Della Porta, il mago dell'arcana sapienza

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Una riflessione, a 400 anni dalla morte di Giovan Battista Della Porta Napoletano, uno dei grandi geni del Rinascimento.

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nella festa di S. Bartolomeo, nel qual giorno gli vo-levano uccider tutti, si buttò per una fenestra pernon essere ucciso, e scampò dal periglio». Il volgo,sensibile al soprannaturale, al miracolo apparente,tendeva a identificare il mago con il “teurgo”, co-lui che pratica operazioni demoniche. Per DellaPorta, invece, il mago è il sapiente dotato di capa-cità operative, che conosce i processi nascosti e re-puta la magia soltanto opera di natura: «Nil aliudmagiae opera credatis, quam Naturae opera»(Magia naturalis). Lo spirito con cui si faceva avvi-sare dal boia di Napoli, Antonello Cocozza, quan-do deponeva gli impiccati dalle forche per esporlial Ponte Ricciardo, era lo stesso di quello di Vesa-lio, che andava nel Cimetière des Innocents per pro-curarsi i corpi dei condannati a morte. La differen-za è che Vesalio descriveva l’anatomia di quei corpiper indagare il funzionamento della Humani cor-poris Fabrica, mentre Della Porta ne studiava le li-nee delle mani e dei piedi per leggervi l’improntadel destino. Il metodo è esattamente uguale, di-verso è il patrimonio sapienziale di riferimento,ancorato al passato quello del filosofo napoletano,proiettato nel futuro quello dei novatores. La suaricerca dei “fisici fondamenti” si concentrò su di-scipline non propriamente “moderne” quali fisio-gnomica, fitognomonica, chirofisonomia, astro-logia. Un tentativo velleitario, spesso imbaraz-zante, di sperimentalizzare il magico, alla ricerca

«Zitt’, sta passann’ ̀ o mago!». Con uninchino tra l’ossequioso e l’intimo-rito il volgo napoletano salutava

don Giambattista Della Porta (1535-1615), chedopo la passeggiata mattutina per Via Toledo, tor-nava a rintanarsi nella wunderkammer del suo pa-lazzo, nei pressi di Largo della Carità. Ma guai afargli sentire quella parola, «mago»! Nonostanterivendicasse con orgoglio l’antica sapienza e ali-mentasse con le sue predizioni sul destino di nobilie sovrani, quell’aura di mistero che lo circondava,egli ci teneva a distinguersi dai “negromanti”.Quando Jean Bodin, nella sua Démonomaniae dessorciers, lo accusò di essere un «mago venefico»,per aver descritto nella Magia naturalis la ricettadell’unguento delle streghe, tra i cui ingredientifigurava la puerorum pinguedo, il grasso di bambini,egli reagì con violento sdegno: «calunnie oppo-stemi da ignoranti e vilissimi uomini, & invidiosi, iquali assai immodestamente e barbaramente mioffendono, i quali stimano ch’io sia Mago, il qualnome ebbi in orrore, & odio da che nacqui, giudi-candolo vanità». Anzi, con il caratteristico tempe-ramento napoletano, passò al contrattacco: «Digrazia in che ho io peccato? Perché mi attribuiscequel nome di Mago? [….] un’Heretico, il quale

Magia e Rinascimento

DELLA PORTA: IL MAGODELL’ARCANA SAPIENZA

Una riflessione, a 400 anni dalla morte

GUIDO DEL GIUDICE

Giovanni Battista della Porta, incisione (1682), di Nicolas

de Larmessin (1632-1694)

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dall’una all’altra. Non è un caso che grandi scien-ziati, abbiano coltivato, più o meno segretamente,un interesse per elementi ermetici e alchemici. Ty-cho Brahe, accanto alle osservazioni astronomi-che, compilava almanacchi.

Una copia della Magia naturalis è stata trovatanella biblioteca di Newton, che si divertiva a farvolare di notte l’aquilone luminoso costruito se-guendo le istruzioni contenute nel libro, facendogridare al prodigio tutto il vicinato.

�Non si sa esattamente se Della Porta nacque a

Napoli, oppure a Vico Equense, nella villa dellePradelle, tra ottobre e novembre del 1535. Di fa-miglia nobile ma decaduta, per aver appoggiato larivolta di Ferrante Sanseverino contro il viceréPietro di Toledo, ebbe un’ottima educazione cura-ta dallo zio materno, il celebre studioso di antichitàAdriano Guglielmo Spadafora, insieme al fratellomaggiore Giovan Vincenzo, col quale condivise lapassione per l’astrologia e l’indagine naturale subase magica. Pubblicò, ad appena quindici anni, laprima edizione della Magia naturalis, dopo di chese ne andò in giro per l’Europa, raccogliendo, aspese dello scarso patrimonio personale, libri e cu-riosità rare.

Ispirandosi all’accademia di Girolamo Ru-scelli, in cui fu accolto giovanissimo, fondò quella“de’ Secreti”, la cui base operativa è stata indivi-duata recentemente da speleologi urbani nei sot-terranei di un palazzo del Borgo Due Porte al-l’Arenella, dove sorgeva la villa in collina dei DellaPorta. Qui si svolgevano le riunioni esoteriche, asfondo ermetico e rosacrociano, di cui abbiamoparlato in un precedente articolo su questa rivista.1

Il limite tra magia lecita e illecita, tra astrolo-gia giudiziaria e «celeste fisionomia» era molto te-nue ed egli fu costretto a spostarlo ripetutamente,per sfuggire all’occhio vigile dell’Inquisizione, chelo seguì con attenzione per tutta la vita. Già nel1584, ancor prima dello scontro con Bodin, l’in-

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delle signatura rerum, della presenza dell’assolutonei multiformi e meravigliosi aspetti della natura:uomini, animali, minerali, vegetali (si avverte l’ecodel natura est deus in rebus bruniano). La convinzio-ne che nelle cose naturali esistano virtù che i nostrisensi non sono in grado di rilevare (vedi il magneti-smo), se non per opera di magia naturale, precorrela constatazione dei fenomeni cosiddetti paranor-mali. Ammirevoli intuizioni come questa si ac-compagnano, nelle opere di Della Porta, ad affer-mazioni talmente superstiziose e credule da met-terci a disagio. Per superare questo falso pudorebasta semplicemente accettare che non esiste un li-mite netto di demarcazione tra magia e scienza inepoca rinascimentale, bensì un graduale passaggio

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flessibile cardinale Scipione Rebiba ne reclamòl’arresto «per cose concernenti la fede». La salutecagionevole gli evitò la tortura, permettendogli dicavarsela con la purgazione canonica e un fermoinvito a tenere a freno la sua «impia curiositas» perdedicarsi al teatro, in cui pure riscuoteva lusin-ghieri apprezzamenti. Egli seguì il consiglio conuna vasta produzione di commedie e tragedie(presso la Biblioteca di via Senato sono conservatedue prime edizioni, molte rare, di due di esse: LaTrappolaria, stampata a Napoli da Stigliola nel1595; e La Turca, impressa a Venezia nel 1606) usa-te anche come paravento per le sue ricerche, comenel caso de Lo astrologo in cui mette in ridicoloquelle stesse virtù divinatorie che più volte gli era-no state contestate. Il tormentato rapporto conl’Inquisizione costituisce, per questi geni del Rina-scimento, il distintivo della libera ricerca, perse-guita con mezzi spesso criticabili, ma con quello

spirito di indipendenza intellettuale, che andavafatalmente a impigliarsi nelle strette maglie dellacensura teologica e del suo braccio armato. A diffe-renza di Bruno e Campanella che scelsero di porta-re avanti le proprie idee, opponendosi al potere re-ligioso, Della Porta vi si conformò, non per oppor-tunismo o pavidità, ma per autentico disinteressealle dispute dottrinali, completamente estranee alsuo mondo fatato di raccoglimento nello studio.Non esistono prove certe dell’incontro con Gior-dano Bruno, ma le numerose sintonie culturali e fi-losofiche rendono probabile un’influenza sullaformazione del Nolano, in particolare nei campidella fisiognomica e dell’arte della memoria. Alleeccezionali capacità mnemoniche di quel piccolofrate avido di sapere egli sembra accennare in unpasso de L’arte del ricordare: «Si vanta Seneca averrecitato duecento versi latini, ch’allora gli fusserostati detti, dove alcuni n’han recitato le migliaia a

Nella pagina accanto: vignetta ritraente Giovan Battista della Porta (1535-1615). Sotto da sinistra: Giovan Battista Della

Porta, Phytognomonica (Rouen, Ioannis Berthelin, 1650); le linee della mano. (tavola tratta dalla Chirofisonomia, nell’edizione

del 1677); Giovan Battista Della Porta, Della Magia naturale (Napoli, Antonio Bulifon, 1677)

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dritto, a roverso, e interpellati e di quel modo chegli son stati chiesti». La frequentazione di Campa-nella, invece, è riferita direttamente dallo Stilese,col quale Della Porta, nel 1590, ebbe perfino unadisputa pubblica, nell’aula “San Tommaso” delconvento di San Domenico Maggiore, proprio in-torno al concetto di magia.

Non c’è da stupirsi della mancanza assoluta diriferimenti espliciti ai due frati domenicani, consi-derato il loro triste destino. Giambattista pagò co-munque l’incolumità fisica con una punizione per

lui ancora peggiore: la proibi-zione di pubblicare le sue opere.Con poche eccezioni essa duròper tutta la vita, malgrado prote-zioni illustri, come quelle delcardinale Luigi d’Este, che lovolle al suo servizio, e di Federi-co Cesi, il fondatore dell’Acca-demia dei Lincei, col quale sta-bilì, nonostante la differenza dietà, un imperituro rapporto distima e amicizia. A causa dell’in-terdetto inquisitoriale, non ebbeil piacere di veder pubblicata lasumma delle sue fatiche, la Tau-

matologia, evoluzione e completamento della Ma-gia naturalis, come pure la Chirofisonomia e la ver-sione in volgare della Fisonomia umana, che dovet-te far circolare sotto falso nome. Le sue opere eb-bero, comunque, una larghissima diffusione in tut-ta Europa, facendone uno dei sapienti più ammira-ti del tempo, ricercato da sovrani, cardinali e uomi-ni di scienza. Famosa la missione affidata dall’im-peratore Rodolfo II al suo cappellano ChristianHarmius, al fine di convincere Della Porta a recarsia Praga, o perlomeno a mandare in sua vece un di-

Sopra da sinistra: Giovan Battista

Della Porta, Della celeste fisonomia

(Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1616);

Giovan Battista Della Porta, De

Humana Physiognomonia (Vico

Equense, Joseph Cacchius, 1586);

Giovan Battista Della Porta, De ziferis

(Napoli, Jo. Baptistae Subtilis, 1602).

Qui accanto: Napoli, S. Lorenzo

Maggiore. Lapide sepolcrale di Della

Porta. Nella pagina accanto: Napoli,

targa commemorativa sul Palazzo

Della Porta

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scepolo a conoscenza degli esperimenti sul lapisphilosophorum.

�La sua attività, eccessivamente dispersiva, si

esauriva nell’approvazione o nel rigetto di un “se-creto”, senza trarne nulla di sistematico, che nonfosse un catalogo o un atlante di curiosità e meravi-glie. Ciò non toglie che, tra le centinaia di mirabiliaesaminate, venissero fuori delle originali osserva-zioni, come accadde per la camera oscura, il micro-scopio, il telescopio, il magnete. La priorità nellaprogettazione del telescopio è un fatto assodato,per averlo Della Porta descritto nei particolari (an-ni prima che Galilei lo presentasse), e sancito daiversi che Giovanni Fabri, cancelliere dei Lincei,premise all’edizione del 1655 del Saggiatore: «Por-ta tenet primas, habeas Germane secundas: suntGalilaee tuus tertia regna labor». Ciò avviò un’ac-cesa polemica sull’attribuzione della scoperta, an-che se con un’ammirevole onestà intellettuale,Della Porta riconobbe che, da quella «minchione-ria», il Pisano aveva saputo trarre mirabili osserva-zioni, di cui lui non era stato capace, pur essendonel’inventore. Lo stesso accadde nel caso del magne-tismo, quando William Gilbert, nel De magnete, locriticò ferocemente, tacciandolo d’incompetenza.Anche in questo caso, Della Porta, dopo aver rico-nosciuto correttamente il debito nei confronti del-l’amico Paolo Sarpi, che lo aveva messo a parte del-le sue osservazioni sul fenomeno, rivendicò confermezza il suo primato: «Un barbaro Inglese, ilquale del mio settimo libro della calamita, essendoio il primo che abbia manifestato al mondo da cen-tocinquanta meraviglie; egli trascrivendo tutte lemie, come fussero le sue ne compone un libro, eper non far conoscere il furto, e che non abbia toltodal mio, mi và offendendo di passo in passo, chesian false l’esperienze, ò che egli non intende, òcon furfanteria mentisce, e se vi è alcuna cosa delsuo, tutto è mentita, vanità e melanconia; all’ulti-mo dà in mattezze, e cose da ridere». A quel tempo

le accuse di plagio erano frequenti, a causa del-l’estremo individualismo degli eruditi, che custo-divano gelosamente le proprie scoperte cercando,al contempo, di carpire i segreti di quelle altrui. Ilprincipale veicolo di scambio delle idee era costi-tuito dai libri, ai quali però non tutti avevano acces-so (specie per la severa censura ecclesiastica), siaper quanto riguarda la pubblicazione, che la con-sultazione.

Della Porta aveva una visione molto modernadella comunità scientifica, convinto del ruolo delleaccademie nel favorire il lavoro di equipe. Con estre-mo pragmatismo, sosteneva che il sapere ha bisognodi denaro: «Difficile operare senza il supporto dimezzi finanziari, bisogna arricchirsi per poter filo-sofare e non filosofare per arricchirsi». Ecco per-ché, in disaccordo col Cesi, fu del parere che nell’ac-cademia dei Lincei, di cui fu ispiratore e personag-gio di spicco, dovessero essere accolti non solo eru-diti, ma anche principi ed ecclesiastici in vena di me-cenatismo. Ne aveva fatto esperienza a sue spese:per fronteggiare i debiti contratti per viaggi di ricer-ca o per pubblicare le sue opere, aveva perfino dovu-to ordinare la vendita di parte del palazzo avito. Fu ilmatrimonio della figlia Cinzia con un discendentedella nobile famiglia Di Costanzo di Pozzuoli a sal-varlo dalla rovina e fu a loro che, con riconoscenza,nonostante le pressioni di Federico Cesi che

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ne di Via Toledo. La vicenda di Della Porta, come quella dei

tanti geni di cui il Rinascimento fu prodigo, ripro-pone una questione fondamentale: se, cioè, l’ecce-zionalità di un uomo debba essere valutata esclusi-vamente dalla sua fortuna postuma, o non piutto-sto dal contributo sapienziale che riuscì a fornire,sia pur in situazioni ostili e con mezzi inadeguati oaddirittura inesistenti. Il passaggio dal Rinasci-mento all’età moderna è, si, una storia di eventi e diidee ma è anche, e soprattutto, una storia di uominiche affermarono, con consapevolezza pari a quelladi nessun’altra epoca, la dignità e la potenza del-l’intelletto.

l’avrebbe voluta per i Lincei, lasciò il bene più pre-zioso: la sua biblioteca. L’ultimo dei Di Costanzo, ilduca Francesco Maria, la donò, con tutto il palazzo,alla Deputazione del Tesoro di San Gennaro.

Ai suoi tempi, Della Porta rappresentava pergli stranieri di passaggio, al pari del Vesuvio e deiCampi Flegrei, una delle meraviglie da visitarenella città di Napoli. Quella stessa città che sembraaverlo dimenticato, a giudicare dallo scarso risaltodato al quarto centenario della morte, che ricorrequest’anno. Ben altra partecipazione registrò il so-lenne corteo funebre, che il 4 febbraio 1615 lo ac-compagnò, per l’ultimo saluto, nella basilica di SanLorenzo Maggiore, laddove una lapide, cui nessu-no fa più caso, lo ricorda. Ricopriva l’urna che ac-coglie le sue ceneri; su di essa lo stemma dei DellaPorta abbraccia quello dei Di Costanzo, che fa bel-la mostra di sé anche sulla chiave di volta del porto-

NOTE1 Giordano Bruno e i Rosacroce. Un mistero svelato, fra ma-

gia, alchimia e filosofia. Anno V, n. 10, ottobre 2013.

Sopra da sinistra: Giovanni Battista della Porta, incisione, 1688; incisione in antiporta tratta dall’Astronomica Institutio

(1653) di Pierre Gassendi, ove sono raffigurati Aristotele seduto con, a fianco sulla sinistra, Galileo Galilei e Keplero e,

sulla destra, Thyco Brahe, Copernico e Tolomeo