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Dalla PAROLA di Dio al DIO della Parola XXXI Maggio MMIX Sussidio a cura di TONINO FALCONE sdB [Dimensione teologico-biblica] e di JESUS MANUEL GARCIA sdB [Dimensione teologico-spirituale]. DOMENICA “ DOMENICA “ DELLA SANTA DELLA SANTA PENTECOSTE PENTECOSTE [CICLO B]

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Dalla PAROLA

di Dio al DIO della

Parola

XXXI Maggio

MMIX

Sussidio a cura di TONINO FALCONE sdB [Dimensione teologico-biblica] e di JESUS MANUEL GARCIA sdB

[Dimensione teologico-spirituale].

DOMENICA “DOMENICA “DELLA SANTADELLA SANTA PENTECOSTEPENTECOSTE””

[CICLO B]

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

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“Dalla Parola di Dio al Dio della“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola!”Parola!”

1] Evangelo1] Evangelo11: : Giovanni Giovanni 20,19-2320,19-23

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco.

E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Co-me[Poiché] il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete [Accettate] lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

2] Esegesi e Teologia2] Esegesi e Teologia22

1 Prendiamo le Letture dal Lezionario del Messale Romano [LEV, 2007], preparato secondo l’editio typica altera dell’Ordo lectionum Missae, utilizzando la versione della Santa Bibbia curata dalla Conferenza Episcopale Italiana [CEI], approvata secondo le delibere dell’Episcopato. L’edizione 2007 del Lezionario del Messale Romano deve essere considerata “tipica” per la lingua italiana, ufficiale per l’uso liturgico. Il Lezionario si potrà adoperare a partire dal 2 dicembre 2007, Prima Domenica di Avvento; diventerà obbligatorio dal 28 novembre 2010.

2 Si avvisa il lettore che nel commentare “liturgicamente” la Santa Scrittura ci si attiene all’ormai pluridecennale proposta del compianto amico e collega prof. TOMMASO FEDERICI pubblicata nei suoi numerosi scritti [a cui si rinvia in nota e in bibliografia] e da noi rilanciata con le diverse pubblicazioni sullo studio del suo metodo “unico” di lavoro. Per i dettagli cfr. ANTONIO FALCONE, Tommaso Luigi Federici [in memoriam], in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 576-583.801-806; La lettura liturgica della Bibbia: il Lezionario, in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 747-756; La Bibbia diventa Lezionario, in Atti della Settimana Biblica Diocesana [21-23 febbraio 2002], Piedimonte Matese 2002, 1-16; Profilo biografico e bibliografia di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 17-55; Il metodo della “Lettura Omega” negli scritti biblici, patristici, liturgici e teologici di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 71-95; La comunità religiosa oggi, “scuola di preghiera”, in A. STRUS - R. VICENT [a cura di], Parola di Dio e comunità religiosa, ABS-LDC, Torino 2003, 87-97; The religious community today “a school of prayer”, in M. THEKKEKARA [edited by], The word of God and the religious community, ABS, Bangalore 2006, 117-134; “Annuncia la Parola ...” [2 Tim 4,2], in R. VICENT - C. PASTORE [a cura di], Passione apostolica. Da mihi animas, ABS-LDC, Torino 2008, 161-172; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte I], in Parola e Storia 3 [2008], 67-101; Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte II], in Parola e Storia 4 [2008], 241-288. È utile avere sotto mano anche TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

Il giorno della Pentecoste rappresenta il completamento del Tempo della Resurrezione durante il quale i riferimenti alla prossima venuta dello Spirito Santo sono molteplici. Tale venuta dello Spirito segna una tappa importante per la timida ed incerta Comunità dei discepoli di Gesù, la quale aveva bisogno di “metabolizzare”, per così dire, tutta la straordinaria esperienza realizzata con il Maestro e culminante con gli eventi del mistero della sua “Passione, Morte e Resurrezione”. Eredi di quella Comunità e coscienti di dover ancora impegnarci tanto per consentire allo Spirito Santo di dispiegare con pienezza i suoi effetti in noi, vogliamo nuovamente benedire Dio e lodarLo per la grandezza delle sue opere, come c’insegna a fare il Salmo 103. Ogni opera di Dio è grandiosa, ma una le supera tutte manifestando indiscutibilmente la sua onnipotenza: “donare la vita” [«Se togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra»]. Si tratta della Gloria di Dio, il quale si compiace soprattutto di vedere la vita trionfare sulla morte, dandocene un segno chiaro con il resuscitare dai morti il Figlio suo, per mezzo dello Spirito Santo, «che è [del] Signore e da la vita», “il Vivificante”. Nel capitolo 20°, come sappiamo, l’evangelo di Giovanni narra gli avvenimenti del giorno della Resurrezione. Chi vide il Signore Risorto per prima e parlò con Lui fu Maria Maddalena presso il sepolcro [vv. 14-17], la quale, poi, andò a riferire agli altri discepoli quanto le era accaduto [v. 18]. Soltanto a sera il Signore Gesù apparve ai discepoli riuniti, come concordemente afferma, oltre a Giovanni, anche Luca [cfr. 24,36-43]. Infatti, le due narrazioni presentano diversi punti in comune: a sera il Signore Gesù appare in mezzo ai discepoli; Egli saluta dicendo: «Pace a voi». Gesù mostra le ferite sul suo corpo per facilitare il riconoscimento da parte dei discepoli. Giovanni, inoltre, in poche battute riferisce il mandato missionario e l’effusione dello Spirito Santo, mentre Luca parla più ampiamente della missione [cfr. 24,44-48] e fa soltanto annunciare a Gesù il prossimo invio dello Spirito Santo “Paraclito” [cfr. 24,49].

Dopo questo raffronto, che conferma una certa e ben nota vicinanza tra gli evangelisti Giovanni e Luca, ritorniamo all’esame del brano. Dobbiamo subito notare la situazione di “miseria” in cui versavano i discepoli. Costoro erano in un luogo [non specificato dalla narrazione evangelica], con le porte sbarrate per paura dei Giudei: ciò fa pensare che essi, oltre a motivi di prudenza [temevano di essere arrestati o di essere accusati di aver rubato il corpo di Gesù?!], non si attendevano altro da quella giornata, in cui non era

lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001; “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996; Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Dehoniane, Napoli 1987, I, 444; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587; Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A , Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232.

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ancora certo se dovessero nutrire speranze o, al contrario, aspettare il momento opportuno per fuggire da Gerusalemme. Ci possiamo chiedere che effetto abbiano avuto le visite al sepolcro vuoto da parte di Pietro e del discepolo prediletto e la testimonianza di Maria Maddalena, tuttavia la sorpresa di vedersi apparire Gesù dovette essere grande. L’apparizione di Gesù è indicata dal verbo «venne», molto probabilmente per sottolineare che, nonostante le porte ben chiuse, egli era nella possibilità di entrare in quel luogo. Il saluto «Pace a voi», inoltre, va considerato non quale semplice augurio, o addirittura come normale saluto, poiché esprime una realtà di fatto: davvero la Pace è con loro, dal momento che, con la presenza di Gesù, ormai Risorto, ciò che costituiva una semplice promessa diventa ora una concreta realtà. Il «Pace a voi» viene ripetuto al v. 21, forse perché Gesù vuole ulteriormente rassicurare i discepoli, dopo aver mostrato loro le mani e il costato. Subito dopo, segue il comando missionario: «Come [Poiché] il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi». In Giovanni si segnala molto esplicitamente che il motivo fondante della missione nasce dall’iniziativa del Padre, il quale ha mandato sulla terra il Figlio, che a sua volta invia i discepoli, proseguendo questa catena. A tal proposito, si deve confrontare questa frase con il testo di Gv 17,18: «Come [Poiché] Tu hai mandato Me nel mondo, anch’Io mando loro nel mondo».

Infine, l’ultimo momento della narrazione è rappresentato dalla cosiddetta insufflazione. In Gv 20,22-23 troviamo scritto che Gesù, «dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Accogliete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”». L’unico motivo per cui ci siamo permessi di segnalare l’espressione «alitò» in greco è dovuto al fatto che anche nella versione greca dell’A.T. detta dei LXX [che gli scrittori del N.T. generalmente usano], in Gen 2,7, leggiamo lo stesso verbo: «allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente». L’evangelista intenzionalmente adopera il medesimo verbo, perché stabilisce una relazione tra lo spirito, che diede la vita all’uomo creato da Dio traendolo dalla polvere, e lo Spirito Santo, che conferisce ai discepoli la potestà di “restituire la vita” con l’eccezionale dono della remissione dei peccati a vantaggio della Comunità dei credenti. Il passaggio dalla morte alla vita rappresenta una vera specialità dello Spirito Vivificante. Un altro testo di riferimento si trova in Ez 37,9, nella versione greca, dove, usando lo stesso verbo dei brani precedenti [benché in una forma grammaticale diversa], pure è scritto che lo Spirito soffia, affinché venga restituita la vita ai morti: «Egli aggiunse: “Profetizza allo Spirito, profetizza Figlio dell’uomo e annunzia allo Spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”». E che lo Spirito dia la vita e la resurrezione ben lo esprime Paolo, che rapporta la Resurrezione di Cristo alla nostra: «E se lo Spirito di Colui che ha resuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha resuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» [Rom 8,11].

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3] Lettura e Meditazione 3] Lettura e Meditazione

La Domenica di Pentecoste raccoglie tutta la gioia del Tempo della Resurrezione come in un fascio di luce sfolgorante e la diffonde con incontenibile irruenza non solo nei cuori, ma su tutta la terra. Il Risorto è diventato il Signore dell’universo: tutte le realtà da lui toccate sono come investite dal fuoco, avvolte nella sua luce, rese incandescenti e trasparenti all’occhio della fede. Ma è possibile dire che «Gesù è il Signore» soltanto con le parole? Che Gesù è il Signore lo si può dire in verità solo con la vita, dimostrando in concreto che egli occupa tutti gli spazi della nostra esistenza. In lui tutte le diversità diventano un’espressione della divina bellezza, tutte le differenze formano l’armonia dell’unità nell’amore. Siamo riuniti insieme «per formare un solo corpo» e nello stesso tempo abbiamo doni diversi, diversi carismi, ciascuno ha il proprio volto di santità. L’amore anziché appiattire incrementa tutto quello che c’è in noi di buono e ci rende gli uni dono per gli altri. Ma non possiamo vivere nello Spirito se non abbiamo la pace nel cuore e se non diventiamo strumenti di pace tra i nostri fratelli, testimoni della speranza, custodi della vera gioia. “Sii sollecito nell’unirti allo Spirito Santo. Egli viene appena è invocato e lo si può invocare solo perché è già presente. Quando lo si invoca, viene nell’abbondanza delle benedizioni di Dio. È lui il fiume impetuoso che da gioia alla città di Dio [cfr. Sal 45,5] e quando viene, se ti trova umile e tranquillo, seppur tremante davanti alla parola di Dio, si riposerà su di tè e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e ai prudenti di questo mondo. Cominceranno a risplendere per tè quelle realtà che la Sapienza poté rivelare in terra ai discepoli, ma che essi non poterono sostenere fino alla venuta dello Spirito di verità, che avrebbe insegnato loro la verità tutta intera. Invano si attende di ricevere e d’imparare dalla bocca di un qualsiasi uomo, ciò che non si può ricevere e imparare dalla lingua stessa della verità. Infatti, come dice la verità stessa: «Dio è Spirito» [Gv 4,24]. Come è necessario che i suoi adoratori l’adorino in Spirito e Verità [Cristo], così quelli che desiderano conoscerlo e sperimentarlo, solo nello Spirito Santo devono cercare l’intelligenza della fede e il senso puro e semplice di quella Verità. Nelle tenebre e nella ignoranza di questa vita, egli è per i poveri di spirito - la luce illuminante, la carità che attira, la dolcezza più benefica, l’accesso dell’uomo a Dio, l’amore amante, la devozione, la pietà” [cfr. GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Speculum Fidei, 46].

La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste. Ha bisogno di fuoco nel cuore, di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo. La Chiesa ha bisogno d’essere Tempio dello Spirito Santo, di totale purezza, di vita inferiore. La Chiesa ha bisogno di risentire salire dal profondo della sua intimità personale, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito Santo, che a noi si sostituisce e prega in noi e per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta il discorso che noi da soli

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non sapremmo rivolgere a Dio. La Chiesa ha bisogno di riacquistare la sete, il gusto, la certezza della sua verità e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la voce, il colloquio parlante nell’assorbimento contemplativo dello Spirito, il quale insegna «ogni verità». E poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà, l’onda dell’amore che si chiama carità e che è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che ci è stato dato». Tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di sperimentare l’urgenza, l’ardore, lo zelo di questa carità; ha bisogno di testimonianza, di apostolato. Avete ascoltato, voi uomini vivi, voi giovani, voi anime consacrate, voi fratelli nel sacerdozio? Di questo ha bisogno la Chiesa. Ha bisogno dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi Chiesa. Sì, è dello Spirito Santo che, soprattutto oggi, ha bisogno la Chiesa. Dite dunque e sempre tutti a lui: «Vieni!» [cfr. PAOLO VI, Discorso del 29 novembre 1972].

Tra le feste di pellegrinaggio degli Ebrei c’è anche la festa delle Settimane, o Pentecoste, nella quale, sette settimane dopo la Pasqua, si faceva la mietitura del grano e dell’orzo, di cui si erano raccolte le primizie nella festa degli Azzimi. Era una festa di origine agricola, extrabiblica, che Israele ha assunto e storicizzato, collegandola non più a un evento del mondo della natura, che ciclicamente si ripete in maniera sempre uguale, ma a un accadimento di tipo storico, concretamente all’alleanza che Israele stipulò al Sinai [Es 19-24]. Di conseguenza questa festa venne celebrata facendo memoria dell’alleanza, non solo di quella sinaitica, che ha al suo centro l’osservanza della Legge, ma anche di quella con Noè, che ha un carattere più universale, e con lo sguardo rivolto anche alla nuova alleanza [Ger 31,31-34], caratterizzata dal dono dello Spirito. Di conseguenza questa festa, che si radicava nel passato nel quale Dio aveva donato la Legge, si celebrava nell’oggi rivitalizzando tale relazione con la Torah, e si apriva al futuro, caratterizzato dall’attesa dello Spirito, sigillo della nuova alleanza [cfr. anche Ez 36,24-27]. La narrazione della Pentecoste cristiana si inserisce in questo percorso e si presenta come il compimento dell’attesa dello Spirito Santo, che è ormai una realtà. Nella narrazione degli Atti, però, abbondano anche i riferimenti all’alleanza sinaitica: il rombo come di vento, il fuoco, ecc. Il Dono dello Spirito Santo è qui collegato alla possibilità di comprendersi tra persone diverse, quelle che vengono elencate nel testo e che corrispondono ai popoli allora conosciuti. Gli Apostoli non parlavano lingue diverse, ma il loro discorso veniva compreso da ciascuno nella propria lingua. E quanto, a suo modo, dice la II Lettura: lo Spirito è uno, unico, ma si percepisce in molti modi. Non è una realtà uniforme, monotona, piatta, ma, al contrario, estremamente dinamica, tanto è vero che si manifesta in modi diversi. La diversità di carismi, che caratterizza la Chiesa, esprime la vitalità dello Spirito Santo, la sua ricchezza. La varietà dei carismi, però, si comprende anche pensando a quelle che sono le esigenze della Chiesa di oggi. La varietà dei carismi manifesta la ricchezza di Dio, ma esige anche fedeltà all’oggi. Quali sono i

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carismi più utili alla Chiesa di oggi? Il carisma è un Dono fatto da Dio alla Chiesa, per cui è Dio il suo garante. Se certi carismi non sono più attuali, possono tranquillamente scomparire, senza manifestare forme di ‘accanimento terapeutico’. Lo Spirito Santo soffia dove vuole, e bisogna seguire la sua voce, individuando i luoghi e le situazioni, forse inedite, nelle quali Dio oggi si manifesta.

4] Prima lettura [Profezia]: 4] Prima lettura [Profezia]: AttiAtti 2,1-11 2,1-11

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

La celebre narrazione lucana della Pentecoste ha una certa “drammaticità”, con la quale s’intende conferire il giusto rilievo all’importanza del fatto. In primo luogo, occorre notare che, ormai, la festa di Pentecoste stava volgendo al termine, essendo iniziata, com’era prassi nella Liturgia ebraica, nel pomeriggio del giorno precedente. L’accaduto, dunque, si è verificato al mattino, come dirà poi Pietro, per giustificare il fatto che, quelli che sembravano ubriachi, non lo erano affatto perché non avevano bevuto, essendo le nove [cfr. la diceria dell’ubriachezza degli Apostoli al v. 13 e la risposta di Pietro al v. 15], quando mancavano ancora poche ore per la conclusione della Festa. I discepoli, raccolti in un unico luogo, furono testimoni e destinatari di un evento teofanico, i cui elementi letterari sono facilmente riconoscibili: il rumore forte, che viene dall’Alto, e il Fuoco, in forma di lingue: «Venne all’improvviso dal Cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» [vv. 2-3]. L’effetto della discesa dello Spirito Santo fu subito avvertibile dai pellegrini presenti alla Festa, come testimonia il v. 4: «ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi». Il lungo elenco di nazionalità riportato dall’autore degli Atti degli Apostoli fa capire l’ampiezza della partecipazione a feste come Pentecoste [in ebraico Shavut], Pasqua [Pesach] e Capanne [Sukkot]. Bisogna, però, ricordare che si trattava di Giudei, provenienti dalla diaspora o che, vissuti in diaspora,

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erano ritornati a vivere a Gerusalemme [v. 5: «Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo»]. Sono essi i primi popoli destinatari dell’annuncio della novità di Cristo Risorto. A costoro i discepoli propongono un annuncio nella loro propria lingua, come il testo stesso afferma più volte, sia nel già citato v. 5, sia nel v. 6 [«Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua»], sia nell’8° [«E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?»] e nell’11° [«li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio»]. Il particolare ora messo in rilievo non è da trascurare: l’evento della discesa dello Spirito Santo sui discepoli significa che questi ultimi vengono spinti a proseguire la missione di Gesù, rivolgendola a tutte le nazioni, poiché la Comunità dei credenti dovrà imparare ad annunciare l’evangelo nelle lingue di ogni popolo che si trova sulla faccia della terra.

5] Salmo responsoriale5] Salmo responsoriale33: 103,1ab.24ac.29bc-30.31.34, I, [“Inno di: 103,1ab.24ac.29bc-30.31.34, I, [“Inno di lode”] lode”]

R. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra. Oppure: R. Alleluia, alleluia, alleluia.

Benedici il Signore, anima mia! Sei tanto grande, Signore, mio Dio!Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature. R.

Togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere.Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra. R.

Sia per sempre la gloria del Signore; gioisca il Signore delle sue opere.A lui sia gradito il mio canto, io gioirò nel Signore. R.

Il Versetto Responsorio è il v. 30 modificato come epiclesi celebre al Signore affinché invii lo Spirito suo ed avvenga la creazione nuova.

6] Seconda lettura [Apostolo]:6] Seconda lettura [Apostolo]: 1 1 Corinzi Corinzi 12,3b-7.12-1312,3b-7.12-13

3 T. FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001. Cfr. anche Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020; Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660; A. WEISER, I Salmi, I-II, Edizione italiana a cura di T. FEDERICI, Paideia, Brescia 1984.

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati bat-tezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Ai Corinzi, entusiasti per le manifestazioni dello Spirito che si verificano nella loro Comunità, Paolo rivolge alcune considerazioni importanti per un retto discernimento. Come riconoscere l’azione dello Spirito Santo in una persona? Non da fatti straordinari, ma innanzitutto dalla fede profonda con cui essa crede e professa che Gesù è Dio [v. 3b]. E come riconoscere l’agire dello Spirito Santo nella Comunità? Lo Spirito Santo è instancabile operatore di unità: è lui che edifica la Chiesa come un corpo solo, il corpo misterico di Cristo [v. 12], nel quale il cristiano viene inserito come membro vivo mediante il Battesimo. Questa unità, che sta all’origine della vita cristiana ed è il termine a cui tende l’azione dello Spirito Santo, si va realizzando attraverso la molteplicità di carismi [dono dell’unico Spirito], di ministeri [servizi ecclesiali affidati dall’unico Signore], di operazioni [rese possibili dall’unico Dio, sorgente di ogni realtà] [vv. 4-6]. Come dunque riconoscere l’autenticità - cioè l’effettiva provenienza divina - dei vari carismi, ministeri e operazioni presenti nella Comunità? Paolo lo chiarisce al v. 7: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune», cioè per far crescere tutto il corpo ecclesiale nell’unità, «nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» [Ef 4,13]: perciò “il maggiore” di tutti i carismi, quello indispensabile, il solo che durerà in eterno insieme alla fede e alla speranza è la carità [12,31-13,13].

7] Preghiera e Contemplazione7] Preghiera e Contemplazione

A] Dagli scritti di San Francesco di Assisi

«E tutti coloro che faranno tali cose e persevereranno fino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore ed egli ne farà la sua dimora, e saranno figli del Padre celeste di cui fanno le opere, e sono sposi; fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando per lo Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo. Siamo fratelli suoi, quando facciamo la volontà del Padre suo che è in cielo. Siamo madri sue quando lo portiamo nel cuore e nel nostro corpo con l’amore e con la pura e sincera coscienza e lo generiamo attraverso sante opere che devono splendere agli altri in esempio».

B] Spirito Santo4

4 Dagli Scritti di ERNESTO OLIVERO.

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

Spirito Santo, noi riconosciamo in Te una forza straordinaria, mentre ci riconosciamo deboli

peccatori.Ti chiediamo dunque di intervenire oggi in un modo potente, degno di Te.

Siamo pronti ad annullare tutte le nostre idee, tutti i nostri concetti e preconcetti per ascoltarti.

Ti chiediamo di intervenire, tramite noi, nel nostro tempo.Ti chiediamo di darci un linguaggio adatto a farci capire.

Ti chiediamo di inondarci della Tua stessa potenza per farci ascoltare dall’uomo di oggi:

da chi affama il povero, da chi uccide,da chi crede che la guerra sia il modo migliore per proporre o imporre la pace.

Ti chiediamo il Tuo linguaggio per farci ascoltare dai giovani che non Ti vogliono incontrare,

che non vogliono incontrare nessun ideale,perché noi sappiamo che incontrare Te è incontrare il tutto, il senso completo

della vita.Tramite Te vorremmo entrare nel «giro» dei ragazzi persi nella droga,

nella prostituzione, nella delinquenza: emarginati prima ancora che violenti.Vorremmo portarTi nelle piazze, nelle discoteche, nei posti di lavoro e dove si

soffre.Vorremmo entrare con Te nel cuore di chi Ti cerca

e di chi è scandalizzato da molti di noi che non trasmettono amore.Vorremmo avere il Tuo stesso cuore,

affidarci totalmente a Te ogni volta che dobbiamo agire, pregare, amare, fare, giudicare.

C] La fiamma dello Spirito Santo5

«Lo Spirito Santo accende sempre il suo fuoco, questa fiamma leggera, silenziosa, che non distrugge e anzi è carica di forza salvifica. Dicendo questo, però, sorge spontaneo chiedersi: Arde ancora, oggi, nella Chiesa, questa fiamma? […]. Arde ancora nella Chiesa questa fiamma riconciliatrice e salvatrice, oppure è soffocata dalla polvere e dalle macerie di una quantità di abitudini, istituzioni, paure? Il cristianesimo è ancora Fuoco e Spirito, oppure alla fine anche nel cristianesimo è rimasta solo acqua? L’acqua sollevata dalle teorie e dai discorsi ispirati, che cercano invano di nascondere con belle parole la perdita di realtà che vi si cela? Quasi ogni giorno, traversando piazza San Pietro mentre vado al lavoro, mi capita di incontrare giovani provenienti da ogni parte del mondo che non rincorrono la carriera, non vogliono solo mettersi in mostra, ma che sono colmi della

5 J. RATZINGER [Benedetto XVI], Spirito e fuoco. Discorso tenuto nel Duomo di Regensburg, 4 giugno 1995 in J. RATZINGER [BENEDETTO XVI], Vieni spirito Creatore, Lindau, Torino 2006, 67-76.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

gioia della fede e vogliono servire Cristo. In essi riluce la gioia e il coraggio della conversione a Cristo. Da incontri come questi io vedo che, sì, quella fiamma arde. E quando incontro uomini nel pieno degli anni che, senza darsi grande importanza, giorno per giorno, con grande pazienza e umiltà, con bontà e costanza, portano avanti una vita spesso difficile - potrei raccontare parecchie piccole storie di bontà, di cui continuamente vengo a conoscenza - allora so che, sì, quella fiamma silenziosa e pur tuttavia potente arde ancora oggi. E quando vedo dei vecchi che non hanno in sé alcuna amarezza, ma la pura e matura bontà che viene dalla fede, dalla prossimità a Dio in Cristo, allora so che, sì, anche oggi nella Chiesa non c’è solo acqua, ma la fiamma dello Spirito Santo. […]. Certo, se da qualche parte scoppia uno scandalo, lo si viene a sapere subito in tutto il mondo. La fiamma dello Spirito Santo non dà notizie mediatiche, ma è qui ed è ciò in cui confidiamo. Rimettiamoci ad essa e voglia la Pentecoste aprire gli occhi del nostro cuore affinché possiamo vederla di nuovo. […] La fede è risanamento e salvezza. Ma non possiamo essere salvati dalla fede se non accettiamo anche il dolore della trasformazione. Nella lingua di Gesù Cristo, «fuoco» è soprattutto una rappresentazione del “mistero della Croce”. Senza questa ardente condivisione della croce non esiste cristianesimo. Ma il fuoco è anche un’immagine d’amore. Anzi, in realtà queste due immagini coincidono perché la Croce è amore e l’amore è Croce: proprio in questo stanno la grandezza e la salvezza, e per averne coscienza la semplice esperienza umana è sufficiente. L’attimo di grande entusiasmo e di coinvolgimento non basta, porta a promesse vuote e a delusioni, se non gli diamo continuità e una forma pura attraverso il quotidiano sopportarsi reciproco e sorreggersi, accettarsi e darsi, maturando un amore reale. Vieni Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! È una preghiera temeraria, perché chiediamo di essere incendiati dalla fiamma dello Spirito Santo; ma è anche una grande preghiera di salvezza, perché solo questa fiamma ha potere di salvezza. Se ci sottraiamo a essa per voler conservare la nostra vita attuale, perdiamo proprio la vera vita. Solo la fiamma dello Spirito Santo può salvarci, perché solo l’amore redime. Amen».

E] Non lasciarmi senza il tuo Spirito6 “Tutto Santo e Buono e Vivificante”

Signore, ascolta la mia preghiera. Tu hai promesso ai tuoi discepoli che non li avresti lasciati soli, ma avresti mandato lo Spirito Santo per guidarli e condurli alla piena Verità. Mi sembra di brancolare nel buio. Ho ricevuto tanto da Te, eppure è difficile per me stare semplicemente quieto e presente dinanzi a Te. La mia mente è così caotica, così piena di idee disperse, di piani, di memorie, di fantasie. Voglio stare con Te e con Te soltanto, concentrarmi sulla tua Parola, ascoltare la Tua voce e guardare a Te mentre

6 J.M. NOUWEN, Manoscritto inedito, in ID., La sola cosa necessaria - Vivere una vita di preghiera, Queriniana, Brescia 2002, 243-244.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

Ti riveli ai tuoi amici. Ma, anche con le migliori intenzioni, divago pensando a cose meno importanti e scopro che il mio cuore è attirato verso i miei piccoli tesori senza valore. Non posso pregare senza la potenza dall’Alto, la potenza del tuo Spirito. Manda il tuo Spirito, Signore, affinché il tuo Spirito possa pregare in me, possa dire «Signore [è] Gesù» e gridare «Abbà, Papà». Io aspetto, Signore, sono in attesa, spero. Non lasciarmi senza il tuo Spirito. Dammi il tuo Spirito che unisce e consola. Amen.

F] SEQUENZA

Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal Cielo un raggio della tua luce.Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori.Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto.O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.Lava ciò che è sòrdido, bagna ciò che è àrido, sana ciò che sanguina.Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato.

Dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano i tuoi santi doni.Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.

G] G] BBRUNORUNO F FERREROERRERO, , La pecora nera, La pecora nera, in in L’importante è la Rosa, L’importante è la Rosa, LDC,LDC, Torino 2007.Torino 2007.

C’era una volta una pecora diversa da tutte le altre. Le pecore, si sa, sono bianche; lei invece era nera, nera come la pece. Quando passava per i campi tutti la deridevano, perché in un gregge tutto bianco spiccava come una macchia di inchiostro su un lenzuolo bianco: “Guarda una pecora nera! Che animale originale; chi crede mai di essere?”. Anche le compagne pecore le gridavano dietro: “Pecora sbagliata, non sai che le pecore devono essere tutte uguali, tutte avvolte di bianca lana?”. La pecora nera non ne poteva più, quelle parole erano come pietre e non riusciva a digerirle. E così decise di uscire dal gregge e andarsene sui monti, da sola: almeno là avrebbe potuto brucare in pace e riposarsi all’ombra dei pini. Ma nemmeno in montagna trovò pace. “Che vivere è questo? Sempre da sola!”, si diceva dopo che il sole tramontava e la notte arrivava. Una sera, con la faccia tutta piena di lacrime, vide lontano una grotta illuminata da una debole luce. “Dormirò là dentro” e si mise a correre. Correva come se qualcuno la attirasse. “Chi sei?”, le domandò una voce appena fu entrata. “Sono una pecora che nessuno vuole: una pecora nera! Mi hanno buttata fuori dei gregge”. “La stessa cosa è capitata a noi! Anche per noi non c’era posto con gli altri nell’albergo. Abbiamo dovuto ripararci qui, io Giuseppe e mia moglie Maria. Proprio qui ci è nato un bel bambino. Eccolo!”. La pecora nera era piena di gioia. Prima di tutte le altre poteva vedere il piccolo Gesù. “Avrà freddo; lasciate che mi metta vicino per riscaldarlo!”. Maria e Giuseppe risposero con un sorriso. La pecora si avvicinò stretta stretta al

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

bambino e lo accarezzò con la sua lana. Gesù si svegliò e le bisbigliò nell’orecchio: “Proprio per questo sono venuto: per le pecore smarrite!”. La pecora si mise a belare di felicità. Dal cielo gli angeli intonarono il “Gloria”.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

APPORTO TEOLOGICO-APPORTO TEOLOGICO-BIBLICOBIBLICO

PARLARE DELLO SPIRITO SANTO7

Se non era facile parlare ai contemporanei di Dio, ancora più difficile è stato parlare loro del Figlio di Dio. Ma come si deve parlare dello Spirito Santo di Dio, che non si può concepire né rappresentare e, certamente, neppure dipingere? Pittura spiritualizzata. Nella storia dell’arte occidentale c’è un pittore, al quale più che ad altri si attribuisce un anelito di spiritualizzazione. Molti dei suoi dipinti sono pervasi di un’inquietudine estatica. Lo spazio da lui dipinto è spesso più accennato simbolicamente che reale; domina la verticale, il movimento ascensionale; le sue figure sembrano stirate artificialmente, allungate in maniera innaturale; il gioco delle ombre e delle luci è altamente drammatico; i contorni sfumano. La bellezza è qui in larga misura smaterializzata - anche a prescindere dagli occhi espressivi di molte figure. Questo pittore proviene dall’arte greco-bizantina, tuttavia a Venezia e a Roma, presso i grandi maestri Tiziano, Bassano e Tintoretto, si era appropriato delle acquisizioni del rinascimento e del manierismo. E tutto questo coniugava con la religiosità popolare mistica della Spagna, lui che non era spagnolo e che tuttavia era più spagnolo degli spagnoli: DOMENIKOS THEOTOKÓPOULOS di Creta detto EL GRECO [1541-1614], non soltanto pittore, ma anche scultore, architetto e teorico dell’arte. Nel suo ultimo periodo creativo questo artista molto raffinato, prossimo ai settant’anni e sempre più assistito dal figlio nei suoi lavori, aveva provato a rappresentare un oggetto che, rispetto al Natale, al Venerdì Santo o alla Resurrezione [“Pasqua”], è infinitamente meno presente nella pittura occidentale: la Pentecoste, la Festa dell’effusione dello Spirito Santo. In questo dipinto che tende verso l’alto - ora al Prado di Madrid -, in uno scenario surreale su sfondo grigioverde, si vede un gruppo di persone, dominato dallo Spirito e composto da due donne e da una dozzina di uomini. Essi sono in preda ad un’appassionata eccitazione, evidente dai volti e dai gesti: alcuni protendono le mani verso l’alto, altri allungano il collo e altri ancora guardano in estatico rapimento. In alto ci sono dieci figure, quasi come in un dipinto greco-bizantino, tutte alla stessa altezza, dietro le quali, in posizione obliqua, altre figure si piegano in atteggiamento di sorpresa. Le loro vesti, dai colori molto intensi - verde, azzurro, giallo, rosso e colori terrei -, ricevono luce dall’alto. Sopra ciascuna

7 Cfr. HANS HUNG, La fede, la Chiesa e l’uomo contemporaneo - Traduzione di GIOVANNI MORETTO, BUR, Milano 1988.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

delle figure fluttua una piccola abbagliante lingua di fuoco, che rende le figure rappresentate ancor più profilate, mosse ed estatiche.

Un dipinto altamente drammatico di un’audacia quasi espressionistica, e tuttavia concentrato, smaterializzato, spiritualizzato. E lo Spirito stesso, lo Spirito Santo? Eccolo lassù in alto, in uno splendore divino, che illumina l’oscurità dello spazio. Rappresentato mediante quel simbolo che a partire dal Battesimo di Gesù viene usato molto presto anche per le raffigurazioni della Pentecoste: il simbolo della colomba. Fin nell’alto medioevo esso rimane quello prevalente e viene ripreso a partire dal secolo XVI-XVII, appunto nel tempo di EL GRECO. «Ma nella Teologia non si parla continuamente - con riferimento ad alcune affermazioni dell’evangelo di Giovanni - dello Spirito Santo come di una Persona [il “Paraclito” o “Consolatore”]? E non compare perciò, per lo meno nell’arte medievale, in figura spesso direttamente umana?» In effetti, nell’arte medievale lo Spirito viene spesso rappresentato, insieme al Padre ed al Figlio suo, come la terza di Tre figure umane uguali - tre angeli o dèi. O proprio all’opposto: a partire dal secolo XIII fino al Rinascimento italiano la Trinità di “Padre e Figlio e Spirito Santo” veniva spesso dipinta perfino come un’unica figura con tre teste o tre volti - una divinità sotto tre modalità, dunque. Ma entrambi - triteismo o modalismo - non sono oggi ugualmente inaccettabili per l’uomo contemporaneo? Ma si ascolti e ci si stupisca: le due rappresentazioni sono state vietate dai Papi: già Urbano VIII vietava nel 1628 queste immagini troppo umane della Trinità, e a partire dall’illuminato Benedetto XIV [1745] lo Spirito Santo può essere rappresentato soltanto nella figura della colomba, decisione ribadita ancora nel nostro secolo, nel 1928, dal Sanctum Officium, dall’autorità dell’Inquislzione romana, ora denominata Congregazione per la Dottrina della fede. Ciò induce ad affrontare l’interrogativo fondamentale: “Che cosa significa Spinto Santo?”. Come si sono immaginati gli uomini dell’antico tempo biblico lo «Spirito» e l’agire invisibile di Dio? Percepibile e tuttavia non percepibile, invisibile e tuttavia potente, di vitale importanza come l’aria che si respira, carico di energia come il vento, la tempesta - questo è lo Spirito. Tutte le lingue conoscono una parola per indicare ciò, e la diversità del genere in cui lo collocano dimostra che lo spirito non è così facilmente determinabile: spiritus in latino è maschile [come anche «lo» spirito in italiano], ruah, invece, in ebraico è femminile [anche se non sempre!], mentre il greco conosce il neutro pneuma. Lo Spirito, quindi, è in ogni caso una realtà totalmente diversa da una persona umana. Lo/a «ruah»: secondo l’inizio della narrazione della creazione è quello «scroscio» o «tempesta» di Dio che aleggia sopra le acque. Ed il «pneuma»: sta, anche secondo il N.T., in opposizione alla “carne”, alla realtà creata, transeunte, ed è la Potenza e la Forza viva che promana da Dio. Lo Spirito è quindi quella forza e potenza di Dio che opera creando o anche distruggendo, come vita o come giudizio, che opera sia nella creazione sia nella storia, in Israele come anche, in seguito, nelle comunità cristiane. Secondo la Bibbia, questa potenza può raggiungere l’uomo con forza o con levità, può indurre in estasi singole persone o anche

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

interi gruppi, come appunto quello raffigurato nel quadro di EL GRECO. Lo Spirito opera nei grandi uomini e nelle grandi donne, in Mosè e nei «giudici» d’Israele, nei guerrieri, nei cantori e nei re, nei profeti e nelle profetesse, ma anche - come nel nostro quadro - negli Apostoli e nelle discepole. Il centro nel quadro è chiaramente rappresentato da Maria, Madre di Gesù, in veste rossa, verso la quale si piega la giovane Maria di Magdala.

Ma in che senso questo Spirito è lo Spirito Santo? Lo Spirito è «Santo» in quanto viene distinto dallo spirito non santo dell’uomo e del suo mondo e deve essere visto come lo Spirito dell’Unico Dio Santo. Lo Spirito Santo è lo Spirito di Dio. Neppure nel N.T. lo Spirito Santo è - come spesso nella storia delle religioni - un qualche fluido magico, sostanziato, misteriosamente soprannaturale, di natura dinamica [«qualcosa» di spirituale] od un essere magico di tipo animistico [un fantasma o uno spettro]. Anche nel N.T. lo Spirito Santo non è che Dio stesso. Dio stesso, in quanto Egli è vicino agli uomini ed al mondo, anzi Egli diventa loro intimo in quanto potenza che afferra, ma non è afferrabile, in quanto forza che vivifica, ma anche giudica, in quanto grazia che dona, ma non è a disposizione dell’uomo. C’è però una domanda: proprio il simbolo della colomba [in origine volatile messaggero delle dee dell’amore nell’antico Oriente], che ha a sua volta soppiantato la rappresentazione antropomorfica dello Spirito Santo, non evoca associazioni antropomorfiche? Risposta: in ogni caso questo simbolo dell’elemento “materno-femminile”, del dono della vita, dell’amore e della pace - entrato nella narrazione del Battesimo di Gesù al Giordano forse passando attraverso l’antica tradizione ebraica della sapienza [Filone!?] -, sottolinea la dimensione femminile in Dio, che è tanto importante quanto quella maschile, perché in Dio stesso, ribadiamolo ancora una volta, la differenziazione sessuale è inclusa ed insieme viene superata. Va però ammesso che la maggior parte dei fraintendimenti sullo Spirito Santo provengono dal fatto che lo si è staccato da Dio e reso autonomo alla stregua di una figura mitologica. Comunque proprio il Concilio di Costantinopoli del 381, al quale dobbiamo l’estensione allo Spirito Santo della Professione di fede, originariamente cristologica, del Concilio di Nicea del 325, afferma esplicitamente: “lo Spirito è della medesima natura del Padre e del Figlio”. In nessun caso, dunque, si può concepire lo Spirito Santo come un terzo, come una realtà tra Dio e l’uomo. No, con la parola Spirito è intesa la vicinanza personale di Dio stesso agli uomini, altrettanto poco separabile da Dio quanto il raggio dal sole. Se dunque ci si chiede come il Dio invisibile ed inafferrabile sia vicino, presente ai credenti, alla comunità di fede, la risposta del N.T. suona concorde: Dio è vicino a noi uomini nello Spirito; è presente nello Spirito, mediante lo Spirito, anzi, come Spirito. E se ci si chiede come Gesù Cristo, elevato e accolto presso Dio, sia vicino ai credenti e alla comunità di fede, la risposta, secondo Paolo, suona: Gesù è diventato uno «Spirito vivificatore» [1 Cor 15,45], anzi, «il Signore è lo Spirito» [2 Cor 3,17]. Ciò significa che lo Spirito di Dio ora è anche lo Spirito del Glorificato presso Dio, così che ora il Signore elevato

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

presso Dio è nel modo di esistere ed agire dello Spirito. Ora perciò Egli può essere mediante lo Spirito, nello Spirito, in quanto Spirito. L’incontro di Dio, del Kyrios e dello Spirito Santo con i credenti è in realtà un unico e medesimo incontro. Ma si noti bene: Dio ed il suo Cristo non sono presenti soltanto attraverso il ricordo soggettivo dell’uomo o attraverso la fede. Essi sono presenti piuttosto in virtù della realtà spirituale, dell’attività di Dio e di Gesù Cristo stesso, che vengono incontro all’uomo.

Come parlare del Padre, del Figlio e dello Spirito? Anche qui è bene attenerci strettamente al N.T., all’interno del quale non si trova narrazione migliore per rappresentarci il rapporto esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito di quell’apologia del protomartire Stefano, che Luca ci ha tramandato negli Atti degli Apostoli. Durante il suo discorso Stefano ha una visione: «Pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al Cielo, vide la Gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra, e disse: “Ecco, io contemplo i Cieli aperti ed il Figlio dell’Uomo che sta alla destra di Dio» [At 7,55ss]. Qui, dunque, si parla di Dio, di Gesù, il Figlio dell’Uomo, e dello Spirito Santo. Ma Stefano non vede, per esempio, una divinità dai tre volti e tanto meno tre uomini dalla stessa forma, ma neppure un simbolo triangolare, il quale pure è stato usato nell’arte cristiana occidentale. Piuttosto: Lo Spirito santo è dalla parte di Stefano, è in lui. Lo Spirito, la forza, la potenza invisibile che proviene da Dio, lo riempie interamente e quindi gli apre gli occhi: «nello Spirito» gli si apre il Cielo. Dio stesso [ho theós = «il» Dio per eccellenza] resta nascosto, non è simile all’uomo; soltanto la sua «gloria» [in ebraico, kabod; in greco, doxa] è visibile: lo splendore e la potenza di Dio, lo splendore della luce che irradia pienamente da lui. Gesù, infine, visibile come il Figlio dell’Uomo, sta «alla destra di Dio»: cioè in “comunione di trono con uguale potenza e gloria”. Come Figlio di Dio elevato e accolto nella vita eterna di Dio egli è il rappresentante di Dio per noi e, insieme, come uomo il rappresentante degli uomini davanti a Dio. Si potrebbe perciò descrivere così il rapporto tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo:

Dio, il Padre invisibile sopra di noi, Gesù, il Figlio dell’Uomo, con Dio per noi, lo Spirito Santo, dalla forza e dall’amore di Dio, in noi. L’Apostolo Paolo ha una visione del tutto simile: Dio stesso opera la salvezza

mediante Gesù Cristo nello Spirito Santo. Come noi pure dobbiamo pregare rivolgendoci al Padre nello Spirito Santo mediante Gesù Cristo: le preghiere sono rivolte a Dio Padre per Dominum nostrum Jesum Christum. Gesù, in quanto il Signore elevato presso Dio, si è talmente appropriato della potenza, della forza, dello Spirito di Dio che non è soltanto afferrato dallo Spirito e potente nello Spirito, ma Egli stesso, in virtù della Resurrezione, è addirittura nel modo di esistere e di operare dello Spirito. E nello Spirito Egli può essere presente ai credenti: presente non in maniera fisico-materiale, ma neppure in maniera irreale, bensì come realtà spirituale nella vita del singolo e della comunità di fede, e qui soprattutto nella Liturgia, nella Celebrazione della Cena, spezzando il Pane e bevendo la Coppa in

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

riconoscente memoriale di lui. Perciò l’incontro del credente con «Dio», con il «Signore» e con lo «Spirito» è, in ultima analisi, un unico e medesimo incontro, con l’agire proprio di Dio stesso, quale è stato espresso, per esempio, da Paolo nella formula di saluto: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo sia[no] con tutti voi» [2 Cor 13,13]. Ugualmente si potrebbe dire a proposito del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo anche nei “discorsi di addio” di Giovanni, nei quali allo Spirito vengono attribuite le caratteristiche di un «patrocinatore», di un «soccorritore» [Gv 14,16]. Lo Spirito Santo è, per così dire, il rappresentante sulla terra del Cristo glorificato. Egli è inviato dal Padre nel nome di Gesù. Egli quindi non parla da se stesso, ma si limita a ricordare quello che Gesù stesso ha detto. Da tutto questo dovrebbe essere divenuto evidente che, secondo il N.T., il problema-chiave per la dottrina della Trinità non è il problema, proclamato «mistero» insondabile [mysterium stricte dictum], del modo in cui tre realtà così diverse possano essere ontologicamente una realtà sola, bensì il problema cristologico del modo in cui, secondo la Scrittura, debba essere enunciato il rapporto di Gesù [e poi anche, di conseguenza, dello Spirito] con Dio stesso. Inoltre, in ogni caso, non si può mettere in discussione neppure per un istante la fede nell’unico Dio, che il Cristianesimo ha in comune con l’Ebraismo e l’Islamismo: “non c’è altro Dio al di fuori di Dio”. Ma decisiva per il dialogo proprio con Ebrei e Musulmani è la convinzione che il principio dell’unità non sia, secondo il N.T., l’unica «natura» [physis] divina comune a più realtà, come si ritiene a partire dalla teologia neonicena del secolo IV. Il principio dell’unità, per il N.T. come per la Bibbia ebraica, è chiaramente l’unico Dio [ho theós: il Dio = il Padre], in virtù del quale e per il quale tutto esiste.

Nel N.T., il Padre, il Figlio e lo Spirito non sono dunque oggetto di asserzioni metafisico -ontologiche su Dio in sé e sulla sua natura più intima: l’essenza interna, statica, fondata in se stessa e che si apre a noi, di un Dio Unico e Trino, “Monade triadica e Triade monadica”. Piuttosto se ne parla con asserzioni soteriologico-cristologiche sul modo in cui Dio stesso mediante Gesù Cristo, si rivela in questo mondo: nell’intervento di Dio nella storia, nel suo rapporto con l’uomo e nel rapporto dell’uomo con lui. Al di là di tutte le differenze di «ruoli» c’è dunque un’Unità tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e precisamente come evento rivelativo ed unità rivelativa: Dio stesso, mediante Gesù Cristo, diventa visibile nello Spirito Santo. «Con questi presupposti» può chiedersi l’uomo contemporaneo «il discorso sul Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sarebbe forse più facilmente comprensibile anche per gli Ebrei ed i Musulmani? Proprio il dialogo con l’Ebraismo e l’Islamismo diventerà anzi un importante banco di prova per verificare se i cristiani sono autenticamente monoteisti».

Tento di riassumere in tre proposizioni quello che, alla luce del N.T. interpretato per l’oggi, mi sembra sia il nucleo biblico della dottrina tradizionale della Trinità:

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Credere in Dio Padre significa credere nell’Unico Dio Creatore che conserva e porta a compimento il mondo e l’uomo: questa fede nell’unico Dio è comune all’Ebraismo, al Cristianesimo e all’Islamismo;

Credere nello Spirito Santo significa credere nella potenza e nella forza di Dio che opera nell’uomo e nel mondo: anche questa fede nello Spirito di Dio può essere comune ad Ebrei, Cristiani e Musulmani;

Credere nel Figlio di Dio significa credere nella rivelazione dell’unico Dio nell’uomo Gesù di Nazareth, che è quindi Parola, Immagine e Figlio di Dio. Su questa differenza decisiva dovrebbe proseguire il dialogo proprio fra le tre religioni profetiche.

A questo punto il contemporaneo critico potrebbe chiedere: «Queste sofisticate asserzioni teologiche significano per Lei anche qualcosa di esistenziale, o tutto ciò resta semplicemente una «verità di fede», un «dogma» e, nel migliore dei casi, «liturgia», dossologia, celebrazione della «gloria» di Dio?». Credere nello Spirito Santo, nello Spirito di Dio, significa per me ammettere fiduciosamente che Dio stesso può farsi presente nel mio intimo, che egli come potenza e forza di grazia può diventare il Signore del mio intimo ambivalente, del mio cuore spesso così insondabile. E, ciò che qui è per me particolarmente importante: lo Spirito di Dio non è uno spirito di schiavitù. Egli è comunque lo Spirito di Gesù Cristo, che è lo Spirito di libertà. Questo Spirito di libertà promanava già dalle parole e dalle azioni del Nazareno. Il suo Spirito è ora definitivamente lo Spirito di Dio, da quando il Crocifisso è stato glorificato da Dio e vive e regna nel modo di essere di Dio, nello Spirito di Dio. Perciò a piena ragione Paolo può dire: «Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà» [2 Cor 3,17]. E con ciò non s’intende soltanto una libertà dalla colpa, dalla legge e dalla morte, ma anche una libertà per l’agire, per una vita nella gratitudine, nella speranza e nella gioia. E ciò ad onta di tutte le carenze delle strutture e di tutti i tradimenti del singolo. Questo Spirito di libertà, in quanto Spirito del futuro, mi spinge in avanti: non nell’aldilà della consolazione, ma nel presente della prova. E poiché so che lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù Cristo, io ho anche un criterio concreto per saggiare e discernere gli spiriti. Dello Spirito di Dio non si può più abusare come di una forza divina oscura, senza nome e facilmente equivocabile. No lo Spirito di Dio è con tutta chiarezza lo Spirito di Gesù Cristo. E ciò significa in modo del tutto concreto che né una gerarchia né una teologia e neppure un fanatismo che vogliano richiamarsi allo «Spirito Santo» oltre Gesù, possono requisire lo Spirito di Gesù Cristo. Qui hanno i loro limiti ogni ministero, ogni obbedienza, ogni partecipazione alla vita della teologia, della chiesa e della società.

Credere nello Spirito Santo, nello Spirito di Gesù Cristo significa per me, anche di fronte ai molti movimenti carismatici e pneumatici: che lo Spirito Santo non è mai una mia propria possibilità ma è sempre forza, potenza, dono di Dio [da ricevere con fiducia incondizionata]. Egli quindi non è un non santo spirito del tempo, della Chiesa, del ministero o dell’entusiasmo; egli è sempre il Santo Spirito di Dio, che soffia dove e quando vuole, e non si lascia catturare da nessuno: come giustificazione di un potere assoluto di

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

insegnamento e di governo, di infondate leggi dogmatiche della fede o anche di un fanatismo religioso e di una falsa sicurezza della fede. No, nessuno - né vescovo né professore né parroco né laico - «possiede» lo Spirito, ma ognuno può invocare di continuo: «Vieni, Santo Spirito». Ma, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io posso, con buone ragioni, credere non certo nella Chiesa, ma nello Spirito di Dio e di Gesù Cristo anche in questa Chiesa, che è composta da uomini fallibili come lo sono anch’io. E, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io sono preservato dalla tentazione di staccarmi, rassegnato o cinico, dalla Chiesa. Poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito io, nonostante tutto, posso dire in buona coscienza: credo la Santa Chiesa. Credo sanctam ecclesiam.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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APPORTO TEOLOGICO-APPORTO TEOLOGICO-BIBLICOBIBLICO

SIGNIFICATO ETIMOLOGICO E LINGUISTICO DI FUOCO8

In questo paragrafo diamo le coordinate per individuare l’etimologia e l’uso linguistico del termine «fuoco» così come ricorre nella letteratura biblica e non, al fine di approdare ad una comprensione, la più completa possibile, del lemma usato per indicare la santa Pentecoste. Il termine «fuoco», la cui genesi etimologica rimane incerta, si incontra nelle varie ramificazioni delle lingue semitiche con la parola ‘esh [378 volte nell’ebraico del TM; nur solo 17 volte, tradotta in greco da pur circa 490 volte nel greco della LXX]. L’uso linguistico si caratterizza per una duplice accezione, «naturale» e «traslata». Nell’uso tecnico il termine ‘esh-pur indica concretamente il fuoco, elemento naturale della civiltà umana, utilizzato nella vita quotidiana, nel lavoro e nell’industria dei metalli. Una prima dimensione del suo impegno è costituita dall’uso domestico ed artigianale: preparazione di vivande, riscaldamento domestico, illuminazione, attività produttive di vario genere. Inoltre esso veniva impiegato come espediente bellico per la difesa contro i nemici in battaglia [persone e animali: Nm 31,10] e la distruzione di quanto si riteneva fosse contaminato [Dt 7,5.25]. Una seconda dimensione concerne l’azione cultuale. Nell’officiatura del culto si usa variamente il fuoco: esso è presente sugli altari per immolare olocausti, vittime e sacrifici [fuoco perenne: Es 29,18; Lv 1,9.13; 3,5; 6]. Talora, presso le popolazioni limitrofe pagane, si soleva fare sacrifici di bambini adoperando il fuoco [2 Re 16,3; 21,6; Ger 7,31]; l’espressione tipica indicante tali sacrifici era: «far passare i propri figli o le proprie figlie attraverso il fuoco» [2 Re 17,17; 21,6]. L’uso linguistico è esteso alla purificazione di persone, luoghi e oggetti consacrati [Lv 13,52; Nm 31,23; Is 6,6], alla eventuale distruzione di elementi sacri per evitarne la profanazione sacrilega [Es 12,10; 29,34; Lv 4,12], alla cremazione di cadaveri [Gen 38,24; Lv 20,14; 21,9; Gs 7,15]. Una terza dimensione concerne la connessione tra fuoco e fenomeni naturali, di frequente letti teologicamente. In tal senso il termine designa la folgore come «fuoco di Dio» [Gb 1,16; 2 Re 1,12], ed è in relazione con tuoni [Es 9,28; Sal 29,7], grandine [Es 9,24; Sal 78,48; 105,32], tempeste, bufere, venti, neve e ghiaccio [Is 29,6; Sal 104,4; 148,8], come anche la particolare siccità [Am 7,4; Gl 1,19]. Per ultimo nell’allusione al fuoco in Gb 28,5, si pensa al lavoro in una miniera per estrarne minerali. Nella sua accezione traslata, il fuoco assume connotati diversificati secondo i soggetti e i

8 Cfr. Cfr. ANTONIO FALCONE, Il detto di Gesù sul fuoco in Lc 12,49. Esegesi e Teologia, pro manuscripto, Roma 2004, 153-190.

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contesti: riferito a YHWH, il fuoco acquista un valore prevalente di distruzione e violenza, espressione antropomorfica dell’ira divina. La presenza del fuoco indica un aspetto di Dio: il potente che minaccia giudizio e compie la purificazione. In questo contesto il fuoco è in relazione con la manifestazione della divinità e della sua gloria, fascinosa e tremenda. Tale considerazione viene prolungata negli esseri angelici: cherubini e serafini [Gen 3,24; Es 25,18ss; Is 6,2-6; serafino significa «fiammeggiante - bruciante»]. Riferito all’uomo, esso viene assunto a metafora per descrivere i sentimenti e le situazioni più disparate, grovigli di passioni umane di ogni sorta; l’amore e la voluttà [Ct 8,6-7; Sir 9,8], l’adultero [Gb 31,12; Pr 6,17], l’ardore per la verità [Gen 20,9], il peccato [Sir 8,10], la calunnia e la litigiosità [Pv 26,20], la situazione di persecuzione [Sal 118,12], la salvezza dopo grave pericolo [Am 4,11; Mi 1,4; Sal 68,3], l’ira e la rissa [Sir 28,10s], l’ingiustizia [Is 9,17], fino all’omicidio [Sir 11,32; 22,24]. In qualche caso il simbolo del fuoco è applicato alla missione e alla personalità di un protagonista biblico: il profeta Elia: 2 Re 1,10-14; Sir 48,13; così Giovanni Battista in riferimento al Cristo: Mt 3,11-12; e la stessa missione del Signore: Lc 12,49[-50]. Ulteriori immagini sono legate al fuoco: l’incendio boschivo [Ger 21,14] inarrestabile [Pv 30,16], la fornace [Sal 21,10], il rogo [Is 30,33], il fonditore [Ml 3,2], la brace e i carboni ardenti [inferno e punizione: Sal 18,9.13.14; Mt 13,40.42.50; 18,8], la teofania [in connessione con sconvolgimenti cosmici] simile all’eruzione vulcanica [Es 19,18]. È menzionato in alcuni detti proverbiali: «come un ciocco strappato al fuoco» [Am 4,11; Zc 3,2]; «come la cera fonde al fuoco» [Mi 1,4; Sal 68,3; 97,5]. Si ricordi, infine, il rapporto fuoco - dolore - purificazione [Is 1,22.25; Ger 6,27; Ez 22,17-22; Ml 3,2; Pv 17,3; Sir 2,5; Zc 13,9]. Nell’utilizzazione dell’immagine del fuoco si cela un significato di rinnovamento e nuova creazione, specie perché esso ha la funzione di illuminare, purificare e confermare nella fede. Si pensi al sacrificio di Abramo [Gen 15,17-20], a Mosè di ritorno dal Sinai [Es 35,29-35], alla vocazione del profeta Isaia [Is 6,6-7], alla visione del profeta Ezechiele [Ez 10,2.7, a quella di Daniele [Dn 7,9-14]; e per il N.T. alla Trasfigurazione di Cristo [Mt 17,1-9 e par.], alla Resurrezione [Mt 28,1-8 e par.], al giorno di Pentecoste [At 2,1-13]. La presenza della categoria del fuoco nella tradizione biblica dell’A. e del N.T. è centrale, e merita una elaborazione approfondita per poterne scoprire la valenza simbolica e teologica. Esso,infatti, assurge ad una funzione di mediazione simbolica sia nei contesti di rivelazione simbolica sia nella prassi cultuale e liturgica, costituendo un simbolo comunicativo che collega la domanda dell’uomo al misterioso manifestarsi di Dio. Sul piano narrativo gli avvenimenti biblici che raccontano le distruzioni con la rappresentazione del «fuoco», vengono spesso riletti nel quadro del giudizio divino. Il simbolismo del fuoco è prevalentemente impiegato in una prospettiva escatologica secondo [fondamentalmente] tre figure: segno premonitore del «giorno di YHWH»; elemento escatologico di giudizio e di annientamento dei nemici; strumento di sofferenza dei perduti nel «fuoco infernale». E facendo una rassegna biblica sembra possibile ricondurre la molteplicità dei

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significati teologici della categoria del fuoco a due aspetti fondamentali: il fuoco come elemento di distruzione e di giudizio; il fuoco come elemento di teofania di Dio e rinnovamento dell’uomo9.

Il fuoco come «elemento di distruzione»

Ogni avvenimento di distruzione, annunciato oppure improvviso, contro il popolo ebraico o le nazioni straniere, in pace o in guerra, viene letto come uno strumento del giudizio divino. YHWH interviene nel corso della storia per punire il disordine ed eliminare il peccato. La distruzione è sempre legata a una motivazione teologica e diviene occasione di riflessione e di autocoscienza per il popolo. Nella memoria teologica dell’Israele biblico primeggia un’esemplare distruzione che viene assunta a tipo per l’intero decorso della storia della salvezza: la punizione inflitta a Sodoma e Gomorra mediante fuoco e zolfo [Gen 19,24]. Viene così tratteggiata l’azione di YHWH attraverso l’immagine del fuoco divoratore: il dissolvimento del potere e dell’arroganza egiziana [la settima piaga: Es 9,23ss], l’annientamento degli idoli del popolo [Es 32,20; Dt 9,21], la morte di Nadab e Abiu [Lv 10,2], la parziale distruzione dell’accampamento a Tabera [Nm 11,1-3], la tragica fine dei duecentocinquanta uomini impuri [oltre quelli di Core: Nm 16,35; 26,10], la vittoria sui figli di Anak [Dt 9,3], la promessa «distruttrice» fatta dal Signore presso il torrente Merom [Gios 11,6], l’esperienza violenta del profeta Elia [2 Re 1,9-44], la sorte di Giobbe [Gb 1,16; 15,34; 22,20]. Nella letteratura profetica la distruzione mediante fuoco rappresenta uno degli strumenti consueti del giudizio divino, sia per colpire i rappresentanti politici e militari del regno sia i nemici: l’infedeltà del popolo provoca l’ira bruciante di YHWH [Is 9,17-18], che si «incendia» di collera per il peccato di Israele [Ger 15,14; 17,4.27]. Così il profeta Geremia annuncia la distruzione del regno, causata dal male e dal disordine [necessità della circoncisione: Ger 4,4; della giustizia: 21,12] con parola simile a fuoco [Ger 5,14; 23,29]. Malgrado il crogiuolo a cui il popolo è sottoposto, esso non si purificherà, soccomberà per le sue scorie [Ger 6,29]. Come ulivo verdeggiante arderà nella sventura [Ger 31,16], sarà raso al suolo come bosco [Ger 21,14; 22,7]. In ugual modo si esprimono Amos [Am 2,5], Osea [Os 8,14] ed Ezechiele [Ez 15,7; 16,41; 24,42]. Circa i nemici d’Israele, YHWH compie un giudizio «violento», «bruciante»: contro gli Aramei [Am 1,4], Gaza e i Filistei [Am 1,7-8], Tiro e i Fenici [Am 1,10], la casa di Edom [Am 1,12], la casa di Rabbà [Am 1,14; Ger 49,2], quella di Moab [Am 2,2], il regno di Egitto [Ger 43,12], il regno di Assiria [Nah 3,13.15], la casa di Damasco [Ger 49,27], la grande Babilonia [Ger 50,32; 51,32]. L’intervento distruttore di Dio è descritto attraverso il fuoco con immagini suggestive di ineguagliabile forza: Is 30,27-33 [oracolo pronunciato nel contesto della guerra siro-efraimita per l’invasione del re assiro Sennacherib]. La descrizione antropomorfica mostra YHWH come

9 Cfr. J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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possente guerriero, che giunge da lontano con sdegno e ira rdente [v. 27], le labbra piene di collera, la sua lingua come fuoco divorante; la sua voce e il suo braccio fanno tremare tutta l’Assiria [vv. 30-31]; il suo soffio farà ardere come sacrificio ligneo i nemici, consumandoli nella cenere, come torrente di zolfo [v. 33]; Sal 18,8-16: YHWH giunge in soccorso dell’orante attraverso una teofania ad altissima tensione; la sua irruzione nell’universo provoca un terremoto [v. 8]; si scatena una collera di fuoco, quasi palpabile, con un’eruzione vulcanica dalle tinte mostruose [v. 9] cui segue l’ingresso del Pantocratore nel cosmo attraverso i cieli [vv. 10-13]. Al simbolismo del fuoco succede quello bellico in cui YHWH vittorioso fuga il nemico [vv. 14-15], scongiurando la minaccia [v. 16] e trae in salvo il suo fedele [v. 17]; Ez 1,4-28: il fuoco è come l’involucro che «contiene» la presenza di YHWH [v. 4; v. 27]; la sua apparizione minacciosa di giudice è legata alla figura di un carro [trono] fiammeggiante [vv. 15-21], trainato da quattro esseri alati, con sembianze umane [vv. 10-12], da cui sprigionano fiamme e carboni ardenti [vv. 13-14]; e una voce tonante riempie il firmamento [vv. 22-25], mentre il profeta crolla di fronte alla gloria di YHWH [vv. 27-28].

Il fuoco simbolo del «giudizio escatologico»

La categoria biblica del fuoco simboleggia l’intervento di Dio nel giudizio escatologico. Occorre sottolineare come nell’apparizione escatologica e nel conseguente giudizio finale del Signore l’accento non cade tanto sulle modalità dell’accadimento [fuoco e conflagrazione cosmica, trasformazione, ecc.], bensì sulla «forza teologica» di questo atto finale, che si collega a tre principali eventi: il giorno di YHWH, l’annientamento dei nemici, la descrizione della punizione infernale. Il fuoco è segno premonitore del «giorno del Signore» [Gl 3,3; Ml 3,19]. Si tratta di un tema importante per la letteratura biblica in quanto accompagna le vicende del popolo ebraico: il giorno del Signore come avvenimento di distruzione [presenza del fuoco], come avvenimento di speranza e di illuminazione, come definitivo giudizio che assicura il trionfo dei giusti e la fine dei peccatori. Il fuoco è visto come elemento escatologico di giudizio e di annientamento dei nemici [Dn 3,22ss; 7,11; Is 66,15; Ez 38,22; 39,6; il maggior nemico ad essere distrutto è la «bestia»: Dn 7,11; Ap 19,20; si veda la relazione con il vitello d’oro: Es 32,20]. Abbiamo, infine, la situazione di sofferenza dei perduti nel «fuoco infernale» [la pena finale: Is 34,9ss: zolfo-pece-fuoco; Is 66,24; Gdc 16,17: verme-fuoco; Sir 21,9: inferi-fuoco]. Nella medesima scia si pongono le affermazioni di Gesù o sulla sua missione, riguardanti il fuoco: Giovanni il Battista [Mt 3,10.12; Lc 3,16], la Geenna [Mt 5,22], l’albero infruttifero [Mt 7,19], la parabola della zizzania [Mt 13,40s], lo scandalo [Mt 18,7-9; Mc 9,43], il sarmento senza vita [Gv 15,6], la pula [Mt 3,12; Lc 3,17], la vicenda di Sodoma e Gomorra [Lc 17,29]. Le metafore impiegate designano prevalentemente un atto di giudizio e di annientamento da parte di Dio [valenza escatologica]; ne è conferma l’atteggiamento di Giacomo e Giovanni, i figli del tuono [Mc 3,17] di fronte al villaggio samaritano [Lc

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9,54]. Il fuoco come strumento dell’intervento divino è presente soprattutto in due passi evangelici: Mc 9,48-49 [relazione verme-fuoco-sale]: «… dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Ciascuno infatti sarà salato con il fuoco». L’affermazione va intesa come enigma paradossale, legato al rapporto fuoco-sale. Il fuoco è elemento distruttore mentre il sale è ele-mento per conservare-purificare [concetti antitetici]. Viene così designata paradossalmente la strategia divina di distruzione e salvezza [giudizio finale] di ogni singolo uomo; Lc 12,49[-50] [relazione missione-fuoco-battesimo]: «Sono venuto a portare fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso. C’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto». E l’unico testo evangelico nel quale Gesù parla della sua missione adoperando la metafora del fuoco e del battesimo. La forma sintetica permette di comprendere l’aspetto sofferente della missione del Figlio: il battesimo allude alla tribolazione [battesimo di fuoco], e si riferisce alla passione e, come completamento dell’opera divina, al dono dello Spirito; mentre il fuoco è in correlazione al giudizio che metterà alla prova la qualità dell’opera umana. Nella persona di Gesù il giudizio si compie già al presente, nell’atto della sua missione terrena. I testi paolini sul fuoco sono inseriti nel contesto del giudizio [1 Cor 3,13-15: la tradizione patristica allude al purgatorio di fuoco], della relazione tra i cristiani [Rm 12,20] e della parusia [2 Tess 1,7s]. La distruzione e la violenza sono ancora espressi nella letteratura del Nuovo Testamento: Eb 11,34 [fuoco-violenza]; Es 12,29 [fuoco-divoratore]; Gc 3,5s [fuoco-iniquità]; Gc 5,3 e 2 Pt 3,7 [fuoco-giudizio]; 1 Pt 1,7 [fuoco-prova-purificazione]; Gd vv. 7.23 [fuoco eterno]. Soprattutto l’Apocalisse offre una completa lettura del concetto di fuoco, attraverso immagini straordinarie: fuoco e zolfo [per indicare la dannazione eterna]: Ap 14,10; lago [stagno] sulfureo di fuoco [per indicare l’inferno-l’abisso]: Ap 19,20; 20,10.14.15; 21,8]; turibolo infuocato [per indicare la distruzione]: Ap 8,5; corazza di fuoco [per indicare l’invulnerabilità dei cavalieri distruttori]: Ap 9,17s.; la bestia nel fuoco [per indicare la sconfitta del male personificato]: Ap 18,8; 19,20.

Il fuoco come «teofania di Dio e rinnovamento dell’uomo»

Un secondo versante legato al simbolismo del fuoco riguarda l’intervento positivo di Dio, che si manifesta nella gloria luminosa delle teofanie e rinnova il popolo nella celebrazione dell’alleanza. Tale rinnovamento è operato da Dio stesso nel cammino dell’A.T. e in modo pieno con Gesù Cristo e la sua missione. Di frequente l’epifania divina viene preceduta e accompagnata dalla presenza del fuoco in due forme: nella volontà di agire e «comunicare» con i singoli protagonisti del popolo e nell’accettare un’offerta o un sacrificio gradito. YHWH si serve di questo elemento natu-rale [mediazione] per «manifestare» la sua gloria, indicare la sua presenza, rinnovare l’alleanza, confermare la santità. Infatti «... nell’A.T. il fuoco è visto in modo del tutto teocentrico quale forma descrittiva della misteriosa, inavvicinabile, terribile e beatificante gloria di YHWH nel processo

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rivelativo e quale strumento e immagine costante del suo atteggiamento di giudice10». L’apparizione di Dio fa riferimento alle tradizioni dell’Esodo e del Deuteronomio e si impernia sulle emblematiche figure di Mosè e del monte Horeb: dalla vocazione-missione del profeta [Es 3,2: contemplazione di un roveto che arde senza consumarsi] all’intervento contro il paese egiziano [Es 9,23s: la grandine e i fulmini]; dalla protezione del popolo nella fuga [Es 13,21s; 14,24: la colonna di fuoco] al dono della legge sinaitica [Es 19,18; 24,17: YHWH è presente nel monte infuocato: la Torâh come il fuoco di YHWH]. L’intero itinerario di salvezza e di conquista della terra è stato contrassegnato dalla manifestazione di YHWH sotto forma di fuoco: YHWH è guida luminosa nella notte [Es 40,38; Dt 1,33]; è Colui che, rivelandosi nel fuoco, ha offerto alleanza e vita al popolo [Dt 4,11.12.15.24.33.36]; è l’unico Dio che ha parlato faccia a faccia [Nm 14,14; Dt 5,4.5.22-26]. YHWH si definisce un Dio geloso [Dt 4,24] perché la sua manifestazione è un dono gratuito, efficace, come luce e fuoco, che produce il rinnovamento per eccesso di amore; un amore unico, bruciante, tanto che «la luce di Israele diventerà un fuoco, il suo santuario una fiamma» [Is 10,17]. Segno della grazia divina, l’intervento del fuoco «dal cielo» [rivelatore e consumatore] manifesta il compiacimento di YHWH nei riguardi dei personaggi biblici, attraverso il gradimento dei sacrifici e degli olocausti [contesto liturgico--cultuale]: l’offerta di Abele e di Caino [Gen 4,3-5: interpretazione cultuale]; l’alleanza con Abramo [Gen 15,17; 22,6.7]; con Mosè e Aronne [Lv 9,24]; l’angelo del Signore e Gedeone [Gdc 6,21]; la prova di Elia [1 Re 18,38]; il sacrificio di Davide [1 Cr 21,26]; la dedicazione del tempio di Salomone [2 Cr 7,1]; il sacrificio di Neemia [2 Mac 1,18-22]. Nella consumazione della vittima sacrificale, per mezzo del fuoco che sale verso il cielo, viene espressa da parte dell’uomo la lode nei riguardi di Dio Creatore e insieme il desiderio di purificazione e di espiazione totale. Il fuoco nella sua valenza simbolica è segno rivelatore e rinnovatore, rivelatore della maestà divina, rinnovatore della miseria umana. Nel giudaismo ellenistico si riassumono tre funzioni fondamentali che assume il fuoco: illuminare, bruciare, ri-scaldare. Accanto all’aspetto di distruzione e di angoscia, il fuoco è ritenuto e stimato come strumento di progresso e bene di civiltà [si pensi alla concezione di esso nella mitologia greca]. Nella letteratura midrashica11 il fuoco è ritenuto uno dei tre elementi preesistenti: «Tre cose create precedettero la formazione dell’universo: acqua, vento, fuoco. L’acqua concepì e partorì l’oscurità; il fuoco concepì e partorì la luce; il vento con-cepì e partorì la sapienza». È innegabile che il fuoco assurga ad una funzione intermediaria sia per la forma della teofania sia per la consue-tudine dei sacrifici cultuali. In tal modo esso rappresenta una forma di mediazione, di comunicazione tra la domanda dell’uomo e la risposta di Dio.

10 Cfr. F. LANG, art. pur in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico del Nuovo Testamento, XI, Brescia 1965-1989, 825-838; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

11 A. COHEN, Il Talmud, Bari 1935, 65; cfr. anche J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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In qualche caso il suo «entrare nel mondo» viene finalizzato al «rapimento estatico» per l’accoglienza di uomini nel cielo [cfr. 2 Re 2,11]. Senza dubbio la sua utilizzazione simbolica tocca il vertice espressivo nell’accostamento del fuoco allo Spirito e alla sua azione trasformante.

Il fuoco nel mondo extrabiblico

Dalla trattazione fin qui affrontata viene fuori, quindi, che il simbolismo del «fuoco» è largamente adoperato nella Santa Scrittura. Nelle pagine che seguono, pertanto, si vuole affrontare un’esposizione più particolareggiata delle ricorrenze del vocabolo negli scritti sia vetero sia neotestamentari riportando le volte nelle quali se ne fa esplicita menzione12. Seguiremo uno schema dettagliato e il più completo possibile prendendo in esame anche il mondo extrabiblico e i diversi aspetti filologici i quali ci consentiranno, volta per volta, di chiarirne meglio il significato e la sua esplicita funzione13. La rassegna abbraccerà la considerazione delle parole più usate per indicare il «fuoco», sia nella cultura egiziana sia in quella mesopotamica, allo scopo di chiarirne il suo ruolo dentro la vita quotidiana, nella sua dimensione cultuale, in relazione-comunione con YHWH, nelle teofanie,… per concludere, infine, con la considerazione del medesimo nella letteratura apocalittica. È anche utile verificare che nel mondo greco, nonostante gli effetti distruttori, il fuoco è considerato in particolare l’elemento più fine, più nobile e insieme più durevole, quindi è valutato positivamente ed è posto in relazione sia con la divinità sia con lo spirito. Per questo passiamo in rassegna i diversi testi della letteratura greca ed ellenistica [almeno quelli che ci è possibile controllare e quelli - perlomeno come contenuto - più verosimilmente affini al testo] in modo da poter comprendere e verificare un’eventuale e reciproca influenza o dipendenza. Il lemma «fuoco» da Omero in poi si trova per indicare il fuoco nelle sue molteplici forme fenomeniche sia naturali e spontanee, sia prodotte dall’uomo. Le tre funzioni proprie del fuoco [bruciare, illuminare e scaldare] hanno influito sull’uso linguistico e ne fanno comprendere il significato peculiare: fuoco del rogo, onoranza funebre: «possano dare la mia salma al fuoco»

[Hom., Il 7,79ss]; 2. fuoco sacrificale: «gettò nel fuoco le offerte» [Hom., Il 9,220]; «libando sopra il fuoco» [Plat., Critias 120a];

12 Nello scrivere le seguenti pagine, abbiamo accettato come veritiere le ipotesi e i risultati dello studio degli specialisti J. BERGMAN, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, GLNT, XI, Brescia 1988, 907-911; J. KRECHER, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 911-918; V. HAMP, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 918-932. La stesura dello scritto, anche se per nostra comodità non viene spesso citata adoperando le virgolette, segue tuttavia l’impostazione generale proposta dai diversi studiosi.

13 Cfr. J. BERGMAN, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, GLNT, XI, Brescia 1988, 907-911; J. KRECHER, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 911-918; V. HAMP, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 918-932; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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fuoco del focolare [Hom., Il. 10,418; Aesch., Eum. 108]; fuoco dell’artigiano: «fuoco del cuoco, del costruttore, del fabbro,

dell’orefice» [Aristot., spir. 9], soprattutto il fuoco della forgia: «gettò bronzo nella forgia accesa» [Hom., Il. 18, 474];

fuoco delle fiaccole: «avanzi la fiaccola accesa» [Aescb., Eum. 1029]; folgore: «colpisce con la folgore scagliata» [Soph., Ant. 131], fuoco divino:

[Soph., Phil. 728]; splendore del sole: [Eur., Iph. Taur. 1139] e delle stelle: [Soph. Ant.

1146ss]; splendore degli occhi: [Hom., Il. 12,46s]; canicola estiva: «con l’esposizione alla canicola o al freddo» [Plat., leg

9,865b]; febbre: Aristph., fr. 690. Inoltre «i fuochi di bivacco» [Hom., Il. 8,509; Thuc.

7,80,1] e «il posto dove s’accende il fuoco», soprattutto per i roghi [Hom., Il. 1,52].

Per gli uomini il fuoco ha il duplice carattere di forza benefica, apportatrice di progresso, e potenza terrificante, distruttrice. Accanto agli usi sopra citati serve in guerra soprattutto come arma per distruggere città, navi, ecc.; è usato anche per segnalazioni [Aesch., Ag. 9,282; Thuc. 4,111,2] ed anche per purificare i metalli nobili: «saggiare... l’oro nel fuoco» [Plat. resp. 3,413e, cfr. polit. 303e], per mondare: «fuoco purificatore» [Eur., Iph. Aul. 1112] e per provare l’innocenza delle persone con una specie di giudizio di Dio [Soph., Ant. 265]. Talvolta, ma raramente, si parla anche di un fuoco di gioia: «accendendo fuoco e luce per la liberti» [Aesch., Choeph. 863s]. Metaforicamente il fuoco raffigura l’impeto inarrestabile e irresistibile: «battaglia … furiosa come fuoco» [Hom., Il. 17,736s]; «combattevano come fuoco che avvampi» [Hom., Il. 11,596], anarchia [Eur., Hec. 607], malvagità [Aristoph., Lys. 1015]. Lo stesso vale per l’uso traslato: ardore della battaglia [Hom., Il. 17,565], coraggio altero: «spirare fuoco» [Xenoph., hist. Graec. 7,5,12]; anche in senso personale: «o tu fuoco e tutto terrore» [Soph., Phil. 927]. L’aspetto distruttore e pericoloso del fuoco si coglie anche in espressioni proverbiali, come: «perire» [Hom., Il. 2,340]; «cadere dalla padella alla brace» [Plat., resp. 8,569b]; «gettare olio sul fuoco» [Plat., leg. 2,666a]; «spartire tutti i pericoli con qualcuno» [Xeenoph., sym. 4,16]. L’unica eccezione è il raro «essere in rapporti di amicizia con qualcuno» [Hdt., 7,231], che proviene dall’idea del focolare.

Il fuoco nella cultura dell’Egitto

Oltre a h.t, la parola più usata in egiziano per indicare il fuoco, e śd.t, la quale pure significa «fuoco» in generale, abbiamo tutta una serie di termini specifici, che vengono tradotti con «fiamma, vampa, brace, ecc.», ma il cui significato preciso non è in ciascun caso chiaro. Tutte queste parole hanno di solito come determinativo il braciere con una fiamma e numerosi dei termini che significano fiamma e simili sono anche i nomi di divinità, come Sachmet, alla cui figura leonina è probabilmente connessa l’idea di natura

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ignea, il che sembrerebbe valere anche nel caso del serpente-Ureo/corona-Ureo, che viene di solito definita «la ignea». La natura ambivalente del fuoco si manifesta assai chiaramente nel culto e in tutti i generi di pratiche magiche. Da un lato, il fuoco è un mezzo di purificazione e riveste un forte carattere di protezione dalle potenze maligne; dall’altro lato è un elemento distruttivo e quindi una forza pericolosa14. Sappiamo piuttosto poco sul fuoco in quanto elemento cosmico. Alcune serie di elementi, quali «vento luce acqua e fuoco» [grazie alle quali vivono tutte le cose] sono rare e tarde [forse dovute all’influenza greca]. Nelle rappresentazioni cosmogoniche, il fuoco è particolarmente legato al sole. Nella cosmogonia ermopolitana, l’«isola delle fiamme» è il luogo natale del dio Ra. Nel capitolo 17 del Libro dei Morti, il «lago di fuoco» sembra esserne un parallelo eracleopolitano: in questo contesto, si parla spesso dell’occhio igneo del sole che distrugge con la sua fiamma i nemici di Ra. Come il sole e Ra possono essere definiti “fiamma”, così sappiamo anche che Ammon è la “fiaccola della vita che proviene dal mare primordiale e distribuisce luce all’umanità”. Parimenti Khnum è in Esna «colui che proviene dal mare primordiale e brilla come una fiamma» [Testo 378,10]. Anche le potenze del caos possono manifestarsi sotto forma di fiamme. In Pyr. 237 si parla di una fiamma ostile che proviene dal mare primordiale, mentre in un testo di sarcofago Apofis è chiamato «fiamma». Nel culto del tempio il fuoco rivestiva molte importanti funzioni. Nel giorno della sua consacrazione si riteneva che un tempio dovesse venire purificato con torce. Durante il culto giornaliero una fiamma era tenuta accesa all’entrata del Santissimo. Negli olocausti l’ambivalenza dell’atto del bruciare è particolarmente chiara. Gli animali sacrificati rappresentano sia i nemici del dio, che sono stati bruciati e distrutti, sia un’offerta arrostita il cui profumo è gradito alla divinità. Anche nel culto funerario, naturalmente collegato con le cerimonie delle tombe di Osiride, il fuoco riveste un proprio ruolo. Nel rituale della vigilia, al calare del crepuscolo vengono accese delle lucerne accanto al feretro di Osiride. Spesso viene sottolineato il carattere protettivo di queste lampade o torce. In questo contesto si parla alternativamente di «torcia della notte» e dell’occhio di Horo. Questa connessione è di notevole significato, perché alcune divinità ritenute «occhio di Horus» acquistano in tal modo il ruolo di divinità della fiamma. È per questo motivo che, fra le varie trasformazioni desiderate da un defunto ricorre quella di «mutarsi in una fiamma» e di «mutarsi nell’occhio incandescente di Horus», poiché sotto la forma di occhi di Horus e di fiamma gli è possibile aver ragione dei nemici. D’altra parte, tra i pericoli del regno dei morti di anche quello dei turbini di fuoco, il lago di fuoco è tutta la serie di demoni vomitanti fuoco. Dalla importante raccolta di materiale fatta da Zandee si può ben vedere il notevole ruolo che in quel mondo terrificante svolge la punizione e l’annientamento per mezzo del fuoco. Per quanto riguarda l’uso metaforico di «fuoco», «fiamma», ecc.,

14 F. LANG, art. pur in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico del Nuovo Testamento, XI, Brescia 1965-1989, 927-948; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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si suole parlare di fiamme e fuoco in relazione ad es., con veleni e malattie. Lo stesso accade con le espressioni che riguardano l’ira e la violenza [«il fuoco del discorso», ecc.]. Nell’ideologia regale «il fuoco a suo tempo» indica il faraone in combattimento e viene paragonato a un «fuoco che riduce in cenere i suoi aggressori».

Il fuoco nella cultura della Mesopotamia

«Nella vita di ogni giorno, il fuoco aveva la sua funzione normale fin dall’antichità: le scoperte archeologiche e le fonti scritte, a partire dall’inizio del terzo millennio fino a 500-1000 anni più tardi, che attestano che il fuoco prodotto artificialmente veniva usato per avere luce e calore [in quest’ultimo caso, anche per preparare cibi, droghe, per produrre il vetro e altri materiali, per cuocere le tavolette di argilla scritte e i mattoni]. Come materiale combustibile per produrre calore venivano utilizzati cespugli di rovo e canne; raramente, il carbone vegetale15». In particolare, possiamo parlare del fuoco nell’ambito degli atti di culto, dove però non è molto facile stabilirne la «funzionalità». È significativo un sostantivo di mese sumerico attestato fin dal 2500 a. C. circa: «[festa] della dea Nanše, durante la quale si accende un fuoco [torcia] al toro [da offrire in sacrificio?]». Nella normativa riguardante il rituale di un giuramento, del VII secolo, leggiamo: «in un fuoco sulfureo, incendia [sogg. il sacerdote] una torcia e [con essa] appicca il fuoco sulla catasta di legno»; e in un’altra raccolta normativa dello stesso periodo: «ammucchiata trucioli di pioppo, incendiali, spargendoli nel... [sostanza aromatica per un’offerta profumata]».

Aspetti filologici del fuoco

Secondo W. BAUMGARTNER16 «‘š-fuoco ricorre nell’A.T. 380 volte. È presente in tutte le lingue semitiche con eccezione dell’arabo. La seconda radicale è da ritenersi in ebraico una germinata. Il genere è femminile. Il plurale ‘šwt compare solamente in Sir 48,3. Il sostantivo non dà luogo ad alcun deverbale».

Il fuoco terreno «nella vita quotidiana e quale termine di paragone»

«L’importanza del fuoco quale fonte di calore e di luce nella vita quotidiana è ovvia. In 2 Mac 10,3 si fa riferimento all’uso ben conosciuto di procurarlo colpendo una pietra. È a causa dell’impegno che ciò richiedeva che era proibito accendere il fuoco di sabato [Es 35,3]. Va da sé che era ben conosciuto il potere distruttore del fuoco insaziabile [Pv 30,16]. Chi causava un incendio con dolo, veniva punito [Es 22,4]». Specialmente in guerra

15 J. KRECHER, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 911-918; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

16 W. BAUMGARTNER, art. ēš, iššeh in: KOEHLER L. - BAUMGARTNER W., Hebräisches und Aramäisches Lexikon zum AT, Leiden 31967, 89; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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moltissime città erano saccheggiate e «divorate dal fuoco»; è per questo che le disgrazie della guerra sono rappresentate in poesia come fuoco [Nm 21,28; Is 10,16; Sal 78,63]. La metafora «lingue di fuoco» ricorre in Is 5,24 [cfr. At 2,3]. Anche il calore del sole è paragonato al fuoco divoratore [Gl 1,19; Am 7,4]. È proverbiale l’espressione «si scioglie come cera al fuoco» [Mi 1,4; Sal 68,3; 97,5] per indicare chi è scomparso rapidamente. La legna secca che brucia molto facilmente, poteva servire da immagine di una veloce distruzione [Sal 118,12; 58,10; Sir 7,6; Is 10,17; 64,1]. Il rogo come punizione per i gravi delitti morali era sicuramente un castigo assente in Israele [Gen 38,24; Lv 20,14; 21,9; Gs 7,15]. Il fuoco agisce come elemento purificatore nel forno di fusione, dal momento che può simboleggiare le prove e i giudizi di purificazione [Is 1,22.25; Ger 6,27-30; Ez 22,17-22; Ml 3,2; Zc 13,9; Sal 66,10]. La letteratura sapienziale paragona molti sentimenti passionali all’ardore del fuoco [Gb 31,12; Pr 6,27; 26,20; Sir 9,8; 23,26]. Secondo le concezioni profetiche la parola di YHWH è definita “fuoco”. Senza che il paragone sia reso esplicitamente la fiamma è usata direttamente nel linguaggio figurato per indicare la fortuna, in parallelo con la luce [Pr 13,9; 20,20]; la passione d’amore [Ct 8,6] e alcuni pericoli in parallelo con «acqua» [Sal 66,12; Is 43,2].

Il fuoco terreno «nel culto»

Nel culto dell’A.T. le offerte potevano essere bruciante interamente oppure solo parzialmente. Sull’altare dell’olocausto non si poteva lasciar estinguere il fuoco [Lv 6,2.5]. L’agnello pasquale doveva venire arrostito al fuoco [Es 12,8]. Fra i termini del vocabolario sacrificale ricorre per più di 60 volte, soprattutto nei testi di tradizione sacerdotale, il concetto di ‘iššeh, che fino dall’epoca dei LXX viene messo in relazione con ‘š e tradotto generalmente con «sacrificio compiuto con il fuoco». Tuttavia, questa spiegazione non è certa e i moderni esegeti indirizzano la loro ricerca verso altre etimologie17. L’incenso veniva bruciato sopra le braci [Lv 16,12] e il potere di purificazione che ne derivava rivestiva una funzione rituale [cfr. Nm 31,23; Is 6,6]. Ciò che restava degli animali impiegati nelle pratiche cultuali doveva essere bruciato onde evitare la profanazione [Es 12,10; 29,34; Lv 4,12]. Attraverso l’influenza cananaica, soprattutto nel periodo più tardo della monarchia, venivano praticati sacrifici di bambini, pratica cui si fa riferimento con l’espressione «passare attraverso il fuoco» [2 Re 16,3]. In 2 Mac 1,18[-36] si fa riferimento a una vera e propria festa del fuoco. La storicità di quando in narrato è assai dubbia, ma mostra che l’autore conosceva la «nafta», il petrolio grezzo.

Il fuoco in relazione con Dio visto quale «strumento di punizione»

17

? V. HAMP, art. ēš, ‚iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 920-921; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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Nelle espressioni riguardanti Dio, nelle sue manifestazioni e gesta, il fuoco riveste una funzione molto importante. Il fulmine del cielo è visto come una freccia scagliata da Dio stesso [Sal 18,15; 29,7; 144,6]. Tale passi poetici dei Salmi esprimono il concetto di una sorta di teofanie nella quale YHWH passa sulle nubi della tempesta. I fulmini sono ricordati nel Sal 104,4.8: «YHWH si prende come messaggeri il fuoco e la fiamma». Dio manda come calamità tuoni, fulmini e grandine [Es 9,23]. Il «fuoco di Dio» viene dal cielo: Gb 1,16; 1 Re 18,38; 2 Re 1,10.12]. Anche se collegata con il fulmine è bensì distinte l’idea per la quale Dio - generalmente per punire, anche se in Gdc 6,21; Lv 9,24; 2 Cr 7,1, è per consumare le offerte - manda il fuoco [Nm 11,1-3; 16,35; Lv 10,2]. Probabilmente vi è sottesa l’idea della guerra santa specialmente nella formula di minaccia in chiusura di versetto: «Io mando un fuoco...che distrugge i suoi palazzi» [Am 1,4.7.10.12.14; Ger 17,27; 49,27; Os 8,14]. In Gen 19,24 YHWH fa cadere zolfo e fuoco su Sodoma e Gomorra, un’immagine che ricorre anche in Ez 38,22; 39,6 e - con una leggera correzione del testo - in Am 7,4. In Is 34,19 vengono ricordati il bitume e lo zolfo18.

Il fuoco dell’ira

«Nei passi ricordati sopra, il fulmine e il fuoco sono strumenti del giudizio divino. Questa connessione è ancora più stretta quando, assieme al fuoco, si fa riferimento all’ardere dell’ira di YHWH. La forma verbale è attestata circa 80 volte con hrh’pw, «le sue radici arsero = s’infiammò d’ira». Poiché ‘p significa “narice” e “ira”, è difficile stabilire fino a che punto il significato di “narice” ne stava ancora alla base oppure vi era presente unitamente all’altro. Quest’ultima condizione risulta chiaramente soltanto dalla descrizione della teofanie di 2 Sam 22,9 = Sal 18,9: il fumo saliva nelle sue narici e un fuoco devastatore dalla sua bocca. L’immagine richiama Is 30,33 dove il fiato di YHWH è come un turbine di zolfo; in 33,11: il mio respiro è come un fuoco che vi distrugge; 65,5: tali popoli sono fumo nelle mie narici, un fuoco che divampa perennemente. Queste potenti immagine dell’ira derivano dal mondo delle saghe, ove si parla di essere che gettano fuoco dalle narici [Gb 41,10-13]. Ma generalmente, tradurre con «ira» il termine ‘p quando si trova in connessione con «fuoco» significa soprattutto seguire un’evoluzione concettuale e teologica, come ci viene indicato dalla ricchezza di termini che si alternano in parallelismo con ‘p [Is 66,15; Ger 15,14; 17,4; Dt 29,19; 32,22]; qn’h, “animosità” [Dt 29,19; Ez 36,5; Sof 1,18]; ‘brh, “collera” [Ez 21,36; 22,21.31; 38,19]; hmh, “fervore” [Ger 4,4; 21,12]; g’rh, “clamore” [Is 66,15]. Visto che in genere si tratta solo di paragoni non è da riconoscere in questi casi un tipo di procedura giudiziaria connessa con il fuoco. Anche i «giudizi parziali» di epoca preesilica sono espressi in maniera alquanto sporadica; ricorre per la prima volta in Sof

18 V. HAMP, art. ēš, iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 922-923; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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1,18 l’espressione - di assai dubbia autenticità - per cui «tutta la terra è consumata nel fuoco del suo cielo» [Is 33,11; Gl 2,3; Zc 12,6]».

Il fuoco nella Teofania

Quando lampeggiano i fulmini del giudizio di Dio, quando la sua ira divampa come fuoco o il suo alito emana subito fuoco, si tratta più o meno chiaramente della sua possente manifestazione, che si esprime, tra l’altro, anche per mezzo del fuoco: le sente più note quello della teofania sul Sinai19. I fenomeni naturali che l’accompagnano sono, secondo la tradizione di E [Es 19,16.19; 20,18.21], tuoni e fulmini, nubi scure e - un motivo di carattere cultuale - suono di trombe: in definitiva dei fenomeni di tempesta. Secondo la tradizione di J, YHWH discende nel fuoco sopra il monte seguito da un fumo simile a quello di un forno di fusione; anche il monte che fuma è un elemento narrativo di J. Tale strato redazionale prende forse come modello l’immagine di un vulcano, a meno che il fuoco e il fumo [Is 4,5; 6,4] non facciano puramente parte della descrizione di una teofania. In Es 34,5 anche J parla della «nube». Similmente P [Es 24,16] afferma che la nube coprì il monte e la «potenza» di Dio pareva un fuoco divoratore. Nel Dt si ripete abbastanza spesso che YHWH parlò «dal fuoco» [4,12.15.33.36; 5,4.22-26]. J. JEREMIAS20 mette l’accento sul fatto che nella teofania del Sinai «il fuoco è un fenomeno complementare oppure un tramite della manifestazione di YHWH». Tuttavia, nell’autentico genere delle descrizioni teofaniche esso è «l’arma invincibile di YHWH ...un’immagine e una concretizzazione della sua ira incandescente». Questa immagine ricorre nelle teofanie inniche di giudizio, fortemente caratterizzata dall’elemento mitologico; in special modo, nel Sal 18,8-16; 77, 17-20; 97,2-5; Is 29,6; 30,27-31; Ab 3,2-15. I motivi connessi con il fuoco sono i seguenti: fumo nelle sue narici, fuoco devastatore che sale dalla sua bocca, carboni ardenti, fulmini [Sal 18,9.13.15]; fulmini [Sal 77,18]; fuoco e fulmini [Sal 97,3]; collera furiosa e fuoco devastatore [Is 29,6; 30,27-30]; splendore in forma di luce, raggi, ira di fuoco, torce quali tue frecce, risplendere della tua lancia folgorante [Ab 3,4.8.9.11]. «Davanti a lui, un fuoco divora, intorno gli mugghia una grande tempesta» [Sal 50,3]. Oltre alle teofanie di genere tempestoso vi sono altre forme di fenomeni ignei che rendono visibile la presenza di Dio. Nell’alleanza con Abramo, si allude misteriosamente a tale presenza con le espressioni «forno fumante» e «torce di fuoco» [Gen 15,17 ]. YHWH appare a Mosè in una fiamma di fuoco in un roveto [Es 3,2]. Durante la peregrinazione nel deserto, la colonna di nubi durante il giorno e la colonna di fuoco durante la notte, sono indizi della presenza divina [Es 13,21; 14,24 [J]; Nm 9,15 [P]; 14,14 [J]; Dt 1,33; Sal 78,14]. Senz’altro gli antichi narratori intendevano alla lettera questa immagine. Dt 9,3 riferisce

19 V. HAMP, art. ēš, iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 924-925; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

20 J. JEREMIAS, Theophanie, in WMANT 10 [1965], 104.

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metaforicamente il motivo della colonna di fuoco alla conquista di Canaan: YHWH tuo Dio ti passerà davanti come un fuoco devastatore. Parimenti in Dt 4,24 egli è un «fuoco devastatore, un dio geloso». La seconda frase chiarisce e dimostra che la prima riveste solo un senso metaforico. Anche nel linguaggio simbolico dei profeti ricorre il motivo della condanna di fuoco: in Is 4,5; 58,8 e Zc 2,9, YHWH erigerà un muro di fuoco intorno a Gerusalemme e vi sarà un risplendere di luce al suo interno. A differenza delle teofanie di giudizio, qui si mette in rilievo l’aspetto positivo, protettore e illuminante del fuoco. Is 10,17 mostra YHWH come «luce d’Israele» che sarà come fuoco e fiamma contro i nemici. La messa in relazione spontanea, e sicuramente antica, della manifestazione di Dio con la tempesta e con il fuoco devastatore venne poco a poco soppiantata, nelle poche posteriori, dai fenomeni luminosi [Ab 3; Dt 33,2]. Come avviene in molte religioni, anche nel pensiero veterotestamentario il fuoco viene messo in stretta relazione con il mondo ultraterreno, ma non attribuendo agli esseri celesti una natura ignea; gli stessi serafini, «gli ardenti», sono descritti in Is 6,2 come aventi forma corporea21. In Gdc 13,20 il messaggero di YHWH ascese al cielo nella fiamma dell’altare. Dio poteva usare il fuoco come mezzo di castigo in qualsiasi momento. Anche il carro di fuoco [forse il «carro del sole»] del racconto di Elia [2 Re 2,11] era di origine celeste, come puri i cavalli e carri di fuoco di cui si parla in 2 Re 6,17. Tuttavia, occorre osservare, come accade di solito anche altrove, certi materiali mitologici, pure se presi nella loro essenza concreta non possono essere isolati né esagerati. È tipico del linguaggio mitologico il non distinguere fra il simbolismo delle immagini e la realtà pura. Assieme ai tratti mitologici riguardanti la natura, nell’A.T. troviamo anche i motivi storici della guerra santa. Nella manifestazione di Dio a Elia sull’Horeb [1 Re 19,11], invece, si rifiutano volutamente i fenomeni tradizionali: YHWH non è nella tempesta, nel terremoto o nel fuoco, ma nella calma del vento. Considerando quindi l’immagine divina nel suo insieme YHWH non è un dio della tempesta né un demone del fuoco. YHWH si manifestava fondamentalmente tramite il suo intervenire nella storia:la sua personalità, il suo nome e - nei profeti - la sua parola venivano offerti agli uomini in un modo tale per cui i fenomeni di tempesta erano puri simboli dell’opera possente di Dio, soprattutto se consideriamo che si tratta pur sempre di un genere poetico - innico e, nei profeti, soltanto di visioni. Tuttavia, il fuoco, quale simbolo positivo della sua presenza è una forma di manifestazione di Dio dietro la quale la sua presenza tende a nascondersi più che a rivelarsi. Soprattutto la teologia sacerdotale ha introdotto a questo punto il concetto di «gloria», ossia la «gloria» divina, celata di solito nell’immagine della nube [Es 16,10; 24,15-17; 40,34-38]. In tal modo si cerca di superare la tensione tra la

21 V. HAMP, art. ēš, iššeh in: KITTEL G. – FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, 928-929; J.-D. KAESTLI, L’eschatologie dans l’oeuvre de Luc. Ses caractéristiques et sa place dans le développement du Christianisme primitif, Genève 1969,19-23; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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manifestazione visibile e l’essere invisibile di Dio. Vi è infatti un sicuro collegamento tra gloria e fuoco anche se non molto stretto e inscindibile.

Il fuoco nell’apocalittica: Ezechiele e Daniele

«Con la nascita dell’apocalittica e quindi del genere delle visioni che le è proprio, la luce e il fuoco vengono sempre più spesso a far parte del mondo trascendente22. «L’aspetto della forma della gloria di Dio» era un risplendere come quello dell’arcobaleno [Ez 1,28]. Dio stesso ha una forma umana i cui contorni sono avvolti in uno splendore luminoso. La descrizione del «vecchio dei giorni» in Dn 7,9 è tratteggiata in maniera più chiara: la sua veste è bianca come la neve, il suo trono di fuoco e le ruote di questo, fuoco splendente. In 10,6 viene descritta la figura di un angelo: «Il suo volto era come il fulmine, i suoi occhi come fiaccole di fuoco». Immagini simili, ma di epoca posteriore, ricorrono in Ap 1,13-16; 4,3-5. Una concezione tarda e ormai non più tipica dell’A.T. è quella dell’annientamento escatologico, sulla terra e nel fuoco dell’inferno, dei nemici di Dio. Il punto di congiunzione è rappresentato da Ml 3,19: «Saranno annientati nel giorno a venire. Prendendo spunto dal fuoco mortale del Tofet nella valle di Hinnom, il passo tardoesilico di Is 66,24 [citato da Mc 9,48] dice - in maniera oscura -: «Il suo verme non muore e il suo fuoco non si sazia». L’apocalittica collega alla rovina del mondo la distruzione di questo con il fuoco, concetto che ricorre anche nel N.T. [2 Pt 3,7]; ma è da scartare l’ipotesi per la quale la concezione di una distruzione del mondo per mezzo del fuoco sia già presente in Sofonia23».

Conclusione generale

«Il Dio nostro è Fuoco divoratore!», proclama l’autore dell’Epistola agli Ebrei [Ebr 12,29, che cita Dt 4,24; 9,3, e fa riferimento anche a Is 33,14], per cui occorre dare culto accetto a Dio «con religiosità e timore». Il simbolismo del «fuoco» applicato a Dio, al suo essere ed al suo operare nella storia degli uomini, è suggestivo, di uso continuo ed insistito, e vuole significare molte realtà, le quali tra loro interferiscono e si sommano e completano, come già abbiamo esplorato e verificato. In generale il fuoco è il «segno» più irresistibile della teofania della Gloria divina così come ci è dato di verificare nei testi della Scrittura. Nel tentativo di operare una conclusione, richiamiamo alcuni concetti che sono essenziali per la ricerca che abbiamo intrapreso. E questo anche per documentare ancora una volta che il tema del fuoco è strettamente legato sia con la Parola di Dio, continuamente accesa e annunciata «sulla terra», sia con il dono dello

22 V. HAMP, art. ēš, iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 930; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

23 V. HAMP, art. ēš, iššeh in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico dell’Antico Testamento, Brescia 1988, 930; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

Spirito Santo che potremmo definirlo, stando ai risultati della nostra esposizione, il «Fuoco procedente dal Fuoco».

La Parola di Dio è Fuoco che arde e purifica

La prima considerazione viene dai Profeti, e tra questi dal grande Geremia, che è anche sacerdote benché rimosso dal suo incarico, uomo mite ma condannato alla lotta per il Signore in mezzo al popolo deviato, alle autorità dimentiche dei loro doveri [principe, sacerdoti, sapienti d’Israele], alla minaccia incombente dell’invasione babilonese che con terrificante precisione egli annuncia, benché invano. Per tutto questo la Parola di Dio è sentita da lui quale Fuoco ardente nel cuore, che consuma le ossa, che è incontenibile ed insopportabile: Ger 20,9, testo classico. È la principale manifestazione divina, davanti a cui nulla resiste, è Fuoco e Martello che sgretolano e consumano le rocce più tenaci [Ger 23,29; cfr. anche 5,14]. La meditazione sapienziale prosegue questa visuale, e vengono così affermazioni lapidarie: «Tutte le parole di Dio sono provate dal Fuoco, sono lo Scudo di chi si rifugia in Lui» [Pr 30,5]. Il libro dei Salmi che è esperienza spirituale quotidiana e permanente, esprime definitivi convincimenti:

Le Parole del Signore, Parole pure, argento infuocato, provato in terra [nel crogiolo], purificato sette volte [Sal 11,7];

Il Dio mio! Immacolata la vita di Lui,le Parole del Signore infuocate,Scudo per tutti quelli che sperano in Lui [Sal 17,31];

I Precetti del Signore, retti, rallegranti il cuore,il Comandamento del Signore trasparente,illuminante gli occhi …I Giudizi del Signore, veri …più desiderabili dell’oro [raffinato dal fuoco]e di pietra molto preziosa … [Sal 18,9.10b-11a];

Per questo io amai i tuoi Comandamentipiù dell’oro [raffinato] e del topazio; Infuocata la parola tua moltissimo,ed il servo tuo la amò [Sal 117,127.140].

Ma non meno sviluppata è l’idea che questa Parola-Fuoco è segno di purificazione. Tra i tanti testi ne vediamo uno in particolare che può aiutarci a cogliere in profondità tale dinamicità. Testo classico è Is 6,6-7. Il Profeta si preoccupa di porre la datazione del fatto che lo investe. È l’anno della morte del re di Giuda, Ozia, che è il 741-740 a.C. Isaia è giovane, di famiglia nobile apparentata con la stirpe regale, gerosolimitano, di costumi non irreprensibili; può essere che sia salito al tempio per qualche occasione, oppure anche per curiosare, mentre si svolge il sacrificio quotidiano

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«perenne» [due volte al giorno, alle 9 della mattina, alle 15 del pomeriggio: Nm 28,1-8], dato che all’altare arde ancora il fuoco nuovo. Ecco all’improvviso la presenza del Signore intronizzato nella sua aula regale sul suo trono trascendente [Is 6,1b]. Egli non è in sé visibile, ma occupa l’intero spazio concepibile, tanto che l’estremo lembo del suo manto regale riempie tutto il tempio [Is 6,1c]. È questa la sola parte manifestata del Signore, l’Invisibile. La descrizione prosegue. Del Signore non è detto altro, ovviamente. Invece si parla dell’aula regale dove Egli sta in trono. «Su Lui», ossia intorno a Lui stanno «in piedi», nell’attitudine del servizio premuroso e pronto, i Serafini, gli «Ardenti», dei quali non è precisato il numero24. Essi si mostrano in forma umana, hanno il volto e i piedi, che si coprono con due paia di ali per timore venerante del Signore, e con un altro paio di ali volano liberamente «intorno» al Signore, che semplicemente non occupa lo spazio né si estende nel tempio [Is 6,2]. Ma essi non solo volano, insieme tributano al Signore il culto della lode, la dossologia eterna. Il grido adorante dei Serafini è rivolto l’uno all’altro, non direttamente al Signore25. Is 6,3 termina con la dichiarazione di infinità di Dio: la Gloria divina che irrompe sulla terra, in realtà la riempie da sempre, solo che adesso per misericordia si rende visibile al Profeta. La teofania si completa con la terribilità: i cardini delle porte del santuario sono scossi da irresistibile violenza, e la caligine occupa il tempio. Al Sinai era scossa la montagna [Es 19]. La caligine, o Nube della divina Gloria, che di giorno seguiva Israele nel deserto come guida e protezione, anche come fuoco di notte, si posava poi a riempire il santuario per indicare la presenza divina concreta, e il riposo dal viaggio faticoso [Es 40,34-38; Nm 9,15-23]. La Nube poi si pone nel santuario a Gerusalemme quando è costruito da David ed inaugurato da Salomone [1 Re 8,10-11]. Adesso si rende visibile, incutendo immane terrore ad Isaia [Is 6,4]. La reazione del giovane Isaia è quella normale di chi è stato investito, in senso positivo o negativo, da una teofania. Il profeta esclama: «Guai per me!», e ne dà tre motivazioni: anzitutto perché si sente perduto; poi perché questo è causa del suo essere «uomo dalle labbra contaminate»; e infine perché tutto il popolo, tra cui abita, ha le «labbra contaminate». E la contaminazione della persona è abominio davanti a Dio. Isaia sa che nessuno si salva, tutti sono contaminati, poiché tutti, lui per primo, hanno «parlato e mangiato» con le labbra quanto al Signore dispiace, quanto per il bene degli uomini ha proibito. Tale contaminazione generale è descritta nei vv. 10-13, con orribili minacce. Così Isaia vede e quasi tocca la presenza divina, e ne resta annientato nella coscienza. Infatti egli conosce che sta nella rovina in atto [Is 6,5a], perché i suoi occhi hanno visto da vicino «il Signore delle Seba’ôt», ed ogni Israelita sa da Mosè che chi vede Dio non può vivere, ma deve morire [Es 33,20]. Isaia, quindi,

24 La radice saraf, comune alle lingue semitiche, significa bruciare, da cui i «serpenti infuocati» nel deserto. I Serafini sono esseri celesti, richiamati dalla figura simbolica del fuoco che proviene dal Signore e che si manifesta al suo servizio.

25 Il testo cantato dai Serafini alla lettera proclama così: Santo Santo Santo, il Signore delle Seba’ôt, piena l’intera terra della Gloria di Lui! [cfr. anche Is 33,17; Ger 10,10; Ez 1; 3,12; Zc 9,9].

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esprime una confessione, seguita da una constatazione: peccatore, e tuttavia vivo pur dopo la visione eterna. Obbedendo all’invisibile comando, un Serafino si stacca dal cielo, prende con una pinza il carbone ardente dall’altare dei sacrifici, in funzione in quel momento, e si dirige verso Isaia [Is 6,6], gli pone la brace sulle labbra e dà la spiegazione del gesto di mistero: l’iniquità di Isaia è distrutta dal fuoco purificatore, il peccato è annientato [Is 6,7]. Il giovane Isaia è consacrato, così, anche come Profeta di Dio, pronto per parlare da parte del Signore al suo popolo. Isaia, dunque, abbandona tutto e si fa avanti spontaneamente. Il seguito parla della missione profetica [Is 6,9-13], che porta minaccia e rovina per il popolo, finché da esso sopravviva un «resto santo». In Is 4,4-5, inoltre, si parla di purificazione dell’intero popolo con lo Spirito di Dio.

Il Fuoco è segno dell’accettazione del sacrificio

«Il tema del fuoco sacrificale ha un eccezionale sviluppo nell’A.T., quando, in analogia con tutte le religioni dell’ambiente orientale, vigeva un sistema rituale in cui il fuoco aveva la parte preponderante nei sacrifici di vittime animali e perfino di vittime umane, e non solo in questi. Si hanno molte rappresentazioni di altari con fuoco e vittime; nella concezione religiosa numerica e babilonese, l’altare con il fuoco era addirittura una precisa divinità, che a sua volta riceveva il suo debito culto. Esisteva anche la setta fondamentalista e violenta degli «adoratori del fuoco», i Parsi. La prescrizione generale del sistema sacrificale ebraico era che sotto la responsabilità del sacerdote il fuoco dell’altare dei sacrifici dovesse essere perenne [Lv 6,6], sempre il medesimo, mai nuovo, non dovesse essere mai spento. Infatti si doveva significare così la continuità del sacrificio, e in un certo senso l’unicità del sacrificio al Signore Unico nei sacrifici numericamente diversi nel loro continuo ripetersi. E così doveva essere presentato in modo perenne, il pane santo della preposizione nel «santo» davanti al «santo dei santi» [Lv 25,5-9; Nm 4,7], segno dell’offerta sacrificale perenne delle 12 tribù del suo popolo al Signore, ma pane illuminato dalla luce del candelabro a sette braci, anch’esso perenne [Es 27,20; Lv 24,2]. Nel sistema dei sacrifici, il più importante tra essi è l’olocausto, con cui l’intera materia offerta, ossia la vittima, o il pane con l’olio e l’incenso e il vino, dal fuoco che li consuma per intero, senza lasciare resti, salgono al Signore «come aroma soave», simbolo dell’accettazione e del gradimento non di questa materia, bensì dell’intenzione dell’offerente. Il fuoco è l’elemento indispensabile dell’offerta totale». Ora, questo tema del fuoco sacrificale, in alcuni casi appare come un rovesciamento della prospettiva: il Signore non si accontenta più dell’«aroma soave» che sale a Lui provocata dal fuoco dell’altare e che Egli gradisce. Al contrario, mostra di gradire l’olocausto, simbolo sacramentale delle intenzioni dell’offerente, attuandolo Egli stesso, ossia Egli stesso invia dal cielo il fuoco che consuma il sacrificio preparato per Lui. I casi che si possono esaminare stanno tutti sotto questa condizione: sono sacrifici d’olocausto offerti al Signore da capi

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del suo popolo, e mentre si accingono a qualche operazione in favore di questo popolo. Tali casi si possono individuare nell’ordine cronologico che indicano i testi stessi dell’Antico Testamento26. Il Signore promette ad Abramo l’alleanza divina con la benedizione e la discendenza [Gen 15,1-7, e 13-16], e per significare che la sigilla in eterno chiede ad Abramo di preparare un sacrificio a questo scopo [Gen 15,7-12], e lo consuma Egli stesso con il suo fuoco dal cielo, che concede come «segno» di accettazione e di ratifica [Gen 15,17-18]. Quando Mosè come dispositore e Aronne come esecutore hanno preparato nel deserto, per iniziare l’esodo verso la terra, tutto il sistema del culto al Signore, lo inaugurano con un solenne olocausto sull’altare [Lv 9,1-22], e allora si manifesta la Gloria del Signore sul popolo in assemblea [Lv 9,23] e «uscì il fuoco dalla presenza del Signore e divorò sopra l’altare l’olocausto e il grasso» [Lv 9,24]. Rievoca poi il fatto la narrazione di 2 Mac 2,10. Il Signore sceglie Gedeone per farne il condottiero da inviare a liberare il popolo oppresso dai Madianiti [Gdc 6,1-6], e Gedeone chiede un «segno», e prepara un capretto, pani azzimi e brodo di carne [Gdc 6,17-19]. Allora l’Angelo del Signore gli fa deporre il capretto e il pane azzimo su una pietra come altare, gli fa versare il brodo sopra [in modo che la materia sia ancora più bagnata] e con il bastone tocca la materia del sacrificio ed esce il fuoco che consuma tutto [Gdc 6,20-21]. Così avviene ai genitori di Sansone, Manoah e la sposa anonima. La nascita del figlio è promessa alla donna, che è sterile, al fine che il Signore lo chiami alla consacrazione di nazireo che gli donerà lo Spirito del Signore, e questo lo renderà irresistibile, al fine che egli liberi il suo popolo dai nemici [Gdc 13,1-14]. Il futuro padre, Manoah, chiede un segno alla nascita di questo figlio, e prepara un sacrificio [Gdc 13,15-19]. Allora l’angelo del Signore scatena dall’altare stesso il fuoco che consuma le offerte [Gdc 13,20]. David per il suo censimento del popolo, atto di superbia di monarca dimentico che il popolo è solo del Signore, scatena una tremenda punizione sul popolo stesso [1 Cr 21,1-15]. Per il suo pentimento [1 Cr 21,16-17], l’Angelo del Signore gli fa preparare un altare per l’olocausto di espiazione sull’aia di Ornam il Gebusita [gerosolimitano] che aveva ospitato l’arca dell’alleanza [1 Cr 21,18-25], e all’invocazione di offerta di David il Signore invia il suo fuoco dal cielo che consuma l’olocausto [1 Cr 21,26]. Salomone inaugura il tempio di Gerusalemme, lo dedica al Signore [2 Cr 3-6], preparando gli olocausti, discende il fuoco dal cielo e li consuma, e la Gloria divina riempie la casa del Signore [2 Cr 7,1-2]. Il fatto è rievocato in 2 Mac 2,11. Elia, restato solo a proclamare i diritti del Signore, sfida i sacerdoti dell’idolo Baal sul Monte Carmelo. Quelli invocano invano le loro divinità sul loro sacrificio [1 Re 18,16-29]. Allora Elia davanti al popolo invoca la testimonianza del Signore sul suo olocausto, che fa bagnare diverse volte [1 Re 18,30-37], e il fuoco dal cielo lo consuma [1 Re 18,38], provocando la

26 Cfr. J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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fede sincera del popolo [1 Re 18,39]. Resta emblematico qui il Sal 19,4, un «Salmo regale», che nella traduzione27 dell’ebraico [20,4] suona così:

[Il Signore] faccia memoriale di tutte le tue offertee incenerisca il tuo olocausto,

trattandosi di sacrifici che offre al Signore il re del suo popolo e per il suo popolo. Il simbolo del fuoco è pertanto così grandioso che deve impressionarci. Non esiste altro simbolo più idoneo del fuoco per esprimere il divino e la spiegazione è anche abbastanza semplice. Nell’intera creazione, nessun altro elemento visibile e sensibile è altrettanto forte, irresistibile, affascinante, impressionante, indomabile, incontrollabile. Si pensi ad un grande incendio, ad un vulcano, al sole, alle stelle, alle galassie. Solo il fuoco nell’intera possibilità offerta dagli elementi creaturali può indicare realtà terrificanti, immani e definitive. «Poiché esso solo viene all’improvviso ed è imprevedibile. Tocca sempre per primo, ma da nessuno è toccato per primo. Afferra e possiede, ma è inafferrabile ed intrattenibile. Doma tutto quello che tocca, ma nulla che lo tocchi lo può domare [si pensi qui al fuoco di una stella, al fuoco atomico]. Esso salda insieme oggetti diversi, ma da nessuno è saldato. Purifica qualunque oggetto investe, ma nessun oggetto lo contamina in qualche caso. Si comunica fulmineamente a tutti, a ciascuno ed a tutto, tuttavia nessuno e nulla comunica di sé ad esso. Si dona a tutti, ma nessuno alcunché dona ad esso. Si diffonde dappertutto, ma per nulla diminuisce. Riscalda tutto, ma nessuno può riscaldarlo. Infiamma tutto, ma non si raffredda, e nessuno può raffreddarlo. Trasforma tutto in fuoco, ma non si trasforma in nessun elemento, e nessun elemento può trasformarlo. Illumina tutto, e da nulla è illuminato né oscurato. Dona la vita, e non riceve la vita da nessuno. Riempie dovunque invade e tocca, ma nulla lo può riempire28». Gli autori biblici hanno così scelto il simbolismo del Fuoco per indicare l’Essenza divina [questo anche pensatori pagani], e il suo agire personale nel mondo e tra gli uomini [e questo nessuno poteva intuirlo dei pagani]. «Battesimo» e «battezzare», in conclusione, sono un’immagine certamente proveniente da Gesù per simboleggiare la sua morte [Mc 10,38]; in greco il termine equivale anche a «oppressione» e «rovina dell’anima». Appare così quale sia per Gesù il reale significato del consapevole cammino verso Gerusalemme intrapreso in Lc 9,51: egli sta andando incontro alla rovina. Come in Mc 10,38 anche i discepoli di Gesù la

27 E. ZOLLI, I Salmi, Milano 1951, 35-37. È utile anche controllare lo studio di T. FEDERICI, «Ed i tuoi olocausti incenerisca». Rilettura di Ps 20 [19],4, in AA.VV., Eulogia. Miscellanea liturgica in onore di Burkhard Neunheuser, SA 68, Roma 1979, 57-95.

28 O. ODELAIN - R. SÉGUINEAU, Concordanza tematica del Nuovo Testamento, Bologna 1993, 369-373; F. LANG, art. pur in: KITTEL G. - FRIEDRICH G., Grande Lessico del Nuovo Testamento, XI, Brescia 1965-1989, 825-838; H. LICHTENBERGER, art. pur, in: BALZ H. - SCHNEIDER G., Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, II, Brescia 1998, 1223-1230; J. H. CHARLESWORTH, The Old Testament Pseudepigrapha, I-II, London 1985, 736.753.826.909; J.H. LAGO, «Fuego he venido a traer a la tierra» [Lc 12,49-53] in: EstB 57 [1999], 247-255.

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condivideranno, perciò qui egli promette loro non pace, ma divisione. Termini biblici originariamente riferiti al tempo escatologico divengono «da ora in avanti» realtà; i legami familiari più stretti vengono lacerati. Il battesimo di Gesù sembra scatenare «agitati flutti della morte, torrenti della rovina» [2 Sam 22,5], nei quali si «sprofonda nel fango, si cade in acque profonde e si è travolti dalle onde» [Sal 69,3]; la sua angoscia dimostra che tale prospettiva non va affatto ridotta a immagine puramente spirituale. Lc 12,49 con una simbologia tipica di Gesù, lo descrive come un fuoco di cui si desidera solo che già sia acceso. Il parallelismo dei vv. 49-50, in cui sia il fuoco sia la divisione sono indicati come scopo della venuta di Gesù, mostra che fondamentalmente non sono possibili altre interpretazioni. Il fuoco è immagine del giudizio [Lc 3,9; 9,54; Mc 1,7;Ap 8,5; 20,9]. Mentre il termine del v. 50 designa colui che è completamente assorbito, angosciato [dalla paura o da un progetto o da una decisione da prendere], il v. 49 esprime più chiaramente lo struggimento di Gesù. Il fuoco del giudizio divino, però, per Zc 13,9; Ml 3,2 è al tempo stesso purificazione [Lc 3,16]. Nella Parola di Dio esso passa attraverso il popolo [Ger 5,14; 23,29; Sir 48,1], fino al punto che fuoco e regno sono in parallelo e in fondo significano la stessa cosa [cfr. Vangelo di Tommaso, 82]. Quanto era promesso in Lc 2,34 diventa allora reale. Solo passando attraverso il fuoco del giudizio si trova il regno. Il fuoco di Dio provoca angoscia e paura della morte; ma la divisione e gli attacchi subiti consentono l’ingresso nel regno, dove l’uomo trova comunione di mensa e identità.

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* PER L’ELABORAZIONE DELLA «* PER L’ELABORAZIONE DELLA «RIFLESSIONE SULLA PAROLA DI DIORIFLESSIONE SULLA PAROLA DI DIO»» DI QUESTA DOMENICA DELLA SANTA PENTECOSTE [CICLO B], DI QUESTA DOMENICA DELLA SANTA PENTECOSTE [CICLO B],

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- Lezionario domenicale e festivo. Anno B, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008;- TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. Commento al lezionario domenicale cicli A,B,C, Quaderni di “Oriente cristiano” 11, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 2001;- TOMMASO FEDERICI, “Resuscitò Cristo!”. Commento alle Letture bibliche della Divina Liturgia bizantina, Quaderni di “Oriente cristiano” 8, Eparchia di Piana degli Albanesi, Palermo 1996;- TOMMASO FEDERICI, Cristo Signore Risorto amato e celebrato. La scuola di preghiera cuore della Chiesa locale, Dehoniane, Bologna 2005; - TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo C, Dehoniane, Roma 1988, III, 828;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Dehoniane, Napoli 1987, I, 444;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo B, Dehoniane, Napoli 1987, II, 587;- TOMMASO FEDERICI, Per conoscere Lui e la potenza della Resurrezione di Lui. Per una lettura teologica del Lezionario, Ciclo A, Dehoniane, Roma 1989, IV, 1232;- TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione del Signore. Saggio d’esegesi antica e moderna per una «tradizione ermeneutica», P.I.B., Roma 1971, 35;- TOMMASO FEDERICI, Echi d’Oriente, La Trasfigurazione “Ascolto” del “Figlio diletto”, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 7 [1979], 13; - TOMMASO FEDERICI, La «narrazione visiva» della Trasfigurazione, in «L’Osservatore Romano», 06.08.1995, 3;- TOMMASO FEDERICI, La Trasfigurazione gloria dell’uomo, in «L’Osservatore Romano», 03.08.1997, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. A. I Salmi di Supplica e Fiducia, «Doxologia» 9, pro manuscripto, P.U.U., Roma 31994, 1-307;

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- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. B. I Salmi di Lode, «Doxologia» 10, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1990, 307-482;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. E. I Salmi di Azione di Grazie, «Doxologia» 19, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1996, 858-1020;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte I, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 483-660;- TOMMASO FEDERICI, Comprendiamo e celebriamo i Salmi. C. Salmi della Regalità divina. Cantici di Sion, «Doxologia» 11, Parte II, pro manuscripto, P.U.U., Roma 1994, 661-862;- TOMMASO FEDERICI, Celebriamo Cristo Risorto Battezzato nello Spirito. La grande Festa del Battesimo del Signore - Domenica 1 per l’Anno, in Culmine e Fonte, II/7 [1981], 1-10;- TOMMASO FEDERICI, Teologia Biblica. La Resurrezione, «Doxologia» 16, P.U.U., Roma 1994, 146;- TOMMASO FEDERICI, Unica Fonte: la Resurrezione e lo Spirito, in Cristo e lo Spirito Santo nel Nuovo Testamento, 49-110;- TOMMASO FEDERICI, Dopo la Resurrezione il tempo ha un senso, in «L’Osservatore Romano», 15.04.1992, 7;- TOMMASO FEDERICI, La Notte del Natale e la Notte della Resurrezione, in «L’Osservatore Romano», 12.04.1995, 6;- TOMMASO FEDERICI, La Resurrezione: mandato missionario perenne, in «L’Osservatore Romano», 20.04.1997, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Resurrezione dono di pace, in «L’Osservatore Romano», 11.04.1993, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Resurrezione recupero della certezza, in «L’Osservatore Romano», 07.04.1996, 4-5;- TOMMASO FEDERICI, Sulla Resurrezione una letteratura portatrice di enormi sviluppi, in «L’Osservatore Romano», 03.04.1996, 8;- TOMMASO FEDERICI, Notte della Resurrezione. Omelia di s. Giovanni Crisostomo per la Resurrezione, pro manuscripto, 2;- TOMMASO FEDERICI, Una Pentecoste continua, in Diaspora 5 [1972] 1-5;- TOMMASO FEDERICI, Parola Sapienza Spirito, Una Pentecoste continua: la normale vita di fede della Chiesa è la Pentecoste in atto, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 5 [1977], 4;- TOMMASO FEDERICI, Quella Pentecoste che è pienezza e totalità, in «L’Osservatore Romano», 31.05.1998, 4-5.- TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo: Amore vivificante che feconda l’opera della Redenzione, in «L’Osservatore Romano», 9-10.05.1997, 6;- TOMMASO FEDERICI, «Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Lo Spirito Santo nella Theologia e nell’Oikonomia, pro manuscripto, «Incontri con il clero dell’Archidiocesi di Manfredonia-Vieste», 76;- TOMMASO FEDERICI, «Spirito Vivificante». Cristo e lo Spirito Santo nel Nuovo Testamento, «Doxologia» 2, P.U.U., Roma 51995, 270; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo nell’Anno Liturgico. Annotazioni al Messale Romano di Paolo VI, in RL 62 (1975) 246-270;- TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo Protagonista della missione [RM 21-30], in Cristo Chiesa Missione. Commento alla «Redemptoris Missio», «Studia Urbaniana» 38, Urbaniana University Press, Roma 1992, 107-151 + Preliminare; - TOMMASO FEDERICI, Lo Spirito Santo Protagonista della Missione, in L. SACCONE (Ed.), Pozzuoli: una Chiesa in cammino, «Puteoli Resurgentes» 8, Pozzuoli 1993, 211-249.

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

- AA.VV., Temi di predicazione, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2002-2003; 2005-2006; 2006-2007; 2007-2008;- ALCESTE CATELLA - RINALDO FABRIS, Guidami nelle tue vie. Anno B, Dehoniane, Bologna 1998;- ANNA MARIA CENCI, La Parola di Dio nel Vangelo di Matteo, Piemme, Casale Monferrato 1995;- ANTONIO FALCONE, Trasfigurazione di Cristo e trasfigurazione dell’uomo icona di Dio. Sintesi dei trattati teologici alla luce della Trasfigurazione, pro manuscripto, UPS, Roma 1997; - ANTONIO FALCONE, Tommaso Luigi Federici [in memoriam], in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 576-583.801-806;- ANTONIO FALCONE, La lettura liturgica della Bibbia: il Lezionario, in Rivista Liturgica 89 [4-5 2002], 747-756; - ANTONIO FALCONE, La Bibbia diventa Lezionario, in Atti della Settimana Biblica Diocesana [21-23 febbraio 2002], pro manuscripto, Piedimonte Matese 2002, 1-16; - ANTONIO FALCONE, Profilo biografico e bibliografia di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 17-55; - ANTONIO FALCONE, Il metodo della “Lettura Omega” negli scritti biblici, patristici, liturgici e teologici di Tommaso Federici, in Itinerarium 11 [2003], 71-95; - ANTONIO FALCONE, La comunità religiosa oggi, “scuola di preghiera”, in A. STRUS - R. VICENT [a cura di], Parola di Dio e comunità religiosa, ABS-LDC, Torino 2003, 87-97; - ANTONIO FALCONE, The religious community today “a school of prayer”, in M. THEKKEKARA [edited by], The word of God and the religious community, ABS, Bangalore 2006, 117-134; - ANTONIO FALCONE, “Annuncia la Parola ...” [2 Tim 4,2], in R. VICENT - C. PASTORE [a cura di], Passione apostolica. Da mihi animas, ABS-LDC, Torino 2008, 161-172; - ANTONIO FALCONE, Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte I], in Parola e Storia 3 [2008], 67-101; - ANTONIO FALCONE, Il discorso della montagna. Lettura analitica e retorica di Mt 5,13-16 [Parte II], in Parola e Storia 4 [2008], 241-288;- ANTONIO FALCONE, L’incontro di Gesù con i Greci in Gv 12,20-36, pro manuscripto, PUU-Roma 2000, 18-55;- ANTONIO FALCONE, Il detto di Gesù sul fuoco in Lc 12,49. Esegesi e Teologia, pro manuscripto, Roma 2004, 275;- CHRISTOPHE SCHÖNBORN, L’icona di Cristo. Fondamenti teologici, Paoline, Cinisello Balsamo 1988;- DANIEL J. HARRINGTON, Il Vangelo di Matteo, LDC, Torino 2005; - DONATO GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografa contemporanea, Ancora, Milano 2003.- ENZO BIANCHI ET AL., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 88 [2007] 10, 69 pp;- ENZO BIANCHI, Le parole della spiritualità, Rizzoli, Milano 21999;- ERMANNO ETTORRI, La liturgia dell’evangelo. Annuncio, carità, culto in Paolo apostolo, Dehoniane, Roma 1995;- FILIPPO CONCETTI, «Non in solo pane vivit homo» [Mt 4,4; Dt 8,3]. Studio di antropologia teologica liturgica della Messa della Domenica 1 di Quaresima. [Ciclo A], P.I.L., Tesi di licenza moderata dal Prof. TOMMASO FEDERICI, 1981-1982; - FRANCESCO ARMELLINI, Ascoltarti è una festa. Le letture dominicali spiegate alla comunità. Anno A, Messaggero, Padova 2001;- GIORGIO CASTELLINO, Il Libro dei Salmi, LSB, Torino 1965;- GIORGIO ZEVINI - PIER GIORGIO CABRA [edd.], Lectio divina per ogni giorno dell’anno, Queriniana, Brescia 2000;- GIUSEPPE GIOVANNI GAMBA, Vangelo di San Matteo. Una proposta di lettura, Las-Roma 1998; - GIUSEPPE POLLANO, Alla mensa della Parola. Omelie per l’anno A, LDC, Torino 2007;

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].

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“Dalla Parola di Dio al Dio della Parola” Domenica della Santa Pentecoste [B]

- GIUSEPPE SALA - GIULIANO ZANCHI [postfazione di SILVANO PETROSINO], Un volto da contemplare, Ancora, Milano 2001;- JESUS MANUEL GARCIA, pro manuscripto, UPS-Roma 2004-2008;- JOACHIM JEREMIAS, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1968; - LORENZO ZANI, I Salmi preghiera per vivere. Breve guida al Salterio, Ancora, Milano 2003;- MANLIO SODI - GIUSEPPE MORANTE, Anno liturgico: Itinerario di fede e di vita, LDC, Torino 1988;- MARC GIRARD, I Salmi specchio della vita dei poveri, Paoline, Cinisello Balsamo 1994; - MARIO CIMOSA, Con te non temo alcun male. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1995;- MARIO CIMOSA, Nelle tue mani è la mia vita. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1996;- MARIO CIMOSA, Se avessi le ali di una colomba. Lettura esegetica e spirituale della bibbia, Dehoniane, Roma 1997;- PIERRE GRELOT, Il Mistero di Cristo nei Salmi, Dehoniane, Bologna 22000;- SALVATORE GAROFALO, Parole di vita. Commento ai vangeli festivi. Anno A, LEV, Città del Vaticano 1980.- SALVATORE PETTI, Temi biblici del lezionario nella solennità della Pentecoste, P.I.L., Tesi di licenza moderata dal Prof. TOMMASO FEDERICI, 1973-1974.

A cura di Tonino Falcone sdb [Dimensione teologico-biblica]; Jesus Manuel Garcia sdb [Dimensione teologico-spirituale].