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Letteratura italiana Einaudi Dei Sepolcri di Ugo Foscolo

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Letteratura italiana Einaudi

Dei Sepolcri

di Ugo Foscolo

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Edizione di riferimento:in Letteratura italiana: testi e critica con lineamentidi storia letteraria, a cura di Mario Pazzaglia,vol. II, Zanichelli, Bologna 1979

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1Letteratura italiana Einaudi

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urneconfortate di pianto è forse il sonnodella morte men duro? Ove piú il Soleper me alla terra non fecondi questabella d’erbe famiglia e d’animali, 5e quando vaghe di lusinghe innanzia me non danzeran l’ore future,né da te, dolce amico, udrò piú il versoe la mesta armonia che lo governa,né piú nel cor mi parlerà lo spirto 10delle vergini Muse e dell’amore,unico spirto a mia vita raminga,qual fia ristoro a’ dí perduti un sassoche distingua le mie dalle infiniteossa che in terra e in mar semina morte? 15Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,ultima Dea, fugge i sepolcri: e involvetutte cose l’obblío nella sua notte;e una forza operosa le affaticadi moto in moto; e l’uomo e le sue tombe 20e l’estreme sembianze e le reliquiedella terra e del ciel traveste il tempo.Ma perché pria del tempo a sé il mortaleinvidierà l’illusïon che spentopur lo sofferma al limitar di Dite? 25Non vive ei forse anche sotterra, quandogli sarà muta l’armonia del giorno,se può destarla con soavi curenella mente de’ suoi? Celeste è questacorrispondenza d’amorosi sensi, 30celeste dote è negli umani; e spessoper lei si vive con l’amico estintoe l’estinto con noi, se pia la terrache lo raccolse infante e lo nutriva,nel suo grembo materno ultimo asilo 35porgendo, sacre le reliquie renda

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dall’insultar de’ nembi e dal profanopiede del vulgo, e serbi un sasso il nome,e di fiori odorata arbore amicale ceneri di molli ombre consoli. 40Sol chi non lascia eredità d’affettipoca gioia ha dell’urna; e se pur miradopo l’esequie, errar vede il suo spirtofra ’l compianto de’ templi acherontei,o ricovrarsi sotto le grandi ale 45del perdono d’lddio: ma la sua polvelascia alle ortiche di deserta glebaove né donna innamorata preghi,né passeggier solingo oda il sospiroche dal tumulo a noi manda Natura. 50Pur nuova legge impone oggi i sepolcrifuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morticontende. E senza tomba giace il tuosacerdote, o Talia, che a te cantandonel suo povero tetto educò un lauro 55con lungo amore, e t’appendea corone;e tu gli ornavi del tuo riso i cantiche il lombardo pungean Sardanapalo,cui solo è dolce il muggito de’ buoiche dagli antri abdüani e dal Ticino 60lo fan d’ozi beato e di vivande.O bella Musa, ove sei tu? Non sentospirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,fra queste piante ov’io siedo e sospiroil mio tetto materno. E tu venivi 65e sorridevi a lui sotto quel tiglioch’or con dimesse frondi va fremendoperché non copre, o Dea, l’urna del vecchiocui già di calma era cortese e d’ombre.Forse tu fra plebei tumuli guardi 70vagolando, ove dorma il sacro capodel tuo Parini? A lui non ombre pose

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tra le sue mura la citta, lascivad’evirati cantori allettatrice,non pietra, non parola; e forse l’ossa 75col mozzo capo gl’insanguina il ladroche lasciò sul patibolo i delitti.Senti raspar fra le macerie e i bronchila derelitta cagna ramingandosu le fosse e famelica ululando; 80e uscir del teschio, ove fuggia la luna,l’úpupa, e svolazzar su per le crocisparse per la funerëa campagnae l’immonda accusar col luttüososingulto i rai di che son pie le stelle 85alle obblïate sepolture. Indarnosul tuo poeta, o Dea, preghi rugiadedalla squallida notte. Ahi! su gli estintinon sorge fiore, ove non sia d’umanelodi onorato e d’amoroso pianto. 90Dal dí che nozze e tribunali ed arediero alle umane belve esser pietosedi se stesse e d’altrui, toglieano i viviall’etere maligno ed alle ferei miserandi avanzi che Natura 95con veci eterne a sensi altri destina.Testimonianza a’ fasti eran le tombe,ed are a’ figli; e uscían quindi i responside’ domestici Lari, e fu temutosu la polve degli avi il giuramento: 100religïon che con diversi ritile virtú patrie e la pietà congiuntatradussero per lungo ordine d’anni.Non sempre i sassi sepolcrali a’ templifean pavimento; né agl’incensi avvolto 105de’ cadaveri il lezzo i supplicanticontaminò; né le città fur meste

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d’effigïati scheletri: le madribalzan ne’ sonni esterrefatte, e tendononude le braccia su l’amato capo 110del lor caro lattante onde nol destiil gemer lungo di persona mortachiedente la venal prece agli eredidal santuario. Ma cipressi e cedridi puri effluvi i zefiri impregnando 115perenne verde protendean su l’urneper memoria perenne, e prezïosivasi accogliean le lagrime votive.Rapían gli amici una favilla al Solea illuminar la sotterranea notte, 120perché gli occhi dell’uom cercan morendoil Sole; e tutti l’ultimo sospiromandano i petti alla fuggente luce.Le fontane versando acque lustraliamaranti educavano e vïole 125su la funebre zolla; e chi sedeaa libar latte o a raccontar sue peneai cari estinti, una fragranza intornosentía qual d’aura de’ beati Elisi.Pietosa insania che fa cari gli orti 130de’ suburbani avelli alle britannevergini, dove le conduce amoredella perduta madre, ove clementipregaro i Geni del ritorno al prodeche tronca fe’ la trïonfata nave 135del maggior pino, e si scavò la bara.Ma ove dorme il furor d’inclite gestae sien ministri al vivere civilel’opulenza e il tremore, inutil pompae inaugurate immagini dell’Orco 140sorgon cippi e marmorei monumenti.Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,decoro e mente al bello italo regno,

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nelle adulate reggie ha sepolturagià vivo, e i stemmi unica laude. A noi 145morte apparecchi riposato albergo,ove una volta la fortuna cessidalle vendette, e l’amistà raccolganon di tesori eredità, ma caldisensi e di liberal carme l’esempio. 150A egregie cose il forte animo accendonol’urne de’ forti, o Pindemonte; e bellae santa fanno al peregrin la terrache le ricetta. Io quando il monumentovidi ove posa il corpo di quel grande 155che temprando lo scettro a’ regnatorigli allòr ne sfronda, ed alle genti sveladi che lagrime grondi e di che sangue;e l’arca di colui che nuovo Olimpoalzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide 160sotto l’etereo padiglion rotarsipiú mondi, e il Sole irradïarli immoto,onde all’Anglo che tanta ala vi stesesgombrò primo le vie del firmamento:– Te beata, gridai, per le felici 165aure pregne di vita, e pe’ lavacriche da’ suoi gioghi a te versa Apennino!Lieta dell’aer tuo veste la Lunadi luce limpidissima i tuoi colliper vendemmia festanti, e le convalli 170popolate di case e d’olivetimille di fiori al ciel mandano incensi:e tu prima, Firenze, udivi il carmeche allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,e tu i cari parenti e l’idïoma 175désti a quel dolce di Calliope labbroche Amore in Grecia nudo e nudo in Romad’un velo candidissimo adornando,

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rendea nel grembo a Venere Celeste;ma piú beata che in un tempio accolte 180serbi l’itale glorie, uniche forseda che le mal vietate Alpi e l’alternaonnipotenza delle umane sortiarmi e sostanze t’ invadeano ed aree patria e, tranne la memoria, tutto. 185Che ove speme di gloria agli animosiintelletti rifulga ed all’Italia,quindi trarrem gli auspici. E a questi marmivenne spesso Vittorio ad ispirarsi.Irato a’ patrii Numi, errava muto 190ove Arno è piú deserto, i campi e il cielodesïoso mirando; e poi che nullovivente aspetto gli molcea la cura,qui posava l’austero; e avea sul voltoil pallor della morte e la speranza. 195Con questi grandi abita eterno: e l’ossafremono amor di patria. Ah sí! da quellareligïosa pace un Nume parla:e nutria contro a’ Persi in Maratonaove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, 200la virtú greca e l’ira. Il naviganteche veleggiò quel mar sotto l’Eubea,vedea per l’ampia oscurità scintillebalenar d’elmi e di cozzanti brandi,fumar le pire igneo vapor, corrusche 205d’armi ferree vedea larve guerrierecercar la pugna; e all’orror de’ notturnisilenzi si spandea lungo ne’ campidi falangi un tumulto e un suon di tubee un incalzar di cavalli accorrenti 210scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.Felice te che il regno ampio de’ venti,Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!

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E se il piloto ti drizzò l’antenna 215oltre l’isole egèe, d’antichi fatticerto udisti suonar dell’Ellespontoi liti, e la marea mugghiar portandoalle prode retèe l’armi d’Achillesovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi 220giusta di glorie dispensiera è morte;né senno astuto né favor di regiall’Itaco le spoglie ardue serbava,ché alla poppa raminga le ritolsel’onda incitata dagl’inferni Dei. 225E me che i tempi ed il desio d’onorefan per diversa gente ir fuggitivo,me ad evocar gli eroi chiamin le Musedel mortale pensiero animatrici.Siedon custodi de’ sepolcri, e quando 230il tempo con sue fredde ale vi spazzafin le rovine, le Pimplèe fan lietidi lor canto i deserti, e l’armoniavince di mille secoli il silenzio.Ed oggi nella Troade inseminata 235eterno splende a’ peregrini un loco,eterno per la Ninfa a cui fu sposoGiove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,onde fur Troia e Assàraco e i cinquantatalami e il regno della giulia gente. 240Però che quando Elettra udí la Parcache lei dalle vitali aure del giornochiamava a’ cori dell’Eliso, a Giovemandò il voto supremo: – E se, diceva,a te fur care le mie chiome e il viso 245e le dolci vigilie, e non mi assentepremio miglior la volontà de’ fati,la morta amica almen guarda dal cieloonde d’Elettra tua resti la fama. -Cosí orando moriva. E ne gemea 250

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l’Olimpio: e l’immortal capo accennandopiovea dai crini ambrosia su la Ninfa,e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.Ivi posò Erittonio, e dorme il giustocenere d’Ilo; ivi l’iliache donne 255sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecandoda’ lor mariti l’imminente fato;ivi Cassandra, allor che il Nume in pettole fea parlar di Troia il dí mortale,venne; e all’ombre cantò carme amoroso, 260e guidava i nepoti, e l’amorosoapprendeva lamento a’ giovinetti.E dicea sospiranda: – Oh se mai d’Argo,ove al Tidíde e di Läerte al figliopascerete i cavalli, a voi permetta 265ritorno il cielo, invan la patria vostracercherete! Le mura, opra di Febo,sotto le lor reliquie fumeranno.Ma i Penati di Troia avranno stanzain queste tombe; ché de’ Numi è dono 270servar nelle miserie altero nome.E voi, palme e cipressi che le nuorepiantan di Priamo, e crescerete ahi prestodi vedovili lagrime innaffiati,proteggete i miei padri: e chi la scure 275asterrà pio dalle devote frondimen si dorrà di consanguinei lutti,e santamente toccherà l’altare.Proteggete i miei padri. Un dí vedretemendico un cieco errar sotto le vostre 280antichissime ombre, e brancolandopenetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,e interrogarle. Gemeranno gli antrisecreti, e tutta narrerà la tombaIlio raso due volte e due risorto 285splendidamente su le mute vie

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per far piú bello l’ultimo trofeoai fatati Pelídi. Il sacro vate,placando quelle afflitte alme col canto,i prenci argivi eternerà per quante 290abbraccia terre il gran padre Oceàno.E tu onore di pianti, Ettore, avrai,ove fia santo e lagrimato il sangueper la patria versato, e finché il Solerisplenderà su le sciagure umane. 295

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