi anaerobici; l’organismo, inpratica, dovendo esprimere la massimapotenza, somma le potenze dei vari“motori” che ha a disposizione. La quantitàdi lattato prodotta, tuttavia, è in funzionedel tempo di lavoro, così come, ovviamen-te, le caratteristiche dello smaltimentosono legate alla quantità del lattato chedeve venire allontanato. Modulandoopportunamente i tempi di lavoro e itempi di recupero, dunque, è possibilemodificare le caratteristiche metabolichedi un allenamento di tipo intermittente.Attraverso l’allenamento intermittenteforza, pur eseguendo sforzi molto impe-gnativi , variando opportunamente iltempo di lavoro e quello di recupero, sipuò strutturare un esercitazione in cui cisia produzione di lattato, ma non accumu-lo di esso ed in cui la frequenza cardiacamedia sia intorno al valore della sogliaanaerobica. Come evidenziato dalla lette-ratura, in sforzi molto intensi, indipenden-temente dalla loro durata, si ha semprel’intervento del meccanismo glicolitico.Con sforzi molto intensi e di durata intor-no ai 5-10 s, tuttavia, non è eccessiva laquantità di acido lattico prodotta; l’acidolattico, dunque, può essere smaltito contempi di recupero sufficientemente lunghi,tanto che possono essere evitati elevatiaccumuli. Dalla letteratura si evidenziaaltresì che gli allenamenti di sprint trai-ning determinano un aumento nella con-centrazione di fibre rosse a discapito diquelle bianche. Ciò è dovuto al fatto che ilmeccanismo ossidativo è coinvolto signifi-cativamente dalla fase di recupero. Èsoprattutto nelle fasi di pagamento deidebiti contratti dai meccanismi anaerobici,insomma, che si verifica l’intervento dellecomponenti periferiche del meccanismoaerobico.

Figura 4 – Il 2,3 difosfoglicerato (2,3-DGP) è

un legante dell’emoglobina. Si tratta di un

anione forte le cui tre funzioni acide sono

ionizzate al pH dei globuli rossi. Il legame

2,3-DPG <---> emoglobina è massimo a pH

neutro. Decresce quando la concentrazione

di emoglobina aumenta, in presenza d’ossi-

geno o di anidride carbonica. Il legame 2,3-

DPG favorisce il passaggio dell’emoglobina

alla forma desossigenata. Esso è anche un

coenzima della fosfoglicerato mutasi, un

enzima della glicolisi

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Conclusioni

Le fibre muscolari si differenziano le unedalle altre per le caratteristiche morfologi-che, contrattili e metaboliche. I differentitipi di allenamento possono in parte modi-ficare queste caratteristiche. Nell’allena-mento intermittente forza è richiesta l’ef-fettuazione di sforzi di media-alta inten-sità e si ottiene così uno stimolo sulle fibredi tipo IIb, al contrario di quanto avviene,per esempio, in un allenamento aerobicocontinuo svolto ad intensità chiaramenteinferiore a quella della soglia anaerobica;in esso, infatti , secondo la legge diHenneman, tali fibre difficilmente inter-vengono. Attivando e allenando le fibre ditipo II, l’allenamento intermittente-forzacontribuisce dunque al miglioramento dialcune espressioni della forza. Quasi para-dossalmente, però, altri studi indicano cheun programma di allenamento incentratosu brevi periodi di sforzo molto intenso eripetuto in modo intermittente determinaun aumento della concentrazione dellefibre lente (e dunque ossidative) a scapitodelle fibre veloci. Uno stimolo intenso eripetuto, insomma, può indurre la conver-sione delle fibre di tipo intermedio in fibredi tipo ossidativo; sembrerebbe, dunque,che sia maggiore il coinvolgimento dellefibre di tipo I nella fase ossidativa delrecupero rispetto a quello delle fibre ditipo IIb nella deplezione delle riserve di CPe nello smaltimento dell’acido latticodurante il periodo di esercizio. Il fatto cheun lavoro molto intenso ed eseguito inmaniera intermittente induca un aumentodelle fibre di tipo ossidativo, può essereconsiderato un indizio del fatto che eserci-tazioni di questo tipo determinino ancheun coinvolgimento significativo delle com-ponenti aerobiche del metabolismo.Nel lavoro molto intenso, in ogni caso, ilfabbisogno di energia non può esserecoperto avvalendosi del solo meccanismoossidativo: deve necessariamente interve-nire anche il meccanismo anaerobico, siaattraverso il break down del creatin fosfa-to (CP), sia attraverso la glicolisi anaerobi-ca. Nel lavoro muscolare il break down delCP è un processo molto rapido; è statodimostrato, infatti, che le riserve di CPpossono essere totalmente consumate inuno sprint massimale della durata di 5-7 s.Le prestazioni di forza massima e dipotenza non sono però collegabili al quan-titativo di fosfati altamente energeticiimmagazzinati a livello muscolare, tranneche in soggetti sedentari, nei quali le basseriserve di questi substrati sono state visteessere limitanti per le espressioni di forza.Quello che sembra determinante ai fini delmiglioramento delle proprie capacità diesprimere il massimo della potenza, invece,

è la capacità di utilizzare velocemente ilCP. Gli atleti capaci di esprimere valori piùelevati di potenza muscolare, infatti, sonoquelli in grado di usare più velocemente leproprie scorte di fosfati altamente energe-tici. Si evidenzia, infatti, che gran partedelle riserve di creatin fosfato è utilizzatadurante i primi secondi di un esercizio dialta intensità e che la capacità di compierelavoro muscolare molto intenso è legataalla capacità di utilizzare il pool dei fosfatialtamente energetici. È stato inoltre dimo-strato come già con sforzi massimali ripe-tuti, ciascuno dei quali della durata di 5 s econ un recupero di 30 s fra l’uno e l’altro,si abbia un decremento della prestazioneassociato ad un netto calo del pool deinucleotidi adeninici, calo che si riflettenell’elevata concentrazione plasmatica diipoxantina e di acido urico. Ciò dimostre-rebbe come, anche in esercizi molto intensie di breve durata, ma ripetuti in modointermittente, si abbia un progressivoaccumulo di fatica; essa ha certamentecause multifattoriali fra cui la progressivadegradazione del pool dei nucleotidi ade-ninici. La capacità di eseguire brevi sforzimassimali, ma soprattutto di ripeterli inmodo intermittente, dunque, parrebbelegata all’attività enzimatica tipica deifosfati altamente energetici .Nell’allenamento di tipo intermittente-forza si determina un accumulo di fatica alivello del meccanismo anaerobico alatta-cido, nonostante siano molto brevi i tempidi lavoro. Alcuni autori hanno però osser-vato come in seguito ad un allenamento disprint training intermittente si abbia unincremento dell’attività degli enzimi deifosfati altamente energetici, in particolaredell’adenilato chinasi. Poiché tale enzimacatalizza una reazione reversibile, questoincremento dell’attività enzimatica potreb-be anche essere collegato con un aumentodella capacità di risintesi di CP durante lafase di recupero e, dunque, con un incre-mento delle capacità di resistenza delmeccanismo anaerobico alattacido. Diversi studi hanno dimostrato un incre-mento nella concentrazione di 2,3-DPG inseguito ad allenamenti costituiti da breviimpegni ad esaurimento; tale concentra-zione, inoltre, parrebbe essere condiziona-ta in modo significativo dalle abitudini divita. In particolare la concentrazione di 2,3DPG parrebbe essere influenzabile dallaipossia periferica. In questa condizione,infatti, viene stimolata una maggiore pro-duzione di 2,3-DPG e ciò diminuisce l’affi-nità dell’ossigeno con l’emoglobina, favo-rendone il rilascio a livello periferico. Ciòrende disponibile una maggiore quantitàdi ossigeno per il metabolismo ossidativo edetermina, a parità di lavoro compiuto,una riduzione dei debiti d’ossigeno. Dal

punto di vista applicativo un allenamentodi tipo intermittente-forza può creare lecondizioni per cui nell’organismo, a livelloperiferico, vi sia necessità di un aumentatorilascio di ossigeno a causa della differen-za fra la necessità di ossigeno e la quantitàdi ossigeno che giunge con la circolazione.Ciò potrebbe stimolare una maggiore pro-duzione di 2,3-DPG, mettendo a disposi-zione dei muscoli una maggiore quantitàdi ossigeno e riducendo, di conseguenza, idebiti d’ossigeno a parità di lavoro com-piuto.Non sono stati del tutto chiariti, invece,alcuni aspetti riguardanti la mioglobina.Se, infatti, da un lato è evidente la suafunzione di riserva supplementare e dipronta disponibilità di ossigeno, dall’altrolato non è ancora stato stabilito se nellanell’uomo sia possibile aumentare la con-centrazione della mioglobina. Da alcunericerche sembrerebbe che il contenuto dimioglobina muscolare sia determinatogeneticamente e che, perciò, non possaessere condizionato dall’allenamento. Invarie specie animali, tuttavia, è statodimostrato come la concentrazione dimioglobina muscolare sia senza dubbiodipendente dalle abitudini di vita e siainfluenzabile dall’attività fisica svolta. Taleadattamento ha un effetto molto localiz-zato. Negli studi nei quali si riporta chenell’uomo non vi è questo processo diadattamento, per di più, sono stati utiliz-zati programmi di allenamento di tipoaerobico continuo che determinano unprecoce adattamento circolatorio e che,dunque, non causano ipossia periferica. Inaltri studi è stato dimostrato come, in con-dizioni di ipossia periferica, si determini unaumento della mioglobina anche nell’uo-mo; parrebbe, insomma, che la concentra-zione di mioglobina sia inversamente pro-porzionale alla facilità di apporto di ossi-geno con la circolazione. Si può così ipo-tizzare che particolari condizioni di diffi-coltà di apporto di ossigeno con il sistemacircolatorio possano indurre un aumentocompensatorio della concentrazione dimioglobina. Nell’allenamento intermitten-te-forza, nel quale, all’inizio di ogni fase dilavoro, l’apporto di ossigeno circolatorio èlimitato dal tempo di latenza del meccani-smo, si può presumibilmente supporre checi si trovi in condizioni di ipossia perifericae dunque nelle condizioni di stimolazioneall’aumento della concentrazione di mio-globina. Non ci risulta che esistano ricer-che prendano in considerazione le varia-zioni della concentrazione di mioglobina inrelazione a questo tipo di sforzo nella spe-cie umana. Benché le esperienze “dacampo” forniscano riscontri molto interes-santi soprattutto per quello che riguarda imiglioramenti delle componenti periferi-

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che, tuttavia l’esiguità delle ricerche com-piute sull’intermittente forza non rendefinora possibile un raffronto degli effettisulle componenti della resistenza determi-nati da questa metodica e da altre meto-diche più collaudate. Si può concludere, inogni modo, che esistono numerosi presup-

posti di tipo fisiologico (aumento dell’atti-vità enzimatica riferita ai fosfati altamenteenergetici; aumento del 2,3-DPG; aumentodella mioglobina) perché questa metodicadi allenamento possa effettivamente esse-re considerata utile per il miglioramento dialcune componenti della resistenza.

Indirizzo degli Autori: Giampiero Alberti Facoltàdi Scienze Motorie, Università degli Studi diMilano, via Kramer, 4/A, 20129, Milano; FrancoM Impellizzeri, Laboratorio valutazioni funziona-li, Sport Service Mapei, via Don Minzoni 34,21053 Castellanza; Enrico Arcelli, Centro Studi eRicerche Fidal, via Flaminia Nuova 830.

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Alfio Cazzetta, Università di Catania, Coni Scuola Regionale di Sport della Sicilia

La preparazionefisica e le attivitàsubacqueePreparazione fisica e modelli di prestazione delle diverse attività subacque

Negli ultimi anni la ricerca scientificasubacquea ha fatto progressi notevoli.Non altrettanto si può dire delle pre-parazione fisica dell’atleta subacqueo.Mancano veri modelli di allenamento edi programmazione sia a breve che alungo termine, anche se le esigenze diuna preparazione fisica per potereaffrontare con serietà e sicurezza levarie attività subacque sono quantomai importanti. Lo sport subacqueocomprende attività che, pur basandosisugli stessi principi, sono fondamental-mente diverse, come mette in evidenzal’analisi dei modelli di prestazione dellevarie specialità. La prima differenza èdovuta all’immersione mediante apnea o con autorespiratore, che richiedonodal punto di vista biofisiologico undiverso impegno organico e quindi unuso diverso dei meccanismi di risintesienergetica: aerobico-anaerobico odaerobico. Nell’attività in apnea si vadall’immersione profonda alla cacciasubacquea, al nuoto pinnato in apnea,al nuoto sincronizzato, attività che purbasandosi tutte sulla sospensione delrespiro, ne differiscono nell’utilizzo:per tutta la durata della prestazione odin modo alternato, in profondità o dipoco sotto la superficie. L’attività conautorespiratore richiede l’uso del mec-canismo aerobico, ma un diverso impe-gno muscolare ed una diversa duratadella prestazione, da cui una diversapreparazione fisica. Le richieste di pre-stazione delle diverse attività prevedo-no un differente utilizzo delle capacitàpsico-motorie. Ne deriva una diversametodologia dell’allenamento, speciedella preparazione fisica generale e dibase, anche in cosiderazione dell’età,del sesso e della maturità dei soggetti.

Foto Vision

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1. La ricerca scientifica ed il mondo subacqueo

Le attività subacquee, pur se antiche, sipossono considerare di giovane sviluppo.Infatti, solo nel recente passato l’uomo,con l’aiuto della scienza, è andato allaconquista del mondo sommerso (Odaglia1998). Nell’ultimo trentennio, la ricerca scientificanelle attività subacquee, ha fatto dei pro-gressi enormi, forse inimmaginabili, visti ilimiti che gli studiosi di un tempo avevanoipotizzato, non tanto nella capacità ditrattenere il respiro per un certo tempo,quanto per la pressione esercitata sulcorpo dell’atleta immerso. Dai trenta metri,ipotizzati parecchi anni fa, si è passati adimmersioni che superano nettamente icento metri. Si afferma che nel 1913, unospugnaro greco (Georghios), fosse riuscitoa scendere a settanta metri di profondità,per recuperare un’ancora, ma egli asserivadi essere sceso anche a 110 m (McArdleW., Katch F., Katch V. 1998). Ma la ricerca scientifica ha potuto com-piere questo grande progresso, grazie aduomini avventurosi che col mare si sonocimentati, sfidandolo, ma trovando con-temporaneamente con lui, un rapporto diintima unione: da Boucher, a Maiorca eMayol, all’attuale Pellizzari. Negli anni ‘60,il confronto Maiorca-Mayol, ha portato asuperare ampiamente i limiti che i fisiologidel momento avevano fissato come insu-perabili. In effetti il confronto fra i duegrandi rivali-amici, ha seguito due aspettiparalleli, ma con differenti metodi: quellodi Maiorca, basato sulla volontà, sull’utiliz-zo della prestanza fisica, alla ricerca dellaprofondità, come pura sfida agli abissi,quello di Mayol, che camuffava lo stessoobiettivo, con un alone scientifico.Attualmente, si può dire che molte pauresi sono dissipate e la strada tracciata hadato modo ai successori di affrontare conpiù facilità e sicurezza gli abissi.

2. Allenamento, prestazione e prevenzione

Ma oltre alle sfide per i record in apnea,molto è dipeso dalle ricerche effettuate inambito militare ed in quello del lavoronelle piattaforme petrolifere. Se tanto pro-gresso si è avuto sia nella ricerca scientifi-ca, sia nell’allenamento specifico dell’a-pnea, non altrettanto si può dire della pre-parazione fisica che serve da supporto perchi si immerge: mancano dei veri modellidi allenamento e quel poco che esiste, èpiù che altro indirizzato agli atleti di altis-simo livello e con attrezzature che nientehanno a che vedere con la gran massa dipraticanti che aumenta continuamente.

Di programmazione si trovano solo delletracce, ma mai l’argomento è stato tratta-to con la stessa rilevanza che ha avutoaltri sport (Colantoni 1977; Maiorca 1989;Marcante 1980), malgrado l’attività subac-quea sia molto diffusa nel nostro paese. Invece, la necessità di una programmazio-ne della preparazione negli sport subac-quei, dovrebbe assumere maggiore impor-tanza, poiché in essi non si tratta di fallireuna prestazione, ma di rischiare la vita inimmersione.Non vi è in realtà una vera cultura sullapreparazione generale (se vogliamo, vi èanche poco sull’aspetto specifico) delleattività subacquee; molto è affidato adesperienze personali che si tramandano, eper molti aspetti il “fai da te” è ciò che fa

la gran massa dei subacquei (stagionali eanche agonisti).La diffusione della cultura sportiva subac-quea, oggi viene esercitata dalla Fipsas, laquale di concerto con il Coni, organizzacorsi per formatori, in modo da dare unnuovo e grande impulso alle disciplinesubacquee. Ma la stessa cosa e con corsimolto più brevi e di minore “spessore”, dalpunto di vista scientifico-metodologico,viene fatta da centri privati. È un problemadi una certa importanza che bisognaaffrontare. Non è certamente di facilesoluzione, visto che da una parte vi è laserietà e la severità di corsi lunghi ed arti-colati in collaborazione con il Coni e laFederazione medico sportiva, mentre dal-l’altra, con corsi di facile e veloce attuazio-ne (spesso non supportati dagli stessivalori scientifici), viene dato lo stesso tipodi brevetto.Quanti fra coloro che si ritengono espertidell’allenamento, sono veramente capaci ene hanno le competenze? Con quali reali

conoscenze affrontano il problema dellaformazione? In questa lotta è giusto met-tere delle regole ben precise ed operare inmodo tale che, oltre al risultato sportivo,venga tutelata anche la salute dell’atleta.Infatti gli obiettivi dell’allenamento debbo-no essere:

1. ricerca della massima prestazione2. sviluppo a lungo termine3. salute psico-fisica dell’atleta.

La cultura sportiva quindi, non deve essererivolta solo verso l’alta prestazione, maanche verso la prevenzione.Realizzare una preparazione completa, èanche prevenzione, perché l’atleta possaaffrontare con più sicurezza prove che,specialmente nel mondo subacqueo, pre-sentano un particolare rischio.

3. L’allenamento generale, speciale e specifico

L’allenamento dell’atleta subacqueo, comedel resto per la maggioranza delle attivitàsportive si articola su tre aspetti: generale,speciale e specifico (figura 1) e dei treaspetti, solo l’ultimo è conosciuto quasisufficientemente. Il lavoro generale viene eseguito “a secco”,cioè al di fuori dell’ambiente acquatico(palestra, campo, ecc) e contiene tuttequelle forme di attività che possono svilup-pare le capacità che sono alla base dellaspecialità. Lo sviluppo di questo lavoro,molto importante sin dalla fase giovanile,può, a volte, dare l’impressione di disco-starsi dal modello prestativo della specia-lità, ma in realtà le serve da supporto.Senza di esso, in un tempo più o menolungo, la qualità della prestazione potrebbeappiattirsi, se non diminuire in modo più omeno vistoso: esso rappresenta la strutturadi base di tutto l’allenamento.

Figura 1 –

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Il lavoro speciale rappresenta il trait d’u-nion fra l’allenamento generale e quellospecifico. Può essere realizzato sia a seccoche in vasca (piscina o similare) e contienegià i presupposti dell’allenamento delladisciplina; esso rappresenta un terrenocomune fra il lavoro dello specialista equello del preparatore (tabella 1).Il lavoro specifico è quello tipico delladisciplina e si svolge nell’ambiente usuale

di gara ed è “terreno” del tecnico del set-tore, pur se interagente con il lavoro delpreparatore. Spesso, per necessità ditempo e nell’attività giovanile, può esservila necessità di dover integrare la prepara-zione fisica con quella tecnico-tattica delladisciplina.Ciò che è importante sottolineare a tutticoloro che si interessano di attività subac-quea, è la necessità di non accostarsi a

questo gruppo di discipline come una“materia” stagionale, ma di esercitarsi inesse nel corso dell’anno e degli anni, senzainterruzioni, ma con modalità differentisecondo il periodo, la maturità e l’età del-l’atleta, il suo livello, l’obiettivo (o gliobiettivi a breve, medio e lungo termine).

3. Modelli prestativi delle attività subacquee: convergenze e divergenze

Le attività subacquee si espletano in apneao con autorespiratore. Quelle con autore-spiratore, sono fondamentalmente simili;infatti sia la fotografia subacquea che l’ar-cheosub, si basano sul meccanismo aero-bico, mentre il lavoro subacqueo, puressendo anch’esso aerobico, se ne diffe-renzia relativamente per le maggioriprofondità normalmente raggiunte e per ilmaggiore impegno fisico. Le attività inapnea, potrebbero sembrare simili, ma inrealtà, esaminando i modelli di prestazio-ne, ci si rende conto che possono esserefondamentalmente diverse (figura 2).L’apnea profonda nei diversi assetti ,richiede la capacità di resistere all’ipossia,in condizioni estreme di pressione, quandosi va oltre i 100 m (Corbucci 1998; Macchi1992; Odaglia 1998), e richiede condizionipsichiche di elevato livello come coraggioed autocontrollo. La risintesi energetica(tabella 2), è soprattutto di tipo aerobico(da volume polmonare e da riserva di O2),con una modesta percentuale di anaerobi-co-alattacido (nella prima parte dell’im-mersione) e lattacido (che viene utilizzatasolo nella fase finale della prestazione).

Lavoro generale Lavoro speciale Lavoro specifico

Comprende: Rappresenta il collegamento tra Contiene gli elementi fondamentali• lo sviluppo multilaterale (presupposto l’allenamento generale e quello specifico. della disciplina, in base al modello

per il futuro sportivo dell’atleta); Contiene i presupposti di prestazione ed alle esigenze• lo sviluppo generale del modello di allenamento sia per gli aspetti bio-fisiologici sia Contiene i presupposti della disciplina• lo sviluppo generale delle possibilità per quelli metodologici e tecnico-tattici

funzionali e psico-fisiche dell’atleta

Tabella 1 –

Apnea Caccia in apnea Nuoto pinnato Attivitàprofonda e nuoto sincronizzato in apnea con autorespiratore

Per via aerobica (da volume Per via aerobica (da respirazione) Per via aerobica (da volume Per via aerobicapolmonare e da riserva di O2) Per via aerobica (da volume polmonare e riserva di O2)Per via anaerobica polmonare e da riserva di O2) Per via anaerobico-lattacida(in piccola percentuale)

Figura 2 –

Tabella 2 – Modello della risintesi energetica nelle attività subacquee

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La caccia subacquea si basa su un numeroconsistente di apnee di medio-lunga dura-ta, ma non in condizioni di estremo disa-gio (come nell’apnea profonda) e interval-late da attività aerobica, sia come recuperosia per spostarsi da un posto all’altro delcampo di gara o di attività. Si ha quindi,un aspetto aerobico da respirazione,durante l’attività di superficie, un aspettoaerobico da volume polmonare e da riser-va di O2 e un buon intervento del meccani-smo lattacido, durante le fasi di immersio-ne. La caccia subacquea, oltre alle capacitàtecniche della disciplina, richiede un gran-de senso tattico, poiché l’atleta, caso percaso, deve risolvere nel migliore dei modile problematiche che le varie situazionirichiedono. È necessario, sin dall’attivitàgiovanile, stimolare la capacità di anticipa-zione e la capacità di scelta dell’azione perrisolvere i problemi. È molto elevata lacapacità di reazione di tipo complesso(imprevedibile).Fra le attività subacquee ritengo di inseriresia il nuoto sincronizzato che il nuoto pin-nato in apnea.Il nuoto sincronizzato, pur essendo un’at-tività principalmente tecnico-composito-ria, richiede periodi di apnea di mediadurata, intervallate da brevissimi periodiaerobici. L’impegno è di tipo aerobico darespirazione, durante le azioni svolte insuperficie (esse servono a recuperare ildebito di O2 e a preparare l’organismo perla successiva apnea, così come avvieneanche nella caccia subacquea, ma in tempimolto più brevi), un aspetto aerobico davolume polmonare e da riserva di O2 ed unsensibile intervento del meccanismo latta-cido, durante le fasi di immersione.Elevatissimo è il livello tecnico, mentrequello tattico sta nella scelta dell’esercizioda presentare. Il nuoto pinnato in apnea, consiste nelcoprire una distanza di 50 m nel più brevetempo possibile, in immersione e senzarespirare. Si ha un aspetto aerobico davolume polmonare e da riserva di O2 e unconsistente apporto dal meccanismo latta-cido, in quanto, a differenza delle altreattività, vi è un impegno massiccio dell’at-tività muscolare, durante la prova. Èimportante evidenziare che più veloce saràl’atleta nel coprire la distanza, più brevesarà il periodo di apnea. Ciò dipenderàdalla sua capacità di resistenza di forza edalla sua resistenza lattacida. L’aspettotecnico è di grado elevato, mentre quellotattico, consiste nella giusta distribuzionedello sforzo, durante la prestazione.Questi differenti modelli di prestazione,richiederanno dei metodi diversi di lavorospecifico, ma anche differenti metodi diallenamento di tipo generale e speciale(tabella 1).

4. Effetti specifici dell’immersione

La capacità di resistere per lungo temposenza respirare, è individuale: il campione,come in tutte le attività sportive, dipendeda aspetti genetici che verranno poimigliorati attraverso l’allenamento.Anche la capacità di apnea si può miglio-rare attraverso sistemi di allenamento spe-cifico, che dovrà essere supportato da alle-namento con caratteristiche generali especiali (tabella 3).

L’allenamento specifico dell’apnea si basasu una maggiore resistenza del sistemanervoso (i chemocettori carotidei ed aorti-ci) allo stimolo ipossico che consente, manmano nel tempo, di allungare la capacitàdi trattenere il respiro. Ciò si ottienemediante il controllo della respirazione estimoli specifici, cioè apnee medio-lungheripetute e con recuperi brevi, come consedute basate su apnee molto prolungate(a volte anche massimali), con recuperilunghi, durante le quali l’atleta primaristabilizza l’equilibrio pressorio fra O2 eCO2 e poi effettua la preparazione per lasuccessiva immersione.È necessario che l’atleta impari a ridurre ilcosto energetico dei suoi movimenti (tec-nica), eliminando quelli che possono esse-re di disturbo: tutto deve essere indirizzatoal massimo risparmio (tranne nel nuotopinnato in apnea).Durante l’immersione, l’organismo, comeda riflesso, abbassa la sua frequenza car-diaca. Ciò accade per la concomitanza didiversi motivi, dei quali occorre tenereconto durante gli allenamenti. Il primo è ilriflesso da immersione (dive reflex): bastache l’individuo immerga il viso in acqua,perché speciali centri nervosi situati nellaparte frontale, portino ad un primo abbas-samento della frequenza cardiaca.

Nell’immersione più profonda, la pressioneidrostatica tende a schiacciare sempre piùil corpo dell’atleta; ciò grava sulla cavitàaddominale, comprimendo gli organiinterni ed in modo specifico si riflette suldiaframma che tende a premere verso l’al-to i polmoni e maggiormente sulla gabbiatoracica, che viene schiacciata sempre più.Sembra che un maggior volume polmona-re sia già una condizione favorente allaresistenza allo schiacciamento.Ma la pressione idrostatica determinaanche una vasocostrizione periferica eduna vera “centralizzazione” del flussoematico: il sangue viene convogliato versola cavità toracica (blood shift), aiutando ilvolume polmonare a contrastare la pres-sione (Menchinelli 1988; Odaglia 1998).La concentrazione di globuli rossi aumen-ta, per l’azione pressoria esercitata sullamilza. A tutto ciò si aggiunge anche unamaggiore perfusibilità delle membrane siaa livello alveolare che tissutale e quindiuna migliore utilizzazione dell’ossigeno.Si può ipotizzare che nell’apnea profonda,l’atleta utilizzi una vera e propria riserva diossigeno: “Si vuole rilevare che, in ognicaso, specie nella primissima parte (ossia,come nelle prime decine di metri di unagara), nell'attesa che il meccanismo aero-bico e quello anaerobico lattacido sianodel tutto attivi, l'energia che serve all'atle-ta deriva, in buona parte, dal meccanismoenergetico anaerobico alattacido, maanche da quella sostanza che è statadenominata "granaio dell'ossigeno", ossiadalla mioglobina, un vero e proprio serba-toio di tale gas, dal momento che, dentroalle fibre muscolari, ne lega una certaquantità e ne cede gran parte ai mitocon-dri. La quantità di ossigeno ceduta dallamioglobina, in ogni caso, è di pochi millili-tri per ciascun chilogrammo del peso cor-poreo. Si tenga presente che la mioglobinaè una molecola che somiglia a quella del-l'emoglobina e che dà il colore rosso allefibre, soprattutto a quelle di I tipo (che nesono più ricche), così come l'emoglobina lodà al sangue” (Arcelli 2001).

5. Obiettivi della preparazionefisica

L’allenamento generale e speciale tende-ranno, attraverso stimoli aerobici a secco oin vasca, a stimolare un aumento delleriserve di O2, che non sono solo dipendentidal volume polmonare (capacità vitale), mada un aumento vero e proprio dell’emo-globina e dei globuli rossi, oltre che dallaspecializzazione dell’attività enzimatica, dauna riserva vera e propria di ossigeno con-tenuto nella mioglobina ed un suo aumen-to. Verosimilmente si potrebbe ipotizzareche, oltre alle intrinseche capacità geneti-

• Sensibilità dei chemocettori allo stimolo ipossico

• Riduzione del costo energetico• Riflesso da immersione (dive reflex)• Centralizzazione del volume ematico

(blood shift)• Vasocostrizione periferica• Aumento dell’emoglobina• Aumento dei globuli rossi• Aumento delle riserve di ossigeno• Perfusibilità delle membrane• Specializzazione dell’attività

enzimatica (mioglobina, carnosina)• Capacità di autocontrollo psichico• Capacità di autovalutazione

Tabella 3 – Effetti dell’allenamento specifico

all’apnea

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Da un punto di vista respiratorio l’immersione produce proble-mi diversi: da una parte le vie normali attraverso le quali l’ariaaffluisce ai polmoni risultano bloccate, mentre dall’altra lapressione intorno al corpo aumenta notevolmente con l’au-mento della profondità.Infatti la pressione che esercita la colonna d’acqua (98 kPa =735 mmHg = 1 atm per ogni 10 m di profondità dell’acqua) sisomma a quella barometrica che agisce sulla superficie dell’ac-qua. Se l’immersione viene eseguita poco sotto il livello dell’acqua,ci si può servire di un respiratore di superficie (snorkel) perprolungare le vie respiratorie e mantenere così un contatto conl’aria esterna (figura A). Comunque la respirazione è più diffi-coltosa anzitutto perché:1. aumenta il volume dello spazio morto (vengono così definiti

quegli spazi cavi che servono alla conduzione dell’aria, manon partecipano allo scambio gassoso);

2. durante l’inspirazione deve essere superata la pressione idrau-lica esercitata sulla gabbia toracica.

Comunque la possibilità di respirazione con lo snorkel e quindila profondità di immersione sono limitate da vari fattori: uneccessivo allungamento del respiratore di superficie aumentanotevolmente il volume dello spazio morto, e la resistenza del-l’aria aumenta quanto più stretto è il tubo; inoltre la pressioneidraulica diventa troppo alta: infatti durante l’inspirazioneall’interno del torace può prodursi una pressione massima dicirca 121 kPa (112cmH2O) per cui oltre i 112 cm di profonditànon è più possibile inspirare.Per permettere l’immersione a profondità maggiori si ricorre adattrezzature subacquee. In esse la pressione dell’aria inspiratoria(contenuta in bombole) viene adeguata automaticamente aquella circostante, per cui il subacqueo respira costantementecon un normale dispendio di forza. Però a causa dell’elevatapressione aumenta anche la pressione parziale dell’azoto (PN2,

figura B). Per questa ragione nel sangue viene disciolta unaquantità maggiore di tale gas (di circa sette volte a 60 m diprofondità) rispetto a quanto avviene alla superficie. Durantel’emersione, la pressione elevata si riduce gradualmente e l’azo-to supplementare non rimane in soluzione. Se l’emersione èlenta e graduale, l’azoto in eccesso viene eliminato con l’ariaespirata. Però se l’emersione è troppo rapida, si formano bolli-cine di azoto nei tessuti (sensazioni di dolore) e nel sangue cheprovocano la chiusura dei piccoli vasi sanguigni, provocandoun’embolia gassosa (figura B). Ad una profondità di 40-60 ciòpuò provocare ipnosi da gas inerte, mentre ad oltre 75 m siverifica avvelenamento da O2.Se l’immersione avviene senza servirsi di attrezzatura, ma sem-plicemente in apnea, allora nel sangue aumenta la pressioneparziale di CO2 (PCO2), in quanto l’organismo non può espelleretale gas con l’espirazione. Per cui, a partire da un determinatovalore di PCO2, attraverso i chemocettori si percepisce una sen-sazione di affanno. Tale sensazione rappresenta il segnale di“emersione”. Come è noto, per ritardare questo momento isubacquei esperti cercano di abbassare la PO2 nel sangue iper-ventilando. In questo modo riescono a rimanere sott’acqua perun tempo maggiore. Nel grafico della figura C sono illustratil’andamento della pressione parziale negli alveoli, la misura e ladirezione degli scambi gassosi alveolari durante un’immersionead una profondità di 10 m della durata di 40 s. L’iperventila-zione iniziale abbassa la PCO2 (linea rossa continua) ed incre-menta la PO2 negli alveoli e nel sangue. Con l’immersione aduna profondità di 10 m la pressione idraulica sul torace e per-tanto sugli alveoli, raddoppia. Per questa ragione aumentano lepressioni alveolari parziali (PO2, PCO2, PN2) e, quindi daglialveoli al sangue si diffonde una maggiore quantità sia di O2che di CO2 (figura C, in basso). Come detto, se la PCO2 nel san-gue aumenta fino a raggiungere un determinato valore, la per-sona percepisce il segnale d’emersione. Se l’ordine dato da

La respirazione in immersione

A B

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questo segnale viene immediatamente eseguito, la PO2 nelsangue e negli alveoli si abbassa rapidamente (per il consumodi O2 e scarico della pressione) e lo scambio alveolare di O2 hatermine. Perciò, quando si raggiunge la superficie dell’acqua, laPO2 ha raggiunto un valore tollerabile. Se però, prima dell’im-mersione, l’iperventilazione è eccessiva, ed allora il segnaled’emersione giunge troppo tardi, la PO2 si abbassa fino a zeroprima che venga raggiunta la superficie dell’acqua (perdita dicoscienza, possibile morte per annegamento, figura C, lineetratteggiate).

Va anche ricordato che durante l’immersione, a causa dellamaggiore pressione, gli spazi pieni d gas (polmoni, orecchiomedio, ecc.) si restringono - fino a 10 m di 1/2, fino a 30 m di1/4). Durante l’emersione, gli spazi occupati dai gas si dilatanonuovamente. Se l’emersione è troppo rapida, cioè avviene senza espellereregolarmente piccole quantità d’aria dai polmoni, il tessutopolmonare può essere lacerato e può verificarsi il peneumoto-race. Inoltre, in queste condizioni si verificano spesso emorra-gie ed embolie con esisto letale.

C

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che del soggetto, la capacità di resistereall’ipossia possa dipendere da:• la capacità di risparmio energetico (tec-

nica, decontrazione, concentrazione);• la maggiore concentrazione di globuli

rossi, dovuta all’azione pressoria (bloodshift);

• maggiore perfusibilità delle membrane;• volume polmonare;• aumento dei globuli rossi;• aumento dell’emoglobina;• aumento della quantità di mioglobina;• aumento della riserva di O2 (O2 contenu-

to nella mioglobina);• aumento dell’effetto “ tampone”.L’allenamento deve essere anche indirizza-to ai processi psichici che sono fondamen-tali, specialmente nell’immersione in apneaprofonda. L’autocontrollo (Rossi 1986) farà abbassa-re la frequenza pulsatoria, con un ulteriorerisparmio energetico e di O2.Nell’apnea profonda niente può essereaffrontato con approssimazione; l’atletadeve essere cosciente delle proprie capa-cità di tempo di apnea, secondo la profon-dità dell’immersione e la fiducia nella pro-pria équipe. Negli altri sport, un atletaconosce esattamente ciò che può fare ingara, ma se sente di non poter riuscire nel-l’impresa, potrà rallentare oppure rinun-ciare a continuare la prova; ciò all’apneistaprofondo non è concesso. Nell’immersionemassima, l’atleta sa di poter arrivare allasincope negli ultimi metri della risalita acausa della drastica diminuzione dellapressione parziale di O2 e l’improvvisoaumento della pressione parziale di CO2.Bisogna quindi mettere sulla bilancia lostress psichico da immersione che potreb-be far alzare improvvisamente la frequen-za pulsatoria e ridurre drasticamente iltempo di apnea. La capacità di autocon-trollo è di notevole importanza, speciequando qualcosa di inaspettato si ponedavanti al sub immerso. Ricordiamoci diun tentativo di record di Enzo Maiorca chefallì per l’interferenza imprevista di unestraneo immersosi con l’autorespiratoreper seguire per la TV il tentativo. Il falli-mento della prova sportiva è ben pocacosa rispetto al rischio corso dall’atleta,poiché a quella profondità un imprevistodel genere può significare la perdita dellaconcentrazione e la perdita di controllo delblocco respiratorio o compensativo, conrischi notevoli per la propria incolumità.Un problema importantissimo è quello diridurre al minimo il costo energetico attra-verso il buon uso della tecnica (quindi losviluppo delle capacità coordinative, in etàgiovanile), ma anche dalla capacità diforza, come di resistenza.Bisogna distinguere l’immersione in asset-to variabile, da quella in assetto costante. I

due tipi di immersione, richiedono undiverso tipo di allenamento, poiché èdiverso i l modello di prestazione.Nell’assetto variabile l’atleta si fa trascina-re in basso da una zavorra; oggi addirittu-ra non scende più a testa in giù, ma rittoin appoggio su una pedana: egli deve solocontrollare la velocità di discesa e devebadare alla compensazione e alla concen-trazione. In fase di risalita l’atleta pinneg-gia lentamente, ma più che altro tende adarrampicarsi con l’uso delle braccia lungoil cavo; nelle sue ultime immersioni, Mayolsi faceva trascinare da un pallone: egliaffermava che gli serviva solo per i primiventi metri di risalita, dove doveva fermar-si per i controlli medici.

6. La preparazione fisica nelle varie attività subacquee

L’apnea profonda

Nell’apnea profonda il lavoro sulla forzanon deve essere indirizzato verso grossemasse muscolari, quanto invece alla forzabase e alla resistenza di forza, ma semprecon sviluppo dell’eumorfismo. È necessarioevitare squilibri che possano, in certi casi,ridurre la durata dell’apnea e/o la lunghez-za del recupero. Nella fase giovanile, mag-gior cura deve essere indirizzata soprattut-to alla muscolatura del tronco (dorsali eaddominali), del bacino e dei muscoli ausi-liari alla respirazione. Sappiamo che unadifesa alla pressione (1 atmosfera ogni 10m di profondità), è data dal blood shift, maanche la forza muscolare contribuisceall’opposizione allo schiacciamento. Oggi si tende ad usare la monopinna

anche nell’immersione in apnea (in moltila ritengono più efficace), ma ciò compor-ta un particolare adattamento dei movi-menti: se non si esegue una tecnica per-fetta, l’uso della monopinna diventa con-troproducente. Bisogna tenere in conside-razione anche che la monopinna esercitauna maggiore trazione sul tratto lombaredella colonna, essendo simultanea l’azionedei due arti, per cui risulta ancora piùimportante rinforzare tutta la muscolaturadel tronco.La resistenza deve essere indirizzata prin-cipalmente verso l’uso del meccanismoaerobico, per migliorare la capacità di uti-lizzare l’O2 ed incrementare le riserve diossigeno attraverso un aumento dellamioglobina (quindi un numero ed un volu-me maggiori di fibre rosse) dell’emoglobi-na e dei globuli rossi. In questo casoandranno bene le esercitazioni sia di capa-cità aerobica che di potenza aerobica,mediante allenamenti di tipo generale,quindi principalmente a secco (la corsasembrerebbe la più indicata, vista la mag-giore frequenza pulsatoria) o di tipo spe-ciale, a secco o in piscina, anche attraversol’esercitazione natatoria.Durante la prestazione, l’intervento delmeccanismo lattacido in questa disciplina,avviene nell’ultima fase, quando l’ossigenocontenuto nell’emoglobina e nella mioglo-bina (riserva di O2) è già esaurito e quelloproveniente dal volume polmonare è dibassissima concentrazione. L’allenamentoper migliorare la resistenza lattacida deveessere effettuato sia nel lavoro specialeche specifico. L’uso della corsa in salita(salite brevi e medie), potrebbe essere digrande aiuto (tabella 4).

• Capacità psichiche (apnea di durata massimale)• Capacità di mantenere l’apnea:

• riserve di O2 • volume polmonare (capacità vitale)• O2 contenuto nell’emoglobina• O2 contenuto nella mioglobina

• resistenza alla stimolo ipossico • a forte deficit della pressione di O2(chemocettori carotidei ed aortici) a forte aumento della pressione

parziale di CO2 (ipercapnia)• Capacità di utilizzazione dell’O2• Riduzione del costo energetico

(coordinazione/tecnica: tanto maggiore è il lavoro muscolare, tanto maggiore è il consumo di O2, tanto più precoce è l’ipossia)

• Capacità di orientamento spaziale• Coraggio ed autocontrollo (stress psichico dell’immersione)• Atutostima (coscienza di sé e delle proprie possibilità• Resistenza• Forza• Mobilità articolare

Tabella 4 – Obiettivi della preparazione fisica all’apnea profonda in assetto variabile o costante

(apnea di durata massimale)

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La caccia subacquea

La caccia subacquea, ha in parte le stessecaratteristiche dell’apnea profonda, ma sene distingue per il fatto che la fase diapnea non tende ad arrivare ai limiti mas-simi, ma è di durata medio-alta; però que-sta viene ripetuta moltissime volte, adintervalli tali da poter permettere il recu-pero. Ciò implica, a livello di lavoro specifi-co, esercitazioni in apnea sia con recupericompleti che incompleti, in modo da sti-molare l’organismo ad adattarsi a stati diipossia di notevole entità (tabella 5).Gli intervalli fra le apnee non si attuanosolo da fermo per recuperare, ma per glispostamenti che il subacqueo effettua,pinneggiando lentamente. Il meccanismoaerobico nella caccia subacquea, assumequindi un’importanza maggiore, sia per unrecupero più rapido fra le apnee, sia pereffettuare gli spostamenti. In considera-zione di ciò, molto lavoro deve esserededicato all’attività aerobica negli allena-menti di tipo generale e speciale. È ipotiz-zabile che il cacciatore subacqueo facciamolto uso degli acidi grassi, visto che sitratta di solito di un’attività molto prolun-gata nel tempo e di movimenti eseguiti dinorma non molto velocemente. Bisognaconsiderare il fatto che, essendo un’atti-vità prolungata, è verosimile che le fibre diI tipo vengano man mano messe fuori uso,cosa che richiederebbe anche l’uso dellefibre di II tipo. L’effetto blood shift, èdiverso da quello dell’apneista profondoche si immerge in assetto variabile, mentreè simile a quello che usa l’assetto costante,poiché l’atleta, per scendere in profondità,è costretto a pinneggiare. Il cacciatoresubacqueo addirittura pinneggia anche perspostarsi in profondità; ciò implica unrichiamo parziale del sangue verso imuscoli che lavorano ed un maggiore con-sumo di ossigeno. Sotto quest’aspetto, ci sirende conto che il cuore, invece di essereagevolato per la centralizzazione ematica,è costretto anche a vincere una granderesistenza, per inviare sangue ai muscoliche lavorano. È probabile che, in questo

caso, molto dipenda dalle riserve di O2(nella mioglobina e nell’emoglobina).Buona cura bisogna dedicare anche allavoro lattacido, in quanto questo mecca-nismo interviene in tempi sempre piùbrevi, man mano che si avvicendano leapnee, poiché il recupero non è mai tale dariportare l’organismo al recupero comple-to. È anche da tener conto che nel turnover delle fibre, man mano che si succedo-no le apnee, vi è un maggior numero difibre che entra in azione, fino ad arrivarealle fibre di II tipo, poiché molte delle fibredi I tipo, tendono ad essere messe rapida-mente “fuori uso”. Come detto precedentemente (a propositodell’apnea profonda), anche nell’atleta chesi dedica alla caccia subacquea, bisognaprima rafforzare i muscoli del tronco inmodo che essi possano poi sostenere l’a-zione prolungata e a volte intensa deimuscoli degli arti inferiori che, specie conlo psoas iliaco esercitano una forte trazio-ne sulla parte lombare della colonna.Molto dipende anche dall’uso del tipo dipinna; infatti le pinne a pala corta richie-dono un minore impiego di quantità diforza rispetto alle pinne a pala lunga.L’utilizzo dell’una o dell’altra dipende daltipo di atleta: il risparmio energetico deveadeguarsi all’esigenza della potenza o del-l’agilità di spinta.La capacità di forza, oltre alla forza base,sarà indirizzata verso la forza resistente,tipica del cacciatore subacqueo. Questi dinorma non utilizza le braccia per la suaattività, in quanto sono solo gli arti infe-riori a sostenere la spinta propulsiva; quin-di molti subacquei, tendono a trascurare ilrafforzamento degli arti superiori; ciò pro-voca uno squilibrio che, a volte, può costa-re molto caro all’apneista. Le braccia, oltread essere adoperate come stabilizzatrici oper compiere lavori di routine, non è infre-quente che entrino in azione anche perspostarsi; in questo caso i muscoli nonadeguatamente allenati, accumulano unatale quantità di acido lattico, da mettere“fuori causa” l’atleta per un tempo supe-riore a quello richiesto di norma. È neces-sario, quindi, migliorare la forza anchedegli arti superiori, poiché all’uopo essinon saranno in contrasto con il resto delcorpo (eumorfismo): ogni gruppo ha unasua funzione. Nella fase di recupero, partedell’acido lattico accumulato dalle fibreviene inviato nel torrente circolatorio;muscoli forti ed allenati, consentono dineutralizzarlo in breve tempo.Molto importante è la capacità di reazionedell’atleta che si dedica alla caccia; eglideve essere pronto ad ogni piccolo segnalevisivo o uditivo. Si potrebbe dire che nelcacciatore di alto livello, i sensi sono tantoallenati che egli non ha la necessità di

vedere la preda, ma di “percepirla”; eglideve essere pronto a sfruttare il momentogiusto, diversamente avrà perso l’occasio-ne utile. La caccia subacquea, sotto questoaspetto, può essere considerata uno sportdi situazione. Per tale motivo è necessarioche, fin dalla giovane età, l’atleta abbia glistimoli adatti ad affinare la sua rapidità direazione ed impari a non perdere mai lamassima concentrazione, specie neimomenti particolarmente decisivi. Permigliorare la capacità di reazione, egli deveessere sollecitato con stimoli di varia natu-ra, sia visiva, che uditiva e tattile, in formaseparata e in forma mista.

Il nuoto sincronizzato

Il nuoto sincronizzato (tabella 6), puressendo apparentemente un’attività acicli-ca tecnico-compositoria, si avvale di altrecomponenti che sono simili a quelle dellacaccia subacquea, in quanto le apnee, purse non prolungate, si succedono in modocontinuo e con piccolissime pause fra esse.Prendono corpo anche in questa disciplinala componente aerobica e la componentelattacida, in quanto gli intervalli fra leapnee sono troppo brevi da permettere direcuperare completamente. Di conseguen-za, l’allenamento aerobico prenderà spazionell’attività di tipo generale e speciale,mentre le componenti alattacida e lattaci-da, saranno curate sia nel lavoro specialeche specifico. La capacità di forza saràindirizzata all’eumorfismo e come espres-sione, alla forza rapida specie per quantoriguarda gli arti superiori e alla forza resi-stente per gli arti inferiori. Molto lavoro,sin dalla fase giovanile, dovrà essere indi-

• Capacità di utilizzo dell’O2• Riduzione del costo energetico

(coordinazione/tecnica)• Capacità d’orientamento spaziale• Autocontrollo• Resistenza aerobica• Resistenza anaerobico-lattacida• Forza resistente

(tronco, arti inferiori e superiori)• Mobilità articolare

Tabella 5 – Obiettivi della preparazione fisi-

ca alla caccia subacquea (apnee medio-lun-

ghe, intevallate in attività di lunga durata)

• Capacità di mantenere l’apnea(volume polmonare, riserve di O2)

• Resistenza allo stimolo ipossico ripetuto

• Capacità di utilizzo di O2• Riduzione del costo energetico

(coordinazione/tecnica)• Capacità psichiche• Capacità coordinative

- orientamento spaziale- equilibrio statico e dinamico- capacità di ritmo- capacità di coordinazione

segmentaria• Resistenza anaerobico-lattacida• Resistenza aerobica• Mobilità articolare (elevata mobilità

della colonna vertebrale, del cingolo scapolo-omerale, dell’articolazione coxo-femorale, ecc.)

Tabella 6 – Obiettivi della preparazione fisi-

ca nel nuoto sincronizzato (attività tecnico-

compositoria, con apnee medie, intervallate)

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rizzato alla mobilità e alle capacità coordi-native (base per l’abilità specifica): orienta-mento spaziale, equilibrio statico e dina-mico, ritmo e accoppiamento (tabella 6).

Il nuoto pinnato in apnea

Il nuoto pinnato in apnea è un’attività ditipo ciclico che si svolge su una distanza di50 m. In questa disciplina, l’apnea è dibreve durata, però, diversamente dallealtre discipline subacquee, durante la pre-stazione l’atleta non utilizza movimentilenti e basati al risparmio energetico, madeve lavorare intensamente in modo daraggiungere la meta nel più breve tempo.Ciò significa che la durata dell’apnea è piùbreve negli atleti più veloci.L’effetto blood shift è limitatissimo sia per-ché l’atleta nuota a bassa profondità, maspecialmente perché il sangue, diversa-mente che nell’apneista di profondità, èmandato copiosamente ai muscoli chestanno lavorando intensamente.Dal punto di vista dell’utilizzo energetico,vi è un massiccio intervento dei meccani-smi alattacido e lattacido, ma anche delmeccanismo aerobico da volume respira-torio e da riserve di ossigeno. Secondostudi effettuati dal prof. Dal Monte, il tipodi utilizzo energetico, nel complesso dellaprestazione, si potrebbe suddividere in: 5%aerobico, 30% lattacido, 65% alattacido.(Faina et al. 1987). Nei 50 m in apnea, la gara si risolve, dinorma, in tempi che vanno da 15 s a 17 sper gli atleti di elevato livello; sarà mag-giore il tempo impiegato dagli atleti dilivello meno elevato; ciò comporta undiverso approccio dell’allenamento diapnea nei diversi livelli ed un impiego piùampio del meccanismo lattacido.L’allenamento specifico, avrà come obietti-vo una più ampia riserva di fosfati, unamaggiore resistenza alla concentrazione diacido lattico e la formazione di “tamponi”all ’ interno delle fibre, ma anche unaumento della capacità delle riserve di O2(mioglobina), della stessa mioglobina, dellacapacità di utilizzo di O2, di un aumentodell’emoglobina e dei globuli rossi.“Nel citoplasma della fibra, infatti, ci sonodelle sostanze, i tamponi, che hanno lacapacità di neutralizzare – in praticafacendoli scomparire – una parte degli H+.Fra i tamponi, oltre ai fosfati e ai bicarbo-nati, sono molto importanti alcune sostan-ze di natura proteica, a partire dalla carno-sina e dalla creatina. Anche nei liquidiextracellulari e nel sangue esistono tam-poni, in particolare sotto forma di bicarbo-nati” (Arcelli 2001).È evidente che il meccanismo alattacido èpreponderante, ma bisogna evidenziare ilfatto che l’atleta, durante la prestazione

deve trattenere il respiro, per cui, non solovi è un grande utilizzo del meccanismolattacido (probabilmente maggiore diquanto si sia rilevato), ma anche il mecca-nismo aerobico entra in azione in tempipiù brevi di quanto si possa verificare inattività similari come la corsa effettuatanello stesso tempo. La differenza fra unagara di corsa di 200 m ed una gara di 50m in apnea, sta nel fatto che l’atleta operaun’azione massiva con tutti i muscoli delcorpo per vincere una grande resistenzaall’avanzamento (che aumenta con l’au-mentare della velocità, con un rapporto di1 a 2 e cioè al quadrato della velocità nel-l’aria ed una resistenza che in acqua puòdiventare sei volte maggiore), è costretto aconsumare precocemente l’O2 contenutonei polmoni e nei punti di riserva (uno deiproblemi maggiori, nel nuoto pinnato èquello di avere una grandissima idrodina-micità).Il meccanismo lattacido entra in azione inmodo quasi contemporaneo a quello alat-tacido, vista la potenza impegnata nell’a-zione, ma entra in azione anche quelloaerobico (proveniente dal volume polmo-nare e dalla riserva di O2). È importantequindi avere un buon livello di V

.O2max.

Secondo studi effettuati presso l’Istituto discienza dello sport di Roma (Faina et al.1987), il livello del V

.O2max nel nuoto pin-

nato, rispetto alla corsa è di livello inferio-re, per la posizione del corpo: “la posizioneorizzontale sfavorirebbe l’afflusso di san-gue ai muscoli, per lo meno nella misurache si rivela nella corsa, dove invece lapressione idrostatica agisce come fattorefavorente la caduta del sangue verso legambe, per cui nel nuoto vi arriverebbemeno ossigeno”. Personalmente penso cheil maggiore impiego di O2 nella corsadovrebbe essere deputato al fatto che inquesta l’atleta è costretto a sollevare ilpeso del corpo ad ogni passo (opposizionealla forza di gravità), mentre nella posizio-ne natatoria, manca questa problematica,ma aumenta la resistenza per l’opposizio-ne all’avanzamento; anche se, nel nuotosubacqueo, essendo inferiore l’effetto scia,rispetto al nuoto in superficie, la resistenzarisulta lievemente inferiore. Penso cheinvece la posizione orizzontale aiuti il san-gue a ritornare più facilmente al cuore,facilitando così la fase di ritorno, ma tro-vando un contrasto nella fase di andata.In ogni caso, riflettendo sulle ricerche con-dotte dall’Iss di Roma, per il tecnico risul-terebbe importante che, durante la fase dipreparazione generale, l’atleta eseguisseparecchi lavori a secco con il mezzo dellacorsa, per poter arrivare a livelli superioridi V

.O2max, anche se l’azione meccanica è

diversa da quella del nuoto pinnato; biso-gnerebbe valutare ciò che si perde da una

parte e ciò che si può guadagnare dall’al-tra. Probabilmente il problema dipendaanche dalla risposta individuale. Nella parte finale della competizione, laproduzione di ATP di origine lattacida deveessere la più elevata possibile, anche se neimuscoli vi è già un’alta concentrazione dilattato; ciò significa che, durante gli alle-namenti specifici, bisogna “creare” situa-zioni lavorative con grossi deficit di O2:aumentare la presenza degli enzimi glicoli-tici, (fosfofruttochinasi e fosforilasi). Permigliorare quest’aspetto, bisogna che inallenamento, l’atleta effettui prove in cuiparta già con una certa concentrazione diacido lattico, oppure che il tratto finale siapiù difficoltoso, attraverso cambiamenti divelocità, prove a scaletta, con impegni increscendo o contro resistenza nelle provein vasca, o con tratti in salita, nelle prove asecco. Il miglioramento del potere tampone, siottiene attraverso un grande numero diripetizioni che, oltre a sollecitare il turnover delle fibre, tende a far produrre unagrande quantità di lattato (capacità latta-cida). Il miglioramento del livello del pHcritico, si ottiene attraverso stimoli di altaintensità e recuperi abbondanti (potenzalattacida). In questo caso sarebbero utilianche lavori in salita (a secco) o controresistenza (in vasca).A differenza delle altre specialità cheattuano la pinneggiata alternata degli artiinferiori, nel nuoto pinnato si utilizza lamonopinna. L’azione dei due arti è con-temporanea, nella stessa direzione (in altoo in basso) ed è più ampia che nella nuo-tata in superficie; ciò comporta un’azionepiù impegnativa degli psoas, nel movimen-to in basso, che quindi esercitano un cari-co notevolmente elevato sul tratto lomba-re della colonna. Per questo motivo ènecessario avere molta cura (più che nellediscipline precedenti) nel potenziamentodei muscoli del tronco, specie addominali edorsali (cominciando dalle fasce giovanili).Oltre alla forza base, la metodologia diallenamento, sarà indirizzata verso la forzaveloce e resistenza di forza: maggiore saràla grandezza della pinna, maggiore sarà larichiesta della quantità di forza nell’unitàdi tempo. La scelta della grandezza dellapinna, sarà individualizzata, per ottenereun migliore rapporto tra la forza impiega-ta, la velocità del gesto e la frequenza. Ingenere quella più piccola è preferita daivelocisti, mentre la più grande dai mez-zofondisti (Ciavarella 2000).Un’altra espressione da ricercare, sarà laforza elastica che, in questa disciplina,assume una maggiore espressione. Biso-gna porre molta attenzione al potenzia-mento degli arti inferiori, poiché, essendosimultanea la loro azione, potrebbe verifi-

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carsi che se uno dei due arti è meno fortedell’altro, il carico di lavoro viene effettua-to maggiormente da quello più forte, conil risultato di uno scadimento della presta-zione, per un precoce affaticamentomuscolare.Per quanto riguarda le braccia, si potrebbepensare che non si abbia la necessità diparticolare cura, poiché esse rimangonodistese in avanti a mani unite, per tutto iltempo della gara (Ciavarella 2000). Al con-trario, esse effettuano un’importantissimaazione di “appoggio” dinamico, corrispon-dente all’attività degli arti inferiori, com-pensandone la spinta: più potente sarà laspinta, maggiore sarà la pressione dell’a-zione delle braccia sull’acqua, sia versol’alto che verso il basso, a seconda delmomento dell’azione (figure 2 a,b,c).Bisogna considerare che vista l’azionequasi statica degli arti superiori, in questi,durante la prova, il flusso di sangue è limi-tato. In tal senso, la forza degli arti supe-

riori, sarà indirizzata verso la forza massi-ma e la resistenza di forza, con l’utilizzoanche del metodo isometrico.In questa specialità, assumono moltaimportanza sia l’idrodinamicità, sia l’ac-quaticità che la biomeccanica: un cattivoutilizzo della tecnica provocherebbe uninutile spreco energetico. Del resto, comeper le altre specialità, uno squilibriomuscolare, nel nuoto pinnato in apnea,provoca grandi scompensi della catenacinetica che si riflettono negativamentesull’utilizzo della forza elastica (Ciavarella2000) (tabella 7).

7. Valutazione e programmazione

La valutazione degli sport subacquei, è piùproblematica che nelle altre discipline, macon la vasca ergometrica dell’Iss (Menchi-nelli 1988), e la telemetria, oggi è possibileeffettuare dei controlli più attendibilirispetto al passato. La resistenza dell’acquaall’avanzamento è data da quattro elichecollegate ad un motore marino di 240 HP,sistemate in modo da dare un flusso d’ac-qua omogeneo su tutti i punti della vasca. In genere gli sport subacquei difettanomolto nella stesura di una programmazio-ne dell’allenamento che l’atleta deve svol-gere, sia nell’arco dell’anno che degli anni.La programmazione è la scelta dell’itinera-rio della preparazione ed inizia dalmomento in cui l’atleta comincia la suaattività nella specialità e si sviluppa invarie tappe, dalla fase giovanile, alla matu-rità, all’alto livello. Al giorno d’oggi non èproponibile, un’attività svolta in modoperiodico e spesso con approssimazione:ciò è molto rischioso in quanto per essereun atleta (e lo sport subacqueo lo richiedein modo particolare), è necessario che ogni“tassello” vada al giusto posto.La programmazione parte dalla conoscen-za dell’atleta, che viene sottoposto ad unaserie di test, per verificarne lo stato di par-tenza, poi si sceglie l’obiettivo (o gli obiet-tivi) da raggiungere, quindi i mezzi da uti-lizzare ed infine il metodo (o i metodi), perraggiungere la meta. Questa è la base,senza la quale qualsiasi tipo di attività èsolo un vacuo dimenarsi e, nel caso del-l’attività subacquea, si corre il rischio dilasciarci la vita. È chiaro che la program-mazione non è un elemento strettamenterigido, ma flessibile della preparazione,poiché deve adattarsi alle esigenze dell’a-tleta (duttilità). Nel contesto dell’allena-mento, non solo la programmazione èstrettamente individuale, ma, spesso,richiede variazioni dettate da diverse esi-genze interne o esterne all’atleta; ciòrichiederà dei cambiamenti dell’itinerarioprevisto, in base alla situazione (ripro-grammazione).

La programmazione dell’allenamento, pre-vede dei diversi periodi durante il cicloannuale, in base a ciò che ci si prefigge diottenere in itinere: la periodizzazione.La periodizzazione semplice (suddivisionedell’attività in periodi) è quella che devecoinvolgere il settore giovanile; al contrario,quella plurima, (gare continue durante ivari periodi dell’anno), riguarda l’alto livello.È molto importante che il subacqueoimpari a seguire un piano di lavoro annua-le e/o pluriennale, in modo da poter effet-tuare un lavoro progressivo, senza sbalzied adeguato alle proprie possibilità (quindiil più possibile individualizzato); ad appun-tarsi in un diario sia il lavoro effettuato(che spesso si è costretti a variare), sia lesensazioni, positive o negative, lo statopsichico, lo stato di salute e tutto ciò chepuò avere riflessi sul proprio rendimento, irisultati dei test periodici e delle gareeffettuate. Il diario è un testimone dellastrada percorsa che è rappresentata dauna serie di tasselli che pian piano vanno aconcatenarsi e che, all’uopo, possono esse-re “interrogati” per rendersi conto di ciòche si è fatto e per ripartire per un nuovoperiodo. Il diario rappresenta anche unprimo passo verso la divulgazione di nuoveesperienze da cui ripartire senza rifare glierrori, ma sapere come evitarli.

Indirizzo dell’Autore: prof. Alfio Cazzetta, Via delBosco 407, 95125, Catania.

• Capacità di mantenere un’apnea medio elevata a bassa profondità (volume polmonare, riserve di O2

• Resistenza allo stimolo ipossico• Capacità di utilizzo dell’O2• Riduzione del costo energetico

(coordinazione/tecnica)• Autocontrollo• Resistenza aerobica (da riserve di O2)• Resistenza lattacida

(tamponi all’interno delle fibre)• Resistenza alla forza/forza elastica• Mobilità articolare (specie del tronco

e del cingolo scapolo omerale)

Tabella 7 – Obiettivi della preparazione fisi-

ca nel nuoto pinnato in apnea (apnea di

media durata, resistenza di forza, resistenza

lattacida)

Bibliografia

Arcelli E., Mezzofondo veloce, ed. CentroStudi e Ricerche Fidal, 2001.Ciavarella M., In attesa di essere olimpico,Sport e Medicina, 2000, 4, 26-29.Ciavarella M., A colpi di pinna, Sport eMedicina, 2000, 4, 41-45.Colantoni P., La scienza subacquea, Ed. LaCuba, 1977.Corbucci G., Tra fisiologia e patologia, Sporte Medicina, 1998, 3, 35-36.Faina M. et al., I costi energetici del nuotopinnato, Sds-Scuola dello sport, V, 11, 1987,46-53.Maiorca E., Uno sguardo negli abissi, Sport eMedicina, 1989, 3, 21-22.Maiorca E., Tecnica di allenamento di EnzoMaiorca, Ed. La Cuba 1977Macchi G., Cuore e vasi durante l’apnea,Sport e Medicina, 1992, 6, 8-9McArdl W., Katch F., Katch V., Lo sportsubacqueo, Fisiologia applicata allo sport,Casa editrice Ambrosiana , 535-545.Marcante D., Manuale federale di immersio-ne, Ed. La Cuba, 1980Menchinelli C., Una vasca per la scienza, Sds-Scuola dello sport, VI, 12, 1988, 55-61.Odaglia G., Un rischio nell’immersione, Sporte Medicina, 1998, 3, 32-34.Rossi B., La forza di resistere Sds-Scuoladello sport, IV, 1986, 5, 26-33.

a

b

c

Figura 2 a, b, c

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Prospects for the training structure Peter Tschiene

The paper emphasises the need to considercompetition and training structures as onesystem and outlines future aspects that mayhave a bearing on the latter. In the future,those specialising in the theory and method-ology of training will have to take a greaterinterest in the role played by competitionand competition performance demands.Training loads may not remain a fundamen-tal criterion. Preparation immediately prior tothe competition must be considered as animportant element of performance enhance-ment. With reference to biological adapta-tion as a basis for raising performance levels,only by studying and taking into considera-tion the adaptive qualities of athletes will itbe possible to pinpoint training and competi-tion loads, a fundamental part of moderntraining. Another important aspect is theintegration of recovery processes in trainingstructures. The types of recovery times mustbe differentiated according to set aims andthe traits of different sports, and must takeinto account the duration and content ofprevious training loads and of competitionsin which one is involved. In the future gener-al recommendations on training structureswill serve only as purely practical guidance.The sphere of theory and methodology mustwork more on structural models that are bestsuited to the specific aims of different sports.A new classification of systems of trainingexercises and methods will be a fundamentalmove towards a systematic conception oftraining and competition structures.

The block structure of trainingW. Issurin, W. Shliar

This article aims at the generalization andcritical examination of the most importantaspects of the modern training build-up ofhighly qualified female and male athletes.The following aspects are dealt with: thecomplete amounts of training; the blockstructure; the competition preparation. Theexamination is particulary based on experi-ences from the training of the best Sovietathletes (during the period between 1976and 1991) and the training experiences ofthe national Israeli teams (1992 to 2001).

Principles of training monitoringM. Viru, A. Viru

Training monitoring aims at recording thecurrent training process, guaranteeing feed-back information about current trainingeffects; assessing the suitability of the train-ing program for the athlete and fathoming

his or her adaptative possibilities. In this arti-cle training monitoring is examined from thepoint of view of medicine, biochemics, andethics. The focus is on correcting the trainingprogram and the objective recording of col-lected experiences.

Top-level gymnasts and the fear of injuryAnna Claudia Cartoni, Andrea Massaro, Carlo Minganti, Arnaldo Zelli

There is a high element of risk in artisticgymnastics. Anyone observing an artisticgymnastics competition, especially a top-level one, is struck by the apparent simplicityand naturalness with which gymnasts per-form clearly difficult movements. It appearsindeed that gymnasts effortlessly performmovements actually requiring a greatamount of force, and do acrobatics as ifflaunting the rules of gravity on surfaces thatare often uncomfortable. One is amazed bythe fact that clearly dangerous top-levelartistic gymnastic movements are performedwithout any evident fear. It may appear thatthese gymnasts have learned how to dealwith or even eradicate fear. This is not alwaysthe case. Even top-level gymnasts openlydeclare their battle with fear, which canhamper their technical development. Thispaper set out to gain a greater understandingof gymnasts’ fear of injury, of the psychologi-cal blocks that fear can erect and of connec-tions with other important variables, such aspast experiences of injuries, general concernor anxiety felt by gymnasts when competingor performing technically difficult exercisesand the sense of belief these gymnasts havein their technical and athletic abilities.

Eating behavior disorders in competitivesportA. Schek

Does (competitive) sport attract individualswho suffer from eating disorders? Can playngsports cause eating disorders? Can sportactivity favor the development of eating dis-orders in predisposed persons? Answers tothese questions are provided in this article.Furthermore, concrete recommendations aremade concerning the diagnosis and treate-ment of eating (behavior) disorders in femaleand male athletes and the effects of longterm underweight on health are discussed.

The effects of reduction of body weighton performance in combat sportS. Timpmann, V. Ööpik

The body weight is an indicator of the ath-letes’ state of health and physical perfor-mance ability in a variety of sports. In sportswhere competitions are carried out in differ-ent weight classes the body weight is decisivefor the admission to a definite competitioncategory. The goal of this article is the analy-sis of periodic weight reductions and theireffects on metabolism and performance.

Intermittent force training Giampiero Alberti,Enrico Arcelli, Franco M. Impellizzeri, Domenico Gualtieri

Through an analysis of the effects of trainingon muscular fibres, cardiac performance, cre-atinphosphate, myoglobin, 2,3 diphospho-glycerate and the production and accumula-tion of lactate, an attempt is made to assesswhether the training method termed as“intermittent force” training, in which run-ning activities, typical of intermittent work,are replaced by force exercises, can help toimprove elements of endurance in sportinggames. The paper ends with the conclusionthat despite the interesting findings suppliedby field experiences the shortage of research-es conducted on intermittent force makes itimpossible to compare the effects onendurance produced by this method withother more tested methods. It may howeverbe stated that there are numerous physiolog-ical premises for considering this trainingmethod to be useful for improving some ele-ments of endurance.

Physical preparation and underwateractivities Alfio Cazzetta

Much progress has been made in recent yearsin the sphere of underwater scientificresearch. The same cannot be said for thephysical preparation of underwater athletes.There is a dearth of actual training modelsand short- or long-term programming eventhough the need for physical preparation toperform underwater activity with due seri-ousness and in safety is extremely important.Underwater sport includes activities that arebased on the same principles yet are funda-mentally different, as highlighted by ananalysis of technical models for the variousspecialities. The first difference is betweenbreath-hold diving and scuba diving, entail-ing different forms of organic exertion inbio-physiological terms and a different use ofenergetic re-synthesis mechanisms: aerobic-anaerobic or aerobic. Breath-hold divingranges from deep breath-hold diving tounderwater fishing, breath-hold fin swim-ming and synchronised swimming, activitiesthat are all based on holding one’s breath butdiffer in practical terms: throughout theduration of the activity or intermittently, at adepth or just below the surface. Activitiesperformed using an aqualung entail the useof the aerobic mechanism but a differentmuscular exertion and a different duration ofthe activity, and thus a different physicalpreparation. The demands required by variousactivities entail a differing use of mental andmotor capabilities. Different training meth-ods are accordingly required, especially forgeneral and basic physical preparation, alsoin view of the age, gender and maturity ofthe persons involved.

Summaries